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Viaggio Apostolico del Santo Padre Francesco in Egitto (28-29 aprile 2017) – Visita di cortesia al Grande Imam di Al-Azhar e Discorso ai partecipanti alla Conferenza Internazionale per la Pace al Conference Center di Al-Azhar, 28.04.2017


Visita di cortesia al Grande Imam di Al-Azhar

Discorso del Santo Padre ai partecipanti alla Conferenza Internazionale per la Pace al Conference Center di Al-Azhar

Visita di cortesia al Grande Imam di Al-Azhar

Alle ore 15.40 di questo pomeriggio, il Santo Padre Francesco si è recato in visita di cortesia al Grande Imam di Al-Azhar, la più alta istituzione teologica e di istruzione religiosa dell’Islam sunnita nel mondo e la più antica Università Islamica.

Al Suo arrivo il Papa è stato accolto all’ingresso dal Vicario del Grande Imam che lo ha accompagnato nello studio dove si è svolto l’incontro privato con il Grande Imam Shaykh Ahmad Al-Tayeb.

Al termine ha avuto luogo lo scambio dei doni. Quindi il Papa si è trasferito in auto al Conference Center di Al-Azhar per rivolgere il Suo discorso ai partecipanti alla Conferenza Internazionale per la Pace.

[00631-IT.01]

Discorso del Santo Padre ai partecipanti alla Conferenza Internazionale per la Pace al Conference Center di Al-Azhar

 

Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 16.15 di questo pomeriggio, il Santo Padre Francesco si è recato al Conference Center di Al-Azhar per rivolgere il Suo discorso ai partecipanti alla Conferenza Internazionale per la Pace.

Al Suo arrivo, Papa Francesco è stato accolto dal Grande Imam. Erano presenti Leader Religiosi egiziani e di altri Paesi, una folta rappresentanza di docenti e studenti dell’ateneo islamico e un gruppo di bambini provenienti da 60 Nazioni.

Dopo il discorso del Grande Imam, il Santo Padre ha rivolto ai presenti il discorso che riportiamo di seguito:

Discorso del Santo Padre

Al Salamò Alaikum!  

[La pace sia con voi!]

È un grande dono essere qui e iniziare in questo luogo la mia visita in Egitto, rivolgendomi a voi nell’ambito di questa Conferenza Internazionale per la Pace. Ringrazio il mio fratello, il Grande Imam, per averla ideata e organizzata e per avermi cortesemente invitato. Vorrei offrirvi alcuni pensieri, traendoli dalla gloriosa storia di questa terra, che nei secoli è apparsa al mondo come terra di civiltà e terra di alleanze.

 

Terra di civiltà. Fin dall’antichità, la civiltà sorta sulle rive del Nilo è stata sinonimo di civilizzazione: in Egitto si è levata alta la luce della conoscenza, facendo germogliare un patrimonio culturale inestimabile, fatto di saggezza e ingegno, di acquisizioni matematiche e astronomiche, di forme mirabili di architettura e di arte figurativa. La ricerca del sapere e il valore dell’istruzione sono state scelte feconde di sviluppo intraprese dagli antichi abitanti di questa terra. Sono anche scelte necessarie per l’avvenire, scelte di pace e per la pace, perché non vi sarà pace senza un’educazione adeguata delle giovani generazioni. E non vi sarà un’educazione adeguata per i giovani di oggi se la formazione loro offerta non sarà ben rispondente alla natura dell’uomo, essere aperto e relazionale.

L’educazione diventa infatti sapienza di vita quando è capace di estrarre dall’uomo, in contatto con Colui che lo trascende e con quanto lo circonda, il meglio di sé, formando identità non ripiegate su sé stesse. La sapienza ricerca l’altro, superando la tentazione di irrigidirsi e di chiudersi; aperta e in movimento, umile e indagatrice al tempo stesso, essa sa valorizzare il passato e metterlo in dialogo con il presente, senza rinunciare a un’adeguata ermeneutica. Questa sapienza prepara un futuro in cui non si mira al prevalere della propria parte, ma all’altro come parte integrante di sé; essa non si stanca, nel presente, di individuare occasioni di incontro e di condivisione; dal passato impara che dal male scaturisce solo male e dalla violenza solo violenza, in una spirale che finisce per imprigionare. Questa sapienza, rifiutando la brama di prevaricazione, pone al centro la dignità dell’uomo, prezioso agli occhi di Dio, e un’etica che dell’uomo sia degna, rifiutando la paura dell’altro e il timore di conoscere mediante quei mezzi di cui il Creatore l’ha dotato.

Proprio nel campo del dialogo, specialmente interreligioso, siamo sempre chiamati a camminare insieme, nella convinzione che l’avvenire di tutti dipende anche dall’incontro tra le religioni e le culture. In questo senso il lavoro del Comitato misto per il Dialogo tra il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e il Comitato di Al-Azhar per il Dialogo ci offre un esempio concreto e incoraggiante. Tre orientamenti fondamentali, se ben coniugati, possono aiutare il dialogo: il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni. Il dovere dell’identità, perché non si può imbastire un dialogo vero sull’ambiguità o sul sacrificare il bene per compiacere l’altro; il coraggio dell’alterità, perché chi è differente da me, culturalmente o religiosamente, non va visto e trattato come un nemico, ma accolto come un compagno di strada, nella genuina convinzione che il bene di ciascuno risiede nel bene di tutti; la sincerità delle intenzioni, perché il dialogo, in quanto espressione autentica dell’umano, non è una strategia per realizzare secondi fini, ma una via di verità, che merita di essere pazientemente intrapresa per trasformare la competizione in collaborazione.

Educare all’apertura rispettosa e al dialogo sincero con l’altro, riconoscendone i diritti e le libertà fondamentali, specialmente quella religiosa, costituisce la via migliore per edificare insieme il futuro, per essere costruttori di civiltà. Perché l’unica alternativa alla civiltà dell’incontro è la inciviltà dello scontro, non ce n’è un’altra. E per contrastare veramente la barbarie di chi soffia sull’odio e incita alla violenza, occorre accompagnare e far maturare generazioni che rispondano alla logica incendiaria del male con la paziente crescita del bene: giovani che, come alberi ben piantati, siano radicati nel terreno della storia e, crescendo verso l’Alto e accanto agli altri, trasformino ogni giorno l’aria inquinata dell’odio nell’ossigeno della fraternità.

In questa sfida di civiltà tanto urgente e appassionante siamo chiamati, cristiani e musulmani, e tutti i credenti, a dare il nostro contributo: «viviamo sotto il sole di un unico Dio misericordioso. [...] In questo senso possiamo dunque ‎chiamarci gli uni gli ‎altri fratelli e sorelle [...], perché senza Dio la vita dell’uomo ‎sarebbe come il cielo senza il sole».‎ Si levi il sole di una rinnovata fraternità in nome di Dio e sorga da questa terra, baciata dal sole, l’alba di una civiltà della pace e dell’incontro. Interceda per questo san Francesco di Assisi, che otto secoli fa venne in Egitto e incontrò il Sultano Malik al Kamil.

 

Terra di alleanze. In Egitto non è sorto solo il sole della sapienza; anche la luce policromatica delle religioni ha illuminato questa terra: qui, lungo i secoli, «le differenze di religione hanno costituito «una forma di arricchimento reciproco al servizio dell’unica comunità nazionale». Fedi diverse si sono incontrate e varie culture si sono mescolate, senza confondersi ma riconoscendo l’importanza di allearsi per il bene comune. Alleanze di questo tipo sono quanto mai urgenti oggi. Nel parlarne, vorrei utilizzare come simbolo il “Monte dell’Alleanza” che si innalza in questa terra. Il Sinai ci ricorda anzitutto che un’autentica alleanza sulla terra non può prescindere dal Cielo, che l’umanità non può proporsi di incontrarsi in pace escludendo Dio dall’orizzonte, e nemmeno può salire sul monte per impadronirsi di Dio (cfr Es 19,12).

Si tratta di un messaggio attuale, di fronte all’odierno perdurare di un pericoloso paradosso, per cui da una parte si tende a relegare la religione nella sfera privata, senza riconoscerla come dimensione costitutiva dell’essere umano e della società; dall’altra si confonde, senza opportunamente distinguere, la sfera religiosa e quella politica. Esiste il rischio che la religione venga assorbita dalla gestione di affari temporali e tentata dalle lusinghe di poteri mondani che in realtà la strumentalizzano. In un mondo che ha globalizzato molti strumenti tecnici utili, ma al contempo tanta indifferenza e negligenze, e che corre a una velocità frenetica, difficilmente sostenibile, si avverte la nostalgia delle grandi domande di senso, che le religioni fanno affiorare e che suscitano la memoria delle proprie origini: la vocazione dell’uomo, non fatto per esaurirsi nella precarietà degli affari terreni, ma per incamminarsi verso l’Assoluto a cui tende. Per queste ragioni, oggi specialmente, la religione non è un problema ma è parte della soluzione: contro la tentazione di adagiarci in una vita piatta, dove tutto nasce e finisce quaggiù, essa ci ricorda che è necessario elevare l’animo verso l’Alto per imparare a costruire la città degli uomini.

In questo senso, volgendo ancora idealmente lo sguardo al Monte Sinai, vorrei riferirmi a quei comandamenti, là promulgati, prima di essere scritti sulla pietra. Al centro delle “dieci parole” risuona, rivolto agli uomini e ai popoli di ogni tempo, il comando «non uccidere» (Es 20,13). Dio, amante della vita, non cessa di amare l’uomo e per questo lo esorta a contrastare la via della violenza, quale presupposto fondamentale di ogni alleanza sulla terra. Ad attuare questo imperativo sono chiamate, anzitutto e oggi in particolare, le religioni perché, mentre ci troviamo nell’urgente bisogno dell’Assoluto, è imprescindibile escludere qualsiasi assolutizzazione che giustifichi forme di violenza. La violenza, infatti, è la negazione di ogni autentica religiosità.

In quanto responsabili religiosi, siamo dunque chiamati a smascherare la violenza che si traveste di presunta sacralità, facendo leva sull’assolutizzazione degli egoismi anziché sull’autentica apertura all’Assoluto. Siamo tenuti a denunciare le violazioni contro la dignità umana e contro i diritti umani, a portare alla luce i tentativi di giustificare ogni forma di odio in nome della religione e a condannarli come falsificazione idolatrica di Dio: il suo nome è Santo, Egli è Dio di pace, Dio salam. Perciò solo la pace è santa e nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio, perché profanerebbe il suo Nome.

Insieme, da questa terra d’incontro tra Cielo e terra, di alleanze tra le genti e tra i credenti, ripetiamo un “no” forte e chiaro ad ogni forma di violenza, vendetta e odio commessi in nome della religione o in nome di Dio. Insieme affermiamo l’incompatibilità tra violenza e fede, tra credere e odiare. Insieme dichiariamo la sacralità di ogni vita umana contro qualsiasi forma di violenza fisica, sociale, educativa o psicologica. La fede che non nasce da un cuore sincero e da un amore autentico verso Dio Misericordioso è una forma di adesione convenzionale o sociale che non libera l’uomo ma lo schiaccia. Diciamo insieme: più si cresce nella fede in Dio più si cresce nell’amore al prossimo.

Ma la religione non è certo solo chiamata a smascherare il male; ha in sé la vocazione a promuovere la pace, oggi come probabilmente mai prima. Senza cedere a sincretismi concilianti, il nostro compito è quello di pregare gli uni per gli altri domandando a Dio il dono della pace, incontrarci, dialogare e promuovere la concordia in spirito di collaborazione e amicizia. Noi, come cristiani – e io sono cristiano – «non possiamo invocare Dio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati ad immagine di Dio». Fratelli di tutti. Di più, riconosciamo che, immersi in una costante lotta contro il male che minaccia il mondo perché non sia più «il campo di una genuina fraternità», quanti «credono alla carità divina, sono da Lui [Dio] resi certi che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani». Anzi, sono essenziali: a poco o nulla serve infatti alzare la voce e correre a riarmarsi per proteggersi: oggi c’è bisogno di costruttori di pace, non di armi; oggi c’è bisogno di costruttori di pace, non di provocatori di conflitti; di pompieri e non di incendiari; di predicatori di riconciliazione e non di banditori di distruzione.

Si assiste con sconcerto al fatto che, mentre da una parte ci si allontana dalla realtà dei popoli, in nome di obiettivi che non guardano in faccia a nessuno, dall’altra, per reazione, insorgono populismi demagogici, che certo non aiutano a consolidare la pace e la stabilità: nessun incitamento violento garantirà la pace, ed ogni azione unilaterale che non avvii processi costruttivi e condivisi è in realtà un regalo ai fautori dei radicalismi e della violenza.

Per prevenire i conflitti ed edificare la pace è fondamentale adoperarsi per rimuovere le situazioni di povertà e di sfruttamento, dove gli estremismi più facilmente attecchiscono, e bloccare i flussi di denaro e di armi verso chi fomenta la violenza. Ancora più alla radice, è necessario arrestare la proliferazione di armi che, se vengono prodotte e commerciate, prima o poi verranno pure utilizzate. Solo rendendo trasparenti le torbide manovre che alimentano il cancro della guerra se ne possono prevenire le cause reali. A questo impegno urgente e gravoso sono tenuti i responsabili delle nazioni, delle istituzioni e dell’informazione, come noi responsabili di civiltà, convocati da Dio, dalla storia e dall’avvenire ad avviare, ciascuno nel proprio campo, processi di pace, non sottraendosi dal gettare solide basi di alleanza tra i popoli e gli Stati. Auspico che questa nobile e cara terra d’Egitto, con l’aiuto di Dio, possa rispondere ancora alla sua vocazione di civiltà e di alleanza, contribuendo a sviluppare processi di pace per questo amato popolo e per l’intera regione mediorientale.

    Al Salamò Alaikum!

    [La pace sia con voi!]

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1 ‎«D’altronde, un’etica di fraternità e di coesistenza pacifica tra le persone e tra i ‎popoli non può basarsi sulla logica della paura, della violenza e della ‎chiusura, ma sulla responsabilità, sul rispetto e sul dialogo sincero»‎: La nonviolenza: stile di una politica per la pace, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2017, 5.
2 Giovanni Paolo II, Discorso alle autorità musulmane, Kaduna (Nigeria), 14 febbraio 1982.
3 Id., Discorso nella cerimonia di arrivo, Il Cairo, 24 febbraio 2000.
4 «Furono inscritti nel cuore dell’uomo come Legge morale universale, valida in ogni tempo e in ogni luogo». Essi offrono la «base autentica per la vita degli individui, delle società e delle nazioni; [...] sono l’unico futuro della famiglia umana. Salvano l’uomo dalla forza distruttiva dell’egoismo, dell’odio e della menzogna. Evidenziano tutte le false divinità che lo riducono in schiavitù: l’amore di sé fino all’esclusione di Dio, l’avidità di potere e di piacere che sovverte l’ordine della giustizia e degrada la nostra dignità umana e quella del nostro prossimo»: Id., Omelia nella celebrazione della Parola al Monte Sinai, Monastero di Santa Caterina, 26 febbraio 2000.
5 Cfr Discorso nella Moschea Centrale di Koudoukou, Bangui (Repubblica Centrafricana), 30 novembre 2015.
6 «Forse mai come ora nella storia dell’umanità è divenuto a tutti evidente il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il grande bene della pace» (Giovanni Paolo II, Discorso ai Rappresentanti delle Chiese cristiane e Comunità ecclesiali e delle religioni mondiali, Assisi, 27 ottobre 1986: Insegnamenti IX, 2 (1986), 1268.
7 Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 251.
8 Conc. Ecum. Vat. II, Dich. Nostra aetate, 5.
9 Id., Cost. past. Gaudium et spes, 37-38.

[00618-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Al Salamò Alaikum!

[La paix soit avec vous!]

            C’est un grand don d’être ici et de commencer en ce lieu ma visite en Égypte, en m’adressant à vous dans le cadre de cette Conférence internationale pour la paix. Je remercie mon frère, le Grand Imam pour l’avoir conçue et organisée et pour avoir eu l’amabilité de m’inviter. Je voudrais vous proposer quelques pensées, en les tirant de la glorieuse histoire de cette terre, qui au cours des siècles est apparue au monde comme une terre de civilisation et une terre d’alliances.

 

            Terre de civilisation. Depuis l’antiquité, la société apparue sur les rives du Nil a été synonyme de civilisation : en Égypte, la lumière de la connaissance s’est hissée très haut, en faisant germer un patrimoine culturel inestimable, fait de sagesse et de talent, d’acquisitions mathématiques et astronomiques, de formes admirables d’architecture et d’art figuratif. La recherche du savoir et la valeur de l’instruction ont été des choix féconds de développement réalisés par les anciens habitants de cette terre. Ce sont également des choix nécessaires pour l’avenir, des choix de paix et pour la paix, car il n’y aura pas de paix sans une éducation adéquate des jeunes générations. Et il n’y aura pas une éducation adéquate pour les jeunes d’aujourd’hui si la formation offerte ne correspond pas bien à la nature de l’homme, en tant qu’être ouvert et relationnel.

            L’éducation devient, en effet, sagesse de vie quand elle est capable de faire jaillir de l’homme, en contact avec Celui qui le transcende et avec ce qui l’entoure, le meilleur de lui-même, en modelant une identité non repliée sur elle-même. La sagesse recherche l’autre, en surmontant la tentation de se raidir et de s’enfermer ; ouverte et en mouvement, humble et en recherche à la fois, elle sait valoriser le passé et le mettre en dialogue avec le présent, sans renoncer à une herméneutique appropriée. Cette sagesse prépare un avenir dans lequel on ne vise pas à se faire prévaloir, mais à faire prévaloir l’autre comme partie intégrante de soi ; elle ne se lasse pas, dans le présent, de repérer des occasions de rencontre et de partage ; elle apprend du passé que du mal n’émane que le mal, et de la violence que la violence, dans une spirale qui finit par emprisonner. Cette sagesse, en rejetant la soif de prévarication, met au centre la dignité de l’homme, précieux aux yeux de Dieu, et une éthique qui soit digne de l’homme, en refusant la peur de l’autre et la crainte de connaître par ces moyens dont le Créateur l’a doté[1].

            Justement dans le domaine du dialogue, spécialement interreligieux, nous sommes toujours appelés à marcher ensemble, convaincus que l’avenir de tous dépend aussi de la rencontre entre les religions et les cultures. En ce sens, le travail du Comité mixte pour le Dialogue entre le Conseil Pontifical pour le Dialogue Interreligieux et le Comité d’Al-Azhar pour le Dialogue nous offre un exemple concret et encourageant. Trois orientations fondamentales, si elles sont bien conjuguées, peuvent aider le dialogue : le devoir de l’identité, le courage de l’altérité et la sincérité des intentions. Le devoir d’identité, car on ne peut pas bâtir un vrai dialogue sur l’ambiguïté ou en sacrifiant le bien pour plaire à l’autre ; le courage de l’altérité, car celui qui est différent de moi, culturellement et religieusement, ne doit pas être vu et traité comme un ennemi, mais accueilli comme un compagnon de route, avec la ferme conviction que le bien de chacun réside dans le bien de tous ; la sincérité des intentions, car le dialogue, en tant qu’expression authentique de l’humain, n’est pas une stratégie pour réaliser des objectifs secondaires, mais un chemin de vérité, qui mérite d’être patiemment entrepris pour transformer la compétition en collaboration.

            Éduquer à l’ouverture respectueuse et au dialogue sincère avec l’autre, en reconnaissant ses droits et ses libertés fondamentales, spécialement la liberté religieuse, constitue la meilleure voie pour bâtir ensemble l’avenir, pour être des bâtisseurs de civilisation. Car l’unique alternative à la civilisation de la rencontre, c’est la barbarie de la confrontation, il n’y en a pas d’autre. Et pour s’opposer vraiment à la barbarie de celui qui souffle sur la haine et incite à la violence, il faut accompagner et faire mûrir des générations qui répondent à la logique incendiaire du mal par la croissance patiente du bien : des jeunes qui, comme des arbres bien plantés, sont enracinés dans le terrain de l’histoire et, grandissant vers le Haut et à côté des autres, transforment chaque jour l’air pollué de la haine en oxygène de la fraternité.

            Dans ce défi de civilisation si urgent et passionnant, nous sommes appelés, chrétiens et musulmans, ainsi que tous les croyants, à apporter notre contribution : « nous vivons sous le soleil d’un unique Dieu miséricordieux […] En ce sens, nous pouvons donc nous appeler, les uns les autres, frères et sœurs […], car sans Dieu la vie de l’homme serait comme le ciel sans le soleil » (Jean-Paul II, Discours aux autorités musulmanes, Kaduna (Nigéria), 14 février 1982). Que se lève le soleil d’une fraternité renouvelée au nom de Dieu et que jaillisse de cette terre, embrassée par le soleil, l’aube d’une civilisation de la paix et de la rencontre ! Qu’intercède pour cela saint François d’Assise, qui, il y a huit siècles, est venu en Égypte et a rencontré le Sultan Malik al Kamil !

 

            Terre d’alliances. En Égypte, ne s’est pas levé uniquement le soleil de la sagesse ; la lumière polychromatique des religions a également rayonné sur cette terre : ici, tout au long des siècles, les différences de religion ont constitué « une forme d'enrichissement mutuel au service de l'unique communauté nationale » (Id., Discours lors de la cérémonie d’arrivée, le Caire, 24 février 2000). Des croyances diverses se sont croisées et des cultures variées se sont mélangées, sans se confondre mais en reconnaissant l’importance de l’alliance pour le bien commun. Des alliances de ce genre sont plus que jamais urgentes aujourd’hui. En en parlant, je voudrais utiliser comme symbole le ‘‘Mont de l’Alliance’’ qui se dresse sur cette terre. Le Sinaï nous rappelle avant tout qu’une authentique alliance sur cette terre ne peut se passer du Ciel, que l’humanité ne peut se proposer de jouir de la paix en excluant Dieu de l’horizon, ni ne peut gravir la montagne pour s’emparer de Dieu (cf. Ex 19, 12).

            Il s’agit d’un message actuel, face à la persistance d’un danger paradoxal, qui fait que d’une part on tend à reléguer la religion dans la sphère privée, sans la reconnaître comme dimension constitutive de l’être humain et de la société ; d’autre part, on confond, sans distinguer de manière appropriée, la sphère religieuse et la sphère politique. Il existe le risque que la religion en vienne à être absorbée par la gestion des affaires temporelles et à être tentée par les mirages des pouvoirs mondains qui, en réalité, l’instrumentalisent. Dans un monde qui a globalisé beaucoup d’instruments techniques utiles, mais en même temps beaucoup d’indifférence et de négligences, et qui évolue à une vitesse frénétique, difficilement soutenable, on observe la nostalgie des grandes questions de sens, que les religions font émerger et qui suscitent la mémoire des propres origines : la vocation de l’homme, qui n’est pas fait pour s’épuiser dans la précarité des affaires terrestres, mais pour cheminer vers l’Absolu vers lequel il tend. C’est pourquoi, aujourd’hui spécialement, la religion n’est pas un problème mais fait partie de la solution : contre la tentation de s’accommoder à une vie plate, où tout naît et finit ici-bas, elle nous rappelle qu’il faut élever l’âme vers le Haut pour apprendre à construire la cité des hommes.

            En ce sens, en tournant encore le regard vers le Mont Sinaï, je voudrais me référer à ces commandements, qui y ont été promulgués, avant d’être écrits sur la pierre[2]. Au centre des ‘‘dix paroles’’ résonne, adressé aux hommes et aux peuples de tous les temps, le commandement « tu ne tueras pas » (Ex 20, 13). Dieu, qui aime la vie, ne se lasse pas d’aimer l’homme et c’est pourquoi il l’exhorte à s’opposer à la voie de la violence, comme présupposé fondamental de toute alliance sur la terre. Avant tout et en particulier aujourd’hui, ce sont les religions qui sont appelées à réaliser cet impératif ; tandis que nous nous trouvons dans le besoin urgent de l’Absolu, il est indispensable d’exclure toute absolutisation qui justifie des formes de violence. La violence, en effet, est la négation de toute religiosité authentique.

            En tant que responsables religieux, nous sommes donc appelés à démasquer la violence sous les airs d’une présumée sacralité, qui flatte l’absolutisation des égoïsmes au détriment de l’authentique ouverture à l’Absolu. Nous sommes tenus de dénoncer les violations contre la dignité humaine et contre les droits humains, de porter à la lumière les tentatives de justifier toute forme de haine au nom de la religion et de les condamner comme falsification idolâtrique de Dieu : son nom est Saint, il est Dieu de paix, Dieu salam (cf. Discours à la Mosquée Centrale de Koudoukou, Bangui [République centrafricaine], 30 novembre 2015). C’est pourquoi, seule la paix est sainte et aucune violence ne peut être perpétrée au nom de Dieu, parce qu’elle profanerait son Nom.

            Ensemble, de cette terre de rencontre entre Ciel et terre, terre d’alliances entre les peuples et entre les croyants, redisons un ‘‘non’’ fort et clair à toute forme de violence, de vengeance et de haine commise au nom de la religion ou au nom de Dieu. Ensemble, affirmons l’incompatibilité entre violence et foi, entre croire et haïr. Ensemble, déclarons la sacralité de toute vie humaine opposée à toute forme de violence physique, sociale, éducative ou psychologique. La foi qui ne naît pas d’un cœur sincère et d’un amour authentique envers Dieu Miséricordieux est une forme d’adhésion conventionnelle ou sociale qui ne libère pas l’homme mais l’opprime. Disons ensemble : plus on grandit dans la foi en Dieu, plus on grandit dans l’amour du prochain.

            Mais la religion n’est certes pas uniquement appelée à démasquer le mal ; elle a en soi la vocation de promouvoir la paix, aujourd’hui probablement plus que jamais[3]. Sans céder à des syncrétismes conciliants (Cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium, n. 251), notre devoir est de prier les uns pour les autres, demandant à Dieu le don de la paix, de nous rencontrer, de dialoguer et de promouvoir la concorde en esprit de collaboration et d’amitié. Nous, en tant que chrétiens – et moi je suis chrétien – « nous ne pouvons invoquer Dieu, Père de tous les hommes, si nous refusons de nous conduire fraternellement envers certains des hommes créés à l’image de Dieu » (Concile Vatican II, Décl. Nostra aetate, n. 5). Frères de tous. En outre, nous reconnaissons que, immergés dans une lutte constante contre le mal qui menace le monde afin qu’il ne soit plus « le lieu d’une réelle fraternité », à ceux qui « croient à la divine charité, [Dieu] apporte ainsi la certitude que la voie de l’amour est ouverte à tous les hommes et que l’effort qui tend à instaurer une fraternité universelle n’est pas vain » (Id., Const. past. Gaudium et spes, nn. 37-38). Au contraire, cet effort est essentiel : il sert à peu de chose ou il ne sert à rien, en effet, de hausser la voix et de courir nous réarmer pour nous protéger : aujourd’hui, il faut des bâtisseurs de paix, non des armes ; aujourd’hui il faut des bâtisseurs de paix, non des provocateurs de conflits ; des pompiers et non des pyromanes ; des prédicateurs de réconciliation et non des propagateurs de destruction.

            On assiste avec désarroi au fait que, tandis que d’une part on s’éloigne de la réalité des peuples, au nom d’objectifs qui ne respectent personne, de l’autre, par réaction, surgissent des populismes démagogiques, qui certes n’aident pas à consolider la paix et la stabilité : aucune incitation à la violence ne garantira la paix, et toute action unilatérale qui n’engage pas des processus constructifs et partagés est, en réalité, un cadeau aux partisans des radicalismes et de la violence.

            Pour prévenir les conflits et édifier la paix, il est fondamental d’œuvrer pour résorber les situations de pauvreté et d’exploitation, là où les extrémismes s’enracinent plus facilement, et bloquer les flux d’argent et d’armes vers ceux qui fomentent la violence. Encore plus à la racine, il faut combattre la prolifération des armes qui, si elles sont fabriquées et vendues, tôt ou tard, seront aussi utilisées. Ce n’est qu’en rendant transparentes les sombres manœuvres qui alimentent le cancer de la guerre qu’on peut en prévenir les causes réelles. Les responsables des nations, des institutions et de l’information sont tous tenus à cet engagement urgent et grave, comme nous, responsables de civilisation, convoqués par Dieu, par l’histoire et par l’avenir, nous sommes tenus d’engager, chacun dans son domaine, des processus de paix, en ne nous soustrayant pas à l’édification de solides bases d’alliance entre les peuples et les États. Je souhaite que cette noble et chère terre d’Égypte, avec l’aide de Dieu, puisse répondre encore à sa vocation de civilisation et d’alliance, en contribuant à développer des processus de paix pour ce peuple bien-aimé et pour la région moyenne-orientale tout entière.

            Al Salamò Alaikum!

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[1] « D’autre part, une éthique de fraternité et de coexistence pacifique entre les personnes et entre les peuples ne peut se fonder sur la logique de la peur, de la violence et de la fermeture, mais sur la responsabilité, sur le respect et sur le dialogue sincère » : La non-violence, style d’une politique pour la paix, Message pour la Journée Mondiale de la Paix 2017, n. 5.
[2] « Ils ont été écrits dans la pierre ; mais avant cela, ils ont été écrits dans le cœur de l'homme comme la loi morale universelle, valable en tout temps et en tout lieu. Aujourd'hui comme toujours, les dix Paroles de la Loi fournissent les seules véritables bases pour la vie des personnes, des sociétés et des nations […], elles constituent le seul avenir pour la famille humaine. Elles sauvent l'humanité des forces destructrices de l'égoïsme, de la haine et du mensonge. Elles mettent en évidence les faux dieux qui maintiennent les hommes dans l'esclavage : l'amour de soi jusqu'au refus de Dieu, l'avidité pour le pouvoir et le plaisir qui bouleverse l'ordre de la justice et dégrade notre dignité humaine et celle de notre prochain ». Id., Homélie lors de la célébration de la Parole au Mont Sinaï, Monastère de Sainte Catherine, 26 février 2000.
[3] « Peut-être, plus que jamais dans l’histoire de l’humanité, le lien intrinsèque entre une attitude authentiquement religieuse et le grand bien de la foi est-il devenu évident pour tous » (Jean-Paul II, Discours aux Représentants des Églises chrétiennes et des Communautés ecclésiales et des religions mondiales, Assise, 27 octobre 1986, Insegnamenti IX, 2 (1986), p. 1268.

[00618-FR.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua inglese
  

As-salamu alaykum!

[Peace be with you!]

           I consider it a great gift to be able to begin my Visit to Egypt here, and to address you in the context of this International Peace Conference.  I thank my brother, the Grand Imam, for having planned and organized this Conference, and for kindly inviting me to take part.  I would like to offer you a few thoughts, drawing on the glorious history of this land, which over the ages has appeared to the world as a land of civilizations and a land of covenants.

 

            A land of civilizations - From ancient times, the culture that arose along the banks of the Nile was synonymous with civilization.  Egypt lifted the lamp of knowledge, giving birth to an inestimable cultural heritage, made up of wisdom and ingenuity, mathematical and astronomical discoveries, and remarkable forms of architecture and figurative art.  The quest for knowledge and the value placed on education were the result of conscious decisions on the part of the ancient inhabitants of this land, and were to bear much fruit for the future.  Similar decisions are needed for our own future, decisions of peace and for peace, for there will be no peace without the proper education of coming generations.  Nor can young people today be properly educated unless the training they receive corresponds to the nature of man as an open and relational being.

            Education indeed becomes wisdom for life if it is capable of “drawing out” of men and women the very best of themselves, in contact with the One who transcends them and with the world around them, fostering a sense of identity that is open and not self-enclosed.  Wisdom seeks the other, overcoming temptations to rigidity and closed-mindedness; it is open and in motion, at once humble and inquisitive; it is able to value the past and set it in dialogue with the present, while employing a suitable hermeneutics.  Wisdom prepares a future in which people do not attempt to push their own agenda but rather to include others as an integral part of themselves.  Wisdom tirelessly seeks, even now, to identify opportunities for encounter and sharing; from the past, it learns that evil only gives rise to more evil, and violence to more violence, in a spiral that ends by imprisoning everyone.  Wisdom, in rejecting the dishonesty and the abuse of power, is centred on human dignity, a dignity which is precious in God’s eyes, and on an ethics worthy of man, one that is unafraid of others and fearlessly employs those means of knowledge bestowed on us by the Creator.[1]

            Precisely in the field of dialogue, particularly interreligious dialogue, we are constantly called to walk together, in the conviction that the future also depends on the encounter of religions and cultures.  In this regard, the work of the Mixed Committee for Dialogue between the Pontifical Council for Interreligious Dialogue and the Committee of Al-Azhar for Dialogue offers us a concrete and encouraging example.  Three basic areas, if properly linked to one another, can assist in this dialogue: the duty to respect one’s own identity and that of others, the courage to accept differences, and sincerity of intentions.

            The duty to respect one’s own identity and that of others, because true dialogue cannot be built on ambiguity or a willingness to sacrifice some good for the sake of pleasing others.  The courage to accept differences, because those who are different, either culturally or religiously, should not be seen or treated as enemies, but rather welcomed as fellow-travellers, in the genuine conviction that the good of each resides in the good of all.  Sincerity of intentions, because dialogue, as an authentic expression of our humanity, is not a strategy for achieving specific goals, but rather a path to truth, one that deserves to be undertaken patiently, in order to transform competition into cooperation.

            An education in respectful openness and sincere dialogue with others, recognizing their rights and basic freedoms, particularly religious freedom, represents the best way to build the future together, to be builders of civility.  For the only alternative to the civility of encounter is the incivility of conflict; there is no other way.  To counter effectively the barbarity of those who foment hatred and violence, we need to accompany young people, helping them on the path to maturity and teaching them to respond to the incendiary logic of evil by patiently working for the growth of goodness.  In this way, young people, like well-planted trees, can be firmly rooted in the soil of history, and, growing heavenward in one another’s company, can daily turn the polluted air of hatred into the oxygen of fraternity.

            In facing this great cultural challenge, one that is both urgent and exciting, we, Christians, Muslims and all believers, are called to offer our specific contribution: “We live under the sun of the one merciful God…  Thus, in a true sense, we can call one another brothers and sisters… since without God the life of man would be like the heavens without the sun”.[2]  May the sun of a renewed fraternity in the name of God rise in this sun-drenched land, to be the dawn of a civilization of peace and encounter.  May Saint Francis of Assisi, who eight centuries ago came to Egypt and met Sultan Malik al Kamil, intercede for this intention.

 

            A land of covenants - In Egypt, not only did the sun of wisdom rise, but also the variegated light of the religions shone in this land.  Here, down the centuries, differences of religion constituted “a form of mutual enrichment in the service of the one national community”.[3]  Different faiths met and a variety of cultures blended without being confused, while acknowledging the importance of working together for the common good.  Such “covenants” are urgently needed today.  Here I would take as a symbol the “Mount of the Covenant” which rises up in this land.  Sinai reminds us above all that authentic covenants on earth cannot ignore heaven, that human beings cannot attempt to encounter one another in peace by eliminating God from the horizon, nor can they climb the mountain to appropriate God for themselves (cf. Ex 19:12).

            This is a timely reminder in the face of a dangerous paradox of the present moment.  On the one hand, religion tends to be relegated to the private sphere, as if it were not an essential dimension of the human person and society.  At the same time, the religious and political spheres are confused and not properly distinguished.  Religion risks being absorbed into the administration of temporal affairs and tempted by the allure of worldly powers that in fact exploit it.  Our world has seen the globalization of many useful technical instruments, but also a globalization of indifference and negligence, and it moves at a frenetic pace that is difficult to sustain.  As a result, there is renewed interest in the great questions about the meaning of life.  These are the questions that the religions bring to the fore, reminding us of our origins and ultimate calling.  We are not meant to spend all our energies on the uncertain and shifting affairs of this world, but to journey towards the Absolute that is our goal.  For all these reasons, especially today, religion is not a problem but a part of the solution: against the temptation to settle into a banal and uninspired life, where everything begins and ends here below, religion reminds us of the need to lift our hearts to the Most High in order to learn how to build the city of man.

            To return to the image of Mount Sinai, I would like to mention the commandments that were promulgated there, even before they were sculpted on tablets of stone.[4]  At the centre of this “decalogue”, there resounds, addressed to each individual and to people of all ages, the commandment: “Thou shalt not kill” (Ex 20:13).  God, the lover of life, never ceases to love man, and so he exhorts us to reject the way of violence as the necessary condition for every earthly “covenant”.  Above all and especially in our day, the religions are called to respect this imperative, since, for all our need of the Absolute, it is essential that we reject any “absolutizing” that would justify violence.  For violence is the negation of every authentic religious expression.

            As religious leaders, we are called, therefore, to unmask the violence that masquerades as purported sanctity and is based more on the “absolutizing” of selfishness than on authentic openness to the Absolute.  We have an obligation to denounce violations of human dignity and human rights, to expose attempts to justify every form of hatred in the name of religion, and to condemn these attempts as idolatrous caricatures of God: Holy is his name, he is the God of peace, God salaam.[5]  Peace alone, therefore, is holy and no act of violence can be perpetrated in the name of God, for it would profane his Name.

            Together, in the land where heaven and earth meet, this land of covenants between peoples and believers, let us say once more a firm and clear “No!” to every form of violence, vengeance and hatred carried out in the name of religion or in the name of God. Together let us affirm the incompatibility of violence and faith, belief and hatred. Together let us declare the sacredness of every human life against every form of violence, whether physical, social, educational or psychological.  Unless it is born of a sincere heart and authentic love towards the Merciful God, faith is no more than a conventional or social construct that does not liberate man, but crushes him.  Let us say together: the more we grow in the love of God, the more we grow in the love of our neighbour.

            Religion, however, is not meant only to unmask evil; it has an intrinsic vocation to promote peace, today perhaps more than ever.[6]  Without giving in to forms of facile syncretism,[7] our task is that of praying for one another, imploring from God the gift of peace, encountering one another, engaging in dialogue and promoting harmony in the spirit of cooperation and friendship.  For our part, as Christians – and I am a Christian – “we cannot truly pray to God the Father of all if we treat any people as other than brothers and sisters, for all are created in God’s image”.[8]  All are brothers and sisters. Moreover, we know that, engaged in a constant battle against the evil that threatens a world which is no longer “a place of genuine fraternity”, God assures all those who trust in his love that “the way of love lies open to men and that the effort to establish universal brotherhood is not vain”.[9]  Rather, that effort is essential: it is of little or no use to raise our voices and run about to find weapons for our protection: what is needed today are peacemakers, not makers of arms; what is needed are peacemakers, and not fomenters of conflict; firefighters and not arsonists; preachers of reconciliation and not instigators of destruction.

            It is disconcerting to note that, as the concrete realities of people’s lives are increasingly ignored in favour of obscure machinations, demagogic forms of populism are on the rise.  These certainly do not help to consolidate peace and stability: no incitement to violence will guarantee peace, and every unilateral action that does not promote constructive and shared processes is in reality a gift to the proponents of radicalism and violence.

            In order to prevent conflicts and build peace, it is essential that we spare no effort in eliminating situations of poverty and exploitation where extremism more easily takes root, and in blocking the flow of money and weapons destined to those who provoke violence.  Even more radically, an end must be put to the proliferation of arms; if they are produced and sold, sooner or later they will be used.  Only by bringing into the light of day the murky manoeuvrings that feed the cancer of war can its real causes be prevented.  National leaders, institutions and the media are obliged to undertake this urgent and grave task.  So too are all of us who play a leading role in culture; each in his or her own area, we are charged by God, by history and by the future to initiate processes of peace, seeking to lay a solid basis for agreements between peoples and states.  It is my hope that this noble and beloved land of Egypt, with God’s help, may continue to respond to the calling it has received to be a land of civilization and covenant, and thus to contribute to the development of processes of peace for its beloved people and for the entire region of the Middle East.

            As-salamu alaykum!

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[1] “An ethics of fraternity and peaceful coexistence between individuals and among peoples cannot be based on the logic of fear, violence and closed-mindedness, but on responsibility, respect and sincere dialogue”: Nonviolence: a Style of Politics for Peace, Message for the 2017 World Day of Peace, 5.
[2] JOHN PAUL II, Address to Muslim Religious Leaders, Kaduna (Nigeria), 14 February 1982.
[3] John Paul II, Address at the Arrival Ceremony, Cairo, 24 February 2000.
[4] “They were written on the human heart as the universal moral law, valid in every time and place. Today as always, the Ten Words of the Law provide the only true basis for the lives of individuals, societies and nations. […] They are the only future of the human family. They save man from the destructive force of egoism, hatred and falsehood. They point out all the false gods that draw him into slavery: the love of self to the exclusion of God, the greed for power and pleasure that overturns the order of justice and degrades our human dignity and that of our neighbour” (John Paul II, Homily during the Celebration of the Word at Mount Sinai, Saint Catherine’s Monastery, 26 February 2000).
[5] Address at the Central Mosque of Koudoukou, Bangui (Central African Republic), 30 November 2015.
[6] “More perhaps than ever before in history, the intrinsic link between an authentic religious attitude and the great good of peace has become evident to all” (JOHN PAUL II, Address to Representatives of the Christian Churches and Ecclesial Communities and of the World Religions, Assisi, 27 October 1986: Insegnamenti IX, 2 (1986), 1268.
[7] Cf. Apostolic Exhortation Evangelii Gaudium, 251.
[8] SECOND VATICAN ECUMENICAL COUNCIL, Declaration Nostra Aetate, 5.
[9] ID., Pastoral Constitution Gaudium et Spes, 38.

[00618-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Al Salamò Alaikum!

[Der Friede sei mit euch!]  

            Es ist ein großes Geschenk, heute hier zu sein und an diesem Ort zu Beginn meines Besuchs in Ägypten mich im Rahmen dieser Internationalen Friedenskonferenz an Sie zu wenden. Ich danke meinem Bruder, dem Großimam für die Planung und Organisation der Konferenz wie auch für die freundliche Einladung. Ich möchte Ihnen gerne einige Gedanken darlegen, die ich aus der ruhmreichen Geschichte dieses Landes schöpfe, das über die Jahrhunderte in der Welt als Land der Kultur und Land der Bündnisse in Erscheinung getreten ist.

 

            Land der Kultur. Seit der Antike war die an den Ufern des Nils entstandene Kultur ein Synonym für Zivilisation: In Ägypten erreichte das Licht des Wissens einen hohen Stand und ließ ein unschätzbares kulturelles Erbe entstehen, das in Weisheit und Geist, mathematischen und astronomischen Errungenschaften sowie bewundernswerten Formen der Architektur und der bildenden Kunst bestand. Mit der Wissenssuche und dem Stellenwert der Bildung trafen die antiken Bewohner dieses Landes Entscheidungen, die sich für die weitere Entwicklung als fruchtbar erwiesen. Solche Entscheidungen sind auch für die Zukunft notwendig, Entscheidungen des Friedens und für den Frieden, weil es ohne eine angemessene Bildung der jungen Generationen keinen Frieden geben wird. Und es wird keine angemessene Bildung für die jungen Menschen von heute geben, wenn das Bildungsangebot nicht der Natur des Menschen als offenes und relationales Wesen entspricht.

            Tatsächlich wird Bildung zur Lebensweisheit, wenn sie fähig ist, aus dem Menschen – der mit dem ihn transzendierenden Sein wie auch mit seiner Umgebung in Verbindung steht – sein Bestes herauszuholen und dabei Persönlichkeiten zu formen, die nicht auf sich selbst bezogen sind. Die Weisheit sucht den anderen und überwindet die Versuchung, sich zu versteifen oder zu verschließen; offen und in Bewegung, demütig und zugleich forschend, kann sie die Vergangenheit wertschätzen und diese mit der Gegenwart in Dialog setzen, ohne auf eine entsprechende Hermeneutik zu verzichten. Diese Weisheit bereitet eine Zukunft vor, in der man nicht danach strebt, dass die eigene Seite vorherrscht, sondern dass der andere als integrierender Bestandteil von sich gesehen wird; in der Gegenwart wird sie nicht müde, Gelegenheiten für Begegnung und Austausch ausfindig zu machen; von der Vergangenheit lernt sie, dass aus Bösem nur Böses und aus Gewalt nur Gewalt hervorgeht in einer Spirale, aus der es am Ende kein Entrinnen gibt. Während sie die Gier nach missbräuchlicher Macht ablehnt, stellt diese Weisheit die Würde des Menschen, der in Gottes Augen wertvoll ist, und eine des Menschen würdige Ethik in den Mittelpunkt. Dabei weist sie die Angst vor dem anderen und die Furcht vor der Erkenntnis durch die Mittel, mit denen der Schöpfer sie ausgestattet hat, zurück.[1]

            Gerade im Bereich des Dialogs, vor allem des interreligiösen Dialogs, sind wir immer aufgerufen, gemeinsam zu gehen in der Überzeugung, dass die Zukunft aller auch von der Begegnung der Religionen und Kulturen abhängig ist. In diesem Sinn gibt uns die Arbeit des Gemischten Komitees für den Dialog zwischen dem Päpstlichen Rat für den Interreligiösen Dialog und dem Komitee von Al-Azhar für den Dialog ein konkretes und ermutigendes Beispiel. Drei grundlegende Ausrichtungen können, wenn sie gut miteinander verbunden werden, für den Dialog hilfreich sein: die Verpflichtung zur Wahrung der Identität, der Mut zur Andersheit und die Aufrichtigkeit der Absichten. Verpflichtung zur Wahrung der Identität, weil ein echter Dialog nicht auf der Basis von Zweideutigkeiten oder der Preisgabe des Guten geführt werden kann, um dem anderen zu gefallen; Mut zur Andersheit, weil derjenige, der sich – kulturell oder religiös – von mir unterscheidet, nicht als Feind angesehen und behandelt werden darf, sondern als Weggefährte aufgenommen werden soll in der echten Überzeugung, dass das Wohl eines jeden im Wohl aller besteht; die Aufrichtigkeit der Absichten, weil der Dialog als authentischer Ausdruck des Humanen nicht eine Strategie ist, um Hintergedanken zu verwirklichen, sondern ein Weg der Wahrheit, und diesen geduldig zu gehen lohnt sich, um Konkurrenz in Zusammenarbeit zu verwandeln.

            Die Erziehung zur respektvollen Offenheit und zum aufrichtigen Dialog mit dem anderen in Anerkennung seiner Rechte und grundlegenden Freiheiten, vor allem der Religionsfreiheit, stellt den besten Weg dar, um gemeinsam die Zukunft aufzubauen und um Förderer von Kultur zu sein. Denn die einzige Alternative zur Kultur der Begegnung ist die Unkultur des Streits. Da gibt es keine andere. Und um der Barbarei derer, die Hass schüren und zur Gewalt aufhetzen, wirklich entgegenzutreten, ist es erforderlich, Generationen zu begleiten und heranreifen zu lassen, die auf die brandstiftende Logik des Bösen mit dem geduldigen Wachstum des Guten antworten: junge Menschen, die wie gut gepflanzte Bäume im Boden der Geschichte verwurzelt sind und nebeneinander in die Höhe wachsen und so jeden Tag die von Hass verpestete Luft in den Sauerstoff der Brüderlichkeit umwandeln.

            In dieser sehr dringenden und spannenden Herausforderung der Kultur sind wir – Christen wie Muslime und alle gläubigen Menschen – gerufen, unseren Beitrag zu leisten: Wir »leben unter der Sonne des einen barmherzigen Gottes. […] So können wir uns gegenseitig […] Brüder und Schwestern […] nennen. […] Denn ohne Gott wäre das Leben des Menschen wie der Himmel ohne die Sonne«.[2] Es möge die Sonne einer neuen Brüderlichkeit im Namen Gottes aufgehen, und von dieser sonnenbeschienenen Erde steige die Morgenröte einer Kultur des Friedens und der Begegnung auf. Dafür möge der heilige Franz von Assisi Fürsprache einlegen, der vor acht Jahrhunderten nach Ägypten kam und Sultan Malik al Kamil begegnete.

 

            Land der Bündnisse. In Ägypten ist nicht nur die Sonne der Weisheit aufgegangen; auch das vielfarbige Licht der Religionen hat dieses Land erleuchtet: Hier waren über die Jahrhunderte die Unterschiede der Religion »eine Form gegenseitiger Bereicherung im Dienst an der einen nationalen Gemeinschaft«.[3] Verschiedene Glaubensrichtungen sind sich begegnet und unterschiedliche Kulturen sind zusammengekommen, ohne sich zu vermischen, haben aber erkannt, wie wichtig es ist, sich für das Gemeinwohl zu verbünden. Bündnisse dieser Art sind heute mehr denn je dringlich. Wenn ich darüber spreche, möchte ich dafür gerne als Symbol den „Berg des Bundes“ verwenden, der sich in diesem Land erhebt. Der Sinai erinnert uns vor allem daran, dass ein echter Bund auf Erden nicht auf den Himmel verzichten kann, dass die Menschheit nicht den Vorsatz fassen kann, sich in Frieden zu treffen, wenn sie Gott von ihrem Horizont ausschließt, und sie kann auch nicht auf den Berg steigen, um sich Gottes zu bemächtigen (vgl. Ex 19,12).

            Es handelt sich um eine aktuelle Botschaft angesichts des gegenwärtigen Fortbestehens eines gefährlichen Paradoxes. Einerseits neigt man nämlich dazu, die Religion in die Privatsphäre zu verbannen, ohne sie als konstitutive Dimension des Menschen und der Gesellschaft anerkennen zu wollen; andererseits vermischt man die religiöse und die politische Sphäre, ohne diese entsprechend zu unterscheiden. Es besteht die Gefahr, dass die Religion von der Sorge um weltliche Angelegenheiten aufgesaugt und von den Schmeicheleien weltlicher Mächte in Versuchung geführt wird, die sie in Wirklichkeit instrumentalisieren. In einer Welt, die viele nützliche technische Mittel, aber gleichzeitig so viel Gleichgültigkeit und Nachlässigkeit globalisiert hat und die sich in einem rasanten Fluss befindet, der schwer zu ertragen ist, nimmt man die Sehnsucht nach den großen Sinnfragen wahr, die von den Religionen aufgezeigt werden und die Erinnerung an die eigenen Ursprünge wecken: die Berufung des Menschen, der nicht dazu da ist, um sich in der Vorläufigkeit der irdischen Dinge zu erschöpfen, sondern um dem Absoluten entgegenzugehen, zu dem er unterwegs ist. Aus diesen Gründen ist die Religion besonders heutzutage nicht ein Problem, sondern Teil der Lösung: Gegen die Versuchung, uns einem oberflächlichen Leben zu überlassen, wo alles hier unten entsteht und endet, erinnert sie uns daran, dass es notwendig ist, den Geist dem Höchsten zuzuwenden, um zu lernen, wie man die Stadt der Menschen erbaut.

            In diesem Sinne möchte ich mich, gleichsam nochmals im Geiste den Blick auf den Berg Sinai gerichtet, auf jene Gebote beziehen, die dort erlassen wurden, bevor sie auf Stein geschrieben wurden.[4] In der Mitte der „zehn Worte“ ertönt der Befehl an die Menschen und Völker aller Zeiten »Du sollst nicht töten« (Ex 20,13). Gott, Freund des Lebens, hört nicht auf, den Menschen zu lieben, und deswegen ermahnt er ihn, als Grundbedingung für jeden Bund auf der Erde dem Weg der Gewalt entgegenzutreten. Zur Umsetzung dieser Aufforderung sind – vor allem und heute auf besondere Weise – die Religionen gerufen. Denn während wir dringend des Absoluten bedürfen, ist es unabdingbar, jegliche Verabsolutierung auszuschließen, welche Formen von Gewalt rechtfertigen würde. Die Gewalt ist nämlich die Verneinung jeder authentischen Religiosität.

            Als religiöse Verantwortungsträger sind wir also gerufen, die Gewalt zu entlarven, die sich hinter einem vermeintlichen sakralen Charakter verbirgt, während sie die Egoismen verabsolutiert anstatt die authentisch Öffnung auf das Absolute hin zu fördern. Wir sind gehalten, die Verletzungen der Menschenwürde und der Menschenrechte zu brandmarken und die Versuche aufzudecken, jegliche Form von Hass im Namen der Religion zu rechtfertigen, und sie als götzendienerische Verfälschung Gottes zu verurteilen: Sein Name ist heilig, er ist Gott des Friedens, Gott salam.[5] Deshalb ist nur der Frieden heilig und kann im Namen Gottes keine Gewalt verübt werden, weil sie seinen Namen verunehren würde.

            Gemeinsam wiederholen wir von hier aus, diesem Land der Begegnung zwischen Himmel und Erde, diesem Land von Bündnissen zwischen Völkern und zwischen Gläubigen, ein deutliches und eindeutiges „Nein“ zu jeglicher Form von Gewalt, Rache und Hass, die im Namen der Religion oder im Namen Gottes begangen werden. Gemeinsam bekräftigen wir die Unvereinbarkeit von Gewalt und Glaube, von Glauben und Hassen. Gemeinsam erklären wir die Unantastbarkeit jedes menschlichen Lebens gegen jegliche Form von physischer, sozialer, erzieherischer oder psychologischer Gewalt. Der Glaube, der nicht aus einem aufrechten Herzen und einer echten Liebe zum Barmherzigen Gott hervorgeht, ist eine Form konventioneller oder gesellschaftlicher Zugehörigkeit, die den Menschen nicht befreit, sondern ihn erdrückt. Sagen wir gemeinsam: Je mehr man im Glauben an Gott wächst, desto mehr wächst man in der Nächstenliebe.

            Aber die Religion ist gewiss nicht nur gerufen, das Böse zu entlarven; sie trägt in sich die Berufung, den Frieden zu fördern, heute wahrscheinlich mehr denn je.[6] Ohne versöhnlichen Synkretismen[7] nachzugeben, ist es unsere Aufgabe, füreinander zu beten und dabei Gott um das Geschenk des Friedens zu bitten, einander zu begegnen, Dialog zu führen und die Eintracht im Geiste der Zusammenarbeit und der Freundschaft zu fördern. Wir als Christen – und ich bin Christ – »können aber Gott, den Vater aller, nicht anrufen, wenn wir irgendwelchen Menschen, die ja nach dem Ebenbild Gottes geschaffen sind, die brüderliche Haltung verweigern«.[8] Brüder von allen. Darüber hinaus erkennen wir an, dass inmitten eines ständigen Kampfes gegen das Böse, das die Welt damit bedroht, nicht mehr »der Raum der wahren Brüderlichkeit« zu sein, Gott denen, »die der göttlichen Liebe glauben, […] die Sicherheit [gibt], dass allen Menschen der Weg der Liebe offensteht und dass der Versuch, eine allumfassende Brüderlichkeit herzustellen, nicht vergeblich ist«.[9] Im Gegenteil, er ist wesentlich: Denn es dient zu kaum etwas oder zu nichts, die Stimme zu erheben und eilig wieder aufzurüsten, um sich zu schützen: Heute brauchen wir Erbauer des Friedens, nicht Erbauer von Waffen, heute sind Ingenieure des Friedens nötig, nicht Aufwiegler von Konflikten; Feuerwehrleute und nicht Brandstifter; Prediger von Versöhnung und nicht Aufrufer zur Zerstörung.

            Mit Befremden sehen wir die Tatsache, dass man sich einerseits im Namen von rücksichtslosen Zielsetzungen von der Realität der Völker entfernt. Andererseits treten als Reaktion darauf Arten eines demagogischen Populismus auf, die gewiss nicht hilfreich sind, den Frieden und die Stabilität zu festigen: gewaltsame Aufhetzung wird den Frieden nicht gewährleisten, und jede einseitige Handlung, die nicht konstruktive und von allen mitgetragene Entwicklungen einleitet, ist in Wahrheit ein Geschenk an die Befürworter von Radikalismen und Gewalt.

            Um Konflikten vorzubeugen und Frieden aufzubauen, ist es wesentlich, sich für die Beseitigung der Situationen der Armut und der Ausbeutung einzusetzen – hier nämlich fassen Extremisten einfacher Fuß – und die Geldflüsse und Waffenlieferungen an diejenigen, die zur Gewalt anstiften, zu stoppen. Um noch tiefer an der Wurzel anzusetzen, ist es notwendig, die Verbreitung von Waffen zum Stillstand zu bringen. Wenn sie einmal hergestellt und im Umlauf sind, werden sie früher oder später auch Verwendung finden. Nur wenn wir die trüben Manöver, die das Krebsgeschwür des Kriegs nähren, transparent machen, kann man deren wahren Gründen vorbeugen. Zu dieser dringenden und schweren Aufgabe sind die Verantwortlichen der Nationen, der Institutionen und der Medien verpflichtet wie auch wir als Verantwortliche für Kultur. Wir sind nämlich von Gott, der Geschichte und der Zukunft zusammengerufen, Friedensprozesse einzuleiten – jeder in seinem Bereich. So entziehen wir uns nicht der Aufgabe, solide Grundlagen für Bündnisse zwischen den Völkern und den Staaten zu schaffen. Ich verleihe meinem Wunsch Ausdruck, dass dieses edle und geliebte Land Ägypten mit der Hilfe Gottes weiterhin seiner Berufung zur Kultur und zum Bündnis entsprechen kann, indem es dazu beiträgt, die Friedensprozesse für dieses geschätzte Volk und für den gesamten Nahen Osten zu fördern.

            Al Salamò Alaikum!  

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[1] »Im Übrigen kann sich eine Ethik der Brüderlichkeit und der friedlichen Koexistenz von Menschen und von Völkern nicht auf die Logik der Angst, der Gewalt und der Verschlossenheit gründen, sondern muss auf Verantwortung, Achtung und aufrichtigem Dialog beruhen«: Gewaltfreiheit: Stil einer Politik für den Frieden, Botschaft zum Weltfriedenstag 2017, 5.
[2] Johannes Paul II., Ansprache an die muslimischen Autoritäten, Kaduna (Nigeria), 14. Februar 1982.
[3] Ders., Ansprache bei der Begrüßungszeremonie, Kairo, 24. Februar 2000.
[4] Sie waren »als immerwährendes und überall gültiges universales Sittengesetz in das menschliche Herz eingeschrieben.« Sie bieten die »wahre Grundlage für das Leben des einzelnen Menschen, der Gesellschaften und der Nationen«. Sie sind »allein die Zukunft der menschlichen Familie. Sie bewahren den Menschen vor der zerstörenden Macht des Egoismus, Hasses und der Verlogenheit. Sie zeigen ihm alle falschen Götter, die ihn zum Sklaven machen: Gott ausschließende Eigenliebe, Machtgier und Vergnügungssucht, die die Rechtsordnung umstürzen und unsere menschliche Würde und die unseres Nächsten erniedrigen«: Ders., Homilie während des Wortgottesdienstes auf dem Berg Sinai, Katharinenkloster, 26. Februar 2000.
[5] Vgl. Ansprache in der Moschee von Koudoukou, Bangui (Zentralafrikanische Republik), 30. November 2015.
[6] »Mehr vielleicht als je zuvor in der Geschichte ist die innere Verbindung zwischen einer aufrichtigen religiösen Haltung und dem großen Gut des Friedens allen deutlich geworden«: Johannes Paul II., Ansprache an die Vertreter der christlichen Kirchen und kirchlichen Gemeinschaften und der Weltreligionen, Assisi, 27. Oktober 1986.
[7] Vgl. Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 251.
[8] II. Vatikanisches Ökumenisches Konzil, Erklärung Nostra aetate, 5.
[9] II. Vatikanisches Ökumenisches Konzil, Pastoralkonstitution Gaudium et spes, 37-38.

[00618-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Al Salamò Alaikum!

[La paz sea con vosotros!]

            Es para mí un gran regalo estar aquí, en este lugar, y comenzar mi visita a Egipto encontrándome con vosotros en el ámbito de esta Conferencia Internacional para la Paz. Agradezco a mi hermano, al Gran Imán por haberla proyectado y organizado, y por su amabilidad al invitarme. Quisiera compartir algunas reflexiones, tomándolas de la gloriosa historia de esta tierra, que a lo largo de los siglos se ha manifestado al mundo como tierra de civilización y tierra de alianzas.

 

            Tierra de civilización. Desde la antigüedad, la civilización que surgió en las orillas del Nilo ha sido sinónimo de cultura. En Egipto ha brillado la luz del conocimiento, que ha hecho germinar un patrimonio cultural de valor inestimable, hecho de sabiduría e ingenio, de adquisiciones matemáticas y astronómicas, de admirables figuras arquitectónicas y artísticas. La búsqueda del conocimiento y la importancia de la educación han sido iniciativas que los antiguos habitantes de esta tierra han llevado a cabo produciendo un gran progreso. Se trata de iniciativas necesarias también para el futuro, iniciativas de paz y por la paz, porque no habrá paz sin una adecuada educación de las jóvenes generaciones. Y no habrá una adecuada educación para los jóvenes de hoy si la formación que se les ofrece no es conforme a la naturaleza del hombre, que es un ser abierto y relacional.

            La educación se convierte de hecho en sabiduría de vida cuando consigue que el hombre, en contacto con Aquel que lo trasciende y con cuanto lo rodea, saque lo mejor de sí mismo, adquiriendo una identidad no replegada sobre sí misma. La sabiduría busca al otro, superando la tentación de endurecerse y encerrarse; abierta y en movimiento, humilde y escudriñadora al mismo tiempo, sabe valorizar el pasado y hacerlo dialogar con el presente, sin renunciar a una adecuada hermenéutica. Esta sabiduría favorece un futuro en el que no se busca la prevalencia de la propia parte, sino que se mira al otro como parte integral de sí mismo; no deja, en el presente, de identificar oportunidades de encuentro y de intercambio; del pasado, aprende que del mal sólo viene el mal y de la violencia sólo la violencia, en una espiral que termina aislando. Esta sabiduría, rechazando toda ansia de injusticia, se centra en la dignidad del hombre, valioso a los ojos de Dios, y en una ética que sea digna del hombre, rechazando el miedo al otro y el temor de conocer a través de los medios con los que el Creador lo ha dotado.[1]

            Precisamente en el campo del diálogo, especialmente interreligioso, estamos llamados a caminar juntos con la convicción de que el futuro de todos depende también del encuentro entre religiones y culturas. En este sentido, el trabajo del Comité mixto para el Diálogo entre el Pontificio Consejo para el Diálogo Interreligioso y el Comité de Al-Azhar para el Diálogo representa un ejemplo concreto y alentador. El diálogo puede ser favorecido si se conjugan bien tres indicaciones fundamentales: el deber de la identidad, la valentía de la alteridad y la sinceridad de las intenciones. El deber de la identidad, porque no se puede entablar un diálogo real sobre la base de la ambigüedad o de sacrificar el bien para complacer al otro. La valentía de la alteridad, porque al que es diferente, cultural o religiosamente, no se le ve ni se le trata como a un enemigo, sino que se le acoge como a un compañero de ruta, con la genuina convicción de que el bien de cada uno se encuentra en el bien de todos. La sinceridad de las intenciones, porque el diálogo, en cuanto expresión auténtica de lo humano, no es una estrategia para lograr segundas intenciones, sino el camino de la verdad, que merece ser recorrido pacientemente para transformar la competición en cooperación.

            Educar, para abrirse con respeto y dialogar sinceramente con el otro, reconociendo sus derechos y libertades fundamentales, especialmente la religiosa, es la mejor manera de construir juntos el futuro, de ser constructores de civilización. Porque la única alternativa a la barbarie del conflicto es la cultura del enfrentamiento, no hay otra manera. Y con el fin de contrarrestar realmente la barbarie de quien instiga al odio e incita a la violencia, es necesario acompañar y ayudar a madurar a las nuevas generaciones para que, ante la lógica incendiaria del mal, respondan con el paciente crecimiento del bien: jóvenes que, como árboles plantados, estén enraizados en el terreno de la historia y, creciendo hacia lo Alto y junto a los demás, transformen cada día el aire contaminado de odio en oxígeno de fraternidad.

            En este desafío de civilización tan urgente y emocionante, cristianos y musulmanes, y todos los creyentes, estamos llamados a ofrecer nuestra aportación: «Vivimos bajo el sol de un único Dios misericordioso. [...] Así, en el verdadero sentido podemos llamarnos, los unos a los otros, hermanos y hermanas [...], porque sin Dios la vida del hombre sería como el cielo sin el sol».‎[2] Salga pues el sol de una renovada hermandad en el nombre de Dios; y de esta tierra, acariciada por el sol, despunte el alba de una civilización de la paz y del encuentro. Que san Francisco de Asís, que hace ocho siglos vino a Egipto y se encontró con el Sultán Malik al Kamil, interceda por esta intención.

 

            Tierra de alianzas. Egipto no sólo ha visto amanecer el sol de la sabiduría, sino que su tierra ha sido también iluminada por la luz multicolor de las religiones. Aquí, a lo largo de los siglos, las diferencias de religión han constituido «una forma de enriquecimiento mutuo del servicio a la única comunidad nacional».[3] Creencias religiosas diferentes se han encontrado y culturas diversas se han mezclado sin confundirse, reconociendo la importancia de aliarse para el bien común. Alianzas de este tipo son cada vez más urgentes en la actualidad. Para hablar de ello, me gustaría utilizar como símbolo el «Monte de la Alianza» que se yergue en esta tierra. El Sinaí nos recuerda, en primer lugar, que una verdadera alianza en la tierra no puede prescindir del Cielo, que la humanidad no puede pretender encontrar la paz excluyendo a Dios de su horizonte, ni tampoco puede tratar de subir la montaña para apoderarse de Dios (cf. Ex 19,12).

            Se trata de un mensaje muy actual, frente a esa peligrosa paradoja que persiste en nuestros días, según la cual por un lado se tiende a reducir la religión a la esfera privada, sin reconocerla como una dimensión constitutiva del ser humano y de la sociedad y, por el otro, se confunden la esfera religiosa y la política sin distinguirlas adecuadamente. Existe el riesgo de que la religión acabe siendo absorbida por la gestión de los asuntos temporales y se deje seducir por el atractivo de los poderes mundanos que en realidad sólo quieren instrumentalizarla. En un mundo en el que se han globalizado muchos instrumentos técnicos útiles, pero también la indiferencia y la negligencia, y que corre a una velocidad frenética, difícil de sostener, se percibe la nostalgia de las grandes cuestiones sobre el sentido de la vida, que las religiones saben promover y que suscitan la evocación de los propios orígenes: la vocación del hombre, que no ha sido creado para consumirse en la precariedad de los asuntos terrenales sino para encaminarse hacia el Absoluto al que tiende. Por estas razones, sobre todo hoy, la religión no es un problema sino parte de la solución: contra la tentación de acomodarse en una vida sin relieve, donde todo comienza y termina en esta tierra, nos recuerda que es necesario elevar el ánimo hacia lo Alto para aprender a construir la ciudad de los hombres.

            En este sentido, volviendo con la mente al Monte Sinaí, quisiera referirme a los mandamientos que se promulgaron allí antes de ser escritos en la piedra.[4] En el corazón de las «diez palabras» resuena, dirigido a los hombres y a los pueblos de todos los tiempos, el mandato «no matarás» (Ex 20,13). Dios, que ama la vida, no deja de amar al hombre y por ello lo insta a contrastar el camino de la violencia como requisito previo fundamental de toda alianza en la tierra. Siempre, pero sobre todo ahora, todas las religiones están llamadas a poner en práctica este imperativo, ya que mientras sentimos la urgente necesidad de lo Absoluto, es indispensable excluir cualquier absolutización que justifique cualquier forma de violencia. La violencia, de hecho, es la negación de toda auténtica religiosidad.

            Como líderes religiosos estamos llamados a desenmascarar la violencia que se disfraza de supuesta sacralidad, apoyándose en la absolutización de los egoísmos antes que en una verdadera apertura al Absoluto. Estamos obligados a denunciar las violaciones que atentan contra la dignidad humana y contra los derechos humanos, a poner al descubierto los intentos de justificar todas las formas de odio en nombre de las religiones y a condenarlos como una falsificación idolátrica de Dios: su nombre es santo, él es el Dios de la paz, Dios salam.[5] Por tanto, sólo la paz es santa y ninguna violencia puede ser perpetrada en nombre de Dios porque profanaría su nombre.

            Juntos, desde esta tierra de encuentro entre el cielo y la tierra, de alianzas entre los pueblos y entre los creyentes, repetimos un «no» alto y claro a toda forma de violencia, de venganza y de odio cometidos en nombre de la religión o en nombre de Dios. Juntos afirmamos la incompatibilidad entre la fe y la violencia, entre creer y odiar. Juntos declaramos el carácter sagrado de toda vida humana frente a cualquier forma de violencia física, social, educativa o psicológica. La fe que no nace de un corazón sincero y de un amor auténtico a Dios misericordioso es una forma de pertenencia convencional o social que no libera al hombre, sino que lo aplasta. Digamos juntos: Cuanto más se crece en la fe en Dios, más se crece en el amor al prójimo.

            Sin embargo, la religión no sólo está llamada a desenmascarar el mal sino que lleva en sí misma la vocación a promover la paz, probablemente hoy más que nunca.[6] Sin caer en sincretismos conciliadores,[7] nuestra tarea es la de rezar los unos por los otros, pidiendo a Dios el don de la paz, encontrarnos, dialogar y promover la armonía con un espíritu de cooperación y amistad. Nosotros, como cristianos —y yo soy cristiano— «no podemos invocar a Dios, Padre de todos los hombres, si nos negamos a conducirnos fraternalmente con algunos hombres, creados a imagen de Dios».[8] Hermanos de todos. Más aún, reconocemos que inmersos en una lucha constante contra el mal, que amenaza al mundo para que «no sea ya ámbito de una auténtica fraternidad», «a los que creen en la caridad divina les da la certeza de que abrir a todos los hombres los caminos del amor y esforzarse por instaurar la fraternidad universal no son cosas inútiles».[9] Por el contrario, son esenciales: En realidad, no sirve de mucho levantar la voz y correr a rearmarse para protegerse: hoy se necesitan constructores de paz, no de armas; hoy se necesitan constructores de paz, no provocadores de conflictos; bomberos y no incendiarios; predicadores de reconciliación y no vendedores de destrucción.

            Asistimos perplejos al hecho de que, mientras por un lado nos alejamos de la realidad de los pueblos, en nombre de objetivos que no tienen en cuenta a nadie, por el otro, como reacción, surgen populismos demagógicos que ciertamente no ayudan a consolidar la paz y la estabilidad. Ninguna incitación a la violencia garantizará la paz, y cualquier acción unilateral que no ponga en marcha procesos constructivos y compartidos, en realidad, sólo beneficia a los partidarios del radicalismo y de la violencia.

            Para prevenir los conflictos y construir la paz es esencial trabajar para eliminar las situaciones de pobreza y de explotación, donde los extremismos arraigan fácilmente, así como evitar que el flujo de dinero y armas llegue a los que fomentan la violencia. Para ir más a la raíz, es necesario detener la proliferación de armas que, si se siguen produciendo y comercializando, tarde o temprano llegarán a utilizarse. Sólo sacando a la luz las turbias maniobras que alimentan el cáncer de la guerra se pueden prevenir sus causas reales. A este compromiso urgente y grave están obligados los responsables de las naciones, de las instituciones y de la información, así como también nosotros responsables de cultura, llamados por Dios, por la historia y por el futuro a poner en marcha —cada uno en su propio campo— procesos de paz, sin sustraerse a la tarea de establecer bases para una alianza entre pueblos y estados. Espero que, con la ayuda de Dios, esta tierra noble y querida de Egipto pueda responder aún a su vocación de civilización y de alianza, contribuyendo a promover procesos de paz para este amado pueblo y para toda la región de Oriente Medio.

            Al Salamò Alaikum!

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[1] ‎«Por otra parte, una ética de fraternidad y de coexistencia pacífica entre las personas y entre los pueblos no puede basarse sobre la lógica del miedo, de la violencia y de la cerrazón, sino sobre la responsabilidad, el respeto y el diálogo sincero»‎: Mensaje para la Jornada Mundial de la Paz 2017. La no violencia: un estilo de una política para la paz, 5.
[2]  Juan Pablo II, Discurso a las autoridades musulmanas, Kaduna–Nigeria (14 febrero 1982).
[3] ‎Id., Discurso durante la ceremonia de bienvenida, El Cairo (24 febrero 2000).
[4] «Fueron escritos en el corazón del hombre como ley moral universal, válida en todo tiempo y en todo lugar». Estos ofrecen la «base auténtica para la vida de las personas, de las sociedades y de las naciones. Hoy, como siempre, son el único futuro de la familia humana. Salvan al hombre de la fuerza destructora del egoísmo, del odio y de la mentira. Señalan todos los falsos dioses que lo esclavizan: el amor a sí mismo que excluye a Dios, el afán de poder y placer que altera el orden de la justicia y degrada nuestra dignidad humana y la de nuestro prójimo»: Id., Homilía en la celebración de la Palabra en al Monte Sinaí, Monasterio de Santa Catalina (26 febrero 2000).
[5] Cf. Discurso en la Mezquita Central de Koudoukou, Bangui-República Centroafricana (30 noviembre 2015).
[6] «Probablemente más que nunca en la historia ha sido puesto en evidencia ante todos el vínculo intrínseco que existe entre una actitud religiosa auténtica y el gran bien de la paz» (Juan Pablo II, Discurso a los Representantes de las Iglesias y de Comunidades eclesiales cristianas y de las religiones mundiales, Asís (27 octubre 1986).
[7] Cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium, 251.
[8] Conc. Ecum. Vat. II, Declaración Nostra aetate, 5.
[9] Id., Const. past. Gaudium et spes, 37-38.

[00618-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione portoghese

Al Salamò Alaikum!

[A paz esteja convosco!]

            É um grande dom estar aqui e começar neste lugar a minha visita ao Egito, dirigindo-me a vós no âmbito desta Conferência Internacional em prol da Paz. Agradeço ao meu irmão, o Grande Imã, por a ter idealizado e organizado e por me ter gentilmente convidado. Gostaria de vos oferecer alguns pensamentos, tirando-os da gloriosa história desta terra, que ao longo dos séculos se apresentou ao mundo como terra decivilização e terra de alianças.

  

        Terra de civilização. Desde a antiguidade, a cultura surgida nas margens do Nilo foi sinónimo de civilização: no Egito, levantou-se alta a luz do conhecimento, fazendo germinar um património cultural inestimável, feito de sabedoria e talento, de conquistas matemáticas e astronómicas, de formas admiráveis de arquitetura e arte figurativa. A busca do saber e o valor da instrução foram opções fecundas de desenvolvimento empreendidas pelos antigos habitantes desta terra. E constituem opções necessárias também para o futuro, opções de paz e em prol da paz, porque não haverá paz sem uma educação adequada das gerações jovens. Nem haverá uma educação adequada para os jovens de hoje, se a formação que lhes for dada não corresponder bem à natureza do homem, ser aberto e relacional.

            Com efeito, a educação torna-se sabedoria de vida, quando é capaz de tirar do homem, em contacto com Aquele que o transcende e com aquilo que o rodeia, o melhor de si, formando identidades não fechadas em si mesmas. A sabedoria procura o outro, superando a tentação da rigidez e fechamento; aberta e em movimento, humilde e ao mesmo tempo indagadora, sabe valorizar o passado e pô-lo em diálogo com o presente, sem renunciar a uma hermenêutica adequada. Esta sabedoria prepara um futuro em que se visa fazer prevalecer, não a própria parte, mas o outro como parte integrante de si mesmo; aquela não se cansa de individuar, no presente, ocasiões de encontro e partilha; do passado, aprende que do mal brota unicamente mal, e da violência só violência, numa espiral que acaba por nos fazer prisoneiros. Esta sabedoria, rejeitando a avidez de prevaricação, coloca no centro a dignidade do homem, precioso aos olhos de Deus, e uma ética que seja digna do homem, rejeitando o medo do outro e o temor de conhecer mediante os meios de que o dotou o Criador.[1]

            Precisamente no campo do diálogo, sobretudo inter-religioso, sempre somos chamados a caminhar juntos, na convicção de que o futuro de todos depende também do encontro entre as religiões e as culturas. Oferece-nos um exemplo concreto e encorajador, neste sentido, o trabalho do Comité Misto para o Diálogo entre o Conselho Pontifício para o Diálogo Inter-religioso e o Comité de Al-Azhar para o Diálogo. Há três diretrizes fundamentais que, se forem bem conjugadas, podem ajudar o diálogo: o dever da identidade, a coragem da alteridade e a sinceridade das intenções. O dever da identidade, porque não se pode construir um verdadeiro diálogo sobre a ambiguidade nem sobre o sacrifício do bem para agradar ao outro; a coragem da alteridade, porque quem é cultural ou religiosamente diferente de mim, não deve ser visto e tratado como um inimigo, mas recebido como um companheiro de viagem, na genuína convicção de que o bem de cada um reside no bem de todos; a sinceridade das intenções, porque o diálogo, enquanto expressão autêntica do humano, não é uma estratégia para se conseguir segundos fins, mas um caminho de verdade, que merece ser pacientemente empreendido para transformar a competição em colaboração.

            Educar para a abertura respeitosa e o diálogo sincero com o outro, reconhecendo os seus direitos e liberdades fundamentais, especialmente a religiosa, constitui o melhor caminho para construir juntos o futuro, para ser construtores de civilização. Porque a única alternativa à civilização do encontro é a incivilidade do conflito; não há outra. E, para contrastar verdadeiramente a barbárie de quem sopra sobre o ódio e incita à violência, é preciso acompanhar e fazer amadurecer gerações que, à lógica incendiária do mal, respondam com o crescimento paciente do bem: jovens que, como árvores bem plantadas, estejam enraizadas no terreno da história e, crescendo para o Alto e junto dos outros, transformem dia-a-dia o ar poluído do ódio no oxigénio da fraternidade.

            Para este desafio tão urgente e apaixonante de civilização, somos chamados, cristãos, muçulmanos e todos os crentes, a prestar a nossa contribuição: «Vivemos sob o sol de um único Deus misericordioso. (...) Assim, no verdadeiro sentido, podemos chamar-nos, uns aos outros, irmãos e irmãs (...), dado que, sem Deus, a vida do homem seria semelhante ao firmamento sem o sol».[2] Que se levante o sol duma renovada fraternidade em nome de Deus e surja desta terra, beijada pelo sol, o alvorecer duma civilização da paz e do encontro. Interceda por isto mesmo São Francisco de Assis, que, há oito séculos, veio ao Egito e encontrou o Sultão Malik al Kamil.

            Terra de alianças. No Egito, não surgiu apenas o sol da sabedoria; também a luz policromática das religiões iluminou esta terra: aqui, ao longo dos séculos, as diferenças de religião constituíram «uma forma de enriquecimento recíproco ao serviço da única comunidade nacional».[3] Encontraram-se crenças diferentes e misturaram-se várias culturas, sem se confundirem mas reconhecendo a importância de se aliarem para o bem comum. Alianças deste género são ainda mais urgentes hoje. Ao falar disto, gostaria de usar como símbolo o «Monte da Aliança» que se ergue nesta terra. Antes de mais nada, o Sinai lembra-nos que uma autêntica aliança sobre a terra não pode prescindir do Céu, que a humanidade não pode pretender encontrar-se em paz excluindo Deus do horizonte, nem pode subir ao monte para se apoderar de Deus (cf. Ex 19, 12).

            Trata-se de uma mensagem atual, visto o perdurar hodierno dum paradoxo perigoso: por um lado, tende-se a relegar a religião para a esfera privada, não a reconhecendo como dimensão constitutiva do ser humano e da sociedade e, por outro, confundem-se, não as distinguindo adequadamente, as esferas religiosa e política. A religião corre o risco de ser absorvida pela gestão de assuntos temporais e tentada pelas adulações de poderes mundanos que, na realidade, a instrumentalizam. Num mundo que globalizou muitos instrumentos técnicos úteis, mas ao mesmo tempo tanta indiferença e negligências, e que corre a uma velocidade frenética, dificilmente sustentável, sente-se a nostalgia das grandes questões de sentido que as religiões fazem aflorar e que suscitam a memória das próprias origens: a vocação do homem, que não foi feito para se exaurir na precariedade dos assuntos terrenos, mas para se encaminhar rumo ao Absoluto para o qual tende. Por estas razões a religião, especialmente hoje, não constitui um problema mas é parte da solução: contra a tentação de se contentar com uma vida superficial em que tudo começa e termina aqui, a religião lembra-nos que é necessário elevar o espírito para o Alto a fim de aprender a construir a cidade dos homens.

            Neste sentido e com o olhar da mente fixado ainda no Monte Sinai, gostaria de me referir aos mandamentos lá promulgados, antes de serem gravados na pedra.[4] No centro das «Dez Palavras» ecoa, dirigido aos homens e aos povos de todos os tempos, o mandamento «não matarás» (Ex 20, 13). Deus, amante da vida, não cessa de amar o homem e, por isso, exorta-o a contrastar o caminho da violência como pressuposto fundamental de toda a aliança sobre a terra. Para atuar este imperativo, estão chamadas em primeiro lugar, sobretudo nos dias de hoje, as religiões, porque, encontrando-nos na necessidade urgente do Absoluto, é imprescindível excluir qualquer absolutização que justifique formas de violência. Com efeito, a violência é a negação de toda a religiosidade autêntica.

            Assim, como responsáveis religiosos, somos chamados a desmascarar a violência que se disfarça de suposta sacralidade, apoiando-se na absolutização dos egoísmos, em vez de o fazer na autêntica abertura ao Absoluto. Devemos denunciar as violações contra a dignidade humana e contra os direitos humanos, trazer à luz do dia as tentativas de justificar toda a forma de ódio em nome da religião e condená-las como falsificação idólatra de Deus: o seu nome é Santo, Ele é Deus de paz, Deus salam.[5] Por isso, só a paz é santa; e nenhuma violência pode ser perpetrada em nome de Deus, pois profanaria o seu Nome.

            Juntos, a partir deste lugar de encontro entre Céu e terra, de alianças entre as nações e entre os crentes, reiteramos um «não» forte e claro a toda a forma de violência, vingança e ódio cometida em nome da religião ou em nome de Deus. Juntos, afirmamos a incompatibilidade entre violência e fé, entre crer e odiar. Juntos, declaramos a sacralidade de cada vida humana contra qualquer forma de violência física, social, educativa ou psicológica. A fé que não nasce dum coração sincero e dum amor autêntico a Deus Misericordioso é uma forma de adesão convencional ou social que não liberta o homem, mas esmaga-o. Digamos juntos: quanto mais se cresce na fé em Deus, tanto mais se cresce no amor do próximo.

            Mas, com certeza, a religião não é chamada apenas a desmascarar o mal; traz em si a vocação de promover a paz, hoje como talvez nunca antes.[6] Sem ceder a sincretismos conciliadores,[7] a nossa tarefa é rezar uns pelos outros pedindo a Deus o dom da paz, encontrar-nos, dialogar e promover a concórdia em espírito de colaboração e amizade. Nós, enquanto cristãos – e eu sou cristão –, «não podemos invocar Deus como Pai comum de todos, se nos recusamos a tratar como irmãos alguns homens, criados à sua imagem».[8] Irmãos de todos. Além disso, reconhecemos que, imersos numa luta constante contra o mal que ameaça o mundo para deixar de ser «um lugar de verdadeira fraternidade», àqueles que «acreditam no amor de Deus [é-lhes dada por Deus] a certeza de que o caminho do amor está aberto para todos e que o esforço para estabelecer a universal fraternidade não é vão».[9] Antes pelo contrário, são essenciais. Com efeito, de pouco ou nada serve levantar a voz e correr ao rearmamento para se proteger: hoje há necessidade de construtores de paz, não de armas; hoje há necessidade de construtores de paz, não de provocadores de conflitos; de bombeiros e não de incendiários; de pregadores de reconciliação e não de arautos de destruição.

            Assiste-se, perplexos, ao facto de, por um lado, se distanciar da realidade dos povos em nome de objetivos que não têm em conta a vida concreta das pessoas, enquanto, por outro lado e como reação, surgem populismos demagógicos, que certamente não ajudam a consolidar a paz e a estabilidade: nenhum incitamento violento garantirá a paz, e toda a ação unilateral que não dê início a processos construtivos e compartilhados, de facto torna-se um brinde para os adeptos dos radicalismos e da violência.

            Para evitar os conflitos e construir a paz é fundamental trabalhar por remover as situações de pobreza e exploração, onde mais facilmente criam raízes os extremismos, e bloquear os fluxos de dinheiro e de armas para quem fomenta a violência. Indo ainda mais à raiz, é necessário deter a proliferação de armas que, se forem produzidas e comercializadas, mais cedo ou mais tarde acabarão também por ser usadas. Só tornando transparentes as turvas manobras que alimentam o câncer da guerra é que será possível impedir as suas causas reais. A este compromisso urgente e gravoso, estão obrigados os líderes das nações, das instituições e da informação, responsáveis de civilização como nós, convocados por Deus, pela história e pelo futuro a iniciar, cada qual no seu próprio campo, processos de paz, não se esquivando a estabelecer bases sólidas de aliança entre os povos e os Estados. Faço votos de que esta nobre e querida terra do Egito, com a ajuda de Deus, possa continuar a corresponder à sua vocação de civilização e de aliança, contribuindo para desenvolver processos de paz para este povo amado e para toda a região do Médio Oriente.

            Al Salamò Alaikum !

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[1] «Aliás, uma ética de fraternidade e coexistência pacífica entre as pessoas e entre os povos não se pode basear na lógica do medo, da violência e do fechamento, mas na responsabilidade, no respeito e no diálogo sincero» (Francisco, Mensagem para o Dia Mundial da Paz de 2017, «A não-violência: estilo de uma política para a paz», 5).
[2] João Paulo II, Discurso às Autoridades Muçulmanas, Kaduna (Nigéria), 14 de fevereiro de 1982.
[3] Idem, Discurso na Cerimónia de Chegada, Cairo, 24 de fevereiro de 2000, 2.
[4] «Foram impressos no coração do homem como Lei moral universal, válida em todos os tempos e lugares». Oferecem a «base autêntica para a vida dos indivíduos, das sociedades e nações; (…) são o único futuro da família humana. Salvam o homem da força destruidora do egoísmo, do ódio e da mentira. Evidenciam todos os falsos bens que o arrastam para a escravidão: o amor de si mesmo até à exclusão de Deus, a avidez do poder e do prazer que subverte a ordem da justiça e degrada a nossa dignidade humana e a do nosso próximo» (Idem, Homilia na Celebração da Palavra no Monte Sinai, Mosteiro de Santa Catarina, 26 de fevereiro de 2000, 3).
[5] Cf. Francisco, Discurso na Mesquita Central de Koudoukou, Bangui (República da África Central), 30 de novembro de 2015.
[6] «Talvez nunca antes na história, como agora, o laço intrínseco que existe entre uma atitude autenticamente religiosa e o grande bem da paz se tenha tornado evidente a todos» (João Paulo II, Discurso aos Representantes das Igrejas Cristãs e Comunidades Eclesiais e das Religiões Mundiais, Assis, 27 de outubro de 1986, 6).
[7] Cf. Francisco, Exort. ap. Evangelii gaudium, 251.
[8] Conc. Ecum. Vat. II, Decl. Nostra aetate, 5.
[9] Idem, Const. past. Gaudium et spes, 37.38.

[00618-PO.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Al Salamò Alaikum!

[Pokój wam!]

            Jest dla mnie wielkim darem, że mogę tutaj być, i w tym miejscu rozpocząć moją wizytę w Egipcie, zwracając się do Was w ramach tej międzynarodowej Konferencji na rzecz Pokoju. Dziękuję mojemu bratu, Wielkiemu Imamowi za jej pomysł i organizację oraz łaskawe zaproszenie mnie na nią. Chciałbym wam przedstawić pewne myśli, zaczerpnięte z chwalebnej historii tej ziemi, która przez stulecia jawiła się światu jako kraj kultury i ziemia przymierzy.

 

            Ziemia kultury. Od czasów starożytnych, kultura zrodzona nad brzegiem Nilu była synonimem cywilizacji: w Egipcie wysoko wzniosło się światło poznania, sprawiając pojawienie się bezcennego dziedzictwa kulturowego, na które składają się mądrość i inteligencja, zdobycze matematyczne i astronomiczne, cudowne formy architektury i dzieła sztuki. Dążenie do wiedzy i wartość edukacji były decyzjami owocującymi rozwojem, podejmowanymi przez starożytnych mieszkańców tej ziemi. Są to również wybory niezbędne dla przyszłości: wybór pokoju i na rzecz pokoju, ponieważ nie będzie pokoju bez odpowiedniej edukacji młodego pokolenia. A nie będzie odpowiedniej edukacji dla dzisiejszej młodzieży, jeśli oferowana jej formacja nie będzie dobrze odpowiadała naturze człowieka, będącego bytem otwartym i relacyjnym.

    Edukacja staje się rzeczywiście mądrością życiową, gdy jest w stanie wydobyć z człowieka, w kontakcie z Tym, który go przekracza i z tym, co go otacza, najlepsze co w nim jest, kształtując tożsamość, która  nie jest zamknięta w sobie. Mądrość poszukuje drugiego, przezwyciężając pokusę nieczułości i zamknięcia w sobie; otwarta i dynamiczna, pokorna a jednocześnie dociekliwa, potrafi docenić przeszłość i włączyć ją w dialog z teraźniejszością, nie rezygnując z odpowiedniej hermeneutyki. Ta mądrość przygotowuje przyszłość, w której nie dąży się do dominacji własnej strony, ale do drugiego jako integralnej części samego siebie; niestrudzenie, w chwili obecnej, dąży do rozpoznania szans spotkania i dzielenia się; uczy się z przeszłości, że ze zła wypływa jedynie zło a z przemocy jedynie przemoc nakręcająca spiralę, która w ostateczności prowadzi do zniewolenia. Ta mądrość, odrzucając żądzę nadużycia władzy, stawia w centrum godność człowieka, cennego w oczach Boga oraz etykę, która jest godna człowieka, odrzucając lęk przed drugim oraz obawę poznania za pośrednictwem tych środków, w jakie wyposażył go Stwórca[1].

            Właśnie w dziedzinie dialogu, zwłaszcza międzyreligijnego, jesteśmy wezwani, by iść razem w przekonaniu, że przyszłość wszystkich zależy także od spotkania między religiami i kulturami. W tym sensie praca Komitetu mieszanego ds. Dialogu między Papieską Radą ds. Dialogu Międzyreligijnego a Komitetem al-Azharu ds. Dialogu daje nam konkretny i dodających otuchy wzór. Dialogowi mogą dopomóc trzy zasady, o ile będą dobrze połączone: obowiązek tożsamości, odwaga inności oraz szczerość intencji. Obowiązek tożsamości, ponieważ nie można nawiązywać prawdziwego dialogu na dwuznacznościach lub poświęceniu dobra, aby zadowolić drugiego; odwaga inności, ponieważ ten, kto różni się od mnie kulturowo i religijnie nie może być postrzegany i traktowany jako wróg, ale musi być akceptowany jako towarzysz drogi, w autentycznym przekonaniu, że dobro każdego polega na dobru wszystkich; szczerość intencji, ponieważ dialog, jako autentyczny wyraz człowieczeństwa, nie jest jakąś strategią, aby osiągnąć ukryte cele, ale drogą prawdy, która zasługuje, by podejmować go cierpliwie, żeby przekształcić współzawodnictwo we współpracę.

            Wychowywanie do naznaczonej szacunkiem otwartości i szczerego dialogu z drugim, z uznaniem jego praw i podstawowych swobód, zwłaszcza wolności religijnej, stanowi najlepszą drogę, aby wspólnie budować przyszłość, żeby być budowniczymi kultury. Ponieważ jedyną alternatywą dla kultury spotkania jest barbarzyństwo konfliktu, innej nie ma. A żeby naprawdę przeciwstawić się barbarzyństwu tych, którzy rozniecają nienawiść i zachęcają do przemocy, trzeba wspomagać i promować dojrzewanie pokoleń, które odpowiedzą na podżegającą logikę zła cierpliwym rozwojem dobra: ludzi młodych, którzy jak dobrze zasadzone drzewa, byliby zakorzenieni w glebie historii i, wzrastając ku temu, co w Górze oraz obok innych, przekształcaliby codzienne, zanieczyszczone powietrze nienawiści w tlen braterstwa.

            Chrześcijanie i muzułmanie, i wszyscy wierzący jesteśmy powołani do wniesienia naszego wkładu w to wyzwanie kulturowe tak bardzo pilne i naglące: „Żyjemy pod słońcem jedynego i miłosiernego Boga. [...] Tak więc prawdziwie możemy nazywać się wzajemnie braćmi i siostrami [...], ponieważ bez Boga życie człowieka byłoby, jak niebiosa bez słońca”[2]. Niech zajaśnieje słońce odnowionego braterstwa w imię Boga i wzejdzie z tej ziemi rozradowanej słońcem jutrzenka kultury pokoju i spotkania. Niech to wspiera swoim wstawiennictwem św. Franciszek z Asyżu, który osiem wieków temu przybył do Egiptu i spotkał się z Sułtanem Malikiem al Kamilem.

 

            Ziemia przymierzy. W Egipcie wzeszło nie tylko słońce mądrości; oświeciło tę ziemię również wielobarwne światło religii: tutaj na przestrzeni dziejów różnice religijne stawały się „źródłem wzajemnego wzbogacenia, służącego jednej społeczności narodowej”[3]. Spotkały się różne wiary i wymieszały się różne kultury, nie upodabniając się do siebie, ale uznając znaczenie sprzymierzenia się na rzecz dobra wspólnego. Takie przymierza są dzisiaj bezzwłocznie potrzebne. Mówiąc o tym, chciałbym użyć jako symbolu „Góry Przymierza”, która wznosi się na tej ziemi. Synaj przypomina nam przede wszystkim, że prawdziwe przymierze na ziemi nie może się obyć bez Nieba, że ludzkość nie może postanowić sobie spotkania w pokoju, wykluczając ze swej perspektywy Boga. Nie może też wyjść na górę, aby zawłaszczyć sobie Boga (por. Wj 19, 12).

            Chodzi o przesłanie aktualne, w obliczu dzisiejszego utrzymywania się niebezpiecznego paradoksu, z powodu którego z jednej strony istnieje skłonność, by spychać religię do sfery prywatnej, nie uznając jej za konstytutywny wymiar istoty ludzkiej i społeczeństwa; z drugiej zaś mylone są, nie odróżniając ich odpowiednio, sfera religijna i polityczna. Istnieje niebezpieczeństwo, że religia zostanie pochłonięta przez zarządzanie sprawami doczesnymi i będzie wystawiona na pokusy pochlebstw władz doczesnych, które w istocie ją instrumentalizują. W świecie, który zglobalizował wiele użytecznych narzędzi technicznych, ale jednocześnie wykazuje wiele obojętności i zaniedbań, i który biegnie w szaleńczym, trudnym do zniesienia tempie, dostrzegamy tęsknotę za wielkimi pytaniami o sens, których pojawienie się sprawiają religie i które wzbudzają pamięć o naszym pochodzeniu: powołanie człowieka, który nie jest stworzony, aby wyczerpać się w niepewności spraw ziemskich, ale aby wyruszyć ku Absolutowi, ku któremu zmierza. Z tych względów, zwłaszcza dzisiaj, religia nie jest problemem, ale częścią rozwiązania: wbrew pokusie, aby oddawać się życiu banalnemu, gdzie wszystko zaczyna się i kończy na ziemi, przypomina nam, że trzeba wznieść duszę ku temu, co Wysokie, aby nauczyć się budować państwo człowieka.

            Tak więc, zwracając w myśli spojrzenie ponownie ku Górze Synaj, chciałbym odnieść się do tych przykazań, ogłoszonych tam, zanim zostały zapisane na kamieniu[4]. W centrum „dziesięciu słów” rozbrzmiewa skierowane do ludzi i narodów wszystkich czasów przykazanie „nie zabijaj” (Wj 20,13). Bóg, miłośnik życia, nie przestaje kochać człowieka i dlatego zachęca go do przeciwstawiania się drodze przemocy, jako kluczowego warunku wstępnego wszelkiego przymierza na ziemi. Do urzeczywistniania tego nakazu powołane są przede wszystkim – a dzisiaj szczególnie – religie, ponieważ, choć stoimy wobec pilnej potrzeby Absolutu, nieodzowne jest wykluczenie wszelkiej absolutyzacji, która usprawiedliwiałaby formy przemocy. Przemoc jest w istocie zaprzeczeniem wszelkiej autentycznej religijności.

            Jako przywódcy religijni jesteśmy zatem wezwani do demaskowania przemocy, która udaje rzekomą sakralność, opierając się raczej na absolutyzacji egoizmów niż na prawdziwej otwartości na Absolut. Jesteśmy zobowiązani do zgłaszania przypadków pogwałcenia ludzkiej godności i praw człowieka, do obnażania prób usprawiedliwiania wszelkich form nienawiści w imię religii i do potępiania ich jako bałwochwalczych zafałszowań Boga: Jego imię jest Święty, On jest Bogiem pokoju, Bogiem salam[5]. Dlatego tylko pokój jest święty i żadna przemoc nie może być popełniana w imię Boga, ponieważ zbezcześciłaby Jego imię.

            Wspólnie, z tej ziemi spotkania między niebem a ziemią, przymierzy między narodami i między ludźmi wierzącymi, powtarzamy głośno i wyraźnie „nie” wobec wszelkich form przemocy, zemsty i nienawiści popełnianych w imię religii lub w imię Boga. Wspólnie stwierdzamy, że nie da się pogodzić wiary i przemocy, nie da się pogodzić wiary z nienawiścią. Wspólnie obwieszczamy świętość każdego ludzkiego życia wbrew wszelkim formom przemocy fizycznej, społecznej, edukacyjnej lub psychologicznej. Wiara, która nie rodzi się ze szczerego serca i z autentycznego umiłowania Boga miłosiernego, jest formą przynależności tradycyjnej lub społecznej, która nie wyzwala człowieka, lecz go miażdży. Powiedzmy wspólnie: im bardziej wzrastamy w wierze w Boga, tym bardziej wzrastamy w miłości bliźniego.

            Ale religia z pewnością nie jest jedynie wezwaniem do zdemaskowania zła. Zawiera w sobie dzisiaj, jak chyba nigdy wcześniej, powołanie do krzewienia pokoju[6]. Nie popadając w pojednawcze synkretyzmy[7], naszym zadaniem jest modlenie się za siebie nawzajem, prosząc Boga o dar pokoju, spotykanie się, prowadzenie dialogu i krzewienie zgody w duchu współpracy i przyjaźni. Jako chrześcijanie – a ja jestem chrześcijaninem – „nie możemy zatem wzywać Boga jako Ojca wszystkich, jeśli wobec niektórych ludzi, stworzonych na obraz Boży nie chcemy postępować po bratersku[8]”. Bracia wszystkich. Co więcej, zdajemy sobie sprawę, że zanurzeni w ciągłej walce przeciwko złu, które zagraża światu, aby nie był już  „miejscem prawdziwego braterstwa”, tych, „którzy wierzą w miłość Bożą, zapewnia [Bóg], że przed wszystkimi ludźmi otwarta jest droga miłości i że próba stworzenia powszechnego braterstwa nie jest nadaremna”[9]. Co więcej, są istotne: na niewiele lub na nic zda się bowiem podnoszenie głosu czy wyścig zbrojeń, aby się uchronić przed agresją: dzisiaj potrzebni są budowniczowie pokoju, a nie narzędzi walki; dziś potrzebni są budowniczowie pokoju, a nie podżegacze walk; strażacy a nie podpalacze konfliktów; kaznodzieje pojednania a nie orędownicy zniszczenia.

            Z niepokojem obserwujemy fakt, że podczas gdy z jednej strony mamy do czynienia z oddalaniem się od realiów życia ludów, w imię celów, które nikogo nie dotyczą, to z drugiej strony, w reakcji, rodzą się demagogiczne populizmy, które z pewnością nie pomagają w umocnieniu pokoju i stabilności: żadne  podżeganie do przemocy nie zapewni pokoju, a wszelkie działania jednostronne, które nie uruchamiają procesów konstruktywnych i wspólnych, są darem dla popleczników radykalizmu i przemocy.

            Kluczową rolę w zapobieganiu konfliktom i budowaniu pokoju odgrywają starania o wyeliminowanie sytuacji biedy i wyzysku, gdzie najłatwiej zakorzeniają się ekstremizmy oraz blokowanie przepływu pieniędzy i broni do tych, którzy podsycają przemoc. Jeszcze bardziej konieczne jest powstrzymanie proliferacji broni, która, jeśli jest produkowana i sprzedawana, prędzej czy później będzie również wykorzystana. Jedynie czyniąc przejrzystymi mroczne manewry, które podsycają raka wojny, można zapobiec ich rzeczywistym przyczynom. Do podjęcia tego poważnego i pilnego zaangażowania zobowiązani są odpowiedzialni za narody, instytucje i przekaz informacji, a także my, odpowiedzialni za cywilizację, powołani przez Boga, przez historię i przyszłość, aby zainicjować, każdy w swoim zakresie, procesy pokojowe, nie uchylając się od położenia solidnego fundamentu przymierza między narodami i państwami. Niech ta szlachetna i umiłowana ziemia egipska, z Bożą pomocą, nadal odpowiada na swoje powołanie kultury i przymierza, przyczyniając się do rozwijania procesów pokojowych dla tego umiłowanego ludu i dla całego regionu Bliskiego Wschodu.

            Al Salamò Alaikum!

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[1] „Ponadto etyka braterstwa i pokojowego współżycia osób i narodów nie może opierać się na logice strachu, przemocy i zamknięcia, ale jej podstawą musi być odpowiedzialność, szacunek i szczery dialog”: Wyrzeczenie się przemocy: styl polityki na rzecz pokoju, Orędzie na Światowy Dzień Pokoju 2017,5.
[2] JAN PAWEŁ II, Spotkanie z ludnością muzułmańską Kaduna (Nigeria), 14 lutego 1982, w: Nauczanie Papieskie, V, 1, Poznań, 1993, s. 197.
[3] Tenże, Przemówienie powitalne na lotnisku. Kair, 24 lutego 2000 r.; L’Osservatore Romano, wyd. pl.,  4 (222)/2000, s. 13
[4] „Zostały wyryte w kamieniu, ale przede wszystkim zostały zapisane w ludzkim sercu jako uniwersalne prawo moralne, zachowujące moc w każdym czasie i miejscu […] jest to jedyna przyszłość ludzkiej rodziny. Przykazania chronią człowieka przed niszczącą siłą egoizmu, nienawiści i fałszu. Demaskują wszystkie fałszywe bóstwa, które go zniewalają: miłość własną, która odrzuca Boga, żądzę władzy i przyjemności, która niszczy porządek sprawiedliwości, poniża ludzką godność nas samych i naszego bliźniego”. Tenże, Homilia podczas Liturgii Słowa na Górze Synaj, Klasztor św. Katarzyny. 26 lutego 2000. L’Osservatore Romano, wyd. pl.,  4 (222)/2000, s. 18.
[5] Por. Spotkanie ze wspólnotą muzułmańską w meczecie w Bangi (Republika Środkowoafrykańska), 30 listopada 2015, w: L’Osservatore Romano, wyd. pl. 12 (378)/2015,s. 26.
[6] „Może bardziej niż kiedykolwiek przedtem wewnętrzny związek między autentyczną postawą religijną i wielkim dobrem pokoju stał się oczywisty dla wszystkich” (JAN PAWEŁ II, Przemówienie na zakończenie Światowego Dnia Modlitw o Pokój, Asyż 27. X. 1986; w: L’Osservatore Romano, wyd. pl. 10/1986, s. 17.
[7] Por. Adhort. ap. Evangelii gaudium, 251.
[8] SOBÓR WATYKAŃSKI II, Dekl. Nostra aetate, 5.
[9] TENŻE, Konst. Duszp. Gaudium et spes, 37-38.

[00618-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

السلام عليكم!

إنها لَهِبةٌ كبيرةٌ أن أكونَ هنا وأن أبدأَ زيارتي لمصرَ من هذا المكان، مخاطبا إياكم ضِمنَ هذا المؤتمرِ الدوليّ للسلام. أشكرُ أخي، الإمامَ الأكبرَ، على عقد هذا المؤتمر وتنظيمه، وعلى دَعوَتِه الكريمةِ لي. أودُّ أن أتقدم إليكم ببعض الخواطر، وقد استَلهمتُها من تاريخِ هذه الأرضِ المجيد، هذه الأرض التي تجلّتْ عبرَ التاريخِ للعالم كأرضِ حضارةٍ وأرضِ عهود.

أرضُ حضارة. لقد كان التحضر الذي نَشَأ على ضفافِ النيل، منذُ القِدَم، مُرادفًا للحضارة: فقد تألق نورُ المعرفة، وأنبتَ تراثًا حضاريًّا لا يُقدَّرُ بِثَمَن، مجبولًا بالحكمةِ والذكاء، ومكتسباتٍ في علمِ الرياضياتِ وعلمِ الفلك، وبأشكالٍ بديعةٍ في الهندسةِ وفنّ الرسم. وقد شكّل البحثُ عن المعرفةِ وقيمةِ التعليم خياري تنميةٍ مثمرين، اعتمدهما سكانُ هذه الأرض القُدامى. هما أيضًا خياران ضروريّان للمستقبل، خياران ينبعان من السلام ويهدفان إلى السلام، لأنّه ما من سلامٍ دون تربيةٍ مناسبةٍ للأجيالِ الصاعدة. وما من تربيةٍ مناسبةٍ لشبابِ اليوم، إنْ لم يستجِب التعليمُ الذي يوَفّرُ لَهُم، لطبيعةِ الإنسان، الكائن المنفتح والعلائقيّ.

فالتربيةُ تتحوّلُ في الواقعِ إلى حكمةِ حياةٍ عندما تكونُ قادرةً على أن تدفعَ الانسانَ، بتواصلٍ مع الذي يجعلُهُ يسمو ومع ما يحيطُ به، لإعطاءِ أفضلَ ما عنده، فتكوِّنَ هويّات غير منطوية على ذاتها. الحكمةُ تبحثُ عن الآخر، فتتخطّى خطر التشدّد والانغلاق؛ كونُها منفتحةً وفي حركةٍ دائمة، ووديعةً ومجتهدةً في الوقت عينه، فهي تعرفُ كيفَ تقيّمُ الماضي وتضَعُهُ في حوارٍ مع الحاضرِ، ولا تستغني عن إيجادِ تفسيرٍ مناسبٍ له. وتحضّرُ الحكمةُ هذه لمستقبلٍ، الهدفُ فيه ليس لسيادة الجانب الشخصيّ، إنما الآخر، كجزءٍ لا يتجزّأَ من الذات؛ ولا تتعبُ، في الحاضر، من انتقاء فرص التلاقي والمشاركة؛ وتتعلّمُ من الماضي أنّه لا ينبعُ من الشرّ إلّا الشرّ، ولا ينبعُ من العنفِ إلّا العنف، في دوّامةٍ تتحوّلُ في نهايةِ المطافِ إلى سجن. هذه الحكمة، إذ ترفضُ شهوةَ التعدّي، تُركّزُ على كرامة ِالإنسان، الثمين في عينيّ الله، وعلى أخلاقيّاتٍ تليقُ بالإنسان، رافضةً الخوفَ من الآخرِ ومن المعرفةِ بواسطةِ الوسائلِ التي وهبَها الخالقُ للإنسان[1].

إننا مدعوّون دومًا، في مجالِ الحوارِ بالتحديد، ولا سيّما الدينيّ منه، إلى السيرِ معًا، مؤمنينَ أن مستقبلَ الجميع يتعلّقُ أيضًا باللقاءِ ما بين الأديان والثقافات. ومِن هذا المُنطَلَق، يقدّم لنا عملُ اللجنة المشتركة للحوار بين المجلس الحبري للحوار بين الأديان ولجنة الأزهر للحوار مثلًا ملموسًا ومشجّعًا. وباستطاعةِ ثلاثةِ توجّهات أساسيّة، إذا ما تمّ تنسيقُها بطريقةٍ جيّدة، أن تساعدَ في الحوار: ضرورة الهويّة، وشجاعة الاختلاف، وصدق النوايا. ضرورةُ الهويّة، لأنّه لا يمكنُ تأسيس حوار حقيقيّ على الغموضِ أو على التضحية بما هو صالح، من أجلِ إرضاء الآخر؛ شجاعةُ الاختلاف، لأنّه لا ينبغي أن أعاملَ مَن هو مختلفٌ عنّي، ثقافيًّا أو دينيًّا، كعدوّ، بل أن أقبلَه كرفيقِ درب، باقتناعٍ حقيقيّ أن خير كلّ فردٍ يكمنُ في خيرِ الجميع؛ صدقُ النوايا، لأنّ الحوار، كونه تعبيرًا أصيلًا للإنسان، ليس استراتيجيّةً لتحقيق غايات ثانوية، إنما مسيرةَ حقٍّ تستحقّ أن نتبناها بصبرٍ كي تحوّل المنافسة إلى تعاون.

إن التربية على الانفتاحِ باحترام، وعلى الحوارِ الصادقِ مع الآخر، مع الاعترافِ بحقوقِهِ وبالحرّياتِ الأساسيّة، ولا سيما الحرية الدينيّة منها، تشكّل الطريقَ الأفضل لبناء المستقبل معًا، لنكون بناة حضارة. لأن البديل الآخر الوحيد لثقافة اللقاء هو ثقافة الصدام، ما من بديل آخر. لأنّه من الضروريّ، كي نواجه فعلًا بربريّة من يحرّض على الكراهية والعنف، أن نرافقَ ونقودَ إلى النضوجِ أجيالًا تجيبُ على منطقِ الشرّ المحرّض بنموٍّ صبور للخير: شبابًا، مثل الأشجار الراسخة، يكونون متجذّرين في أرضِ التاريخ، ويحوّلون يوميًّا، فيما ينمون صوب العلي وجنبًا إلى جنب مع الآخرين، جوَّ الكرهِ الملوَّث إلى أكسيجين الأخوّة.

إننا مدعوّون، في هذا التحدّي الحضاريّ المُلَحِّ والمشوِّق، مسيحيّين ومسلمين، والمؤمنين جميعًا، إلى تقديم مساهمتنا: "نعيش تحت شمس إله واحد رحيم [...] ويمكننا، من هذا المنطلق، أن ندعو بعضنا بعضًا إخوة وأخوات [...]، لأنّ حياة الإنسان دون الله تكون مثل السماء دون الشمس"‎[2]. لتشرِق شمسُ أخوّة متجدّدة باسم الله وليَبزُغ من هذه الأرض، التي تعانقها الشمس، فجرُ ثقافة السلام واللقاء، بتضرعات القديس فرنسيس الأسيزي، الذي أتى مصر قبل ثمانية عقود وقابل السلطان مالك الكامل.

أرضُ عهود. لم تشرق في مصر شمس الحكمة وحسب؛ بل شعَّ أيضًا على هذه الأرض نورُ الأديان المتعدّد الألوان: وهنا شكلت اختلافات الأديان "شكلا من أشكالِ الغنى المتبادل في خدمةِ المجتمعِ الوطنيّ الأوحد"[3]. أديانٌ متنوّعةٌ تلاقَت، وحضاراتٌ مختلفةٌ اختلطَت، دون أن تتداخل ببعضها البعض، إنما مدركة أهمّية التحالف من أجلِ الصالح العام. إن عهودًا من هذا النوع هي مُلِحّة اليوم أكثر من أيّ وقت مضى. وأودّ أن أستخدمَ كرمزٍ، وأنا أتكلّم عنها، "جبلَ العهدِ" الذي ينتصب شامخًا في هذه الأرض. يذكّرنا جبل سيناء قبل كلّ شيء، أنّه لا يمكنُ لعهدٍ في الأرض أن يصرفَ النظر عن السماء، وأنّه لا يمكن للإنسانيّة أن تصمّم على التلاقي بسلام، وهي تستبعد الله من الأفق، ولا حتى أن تصعد إلى الجبل كي تستحوذ على الله (را. خر 19، 12).

إنها مسألة رسالة حاليّة، إزاء الاستمرار الراهن لمفارقة خطيرة، بحيث أن البعض يميل من جهة إلى وضع الدين في خانة الشؤون الخاصة، دون الاعتراف بأنّه عنصرٌ أساسيٌّ في تكوين الكائن البشريّ والمجتمع؛ ويخلط البعض من جهة أخرى دون تمييز ملائم، بين الحقل الديني والحقل السياسي. وثمّة خطر بأن يطغى تدبيرُ الشؤون الزمنيّة على الدين، وأن يقع هذا الأخير، أي الدين، في شرك إغراءات السلطة الدنيوية التي، في الواقع، تستخدمه. في عالم قد عَولَمَ العديدَ من الأدوات التقنية المفيدة، ولكن في الوقت عينه عولَم الكثيرَ من اللامبالاة والاهمال، والذي يتقدّم بسرعة محمومة، من الصعب تحمّلها، نشعرُ بالحنين إلى الأسئلة الكبرى، التي تبرزها الأديان، والتي توقظ ذاكرة الجذور الشخصيّة: دعوة الإنسان، الذي لم يُخلق لينتهي في وهَن الشؤون الدنيويّة، إنما كي يسير نحو المطلق الأوحد الذي يتوق إليه. لهذه الأسباب، ولا سيّما اليوم، فإن الدين ليس بمشكلة إنما هو جزءٌ من الحلّ: لمحاربةِ الميل إلى الاسترخاء في حياةٍ دنيوية، حيث يولد كلّ شيء وينتهي ههنا، يذكّرنا الدينُ أنّه من الضروري أن نرتفع بروحِنا إلى العلى كي نتعلّم كيف نبني مدينةَ البشر.

أودّ أن أشير، بهذا المعنى، وأنا شاخص بنظري مجددًا إلى جبل سيناء، إلى تلك الوصايا التي أعطيت هناك، قبل أن تُكتَبَ على الحجر[4]. ففي وسط "الوصايا العشر" - الموجّهة إلى البشر وإلى شعوب كلّ العصور - يعود صدى وصيّة "لا تقتل" (خر 20، 13)،. إن الله، محبّ الحياة، لا يكفّ عن محبّة الإنسان، لذا فهو يحثّه على مواجهة طريق العنف، كشرطٍ أساسيٍّ لأيّ عهدٍ على الأرض. إن المدعوّين إلى تفعيل هذه الوصيّة، هم قبل أيّ شيء، واليوم على وجه الخصوص، الأديان، لأنّه من الأساسيّ، بينما نحن بحاجة ملحّة إلى المُطلق، استبعاد اعتبار أيّ أمر مُطلق يبرّر أيّ شكل من أشكال العنف. فالعنف في الواقع هو النفي بحدّ ذاته لأيّ تديّن أصيل.

نحن مدعوّون بالتالي، كمسؤولين دينيّين، إلى فضح العنف الذي يتنكّر بزيّ القدسيّة المزعومة، ويستغلّ أشكال الأنانيّة التي تحولت إلى مُطلَق، بدل الانفتاح الصادق على المُطلَق الأوحد. فمن المتوجّب علينا شجب الانتهاكات ضدّ كرامة الإنسان وضد حقوق الإنسان، وكشف كلّ محاولة لتبرير أيّ شكلٍ من أشكال الكراهية باسم الدين، وإدانتها على أنها تَزييفٌ وثنيٌّ لله: لأن اسمه قدوس، وهو إله السلام[5]. لذا فالسلام وحده مُقدَّس، وما من عنفٍ يمكن أن يُرتكب باسم الله، لأنه إن ارتُكِبَ يدنّسه.

لنكرّر معًا، من هذه الأرض، أرض اللقاء بين السماء والأرض، وأرض العهود بين البشر وبين المؤمنين، لنكرر "لا" قويّة وواضحة لأيّ شكلٍ من أشكالِ العنف، والثأرِ والكراهية يرتكب باسم الدين أو باسم الله. ولنؤكد سويّا استحالة الخلط بين العنفِ والإيمان، بين الإيمان والكراهية. ولنعلن معًا قُدُسيّةَ كلّ حياةٍ بشريّة ضدّ أيّ شكلٍ من أشكال العنف الجسديّ، أو الاجتماعيّ، أو التربويّ أو النفسيّ. إن الإيمان الذي لا يولَد من قلبٍ صادق ومن محبّة أصيلة لله الرحيم، هو شكلٌ من أشكالِ العضويّة التعودية أو الاجتماعيّة التي لا تُحرِّرُ الانسانَ إنما تًسحَقُه! لِنَقُلْ معًا: كلّما ننمو في الإيمان بالله، كلّما ننمو في محبّة القريب!

لكن الإيمان ليس بالطبع دعوة إلى فضح الشرّ وحسب؛ فهو يتضمّن الدعوة إلى تعزيز السلام، اليوم ربّما أكثر من أيّ وقت مضى[6]. ومهمّتنا، دون الاستسلام إلى توفيقيّة تصالحيّة[7]، هي أن نصلّي بعضنا لبعض سائلين الله نعمة السلام، وأن نتلاقى، ونتحاور ونوطّد الانسجام بروحٍ من التعاون والصداقة. ونحن كمسيحيين –وأنا مسيحي- "لا نستطيع أن ندعو الله أبا لجميع البشر إذا رفضنا أن نسلك كإخوة تجاه أولئك المخلوقين على صورة الله"[8]. إخوة للجميع. ونعرف فضلًا عن ذلك، ونحن منغمسون في صراع مستمرّ ضدّ الشرّ الذي يهدّد العالم حتى لا يبقى هذا العالم "موضِعًا لأخوّة حقيقيّة"، "أن [الله] يحمل الذين يؤمنون بالمحبّة الإلهيّة على اليقين، بأن طريقَ المحبّة مفتوحةٌ أمام البشر أجمعين وأن الجهود لتوطيد أخوّة شاملة ليست باطلة"[9]. بل هي أساسيّة: فعند أبسط الأمور، في الواقع، تظهر الحاجة إلى رفع الأصوات، وإلى الاسراع في إعادة التسلّح من أجل الدفاع عن النفس: إنّنا بحاجة اليوم إلى بناة سلام، لا إلى الأسلحة؛ إنّنا بحاجة اليوم إلى بناة سلام، لا إلى محرّضين على الصراعات؛ إننا بحاجة إلى "رجال إطفاء"، لا إلى مُشعِلي النيران؛ إننا بحاجة إلى الدعاةِ إلى المصالحة، لا إلى المهدّدين بالدمار.

إننا نشهد مع الأسف، من جهة، ابتعادًا عن واقع الشعوب باسم أهدافٍ لا تأخذُ أحدًا بعين الاعتبار، ومن جهة أخرى، كردّة فعل، برزت شعبويّات غوغائيّة، لا تساعد بالطبع في تعزيز السلام والاستقرار: ما من تحريضٍ على العنف يَضمَنُ السلام؛ وأيّ عملٍ أحاديّ، لا يولّد عمليّات بناءٍ مشتركة، إنما هو في الواقع هديّة لدعاة التطرّف والعنف.

من أجل تفادي الصراعات وبناء السلام، من الأساسيّ العمل على استئصال أوضاع الفقر والاستغلال، حيث يتأصّل المتطرّفون بسهولة أكبر؛ وعلى ردع تدفّق الأموال والأسلحة نحو الذين يثيرون العنف. وإن عدنا للسبب الأساسيّ، من الضروري وقف انتشار الأسلحة التي، إن تمّ تصنيعها وتسويقها، سوف يتمّ استخدامها عاجلًا أو آجلًا. لا يمكن منع الأسباب الحقيقيّة لسرطان الحرب، إلّا إذا استطعنا كشف المناورات الخفية والملتوية التي تغذّيه. ويضع هذا العمل المُلِحّ والخطير للغاية الحِمْلِ على كاهل مسؤولي الأمم، وعلى المؤسّسات، والتعليم، كما يقع على كاهلنا نحن المسؤولين تجاه الحضارة، والمدعوّين من الله، ومن التاريخ، ومن المستقبل، إلى بدء عمليّات سلام، كلٌّ في مجاله، دون التهرّب من وضع أسُس تحالف صلبة بين الشعوب والدول. أرجو أن تتمكن، أرض مصر العريقة والعزيزة، بمعونة الله، أن تجيب على دعوتها، دعوة الحضارة والعهد، وتساهم بنموّ عمليات سلام لهذا الشعب الحبيب ولمنطقة الشرق الأوسط بأسرها.

السلام عليكم!

 

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[1] "من جهة أخرى لا يمكن لأخلاقيات الأخوَّة والتعايش السلمي بين الأشخاص والشعوب أن يقوما على منطق الخوف والعنف والانغلاق، وإنما على المسؤوليّة والاحترام والحوار الصادق"، اللاعنف: أسلوب سياسة من أجل السلام، رسالة قداسة البابا بمناسبة اليوم العالمي للسلام 2017، عدد 5.

[2] القديس يوحنا بولس الثاني، كلمة البابا إلى السلطات الإسلامية، كادونا (نيجيريا)، 14 فبراير / شباط 1982.

[3] نفس الكاتب، كلمة البابا خلال حفل الوصول إلى مطار القاهرة الدولي، 24 فبراير / شباط 2000.

[4]  "كتبت في قلب الإنسان كشريعة أخلاقيّة عالميّة، صالحة في كلّ زمن وفي كلّ مكان". وهي توفّر "أساسا صحيحا لحياة الأفراد والمجتمعات والأمم. [...] وهي المستقبل الوحيد للأسرة البشريّة. تنقذ الانسان من القوّة التدميريّة للأنانيّة والحقد والكذب. وهي تفضح كلّ الآلهة المزيّفة التي تستعبد الانسان: حبّ الذات حتى استبعاد الله، الطمع في السلطة والاستمتاع الذي يقلب نظام العدالة ويحطّ بكرامة الإنسان، وبكرامة القريب": نفس الكاتب، ليتورجيا الكلمة على جبل سيناء، دير القديسة كاترينا، 26 فبراير / شباط 2000.

[5] را. كلمة قداسة البابا فرنسيس في مسجد كودوكو المركزي، بانغي (جمهورية أفريقيا الوسطى)، 30 نوفمبر / تشرين الثاني 2015.

[6] في الواقع، "أصبح من الواضح للجميع، أكثر من أيّ وقت مضى في تاريخ البشرية ربما، أن هناك صلة جوهريّة بين الموقف الدينيّ الأصيل والخير الأعظم الذي هو السلام": القديس يوحنا بولس الثاني، كلمة قداسة البابا إلى ممثلي الكنائس المسيحية والجماعات الكنسية والأديان العالمية التي اجتمعت في أسيزي، في الساحة السفلى لكنيسة القديس فرنسيس، 27 أكتوبر / تشرين الأول 1986: تعاليم IX، 2 (1986)، 1268.

[7] را. الارشاد الرسولي فرح الإنجيل، 251.

[8] المجمع الفاتيكاني الثاني، في عصرنا (Nostra aetate)، 5.

[9][1] المجمع الفاتيكاني الثاني، فرح ورجاء (Gaudium et Spes)، 38.

 

[00618-AR.01] [Testo originale: Italiano]

Al termine, il Papa si è recato in auto all’Hotel Al-Màsah per l’incontro con le Autorità.

[B0276-XX.02]