Intervento del Card. Peter Kodwo Appiah Turkson
Intervento della Dott.ssa Flaminia Giovanelli
Intervento del Dott. Vittorio V. Alberti
Testimonianza di S.E. Mons. Michele Pennisi
Testimonianza di don Luigi Ciotti
Alle ore 11.30 di questa mattina, nell'Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, si tiene la conferenza stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Francesco per la 49.ma Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2016), sul tema: “Vinci l’indifferenza e conquista la pace”.
Intervengono alla conferenza stampa l’Em.mo Card. Peter Kodwo Appiah Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace; la Dott.ssa Flaminia Giovanelli, Sotto-Segretario del medesimo Pontificio Consiglio e il Dott. Vittorio V. Alberti, Officiale del medesimo Dicastero.
Nel corso della conferenza stampa vengono lette anche le testimonianze di S.E. Mons. Michele Pennisi, Arcivescovo di Monreale, Membro del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e di Don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e dell’Associazione Libera, non presenti in Aula.
Sono inoltre presenti in Aula alcuni rifugiati, assistiti dal Centro Astalli, disponibili per interviste con i giornalisti.
Pubblichiamo di seguito gli interventi dei conferenzieri e le testimonianze scritte di S.E. Mons. Pennisi e di Don Ciotti:
Intervento del Card. Peter Kodwo Appiah Turkson
Buongiorno,
ho il piacere di darvi il benvenuto a questa conferenza stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Francesco per la celebrazione della giornata mondiale della pace del prossimo 1 gennaio 2016, intitolato Vinci l’indifferenza e conquista la pace
Prendendo le mosse dalla constatazione che il nostro tempo è caratterizzato da un atteggiamento indifferente generale di indifferenza, che ha addirittura superato l’ambito individuale per assumere una dimensione globale e produrre quel fenomeno che Papa Francesco definisce “globalizzazione dell’indifferenza”, il Messaggio delinea alcune forme di indifferenza che caratterizzano il nostro tempo. Innanzitutto l’indifferenza verso Dio “dalla quale scaturisce anche l’indifferenza verso il prossimo e verso il creato.” “E’ questo, sottolinea il Papa, uno dei gravi effetti di un umanesimo falso e del materialismo pratico, combinati con un pensiero relativistico e nichilistico. L’uomo pensa di essere l’autore di sé stesso, della propria vita e della società; egli si sente autosufficiente e mira non solo a sostituirsi a Dio, ma a farne completamente a meno; di conseguenza, pensa di non dovere niente a nessuno, eccetto che a sé stesso, e pretende di avere solo diritti” (n. 3).
Dopo aver dimostrato come la pace sia minacciata dall’indifferenza a tutti i livelli, il Messaggio offre una riflessione biblica/teologica, che consente di comprendere la necessità di superare l’indifferenza per aprirsi alla compassione, alla misericordia, all’impegno e, quindi, alla solidarietà.
Quest’ultima viene definita come una virtù morale ed un atteggiamento che coloro che hanno responsabilità di carattere educativo e formativo, come le famiglie, gli educatori e i formatori, gli operatori culturali e dei mezzi di comunicazione sociale, sono chiamati a coltivare, ciascuno secondo i propri ruoli e le proprie responsabilità.
Confidando nella capacità dell’uomo di vincere il male con il bene, il Messaggio indica come nella nostra società siano presenti molteplici forme di solidarietà e di lodevole impegno a favore delle persone in difficoltà: le vittime dei conflitti armati e delle calamità, i poveri e i migranti. Il Papa coglie l’opportunità per “ringraziare e incoraggiare tutti coloro che si impegnano in azioni di questo genere, anche se non vengono pubblicizzate”, “in modo particolare tutte le persone, le famiglie, le parrocchie, le comunità religiose, i monasteri e i santuari, che hanno risposto prontamente al (suo) appello ad accogliere una famiglia di rifugiati” (n. 7).
Il Messaggio si conclude con un appello del Santo Padre affinché ciascuno, nello spirito del Giubileo della Misericordia, adotti un impegno concreto per contribuire a migliorare la realtà in cui vive, a partire dalla propria famiglia, dal vicinato o dall’ambiente di lavoro.
Un analogo appello viene rivolto anche ai responsabili delle Nazioni affinché compiano gesti concreti, se non veri e propri atti di coraggio, nei confronti delle persone più fragili delle loro società, come i prigionieri, i migranti, i disoccupati e i malati. Il Papa invita anche i responsabili degli Stati a volgere lo sguardo al di là dei propri confini per “rinnovare le loro relazioni con gli altri popoli, permettendo a tutti una effettiva partecipazione e inclusione alla vita della comunità internazionale, affinché si realizzi la fraternità anche all’interno della famiglia delle nazioni, con un triplice appello: a) astenersi dal trascinare gli altri popoli in conflitti o guerre, b) cancellare il debito internazionale degli Stati più poveri o favorirne una gestione sostenibile, c) adottare politiche di cooperazione rispettose dei valori delle popolazioni locali e che non siano lesive del diritto dei nascituri alla vita.
Non è solo l’indifferenza che sta al centro del Messaggio del 2016 quanto “la speranza nella capacità dell’uomo, con la grazia di Dio, di superare il male e (di) non abbandonarsi alla rassegnazione e all’indifferenza” (n. 2), contribuendo così alla pace con Dio, con il prossimo e con il creato. Lo dimostrano alcuni avvenimenti del 2015 che “rappresentano la capacità dell’umanità di operare nella solidarietà, al di là degli interessi individualistici, dell’apatia e dell’indifferenza rispetto alle situazione critiche” (ibid.) Il Papa si riferisce in particolare alla COP21, al Summit di Addis Abeba per raccogliere fondi per lo sviluppo sostenibile del mondo, all’adozione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, e al 50° anniversario della pubblicazione della Nostra aetate e della Gaudium et spes, due documenti del Concilio Vaticano II che hanno aperto la porta del dialogo con le religioni non cristiane e l’intera famiglia umana.
Per custodire questa speranza, il Papa sottolinea come “anche noi siamo chiamati a fare dell’amore, della compassione, della misericordia e della solidarietà un vero programma di vita, uno stile di comportamento nelle nostre relazioni gli uni con gli altri” (n. 5), cioè ad essere misericordiosi come il Padre (cfr Lc 6,36).
Grazie per l’attenzione.
[02211-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Intervento della Dott.ssa Flaminia Giovanelli
Elementi di continuità con il Magistero precedente
Vorrei mettere in luce alcuni elementi di continuità del Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2016 con il magistero precedente. E questo in tre direzioni: continuità con il magistero dello stesso Papa Francesco; continuità con il magistero di Papa Benedetto XVI; continuità con il magistero di San Giovanni Paolo II.
Magistero di Papa Francesco
Fin dall'inizio del Pontificato il Magistero di Papa Francesco, fatto di gesti oltre che di parole, ha avuto come uno dei maggiori obiettivi quello di scuotere le nostre coscienze dall'indifferenza. Il primo e più indicativo esempio è stato, naturalmente, la visita a Lampedusa durante la quale il Santo Padre ci ha messo in guardia dalle "bolle di sapone" nelle quali ci fa vivere la cultura del benessere che ci rende insensibili alle sofferenze altrui e ci ha portato alla globalizzazione dell'indifferenza.
La continuità, poi, con il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace dell'anno scorso è del tutto evidente. Con il Messaggio per il 1° gennaio del 2015, "Non più schiavi, ma fratelli", infatti, il Papa ha risvegliato la consapevolezza di tutti sul fatto che la nostra era, così evoluta in tanti campi, specie in quelli della scienza e della tecnica, vede risorgere, sotto altre spoglie, il fenomeno della schiavitù. Scriveva, fra l'altro: "Spesso, osservando il fenomeno della tratta delle persone, del traffico illegale dei migranti e di altri volti conosciuti e sconosciuti della schiavitù, si ha l’impressione che esso abbia luogo nell’indifferenza generale" (n. 5).
Un altro importante fronte sul quale è tornato più volte il Santo Padre nel magistero del 2015, specie dopo la pubblicazione dell'enciclica Laudato si' e ripreso nel Messaggio della pace è quello delle conseguenze provocate dall'indifferenza dell'uomo sull'ambiente naturale. I rapporti fra l'uomo e il creato sono incrinati dalla noncuranza umana con gravi conseguenze. Riprendendo le parole dell'enciclica, Papa Francesco scrive nel Messaggio: "Purtroppo, molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientale sono spesso frustrati non solo dal rifiuto dei potenti, ma anche dal disinteresse degli altri. Gli atteggiamenti che ostacolano le vie di soluzione, anche fra i credenti, vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche" (Laudato si', n. 14).
Infine, vorrei rilevare la continuità del Messaggio della Pace con il Messaggio per la Quaresima del 2015, "Rinfrancate i vostri cuori". Anche qui Papa Francesco vi fa direttamente riferimento riprendendone le parole molto efficaci che mirano ad interpellare direttamente un modo di vivere egoistico, alimentato dalla vita comoda: "mentre io sto relativamente bene e comodo - scrive -, mi dimentico di quelli che non stanno bene". Questo atteggiamento egoistico di indifferenza ha preso dimensioni mondiali e, aggiunge il Santo Padre, costituisce un disagio che come cristiani dobbiamo affrontare.
Continuità con il Magistero di Papa Benedetto
Il Papa emerito, nella Caritas in Veritate ha individuato nella questione antropologica l’odierna questione sociale: “oggi occorre affermare che la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica”( CV,75) per cui “talvolta l'uomo moderno è erroneamente convinto di essere il solo autore di se stesso, della sua vita e della società” (CV,34). Papa Francesco, a sua volta, nell'esporre alcune forme di indifferenza, al n. 3 del Messaggio, individua l'origine dell'indifferenza verso il prossimo e verso il creato proprio nell'indifferenza verso Dio. Afferma, infatti: "La prima forma di indifferenza nella società umana è quella verso Dio, dalla quale scaturisce anche l'indifferenza verso il prossimo e verso il creato. E' questo - aggiunge -uno dei gravi effetti di un umanesimo falso e del materialismo pratico, combinati con un pensiero relativistico e nichilistico" (n. 3).
La sintonia con il magistero di Benedetto XVI è evidente ed è ulteriormente rafforzata dall'argomento presentato da Papa Francesco per spiegare come l'indifferenza globalizzata minaccia la pace: "L'indifferenza verso Dio supera la sfera intima e spirituale della singola persona e investe la sfera pubblica e sociale. Come affermava Benedetto XVI, «esiste un'intima connessione tra la glorificazione di Dio e la pace degli uomini sulla terra». Infatti, «senza un'apertura al trascendente, l'uomo cade facile preda del relativismo e gli riesce poi difficile agire secondo giustizia e impegnarsi per la pace» (n. 4).
Continuità con Magistero di San Giovanni Paolo II
Infine, non pochi sono gli elementi di continuità con il Magistero di San Giovanni Paolo II.
Vorrei portare l'attenzione al Messaggio della Pace del 1982 il tuo tema era: La Pace, dono di Dio affidato agli uomini. In quel Messaggio, scritto in un momento storico di forte contrapposizione ideologica, connotato da realismo se non addirittura venato da un certo pessimismo - Jaruzelski aveva appena effettuato il colpo di Stato in Polonia, il 13 dicembre del 1981 - Papa Wojtyła scriveva: "Il cristiano sa che sulla terra una società umana totalmente e per sempre pacificata è purtroppo un'utopia, e che le ideologie che la riflettono, come se potesse essere facilmente raggiunta, alimentano speranze irrealizzabili... è pure persuaso - non fosse altro per averne fatto la dolorosa esperienza - che queste speranze fallaci conducono direttamente alla pseudo-pace dei regimi totalitari. Ma questa considerazione realistica non trattiene affatto i cristiani dal loro impegno per la pace; essa stimola, anzi, il loro ardore". L'invito a superare l'indifferenza causata dallo scoraggiamento è chiaro.
Un altro importante segno di continuità lo si ritrova nella via indicata da Papa Francesco per battere l'indifferenza: quella di coltivare una cultura di solidarietà e misericordia. Qui i temi cari a San Giovanni Paolo II emergono con evidenza: la solidarietà, considerata come virtù morale e atteggiamento sociale, la corresponsabilità solidale alla quale siamo chiamati, basata sulla giusta comprensione della solidarietà che, citando la Sollicitudo Rei Socialis, Papa Francesco afferma nuovamente essere più di "un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane", ma "determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti" (n. 5).
Il legame con il Magistero di San Giovanni Paolo II è particolarmente visibile, poi, se si considera che Papa Francesco oltre ad aver indicato la via della misericordia quale via da percorrere per combattere l'indifferenza, ha inserito decisamente il Messaggio della Pace di quest'anno nella prospettiva del Giubileo della Misericordia. E Papa Francesco stesso ha ricordato qualche giorno fa il costante riferimento di San Giovanni Paolo II alla Misericordia divina, culminato nell'enciclica Dives in Misericordia, e nell'istituzione della Domenica della Divina Misericordia.
Infine, mi sembra interessante sottolineare un'altra coincidenza. Il Messaggio della Pace del 2002, pubblicato meno di tre mesi dopo l'attentato delle Torri gemelle - si apriva con le parole "quest'anno la Giornata Mondiale della Paceviene celebrata sullo sfondo dei drammatici eventi dell'11 settembre scorso" -, aveva come tema: Non c'è pace senza giustizia non c'è pace senza perdono. Il Messaggio di Papa Francesco, pubblicato alla fine di un anno particolarmente drammatico per le violenze causate dalle guerre e dagli attentati terroristici moltiplicatisi in questi ultimi mesi, si chiude con un appello rivolto alle varie istanze, ad adottare un impegno concreto per contribuire a migliorare la realtà del mondo, nello spirito del Giubileo della Misericordia. Un appello rivolto particolarmente ai cristiani che sanno che "La misericordia è il cuore di Dio e perciò deve essere anche il cuore di tutti coloro che si riconoscono membri dell'unica grande famiglia dei suoi figli". Insomma, la risposta efficace al male è solo quella del perdono misericordioso di Dio che noi tutti ci dobbiamo sforzare di assumere.
[02212-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Intervento del Dott. Vittorio V. Alberti
Se la pace esige una vittoria e una conquista, c’è un contrasto. Cos’è una conversione se non un contrasto interiore? Il contrasto è tumulto, ma anche chiarezza dell’immagine. C’è dunque un’estetica, una bellezza in questo processo che è liberazione.
L’indifferenza colpisce la sfera pubblica (politica e cultura). Francesco scrive una sola volta una parola che è capitale contrasto: corruzione. La chiama cancro sociale1. Da cardinale, la chiamò stanchezza della trascendenza: rassegnazione, curvarsi nel proprio particolare. Ecco la corruzione.
«La corruzione è dolce come lo zucchero – dice Francesco in Africa - ci prendiamo gusto, ma attenzione che poi si diventa diabetici». Ai giovani ha chiesto di non lasciarsi corrompere: «se non iniziate voi, non inizierà nessuno. La persona corrotta non vive in pace. La corruzione è un cammino di morte».
Tante le parole chiave nel Messaggio della Giornata Mondiale. Eccone alcune: 1. capacità dell’uomo; 2. apatia; 3. disimpegno e chiusura; 4. impegno concreto per contribuire [cioè fare con altri] a migliorare la realtà. Ecco, migliorare. Migliorare in nome di cosa?
Se io non credo che ci sia un futuro, non credo nel senso delle cose. E se non ci credo, dove posso trovare la fiducia – e quindi la forza per l’impegno – per contrastare la corruzione vincendo l’indifferenza? Se non ho un orizzonte in vista del quale cambiare le cose, perché dovrei impegnarmi? Ma questa è una colpa, oggi? Lo è e non lo è. Ed ecco forse il territorio più sotterraneo e drammatico di questo Messaggio: l’indifferenza da trattare con misericordia. Se vedo Palmira distrutta o la corruzione che dilaga, me ne sento schiacciato perché non credo che tutti insieme possiamo cambiare le cose. Ecco il nichilismo.
La misericordia non è solo un fatto solo morale, ma mentale e intellettuale: è libertà del pensiero. Francesco sta dando le chiavi profonde per combattere l’indifferenza. Sta dando la base culturale per combattere la corruzione capendola nel quadro più ampio della crisi del tempo attuale che è crisi culturale. La mancanza di senso è la maggiore sofferenza perché costringendo in un presente perenne corrompe il passato, il futuro e il presente stesso stancandone la trascendenza, fiaccandone cioè l’andare oltre, verso un sogno o un ideale. Francesco sta dicendo quindi che occorre una risposta culturale, una filosofia della storia, in nome della quale combattere la corruzione. Ma come si può concepire una cultura se si è indifferenti alla cultura stessa? Se si è indifferenti al passato, senza il quale non è concepibile il futuro? La cultura è identità ed è quindi la risposta come rinnovata cultura cosciente del passato e curiosa di esso.
La parola chiave è cultura. Francesco parla a educatori e formatori - e-ducazione, dal latino, à trarre fuori; istruzione è portare dentro - agli operatori dei mezzi di comunicazione, ai giornalisti, ai fotografi, agli intellettuali in nome dell’attuale crisi del linguaggio. Francesco sta parlando agli artisti. A tutti coloro, insomma, che formano nella libertà le coscienze. La bellezza si oppone alla corruzione dell’indifferenza. Perché non cominciare da una estetica delle ragioni di libertà del Concilio Vaticano
II? La lotta all’indifferenza, contro la corruzione, passa da qui.
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1 III paragrafo del Messaggio (cf. Esort. ap. Evangelii gaudium, 60).
[02213-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Testimonianza di S.E. Mons. Michele Pennisi
Arcivescovo di Monreale, Membro del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace
Nel messaggio di papa Francesco per la Giornata Mondiale della Pace del 2016, il Santo Padre afferma che è determinante per la credibilità della Chiesa che essa viva e testimoni in prima persona la misericordia e invita a vincere l’indifferenza non distogliendo lo sguardo dal suo prossimo e compiendo atti di coraggio nei confronti delle persone più fragili delle loro società, fra i quali nomina i detenuti.
Nel messaggio c’è l’invito urgente ad adottare ” misure concrete per migliorare le loro condizioni di vita nelle carceri, accordando un’attenzione speciale a coloro che sono privati della libertà in attesa di giudizio , avendo a mente la finalità rieducativa della sanzione penale e valutando la possibilità di inserire nelle legislazioni nazionali pene alternative alla detenzione carceraria”.
A questo proposito mi permetto sommessamente di portare la mia piccola testimonianza. Da seminarista a Roma ho conosciuto ed aiutato alcuni ragazzi usciti dal carcere minorile, dove erano seguiti dall’allora don Agostino Casaroli e da alcuni miei compagni del collegio Capranica.
Da viceparroco sono stato invitato da alcuni familiari di interessarmi della liberazione di alcuni prigionieri politici e di alcuni “desaparecidos” vittime della dittatura militare in Argentina. Grazie alla collaborazione di Caritas Internationalis e di Justitia et Pax riuscii a far rimpatriare in Italia nel 1979 un medico e una ragazza ambedue di Cordoba, che erano stati torturati e detenuti senza processo. Ambedue furono accolti a Grammichele(CT) e la ragazza fu aiutata a conseguire il diploma di assistente sociale. Purtroppo per altri detenuti non si riuscì ad ottenere la liberazione ma solo risposte evasive da parte del governo argentino.
Da Rettore del Collegio Capranica a Roma ho inserito nel tirocinio pastorale dei seminaristi e dei sacerdoti la pastorale carceraria, invitando il cappellano del carcere di Rebibbia. Ho avuto modo di incontrare molti detenuti ed ex detenuti durante gli undici anni(2002-2013) del mio episcopato a piazza Armerina, diocesi nel cui territorio si trovano tre Case circondariali ad Enna con quattro sezioni, a Piazza Armerina e a Gela. Visitavo diverse volte l’anno i detenuti e mi tenevo informato sulle loro condizioni tramite i cappellani delle carceri. Ho amministrato diversi sacramento del battesimo, della cresima e della prima comunione. Ricordo che un detenuto, che aveva i parenti fuori dalla Sicilia ,chiese un permesso per poter trascorrere una giornata con me. La Caritas diocesana ha messo a disposizione un appartamento per i familiari dei detenuti che venivano da lontano e per ex detenuti stranieri. Sono state organizzate una serie di iniziative di evangelizzazione e di promozione umana per i detenuti con la collaborazione di alcuni movimenti ecclesiali ed associazioni di volontariato.
In collaborazione con il Rinnovamento nello Spirito , attraverso la “Fondazione Mons. Di Vincenzo” presieduta dal dott. Salvatore Martinez, abbiamo realizzato l’ opera sociale «Polo di Eccellenza di Promozione Umana e della Solidarietà “Mario e Luigi Sturzo”» che si propone di venire incontro alle povertà del mondo carcerario perseguendo un processo di “liberazione integrale” che consenta il pieno recupero della dignità umana dei detenuti, degli ex detenuti e delle loro famiglie, nonché un reinserimento sociale dei soggetti presi in cura e accompagnati. La Diocesi di Piazza Armerina ha affidato alla Fondazione la responsabilità condurre questo progetto di redenzione sociale dedicato ai detenuti e alle loro famiglie presso un fondo rurale di 40 ettari appartenuto alla famiglia Sturzo, che era stato donato al Seminario diocesano. In occasione della presentazione del progetto in un convegno tenutosi all’università di Enna ebbi l’onore di ricevere una lettera autografa di papa Giovanni Paolo II in cui si parlava di “fantasia della carità”. L’opera è stata sostenuta finanziariamente oltre che dalla Diocesi anche dalla Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana , dalla Caritas italiana e dalla Regione Siciliana ed ha avuto significativi apprezzamenti da parte di varie Istituzioni pubbliche dal presidente della Prison Fellowship International. Si tratta di una piccola ma significativa testimonianza di come la Chiesa vuole essere vicina ai detenuti con un progetto di redenzione che punta sul recupero della fede, sul valore del lavoro e della cultura e sul ruolo della famiglia. Con questa iniziativa si è voluto rispondere all’appello di san di Giovanni Paolo II che in occasione del Giubileo nelle Carceri ebbe a dire: “Per la realtà carceraria bisogna adoperarsi al fine di creare nuove occasioni di riscatto. Ciò si traduce per ciascuno, entro i limiti della sua competenza, nell’impegno di contribuire alla predisposizione di cammini di redenzione e di crescita personale e comunitaria improntati alla responsabilità. Tutto questo non deve essere considerato utopia”.
Da più di due anni sono arcivescovo di Monreale dove non c’è nessun carcere, anche se ci sono molti detenuti provenienti dalla diocesi in varie carceri in Italia. Sinceramente mi mancava il contatto con i detenuti, che ho trovato tra le persone più disponibili ad accogliere il messaggio di misericordia e di conversione del Vangelo. In alcune parrocchie e strutture della arcidiocesi di Monreale sono ospitati dei detenuti che scontano pene alternative. Lo scorso 9 dicembre, all’indomani dell’apertura del Giubileo della misericordia, dopo aver ottenuto i relativi permessi e in comunione con il nuovo arcivescovo di Palermo don Corrado, assieme ad alcuni professori e studenti del Parlamento della Legalità, ho incontrato i detenuti della casa circondariale dell’Ucciardone a Palermo. In un clima di grande commozione dopo aver commentato la parabola del Padre misericordioso che accoglie il figlio prodigo e l’episodio dell’incontro di Gesù con Zaccheo il pubblicano, ho parlato ai detenuti della modalità di ottenere l’indulgenza del Giubileo in carcere, ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre ricco di misericordia. Parecchi detenuti avevano le lacrime agli occhi e mi hanno chiesto di ringraziare a nome loro papa Francesco.
Mi auguro che nella Chiesa e nella società civile si tenga conto dell’art 27 della Costituzione Italiana che recita :”le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. La pena dentro la prigione ha senso se, mentre afferma le esigenze della giustizia e scoraggia il crimine, serve al rinnovamento della persona , offrendo a chi ha sbagliato una possibilità di riflettere e cambiare vita, per reinserirsi a pieno titolo nella società.
La comunità cristiana è chiamata ad educare, aiutare, riabilitare, far sentire ciascuna persona degna di essere amata e di essere promossa nella vita sociale.
[02214-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Testimonianza di don Luigi Ciotti
Fondatore del Gruppo Abele, come aiuto ai tossicodipendenti e altre varie dipendenze, quindi dell'Associazione Libera contro i soprusi delle mafie in tutta Italia
Sono parole che scuotono e fanno pensare, quelle di Papa Francesco sulla pace. Il suo non è un generico invito alla pace, ma un’analisi puntuale e stringente su cosa significhi realizzarla.
All’inizio, come a fugare equivoci o interpretazioni di comodo, Francesco ci dice che «la pace è dono di Dio e opera degli uomini».
È un dono, insomma, che implica al tempo stesso gratitudine e responsabilità, un dono che è tale solo se lo condividiamo, se non ne facciamo un possesso, se lo rendiamo un bene sociale e se possibile universale.
Se non c’è questo impegno, questa assunzione di responsabilità, il parlare di pace rischia di diventare un esercizio accademico, se non ipocrita.
Ecco allora che la pace, nella prospettiva di Francesco, è il contrario del quietismo, dello “starsene in pace”. La vera pace incomincia da un risveglio spirituale che ha immediate conseguenze pratiche, che chiede di incarnarsi in scelte, gesti, azioni, e che chiama in causa sia il nostro essere persone che il nostro essere cittadini.
Siamo operatori di pace quando siamo attenti al nostro prossimo, non voltando lo sguardo ai suoi bisogni, alle sue fragilità. E lo siamo quando promuoviamo il bene comune, saldando il cielo e la terra, la dimensione spirituale con l’impegno sociale.
Per questo il Papa pone grande attenzione al problema dell’indifferenza, forse il più grande e “agguerrito” ostacolo al cammino di pace.
Sottolinea come questa malattia spirituale anestetizzi i cuori e addomestichi le coscienze. E ci ricorda i suoi tanti volti: l’indifferenza verso Dio, l’indifferenza verso gli altri, l’indifferenza verso il Creato, la nostra casa comune sfruttata e sfregiata. Volti che però sono altrettante maschere dell’io, della sua sete di conquista e di possesso. Qui sta la radice dell’indifferenza, e da qui nascono le rapine di bene comune – frutto di disegni criminali, ma anche economico-finanziari – causa di disuguaglianze, ingiustizie, sfruttamento, povertà, e, certo, anche guerre, perché se a prevalere è la volontà di conquista i conflitti sono inevitabili.
Come costruire allora la pace?
Il Papa ha sempre sottolineato le responsabilità dei potenti in quella che senza mezzi termini chiama una «terza guerra mondiale a pezzi». Ha instancabilmente denunciato l’inerzia di certi organismi internazionali o la subordinazione di gran parte della politica a quello che nella Laudato sì chiama il “paradigma tecnocratico”, l’egemonia del “libero mercato”, dove libero viene inteso come irresponsabile, arbitrario, incurante del bene comune.
Ma in una prospettiva di speranza, denunciare è il primo passo, riconoscere il positivo il secondo, mettersi in gioco per realizzarlo il terzo. Ecco allora che Francesco ci invita a «non perdere la speranza nella capacità dell’uomo, con la grazia di Dio, di superare il male e a non abbandonarsi alla rassegnazione e all’indifferenza».
E cita recenti pagine positive come il summit sull’ambiente a Parigi (un passo in avanti se il vincolo degli accordi sarà compensato da un supplemento responsabilità da parte di chi è tenuto a realizzarli); o lo slancio della Chiesa, nel cinquantenario del Concilio Vaticano II, di «spalancare le finestre» e di favorire una più aperta comunicazione con il mondo.
Ma anche ricorda, il Papa, le «numerose iniziative e azioni che testimoniano la compassione e la solidarietà». Iniziative di quelle realtà, dentro e fuori la Chiesa, che ribellandosi alla «globalizzazione dell’indifferenza», e testimoniando una «misericordia corporale e spirituale», presiedono le periferie geografiche e esistenziali dove le persone più indifese – migranti, carcerati, donne, malati, disoccupati – non soffrono solo di bisogni trascurati, ma di diritti negati, vite non riconosciute nella loro dignità.
È questo abitare le periferie il primo passo della costruzione di pace, la base di una civiltà più umana e di una società della prossimità, dove le persone non siano strumento di profitto, e il benessere di pochi non voglia dire la povertà, la disperazione, la morte di tanti altri.
Ma l’ammirazione per questi esempi di generosità e di accoglienza incondizionata – cioè di Vangelo – non deve fungere da alibi, non deve innescare meccanismi di delega.
L’impegno per la pace riguarda ciascuno di noi e chiama in causa la nostra etica – il “come” e il “perché” viviamo – in ogni ambito dell’esistenza: nella famiglia, nella scuola, nelle relazioni, nelle professioni.
Perché pace, in fondo, non è nient’altro che questo camminare insieme alla ricerca di verità e giustizia. Un impegno collettivo per costruire una Casa comune dove ci riconosciamo diversi come persone e uguali come cittadini.
[02215-IT.01] [Testo originale: Italiano]
[B0995-XX.01]