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Messaggio del Santo Padre Francesco per la Giornata Missionaria Mondiale 2015, 24.05.2015


Messaggio del Santo Padre

Testo in lingua francese

Testo in lingua inglese

Testo in lingua tedesca

Testo in lingua spagnola

Testo in lingua portoghese

Testo in lingua cinese

Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Santo Padre Francesco per l’89.ma Giornata Missionaria Mondiale, che si celebra domenica 18 ottobre 2015:

Messaggio del Santo Padre

Cari fratelli e sorelle,

la Giornata Missionaria Mondiale 2015 avviene sullo sfondo dell’Anno della Vita Consacrata e ne riceve uno stimolo per la preghiera e la riflessione. Infatti, se ogni battezzato è chiamato a rendere testimonianza al Signore Gesù annunciando la fede ricevuta in dono, questo vale in modo particolare per la persona consacrata, perché tra la vita consacrata e la missione sussiste un forte legame. La sequela di Gesù, che ha determinato il sorgere della vita consacrata nella Chiesa, risponde alla chiamata a prendere la croce e andare dietro a Lui, ad imitare la sua dedicazione al Padre e i suoi gesti di servizio e di amore, a perdere la vita per ritrovarla. E poiché tutta l’esistenza di Cristo ha carattere missionario, gli uomini e le donne che lo seguono più da vicino assumono pienamente questo medesimo carattere.

La dimensione missionaria, appartenendo alla natura stessa della Chiesa, è intrinseca anche ad ogni forma di vita consacrata, e non può essere trascurata senza lasciare un vuoto che sfigura il carisma. La missione non è proselitismo o mera strategia; la missione fa parte della “grammatica” della fede, è qualcosa di imprescindibile per chi si pone in ascolto della voce dello Spirito che sussurra “vieni” e “vai”. Chi segue Cristo non può che diventare missionario, e sa che Gesù «cammina con lui, parla con lui, respira con lui. Sente Gesù vivo insieme con lui nel mezzo dell’impegno missionario» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 266).

La missione è passione per Gesù Cristo e nello stesso tempo è passione per la gente. Quando sostiamo in preghiera davanti a Gesù crocifisso, riconosciamo la grandezza del suo amore che ci dà dignità e ci sostiene; e nello stesso momento percepiamo che quell’amore che parte dal suo cuore trafitto si estende a tutto il popolo di Dio e all’umanità intera; e proprio così sentiamo anche che Lui vuole servirsi di noi per arrivare sempre più vicino al suo popolo amato (cfr ibid., 268) e a tutti coloro che lo cercano con cuore sincero. Nel comando di Gesù: “andate” sono presenti gli scenari e le sfide sempre nuovi della missione evangelizzatrice della Chiesa. In essa tutti sono chiamati ad annunciare il Vangelo con la testimonianza della vita; e in modo speciale ai consacrati è chiesto di ascoltare la voce dello Spirito che li chiama ad andare verso le grandi periferie della missione, tra le genti a cui non è ancora arrivato il Vangelo.

Il cinquantesimo anniversario del Decreto conciliare Ad gentes ci invita a rileggere e meditare questo documento che suscitò un forte slancio missionario negli Istituti di vita consacrata. Nelle comunità contemplative riprese luce ed eloquenza la figura di santa Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni, quale ispiratrice dell’intimo legame della vita contemplativa con la missione. Per molte congregazioni religiose di vita attiva l’anelito missionario scaturito dal Concilio Vaticano II si attuò con una straordinaria apertura alla missione ad gentes, spesso accompagnata dall’accoglienza di fratelli e sorelle provenienti dalle terre e dalle culture incontrate nell’evangelizzazione, tanto che oggi si può parlare di una diffusa interculturalità nella vita consacrata. Proprio per questo è urgente riproporre l’ideale della missione nel suo centro: Gesù Cristo, e nella sua esigenza: il dono totale di sé all’annuncio del Vangelo. Non vi possono essere compromessi su questo: chi, con la grazia di Dio, accoglie la missione, è chiamato a vivere di missione. Per queste persone, l’annuncio di Cristo, nelle molteplici periferie del mondo, diventa il modo di vivere la sequela di Lui e ricompensa di tante fatiche e privazioni. Ogni tendenza a deflettere da questa vocazione, anche se accompagnata da nobili motivazioni legate alle tante necessità pastorali, ecclesiali o umanitarie, non si accorda con la personale chiamata del Signore a servizio del Vangelo. Negli Istituti missionari i formatori sono chiamati sia ad indicare con chiarezza ed onestà questa prospettiva di vita e di azione, sia ad essere autorevoli nel discernimento di autentiche vocazioni missionarie. Mi rivolgo soprattutto ai giovani, che sono ancora capaci di testimonianze coraggiose e di imprese generose e a volte controcorrente: non lasciatevi rubare il sogno di una missione vera, di una sequela di Gesù che implichi il dono totale di sé. Nel segreto della vostra coscienza, domandatevi quale sia la ragione per cui avete scelto la vita religiosa missionaria e misurate la disponibilità ad accettarla per quello che è: un dono d’amore al servizio dell’annuncio del Vangelo, ricordando che, prima di essere un bisogno per coloro che non lo conoscono, l’annuncio del Vangelo è una necessità per chi ama il Maestro.

Oggi, la missione è posta di fronte alla sfida di rispettare il bisogno di tutti i popoli di ripartire dalle proprie radici e di salvaguardare i valori delle rispettive culture. Si tratta di conoscere e rispettare altre tradizioni e sistemi filosofici e riconoscere ad ogni popolo e cultura il diritto di farsi aiutare dalla propria tradizione nell’intelligenza del mistero di Dio e nell’accoglienza del Vangelo di Gesù, che è luce per le culture e forza trasformante delle medesime.

All’interno di questa complessa dinamica, ci poniamo l’interrogativo: “Chi sono i destinatari privilegiati dell’annuncio evangelico?”. La risposta è chiara e la troviamo nel Vangelo stesso: i poveri, i piccoli e gli infermi, coloro che sono spesso disprezzati e dimenticati, coloro che non hanno da ricambiarti (cfr Lc 14,13-14). L’evangelizzazione rivolta preferenzialmente ad essi è segno del Regno che Gesù è venuto a portare: «Esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri. Non lasciamoli mai soli» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 48). Ciò dev’essere chiaro specialmente alle persone che abbracciano la vita consacrata missionaria: con il voto di povertà si sceglie di seguire Cristo in questa sua preferenza, non ideologicamente, ma come Lui identificandosi con i poveri, vivendo come loro nella precarietà dell’esistenza quotidiana e nella rinuncia all’esercizio di ogni potere per diventare fratelli e sorelle degli ultimi, portando loro la testimonianza della gioia del Vangelo e l’espressione della carità di Dio.

Per vivere la testimonianza cristiana e i segni dell’amore del Padre tra i piccoli e i poveri, i consacrati sono chiamati a promuovere nel servizio della missione la presenza dei fedeli laici. Già il Concilio Ecumenico Vaticano II affermava: «I laici cooperino all’opera evangelizzatrice della Chiesa, partecipando come testimoni e come vivi strumenti della sua missione salvifica» (Ad gentes, 41). È necessario che i consacrati missionari si aprano sempre più coraggiosamente nei confronti di quanti sono disposti a collaborare con loro, anche per un tempo limitato, per un’esperienza sul campo. Sono fratelli e sorelle che desiderano condividere la vocazione missionaria insita nel Battesimo. Le case e le strutture delle missioni sono luoghi naturali per la loro accoglienza e il loro sostegno umano, spirituale ed apostolico.

Le Istituzioni e le Opere missionarie della Chiesa sono totalmente poste al servizio di coloro che non conoscono il Vangelo di Gesù. Per realizzare efficacemente questo scopo, esse hanno bisogno dei carismi e dell’impegno missionario dei consacrati, ma anche i consacrati hanno bisogno di una struttura di servizio, espressione della sollecitudine del Vescovo di Roma per garantire la koinonia, così che la collaborazione e la sinergia siano parte integrante della testimonianza missionaria. Gesù ha posto l’unità dei discepoli come condizione perché il mondo creda (cfr Gv 17,21). Tale convergenza non equivale ad una sottomissione giuridico-organizzativa a organismi istituzionali, o ad una mortificazione della fantasia dello Spirito che suscita la diversità, ma significa dare più efficacia al messaggio evangelico e promuovere quell’unità di intenti che pure è frutto dello Spirito.

L’Opera Missionaria del Successore di Pietro ha un orizzonte apostolico universale. Per questo ha bisogno anche dei tanti carismi della vita consacrata, per rivolgersi al vasto orizzonte dell’evangelizzazione ed essere in grado di assicurare un’adeguata presenza sulle frontiere e nei territori raggiunti.

Cari fratelli e sorelle, la passione del missionario è il Vangelo. San Paolo poteva affermare: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1 Cor 9,16). Il Vangelo è sorgente di gioia, di liberazione e di salvezza per ogni uomo. La Chiesa è consapevole di questo dono, pertanto non si stanca di annunciare incessantemente a tutti «quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi» (1 Gv 1,1). La missione dei servitori della Parola – vescovi, sacerdoti, religiosi e laici – è quella di mettere tutti, nessuno escluso, in rapporto personale con Cristo. Nell’immenso campo dell’azione missionaria della Chiesa, ogni battezzato è chiamato a vivere al meglio il suo impegno, secondo la sua personale situazione. Una risposta generosa a questa universale vocazione la possono offrire i consacrati e le consacrate, mediante un’intensa vita di preghiera e di unione con il Signore e col suo sacrificio redentore.

Mentre affido a Maria, Madre della Chiesa e modello di missionarietà, tutti coloro che, ad gentes o nel proprio territorio, in ogni stato di vita cooperano all’annuncio del Vangelo, di cuore invio a ciascuno la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 24 maggio 2015, Solennità di Pentecoste

FRANCISCUS

[00868-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Testo in lingua francese

Chers frères et soeurs,

la Journée missionnaire mondiale 2015 a lieu dans le cadre de l’Année de la Vie consacrée et en reçoit un élan pour la prière et la réflexion. En effet, si tout baptisé est appelé à rendre témoignage au Seigneur Jésus en annonçant la foi reçue en don, cela vaut de manière particulière pour la personne consacrée, parce qu’un lien fort subsiste entre la vie consacrée et la mission. La sequela Christi, qui a suscité l’avènement de la vie consacrée au sein de l’Eglise, répond à l’appel à prendre la croix et à se mettre à sa suite, à imiter sa consécration au Père et ses gestes de service et d’amour, à perdre la vie pour la retrouver. Et puisque toute l’existence du Christ a un caractère missionnaire, les hommes et les femmes qui le suivent de plus près assument pleinement ce même caractère.

La dimension missionnaire, en ce qu’elle appartient à la nature même de l’Eglise, est également intrinsèque à toute forme de vie consacrée, et ne peut être négligée sans créer un vide qui défigure le charisme. La mission n’est pas prosélytisme ou simple stratégie. Elle fait partie de la «grammaire» de la foi. Il s’agit de quelque chose d’indispensable pour celui qui se met à l’écoute de la voix de l’Esprit qui murmure «viens» et «va». Celui qui suit le Christ ne peut que devenir missionnaire, et il sait que Jésus «marche avec lui, parle avec lui, respire avec lui, travaille avec lui. Il ressent Jésus vivant avec lui au milieu de l’activité missionnaire» (Exhortation apostolique Evangelii gaudium, n. 266).

La mission est passion pour Jésus Christ et, en même temps, passion pour les personnes. Lorsque nous nous tenons en prière devant Jésus crucifié, nous reconnaissons la grandeur de son amour qui nous donne dignité et nous soutient et, en même temps, nous percevons que cet amour qui part de son cœur transpercé s’étend à tout le peuple de Dieu et à l’humanité entière. Ainsi nous sentons qu’il veut aussi se servir de nous pour arriver toujours plus près de son peuple bien-aimé (cf. ibid., n.268) et de tous ceux qui le cherchent avec un cœur sincère. Dans le commandement de Jésus «Allez» sont présents les scénarios et les défis toujours nouveaux de la mission évangélisatrice de l’Eglise. En elle, tous sont appelés à annoncer l’Évangile par le témoignage de la vie. Aux consacrés, il est demandé en particulier d’écouter la voix de l’Esprit qui les appelle à aller vers les grandes périphéries de la mission, parmi les peuples auxquels n’est pas encore parvenu l’Évangile.

Le cinquantième anniversaire du Décret conciliaire Ad gentes nous invite à relire et à méditer ce document qui suscita un fort élan missionnaire au sein des Instituts de vie consacrée. Dans les communautés contemplatives fut remise en évidence la figure de sainte Thérèse de l’Enfant Jésus, patronne des missions, en tant qu’inspiratrice du lien intime entre la vie contemplative et la mission. Pour de nombreuses congrégations religieuses de vie active, le désir missionnaire provenant du Concile Vatican II se traduisit par une extraordinaire ouverture à la mission ad gentes, souvent accompagnée par l’accueil de frères et sœurs provenant des terres et des cultures rencontrées dans le cadre de l’évangélisation, au point qu’aujourd’hui, il est possible de parler d’une interculturalité diffuse au sein de la vie consacrée. C’est pourquoi il est urgent de proposer à nouveau l’idéal de la mission dans son aspect central: Jésus Christ, et dans son exigence: le don total de soi en vue de l’annonce de l’Evangile. Il ne peut exister de compromis à ce propos: celui qui, avec la grâce de Dieu, accueille la mission, est appelé à vivre de mission. Pour ces personnes, l’annonce du Christ, au sein des multiples périphéries du monde, devient la manière de vivre à sa suite et récompense de beaucoup de fatigues et de privations. Toute tendance à dévier de cette vocation, même si elle est accompagnée de nobles motivations liées aux nombreuses nécessités pastorales, ecclésiales ou humanitaires, ne s’accorde pas avec l’appel personnel du Seigneur au service de l’Evangile. Dans les Instituts missionnaires, les formateurs sont appelés tant à indiquer avec clarté et honnêteté cette perspective de vie et d’action qu’à faire autorité en ce qui concerne le discernement de vocations missionnaires authentiques. Je m’adresse surtout aux jeunes, qui sont encore capables de témoignages courageux et d’entreprises généreuses et parfois à contre-courant: ne vous laissez pas voler le rêve d’une vraie mission, d’une sequela Christi qui implique le don total de soi. Dans le secret de votre conscience, demandez-vous quelle est la raison pour laquelle vous avez choisi la vie religieuse missionnaire et mesurez votre disponibilité à l’accepter pour ce qu’elle est: un don d’amour au service de l’annonce de l’Évangile, en vous souvenant que, avant d’être un besoin pour ceux qui ne le connaissent pas, l’annonce de l’Évangile est une nécessité pour celui qui aime le Maître.

Aujourd’hui, la mission se trouve face au défi de respecter le besoin de tous les peuples de repartir de leurs propres racines et de sauvegarder les valeurs de leurs cultures respectives. Il s’agit de connaître et de respecter d’autres traditions et systèmes philosophiques et de reconnaître à chaque peuple et culture le droit d’être aidé par sa propre tradition dans la compréhension du mystère de Dieu et dans l’accueil de l’Evangile de Jésus, qui est lumière pour les cultures et force transformante pour ces dernières.

A l’intérieur de cette dynamique complexe, nous posons la question: «Qui sont les destinataires privilégiés de l’annonce évangélique?» La réponse est claire et nous la trouvons dans l’Évangile lui-même: les pauvres, les petits et les infirmes, ceux qui sont souvent méprisés et oubliés, ceux qui n’ont pas de quoi payer de retour (cf. Lc 14,13-14). L’évangélisation s’adressant de manière préférentielle à eux est signe du Royaume que Jésus est venu apporter: «Il existe un lien inséparable entre notre foi et les pauvres. Ne les laissons jamais seuls» (Exhortation apostolique Evangelii gaudium, n. 48). Ceci doit être clair en particulier pour les personnes qui embrassent la vie consacrée missionnaire: par le vœu de pauvreté, elles choisissent de suivre le Christ dans sa préférence, non pas idéologiquement, mais comme lui, en s’identifiant avec les pauvres, en vivant comme eux dans la précarité de l’existence quotidienne et dans le renoncement à l’exercice de tout pouvoir pour devenir frères et sœurs des derniers, leur apportant le témoignage de la joie de l’Évangile et l’expression de la charité de Dieu.

Pour vivre le témoignage chrétien et les signes de l’amour du Père parmi les petits et les pauvres, les consacrés sont appelés à promouvoir dans le service de la mission la présence des fidèles laïcs. Déjà le Concile œcuménique Vatican II affirmait: «Les laïcs coopèrent à l’œuvre d’évangélisation de l’Église et participent à titre de témoins, et en même temps d’instruments vivants à sa mission salvifique» (Ad gentes, n. 41). Il est nécessaire que les consacrés missionnaires s’ouvrent toujours plus courageusement à ceux qui sont disposés à collaborer avec eux, même pour un temps limité, pour une expérience sur le terrain. Ce sont des frères et des sœurs qui désirent partager la vocation missionnaire inhérente au Baptême. Les maisons et les structures des missions sont des lieux naturels pour leur accueil et leur soutien humain, spirituel et apostolique.

Les Institutions et les Œuvres missionnaires de l’Eglise sont totalement placées au service de ceux qui ne connaissent pas l’Evangile de Jésus. Pour réaliser efficacement ce but, elles ont besoin des charismes et de l’engagement missionnaire des consacrés, tout comme les consacrés ont besoin d’une structure de service, expression de la sollicitude de l’Evêque de Rome, pour garantir la koinonia, de sorte que la collaboration et la synergie fassent partie intégrante du témoignage missionnaire. Jésus a posé l’unité des disciples comme condition pour que le monde croie (cf. Jn 17, 21). Une telle convergence n’équivaut pas à une soumission juridique et organisationnelle à des organismes institutionnels ou bien à une mortification de la fantaisie de l’Esprit qui suscite la diversité mais signifie donner plus d’efficacité au message évangélique et promouvoir cette unité d’intentions qui est, elle aussi, fruit de l’Esprit.

L’œuvre missionnaire du Successeur de Pierre a un horizon apostolique universel. C’est pourquoi elle a également besoin des nombreux charismes de la vie consacrée pour s’adresser au vaste horizon de l’évangélisation et être en mesure d’assurer une présence adéquate aux frontières et dans les territoires atteints.

Chers frères et sœurs, la passion du missionnaire est l’Evangile. Saint Paul pouvait affirmer: «Malheur à moi si je n’annonçais pas l’Evangile» (1 Co 9, 16). L’Évangile est source de joie, de libération et de salut pour tout homme. L’Église est consciente de ce don et elle ne se lasse donc pas d’annoncer continuellement à tous «ce qui était au commencement, ce que nous avons entendu, ce que nous avons vu de nos yeux» (1 Jn 1, 1). La mission des serviteurs de la Parole – évêques, prêtres, religieux et laïcs – est celle de mettre tout un chacun, sans aucune exception, en rapport personnel avec le Christ. Dans l’immense champ de l’action missionnaire de l’Église, chaque baptisé est appelé à vivre au mieux son engagement, selon sa situation personnelle. Une réponse généreuse à cette vocation universelle peut être offerte par les consacrés et les consacrées au travers d’une intense vie de prière et d’union avec le Seigneur et avec son sacrifice rédempteur.

Alors que je confie à la Très Sainte Vierge Marie, Mère de l’Église et modèle missionnaire, tous ceux qui, ad gentes ou sur leur propre territoire, dans tous les états de vie, coopèrent à l’annonce de l’Évangile, j’envoie de tout cœur à chacun la Bénédiction apostolique.

Du Vatican, 24 mai 2015, Solennité de la Pentecôte

FRANCISCUS

[00868-FR.01] [Texte original: Italien]

Testo in lingua inglese

Dear Brothers and Sisters,

The 2015 World Mission Sunday 2015 takes place in the context of the Year of Consecrated Life, which provides a further stimulus for prayer and reflection. For if every baptized person is called to bear witness to the Lord Jesus by proclaiming the faith received as a gift, this is especially so for each consecrated man and woman. There is a clear connection between consecrated life and mission. The desire to follow Jesus closely, which led to the emergence of consecrated life in the Church, responds to his call to take up the cross and follow him, to imitate his dedication to the Father and his service and love, to lose our life so as to gain it. Since Christ’s entire existence had a missionary character, so too, all those who follow him closely must possess this missionary quality.

The missionary dimension, which belongs to the very nature of the Church, is also intrinsic to all forms of consecrated life, and cannot be neglected without detracting from and disfiguring its charism. Being a missionary is not about proselytizing or mere strategy; mission is part of the “grammar” of faith, something essential for those who listen to the voice of the Spirit who whispers “Come” and “Go forth”. Those who follow Christ cannot fail to be missionaries, for they know that Jesus “walks with them, speaks to them, breathes with them. They sense Jesus alive with them in the midst of the missionary enterprise” (Evangelii Gaudium, 266).

Mission is a passion for Jesus and at the same time a passion for his people. When we pray before Jesus crucified, we see the depth of his love which gives us dignity and sustains us. At the same time, we realize that the love flowing from Jesus’ pierced heart expands to embrace the People of God and all humanity. We realize once more that he wants to make use of us to draw closer to his beloved people (cf. ibid., 268) and all those who seek him with a sincere heart. In Jesus’ command to “go forth”, we see the scenarios and ever-present new challenges of the Church’s evangelizing mission. All her members are called to proclaim the Gospel by their witness of life. In a particular way, consecrated men and women are asked to listen to the voice of the Spirit who calls them to go to the peripheries, to those to whom the Gospel has not yet been proclaimed.

The fiftieth anniversary of the Second Vatican Council’s Decree Ad Gentes is an invitation to all of us to reread this document and to reflect on its contents. The Decree called for a powerful missionary impulse in Institutes of Consecrated Life. For contemplative communities, Saint Theresa of the Child Jesus, Patroness of the Missions, appears in a new light; she speaks with renewed eloquence and inspires reflection upon the deep connection between contemplative life and mission. For many active religious communities, the missionary impulse which emerged from the Council was met with an extraordinary openness to the mission ad gentes, often accompanied by an openness to brothers and sisters from the lands and cultures encountered in evangelization, to the point that today one can speak of a widespread “interculturalism” in the consecrated life. Hence there is an urgent need to reaffirm that the central ideal of mission is Jesus Christ, and that this ideal demands the total gift of oneself to the proclamation of the Gospel. On this point there can be no compromise: those who by God’s grace accept the mission, are called to live the mission. For them, the proclamation of Christ in the many peripheries of the world becomes their way of following him, one which more than repays them for the many difficulties and sacrifices they make. Any tendency to deviate from this vocation, even if motivated by noble reasons due to countless pastoral, ecclesial or humanitarian needs, is not consistent with the Lord’s call to be personally at the service of the Gospel. In Missionary Institutes, formators are called to indicate clearly and frankly this plan of life and action, and to discern authentic missionary vocations. I appeal in particular to young people, who are capable of courageous witness and generous deeds, even when these are countercultural: Do not allow others to rob you of the ideal of a true mission, of following Jesus through the total gift of yourself. In the depths of your conscience, ask yourself why you chose the religious missionary life and take stock of your readiness to accept it for what it is: a gift of love at the service of the proclamation of the Gospel. Remember that, even before being necessary for those who have not yet heard it, the proclamation of the Gospel is a necessity for those who love the Master.

Today, the Church’s mission is faced by the challenge of meeting the needs of all people to return to their roots and to protect the values of their respective cultures. This means knowing and respecting other traditions and philosophical systems, and realizing that all peoples and cultures have the right to be helped from within their own traditions to enter into the mystery of God’s wisdom and to accept the Gospel of Jesus, who is light and transforming strength for all cultures.

Within this complex dynamic, we ask ourselves: “Who are the first to whom the Gospel message must be proclaimed?” The answer, found so often throughout the Gospel, is clear: it is the poor, the little ones and the sick, those who are often looked down upon or forgotten, those who cannot repay us (cf. Lk 14:13-14). Evangelization directed preferentially to the least among us is a sign of the Kingdom that Jesus came to bring: “There is an inseparable bond between our faith and the poor. May we never abandon them” (Evangelii Gaudium, 48). This must be clear above all to those who embrace the consecrated missionary life: by the vow of poverty, they choose to follow Christ in his preference for the poor, not ideologically, but in the same way that he identified himself with the poor: by living like them amid the uncertainties of everyday life and renouncing all claims to power, and in this way to become brothers and sisters of the poor, bringing them the witness of the joy of the Gospel and a sign of God’s love.

Living as Christian witnesses and as signs of the Father’s love among the poor and underprivileged, consecrated persons are called to promote the presence of the lay faithful in the service of Church’s mission. As the Second Vatican Council stated: “The laity should cooperate in the Church's work of evangelization; as witnesses and at the same time as living instruments, they share in her saving mission” (Ad Gentes, 41). Consecrated missionaries need to generously welcome those who are willing to work with them, even for a limited period of time, for an experience in the field. They are brothers and sisters who want to share the missionary vocation inherent in Baptism. The houses and structures of the missions are natural places to welcome them and to provide for their human, spiritual and apostolic support.

The Church’s Institutes and Missionary Congregations are completely at the service of those who do not know the Gospel of Jesus. This means that they need to count on the charisms and missionary commitment of their consecrated members. But consecrated men and women also need a structure of service, an expression of the concern of the Bishop of Rome, in order to ensure koinonia, for cooperation and synergy are an integral part of the missionary witness. Jesus made the unity of his disciples a condition so that the world may believe (cf. Jn 17:21). This convergence is not the same as legalism or institutionalism, much less a stifling of the creativity of the Spirit, who inspires diversity. It is about giving a greater fruitfulness to the Gospel message and promoting that unity of purpose which is also the fruit of the Spirit.

The Missionary Societies of the Successor of Peter have a universal apostolic horizon. This is why they also need the many charisms of consecrated life, to address the vast horizons of evangelization and to be able to ensure adequate presence in whatever lands they are sent.

Dear brothers and sisters, a true missionary is passionate for the Gospel. Saint Paul said: “Woe to me if I do not preach the Gospel!” (1 Cor 9:16). The Gospel is the source of joy, liberation and salvation for all men and women. The Church is aware of this gift, and therefore she ceaselessly proclaims to everyone “what was from the beginning, what we have heard, what we have seen with our eyes” (1Jn 1:1). The mission of the servants of the Word – bishops, priests, religious and laity – is to allow everyone, without exception, to enter into a personal relationship with Christ. In the full range of the Church’s missionary activity, all the faithful are called to live their baptismal commitment to the fullest, in accordance with the personal situation of each. A generous response to this universal vocation can be offered by consecrated men and women through an intense life of prayer and union with the Lord and his redeeming sacrifice.

To Mary, Mother of the Church and model of missionary outreach, I entrust all men and women who, in every state of life work to proclaim the Gospel, ad gentes or in their own lands. To all missionaries of the Gospel I willingly impart my Apostolic Blessing.

From the Vatican, 24 May 2015, Solemnity of Pentecost

FRANCISCUS

[00868-EN.01] [Original text: Italian]

Testo in lingua tedesca

Liebe Brüder und Schwestern,

der Weltmissionssonntag 2015 findet im Kontext des Jahres des gottgeweihten Lebens statt und empfängt daraus einen Impuls für das Gebet und die Reflexion. Denn, wenn jeder Getaufte berufen ist, Jesus, den Herrn, durch das Verkünden des als Geschenk empfangenen Glaubens zu bezeugen, so gilt das in besonderer Weise für die gottgeweihte Person, denn zwischen dem gottgeweihten Leben und der Mission besteht eine enge Verbindung. Die Jesusnachfolge, die das Entstehen des geweihten Lebens in der Kirche bestimmt hat, ist die Antwort auf den Ruf, das Kreuz auf sich zu nehmen und Ihm zu folgen, seine Hingabe an den Vater und seine Gesten des Dienstes und der Liebe nachzuahmen und so das Leben zu verlieren, um es neu zu finden. Und da die gesamte Existenz Christi von der Mission geprägt ist, gilt dies auch für Männer und Frauen, die ihm in besonderer Weise folgen.

Die missionarische Dimension, die wesentlich zur Kirche gehört, wohnt jeder Form des gottgeweihten Lebens inne und darf nicht vernachlässigt werden, da dies eine Leere hinterlassen würde, die das Charisma verzerrt. Mission bedeutet nicht Proselytenmacherei oder reine Strategie, Mission ist Teil der „Grammatik“ des Glaubens, sie ist unumgänglich für denjenigen, der die Stimme des Geistes hört, der ihm zuflüstert: „komm“ und „geh“. Wer Christus nachfolgt, muss zum Missionar werden; denn er weiß, dass Jesus «mit ihm geht, mit ihm spricht, mit ihm atmet, mit ihm arbeitet. Er spürt, dass der lebendige Jesus inmitten der missionarischen Arbeit bei ihm ist» (Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 266).

Mission ist Leidenschaft für Jesus Christus und gleichzeitig Leidenschaft für die Menschen. Wenn wir im Gebet vor dem gekreuzigten Jesus verweilen, erkennen wir die Größe seiner Liebe, die uns Würde verleiht und uns trägt; und in diesem Moment spüren wir, dass diese Liebe, die aus seinem durchbohrten Herzen kommt, sich auf das ganze Volk Gottes und die ganze Menschheit erstreckt; und genau dann spüren wir, dass Er uns als Werkzeug nehmen will, um seinem geliebten Volk immer näher zu kommen (vgl. ebd., 268) und allen, die aufrichtig nach ihm suchen. Der Auftrag Jesu des „Geht hinaus!“ umfasst immer wieder neue Szenarien und Herausforderungen, mit denen sich die Evangelisierungstätigkeit der Kirche konfrontiert sieht. In der Kirche sind alle berufen, das Evangelium durch das eigene Lebenszeugnis zu verkünden; und in besonderer Weise wird von gottgeweihten Personen verlangt, dass sie die Stimme des Geistes hören, der sie dazu aufruft, an die großen Peripherien der Mission zu gehen, zu den Völkern, bei denen das Evangelium noch nicht angekommen ist.

Der fünfzigste Jahrestag des Konzilsdekrets Ad gentes lädt dazu ein, dieses Dokument, das bei den Instituten des gottgeweihten Lebens starke missionarische Impulse freisetzte, neu zu lesen und zu bedenken. In den kontemplativen Ordensgemeinschaften erschien die Figur der heiligen Theresia vom Kinde Jesu, die als Schutzpatronin der Missionen die enge Verbindung zwischen dem kontemplativen Leben und der Mission inspiriert, in neuem Licht und mit neuer Aussagekraft. Viele religiöse Gemeinschaften des aktiven Lebens setzten die vom Zweiten Vatikanischen Konzil ausgelöste missionarische Sehnsucht durch eine außerordentliche Öffnung gegenüber der Mission ad gentes um, die oft mit der Aufnahme von Brüdern und Schwestern aus Ländern und Kulturen einherging, denen sie bei der Evangelisierung begegnet waren, so dass man heute von einer weit verbreiteten interkulturellen Dimension des Ordenslebens sprechen kann. Aus diesem Grund ist es besonders wichtig, das Ideal der Mission aus seinem Mittelpunkt Jesus Christus und seinen Anspruch der totalen Selbsthingabe für die Verkündigung des Evangeliums zu erschließen. Dabei dürfen keine Kompromisse gemacht werden: wer, durch die Gnade Gottes, den Missionsauftrag annimmt, ist berufen aus dem Geist der Mission zu leben. Aus diesem Grund ist für diese Personen die Verkündigung Christi an den vielfältigen Peripherien der Welt die Art, die Christusnachfolge zu leben. Sie entlohnt für viele Mühen und Entbehrungen. Jede Tendenz, von dieser Berufung abzuweichen, auch wenn es dafür viele edle Gründe gibt, die mit pastoralen, kirchlichen und humanitären Erfordernissen in Verbindung stehen, stimmt nicht mit dem persönlichen Ruf durch den Herrn zum Dienst am Evangelium überein. Die Ausbilder in den Missionsinstituten sind dazu aufgerufen, sowohl auf diese Lebens- und Handlungsperspektive klar und offen hinzuweisen, als auch maßgeblich echte Missionsberufungen zu erkennen. Ich wende mich vor allem an junge Menschen, die noch fähig sind, ein mutiges Zeugnis abzulegen und großherzige Unternehmungen anzugehen und dabei manchmal auch gegen den Strom zu schwimmen: lasst euch den Traum von der wahren Mission nicht nehmen, von einer Christusnachfolge, die die totale Selbsthingabe mit sich bringt. Fragt euch im Innersten eures Gewissens, was der Grund der Entscheidung für das missionarische Ordensleben sei, und ermesst die Bereitschaft, diese anzunehmen, an dem, was es tatsächlich ist: ein Geschenk der Liebe im Dienst der Verkündung des Evangeliums. Bedenkt dabei, dass die Verkündigung des Evangeliums nicht so sehr ein Erfordernis für die ist, die es nicht kennen, als vielmehr eine Notwendigkeit für diejenigen, die den Meister lieben.

Heute sieht sich die Mission mit der Herausforderung konfrontiert, das Bedürfnis aller Völker zu respektieren, von den eigenen Wurzeln auszugehen und die Werte der jeweiligen Kultur zu erhalten. Es geht darum, andere Traditionen und philosophische Systeme zu verstehen und ihnen respektvoll zu begegnen wie auch jedem Volk und allen Kulturkreisen zuzugestehen, dass sie sich mit Hilfe der eigenen Kultur dem Verständnis des Geheimnisses Gottes und der Annahme des Evangeliums Jesu nähern, das für diese Kulturen Licht und verwandelnde Kraft ist.

Angesichts dieser komplexen Dynamik müssen wir uns fragen: „Wen soll die Verkündigung des Evangeliums bevorzugen?“ Die Antwort ist klar, und wir finden sie im Evangelium selbst: es sind die Armen, die Kleinen, die Kranken, diejenigen, die oft verachtet und vergessen werden, diejenigen, die es nicht vergelten können (vgl. Lk 14,13-14). Die Evangelisierung, die sich vor allem an sie wendet, ist Zeichen des Reiches, das zu bringen Jesus gekommen ist. Es besteht «ein untrennbares Band zwischen unserem Glauben und den Armen […]. Lassen wir die Armen nie allein!” (Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 48). Dies muss vor allem für Personen klar sein, die sich für das missionarische Ordensleben entschieden haben: durch das Gelübde der Armut wählt man die Christusnachfrage in dieser bevorzugten Weise, nicht als Ideologie, sondern indem man sich wie Er mit den Armen identifiziert, indem man wie sie unter prekären alltäglichen Umständen lebt und auf die Ausübung jeglicher Macht verzichtet, um sich zu Brüdern und Schwestern der Letzten zu machen, und ihnen das Zeugnis von der Freude des Evangeliums und den Ausdruck der Liebe Gottes zu bringen.

Damit sie das christliche Zeugnis und die Zeichen der Liebe des Vaters unter den Kleinen und Armen leben können, sind die Ordensleute berufen, im Dienst der Mission die Präsenz der Laiengläubigen zu fördern. Bereits das Zweite Vatikanische Konzil bekräftigte: «Die Laien wirken am Evangelisierungswerk der Kirche mit und haben als Zeugen ebenso wie als lebendige Werkzeuge Anteil an ihrer heilbringenden Sendung» (Ad gentes, 41). Ordensmissionare müssen sich zunehmend mutig gegenüber denjenigen öffnen, die bereit sind, mit ihnen, auch über einen begrenzten Zeitraum, zusammenzuarbeiten und missionarische Erfahrungen zu machen. Sie sind Brüder und Schwestern, die die der Taufe innewohnende missionarische Berufung teilen wollen. Die Häuser und Einrichtungen der Missionen sind natürliche Orte für ihre Aufnahme und ihre menschliche, geistliche und apostolische Unterstützung.

Die missionarischen Institutionen und Werke der Kirche stellen sich gänzlich in den Dienst derjenigen, die das Evangelium Jesu nicht kennen. Damit dieses Ziel wirksam umgesetzt werden kann, brauchen sie die Charismen und das missionarische Engagement der Personen des gottgeweihten Lebens, aber auch die gottgeweihten Personen brauchen eine Struktur, die sich in ihren Dienst stellt. Sie ist Ausdruck der Fürsorge des Bischofs von Rom, wenn es darum geht, die Koinonia zu garantieren, damit die Zusammenarbeit und die Synergie wesentlicher Bestandteil des missionarischen Zeugnisses sind. Jesus hat die Einheit seiner Jünger zur Bedingung gemacht, damit die Welt glaubt (vgl. Joh 17,21). Diese Konvergenz ist nicht gleichbedeutend mit einer juridisch-organisatorischen Unterordnung unter institutionelle Organismen oder einer Abtötung der Phantasie des Heiligen Geistes, der die Verschiedenheit weckt, sondern soll vielmehr der Botschaft des Evangeliums mehr Wirksamkeit geben und jene Einheit bei den Vorhaben fördern, die ebenfalls Frucht des Geistes ist.

Das Missionswerk des Petrusnachfolgers hat einen universalen apostolischen Horizont. Aus diesem Grund braucht es die vielen Charismen des gottgeweihten Lebens, damit es sich dem weiten Horizont der Evangelisierung zuwenden kann und in der Lage ist, eine angemessene Präsenz an den Grenzen und in den bereits erreichten Gebieten zu gewährleisten.

Liebe Brüder und Schwestern, die Leidenschaft des Missionars ist das Evangelium. Der heilige Paulus sagte: «Weh mir, wenn ich das Evangelium nicht verkünde!“ (1 Kor 9,16). Das Evangelium ist Quelle der Freude, der Befreiung und des Heils für jeden Menschen. Die Kirche weiß um dieses Geschenk; deshalb wird sie nicht müde, unaufhörlich unter allen zu verkünden, «was von Anfang an war, was wir gehört haben, was wir mit unseren Augen gesehen haben» (1 Joh 1,1). Die Sendung der Diener des Wortes – Bischöfe, Priester, Ordensleute und Laien – ist es, alle, ohne Ausnahme, zur persönlichen Begegnung mit Christus zu führen. Im weiten Feld der Missionstätigkeit der Kirche ist jeder Getaufte berufen, sein Engagement, je nach der persönlichen Lebenslage, bestmöglich zu leben. Einen großherzigen Beitrag zu dieser universalen Berufung können die gottgeweihten Personen durch das intensive Gebet und die Einheit mit dem Herrn und mit seinem erlösenden Opfer leisten.

Maria, Mutter der Kirche und Vorbild des missionarischen Lebens, vertraue ich all diejenigen an, die ad gentes oder im eigenen Land, in jedem Lebensstand an der Verkündigung des Evangeliums mitwirken, und erteile allen den Apostolischen Segen.

Aus dem Vatikan, am 24. Mai 2015, Hochfest von Pfingsten

FRANCISCUS

[00868-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Testo in lingua spagnola

Queridos hermanos y hermanas:

La Jornada Mundial de las Misiones 2015 tiene lugar en el contexto del Año de la Vida Consagrada, y recibe de ello un estímulo para la oración y la reflexión. De hecho, si todo bautizado está llamado a dar testimonio del Señor Jesús proclamando la fe que ha recibido como un don, esto es particularmente válido para la persona consagrada, porque entre la vida consagrada y la misión subsiste un fuerte vínculo. El seguimiento de Jesús, que ha dado lugar a la aparición de la vida consagrada en la Iglesia, responde a la llamada a tomar la cruz e ir tras él, a imitar su dedicación al Padre y sus gestos de servicio y de amor, a perder la vida para encontrarla. Y dado que toda la existencia de Cristo tiene un carácter misionero, los hombres y las mujeres que le siguen más de cerca asumen plenamente este mismo carácter.

La dimensión misionera, al pertenecer a la naturaleza misma de la Iglesia, es también intrínseca a toda forma de vida consagrada, y no puede ser descuidada sin que deje un vacío que desfigure el carisma. La misión no es proselitismo o mera estrategia; la misión es parte de la “gramática” de la fe, es algo imprescindible para aquellos que escuchan la voz del Espíritu que susurra “ven” y “ve”. Quién sigue a Cristo se convierte necesariamente en misionero, y sabe que Jesús «camina con él, habla con él, respira con él. Percibe a Jesús vivo con él en medio de la tarea misionera» (Exhort. ap. Evangelii gaudium, 266).

La misión es una pasión por Jesús pero, al mismo tiempo, es una pasión por su pueblo. Cuando nos detenemos ante Jesús crucificado, reconocemos todo su amor que nos dignifica y nos sostiene; y en ese mismo momento percibimos que ese amor, que nace de su corazón traspasado, se extiende a todo el pueblo de Dios y a la humanidad entera; Así redescubrimos que él nos quiere tomar como instrumentos para llegar cada vez más cerca de su pueblo amado (cf. ibid., 268) y de todos aquellos que lo buscan con corazón sincero. En el mandato de Jesús: “id” están presentes los escenarios y los desafíos siempre nuevos de la misión evangelizadora de la Iglesia. En ella todos están llamados a anunciar el Evangelio a través del testimonio de la vida; y de forma especial se pide a los consagrados que escuchen la voz del Espíritu, que los llama a ir a las grandes periferias de la misión, entre las personas a las que aún no ha llegado todavía el Evangelio.

El quincuagésimo aniversario del Decreto conciliar Ad gentes nos invita a releer y meditar este documento que suscitó un fuerte impulso misionero en los Institutos de Vida Consagrada. En las comunidades contemplativas retomó luz y elocuencia la figura de santa Teresa del Niño Jesús, patrona de las misiones, como inspiradora del vínculo íntimo de la vida contemplativa con la misión. Para muchas congregaciones religiosas de vida activa el anhelo misionero que surgió del Concilio Vaticano II se puso en marcha con una apertura extraordinaria a la misión ad gentes, a menudo acompañada por la acogida de hermanos y hermanas provenientes de tierras y culturas encontradas durante la evangelización, por lo que hoy en día se puede hablar de una interculturalidad generalizada en la vida consagrada. Precisamente por esta razón, es urgente volver a proponer el ideal de la misión en su centro: Jesucristo, y en su exigencia: la donación total de sí mismo a la proclamación del Evangelio. No puede haber ninguna concesión sobre esto: quién, por la gracia de Dios, recibe la misión, está llamado a vivir la misión. Para estas personas, el anuncio de Cristo, en las diversas periferias del mundo, se convierte en la manera de vivir el seguimiento de él y recompensa los muchos esfuerzos y privaciones. Cualquier tendencia a desviarse de esta vocación, aunque sea acompañada por nobles motivos relacionados con la muchas necesidades pastorales, eclesiales o humanitarias, no está en consonancia con el llamamiento personal del Señor al servicio del Evangelio. En los Institutos misioneros los formadores están llamados tanto a indicar clara y honestamente esta perspectiva de vida y de acción como a actuar con autoridad en el discernimiento de las vocaciones misioneras auténticas. Me dirijo especialmente a los jóvenes, que siguen siendo capaces de dar testimonios valientes y de realizar hazañas generosas a veces contra corriente: no dejéis que os roben el sueño de una misión auténtica, de un seguimiento de Jesús que implique la donación total de sí mismo. En el secreto de vuestra conciencia, preguntaos cuál es la razón por la que habéis elegido la vida religiosa misionera y medid la disposición a aceptarla por lo que es: un don de amor al servicio del anuncio del Evangelio, recordando que, antes de ser una necesidad para aquellos que no lo conocen, el anuncio del Evangelio es una necesidad para los que aman al Maestro.

Hoy, la misión se enfrenta al reto de respetar la necesidad de todos los pueblos de partir de sus propias raíces y de salvaguardar los valores de las respectivas culturas. Se trata de conocer y respetar otras tradiciones y sistemas filosóficos, y reconocer a cada pueblo y cultura el derecho de hacerse ayudar por su propia tradición en la inteligencia del misterio de Dios y en la acogida del Evangelio de Jesús, que es luz para las culturas y fuerza transformadora de las mismas.

Dentro de esta compleja dinámica, nos preguntamos: “¿Quiénes son los destinatarios privilegiados del anuncio evangélico?” La respuesta es clara y la encontramos en el mismo Evangelio: los pobres, los pequeños, los enfermos, aquellos que a menudo son despreciados y olvidados, aquellos que no tienen como pagarte (cf. Lc 14,13-14). La evangelización, dirigida preferentemente a ellos, es signo del Reino que Jesús ha venido a traer: «Existe un vínculo inseparable entre nuestra fe y los pobres. Nunca los dejemos solos» (Exhort. ap. Evangelii gaudium, 48). Esto debe estar claro especialmente para las personas que abrazan la vida consagrada misionera: con el voto de pobreza se escoge seguir a Cristo en esta preferencia suya, no ideológicamente, sino como él, identificándose con los pobres, viviendo como ellos en la precariedad de la vida cotidiana y en la renuncia de todo poder para convertirse en hermanos y hermanas de los últimos, llevándoles el testimonio de la alegría del Evangelio y la expresión de la caridad de Dios.

Para vivir el testimonio cristiano y los signos del amor del Padre entre los pequeños y los pobres, las personas consagradas están llamadas a promover, en el servicio de la misión, la presencia de los fieles laicos. Ya el Concilio Ecuménico Vaticano II afirmaba: «Los laicos cooperan a la obra de evangelización de la Iglesia y participan de su misión salvífica a la vez como testigos y como instrumentos vivos» (Ad gentes, 41). Es necesario que los misioneros consagrados se abran cada vez con mayor valentía a aquellos que están dispuestos a colaborar con ellos, aunque sea por un tiempo limitado, para una experiencia sobre el terreno. Son hermanos y hermanas que quieren compartir la vocación misionera inherente al Bautismo. Las casas y las estructuras de las misiones son lugares naturales para su acogida y su apoyo humano, espiritual y apostólico.

Las Instituciones y Obras misioneras de la Iglesia están totalmente al servicio de los que no conocen el Evangelio de Jesús. Para lograr eficazmente este objetivo, estas necesitan los carismas y el compromiso misionero de los consagrados, pero también, los consagrados, necesitan una estructura de servicio, expresión de la preocupación del Obispo de Roma para asegurar la koinonía, de forma que la colaboración y la sinergia sean una parte integral del testimonio misionero. Jesús ha puesto la unidad de los discípulos, como condición para que el mundo crea (cf. Jn 17,21). Esta convergencia no equivale a una sumisión jurídico-organizativa a organizaciones institucionales, o a una mortificación de la fantasía del Espíritu que suscita la diversidad, sino que significa dar más eficacia al mensaje del Evangelio y promover aquella unidad de propósito que es también fruto del Espíritu.

La Obra Misionera del Sucesor de Pedro tiene un horizonte apostólico universal. Por ello también necesita de los múltiples carismas de la vida consagrada, para abordar al vasto horizonte de la evangelización y para poder garantizar una adecuada presencia en las fronteras y territorios alcanzados.

Queridos hermanos y hermanas, la pasión del misionero es el Evangelio. San Pablo podía afirmar: «¡Ay de mí si no anuncio el Evangelio!» (1 Cor 9,16). El Evangelio es fuente de alegría, de liberación y de salvación para todos los hombres. La Iglesia es consciente de este don, por lo tanto, no se cansa de proclamar sin cesar a todos «lo que existía desde el principio, lo que hemos oído, lo que hemos visto con nuestros propios ojos» (1 Jn 1,1). La misión de los servidores de la Palabra - obispos, sacerdotes, religiosos y laicos - es la de poner a todos, sin excepción, en una relación personal con Cristo. En el inmenso campo de la acción misionera de la Iglesia, todo bautizado está llamado a vivir lo mejor posible su compromiso, según su situación personal. Una respuesta generosa a esta vocación universal la pueden ofrecer los consagrados y las consagradas, a través de una intensa vida de oración y de unión con el Señor y con su sacrificio redentor.

Mientras encomiendo a María, Madre de la Iglesia y modelo misionero, a todos aquellos que, ad gentes o en su propio territorio, en todos los estados de vida cooperan al anuncio del Evangelio, os envío de todo corazón mi Bendición Apostólica.

Vaticano, 24 de mayo de 2015, Solemnidad de Pentecostés

FRANCISCUS

[00868-ES.01] [Texto original: Italiano]

Testo in lingua portoghese

Queridos irmãos e irmãs,

Neste ano de 2015, o Dia Mundial das Missões tem como pano de fundo o Ano da Vida Consagrada, que serve de estímulo para a sua oração e reflexão. Na verdade, entre a vida consagrada e a missão subsiste uma forte ligação, porque, se todo o baptizado é chamado a dar testemunho do Senhor Jesus, anunciando a fé que recebeu em dom, isto vale de modo particular para a pessoa consagrada. O seguimento de Jesus, que motivou a aparição da vida consagrada na Igreja, é reposta à chamada para se tomar a cruz e segui-Lo, imitar a sua dedicação ao Pai e os seus gestos de serviço e amor, perder a vida a fim de a reencontrar. E, dado que toda a vida de Cristo tem carácter missionário, os homens e mulheres que O seguem mais de perto assumem plenamente este mesmo carácter.

A dimensão missionária, que pertence à própria natureza da Igreja, é intrínseca também a cada forma de vida consagrada, e não pode ser transcurada sem deixar um vazio que desfigura o carisma. A missão não é proselitismo, nem mera estratégia; a missão faz parte da «gramática» da fé, é algo de imprescindível para quem se coloca à escuta da voz do Espírito, que sussurra «vem» e «vai». Quem segue Cristo não pode deixar de tornar-se missionário, e sabe que Jesus «caminha com ele, fala com ele, respira com ele, trabalha com ele. Sente Jesus vivo com ele, no meio da tarefa missionária» (Exort. ap. Evangelii gaudium, 266).

A missão é uma paixão por Jesus Cristo e, ao mesmo tempo, uma paixão pelas pessoas. Quando nos detemos em oração diante de Jesus crucificado, reconhecemos a grandeza do seu amor, que nos dignifica e sustenta e, simultaneamente, apercebemo-nos de que aquele amor, saído do seu coração trespassado, estende-se a todo o povo de Deus e à humanidade inteira; e, precisamente deste modo, sentimos também que Ele quer servir-Se de nós para chegar cada vez mais perto do seu povo amado (cf. Ibid., 268) e de todos aqueles que O procuram de coração sincero. Na ordem de Jesus – «Ide» –, estão contidos os cenários e os desafios sempre novos da missão evangelizadora da Igreja. Nesta, todos são chamados a anunciar o Evangelho pelo testemunho da vida; e, de forma especial aos consagrados, é pedido para ouvirem a voz do Espírito que os chama a partir para as grandes periferias da missão, entre os povos onde ainda não chegou o Evangelho.

O cinquentenário do Decreto conciliar Ad gentes convida-nos a reler e meditar este documento que suscitou um forte impulso missionário nos Institutos de Vida Consagrada. Nas comunidades contemplativas, recobrou luz e eloquência a figura de Santa Teresa do Menino Jesus, padroeira das missões, como inspiradora da íntima ligação que há entre a vida contemplativa e a missão. Para muitas congregações religiosas de vida activa, a ânsia missionária surgida do Concílio Vaticano II concretizou-se numa extraordinária abertura à missão ad gentes, muitas vezes acompanhada pelo acolhimento de irmãos e irmãs provenientes das terras e culturas encontradas na evangelização, de modo que hoje pode-se falar de uma generalizada interculturalidade na vida consagrada. Por isso mesmo, é urgente repropor o ideal da missão com o seu centro em Jesus Cristo e a sua exigência na doação total de si mesmo ao anúncio do Evangelho. Nisto não se pode transigir: quem acolhe, pela graça de Deus, a missão, é chamado a viver de missão. Para tais pessoas, o anúncio de Cristo, nas múltiplas periferias do mundo, torna-se o modo de viver o seguimento d’Ele e a recompensa de tantas canseiras e privações. Qualquer tendência a desviar desta vocação, mesmo se corroborada por nobres motivações relacionadas com tantas necessidades pastorais, eclesiais e humanitárias, não está de acordo com a chamada pessoal do Senhor ao serviço do Evangelho. Nos Institutos Missionários, os formadores são chamados tanto a apontar, clara e honestamente, esta perspectiva de vida e acção, como a discernir com autoridade autênticas vocações missionárias. Dirijo-me sobretudo aos jovens, que ainda são capazes de testemunhos corajosos e de empreendimentos generosos e às vezes contracorrente: não deixeis que vos roubem o sonho duma verdadeira missão, dum seguimento de Jesus que implique o dom total de si mesmo. No segredo da vossa consciência, interrogai-vos sobre a razão pela qual escolhestes a vida religiosa missionária e calculai a disponibilidade que tendes para a aceitar por aquilo que é: um dom de amor ao serviço do anúncio do Evangelho, nunca vos esquecendo de que o anúncio do Evangelho, antes de ser uma necessidade para quantos que não o conhecem, é uma carência para quem ama o Mestre.

Hoje, a missão enfrenta o desafio de respeitar a necessidade que todos os povos têm de recomeçar das próprias raízes e salvaguardar os valores das respectivas culturas. Trata-se de conhecer e respeitar outras tradições e sistemas filosóficos e reconhecer a cada povo e cultura o direito de fazer-se ajudar pela própria tradição na compreensão do mistério de Deus e no acolhimento do Evangelho de Jesus, que é luz para as culturas e força transformadora das mesmas.

Dentro desta dinâmica complexa, ponhamo-nos a questão: «Quem são os destinatários privilegiados do anúncio evangélico?» A resposta é clara; encontramo-la no próprio Evangelho: os pobres, os humildes e os doentes, aqueles que muitas vezes são desprezados e esquecidos, aqueles que não te podem retribuir (cf. Lc 14, 13-14). Uma evangelização dirigida preferencialmente a eles é sinal do Reino que Jesus veio trazer: «existe um vínculo indissolúvel entre a nossa fé e os pobres. Não os deixemos jamais sozinhos!» (Exort. ap. Evangelii gaudium, 48). Isto deve ser claro especialmente para as pessoas que abraçam a vida consagrada missionária: com o voto de pobreza, escolhem seguir Cristo nesta sua preferência, não ideologicamente, mas identificando-se como Ele com os pobres, vivendo como eles na precariedade da vida diária e na renúncia ao exercício de qualquer poder para se tornar irmãos e irmãs dos últimos, levando-lhes o testemunho da alegria do Evangelho e a expressão da caridade de Deus.

Para viver o testemunho cristão e os sinais do amor do Pai entre os humildes e os pobres, os consagrados são chamados a promover, no serviço da missão, a presença dos fiéis leigos. Como já afirmava o Concílio Ecuménico Vaticano II, «os leigos colaboram na obra de evangelização da Igreja e participam da sua missão salvífica, ao mesmo tempo como testemunhas e como instrumentos vivos» (Ad gentes, 41). É necessário que os consagrados missionários se abram, cada vez mais corajosamente, àqueles que estão dispostos a cooperar com eles, mesmo durante um tempo limitado numa experiência ao vivo. São irmãos e irmãs que desejam partilhar a vocação missionária inscrita no Baptismo. As casas e as estruturas das missões são lugares naturais para o seu acolhimento e apoio humano, espiritual e apostólico.

As Instituições e as Obras Missionárias da Igreja estão postas totalmente ao serviço daqueles que não conhecem o Evangelho de Jesus. Para realizar eficazmente este objectivo, aquelas precisam dos carismas e do compromisso missionário dos consagrados, mas também os consagrados precisam duma estrutura de serviço, expressão da solicitude do Bispo de Roma para garantir de tal modo a koinonia que a colaboração e a sinergia façam parte integrante do testemunho missionário. Jesus colocou a unidade dos discípulos como condição para que o mundo creia (cf. Jo 17, 21). A referida convergência não equivale a uma submissão jurídico-organizativa a organismos institucionais, nem a uma mortificação da fantasia do Espírito que suscita a diversidade, mas significa conferir maior eficácia à mensagem evangélica e promover aquela unidade de intentos que é fruto também do Espírito.

A Obra Missionária do Sucessor de Pedro tem um horizonte apostólico universal. Por isso, tem necessidade também dos inúmeros carismas da vida consagrada, para dirigir-se ao vasto horizonte da evangelização e ser capaz de assegurar uma presença adequada nas fronteiras e nos territórios alcançados.

Queridos irmãos e irmãs, a paixão do missionário é o Evangelho. São Paulo podia afirmar: «Ai de mim, se eu não evangelizar!» (1 Cor 9, 16). O Evangelho é fonte de alegria, liberdade e salvação para cada homem. Ciente deste dom, a Igreja não se cansa de anunciar, incessantemente, a todos «O que existia desde o princípio, O que ouvimos, O que vimos com os nossos olhos» (1 Jo 1, 1). A missão dos servidores da Palavra – bispos, sacerdotes, religiosos e leigos – é colocar a todos, sem excluir ninguém, em relação pessoal com Cristo. No campo imenso da actividade missionária da Igreja, cada baptizado é chamado a viver o melhor possível o seu compromisso, segundo a sua situação pessoal. Uma resposta generosa a esta vocação universal pode ser oferecida pelos consagrados e consagradas através duma vida intensa de oração e união com o Senhor e com o seu sacrifício redentor.

Ao mesmo tempo que confio a Maria, Mãe da Igreja e modelo de missionariedade, todos aqueles que, ad gentes ou no próprio território, em todos os estados de vida, cooperam no anúncio do Evangelho, de coração concedo a cada um a Bênção Apostólica.

Vaticano, 24 de Maio – Solenidade de Pentecostes – de 2015.

FRANCISCUS

[00868-PO.01] [Texto original: Italiano]

Testo in lingua cinese

亲爱的兄弟姐妹们,

二O一五年世界传教节正值度献身生活者年,进一步激励我们祈祷和反思。事实上,如果每一名受洗者蒙召在宣讲所获享的信仰的同时见证上主耶稣,那么对度献身生活者而言也就更是如此。因为献身生活和传教生活之间存在着密切的关系。耶稣决定了献身生活在教会内的诞生。而耶稣的追随者回应召叫背负起十字架、追随祂;效仿祂那样献身天父以及祂服务与爱的行动;为了重新找回生命而失去生命。而且,基督毕生都体现了传教性,密切追随祂的男女老少们也都完全地承担起了同样的特性。

传教性,也是教会本质的同时,其本身而言也是各种献身生活的本质。不能忽视,否则就会留下有损神恩的空白。传教不是强迫他人改教或者纯粹的战略手段;传教是信仰的组成部分、是那些倾听圣神在他耳边低吟——“来吧”、“去吧”——的人所不能不顾及的。追随基督的人不能不成为传教士,懂得耶稣“与他同行、对他讲话、和他同声同气、一起工作”(宗座劝谕《福音的喜乐》266)。

传教是对耶稣基督徒的挚爱。同时,也是对人的挚爱。当我们在被钉十字架的耶稣面前祈祷时,我们认同祂的爱的伟大。这爱给了我们尊严、支持我们。同时,我们意识到那发自祂刺穿的心的爱遍及到了全体天主子民和全人类;恰恰是这样,我们感到祂要用我们来更加接近祂深爱的子民(同上,268),以及所有真诚地寻找祂的人。耶稣的告诫“你们去”揭示了不断更新的教会福传事业的景象与挑战。在其中,我们所有人都蒙召用生活的见证宣讲福音。并特别要求度献身生活者聆听圣神召叫他们到传教事业的巨大荒野去的声音,到那些尚未获得福音的人们中间。

梵蒂冈第二届大公会议《教会传教工作法令》颁布五十周年之际,邀请我们重新阅读和反思这一在修会中激发了巨大传教热忱的文件。默观生活团体中再次闪耀着传教主保,耶稣圣婴圣女小德兰的光芒以及具有说服力的形象。她是默观生活与传教事业密切关系的启迪者。对于许多度活跃传教生活的修会团体来说,梵二大公会议激发的传教渴望,因着向外邦人传教事业的特别开放实现,常常还伴随着接纳兄弟姐妹们。这些兄弟姐妹是在福传中结识的那些土地和文化中的人们。以至于可以说,今天度献身生活中普遍存在文化交织现象。恰恰为此,迫切需要重新将传教理想放在其中心:耶稣基督;其所需要的:为福音宣讲完全奉献自己。在这一点上是不能妥协的:因着天主的恩宠接纳传教的人,便蒙召善度传教生活。对这个人而言,在世界各国荒野的角落里宣讲基督也就成了善度追随祂生活的方式、补偿了无数的艰辛和牺牲。任何扭曲这圣召的倾向,尽管伴随着与牧灵、教会或者人道主义需要相关的崇高目的,也不符合为福音服务的上主的亲自召叫。在传教修会里,培育人员蒙召明确、坦率地指出这一生活和行动的前景,在真正的传教圣召识别中要有权威性。我特别要向青年人说:不要让你们真正的传教、在完全奉献自我中实现的追随耶稣的梦想被偷走。青年人还能够勇敢地见证、慷慨地奉献,有时甚至是逆流而上。在你们的良心深处,你们要自问自己究竟为了什么选择了传教献身生活、较比一下是否愿意按照其本身来接受它:这是热爱宣讲福音的礼物,同时还要记住,在成为那些尚不认识福音的人的需要之前,宣讲福音是那些爱导师耶稣的人所必要的。

今天,传教面临着尊重各民族从各自的根源重新起步、维护各自文化价值这一需要的挑战。这是认识和尊重其它传统以及哲学体系、承认各个民族和文化有权本着各自传统认识天主奥迹、接纳耶稣的福音,而耶稣是文化的光芒、改变这一文化的力量。

在这一复杂的过程中,我们要问:“究竟谁是福音宣讲的首选对象”?答案是明确的,我们可以在福音内找到:贫穷的、弱小者、濒临死亡的人;那些常常被藐视、被遗忘的人;那些没有可报答你的人(参见路,14,13-14)。福传主要是面向他们的,这是耶稣来带给我们的天国的标志:“我们的信德和穷人之间有不可分割的纽带,但愿我们对他们永远不离不弃”(宗座劝谕《福音的喜乐》48)。也就是说,那些拥抱传教献身生活的人应该特别清楚:因着神贫的誓愿选择了通过这种生活方式追随基督,不是意识形态上的,而是像祂一样做穷人,像穷人一样在日常生活中恪守简朴生活、放弃一切权力从而成为最弱小者的兄弟姐妹,将福音喜乐和天主爱德的见证带给他们。

为了在弱小者和穷人中善作基督信仰见证、天主之爱的标志,度献身生活者蒙召推动平信徒参与传教服务。早在梵蒂冈第二届大公会议中就指出:“教友们协助教会的福音工作,他们以见证及活工具的资格参与教会的救世使命”(《教会传教工作法令》41)。这是度献身生活传教士们不断勇敢地向那些愿意与他们合作的人开放所必要的,哪怕是在一段有限的时间里与他们合作、积累实际的经验。他们是渴望分享在圣洗圣事中获得的传教圣召的兄弟姐妹。传教之家或者传教机构是接纳他们;予以他们人性、精神和使徒帮助的当然场所。

教会的各个传教机构以及传教善会都是为了不认识耶稣福音的人服务的。为了有效地实现这一目标,他们需要度献身生活者的传教神恩和传教努力,而度献身生活者也需要一个服务机构、展示了罗马主教对保障共融的关注,就像合作与协调是传教见证的组成部分。耶稣将门徒合一作为叫世界相信(参见若17,21)的条件。这种一致并不等于在法律-组织方面屈从于行政机构,或者遏制圣神那激发不同的创造性,而是意味着更加有效地宣讲福音信息、推动合一意图,这也是圣神的成果。

伯多禄继承人的传教事业具有普遍的使徒性前景。为此,也需要许多度献身生活的神恩,从而面向福传的宽广天地、有能力保障在所到达的疆域和土地上的相应临在。

亲爱的兄弟姐妹们,传教的激情是福音。圣保禄指出“我若不传福音,我就有祸了”(格前9,16)。福音是喜乐、自由、挽救每个人的源泉。教会深知这一恩典,所以会永远坚持不懈地向所有人宣讲“那从起初就有的生命的圣言,就是我们听见过,我们亲眼看见过”(若一1,1)。无一例外,圣言的忠仆——主教、司铎、平信徒——就是那些要把一切都奉献给与基督密切关系的人。在教会传教活动的广阔天地里,每一名受洗的人都蒙召按照各自的情况善度自己的使命。度献身生活的男女们可以通过虔诚的祈祷生活和与上主、与祂救赎牺牲的结合,慷慨地回应这一普世圣召。

我在把所有在生活中以各种形式为宣讲福音合作——无论是向外邦人传教、还是在本国土地上——的人交托给教会之母、传教楷模玛利亚的同时,由衷地向你们每一个人颁赠宗座遐福。

自梵蒂冈

[00868-AA.01] [Testo originale: Italiano]

[B0397-XX.01]