Messaggio del Santo Padre
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Il 26 aprile 2015, IV Domenica di Pasqua, si celebra la 52ma Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni sul tema: L’esodo, esperienza fondamentale della vocazione.
Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Francesco invia per l’occasione ai Vescovi, ai sacerdoti, ai consacrati ed ai fedeli di tutto il mondo:
Messaggio del Santo Padre
L’esodo, esperienza fondamentale della vocazione
Cari fratelli e sorelle!
La quarta Domenica di Pasqua ci presenta l’icona del Buon Pastore che conosce le sue pecore, le chiama, le nutre e le conduce. In questa Domenica, da oltre 50 anni, viviamo la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. Ogni volta essa ci richiama l’importanza di pregare perché, come disse Gesù ai suoi discepoli, «il signore della messe…mandi operai nella sua messe» (Lc 10,2). Gesù esprime questo comando nel contesto di un invio missionario: ha chiamato, oltre ai dodici apostoli, altri settantadue discepoli e li invia a due a due per la missione (Lc 10,1-16). In effetti, se la Chiesa «è per sua natura missionaria» (Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Ad gentes, 2), la vocazione cristiana non può che nascere all’interno di un’esperienza di missione. Così, ascoltare e seguire la voce di Cristo Buon Pastore, lasciandosi attrarre e condurre da Lui e consacrando a Lui la propria vita, significa permettere che lo Spirito Santo ci introduca in questo dinamismo missionario, suscitando in noi il desiderio e il coraggio gioioso di offrire la nostra vita e di spenderla per la causa del Regno di Dio.
L’offerta della propria vita in questo atteggiamento missionario è possibile solo se siamo capaci di uscire da noi stessi. Perciò, in questa 52ª Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, vorrei riflettere proprio su quel particolare “esodo” che è la vocazione, o, meglio, la nostra risposta alla vocazione che Dio ci dona. Quando sentiamo la parola “esodo”, il nostro pensiero va subito agli inizi della meravigliosa storia d’amore tra Dio e il popolo dei suoi figli, una storia che passa attraverso i giorni drammatici della schiavitù in Egitto, la chiamata di Mosè, la liberazione e il cammino verso la terra promessa. Il libro dell’Esodo – il secondo libro della Bibbia –, che narra questa storia, rappresenta una parabola di tutta la storia della salvezza, e anche della dinamica fondamentale della fede cristiana. Infatti, passare dalla schiavitù dell’uomo vecchio alla vita nuova in Cristo è l’opera redentrice che avviene in noi per mezzo della fede (Ef 4,22-24). Questo passaggio è un vero e proprio “esodo”, è il cammino dell’anima cristiana e della Chiesa intera, l’orientamento decisivo dell’esistenza rivolta al Padre.
Alla radice di ogni vocazione cristiana c’è questo movimento fondamentale dell’esperienza di fede: credere vuol dire lasciare sé stessi, uscire dalla comodità e rigidità del proprio io per centrare la nostra vita in Gesù Cristo; abbandonare come Abramo la propria terra mettendosi in cammino con fiducia, sapendo che Dio indicherà la strada verso la nuova terra. Questa “uscita” non è da intendersi come un disprezzo della propria vita, del proprio sentire, della propria umanità; al contrario, chi si mette in cammino alla sequela del Cristo trova la vita in abbondanza, mettendo tutto sé stesso a disposizione di Dio e del suo Regno. Dice Gesù: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19,29). Tutto ciò ha la sua radice profonda nell’amore. Infatti, la vocazione cristiana è anzitutto una chiamata d’amore che attrae e rimanda oltre sé stessi, decentra la persona, innesca «un esodo permanente dall’io chiuso in sé stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio» (Benedetto XVI, Lett. Enc. Deus Caritas est, 6).
L’esperienza dell’esodo è paradigma della vita cristiana, in particolare di chi abbraccia una vocazione di speciale dedizione al servizio del Vangelo. Consiste in un atteggiamento sempre rinnovato di conversione e trasformazione, in un restare sempre in cammino, in un passare dalla morte alla vita così come celebriamo in tutta la liturgia: è il dinamismo pasquale. In fondo, dalla chiamata di Abramo a quella di Mosè, dal cammino peregrinante di Israele nel deserto alla conversione predicata dai profeti, fino al viaggio missionario di Gesù che culmina nella sua morte e risurrezione, la vocazione è sempre quell’azione di Dio che ci fa uscire dalla nostra situazione iniziale, ci libera da ogni forma di schiavitù, ci strappa dall’abitudine e dall’indifferenza e ci proietta verso la gioia della comunione con Dio e con i fratelli. Rispondere alla chiamata di Dio, dunque, è lasciare che Egli ci faccia uscire dalla nostra falsa stabilità per metterci in cammino verso Gesù Cristo, termine primo e ultimo della nostra vita e della nostra felicità.
Questa dinamica dell’esodo non riguarda solo il singolo chiamato, ma l’azione missionaria ed evangelizzatrice di tutta la Chiesa. La Chiesa è davvero fedele al suo Maestro nella misura in cui è una Chiesa “in uscita”, non preoccupata di sé stessa, delle proprie strutture e delle proprie conquiste, quanto piuttosto capace di andare, di muoversi, di incontrare i figli di Dio nella loro situazione reale e di com-patire per le loro ferite. Dio esce da sé stesso in una dinamica trinitaria di amore, ascolta la miseria del suo popolo e interviene per liberarlo (Es 3,7). A questo modo di essere e di agire è chiamata anche la Chiesa: la Chiesa che evangelizza esce incontro all’uomo, annuncia la parola liberante del Vangelo, cura con la grazia di Dio le ferite delle anime e dei corpi, solleva i poveri e i bisognosi.
Cari fratelli e sorelle, questo esodo liberante verso Cristo e verso i fratelli rappresenta anche la via per la piena comprensione dell’uomo e per la crescita umana e sociale nella storia. Ascoltare e accogliere la chiamata del Signore non è una questione privata e intimista che possa confondersi con l’emozione del momento; è un impegno concreto, reale e totale che abbraccia la nostra esistenza e la pone al servizio della costruzione del Regno di Dio sulla terra. Perciò la vocazione cristiana, radicata nella contemplazione del cuore del Padre, spinge al tempo stesso all’impegno solidale a favore della liberazione dei fratelli, soprattutto dei più poveri. Il discepolo di Gesù ha il cuore aperto al suo orizzonte sconfinato, e la sua intimità con il Signore non è mai una fuga dalla vita e dal mondo ma, al contrario, «si configura essenzialmente come comunione missionaria» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 23).
Questa dinamica esodale, verso Dio e verso l’uomo, riempie la vita di gioia e di significato. Vorrei dirlo soprattutto ai più giovani che, anche per la loro età e per la visione del futuro che si spalanca davanti ai loro occhi, sanno essere disponibili e generosi. A volte le incognite e le preoccupazioni per il futuro e l’incertezza che intacca la quotidianità rischiano di paralizzare questi loro slanci, di frenare i loro sogni, fino al punto di pensare che non valga la pena impegnarsi e che il Dio della fede cristiana limiti la loro libertà. Invece, cari giovani, non ci sia in voi la paura di uscire da voi stessi e di mettervi in cammino! Il Vangelo è la Parola che libera, trasforma e rende più bella la nostra vita. Quanto è bello lasciarsi sorprendere dalla chiamata di Dio, accogliere la sua Parola, mettere i passi della vostra esistenza sulle orme di Gesù, nell’adorazione del mistero divino e nella dedizione generosa agli altri! La vostra vita diventerà ogni giorno più ricca e più gioiosa!
La Vergine Maria, modello di ogni vocazione, non ha temuto di pronunciare il proprio “fiat” alla chiamata del Signore. Lei ci accompagna e ci guida. Con il coraggio generoso della fede, Maria ha cantato la gioia di uscire da sé stessa e affidare a Dio i suoi progetti di vita. A lei ci rivolgiamo per essere pienamente disponibili al disegno che Dio ha su ciascuno di noi; perché cresca in noi il desiderio di uscire e di andare, con sollecitudine, verso gli altri (cfr Lc 1,39). La Vergine Madre ci protegga e interceda per tutti noi.
Dal Vaticano, 29 marzo 2015, Domenica delle Palme
FRANCISCUS
[00588-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
L’exode, expérience fondamentale de la vocation
Chers frères et sœurs,
Le quatrième dimanche de Pâques nous présente l’icône du Bon Pasteur qui connaît ses brebis, les appelle, les nourrit et les conduit. En ce dimanche, depuis plus de 50 ans, nous vivons la Journée mondiale de prière pour les Vocations. Elle nous rappelle chaque fois l’importance de prier pour que, comme a dit Jésus à ses disciples, «le maître de la moisson envoie des ouvriers pour sa moisson» (cf. Lc 10, 2). Jésus exprime ce commandement dans le contexte d’un envoi missionnaire: il a appelé, outre les douze apôtres, soixante-douze autres disciples et il les envoie deux par deux pour la mission (Lc 10, 1-16). En effet, si l’Église «est par sa nature missionnaire» (Conc. Œcum. Vat. II Décret Ad gentes, n. 2), la vocation chrétienne ne peut que naître à l’intérieur d’une expérience de mission. Aussi, écouter et suivre la voix du Christ Bon Pasteur, en se laissant attirer et conduire par lui et en lui consacrant sa vie, signifie permettre que l’Esprit-Saint nous introduise dans ce dynamisme missionnaire, en suscitant en nous le désir et le courage joyeux d’offrir notre vie et de la dépenser pour la cause du Royaume de Dieu.
L’offrande de sa vie dans cette attitude missionnaire est possible seulement si nous sommes capables de sortir de nous-mêmes. En cette 52ème Journée mondiale de prière pour les Vocations, je voudrais donc réfléchir sur cet “exode” particulier qu’est la vocation, ou, mieux, notre réponse à la vocation que Dieu nous donne. Quand nous entendons la parole “exode”, notre pensée va immédiatement aux débuts de la merveilleuse histoire d’amour entre Dieu et le peuple de ses enfants, une histoire qui passe à travers les jours dramatiques de l’esclavage en Égypte, l’appel de Moïse, la libération et le chemin vers la Terre promise. Le livre de l’Exode – le second livre de la Bible –, qui raconte cette histoire, représente une parabole de toute l’histoire du salut, et aussi de la dynamique fondamentale de la foi chrétienne. En effet, passer de l’esclavage de l’homme ancien à la vie nouvelle dans le Christ est l’œuvre rédemptrice qui advient en nous par la foi (Ep 4, 22-24). Ce passage est un “exode” véritable et particulier, c’est le chemin de l’âme chrétienne et de l’Église entière, l’orientation décisive de l’existence tournée vers le Père.
À la racine de chaque vocation chrétienne, il y a ce mouvement fondamental de l’expérience de foi: croire veut dire se laisser soi-même, sortir du confort et de la rigidité du moi pour centrer notre vie en Jésus Christ; abandonner comme Abraham sa propre terre en se mettant en chemin avec confiance, sachant que Dieu indiquera la route vers la nouvelle terre. Cette “sortie” n’est pas à entendre comme un mépris de sa propre vie, de sa propre sensibilité, de sa propre humanité; au contraire, celui qui se met en chemin à la suite du Christ trouve la vie en abondance, en se mettant lui-même tout entier à la disposition de Dieu et de son Royaume. Jésus dit: «Celui qui aura quitté, à cause de mon nom, des maisons, des frères, des sœurs, un père, une mère, des enfants, ou une terre, recevra le centuple, et il aura en héritage la vie éternelle» (Mt 19, 29). Tout cela a sa racine profonde dans l’amour. En effet, la vocation chrétienne est surtout un appel d’amour qui attire et renvoie au-delà de soi-même, décentre la personne, amorçant «un exode permanent allant du je enfermé sur lui-même vers sa libération dans le don de soi, et précisément ainsi vers la découverte de soi-même, plus encore vers la découverte de Dieu» (Benoît xvi, Lett. enc. Deus caritas est, n.6).
L’expérience de l’exode est un paradigme de la vie chrétienne, en particulier de celui qui embrasse une vocation de dévouement particulier au service de l’Évangile. Il consiste en une attitude toujours renouvelée de conversion et de transformation, dans le fait de rester toujours en chemin, de passer de la mort à la vie ainsi que nous le célébrons dans toute la liturgie: c’est le dynamisme pascal. Au fond, depuis l’appel d’Abraham à celui de Moïse, depuis le chemin pérégrinant d’Israël dans le désert à la conversion prêchée par les prophètes, jusqu’au voyage missionnaire de Jésus qui culmine dans sa mort et sa résurrection, la vocation est toujours cette action de Dieu qui nous fait sortir de notre situation initiale, nous libère de toute forme d’esclavage, nous arrache à nos habitudes et à l’indifférence et nous projette vers la joie de la communion avec Dieu et avec les frères. Répondre à l’appel de Dieu, donc, c’est le laisser nous faire sortir de notre fausse stabilité pour nous mettre en chemin vers Jésus Christ, terme premier et dernier de notre vie et de notre bonheur.
Cette dynamique de l’exode ne concerne pas seulement l’appel particulier, mais l’action missionnaire et évangélisatrice de toute l’Église. L’Église est vraiment fidèle à son Maître dans la mesure où elle est une Église “en sortie”, sans être préoccupée d’elle-même, de ses structures et de ses conquêtes, mais plutôt capable d’aller, de se mouvoir, de rencontrer les enfants de Dieu dans leur situation réelle et de com-patir à leurs blessures. Dieu sort de lui-même dans une dynamique trinitaire d’amour, écoute la misère de son peuple et intervient pour le libérer (Ex 3, 7). L’Église est aussi appeléeà cette manière d’être et d’agir : l’Église qui évangélise sort à la rencontre de l’homme, annonce la parole libératrice de l’Évangile, prend soin avec la grâce de Dieu des blessures des âmes et des corps, relève les pauvres et ceux qui sont dans le besoin.
Chers frères et sœurs, cet exode libérateur vers le Christ et vers les frères représente aussi le chemin vers la pleine compréhension de l’homme et pour la croissance humaine et sociale dans l’histoire. Écouter et accueillir l’appel du Seigneur n’est pas une question privée et intimiste qui peut se confondre avec l’émotion du moment; c’est un engagement concret, réel et total, qui embrasse notre existence et la met au service de la construction du Royaume de Dieu sur la terre. Par conséquent, la vocation chrétienne, enracinée dans la contemplation du cœur du Père, pousse en même temps à l’engagement solidaire en faveur de la libération des frères, surtout des plus pauvres. Le disciple de Jésus a le cœur ouvert à son horizon immense, et son intimité avec le Seigneur n’est jamais une fuite de la vie et du monde mais, au contraire, «se présente essentiellement comme communion missionnaire» (Exhort. Apost. Evangelii gaudium, n. 23).
Cette dynamique d’exode vers Dieu et vers l’homme remplit la vie de joie et de sens. Je voudrais le dire surtout aux plus jeunes qui, en raison de leur âge et de la vision de l’avenir qui s’ouvre devant leurs yeux, savent être disponibles et généreux. Parfois, les inconnues et les préoccupations pour l’avenir et l’incertitude qui entache le quotidien risquent de paralyser leurs élans, de freiner leurs rêves au point de penser qu’il ne vaut pas la peine de s’engager et que le Dieu de la foi chrétienne limite leur liberté. Au contraire, chers jeunes, n’ayez pas peur de sortir de vous-même et de vous mettre en chemin! L’Évangile est la Parole qui libère, transforme et rend plus belle notre vie. Comme il est beau de se laisser surprendre par l’appel de Dieu, d’accueillir sa Parole, de mettre les pas de votre existence dans les pas de Jésus, dans l’adoration du mystère divin et du dévouement généreux aux autres! Votre vie deviendra chaque jour plus riche et plus joyeuse!
La Vierge Marie, modèle de toute vocation, n’a pas craint de prononcer son “fiat” à l’appel du Seigneur. Qu’elle vous accompagne et qu’elle vous guide. Avec le courage généreux de la foi, Marie a chanté la joie de sortir d’elle-même et de confier à Dieu ses projets de vie. Nous nous adressons à elle pour être pleinement disponibles au dessein que Dieu a sur chacun de nous; pour que grandisse en nous le désir de sortir et d’aller, avec sollicitude, vers les autres (cf. Lc 1, 39). Que la Vierge Mère nous protège et qu’elle intercède pour nous tous!
Du Vatican, le 29 mars 2015, Dimanche des Rameaux
FRANCISCUS
[00588-FR.01] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Exodus, a fundamental experience of vocation
Dear Brothers and Sisters,
The Fourth Sunday of Easter offers us the figure of the Good Shepherd who knows his sheep: he calls them, he feeds them and he guides them. For over fifty years the universal Church has celebrated this Sunday as the World Day of Prayer for Vocations. In this way she reminds us of our need to pray, as Jesus himself told his disciples, so that “the Lord of the harvest may send out labourers into his harvest” (Lk 10:2). Jesus command came in the context of his sending out missionaries. He called not only the twelve Apostles, but another seventy-two disciples whom he then sent out, two by two, for the mission (cf. Lk 10:1-6). Since the Church “is by her very nature missionary” (Ad Gentes, 2), the Christian vocation is necessarily born of the experience of mission. Hearing and following the voice of Christ the Good Shepherd, means letting ourselves be attracted and guided by him, in consecration to him; it means allowing the Holy Spirit to draw us into this missionary dynamism, awakening within us the desire, the joy and the courage to offer our own lives in the service of the Kingdom of God.
To offer one’s life in mission is possible only if we are able to leave ourselves behind. On this 52nd World Day of Prayer for Vocations, I would like reflect on that particular “exodus” which is the heart of vocation, or better yet, of our response to the vocation God gives us. When we hear the word “exodus”, we immediately think of the origins of the amazing love story between God and his people, a history which passes through the dramatic period of slavery in Egypt, the calling of Moses, the experience of liberation and the journey toward the Promised Land. The Book of Exodus, the second book of the Bible, which recounts these events is a parable of the entire history of salvation, but also of the inner workings of Christian faith. Passing from the slavery of the old Adam to new life in Christ is a event of redemption which takes place through faith (Eph 4:22-24). This passover is a genuine “exodus”; it is the journey of each Christian soul and the entire Church, the decisive turning of our lives towards the Father.
At the root of every Christian vocation we find this basic movement, which is part of the experience of faith. Belief means transcending ourselves, leaving behind our comfort and the inflexibility of our ego in order to centre our life in Jesus Christ. It means leaving, like Abraham, our native place and going forward with trust, knowing that God will show us the way to a new land. This “going forward” is not to be viewed as a sign of contempt for one’s life, one’s feelings, one’s own humanity. On the contrary, those who set out to follow Christ find life in abundance by putting themselves completely at the service of God and his kingdom. Jesus says: “Everyone who has left home or brothers or sisters or father or mother or children or lands, for my name’s sake, will receive a hundredfold, and inherit eternal life” (Mt 19:29). All of this is profoundly rooted in love. The Christian vocation is first and foremost a call to love, a love which attracts us and draws us out of ourselves, “decentring” us and triggering “an ongoing exodus out of the closed inward-looking self towards its liberation through self-giving, and thus towards authentic self-discovery and indeed the discovery of God” (Deus Caritas Est, 6).
The exodus experience is paradigmatic of the Christian life, particularly in the case of those who have embraced a vocation of special dedication to the Gospel. This calls for a constantly renewed attitude of conversion and transformation, an incessant moving forward, a passage from death to life like that celebrated in every liturgy, an experience of passover. From the call of Abraham to that of Moses, from Israel’s pilgrim journey through the desert to the conversion preached by the prophets, up to the missionary journey of Jesus which culminates in his death and resurrection, vocation is always a work of God. He leads us beyond our initial situation, frees us from every enslavement, breaks down our habits and our indifference, and brings us to the joy of communion with him and with our brothers and sisters. Responding to God’s call, then, means allowing him to help us leave ourselves and our false security behind, and to strike out on the path which leads to Jesus Christ, the origin and destiny of our life and our happiness.
This exodus process does not regard individuals alone, but the missionary and evangelizing activity of the whole Church. The Church is faithful to her Master to the extent that she is a Church which “goes forth”, a Church which is less concerned about herself, her structures and successes, and more about her ability to go out and meet God’s children wherever they are, to feel compassion (com-passio) for their hurt and pain. God goes forth from himself in a Trinitarian dynamic of love: he hears the cry of his people and he intervenes to set them free (Ex 3:7). The Church is called to follow this way of being and acting. She is meant to be a Church which evangelizes, goes out to encounter humanity, proclaims the liberating word of the Gospel, heals people’s spiritual and physical wounds with the grace of God, and offers relief to the poor and the suffering.
Dear brothers and sisters, this liberating exodus towards Christ and our brothers and sisters also represents the way for us to fully understand our common humanity and to foster the historical development of individuals and societies. To hear and answer the Lord’s call is not a private and completely personal matter fraught with momentary emotion. Rather, it is a specific, real and total commitment which embraces the whole of our existence and sets it at the service of the growth of God’s Kingdom on earth. The Christian vocation, rooted in the contemplation of the Father’s heart, thus inspires us to solidarity in bringing liberation to our brothers and sisters, especially the poorest. A disciple of Jesus has a heart open to his unlimited horizons, and friendship with the Lord never means flight from this life or from the world. On the contrary, it involves a profound interplay between communion and mission (cf. Evangelii Gaudium, 23).
This exodus towards God and others fills our lives with joy and meaning. I wish to state this clearly to the young, whose youth and openness to the future makes them open-hearted and generous. At times uncertainty, worries about the future and the problems they daily encounter can risk paralyzing their youthful enthusiasm and shattering their dreams, to the point where they can think that it is not worth the effort to get involved, that the God of the Christian faith is somehow a limit on their freedom. Dear young friends, never be afraid to go out from yourselves and begin the journey! The Gospel is the message which brings freedom to our lives; it transforms them and makes them all the more beautiful. How wonderful it is to be surprised by God’s call, to embrace his word, and to walk in the footsteps of Jesus, in adoration of the divine mystery and in generous service to our neighbours! Your life will become richer and more joyful each day!
The Virgin Mary, model of every vocation, did not fear to utter her “fiat” in response to the Lord’s call. She is at our side and she guides us. With the generous courage born of faith, Mary sang of the joy of leaving herself behind and entrusting to God the plans she had for her life. Let us turn to her, so that we may be completely open to what God has planned for each one of us, so that we can grow in the desire to go out with tender concern towards others (cf. Lk 1:39). May the Virgin Mary protect and intercede for us all.
From the Vatican, 29 March 2015, Palm Sunday
FRANCISCUS
[00588-EN.01] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Der Exodus, eine Grunderfahrung der Berufung
Liebe Brüder und Schwestern,
der vierte Sonntag der Osterzeit stellt uns das Bild des Guten Hirten vor Augen, der seine Schafe kennt, sie ruft, sie nährt und sie führt. An diesem Sonntag begehen wir den Weltgebetstag für geistliche Berufe seit über fünfzig Jahren. Jedes Mal erinnert er uns an die Bedeutung dieses Gebetes, denn Jesus selbst sagte zu seinen Jüngern: »Bittet also den Herrn der Ernte, Arbeiter für seine Ernte auszusenden« (Lk 10,2). Jesus erteilt diesen Auftrag im Zusammenhang mit einer missionarischen Aussendung: Außer den zwölf Aposteln hat er zweiundsiebzig weitere Jünger gerufen und sendet sie zu zweit in die Mission (vgl. Lk 10,1-16). Wenn die Kirche »ihrem Wesen nach missionarisch« ist (Zweites Vatikanisches konzil, Dekret Ad gentes, 2), dann kann in der Tat die christliche Berufung nur innerhalb einer missionarischen Erfahrung aufkeimen. Die Stimme Christi, des Guten Hirten, hören und ihr folgen, indem man sich von ihm anziehen und führen lässt und ihm das eigene Leben weiht, bedeutet also zu erlauben, dass der Heilige Geist uns in diese missionarische Dynamik einführt und in uns den Wunsch und den frohen Mut erweckt, unser Leben hinzugeben und es für die Sache des Gottesreiches einzusetzen.
Die Hingabe des eigenen Lebens in dieser missionarischen Haltung ist nur möglich, wenn wir fähig sind, aus uns selbst herauszugehen. Darum möchte ich an diesem 52. Weltgebetstag für geistliche Berufe einige Überlegungen anstellen über gerade diesen besonderen „Exodus“, der die Berufung – oder besser: unsere Antwort auf die Berufung – ist, die Gott uns schenkt. Wenn wir das Wort „Exodus“ hören, denken wir sofort an die Anfänge der wunderbaren Liebesgeschichte zwischen Gott und dem Volk seiner Kinder, eine Geschichte, die die dramatischen Tage der Sklaverei in Ägypten, die Berufung des Mose, die Befreiung und die Wanderung zum Land der Verheißung durchläuft. Das Buch Exodus – das zweite Buch der Bibel –, das diese Geschichte erzählt, stellt ein Gleichnis der gesamten Heilsgeschichte wie auch der Grunddynamik des christlichen Glaubens dar. Der Übergang von der Sklaverei des alten Menschen zum neuen Leben in Christus ist ja das Erlösungswerk, das sich in uns durch den Glauben vollzieht (vgl. Eph 4,22-24). Dieser Übergang ist ein wirklicher „Exodus“, er ist der Weg der christlichen Seele und der ganzen Kirche, die entscheidende Ausrichtung des Lebens auf den himmlischen Vater hin.
An der Wurzel jeder christlichen Berufung liegt diese grundlegende Bewegung der Glaubenserfahrung: Glauben heißt sich selbst loslassen, aus der Bequemlichkeit und der Härte des eigenen Ich aussteigen, um unserem Leben in Jesus Christus seine Mitte zu geben; wie Abraham das eigene Land verlassen und sich vertrauensvoll auf den Weg begeben in dem Wissen, dass Gott den Weg zum neuen Land weisen wird. Dieser „Auszug“ ist nicht als eine Verachtung des eigenen Lebens, des eigenen Empfindens, der eigenen Menschlichkeit zu verstehen, im Gegenteil: Wer sich in der Nachfolge Christi auf den Weg macht, findet Leben im Überfluss, indem er sich ganz und gar Gott und seinem Reich zur Verfügung stellt. Jesus sagt: »Jeder, der um meines Namens willen Häuser oder Brüder, Schwestern, Vater, Mutter, Kinder oder Äcker verlassen hat, wird dafür das Hundertfache erhalten und das ewige Leben gewinnen« (Mt 19,29). All das hat seine tiefe Wurzel in der Liebe. Tatsächlich ist die christliche Berufung vor allem eine Berufung der Liebe, die den Menschen anzieht und ihn über sich selbst hinausweist, ihn aus seinem Zentrum herausrückt und etwas auslöst, das ein »ständiger Weg aus dem in sich verschlossenen Ich zur Freigabe des Ich, zur Hingabe und so gerade zur Selbstfindung, ja, zur Findung Gottes« ist (Benedikt XVI., Enzyklika Deus caritas est, 6).
Die Erfahrung des Exodus ist ein Paradigma des christlichen Lebens, insbesondere derer, die einer Berufung zu spezieller Hingabe an den Dienst am Evangelium folgen. Sie besteht in einer Haltung immer neuer Umkehr und Verwandlung, darin, stets „unterwegs“ zu bleiben, vom Tod zum Leben überzugehen, so wie wir es in der gesamten Liturgie feiern: Es ist die österliche Dynamik. Im Grunde ist die Berufung – angefangen von der Abrahams bis zu der des Mose, von der Wanderung Israels in der Wüste über den Aufruf der Propheten zur Umkehr bis hin zum missionarischen Weg Jesu, der in seinem Tod und seiner Auferstehung gipfelt – immer jenes Handeln Gottes, das uns aus unserer ursprünglichen Situation herausholt, uns von jeder Form der Sklaverei befreit, uns aus der Gewöhnung und der Gleichgültigkeit herausreißt und uns in die Freude der Gemeinschaft mit Gott und den Mitmenschen führt. Auf den Ruf Gottes zu antworten bedeutet also zuzulassen, dass er uns aus unserer falschen Beständigkeit herausholt, damit wir uns auf den Weg machen zu Jesus Christus, dem ersten und letzten Ziel unseres Lebens und unseres Glücks.
Diese Dynamik des Exodus betrifft nicht nur den einzelnen Berufenen, sondern die missionarische und evangelisierende Tätigkeit der ganzen Kirche. Die Kirche ist ihrem Meister in dem Maße wirklich treu, wie sie eine Kirche „im Aufbruch“ ist, nicht um sich selbst besorgt, um ihre Strukturen und Errungenschaften, sondern vielmehr fähig, aufzubrechen, sich zu bewegen, den Kindern Gottes in ihrer realen Situation zu begegnen und mitzuleiden an ihren Verletzungen. Gott geht aus sich selbst heraus in einer trinitarischen Dynamik der Liebe, hört auf das Elend seines Volkes und greift ein, um es zu befreien (vgl. Ex 3,7f). Zu dieser Seins- und Handlungsweise ist auch die Kirche berufen: Die evangelisierende Kirche geht hinaus und auf den Menschen zu, verkündet das befreiende Wort des Evangeliums, pflegt mit der Gnade Gottes die Wunden an Seele und Leib und richtet die Armen und Notleidenden auf.
Liebe Brüder und Schwestern, dieser befreiende Exodus auf Christus und die Mitmenschen zu ist auch der Weg für das volle Verstehen des Menschen und für das menschliche und gesellschaftliche Wachstum in der Geschichte. Den Ruf des Herrn hören und annehmen ist nicht etwa eine private, intimistische Angelegenheit, die mit einer Gemütsbewegung des Augenblicks verwechselt werden könnte; es ist ein konkretes, reales und totales Engagement, das unsere ganze Existenz einbezieht und sie in den Dienst am Aufbau des Gottesreiches auf Erden stellt. Darum drängt die christliche Berufung, die in der Betrachtung des Herzens des himmlischen Vaters verwurzelt ist, zugleich zum solidarischen Einsatz für die Befreiung der Mitmenschen, vor allem der ärmsten. Der Jünger Jesu hat ein offenes Herz für den unbegrenzten Horizont seines Herrn, und seine innige Verbundenheit mit ihm ist nie eine Flucht aus dem Leben und der Welt, sondern im Gegenteil, »sie stellt sich wesentlich als missionarische Communio dar« (Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 23; Johannes Paul II., Nachsynodales Apost. Schreiben Christifideles laici, 451).
Diese Exodus-Dynamik auf Gott und den Menschen zu erfüllt das Leben mit Freude und Sinn. Das möchte ich vor allem den jüngeren Menschen sagen, die – auch aufgrund ihres Alters und ihres Bildes von der Zukunft, die sich vor ihnen auftut – verfügbar und großherzig zu sein verstehen. Manchmal besteht die Gefahr, dass das Unvorhersehbare und die Zukunftssorgen wie auch die Ungewissheit, die den Alltag einschneidend beeinflusst, ihren Schwung lähmen und ihre Träume verkümmern lassen bis zu dem Punkt, dass sie denken, es lohne sich nicht, sich einzusetzen, und der Gott des christlichen Glaubens schränke ihre Freiheit ein. Bei euch jedoch, liebe junge Freunde, soll es die Angst, aus euch selbst herauszugehen und euch auf den Weg zu machen, nicht geben! Das Evangelium ist das Wort, das befreit, verwandelt und unser Leben schöner macht. Wie schön ist es, sich vom Ruf Gottes überraschen zu lassen, sein Wort aufzunehmen und mit den Schritten eures Lebens den Spuren Jesu zu folgen, in der Anbetung des göttlichen Geheimnisses und in der großherzigen Hingabe an die anderen! Euer Leben wird von Tag zu Tag reicher und froher werden!
Die Jungfrau Maria, Modell jeder Berufung, hat sich nicht gefürchtet, auf den Ruf des Herrn mit ihrem „fiat“ zu antworten. Sie begleitet und führt uns. Mit dem großherzigen Mut des Glaubens hat Maria die Freude besungen, aus sich selbst herauszugehen und Gott ihre Lebenspläne anzuvertrauen. An sie wenden wir uns, um für den Plan, den Gott für jeden von uns hat, völlig verfügbar zu sein, und damit in uns der Wunsch, aufzubrechen und eilig zu den anderen zu gehen, (vgl. Lk 1,39) stärker werde. Möge die jungfräuliche Mutter uns allen Beschützerin und Fürsprecherin sein.
Aus dem Vatikan, am 29. März 2015, Palmsonntag
FRANCISCUS
[00588-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
El éxodo, experiencia fundamental de la vocación
Queridos hermanos y hermanas:
El cuarto Domingo de Pascua nos presenta el icono del Buen Pastor que conoce a sus ovejas, las llama por su nombre, las alimenta y las guía. Hace más de 50 años que en este domingo celebramos la Jornada Mundial de Oración por las Vocaciones. Esta Jornada nos recuerda la importancia de rezar para que, como dijo Jesús a sus discípulos, «el dueño de la mies… mande obreros a su mies» (Lc 10,2). Jesús nos dio este mandamiento en el contexto de un envío misionero: además de los doce apóstoles, llamó a otros setenta y dos discípulos y los mandó de dos en dos para la misión (cf. Lc 10,1-16). Efectivamente, si la Iglesia «es misionera por su naturaleza» (Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Ad gentes, 2), la vocación cristiana nace necesariamente dentro de una experiencia de misión. Así, escuchar y seguir la voz de Cristo Buen Pastor, dejándose atraer y conducir por él y consagrando a él la propia vida, significa aceptar que el Espíritu Santo nos introduzca en este dinamismo misionero, suscitando en nosotros el deseo y la determinación gozosa de entregar nuestra vida y gastarla por la causa del Reino de Dios.
Entregar la propia vida en esta actitud misionera sólo será posible si somos capaces de salir de nosotros mismos. Por eso, en esta 52 Jornada Mundial de Oración por las Vocaciones, quisiera reflexionar precisamente sobre ese particular «éxodo» que es la vocación o, mejor aún, nuestra respuesta a la vocación que Dios nos da. Cuando oímos la palabra «éxodo», nos viene a la mente inmediatamente el comienzo de la maravillosa historia de amor de Dios con el pueblo de sus hijos, una historia que pasa por los días dramáticos de la esclavitud en Egipto, la llamada de Moisés, la liberación y el camino hacia la tierra prometida. El libro del Éxodo ―el segundo libro de la Biblia―, que narra esta historia, representa una parábola de toda la historia de la salvación, y también de la dinámica fundamental de la fe cristiana. De hecho, pasar de la esclavitud del hombre viejo a la vida nueva en Cristo es la obra redentora que se realiza en nosotros mediante la fe (cf. Ef 4,22-24). Este paso es un verdadero y real «éxodo», es el camino del alma cristiana y de toda la Iglesia, la orientación decisiva de la existencia hacia el Padre.
En la raíz de toda vocación cristiana se encuentra este movimiento fundamental de la experiencia de fe: creer quiere decir renunciar a uno mismo, salir de la comodidad y rigidez del propio yo para centrar nuestra vida en Jesucristo; abandonar, como Abrahán, la propia tierra poniéndose en camino con confianza, sabiendo que Dios indicará el camino hacia la tierra nueva. Esta «salida» no hay que entenderla como un desprecio de la propia vida, del propio modo sentir las cosas, de la propia humanidad; todo lo contrario, quien emprende el camino siguiendo a Cristo encuentra vida en abundancia, poniéndose del todo a disposición de Dios y de su reino. Dice Jesús: «El que por mí deja casa, hermanos o hermanas, padre o madre, mujer, hijos o tierras, recibirá cien veces más, y heredará la vida eterna» (Mt 19,29). La raíz profunda de todo esto es el amor. En efecto, la vocación cristiana es sobre todo una llamada de amor que atrae y que se refiere a algo más allá de uno mismo, descentra a la persona, inicia un «camino permanente, como un salir del yo cerrado en sí mismo hacia su liberación en la entrega de sí y, precisamente de este modo, hacia el reencuentro consigo mismo, más aún, hacia el descubrimiento de Dios» (Benedicto XVI, Carta enc. Deus caritas est, 6).
La experiencia del éxodo es paradigma de la vida cristiana, en particular de quien sigue una vocación de especial dedicación al servicio del Evangelio. Consiste en una actitud siempre renovada de conversión y transformación, en un estar siempre en camino, en un pasar de la muerte a la vida, tal como celebramos en la liturgia: es el dinamismo pascual. En efecto, desde la llamada de Abrahán a la de Moisés, desde el peregrinar de Israel por el desierto a la conversión predicada por los profetas, hasta el viaje misionero de Jesús que culmina en su muerte y resurrección, la vocación es siempre una acción de Dios que nos hace salir de nuestra situación inicial, nos libra de toda forma de esclavitud, nos saca de la rutina y la indiferencia y nos proyecta hacia la alegría de la comunión con Dios y con los hermanos. Responder a la llamada de Dios, por tanto, es dejar que él nos haga salir de nuestra falsa estabilidad para ponernos en camino hacia Jesucristo, principio y fin de nuestra vida y de nuestra felicidad.
Esta dinámica del éxodo no se refiere sólo a la llamada personal, sino a la acción misionera y evangelizadora de toda la Iglesia. La Iglesia es verdaderamente fiel a su Maestro en la medida en que es una Iglesia «en salida», no preocupada por ella misma, por sus estructuras y sus conquistas, sino más bien capaz de ir, de ponerse en movimiento, de encontrar a los hijos de Dios en su situación real y de com-padecer sus heridas. Dios sale de sí mismo en una dinámica trinitaria de amor, escucha la miseria de su pueblo e interviene para librarlo (cf. Ex 3,7). A esta forma de ser y de actuar está llamada también la Iglesia: la Iglesia que evangeliza sale al encuentro del hombre, anuncia la palabra liberadora del Evangelio, sana con la gracia de Dios las heridas del alma y del cuerpo, socorre a los pobres y necesitados.
Queridos hermanos y hermanas, este éxodo liberador hacia Cristo y hacia los hermanos constituye también el camino para la plena comprensión del hombre y para el crecimiento humano y social en la historia. Escuchar y acoger la llamada del Señor no es una cuestión privada o intimista que pueda confundirse con la emoción del momento; es un compromiso concreto, real y total, que afecta a toda nuestra existencia y la pone al servicio de la construcción del Reino de Dios en la tierra. Por eso, la vocación cristiana, radicada en la contemplación del corazón del Padre, lleva al mismo tiempo al compromiso solidario en favor de la liberación de los hermanos, sobre todo de los más pobres. El discípulo de Jesús tiene el corazón abierto a su horizonte sin límites, y su intimidad con el Señor nunca es una fuga de la vida y del mundo, sino que, al contrario, «esencialmente se configura como comunión misionera» (Exhort. ap. Evangelii gaudium, 23).
Esta dinámica del éxodo, hacia Dios y hacia el hombre, llena la vida de alegría y de sentido. Quisiera decírselo especialmente a los más jóvenes que, también por su edad y por la visión de futuro que se abre ante sus ojos, saben ser disponibles y generosos. A veces las incógnitas y las preocupaciones por el futuro y las incertidumbres que afectan a la vida de cada día amenazan con paralizar su entusiasmo, de frenar sus sueños, hasta el punto de pensar que no vale la pena comprometerse y que el Dios de la fe cristiana limita su libertad. En cambio, queridos jóvenes, no tengáis miedo a salir de vosotros mismos y a poneros en camino. El Evangelio es la Palabra que libera, transforma y hace más bella nuestra vida. Qué hermoso es dejarse sorprender por la llamada de Dios, acoger su Palabra, encauzar los pasos de vuestra vida tras las huellas de Jesús, en la adoración al misterio divino y en la entrega generosa a los otros. Vuestra vida será más rica y más alegre cada día.
La Virgen María, modelo de toda vocación, no tuvo miedo a decir su «fiat» a la llamada del Señor. Ella nos acompaña y nos guía. Con la audacia generosa de la fe, María cantó la alegría de salir de sí misma y confiar a Dios sus proyectos de vida. A Ella nos dirigimos para estar plenamente disponibles al designio que Dios tiene para cada uno de nosotros, para que crezca en nosotros el deseo de salir e ir, con solicitud, al encuentro con los demás (cf. Lc 1,39). Que la Virgen Madre nos proteja e interceda por todos nosotros.
Vaticano, 29 de marzo de 2015, Domingo de Ramos
FRANCISCUS
[00588-ES.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
O êxodo, experiência fundamental da vocação
Amados irmãos e irmãs!
O IV Domingo de Páscoa apresenta-nos o ícone do Bom Pastor, que conhece as suas ovelhas, chama-as, alimenta-as e condu-las. Há mais de 50 anos que, neste domingo, vivemos o Dia Mundial de Oração pelas Vocações. Este dia sempre nos lembra a importância de rezar para que o «dono da messe – como disse Jesus aos seus discípulos – mande trabalhadores para a sua messe» (Lc 10, 2). Jesus dá esta ordem no contexto dum envio missionário: além dos doze apóstolos, Ele chamou mais setenta e dois discípulos, enviando-os em missão dois a dois (cf. Lc 10,1-16). Com efeito, se a Igreja «é, por sua natureza, missionária» (Conc. Ecum. Vat. II., Decr. Ad gentes, 2), a vocação cristã só pode nascer dentro duma experiência de missão. Assim, ouvir e seguir a voz de Cristo Bom Pastor, deixando-se atrair e conduzir por Ele e consagrando-Lhe a própria vida, significa permitir que o Espírito Santo nos introduza neste dinamismo missionário, suscitando em nós o desejo e a coragem jubilosa de oferecer a nossa vida e gastá-la pela causa do Reino de Deus.
A oferta da própria vida nesta atitude missionária só é possível se formos capazes de sair de nós mesmos. Por isso, neste 52º Dia Mundial de Oração pelas Vocações, gostaria de reflectir precisamente sobre um «êxodo» muito particular que é a vocação ou, melhor, a nossa resposta à vocação que Deus nos dá. Quando ouvimos a palavra «êxodo», ao nosso pensamento acodem imediatamente os inícios da maravilhosa história de amor entre Deus e o povo dos seus filhos, uma história que passa através dos dias dramáticos da escravidão no Egipto, a vocação de Moisés, a libertação e o caminho para a Terra Prometida. O segundo livro da Bíblia – o Êxodo – que narra esta história constitui uma parábola de toda a história da salvação e também da dinâmica fundamental da fé cristã. Na verdade, passar da escravidão do homem velho à vida nova em Cristo é a obra redentora que se realiza em nós por meio da fé (Ef 4, 22-24). Esta passagem é um real e verdadeiro «êxodo», é o caminho da alma cristã e da Igreja inteira, a orientação decisiva da existência para o Pai.
Na raiz de cada vocação cristã, há este movimento fundamental da experiência de fé: crer significa deixar-se a si mesmo, sair da comodidade e rigidez do próprio eu para centrar a nossa vida em Jesus Cristo; abandonar como Abraão a própria terra pondo-se confiadamente a caminho, sabendo que Deus indicará a estrada para a nova terra. Esta «saída» não deve ser entendida como um desprezo da própria vida, do próprio sentir, da própria humanidade; pelo contrário, quem se põe a caminho no seguimento de Cristo encontra a vida em abundância, colocando tudo de si à disposição de Deus e do seu Reino. Como diz Jesus, «todo aquele que tiver deixado casas, irmãos, irmãs, pai, mãe, filhos ou campos por causa do meu nome, receberá cem vezes mais e terá por herança a vida eterna» (Mt 19, 29). Tudo isto tem a sua raiz mais profunda no amor. De facto, a vocação cristã é, antes de mais nada, uma chamada de amor que atrai e reenvia para além de si mesmo, descentraliza a pessoa, provoca um «êxodo permanente do eu fechado em si mesmo para a sua libertação no dom de si e, precisamente dessa forma, para o reencontro de si mesmo, mais ainda para a descoberta de Deus» (Bento XVI, Carta enc. Deus caritas est, 6).
A experiência do êxodo é paradigma da vida cristã, particularmente de quem abraça uma vocação de especial dedicação ao serviço do Evangelho. Consiste numa atitude sempre renovada de conversão e transformação, em permanecer sempre em caminho, em passar da morte à vida, como celebramos em toda a liturgia: é o dinamismo pascal. Fundamentalmente, desde a chamada de Abraão até à de Moisés, desde o caminho de Israel peregrino no deserto até à conversão pregada pelos profetas, até à viagem missionária de Jesus que culmina na sua morte e ressurreição, a vocação é sempre aquela acção de Deus que nos faz sair da nossa situação inicial, nos liberta de todas as formas de escravidão, nos arranca da rotina e da indiferença e nos projecta para a alegria da comunhão com Deus e com os irmãos. Por isso, responder à chamada de Deus é deixar que Ele nos faça sair da nossa falsa estabilidade para nos pormos a caminho rumo a Jesus Cristo, meta primeira e última da nossa vida e da nossa felicidade.
Esta dinâmica do êxodo diz respeito não só à pessoa chamada, mas também à actividade missionária e evangelizadora da Igreja inteira. Esta é verdadeiramente fiel ao seu Mestre na medida em que é uma Igreja «em saída», não preocupada consigo mesma, com as suas próprias estruturas e conquistas, mas sim capaz de ir, de se mover, de encontrar os filhos de Deus na sua situação real e compadecer-se das suas feridas. Deus sai de Si mesmo numa dinâmica trinitária de amor, dá-Se conta da miséria do seu povo e intervém para o libertar (Ex 3, 7). A este modo de ser e de agir, é chamada também a Igreja: a Igreja que evangeliza sai ao encontro do homem, anuncia a palavra libertadora do Evangelho, cuida as feridas das almas e dos corpos com a graça de Deus, levanta os pobres e os necessitados.
Amados irmãos e irmãs, este êxodo libertador rumo a Cristo e aos irmãos constitui também o caminho para a plena compreensão do homem e para o crescimento humano e social na história. Ouvir e receber a chamada do Senhor não é uma questão privada e intimista que se possa confundir com a emoção do momento; é um compromisso concreto, real e total que abraça a nossa existência e a põe ao serviço da construção do Reino de Deus na terra. Por isso, a vocação cristã, radicada na contemplação do coração do Pai, impele simultaneamente para o compromisso solidário a favor da libertação dos irmãos, sobretudo dos mais pobres. O discípulo de Jesus tem o coração aberto ao seu horizonte sem fim, e a sua intimidade com o Senhor nunca é uma fuga da vida e do mundo, mas, pelo contrário, «reveste essencialmente a forma de comunhão missionária» (Exort. ap. Evangelii gaudium, 23).
Esta dinâmica de êxodo rumo a Deus e ao homem enche a vida de alegria e significado. Gostaria de o dizer sobretudo aos mais jovens que, inclusive pela sua idade e a visão do futuro que se abre diante dos seus olhos, sabem ser disponíveis e generosos. Às vezes, as incógnitas e preocupações pelo futuro e a incerteza que afecta o dia-a-dia encerram o risco de paralisar estes seus impulsos, refrear os seus sonhos, a ponto de pensar que não vale a pena comprometer-se e que o Deus da fé cristã limita a sua liberdade. Ao invés, queridos jovens, não haja em vós o medo de sair de vós mesmos e de vos pôr a caminho! O Evangelho é a Palavra que liberta, transforma e torna mais bela a nossa vida. Como é bom deixar-se surpreender pela chamada de Deus, acolher a sua Palavra, pôr os passos da vossa vida nas pegadas de Jesus, na adoração do mistério divino e na generosa dedicação aos outros! A vossa vida tornar-se-á cada dia mais rica e feliz.
A Virgem Maria, modelo de toda a vocação, não teve medo de pronunciar o seu «fiat» à chamada do Senhor. Ela acompanha-nos e guia-nos. Com a generosa coragem da fé, Maria cantou a alegria de sair de Si mesma e confiar a Deus os seus planos de vida. A Ela nos dirigimos pedindo para estarmos plenamente disponíveis ao desígnio que Deus tem para cada um de nós; para crescer em nós o desejo de sair e caminhar, com solicitude, ao encontro dos outros (cf. Lc 1, 39). A Virgem Mãe nos proteja e interceda por todos nós.
Vaticano, 29 de Março – Domingo de Ramos – de 2015.
FRANCISCUS
[00588-PO.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Wyjście, fundamentalne doświadczenie powołania
Drodzy bracia i siostry!
Czwarta Niedziela Wielkanocna przedstawia nam obraz Dobrego Pasterza, który zna swoje owce, wzywa je, karmi i prowadzi. W tę niedzielę, od ponad 50 lat, przeżywamy Światowy Dzień Modlitw o Powołania. Za każdym razem przypomina nam on o znaczeniu modlitwy, aby – jak powiedział Jezus swoim uczniom – „Pan żniwa wyprawił robotników na swoje żniwo”(Łk 10,2). Jezus wyraża to polecenie w kontekście posłania misyjnego: oprócz dwunastu apostołów, powołał siedemdziesięciu dwóch innych uczniów i posłał ich po dwóch na misję (Łk 10,1-16). Rzeczywiście, jeśli Kościół „jest ze swej natury misyjny” (Sobór Watykański II, Dekret Ad gentes, 2), to powołanie chrześcijańskie może się zrodzić jedynie w obrębie doświadczenia misji. Tak więc, słuchanie i pójście za głosem Chrystusa Dobrego Pasterza, dając się Jemu pociągnąć i prowadzić oraz poświęcając Jemu swoje życie oznacza pozwolenie, aby Duch Święty wprowadził nas w ten dynamizm misyjny, wzbudzając w nas pragnienie i radosne męstwo ofiarowania swego życia i poświęcenia go dla sprawy Królestwa Bożego.
Poświęcenie swego życia w tej postawie misyjnej możliwe jest tylko wtedy, jeśli jesteśmy w stanie wyjść z siebie. Dlatego z okazji tego 52. Światowego Dnia Modlitw o Powołania, chciałbym zastanowić się właśnie nad tym bardzo szczególnym „wyjściem”, jakim jest powołanie, czy lepiej nasza odpowiedź na powołanie, jakie daje nam Bóg. Kiedy słyszymy słowo „wyjście”, to nasze myśli kierują się natychmiast ku początkom wspaniałej historii miłości między Bogiem a ludem Jego dzieci, historii, która obejmuje dramatyczne dni niewoli w Egipcie, powołanie Mojżesza, wyzwolenie i pielgrzymowanie do ziemi obiecanej. Księga Wyjścia - druga księga Biblii - opowiadająca tę historię stanowi przypowieść o całej historii zbawienia, a także podstawowej dynamice wiary chrześcijańskiej. Rzeczywiście przejście od niewoli starego człowieka do nowego życia w Chrystusie jest dziełem odkupienia, jakie w nas zachodzi przez wiarę (Ef 4,22- 24). To przejście jest prawdziwym i w całym tego słowa znaczeniu „wyjściem”, jest pielgrzymowaniem duszy chrześcijańskiej i całego Kościoła, decydującym ukierunkowaniem egzystencji skierowanej ku Ojcu.
U podstaw każdego powołania chrześcijańskiego jest to zasadnicze poruszenie doświadczenia wiary: wierzyć to znaczy porzucić samego siebie, porzucić wygodę i bezkompromisowość swego „ja”, aby skoncentrować nasze życie na Jezusie Chrystusie; jak Abraham porzucić swoją ziemię, wyruszając z ufnością, wiedząc, że Bóg wskaże drogę do nowej ziemi. Tego „wyjścia” nie należy rozumieć jako pogardę dla własnego życia, swoich uczuć, własnego człowieczeństwa. Przeciwnie, ten, kto wyrusza, by pójść za Chrystusem odnajduje życie w obfitości, dając całego siebie do dyspozycji Bogu i Jego Królestwu. Jezus mówi: „Każdy, kto dla mego imienia opuści dom, braci lub siostry, ojca lub matkę, dzieci lub pole, stokroć tyle otrzyma i życie wieczne odziedziczy” (Mt 19,29). To wszystko ma swoje głębokie korzenie w miłości. Powołanie chrześcijańskie jest bowiem przede wszystkim wezwaniem miłości, która pociąga i odsyła poza siebie, decentralizuje osobę, zapoczątkowuje „trwałe wychodzenie z «ja» zamkniętego w samym sobie, w kierunku wyzwolenia «ja», w darze z siebie i właśnie tak w kierunku ponownego znalezienia siebie, a nawet w kierunku odkrycia Boga” (BENEDYKT XVI, Encyklika Deus caritas est, 6).
Doświadczenie wyjścia jest paradygmatem życia chrześcijańskiego, zwłaszcza tych, którzy przyjmują powołanie specjalnego poświęcenia się służbie Ewangelii. Polega ono na postawie nieustannego nawrócenia i przemiany, trwaniu w nieustannej pielgrzymce, w przechodzeniu ze śmierci do życia, tak jak to celebrujemy w całej liturgii: jest dynamizmem paschalnym. W istocie, od powołania Abrahama do powołania Mojżesza, od pielgrzymowania Izraela na pustyni do nawrócenia głoszonego przez proroków, aż po misyjną drogę Jezusa, której kulminacją jest Jego śmierć i zmartwychwstanie, powołanie jest zawsze działaniem Boga, który wyprowadza nas z naszej sytuacji wyjściowej, wyzwala nas ze wszelkich form niewolnictwa, wyrywa nas z przyzwyczajenia i obojętności, popychając nas ku radości komunii z Bogiem i braćmi. Odpowiedzieć na powołanie Boga, to zatem pozwolić, aby wyprowadził On nas z naszej fałszywej stabilności, by nas naprowadził na drogę do Jezusa Chrystusa, najważniejszego i ostatecznego celu naszego życia i naszego szczęścia.
Ta dynamika wyjścia dotyczy nie tylko powołanej jednostki, lecz działania misyjnego i ewangelizacyjnego całego Kościoła. Kościół jest naprawdę wierny swemu Mistrzowi, zależnie od tego, na ile jest Kościołem „wychodzącym”, nie martwiącym się o siebie, o swoje struktury i swoje zdobycze, a raczej zdolnym, by iść, wyruszyć, spotkać Boże dzieci w ich rzeczywistej sytuacji i współ-czuć z powodu ich ran. Bóg wychodzi z siebie w trynitarnej dynamice miłości, wysłuchuje biedy Swojego ludu i interweniuje, aby go wyzwolić (Wj 3,7). Do tego sposobu bycia i działania wezwany jest także Kościół: Kościół ewangelizujący wychodzi na spotkanie człowieka, głosi wyzwalające słowa Ewangelii, łaską Bożą opatruje rany dusz i ciał, podnosi ubogich i potrzebujących.
Drodzy bracia i siostry, to wyzwalające wyjście ku Chrystusowi i braciom jest również drogą do pełnego zrozumienia człowieka oraz rozwoju ludzkiego i społecznego w historii. Usłyszenie i przyjęcie powołania Pana nie jest sprawą prywatną i przeżyciem wewnętrznym, które można mylić z uniesieniem chwili. Jest konkretnym zaangażowaniem, realnym i totalnym, obejmującym naszą egzystencję i oddającym ją do budowania Królestwa Bożego na ziemi. Tak więc powołanie chrześcijańskie, zakorzenione w kontemplacji serca Ojca, pobudza jednocześnie do solidarnego zaangażowania na rzecz wyzwolenia braci, zwłaszcza najuboższych. Uczeń Jezusa ma otwarte serce na Jego nieograniczoną perspektywę, a jego zażyłość z Panem nigdy nie jest ucieczką od życia i świata, lecz przeciwnie, „w samej swej istocie przyjmuje kształt komunii misyjnej” (Adhort. ap. Evangelii gaudium, 23).
Ta dynamika wyjścia, ku Bogu i człowiekowi napełnia życie radością i sensem. Chciałbym to powiedzieć zwłaszcza najmłodszym, którzy ze względu na swój wiek i wizję przyszłości, jaka szeroko się otwiera przed ich oczami, potrafią być otwarci i wielkoduszni. Czasami niepewność oraz obawy o przyszłość, jakimi atakuje dzień powszedni grożą sparaliżowaniem tych ich pobudek, pohamowaniem ich marzeń do tego stopnia, że gotowi są pomyśleć, iż nie warto się angażować oraz że Bóg wiary ograniczy ich wolność. Przeciwnie, drodzy młodzi, niech w was nie będzie lęku wobec wyjścia z własnych ograniczeń, by wyruszyć w drogę! Ewangelia jest słowem, które wyzwala, przekształca i czyni nasze życie piękniejszym. Jakże to wspaniale dać się zaskoczyć Bożym powołaniem, przyjąć Jego Słowo, stawiać wasze kroki śladem Jezusa, adorując tajemnicę Boga i wielkodusznie poświęcając się innym! Wasze życie każdego dnia stanie się bogatsze i bardziej radosne!
Maryja Dziewica, wzór każdego powołania, nie bała się wypowiedzieć swojego „fiat” na Boże wezwanie. Ona nam towarzyszy i nas prowadzi. Z hojnym męstwem wiary, Maryja wyśpiewywała radość wyjścia z siebie i powierzenia Bogu swoich planów życiowych. Do Niej się zwracamy, byśmy byli w pełni dyspozycyjni dla planów, jakie Bóg ma wobec każdego z nas; aby wzrastało w nas pragnienie gorliwego wyjścia i pójścia ku innym (por. Łk 1,39). Niech Dziewica Matka nas chroni i wstawia się za nami wszystkimi.
Watykan, 29 marca 2015, Niedziela Palmowa
FRANCISCUS
[00588-PL.01] [Testo originale: Italiano]
[B0267-XX.01]