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Santa Messa per il centenario del “martirio” (Metz Yeghern) armeno con il rito di proclamazione a Dottore della Chiesa di San Gregorio di Narek, 12.04.2015


Saluto del Santo Padre all’inizio della Celebrazione per i fedeli di rito armeno

Omelia del Santo Padre dopo la proclamazione del Santo Vangelo

Alle ore 9 di oggi, II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia, il Santo Padre Francesco ha celebrato nella Basilica Vaticana la Santa Messa per il centenario del “martirio” (Metz Yeghern) armeno, durante la quale ha proclamato “Dottore della Chiesa” San Gregorio di Narek.

La Messa è stata concelebrata da Sua Beatitudine Nerses Bedros XIX Tarmouni, Patriarca di Cilicia degli Armeni Cattolici, alla presenza di Sua Santità Karekin II, Supremo Patriarca e Catholicos di Tutti gli Armeni e di Sua Santità Aram I, Catholicos della Grande Casa di Cilicia.

Era presente alla Celebrazione il Presidente della Repubblica di Armenia, S.E. il Signor Serž Sargsyan.

Pubblichiamo di seguito il testo del saluto che il Papa ha rivolto ai fedeli di rito armeno all’inizio della Santa Messa e il testo dell’omelia che ha pronunciato dopo la proclamazione del Santo Vangelo:

Saluto del Santo Padre all’inizio della Celebrazione per i fedeli di rito armeno

Saluto del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Saluto del Santo Padre

Cari fratelli e sorelle armeni!

Cari fratelli e sorelle!

In diverse occasioni ho definito questo tempo un tempo di guerra, una terza guerra mondiale ‘a pezzi’, in cui assistiamo quotidianamente a crimini efferati, a massacri sanguinosi e alla follia della distruzione. Purtroppo ancora oggi sentiamo il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e sorelle inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica vengono pubblicamente e atrocemente uccisi – decapitati, crocifissi, bruciati vivi –, oppure costretti ad abbandonare la loro terra.

Anche oggi stiamo vivendo una sorta di genocidio causato dall’indifferenza generale e collettiva, dal silenzio complice di Caino che esclama: “A me che importa?”; «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9; Omelia a Redipuglia, 13 settembre 2014).

La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, quella che generalmente viene considerata come «il primo genocidio del XX secolo» (Giovanni Paolo II e Karekin II, Dichiarazione Comune, Etchmiadzin, 27 settembre 2001); essa ha colpito il vostro popolo armeno – prima nazione cristiana –, insieme ai siri cattolici e ortodossi, agli assiri, ai caldei e ai greci. Furono uccisi vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini, anziani e persino bambini e malati indifesi. Le altre due furono quelle perpetrate dal nazismo e dallo stalinismo. E più recentemente altri stermini di massa, come quelli in Cambogia, in Ruanda, in Burundi, in Bosnia. Eppure sembra che l’umanità non riesca a cessare di versare sangue innocente. Sembra che l’entusiasmo sorto alla fine della seconda guerra mondiale stia scomparendo e dissolvendosi. Pare che la famiglia umana rifiuti di imparare dai propri errori causati dalla legge del terrore; e così ancora oggi c’è chi cerca di eliminare i propri simili, con l’aiuto di alcuni e con il silenzio complice di altri che rimangono spettatori. Non abbiamo ancora imparato che “la guerra è una follia, una inutile strage” (cfr Omelia a Redipuglia, 13 settembre 2014).

Cari fedeli armeni, oggi ricordiamo con cuore trafitto dal dolore, ma colmo della speranza nel Signore Risorto, il centenario di quel tragico evento, di quell’immane e folle sterminio, che i vostri antenati hanno crudelmente patito. Ricordarli è necessario, anzi, doveroso, perché laddove non sussiste la memoria significa che il male tiene ancora aperta la ferita; nascondere o negare il male è come lasciare che una ferita continui a sanguinare senza medicarla!

Vi saluto con affetto e vi ringrazio per la vostra testimonianza.

Saluto e ringrazio per la sua presenza il Signor Serž Sargsyan, Presidente della Repubblica di Armenia.

Saluto cordialmente anche i miei fratelli Patriarchi e Vescovi: Sua Santità Karekin II, Supremo Patriarca e Catholicos di Tutti gli Armeni; Sua Santità Aram I, Catholicos della Grande Casa di Cilicia; Sua Beatitudine Nerses Bedros XIX, Patriarca di Cilicia degli Armeni Cattolici; e i due Catholicossati della Chiesa Apostolica Armena e il Patriarcato della Chiesa Armeno-Cattolica.

Con la ferma certezza che il male non proviene mai da Dio, infinitamente Buono, e radicati nella fede, professiamo che la crudeltà non può mai essere attribuita all’opera di Dio e, per di più, non deve assolutamente trovare nel suo Santo Nome alcuna giustificazione. Viviamo insieme questa Celebrazione fissando il nostro sguardo su Gesù Cristo Risorto, Vincitore della morte e del male!

[00575-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Chers frères et sœurs Arméniens,

Chers frères et sœurs!

En des occasions diverses j’ai défini cette époque comme un temps de guerre, une troisième guerre mondiale «par morceaux», où nous assistons quotidiennement à des crimes atroces, à des massacres sanglants, et à la folie de la destruction. Malheureusement, encore aujourd’hui, nous entendons le cri étouffé et négligé de beaucoup de nos frères et sœurs sans défense, qui, à cause de leur foi au Christ ou de leur appartenance ethnique, sont publiquement et atrocement tués – décapités, crucifiés, brulés vifs –, ou bien contraints d’abandonner leur terre.

Aujourd’hui encore nous sommes en train de vivre une sorte de génocide causé par l’indifférence générale et collective, par le silence complice de Caïn qui s’exclame: «Que m’importe?», «Suis-je le gardien de mon frère?» (Gn 4, 9; Homélie à Redipuglia, 13 septembre 2014).

Notre humanité a vécu, le siècle dernier, trois grandes tragédies inouïes: la première est celle qui est généralement considérée comme «le premier génocide du XXème siècle» (Jean-Paul II et Karekin II, Déclaration commune, Etchmiadzin, 27 septembre 2001); elle a frappé votre peuple arménien – première nation chrétienne –, avec les Syriens catholiques et orthodoxes, les Assyriens, les Chaldéens et les Grecs. Des évêques, des prêtres, des religieux, des femmes, des hommes, des personnes âgées et même des enfants et des malades sans défense ont été tués. Les deux autres ont été perpétrées par la nazisme et par le stalinisme. Et, plus récemment, d’autres exterminations de masse, comme celles au Cambodge, au Rwanda, au Burundi, en Bosnie. Cependant, il semble que l’humanité ne réussisse pas à cesser de verser le sang innocent. Il semble que l’enthousiasme qui est apparu à la fin de la seconde guerre mondiale soit en train de disparaître et de se dissoudre. Il semble que la famille humaine refuse d’apprendre de ses propres erreurs causées par la loi de la terreur; et ainsi, encore aujourd’hui, il y en a qui cherchent à éliminer leurs semblables, avec l’aide des uns et le silence complice des autres qui restent spectateurs. Nous n’avons pas encore appris que «la guerre est une folie, un massacre inutile» (cf. Homélie à Redipuglia, 13 septembre 2014).

Chers frères arméniens, aujourd’hui nous rappelons, le cœur transpercé de douleur mais rempli d’espérance dans le Seigneur ressuscité, le centenaire de ce tragique événement, de cette effroyable et folle extermination, que vos ancêtres ont cruellement soufferte. Se souvenir d’eux est nécessaire, plus encore c’est un devoir, parce que là où il n’y a plus de mémoire, cela signifie que le mal tient encore la blessure ouverte; cacher ou nier le mal c’est comme laisser une blessure continuer à saigner sans la panser!

Je vous salue avec affection et je vous remercie pour votre témoignage.

Je salue et je remercie pour sa présence Monsieur Serž Sargsyan, Président de la République d’Arménie.

Je salue aussi cordialement mes frères Patriarches et Évêques: Sa Sainteté Karekin II, Patriarche Suprême et Catholicos de tous les Arméniens; Sa Sainteté Aram Ier, Catholicos de la Grande Maison de Cilicie; Sa Béatitude Nerses Bedros XIX, Patriarche de Cilicie des Arméniens Catholiques; et les deux Catholicossats de l’Église Apostolique Arménienne, et le Patriarcat de l’Église Arméno-Catholique.

Avec la ferme certitude que le mal ne vient jamais de Dieu infiniment Bon, et enracinés dans la foi, affirmons que la cruauté ne peut jamais être attribuée à l’œuvre de Dieu, et en outre ne doit absolument pas trouver en son Saint Nom une quelconque justification. Vivons ensemble cette célébration en fixant notre regard sur Jésus-Christ, vainqueur de la mort et du mal.

[00575-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Dear Armenian Brothers and Sisters,

Dear Brothers and Sisters!

On a number of occasions I have spoken of our time as a time of war, a third world war which is being fought piecemeal, one in which we daily witness savage crimes, brutal massacres and senseless destruction. Sadly, today too we hear the muffled and forgotten cry of so many of our defenceless brothers and sisters who, on account of their faith in Christ or their ethnic origin, are publicly and ruthlessly put to death – decapitated, crucified, burned alive – or forced to leave their homeland.

Today too we are experiencing a sort of genocide created by general and collective indifference, by the complicit silence of Cain, who cries out: “What does it matter to me? Am I my brother’s keeper?” (cf. Gen 4:9; Homily in Redipuglia, 13 September 2014).

In the past century our human family has lived through three massive and unprecedented tragedies. The first, which is widely considered “the first genocide of the twentieth century” (JOHN PAUL II and KAREKIN II, Common Declaration, Etchmiadzin, 27 September 2001), struck your own Armenian people, the first Christian nation, as well as Catholic and Orthodox Syrians, Assyrians, Chaldeans and Greeks. Bishops and priests, religious, women and men, the elderly and even defenceless children and the infirm were murdered. The remaining two were perpetrated by Nazism and Stalinism. And more recently there have been other mass killings, like those in Cambodia, Rwanda, Burundi and Bosnia. It seems that humanity is incapable of putting a halt to the shedding of innocent blood. It seems that the enthusiasm generated at the end of the Second World War has dissipated and is now disappearing. It seems that the human family has refused to learn from its mistakes caused by the law of terror, so that today too there are those who attempt to eliminate others with the help of a few and with the complicit silence of others who simply stand by. We have not yet learned that “war is madness”, “senseless slaughter” (cf. Homily in Redipuglia, 13 September 2014).

Dear Armenian Christians, today, with hearts filled with pain but at the same time with great hope in the risen Lord, we recall the centenary of that tragic event, that immense and senseless slaughter whose cruelty your forebears had to endure. It is necessary, and indeed a duty, to honour their memory, for whenever memory fades, it means that evil allows wounds to fester. Concealing or denying evil is like allowing a wound to keep bleeding without bandaging it!

I greet you with affection and I thank you for your witness.

With gratitude for his presence, I greet Mr Serž Sargsyan, the President of the Republic of Armenia.

My cordial greeting goes also to my brother Patriarchs and Bishops: His Holiness Kerekin II, Supreme Patriarch and Catholicos of All Armenians; His Holiness Aram I, Catholicos of the Great House of Cilicia, His Beatitude Nerses Bedros XIX, Patriarch of Cilicia of Armenian Catholics; and Catholicosates of the Armenian Apostolic Church and the Patriarchate of the Armenian Catholic Church.

In the firm certainty that evil never comes from God, who is infinitely good, and standing firm in faith, let us profess that cruelty may never be considered God’s work and, what is more, can find absolutely no justification in his Holy Name. Let us continue this celebration by fixing our gaze on Jesus Christ, risen from the dead, victor over death and evil!

[00575-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Liebe armenischen Brüder und Schwestern,

Liebe Brüder und Schwestern!

Bei verschiedenen Gelegenheiten habe ich die heutige Zeit als Zeit des Kriegs bezeichnet, als dritten Weltkrieg „stückchenweise“, in dem wir tagtäglich grausamen Verbrechen beiwohnen, blutigen Massakern und dem Wahnsinn der Zerstörung. Leider hören wir auch heute noch den erstickten und vernachlässigten Schrei vieler unserer wehrlosen Brüder und Schwestern, die wegen ihres Glaubens an Christus oder ihrer ethnischen Herkunft öffentlich und grausam getötet werden – enthauptet, gekreuzigt, lebendig verbrannt –, oder die gezwungen werden, ihr Land zu verlassen.

Auch heute erleben wir gerade eine Art Genozid, der durch die allgemeine und kollektive Gleichgültigkeit verursacht wird, durch das komplizenhafte Schweigen Kains, der ausruft: „Was geht das mich an?“; «Bin ich etwa der Hüter meines Bruders?» (Gen 4,9; Predigt in Redipuglia, 13. September 2014).

Unsere Menschheit hat im vergangenen Jahrhundert drei große, unerhörte Tragödien erlebt: die erste, die allgemein als «der erste Genozid des 20. Jarhunderts» angesehen wird (Johannes Paul II. und Karekin II., Gemeinsame Erklärung in der Kathedrale des heiligen Etschmiadzin, 27. September 2001); diese hat euer armenisches Volk getroffen – die erste christliche Nation –, zusammen mit den katholischen und orthodoxen Syrern, den Assyrern, den Chaldäern und den Griechen. Bischöfe, Priester, Ordensleute, Frauen, Männer und alte Menschen bis hin zu wehrlosen Kindern und Kranken wurden getötet. Die anderen beiden Völkermorde wurden durch den Nationalsozialismus und den Stalinismus verübt. Und in jüngerer Zeit gab es andere Massenvernichtungen wie in Kambodscha, in Ruanda, in Burundi, in Bosnien. Doch scheinbar schafft es die Menschheit nicht, das Vergießen unschuldigen Blutes zu beenden. Es scheint, dass die nach dem Zweiten Weltkrieg wach gewordene Begeisterung gerade am Verblassen ist und sich auflöst. Die Menschheitsfamilie scheint es abzulehnen, aus den eigenen Fehlern, die durch das Gesetz des Terrors verursacht wurden, zu lernen; und so gibt es das noch heute, die eigenen Artgenossen mit der Hilfe einiger und dem komplizenhaften Schweigen anderer, die Zuschauer bleiben, eliminieren zu wollen. Wir haben immer noch nicht gelernt, dass „der Krieg ein Wahnsinn und ein unnötiges Blutbad ist“ (Predigt in Redipuglia, 13. September 2014).

Liebe armenische Gläubige, heute erinnern wir mit einem von Schmerz durchbohrtem Herzen, aber erfüllt von der Hoffnung auf den auferstandenen Herrn, an jenes tragische Ereignis vor hindert Jahren, jene ungeheure und wahnsinnige Vernichtung, die eure Vorfahren grausam erlitten haben. Sich an sie zu erinnern ist notwendig, besser noch eine Pflicht, denn wo es kein Gedenken gibt, hält das Böse die Wunde weiter offen; das Böse zu verbergen oder zu leugnen, ist wie zuzulassen, dass eine Wunde ohne Behandlung weiterblutet!

Ich grüße euch herzlich und danke euch für euer Zeugnis.

Ich grüße Herrn Serž Sargsyan, den Präsidenten der Republik Armenien, und danke ihm für sein Kommen.

Ich grüße herzlich auch meine Brüder Patriarchen und Bischöfe: Seine Heiligkeit Karekin II., oberster Patriarch und Katholikos aller Armenier; Seine Heiligkeit Aram I., Katholikos des Großen Hauses von Kilikien; Seine Seligkeit Nerses Bedros XIX., Patriarch von Kilikien der katholischen Armenier; die beiden Katholikossate der Armenisch Apostolischen Kirche und das Patriarchat der Armenisch-katholischen Kirche.

Mit der entschiedenen Gewissheit, dass das Böse nie von Gott kommt, dem unendlich Guten, und verwurzelt im Glauben bekennen wir, dass die Grausamkeit nie dem Werk Gottes zugeschrieben werden kann und, mehr noch, in seinem Namen in keiner Weise irgendeine Rechtfertigung erfahren darf. Begehen wir zusammen diese Feier mit unserem Blick auf Jesus Christus, den Auferstandenen, den Sieger über den Tod und das Böse!

[00575-DE.03] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione il lingua spagnola

Queridos hermanos y hermanas armenios,

Queridos hermanos y hermanas:

En varias ocasiones he definido este tiempo como un tiempo de guerra, como una tercera guerra mundial “por partes”, en la que asistimos cotidianamente a crímenes atroces, a sangrientas masacres y a la locura de la destrucción. Desgraciadamente todavía hoy oímos el grito angustiado y desamparado de muchos hermanos y hermanas indefensos, que a causa de su fe en Cristo o de su etnia son pública y cruelmente asesinados –decapitados, crucificados, quemados vivos–, o bien obligados a abandonar su tierra.

También hoy estamos viviendo una especie de genocidio causado por la indiferencia general y colectiva, por el silencio cómplice de Caín que clama: «¿A mí qué me importa?», «¿Soy yo el guardián de mi hermano?» (Gn 4,9; Homilía en Redipuglia, 13 de septiembre de 2014).

La humanidad conoció en el siglo pasado tres grandes tragedias inauditas: la primera, que generalmente es considerada como «el primer genocidio del siglo XX» (Juan Pablo II y Karekin II, Declaración conjunta, Etchmiazin, 27 de septiembre de 2001), afligió a vuestro pueblo armenio –primera nación cristiana–, junto a los sirios católicos y ortodoxos, los asirios, los caldeos y los griegos. Fueron asesinados obispos, sacerdotes, religiosos, mujeres, hombres, ancianos e incluso niños y enfermos indefensos. Las otras dos fueron perpetradas por el nazismo y el estalinismo. Y más recientemente ha habido otros exterminios masivos, como los de Camboya, Ruanda, Burundi, Bosnia. Y, sin embargo, parece que la humanidad no consigue dejar de derramar sangre inocente. Parece que el entusiasmo que surgió al final de la segunda guerra mundial está desapareciendo y disolviéndose. Da la impresión de que la familia humana no quiere aprender de sus errores, causados por la ley del terror; y así aún hoy hay quien intenta acabar con sus semejantes, con la colaboración de algunos y con el silencio cómplice de otros que se convierten en espectadores. No hemos aprendido todavía que «la guerra es una locura, una masacre inútil» (cf. Homilía en Redipuglia, 13 de septiembre de 2014).

Queridos fieles armenios, hoy recordamos, con el corazón traspasado de dolor, pero lleno de esperanza en el Señor Resucitado, el centenario de aquel trágico hecho, de aquel exterminio terrible y sin sentido, que vuestros antepasados padecieron cruelmente. Es necesario recordarlos, es más, es obligado recordarlos, porque donde se pierde la memoria quiere decir que el mal mantiene aún la herida abierta; esconder o negar el mal es como dejar que una herida siga sangrando sin curarla.

Os saludo con afecto y os agradezco vuestro testimonio.

Saludo y agradezco la presencia del señor Serž Sargsyan, Presidente de la República de Armenia.

Saludo cordialmente también a mis hermanos Patriarcas y Obispos: Su Santidad Karekin II, Patriarca supremo y Catolicós de todos los armenios; Su Santidad Aram I, Catolicós de la Gran Casa de Cilicia; Su Beatitud Nerses Bedros XIX, Patriarca de Cilicia de los Armenios Católicos;y los dos Catolicosados de la Iglesia Apostólica Armenia y el Patriarcado de la Iglesia Armenio-Católica.

Con la firme certeza de que el mal nunca proviene de Dios, infinitamente Bueno, y firmes en la fe, profesamos que la crueldad nunca puede ser atribuida a la obra de Dios y, además, no debe encontrar, en ningún modo, en su santo Nombre justificación alguna. Vivamos juntos esta celebración con los ojos fijos en Jesucristo Resucitado, Vencedor de la muerte y del mal.

[00575-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Queridos irmãos e irmãs arménios,

Amados irmãos e irmãs!

Em várias ocasiões, defini este tempo como um tempo de guerra, uma terceira guerra mundial combatida «por pedaços», assistindo nós diariamente a crimes hediondos, a massacres sangrentos e à loucura da destruição. Ainda hoje, infelizmente, ouvimos o grito, abafado e transcurado, de muitos dos nossos irmãos e irmãs inermes que, por causa da sua fé em Cristo ou da sua pertença étnica, são pública e atrozmente assassinados – decapitados, crucificados, queimados vivos – ou então forçados a abandonar a sua terra.

Também hoje estamos a viver uma espécie de genocídio, causado pela indiferença geral e colectiva, pelo silêncio cúmplice de Caim, que exclama: «A mim, que me importa? (…) Sou, porventura, guarda do meu irmão?» (Gn 4, 9; Homilia em Redipuglia, 13 de Setembro de 2014).

No século passado, a nossa humanidade viveu três grandes e inauditas tragédias: a primeira, que geralmente é considerada como «o primeiro genocídio do século XX» (JOÃO PAULO II E KAREKIN II, Declaração Conjunta, Etchmiadzin, 27 de Setembro de 2001), atingiu o vosso povo arménio – a primeira nação cristã – juntamente com os sírios católicos e ortodoxos, os assírios, os caldeus e os gregos. Foram mortos bispos, sacerdotes, religiosos, mulheres, homens, idosos e até crianças e doentes indefesos. As outras duas são as perpetradas pelo nazismo e pelo estalinismo. E, mais recentemente, houve outros extermínios de massa, como os do Camboja, do Ruanda, do Burundi, da Bósnia. E todavia parece que a humanidade não consiga parar de derramar sangue inocente. Parece que o entusiasmo surgido no final da II Guerra Mundial esteja a desaparecer e dissolver-se. Parece que a família humana se recuse a aprender com os seus próprios erros causados pela lei do terror; e, assim, ainda hoje há quem procure eliminar os seus semelhantes, com a ajuda de alguns e o silêncio cúmplice de outros que permanecem espectadores. Ainda não aprendemos que «a guerra é uma loucura, um inútil massacre» (cf. Homilia em Redipuglia, 13 de Setembro de 2014).

Hoje, queridos fiéis arménios, recordamos – com o coração trespassado pela dor mas repleto da esperança no Senhor Ressuscitado – o centenário daquele trágico acontecimento, daquele enorme e louco extermínio que cruelmente sofreram os vossos antepassados. Recordá-los é necessário, antes forçoso, porque, quando não subsiste a memória, quer dizer que o mal ainda mantém aberta a ferida; esconder ou negar o mal é como deixar que uma ferida continue a sangrar sem a tratar!

Com afecto, vos saúdo e agradeço o vosso testemunho.

Saúdo e agradeço a presença do senhor Serž Sargsyan, Presidente da República da Arménia.

Saúdo cordialmente também os meus irmãos Patriarcas e Bispos: Sua Santidade Karekin II, Patriarca Supremo e Catholicos de Todos os Arménios; Sua Santidade Aram I, Catholicos da Grande Casa da Cilícia; Sua Beatitude Nerses Bedros XIX, Patriarca da Cilícia dos Arménios Católicos; os dois Catholicossatos da Igreja Apostólica Arménia e o Patriarcado da Igreja Armeno-Católica.

Com a firme certeza de que o mal nunca provém de Deus, infinitamente Bom, e radicados na fé, professamos que a crueldade não pode jamais ser atribuída à acção de Deus e, mais, não deve de forma alguma encontrar no seu Santo Nome qualquer justificação. Vivamos, juntos, esta Celebração, fixando o nosso olhar em Jesus Cristo Ressuscitado, Vencedor da morte e do mal!

[00575-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Drodzy bracia i siostry Ormianie,

Drodzy bracia i siostry,

Przy różnych okazjach określałem ten czas okresem wojny, trzeciej wojny światowej „w kawałkach”, kiedy codziennie jesteśmy świadkami odrażających zbrodni, krwawych rzezi i szaleństwa zniszczenia. Niestety, także i dziś słyszymy przytłumiony i lekceważony krzyk wielu naszych bezbronnych braci i sióstr, którzy z powodu wiary w Chrystusa lub przynależności etnicznej są publicznie i okrutnie zabijani - ścinani, krzyżowani, paleni żywcem - lub zmuszani do opuszczenia swojej ziemi.

Także dzisiaj mamy do czynienia ze swego rodzaju ludobójstwem spowodowanym przez ogólną i zbiorową obojętność, przez współwinne milczenie Kaina, który woła: „Cóż mnie to obchodzi?”; „Czyż jestem stróżem brata mego?” (Rdz 4,9; Homilia w Redipuglia, 13 września 2014).

W ubiegłym wieku ludzkość przeżyła trzy wielkie niesłychane tragedie: pierwsza, uznawana powszechnie za „pierwsze ludobójstwo XX stulecia” (JAN PAWEŁ II i KAREKIN II, Deklaracja wspólna, Eczmiadzyn, 27 września 2001 roku). Była ona wymierzona w wasz naród ormiański - pierwszy naród chrześcijański - wraz z Syryjczykami – wyznania katolickiego i ortodoksyjnego, Asyryjczykami, Chaldejczykami i Grekami. Zostali zabici biskupi, kapłani, zakonnicy, kobiety, mężczyźni, osoby starsze, a nawet dzieci i bezbronni chorzy. Dwie inne tragedie, to te popełnione przez nazizm i stalinizm. Natomiast w czasach mniej odległych masowe eksterminacje, takie jak w Kambodży, Rwandzie, Burundi i w Bośni. Wygląda jednak na to, że ludzkość nie jest w stanie zaprzestać przelewania niewinnej krwi. Wydaje się, że entuzjazm, powstały po II wojnie światowej zanika i ulatuje. Wydaje się, że rodzina ludzka odrzuca uczenie się na własnych błędach spowodowanych przez prawo terroru. W ten sposób także dzisiaj są ludzie, którzy próbują wyeliminować sobie podobnych, przy pomocy niektórych oraz przy współwinnym milczeniu innych, którzy się tylko przyglądają. Jeszcze się nie nauczyliśmy, że „wojna jest szaleństwem, bezużyteczną rzezią” (por. Homilia w Redipuglia, 13 września 2014).

Drodzy wierni obrządku ormiańskiego, dziś wspominamy z sercem przeszytym bólem, ale pełnym nadziei w Zmartwychwstałym Panu setną rocznicę tego tragicznego wydarzenia, tej bezprecedensowej i szalonej eksterminacji, jakiej okrutnie doznali wasi przodkowie. Trzeba o nich pamiętać, a wręcz jest to obowiązkiem, ponieważ tam, gdzie brak pamięci zło nadal nie pozwala zabliźnić się otwartej ranie. Ukrywanie lub zaprzeczanie złu jest jakby pozwalaniem, aby niezaleczona rana nadal krwawiła.

Serdecznie was pozdrawiam i dziękuję za wasze świadectwo. Pozdrawiam pana Serża Sarkisjana, prezydenta Republiki Armenii i dziękuję za obecność.

Serdecznie pozdrawiam także moich braci patriarchów i biskupów, Jego Świątobliwość Karekina II, Najwyższego Patriarchę i Katolikosa Wszystkich Ormian; Jego Świątobliwość Arama I, Katolikosa Wielkiego Domu Cylicyjskiego; Jego Świątobliwość Nersesa Bedrosa XIX, patriarchę Cylicji katolików obrządku ormiańskiego; przedstawicieli dwóch katolikatów Ormiańskiego Kościoła Apostolskiego oraz patriarchatu Kościoła katolickiego obrządku ormiańskiego.

Głęboko przekonani, że zło nigdy nie pochodzi od Boga nieskończenie dobrego i zakorzenieni w wierze, wyznajemy, że okrucieństwa nigdy nie można przypisać działaniu Boga, a co więcej, że nie może ono absolutnie znaleźć jakiegokolwiek usprawiedliwienia w Jego świętym Imieniu. Przeżywajmy wspólnie tę celebrację wpatrując się w Jezusa Chrystusa zmartwychwstałego, zwycięzcę śmierci i zła!

[00575-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Omelia del Santo Padre dopo la proclamazione del Santo Vangelo

Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Omelia del Santo Padre

San Giovanni, che era presente nel Cenacolo con gli altri discepoli quella sera del primo giorno dopo il sabato, riferisce che Gesù venne in mezzo a loro, disse: «Pace a voi!», e «mostrò loro le mani e il fianco» (20,19-20), mostrò le sue piaghe. Così essi riconobbero che non era una visione, era proprio Lui, il Signore, e furono pieni di gioia.

Otto giorni dopo Gesù venne di nuovo nel Cenacolo e mostrò le piaghe a Tommaso, perché le toccasse come lui voleva, per poter credere e diventare anch’egli un testimone della Risurrezione.

Anche a noi, oggi, in questa Domenica che san Giovanni Paolo II ha voluto intitolare alla Divina Misericordia, il Signore mostra, mediante il Vangelo, le sue piaghe. Sono piaghe di misericordia. È vero: le piaghe di Gesù sono piaghe di misericordia. «Nelle sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53, 5).

Gesù ci invita a guardare queste piaghe, ci invita a toccarle, come ha fatto con Tommaso, per guarire la nostra incredulità. Ci invita soprattutto ad entrare nel mistero di queste piaghe, che è il mistero del suo amore misericordioso.

Attraverso di esse, come in una breccia luminosa, noi possiamo vedere tutto il mistero di Cristo e di Dio: la sua Passione, la sua vita terrena – piena di compassione per i piccoli e i malati – la sua incarnazione nel grembo di Maria. E possiamo risalire a ritroso tutta la storia della salvezza: le profezie – specialmente quella del Servo di Jahweh –, i Salmi, la Legge e l’alleanza, fino alla liberazione dall’Egitto, alla prima pasqua e al sangue degli agnelli immolati; e ancora ai Patriarchi fino ad Abramo e poi nella notte dei tempi fino ad Abele e al suo sangue che grida dalla terra. Tutto questo possiamo vedere attraverso le piaghe di Gesù Crocifisso e Risorto, e come Maria nel Magnificat possiamo riconoscere che “la sua misericordia si stende di generazione in generazione” (cfr Lc 1,50).

Di fronte agli eventi tragici della storia umana rimaniamo a volte come schiacciati, e ci domandiamo “perché?”. La malvagità umana può aprire nel mondo come delle voragini, dei grandi vuoti: vuoti di amore, vuoti di bene, vuoti di vita. E allora ci domandiamo: come possiamo colmare queste voragini? Per noi è impossibile; solo Dio può colmare questi vuoti che il male apre nei nostri cuori e nella nostra storia. È Gesù, fatto uomo e morto sulla croce, che colma l’abisso del peccato con l’abisso della sua misericordia.

San Bernardo, in un suo commento al Cantico dei Cantici (Disc. 61, 3-5; Opera omnia 2, 150-151), si sofferma proprio sul mistero delle piaghe del Signore, usando espressioni forti, audaci, che ci fa bene riprendere oggi. Dice che «attraverso le ferite del corpo si manifesta l’arcana carità del cuore [di Cristo], si fa palese il grande mistero dell’amore, si mostrano le viscere di misericordia del nostro Dio».

Ecco, fratelli e sorelle, la via che Dio ci ha aperto per uscire, finalmente, dalla schiavitù del male e della morte ed entrare nella terra della vita e della pace. Questa Via è Lui, è Gesù, Crocifisso e Risorto, e sono in particolare le sue piaghe piene di misericordia.

I Santi ci insegnano che il mondo si cambia a partire dalla conversione del proprio cuore, e questo avviene grazie alla misericordia di Dio. Per questo, sia davanti ai miei peccati sia davanti alle grandi tragedie del mondo, «la coscienza si turberà, ma non ne sarà scossa perché mi ricorderò delle ferite del Signore. Infatti “è stato trafitto per i nostri delitti” (Is 53,5). Che cosa vi è di tanto mortale che non possa essere disciolto dalla morte di Cristo?» (ibid.).

Tenendo lo sguardo rivolto alle piaghe di Gesù Risorto, possiamo cantare con la Chiesa: «Il suo amore è per sempre» (Sal 117,2); la sua misericordia è eterna. E con queste parole impresse nel cuore, camminiamo sulle strade della storia, con la mano nella mano del nostro Signore e Salvatore, nostra vita e nostra speranza.

[00572-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Saint Jean, qui était présent au Cénacle avec les autres disciples le soir du premier jour après le sabbat, rapporte que Jésus vint au milieu d’eux et dit:«Paix à vous», et «il leur montra ses mains et son côté» (20, 19-20), il montra ses plaies. Ils reconnurent ainsi que ce n’était pas une vision, c’était vraiment lui, le Seigneur, et ils furent remplis de joie.

Huit jours plus tard, Jésus vint de nouveau au Cénacle et montra les plaies à Thomas, pour qu’il les touche comme il le voulait, afin de pouvoir croire et devenir lui aussi un témoin de la résurrection.

Nous aussi, aujourd’hui, en ce dimanche que saint Jean-Paul II a voulu appeler de la Divine Miséricorde, le Seigneur montre ses plaies, par l’’intermédiaire de l’Évangile. Ce sont des plaies de miséricorde. C’est vrai: les plaies de Jésus sont des plaies de miséricorde. «Par ses blessures nous sommes guéris» (Is 53, 5).

Jésus nous invite à regarder ces plaies, il nous invite à les toucher, comme il l’a fait avec Thomas, pour guérir notre incrédulité. Il nous invite surtout à entrer dans le mystère de ces plaies, qui est le mystère de son amour miséricordieux.

A travers elles, come par une brèche lumineuse, nous pouvons voir tout le mystère du Christ et de Dieu: sa passion, sa vie terrestre – pleine de compassion pour les petits et les malades – son incarnation dans le sein de Marie. Et nous pouvons remonter toute l’histoire du salut: les prophéties – spécialement celle du Serviteur de Yahvé –, les psaumes, la Loi et l’alliance, jusqu’à la libération d’Égypte, à la première Pâque et au sang des agneaux immolés; et aussi aux Patriarches, jusqu’à Abraham, et ensuite dans la nuit des temps, jusqu’à Abel et à son sang qui crie de la terre. Nous pouvons voir tout cela à travers les plaies de Jésus crucifié et ressuscité, et, comme Marie dans le Magnificat, nous pouvons reconnaître que «sa miséricorde s’étend d’âge en âge» (cf. Lc 1,50).

Face aux événements tragiques de l’histoire humaine nous restons parfois comme écrasés, et nous nous demandons «pourquoi?». La méchanceté humaine peut ouvrir dans le monde comme des gouffres, de grands vides: vides d’amour, vides de bien, vides de vie. Et alors nous nous demandons: comment pouvons-nous combler ces gouffres? Pour nous c’est impossible; Dieu seul peut combler ces vides que le mal ouvre dans nos cœurs et dans notre histoire. C’est Jésus fait homme et mort sur la croix qui comble l’abîme du péché par l’abîme de sa miséricorde.

Saint Bernard, dans son commentaire du Cantique des Cantiques (Disc. 61, 3-5; Opera omnia 2, 150-151), s’arrête justement sur le mystère des plaies du Seigneur, en utilisant des expressions fortes, audacieuses, qu’il nous fait du bien de reprendre aujourd’hui. Il dit qu’ «à travers les blessures de son corps, l’amour caché du cœur [du Christ] se manifeste, le grand mystère de l’amour se révèle, les entrailles de la miséricorde de notre Dieu se montrent».

Voilà, frères et sœurs, la voie que Dieu nous a ouverte pour enfin sortir de l’esclavage du mal et de la mort, et entrer dans la terre de la vie et de la paix. Cette voie c’est lui, Jésus, crucifié et ressuscité, et ce sont particulièrement ses plaies pleines de miséricorde.

Les saints nous enseignent que le monde se transforme par de la conversion du cœur, et cela se produit grâce à la miséricorde de Dieu. Pour cette raison, que ce soit devant mes péchés ou que ce soit devant les grandes tragédies du monde, «ma conscience sera troublée mais elle n’en sera pas ébranlée, parce que je me souviendrai des blessures du Seigneur. En effet “il a été transpercé à cause de nos fautes” (Is 53, 5). Il n’y a rien qui soit mortel pour nous qui ne puisse être guéri par la mort du Christ» (ibid.).

Le regard tourné vers les plaies de Jésus ressuscité, nous pouvons chanter avec l’Église: «Éternel est son amour» (Ps 117, 2); sa miséricorde est éternelle. Et avec ses paroles imprimées dans le cœur, marchons sur les routes de l’histoire, la main dans la main de notre Seigneur et Sauveur, notre vie et notre espérance.

[00572-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Saint John, who was in the Upper Room with the other disciples on the evening of the first day after the Sabbath, tells us that Jesus came and stood among them, and said, “Peace be with you!” and he showed them his hands and his side (Jn 20:19-20); he showed them his wounds. And in this way they realized that it was not an apparition: it was truly him, the Lord, and they were filled with joy.

On the eighth day Jesus came once again into the Upper Room and showed his wounds to Thomas, so that he could touch them as he had wished to, in order to believe and thus become himself a witness to the Resurrection.

To us also, on this Sunday which Saint John Paul II wished to dedicate to Divine Mercy, the Lord shows us, through the Gospel, his wounds. They are wounds of mercy. It is true: the wounds of Jesus are wounds of mercy. “With his stripes we are healed” (Is 53:5).

Jesus invites us to behold these wounds, to touch them as Thomas did, to heal our lack of belief. Above all, he invites us to enter into the mystery of these wounds, which is the mystery of his merciful love.

Through these wounds, as in a light-filled opening, we can see the entire mystery of Christ and of God: his Passion, his earthly life – filled with compassion for the weak and the sick – his incarnation in the womb of Mary. And we can retrace the whole history of salvation: the prophecies – especially about the Servant of the Lord, the Psalms, the Law and the Covenant; to the liberation from Egypt, to the first Passover and to the blood of the slaughtered lambs; and again from the Patriarchs to Abraham, and then all the way back to Abel, whose blood cried out from the earth. All of this we can see in the wounds of Jesus, crucified and risen; with Mary, in her Magnificat, we can perceive that, “His mercy extends from generation to generation” (cf. Lk 1:50).

Faced with the tragic events of human history we can feel crushed at times, asking ourselves, “Why?”. Humanity’s evil can appear in the world like an abyss, a great void: empty of love, empty of goodness, empty of life. And so we ask: how can we fill this abyss? For us it is impossible; only God can fill this emptiness that evil brings to our hearts and to human history. It is Jesus, God made man, who died on the Cross and who fills the abyss of sin with the depth of his mercy.

Saint Bernard, in one of his commentaries on the Canticle of Canticles (Sermon 61, 3-5: Opera Omnia, 2, 150-151), reflects precisely on the mystery of the Lord’s wounds, using forceful and even bold expressions which we do well to repeat today. He says that “through these sacred wounds we can see the secret of [Christ’s] heart, the great mystery of love, the sincerity of his mercy with which he visited us from on high”.

Brothers and sisters, behold the way which God has opened for us to finally go out from our slavery to sin and death, and thus enter into the land of life and peace. Jesus, crucified and risen, is the way and his wounds are especially full of mercy.

The saints teach us that the world is changed beginning with the conversion of one’s own heart, and that this happens through the mercy of God. And so, whether faced with my own sins or the great tragedies of the world, “my conscience would be distressed, but it would not be in turmoil, for I would recall the wounds of the Lord: ‘he was wounded for our iniquities’ (Is 53:5). What sin is there so deadly that it cannot be pardoned by the death of Christ?” (ibid.).

Keeping our gaze on the wounds of the Risen Jesus, we can sing with the Church: “His love endures forever” (Ps 117:2); eternal is his mercy. And with these words impressed on our hearts, let us go forth along the paths of history, led by the hand of our Lord and Saviour, our life and our hope.

[00572-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Der heilige Johannes, der mit den anderen Jüngern am Abend des ersten Tages nach dem Sabbat im Abendmahlssaal zugegen war, berichtet, dass Jesus in ihre Mitte trat und sprach: „Friede sei mit euch!“ Und er zeigte ihnen „seine Hände und seine Seite“ (20,19.20), er zeigte seine Wunden. So erkannten sie, dass es keine Vision war. Er war es wirklich, der Herr, und sie freuten sich sehr.

Acht Tage später kam Jesus wieder in den Abendmahlssaal und zeigte Thomas seine Wunden, damit er sie seinem Wunsch entsprechend berühre, um glauben zu können und so auch selbst ein Zeuge der Auferstehung zu werden.

An diesem Sonntag, den der heilige Johannes Paul II. nach der Göttlichen Barmherzigen benannt hat, zeigt der Herr durch das Evangelium auch uns heute seine Wunden. Es sind Wunden der Barmherzigkeit. Wirklich, die Wunden Jesu sind Wunden der Barmherzigkeit. „Durch seine Wunden sind wir geheilt“ (Jes 53,5).

Jesus lädt uns ein, diese Wunden zu betrachten, er lädt uns ein, sie zu berühren, wie er es mit Thomas gemacht hat, um unseren Unglauben zu heilen. Vor allem lädt er uns ein, in das Geheimnis dieser Wunden einzutreten, welches das Geheimnis seiner barmherzigen Liebe ist.

Durch die Wunden wie durch einen leuchtenden Zugang hindurch können wir das ganze Geheimnis Christi und Gottes sehen: sein Leiden, sein irdisches Leben – voll Mitleid für die Kleinen und die Kranken – seine Menschwerdung im Schoß Mariens. Und wir können die ganze Heilsgeschichte zurückgehen: die Prophetien – besonders jene vom Gottesknecht –, die Psalmen, das Gesetz und der Bund, bis zur Befreiung aus Ägypten, zum ersten Paschafest und zum Blut der Opferlämmer; und weiter zu den Patriarchen bis hin zu Abraham; und dann, in grauer Vorzeit, bis zu Abel und seinem Blut, das zum Himmel schreit. Dies alles können wir durch die Wunden des gekreuzigten und auferstandenen Jesus hindurch sehen. Und wie Maria im Magnificat können wir erkennen, dass „er sich von Geschlecht zu Geschlecht erbarmt“ (vgl. Lk 1,50).

Angesichts der tragischen Ereignisse in der Menschheitsgeschichte sind wir manchmal wie erdrückt und fragen uns „Warum?“. Die menschliche Bosheit kann in der Welt gleichsam Abgründe, ein großes Vakuum auftun: ein Vakuum an Liebe, ein Vakuum an Gutem, ein Vakuum an Leben. Und dann fragen wir uns: Wie können wir diese Abgründe auffüllen? Für uns ist es unmöglich; Gott allein kann diese Leere, welche das Böse in unseren Herzen und in unserer Geschichte auftut, füllen. Und Jesus, der Mensch geworden und am Kreuz gestorben ist, füllt den Abgrund der Sünde mit dem Abgrund seiner Barmherzigkeit.

Der heilige Bernhard verweilt in einem seiner Kommentare zum Hohenlied (Disc. 61, 3-5; Opera omnia 2, 150-151) ausdrücklich beim Geheimnis der Wunden des Herrn und gebraucht kraftvolle, kühne Ausdrücke. Dies heute aufzugreifen ist von Nutzen Er sagt, dass „durch die offenen Wunden des Leibes das Allerheiligste des Herzens [Christi] offen steht, das große Geheimnis der Liebe offen liegt und das Innere durch die Wunden offen ist“.

Seht, Brüder und Schwestern, den Weg, den Gott uns eröffnet hat, um endlich aus der Knechtschaft des Bösen und des Todes hinauszutreten und in das Land des Lebens und des Friedens einzutreten. Dieser Weg ist Er, Jesus, der Gekreuzigte und Auferstandene, und es sind im Besonderen seine Wunden voll Barmherzigkeit.

Die Heiligen lehren uns, dass sich die Welt mit der Umwandlung des eigenen Herzens ändert – und das geschieht dank der Barmherzigkeit Gottes. Angesichts meiner Sünden oder der großen Tragödien der Welt ist daher «das Gewissen beunruhigt. Aber es wird nicht aus der Fassung gebracht, weil ich an die Wunden des Herrn denke. Denn „er wurde verwundet wegen unserer Verbrechen“ (Jes 53,5). Was könnte so tödlich sein, dass es nicht durch den Tod Christi gelöst würde» (ebd.)?

Den Blick beständig auf die Wunden des auferstandenen Jesus gerichtet können wir mit der Kirche singen: „Die Treue des Herrn währt in Ewigkeit“ (Ps 117,2); seine Barmherzigkeit währt ewig. Und mit diesen Worten im Herzen gehen wir auf den Straßen der Geschichte, unsere Hand in der Hand unsers Herrn und Erlösers, der unser Leben und unsere Hoffnung ist.

[00572-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

San Juan, que estaba presente en el Cenáculo con los otros discípulos al anochecer del primer día de la semana, cuenta cómo Jesús entró, se puso en medio y les dijo: «Paz a vosotros», y «les enseñó las manos y el costado» (20,19-20), les mostró sus llagas. Así ellos se dieron cuenta de que no era una visión, era Él, el Señor, y se llenaron de alegría.

Ocho días después, Jesús entró de nuevo en el Cenáculo y mostró las llagas a Tomás, para que las tocase como él quería, para que creyese y se convirtiese en testigo de la Resurrección.

También a nosotros, hoy, en este Domingo que san Juan Pablo II quiso dedicar a la Divina Misericordia, el Señor nos muestra, por medio del Evangelio, sus llagas. Son llagas de misericordia. Es verdad: las llagas de Jesús son llagas de misericordia. «Por sus llagas fuimos sanados» (Is 53,5).

Jesús nos invita a mirar sus llagas, nos invita a tocarlas, como a Tomás, para sanar nuestra incredulidad. Nos invita, sobre todo, a entrar en el misterio de sus llagas, que es el misterio de su amor misericordioso.

A través de ellas, como por una brecha luminosa, podemos ver todo el misterio de Cristo y de Dios: su Pasión, su vida terrena –llena de compasión por los más pequeños y los enfermos–, su encarnación en el seno de María. Y podemos recorrer hasta sus orígenes toda la historia de la salvación: las profecías –especialmente la del Siervo de Yahvé–, los Salmos, la Ley y la alianza, hasta la liberación de Egipto, la primera pascua y la sangre de los corderos sacrificados; e incluso hasta los patriarcas Abrahán, y luego, en la noche de los tiempos, hasta Abel y su sangre que grita desde la tierra. Todo esto lo podemos verlo a través de las llagas de Jesús Crucificado y Resucitado y, como María en el Magnificat, podemos reconocer que «su misericordia llega a sus fieles de generación en generación» (Lc 1,50).

Ante los trágicos acontecimientos de la historia humana, nos sentimos a veces abatidos, y nos preguntamos: «¿Por qué?». La maldad humana puede abrir en el mundo abismos, grandes vacíos: vacíos de amor, vacíos de bien, vacíos de vida. Y nos preguntamos: ¿Cómo podemos salvar estos abismos? Para nosotros es imposible; sólo Dios puede colmar estos vacíos que el mal abre en nuestro corazón y en nuestra historia. Es Jesús, que se hizo hombre y murió en la cruz, quien llena el abismo del pecado con el abismo de su misericordia.

San Bernardo, en su comentario al Cantar de los Cantares (Disc. 61,3-5; Opera omnia 2,150-151), se detiene justamente en el misterio de las llagas del Señor, usando expresiones fuertes, atrevidas, que nos hace bien recordar hoy. Dice él que «las heridas que su cuerpo recibió nos dejan ver los secretos de su corazón; nos dejan ver el gran misterio de piedad, nos dejan ver la entrañable misericordia de nuestro Dios».

Es este, hermanos y hermanas, el camino que Dios nos ha abierto para que podamos salir, finalmente, de la esclavitud del mal y de la muerte, y entrar en la tierra de la vida y de la paz. Este Camino es Él, Jesús, Crucificado y Resucitado, y especialmente lo son sus llagas llenas de misericordia.

Los Santos nos enseñan que el mundo se cambia a partir de la conversión de nuestros corazones, y esto es posible gracias a la misericordia de Dios. Por eso, ante mis pecados o ante las grandes tragedias del mundo, «me remorderá mi conciencia, pero no perderé la paz, porque me acordaré de las llagas del Señor. Él, en efecto, “fue traspasado por nuestras rebeliones” (Is 53,5). ¿Qué hay tan mortífero que no haya sido destruido por la muerte de Cristo?» (ibíd.).

Con los ojos fijos en las llagas de Jesús Resucitado, cantemos con la Iglesia: «Eterna es su misericordia» (Sal 117,2). Y con estas palabras impresas en el corazón, recorramos los caminos de la historia, de la mano de nuestro Señor y Salvador, nuestra vida y nuestra esperanza.

[00572-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

São João, presente no Cenáculo com os outros discípulos ao anoitecer do primeiro dia da semana, refere que Jesus veio, pôs-Se no meio deles e disse: «A paz esteja convosco!». E «mostrou-lhes as mãos e o peito» (20, 19-20), mostrou-lhes as suas chagas. Reconheceram, assim, que não se tratava duma visão, mas era mesmo Ele, o Senhor, e encheram-se de alegria.

Oito dias depois, Jesus veio de novo ao Cenáculo e mostrou as chagas a Tomé a fim de que as tocasse como ele pretendia para poder acreditar e tornar-se, também ele, uma testemunha da Ressurreição.

Hoje, neste Domingo que São João Paulo II quis intitular à Misericórdia Divina, o Senhor mostra-nos também a nós, através do Evangelho, as suas chagas. São chagas de misericórdia. É verdade! As chagas de Jesus são chagas de misericórdia. «Fomos curados pelas suas chagas» (Is 53, 5).

Jesus convida-nos a contemplar estas chagas, convida-nos a tocá-las – como fez com Tomé – a fim de curar a nossa incredulidade. Convida-nos sobretudo a entrar no mistério destas chagas, que é o mistério do seu amor misericordioso.

Através delas, como por uma brecha luminosa, podemos ver todo o mistério de Cristo e de Deus: a sua Paixão, a sua vida terrena – cheia de compaixão pelos pequeninos e os doentes – a sua encarnação no ventre de Maria. E podemos remontar a toda a história da salvação: as profecias – especialmente as do Servo de Yahweh –, os Salmos, a Lei e a aliança, até à libertação do Egipto, à primeira Páscoa e ao sangue dos cordeiros imolados; e remontar ainda aos Patriarcas até Abraão e, mais além na noite dos tempos, até a Abel e ao seu sangue que clama da terra. Tudo isto podemos ver através das chagas de Jesus Crucificado e Ressuscitado e, como Maria no Magnificat, podemos reconhecer que «a sua misericórdia se estende de geração em geração» (Lc 1, 50).

Às vezes, perante os acontecimentos trágicos da história humana, ficamos como que esmagados e perguntamo-nos: «Porquê?». A maldade humana pode abrir no mundo como que fossos, grandes vazios: vazios de amor, vazios de bondade, vazios de vida. E surge-nos então a pergunta: Como podemos preencher estes fossos? A nós, é impossível; só Deus pode preencher estes vazios que o mal abre nos nossos corações e na nossa história. É Jesus, feito homem e morto na cruz, que preenche o abismo do pecado com o abismo da sua misericórdia.

Num dos seus comentários ao Cântico dos Cânticos (Disc. 61, 3-5: Opera omnia 2, 150-151), São Bernardo detém-se precisamente sobre o mistério das chagas do Senhor, usando expressões fortes, corajosas, que nos faz bem retomar hoje. Diz ele que, «através das feridas do corpo, manifesta-se a recôndita caridade do coração [de Cristo], torna-se evidente o grande mistério do amor, mostram-se as entranhas de misericórdia do nosso Deus».

Temos aqui, irmãos e irmãs, o caminho que Deus nos abriu, para sairmos, finalmente, da escravidão do mal e da morte e entrarmos na terra da vida e da paz. Este Caminho é Ele – Jesus, Crucificado e Ressuscitado – e são-no, de modo particular, as suas chagas cheias de misericórdia.

Os Santos ensinam-nos que se muda o mundo a partir da conversão do próprio coração, e isto acontece graças à misericórdia de Deus. Por isso, quer perante os meus pecados, quer diante das grandes tragédias do mundo, «a consciência sentir-se-á turvada, mas não será abalada, porque me lembrarei das feridas do Senhor. De facto, “foi trespassado por causa dos nossos crimes” (Is 53, 5). Que haverá de tão mortal que não possa ser dissolvido pela morte de Cristo?» (ibid.).

Com o olhar voltado para as chagas de Jesus Ressuscitado, podemos cantar com a Igreja: «O seu amor dura para sempre» (Sal 117, 2); a sua misericórdia é eterna. E, com estas palavras gravadas no coração, caminhemos pelas estradas da história, com a mão na mão de nosso Senhor e Salvador, nossa vida e nossa esperança.

[00572-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Święty Jan, który był obecny w Wieczerniku z innymi uczniami wieczorem pierwszego dnia tygodnia opowiada, że Jezus stanął pośród nich i rzekł: „Pokój wam!” oraz „pokazał im ręce i bok” (J 20, 19-20), ukazał swoje rany. W ten sposób poznali, że nie był On jakąś zjawą, ale że był to właśnie On, Pan, i byli pełni radości.

Osiem dni później Jezus przyszedł znów do Wieczernika i pokazał rany Tomaszowi, aby ich dotknął, tak jak tego oczekiwał, aby móc uwierzyć i stać się także świadkiem zmartwychwstania.

Również nam dzisiaj, w tę niedzielę, którą święty Jan Paweł II zechciał poświęcić Bożemu Miłosierdziu, Pan ukazuje za pośrednictwem Ewangelii swoje rany. Są one ranami miłosierdzia. To prawda: rany Jezusa są ranami miłosierdzia. „W jego ranach jest nasze uzdrowienie” (Iz 53, 5)

Jezus zachęca nas, abyśmy spojrzeli na te rany, zachęca nas, abyśmy ich dotknęli, tak jak to zrobił z Tomaszem, aby uzdrowić naszą niewiarę. Zachęca nas przede wszystkim, abyśmy weszli w tajemnicę tych ran, która jest tajemnicą Jego miłości miłosiernej.

Poprzez nie, jak przez świetlistą szczelinę możemy postrzegać całą tajemnicę Chrystusa i Boga: Jego mękę, Jego życie na ziemi - pełne współczucia dla maluczkich i chorych - Jego wcielenie w łonie Maryi. Możemy ponownie prześledzić całą historię zbawienia: proroctwa - zwłaszcza, to mówiące o Słudze Jahwe - Psalmy, Prawo i Przymierze aż do wyzwolenia z Egiptu, do pierwszej paschy i krwi baranków złożonych w ofierze; a nawet do patriarchów aż po Abrahama, a następnie w nocy czasów do Abla i jego krwi wołającej z ziemi. Wszystko to możemy zobaczyć poprzez rany Jezusa Ukrzyżowanego i Zmartwychwstałego, jak i Maryja w Magnificat możemy rozpoznać, że „Jego miłosierdzie rozciąga się z pokolenia na pokolenie” (por. Łk 1, 50).

W obliczu tragicznych wydarzeń w historii ludzkości stajemy niekiedy jakby powaleni i pytamy „dlaczego?”. Ludzka niegodziwość może otworzyć w świecie jakby przepaści, wielką pustkę: brak miłości, brak dobra, pustkę życia. Tak więc stawiamy sobie pytanie: w jaki sposób możemy wypełnić te przepaści? Dla nas jest to niemożliwe; tylko Bóg może wypełnić te puste przestrzenie, jakie zło otwiera w naszych sercach i w naszej historii. To Jezus, który stał się człowiekiem i umarł na krzyżu wypełnia otchłań grzechu otchłanią swego miłosierdzia.

Święty Bernard, w jednym ze swoich komentarzy do Pieśni nad Pieśniami (Kazanie 61, 3-5; Opera omnia 2, 150-151), zastanawia się właśnie nad tajemnicą ran Pana, posługując się wyrażeniami mocnymi, śmiałymi, które warto, abyśmy dziś podjęli. Mówi, że „poprzez otwarte rany objawia się tajemnica Serca [Chrystusa], jaśnieje wielki znak dobroci, ukazuje się «serdeczna litość naszego Boga»”.

Oto bracia i siostry, droga, jaką Bóg nam otworzył, aby wreszcie wyjść z niewoli zła i śmierci i wejść do krainy życia i pokoju. Tą drogą jest On, Jezus, ukrzyżowany i zmartwychwstały oraz są nią szczególnie Jego rany pełne miłosierdzia.

Święci uczą nas, że świat się zmienia począwszy od nawrócenia własnego serca, a dzieje się to dzięki Bożemu miłosierdziu. Dlatego zarówno w obliczu moich grzechów jak i w obliczu wielkich tragedii świata „sumienie dręczy wprawdzie, ale nie zadręczy, bo wspomnę na rany Zbawiciela. Oto «zraniony jest za nasze winy (Iz 53, 5)». Jakaż to musiałaby być śmierć, z której nie mogłaby wyzwolić śmierć Chrystusa?” (tamże).

Kierując spojrzenie na rany zmartwychwstałego Jezusa, możemy wraz z Kościołem śpiewać: „Łaska Jego na wieki” (Ps 118 [117], 2); Jego miłosierdzie trwa na wieki. I z tymi słowami wyrytymi w sercu idźmy drogami dziejów, ręka w rękę z naszym Panem i Zbawicielem, naszym życiem i naszą nadzieją.

[00572-PL.02] [Testo originale: Italiano]

[B0261-XX.03]