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Concistoro Ordinario Pubblico per la creazione di 20 nuovi Cardinali e per il voto su alcune cause di Canonizzazione, 14.02.2015


Concistoro Ordinario Pubblico per la creazione di 20 nuovi Cardinali e per il voto su alcune cause di Canonizzazione

 

Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Alle ore 11 di questa mattina, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha tenuto un Concistoro Ordinario Pubblico per la creazione di 20 nuovi Cardinali, per l’imposizione della berretta, la consegna dell’anello e l’assegnazione del Titolo o Diaconia. Al termine del rito il Papa ha tenuto, altresì, Concistoro Ordinario Pubblico per la Canonizzazione di tre Beate.

In apertura di Concistoro, il Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, Dominique Mamberti, primo tra i nuovi Cardinali, ha rivolto al Papa un indirizzo di saluto e gratitudine, a nome di tutti i neo-porporati.

La celebrazione è iniziata con il saluto, l’orazione e la lettura dell’Epistola: l’inno alla carità della Prima Lettera di san Paolo ai Corinzi (1 Cor 12,31 - 13,13). Quindi il Papa ha tenuto la sua omelia.

Il Santo Padre ha letto poi la formula di creazione e ha proclamato solennemente i nomi dei nuovi Cardinali, annunciandone l’Ordine presbiterale o diaconale.

Il Rito è proseguito con la professione di fede dei nuovi Cardinali davanti al popolo di Dio e il giuramento di fedeltà e obbedienza a Papa Francesco e ai Suoi successori.

I nuovi Cardinali, secondo l’ordine di creazione, si sono inginocchiati poi dinanzi al Santo Padre che ha imposto loro lo zucchetto e la berretta cardinalizia, ha consegnato l’anello e ha assegnato a ciascuno una chiesa di Roma quale segno di partecipazione alla sollecitudine pastorale del Papa nell’Urbe. Dopo la consegna della Bolla di creazione cardinalizia e di assegnazione del Titolo o della Diaconia, il Santo Padre Francesco ha scambiato con ciascun neo Cardinale l’abbraccio di pace.

Tra i nuovi Cardinali creati questa mattina, non era presente in Basilica - a motivo dell’età avanzata - il Cardinale José de Jesús Pimiento Rodríguez, Arcivescovo emerito di Manizales, al quale la berretta cardinalizia verrà consegnata in Colombia.

Al Concistoro Ordinario Pubblico di questa mattina nella Basilica di San Pietro era presente, accanto ai Cardinali dell’Ordine dei Vescovi, il Papa emerito Benedetto XVI.

Di seguito riportiamo l’omelia che il Santo Padre Francesco ha pronunciato nel corso del Concistoro:

Omelia del Santo Padre

Cari Fratelli Cardinali,

quella cardinalizia è certamente una dignità, ma non è onorifica. Lo dice già il nome – "cardinale" – che evoca il "cardine"; dunque non qualcosa di accessorio, di decorativo, che faccia pensare a una onorificenza, ma un perno, un punto di appoggio e di movimento essenziale per la vita della comunità. Voi siete "cardini" e siete incardinati nella Chiesa di Roma, che «presiede alla comunione universale della carità» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Lumen gentium, 13; cfr Ign. Ant., Ad Rom., Prologo).

Nella Chiesa ogni presidenza proviene dalla carità, deve esercitarsi nella carità e ha come fine la carità. Anche in questo la Chiesa che è in Roma svolge un ruolo esemplare: come essa presiede nella carità, così ogni Chiesa particolare è chiamata, nel suo ambito, a presiedere nella carità.

Perciò penso che l’"inno alla carità" della Prima Lettera di san Paolo ai Corinzi possa essere la parola-guida per questa celebrazione e per il vostro ministero, in particolare per quelli tra voi che oggi entrano a far parte del Collegio cardinalizio. E ci farà bene lasciarci guidare, io per primo e voi con me, dalle parole ispirate dell’apostolo Paolo, in particolare là dove egli elenca le caratteristiche della carità. Ci aiuti in questo ascolto la nostra Madre Maria. Lei ha dato al mondo Colui che è "la Via migliore di tutte" (cfr 1 Cor 12,31): Gesù, Carità incarnata; ci aiuti ad accogliere questa Parola e a camminare sempre su questa Via. Ci aiuti col suo atteggiamento umile e tenero di madre, perché la carità, dono di Dio, cresce dove ci sono umiltà e tenerezza.

Anzitutto san Paolo ci dice che la carità è «magnanima» e «benevola». Quanto più si allarga la responsabilità nel servizio alla Chiesa, tanto più deve allargarsi il cuore, dilatarsi secondo la misura del cuore di Cristo. Magnanimità è, in un certo senso, sinonimo di cattolicità: è saper amare senza confini, ma nello stesso tempo fedeli alle situazioni particolari e con gesti concreti. Amare ciò che è grande senza trascurare ciò che è piccolo; amare le piccole cose nell’orizzonte delle grandi, perché "Non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo divinum est". Saper amare con gesti benevoli. Benevolenza è l’intenzione ferma e costante di volere il bene sempre e per tutti, anche per quelli che non ci vogliono bene.

L’apostolo dice poi che la carità «non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio». Questo è davvero un miracolo della carità, perché noi esseri umani – tutti, e in ogni età della vita – siamo inclinati all’invidia e all’orgoglio dalla nostra natura ferita dal peccato. E anche le dignità ecclesiastiche non sono immuni da questa tentazione. Ma proprio per questo, cari Fratelli, può risaltare ancora di più in noi la forza divina della carità, che trasforma il cuore, così che non sei più tu che vivi, ma Cristo vive in te. E Gesù è tutto amore.

Inoltre, la carità «non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse». Questi due tratti rivelano che chi vive nella carità è de-centrato da sé. Chi è auto-centrato manca inevitabilmente di rispetto, e spesso non se ne accorge, perché il "rispetto" è proprio la capacità di tenere conto dell’altro, di tenere conto della sua dignità, della sua condizione, dei suoi bisogni. Chi è auto-centrato cerca inevitabilmente il proprio interesse, e gli sembra che questo sia normale, quasi doveroso. Tale "interesse" può anche essere ammantato di nobili rivestimenti, ma sotto sotto è sempre il "proprio interesse". Invece la carità ti de-centra e ti pone nel vero centro che è solo Cristo. Allora sì, puoi essere una persona rispettosa e attenta al bene degli altri.

La carità, dice Paolo, «non si adira, non tiene conto del male ricevuto». Al pastore che vive a contatto con la gente non mancano le occasioni di arrabbiarsi. E forse ancora di più rischiamo di adirarci nei rapporti tra noi confratelli, perché in effetti noi siamo meno scusabili. Anche in questo è la carità, e solo la carità, che ci libera. Ci libera dal pericolo di reagire impulsivamente, di dire e fare cose sbagliate; e soprattutto ci libera dal rischio mortale dell’ira trattenuta, "covata" dentro, che ti porta a tenere conto dei mali che ricevi. No. Questo non è accettabile nell’uomo di Chiesa. Se pure si può scusare un’arrabbiatura momentanea e subito sbollita, non altrettanto per il rancore. Dio ce ne scampi e liberi!

La carità – aggiunge l’Apostolo – «non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità». Chi è chiamato nella Chiesa al servizio del governo deve avere un forte senso della giustizia, così che qualunque ingiustizia gli risulti inaccettabile, anche quella potesse essere vantaggiosa per lui o per la Chiesa. E nello stesso tempo «si rallegra della verità»: che bella questa espressione! L’uomo di Dio è uno che è affascinato dalla verità e che la trova pienamente nella Parola e nella Carne di Gesù Cristo. Lui è la sorgente inesauribile della nostra gioia. Che il popolo di Dio possa sempre trovare in noi la ferma denuncia dell’ingiustizia e il servizio gioioso della verità.

Infine, la carità «tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta». Qui c’è, in quattro parole, un programma di vita spirituale e pastorale. L’amore di Cristo, riversato nei nostri cuori dallo Spirito Santo, ci permette di vivere così, di essere così: persone capaci di perdonare sempre; di dare sempre fiducia, perché piene di fede in Dio; capaci di infondere sempre speranza, perché piene di speranza in Dio; persone che sanno sopportare con pazienza ogni situazione e ogni fratello e sorella, in unione con Gesù, che ha sopportato con amore il peso di tutti i nostri peccati.

Cari Fratelli, tutto questo non viene da noi, ma da Dio. Dio è amore e compie tutto questo, se siamo docili all’azione del suo Santo Spirito. Ecco allora come dobbiamo essere: incardinati e docili. Più veniamo incardinati nella Chiesa che è in Roma e più dobbiamo diventare docili allo Spirito, perché la carità possa dare forma e senso a tutto ciò che siamo e che facciamo. Incardinati nella Chiesa che presiede nella carità, docili allo Spirito Santo che riversa nei nostri cuori l’amore di Dio (cfr Rm 5,5). Così sia.

[00262-01.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Chers frères cardinaux,

Le cardinalat est certainement une dignité, mais elle n’est pas honorifique. Le mot « cardinal », qui évoque la « charnière », le dit bien ; ce n’est donc pas quelque chose d’accessoire, de décoratif, qui fait penser à une décoration, mais un pivot, un point d’appui et de mouvement essentiel à la vie de la communauté. Vous êtes des « pivots » et vous êtes incardinés dans l’Église de Rome, qui « préside au rassemblement universel de la charité » (Conc. Oecum. Vat. II, Const. Lumen Gentium, 13 ; cf. Ign. Ant., Ad Rom., Prologue).

Dans l’Église, toute présidence vient de la charité, doit s’exercer dans la charité et a comme fin la charité. En cela aussi l’Église qui est à Rome joue un rôle exemplaire : à la manière dont elle préside dans la charité, toute Église particulière est appelée, dans son domaine, à présider dans la charité.

Je pense donc que « l’hymne à la charité » de la Première Lettre de saint Paul aux Corinthiens peut être la parole qui nous guide pour cette célébration et pour votre ministère, en particulier pour ceux qui parmi vous entrent aujourd’hui dans le Collège cardinalice. Et cela nous fera du bien de nous laisser guider, moi le premier et vous avec moi, par les paroles inspirées de l’Apôtre Paul, en particulier là où il énumère les caractéristiques de la charité. Que Marie notre Mère nous aide dans cette écoute. Elle a donné au monde celui qui est « le Chemin par excellence » (cf. 1Co 12, 31) : Jésus, Amour incarné ; qu’elle nous aide à accueillir cette Parole et à marcher toujours sur cette Voie. Qu’elle nous aide par son attitude de mère humble et tendre, pour que la charité, don de Dieu, grandisse là où se trouvent l’humilité et la tendresse.

Tout d’abord, saint Paul nous dit que l’amour « prend patience » et « rend service ». Plus s’élargit la responsabilité dans le service de l’Église, plus le cœur doit s’élargir, se dilater à la mesure du cœur du Christ. « Rendre service » c’est, en un certain sens, synonyme de catholicité : c’est savoir aimer sans limites, mais en même temps être attentif aux situations particulières, et avec des gestes concrets. Aimer ce qui est grand sans négliger ce qui est petit ; aimer les petites choses dans l’horizon des grandes, parce que « Non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo divinum est ». Savoir aimer avec des gestes gratuits. « Rendre service », c’est l’intention ferme et constante de vouloir le bien, toujours et pour tous, y compris pour ceux qui ne nous aiment pas.

L’Apôtre dit aussi que l’amour « ne jalouse pas, ne se vante pas, ne se gonfle pas d’orgueil ». Cela, c’est vraiment un miracle de l’amour, parce que nous, les êtres humains – tous, et à tous les âges de la vie – nous sommes enclins à la jalousie et à l’orgueil en raison de notre nature blessée par le péché. Et les dignités ecclésiastiques aussi ne sont pas exemptes de cette tentation. Mais justement à cause de cela, chers frères, la force divine de l’amour qui transforme le cœur peut surgir encore davantage en nous, de sorte que ce n’est plus toi qui vis, mais le Christ qui vit en toi. Et Jésus est tout amour.

De plus, l’amour « ne fait rien d’inconvenant, ne cherche pas son intérêt ». Ces deux traits révèlent que celui qui vit dans l’amour est décentré de soi. Celui qui est auto-centré manque inévitablement de respect, et souvent il ne s’en rend pas compte, parce que le « respect » est justement la capacité de tenir compte de l’autre, de sa dignité, de sa condition, de ses besoins. Celui qui est auto-centré cherche inévitablement son propre intérêt, et cela lui semble normal, presque un dû. Cet « intérêt » peut aussi être couvert de nobles revêtements, mais dessous, dessous, il y a toujours le « propre intérêt ». Au contraire, l’amour te dé-centre et te place au véritable centre qui est seulement le Christ. Alors oui, tu peux être une personne respectueuse et attentive au bien des autres.

L’amour, dit Paul, « ne s’emporte pas, n’entretient pas de rancune ». Les occasions de s’emporter ne manquent pas au pasteur qui vit au contact des gens. Et plus encore peut-être nous risquons de nous fâcher dans les relations avec nos confrères, parce qu’en effet, nous sommes moins excusables. En cela aussi c’est l’amour et seulement l’amour, qui nous libère. Il nous libère du danger de réagir de manière impulsive, de dire et de faire des erreurs ; et surtout il nous libère du risque mortel de la colère entretenue, « couvée » à l’intérieur, qui te porte à prendre en compte les maux que tu reçois. Non. Cela n’est pas acceptable chez l’homme d’Église. Cependant, si on peut excuser une colère momentanée et aussitôt retombée, il n’en n’est pas de même pour la rancune. Que Dieu nous en préserve et nous en libère !

L’amour – ajoute l’Apôtre – « ne se réjouit pas de ce qui est injuste, mais il trouve sa joie dans ce qui est vrai ». Celui qui est appelé dans l’Église au service du gouvernement doit avoir un fort sens de la justice, de sorte qu’il trouve inacceptable toute injustice, même celle qui pourrait être avantageuse pour lui ou pour l’Église. Et en même temps, « il trouve sa joie dans ce qui est vrai » : que cette expression est belle ! L’homme de Dieu est quelqu’un qui est fasciné par la vérité, et qui la trouve en plénitude dans la Parole et dans la Chair de Jésus Christ. Lui est la source inépuisable de notre joie. Que le peuple de Dieu puisse toujours trouver en nous la ferme dénonciation de l’injustice et le service joyeux de la vérité.

Enfin, l’amour « supporte tout, fait confiance en tout, espère tout, endure tout ». Il y a ici, en quatre mots, un programme de vie spirituelle et pastorale. L’amour du Christ, répandu dans nos cœurs par l’Esprit Saint, nous permet de vivre ainsi, d’être ainsi : des personnes capables de toujours pardonner ; de toujours faire confiance, parce pleines de foi en Dieu ; capables de toujours infuser l’espérance, parce pleines d’espérance en Dieu ; des personnes qui savent supporter avec patience toute situation et chaque frère et sœur, en union à Jésus qui a supporté avec amour le poids de tous nos péchés.

Chers frères, tout cela ne vient pas de nous, mais de Dieu. Dieu est amour et accomplit tout cela, si nous sommes dociles à l’action de son Saint Esprit. Voilà donc comment nous devons être : incardinés et dociles. Plus nous sommes incardinés dans l’Église qui est à Rome, plus nous devons devenir dociles à l’Esprit, afin que la charité puisse donner forme et sens à tout ce que nous sommes et que nous faisons. Incardinés dans l’Église qui préside dans la charité, dociles à l’Esprit Saint qui répand dans nos cœurs l’amour de Dieu (cf. Rm 5, 5). Ainsi soit-il.

[00262-03.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Dear Brother Cardinals,

The cardinalate is certainly an honour, but it is not honorific. This we already know from its name – "cardinal" – from the word "cardo", a hinge. As such it is not a kind of accessory, a decoration, like an honorary title. Rather, it is a pivot, a point of support and movement essential for the life of the community. You are "hinges" and are "incardinated" in the Church of Rome, which "presides over the entire assembly of charity" (Lumen Gentium, 13; cf. IGN. ANT., Ad Rom., Prologue).

In the Church, all "presiding" flows from charity, must be exercised in charity, and is ordered towards charity. Here too the Church of Rome exercises an exemplary role. Just as she presides in charity, so too each particular Church is called, within its own sphere, to preside in charity.

For this reason, I believe that the "hymn to charity" in Saint Paul’s first letter to the Corinthians can be taken as a guiding theme for this celebration and for your ministry, especially for those of you who today enter the College of Cardinals. All of us, myself first and each of you with me, would do well to let ourselves be guided by the inspired words of the apostle Paul, especially in the passage where he lists the marks of charity. May our Mother Mary help us to listen. She gave the world Jesus, charity incarnate, who is "the more excellent Way" (cf. 1 Cor 12:31); may she help us to receive this Word and always to advance on this Way. May she assist us by her humility and maternal tenderness, because charity, as God’s gift, grows wherever humility and tenderness are found.

Saint Paul tells us that charity is, above all, "patient" and "kind". The greater our responsibility in serving the Church, the more our hearts must expand according to the measure of the heart of Christ. "Patience" – "forbearance" – is in some sense synonymous with catholicity. It means being able to love without limits, but also to be faithful in particular situations and with practical gestures. It means loving what is great without neglecting what is small; loving the little things within the horizon of the great things, since "non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo divinum est". To know how to love through acts of kindness. "Kindness" – benevolence –means the firm and persevering intention to always will the good of others, even those unfriendly to us.

The Apostle goes on to say that charity "is not jealous or boastful, it is not puffed up with pride". This is surely a miracle of love, since we humans – all of us, at every stage of our lives – are inclined to jealousy and pride, since our nature is wounded by sin. Nor are Church dignitaries immune from this temptation. But for this very reason, dear brothers, the divine power of love, which transforms hearts, can be all the more evident in us, so that it is no longer you who live, but rather Christ who lives in you. And Jesus is love to the fullest.

Saint Paul then tells us that charity "is not arrogant or rude, it does not insist on its own way". These two characteristics show that those who abide in charity are not self-centred. The self-centred inevitably become disrespectful; very often they do not even notice this, since "respect" is precisely the ability to acknowledge others, to acknowledge their dignity, their condition, their needs. The self-centred person inevitably seeks his own interests; he thinks this is normal, even necessary. Those "interests" can even be cloaked in noble appearances, but underlying them all is always "self-interest". Charity, however, makes us draw back from the centre in order to set ourselves in the real centre, which is Christ alone. Then, and only then, can we be persons who are respectful and attentive to the good of others.

Charity, Saint Paul says, "is not irritable, it is not resentful". Pastors close to their people have plenty of opportunities to be irritable, to feel anger. Perhaps we risk being all the more irritable in relationships with our confreres, since in effect we have less excuses. Even here, charity, and charity alone, frees us. It frees us from the risk of reacting impulsively, of saying or doing the wrong thing; above all it frees us from the mortal danger of pent-up anger, of that smouldering anger which makes us brood over wrongs we have received. No. This is unacceptable in a man of the Church. Even if a momentary outburst is forgivable, this is not the case with rancour. God save us from that!

Charity – Saint Paul adds – "does not rejoice at the wrong, but rejoices in the right". Those called to the service of governance in the Church need to have a strong sense of justice, so that any form of injustice becomes unacceptable, even those which might bring gain to himself or to the Church. At the same time, he must "rejoice in the right". What a beautiful phrase! The man of God is someone captivated by truth, one who encounters it fully in the word and flesh of Jesus Christ, the inexhaustible source of our joy. May the people of God always see in us a firm condemnation of injustice and joyful service to the truth.

Finally, "love bears all things, believes all things, hopes all things, endures all things". Here, in four words, is a spiritual and pastoral programme of life. The love of Christ, poured into our hearts by the Holy Spirit, enables us to live like this, to be like this: as persons always ready to forgive; always ready to trust, because we are full of faith in God; always ready to inspire hope, because we ourselves are full of hope in God; persons ready to bear patiently every situation and each of our brothers and sisters, in union with Christ, who bore with love the burden of our sins.

Dear brothers, this comes to us not from ourselves, but from God. God is love and he accomplishes all this in us if only we prove docile to the working of his Holy Spirit. This, then, is how we are to be: "incardinated" and docile. The more we are "incardinated" in the Church of Rome, the more we should become docile to the Spirit, so that charity can give form and meaning to all that we are and all that we do. Incardinated in the Church which presides in charity, docile to the Holy Spirit who pours into our hearts the love of God (cf. Rom 5:5). Amen.

[00262-02.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Liebe Mitbrüder im Kardinalat,

die Kardinalswürde ist zweifellos eine Würde, aber sie ist kein Ehrentitel. Das besagt schon die Bezeichnung „Kardinal", die sprachlich mit dem lateinischen cardo (Angelpunkt) verwandt ist; es geht also nicht um etwas Zusätzliches, Dekoratives, das an eine Auszeichnung denken lässt, sondern um einen „Bolzen", einen für das Leben der Gemeinschaft wesentlichen Stütz- und Drehpunkt. Ihr seid „cardines" – Angelpunkte – und seid inkardiniert in der Kirche von Rom, die » der gesamten Liebesgemeinschaft vorsteht « (Zweites Vatikanisches Konzil, Dogm. Konst. Lumen gentium, 13; vgl. Ign. Ant., Ad Rom., Prolog).

In der Kirche hat jeder Vorsitz seinen Ursprung in der Liebe, muss in Liebe ausgeübt werden und hat als Ziel die Liebe. Auch darin spielt die Kirche, die in Rom ist, eine vorbildliche Rolle: Wie sie in der Liebe den Vorsitz führt, so ist jede Teilkirche berufen, in ihrem Bereich in der Liebe den Vorsitz zu führen.

Darum denke ich, dass das „Hohelied der Liebe" aus dem Ersten Brief des heiligen Paulus an die Korinther ein Schlüsselwort für diese Feier und für euren Dienst sein kann, besonders für diejenigen unter euch, die heute in das Kardinalskollegium aufgenommen werden. Und es wird uns – an erster Stelle mir und euch mit mir – gut tun, uns von den inspirierten Worten des Apostels Paulus leiten zu lassen, speziell dort, wo er die Eigenschaften der Liebe aufzählt. Beim Zuhören möge uns unsere Mutter Maria helfen. Sie hat der Welt den geschenkt, der selbst der » Weg « ist, » der alles übersteigt « (1 Kor 12,31): Jesus, die menschgewordene Liebe. Maria helfe uns, dieses Wort aufzunehmen und immer auf diesem Weg zu gehen. Sie helfe uns mit ihrem demütigen und zartfühlenden mütterlichen Verhalten, denn die Liebe, ein Geschenk Gottes, gedeiht da, wo Demut und Zärtlichkeit vorhanden sind.

Vor allem sagt der heilige Paulus uns, dass die Liebe langmütig und gütig ist. Je mehr sich die Verantwortung im Dienst an der Kirche ausweitet, umso weiter muss das Herz werden, sich nach dem Maß von Christi Herz ausdehnen. Langmut ist in einem gewissen Sinn ein Synonym von Katholizität: Sie ist die Fähigkeit, grenzenlos zu lieben, aber zugleich treu und mit konkreten Handlungen auf die jeweiligen Situationen einzugehen. Das Große zu lieben, ohne das Kleine zu vernachlässigen; die kleinen Dinge in der Sichtweite der großen lieben, denn „non coerceri a maximo, conteneri tamen a minimo divinum est – nicht eingegrenzt vom Größten und dennoch umschlossen sein vom Kleinsten, das ist göttlich". Mit Gesten der Güte zu lieben verstehen. Güte bzw. Wohlwollen ist die feste und ständige Absicht, immer das Gute zu wollen, und zwar für alle, auch für diejenigen, die uns nicht wohl gesonnen sind.

Der Apostel sagt dann: Die Liebe ist nicht neidisch, sie prahlt nicht, sie bläht sich nicht auf. Das ist wirklich ein Wunder der Liebe, denn wir Menschen – alle und in jedem Lebensalter – neigen aufgrund unserer von der Sünde verletzten Natur zu Neid und Hochmut. Und auch die kirchlichen Würdenträger sind gegen diese Versuchung nicht immun. Aber gerade deshalb, liebe Brüder, kann in uns die göttliche Kraft der Liebe, die das Herz verwandelt, noch mehr hervortreten, so dass nicht mehr du es bist, der lebt, sondern Christus in dir. Und Jesus ist ganz und gar Liebe.

Außerdem handelt die Liebe nicht rücksichtslos, sucht nicht ihren Vorteil. Diese beiden Merkmale zeigen, dass derjenige, der in der Liebe lebt, nicht sich selbst als Mittelpunkt betrachtet. Wer sich nur um sich selber dreht, der handelt zwangsläufig rücksichtslos, und oft merkt er es nicht einmal, denn die „Rücksicht" ist gerade die Fähigkeit, auf den anderen, auf seine Würde, seine Lage, seine Bedürfnisse zu achten. Wer sich selbst als Mittelpunkt betrachtet, sucht unvermeidlich den eigenen Vorteil, und das scheint ihm normal, fast eine Pflicht. Dieser „Vorteil" kann auch in edle Verkleidungen gehüllt sein, aber unterschwellig ist da immer der „eigene Vorteil". Die Liebe hingegen holt dich heraus aus der Konzentration auf dich selbst und stellt dich in die wahre Mitte, die allein Christus ist. Dann kannst du wirklich ein rücksichtsvoller Mensch sein, der auf das Wohl der anderen achtet.

Die Liebe, sagt Paulus, lässt sich nicht zum Zorn reizen, trägt das Böse nicht nach. Dem Hirten, der im Kontakt mit den Leuten lebt, fehlt es nicht an Gelegenheiten, zornig zu werden. Und vielleicht sind wir noch mehr in Gefahr, in den Beziehungen unter uns Mitbrüdern in Zorn zu geraten, denn wir sind in der Tat weniger entschuldbar. Auch darin ist es die Liebe – und sie allein –, die uns befreit. Sie befreit uns von der Gefahr, impulsiv zu reagieren, unangebracht zu reden und zu handeln; und vor allem befreit sie uns von der tödlichen Gefahr des unterdrückten, im Innern genährten Zorns, der dich dazu bringt, das Böse, das du erlitten hast, nachzutragen. Nein. Das ist für einen Kirchenmann unannehmbar. Wenn man eine augenblickliche und sofort beruhigte Wut überhaupt entschuldigen kann, so keineswegs den Groll. Gott bewahre uns davor und befreie uns!

Die Liebe, fügt der Apostel hinzu, freut sich nicht über das Unrecht, sondern freut sich an der Wahrheit. Wer in der Kirche zum Dienst der Regierung berufen ist, muss einen ausgeprägten Gerechtigkeitssinn haben, so dass für ihn jegliche Ungerechtigkeit inakzeptabel ist, auch eine, die für ihn oder für die Kirche von Vorteil sein könnte. Und zugleich freut sich die Liebe an der Wahrheit – was für eine schöne Aussage! Der Mann Gottes ist einer, der von der Wahrheit fasziniert ist und der sie vollends im Wort Gottes und im Leib Jesu Christi findet. Jesus Christus ist die unerschöpfliche Quelle unserer Freude. Möge das Volk Gottes in uns stets entschlossene Streiter gegen die Ungerechtigkeit und frohe Diener der Wahrheit finden.

Und schließlich heißt es von der Liebe: Sie verzeiht alles, glaubt alles, hofft alles, erträgt alles. Hier haben wir in vier Worten ein geistliches und pastorales Lebensprogramm. Die Liebe Christi, die durch den Heiligen Geist in unsere Herzen eingegossen ist, ermöglicht uns, so zu leben, so zu sein: Menschen, die fähig sind, immer zu verzeihen; die fähig sind, immer vertrauensvoll zu glauben, weil sie erfüllt sind vom Glauben an Gott; die fähig sind, immer Hoffnung zu verbreiten, weil sie voller Hoffnung auf Gott sind; Menschen, die jede Situation und jeden Bruder oder jede Schwester geduldig ertragen, in der Verbindung mit Jesus, der in Liebe die Last all unserer Sünden ertragen hat.

Liebe Brüder, all das kommt nicht von uns, sondern von Gott. Gott ist die Liebe und bewirkt all das, wenn wir dem Handeln seines Heiligen Geistes gegenüber lernbereit sind. Das ist es also, was wir sein müssen: inkardiniert und lernbereit. Je mehr wir in der Kirche von Rom inkardiniert sind, um so lernbereiter müssen wir gegenüber dem Heiligen Geist sein, damit die Liebe allem, was wir sind und tun, Gestalt und Sinn verleihen kann. Inkardiniert in der Kirche, die in der Liebe den Vorsitz hat, und lernbereit gegenüber dem Heiligen Geist, der die Liebe Gottes in unsere Herzen gießt (vgl. Röm 5,5). Amen.

[00262-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Queridos hermanos cardenales

El cardenalato ciertamente es una dignidad, pero no una distinción honorífica. Ya el mismo nombre de «cardenal», que remite a la palabra latina «cardo - quicio», nos lleva a pensar, no en algo accesorio o decorativo, como una condecoración, sino en un perno, un punto de apoyo y un eje esencial para la vida de la comunidad. Sois «quicios» y estáis incardinados en la Iglesia de Roma, que «preside toda la comunidad de la caridad» (Conc. Ecum. Vat. II, Const. Lumen gentium, 13; cf. Ign. Ant., Ad Rom., Prólogo).

En la Iglesia, toda presidencia proviene de la caridad, se desarrolla en la caridad y tiene como fin la caridad. La Iglesia que está en Roma tiene también en esto un papel ejemplar: al igual que ella preside en la caridad, toda Iglesia particular, en su ámbito, está llamada a presidir en la caridad.

Por eso creo que el «himno a la caridad», de la primera carta de san Pablo a los Corintios, puede servir de pauta para esta celebración y para vuestro ministerio, especialmente para los que desde este momento entran a formar parte del Colegio Cardenalicio. Será bueno que todos, yo en primer lugar y vosotros conmigo, nos dejemos guiar por las palabras inspiradas del apóstol Pablo, en particular aquellas con las que describe las características de la caridad. Que María nuestra Madre nos ayude en esta escucha. Ella dio al mundo a Aquel que es «el camino más excelente» (cf. 1 Co 12,31): Jesús, caridad encarnada; que nos ayude a acoger esta Palabra y a seguir siempre este camino. Que nos ayude con su actitud humilde y tierna de madre, porque la caridad, don de Dios, crece donde hay humildad y ternura.

En primer lugar, san Pablo nos dice que la caridad es «magnánima» y «benevolente». Cuanto más crece la responsabilidad en el servicio de la Iglesia, tanto más hay que ensanchar el corazón, dilatarlo según la medida del Corazón de Cristo. La magnanimidad es, en cierto sentido, sinónimo de catolicidad: es saber amar sin límites, pero al mismo tiempo con fidelidad a las situaciones particulares y con gestos concretos. Amar lo que es grande, sin descuidar lo que es pequeño; amar las cosas pequeñas en el horizonte de las grandes, porque «non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo divinum est». Saber amar con gestos de bondad. La benevolencia es la intención firme y constante de querer el bien, siempre y para todos, incluso para los que no nos aman.

A continuación, el apóstol dice que la caridad «no tiene envidia; no presume; no se engríe». Esto es realmente un milagro de la caridad, porque los seres humanos –todos, y en todas las etapas de la vida– tendemos a la envidia y al orgullo a causa de nuestra naturaleza herida por el pecado. Tampoco las dignidades eclesiásticas están inmunes a esta tentación. Pero precisamente por eso, queridos hermanos, puede resaltar todavía más en nosotros la fuerza divina de la caridad, que transforma el corazón, de modo que ya no eres tú el que vive, sino que Cristo vive en ti. Y Jesús es todo amor.

Además, la caridad «no es mal educada ni egoísta». Estos dos rasgos revelan que quien vive en la caridad está des-centrado de sí mismo. El que está auto-centrado carece de respeto, y muchas veces ni siquiera lo advierte, porque el «respeto» es la capacidad de tener en cuenta al otro, su dignidad, su condición, sus necesidades. El que está auto-centrado busca inevitablemente su propio interés, y cree que esto es normal, casi un deber. Este «interés» puede estar cubierto de nobles apariencias, pero en el fondo se trata siempre de «interés personal». En cambio, la caridad te des-centra y te pone en el verdadero centro, que es sólo Cristo. Entonces sí, serás una persona respetuosa y preocupada por el bien de los demás.

La caridad, dice Pablo, «no se irrita; no lleva cuentas del mal». Al pastor que vive en contacto con la gente no le faltan ocasiones para enojarse. Y tal vez entre nosotros, hermanos sacerdotes, que tenemos menos disculpa, el peligro de enojarnos sea mayor. También de esto es la caridad, y sólo ella, la que nos libra. Nos libra del peligro de reaccionar impulsivamente, de decir y hacer cosas que no están bien; y sobre todo nos libra del peligro mortal de la ira acumulada, «alimentada» dentro de ti, que te hace llevar cuentas del mal recibido. No. Esto no es aceptable en un hombre de Iglesia. Aunque es posible entender un enfado momentáneo que pasa rápido, no así el rencor. Que Dios nos proteja y libre de ello.

La caridad, añade el Apóstol, «no se alegra de la injusticia, sino que goza con la verdad». El que está llamado al servicio de gobierno en la Iglesia debe tener un fuerte sentido de la justicia, de modo que no acepte ninguna injusticia, ni siquiera la que podría ser beneficiosa para él o para la Iglesia. Al mismo tiempo, «goza con la verdad»: ¡Qué hermosa es esta expresión! El hombre de Dios es aquel que está fascinado por la verdad y la encuentra plenamente en la Palabra y en la Carne de Jesucristo. Él es la fuente inagotable de nuestra alegría. Que el Pueblo de Dios vea siempre en nosotros la firme denuncia de la injusticia y el servicio alegre de la verdad.

Por último, la caridad «disculpa sin límites, cree sin límites, espera sin límites, aguanta sin límites». Aquí hay, en cuatro palabras, todo un programa de vida espiritual y pastoral. El amor de Cristo, derramado en nuestros corazones por el Espíritu Santo, nos permite vivir así, ser así: personas capaces de perdonar siempre; de dar siempre confianza, porque estamos llenos de fe en Dios; capaces de infundir siempre esperanza, porque estamos llenos de esperanza en Dios; personas que saben soportar con paciencia toda situación y a todo hermano y hermana, en unión con Jesús, que llevó con amor el peso de todos nuestros pecados.

Queridos hermanos, todo esto no viene de nosotros, sino de Dios. Dios es amor y lleva a cabo todo esto si somos dóciles a la acción de su Santo Espíritu. Por tanto, así es como tenemos que ser: incardinados y dóciles. Cuanto más incardinados estamos en la Iglesia que está en Roma, más dóciles tenemos que ser al Espíritu, para que la caridad pueda dar forma y sentido a todo lo que somos y hacemos. Incardinados en la Iglesia que preside en la caridad, dóciles al Espíritu Santo que derrama en nuestros corazones el amor de Dios (cf. Rm 5,5). Que así sea.

[00262-04.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Amados Irmãos Cardeais!

A dignidade cardinalícia é certamente uma dignidade, mas não é honorífica. Assim no-lo indica o próprio nome – «cardeal» –, que evoca a «charneira», a junção cardinal, principal; não se trata, portanto, de algo acessório, decorativo que faça pensar a uma honorificência, mas de um eixo, um ponto de apoio e movimento essencial para a vida da comunidade. Vós sois «junções cardinais» e estais incardinados na Igreja de Roma, que «preside à universal assembleia da caridade» (CONC. ECUM. VAT. II, Const. dogm. Lumen gentium, 13; cf. SANTO INÁCIO DE ANTIOQUIA, Carta aos Romanos, Prólogo).

Na Igreja, toda a presidência provém da caridade, deve ser exercida na caridade e tem como fim a caridade. Também nisto a Igreja que está em Roma desempenha uma função exemplar: assim como ela preside na caridade, assim também cada Igreja particular é chamada, no seu âmbito, a presidir à caridade e na caridade.

Por isso, penso que o «hino à caridade» da Primeira Carta de São Paulo aos Coríntios (cap. 13) possa constituir a palavra-orientadora para esta celebração e para o vosso ministério, de modo particular para aqueles de vós que hoje passam a fazer parte do Colégio Cardinalício. E far-nos-á bem – a começar por mim e vós comigo – deixarmo-nos orientar pelas palavras inspiradas do apóstolo Paulo, nomeadamente quando refere as características da caridade. Venha em nossa ajuda, nesta escuta, a Virgem Maria, nossa Mãe. Deu ao mundo Aquele que é o «caminho que ultrapassa todos os outros» (cf. 1 Cor 12, 31): Jesus, Caridade encarnada. Que Ela nos ajude a acolher esta Palavra e a seguir sempre por este Caminho; nos ajude com a sua conduta humilde e terna de mãe, porque a caridade, dom de Deus, cresce onde há humildade e ternura.

São Paulo começa por nos dizer que a caridade é «magnânima» e «benévola». Quanto mais se amplia a responsabilidade no serviço à Igreja, tanto mais se deve ampliar o coração, dilatando-se de acordo com a medida do coração de Cristo. A magnanimidade é, em certo sentido, sinónimo de catolicidade: é saber amar sem limites, mas ao mesmo tempo fiéis às situações particulares e com gestos concretos. Amar o que é grande, sem negligenciar o que é pequeno; amar as coisas pequenas no horizonte das grandes, porque «non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo divinum est». Saber amar com gestos benévolos. A benevolência é a intenção firme e constante de querer o bem sempre e para todos, incluindo aqueles que não nos amam.

Depois, o Apóstolo diz que a caridade «não é invejosa, não é arrogante nem orgulhosa». Isto é verdadeiramente um milagre da caridade, porque nós, seres humanos (todos, e em todas as idades da vida), sentimo-nos inclinados à inveja e ao orgulho por causa da nossa natureza ferida pelo pecado. E as próprias dignidades eclesiásticas não estão imunes desta tentação. Mas por isso mesmo, amados Irmãos, pode sobressair ainda mais em nós a força divina da caridade, que transforma de tal modo o coração que já não és tu que vives, mas Cristo que vive em ti. E Jesus é todo amor.

Além disso, a caridade «não falta ao respeito, não procura o seu próprio interesse». Estes dois traços revelam que, quem vive na caridade, se descentralizou de si mesmo. A pessoa que vive auto-centralizada, inevitavelmente falta ao respeito e, muitas vezes, nem se dá conta disso, porque o «respeito» é precisamente a capacidade de ter em conta o outro, a sua dignidade, a sua condição, as suas necessidades. Quem está auto-centralizado, procura inevitavelmente o seu próprio interesse, parecendo-lhe isso normal, quase um dever. Tal «interesse» pode inclusivamente apresentar-se amantado com nobres revestimentos, mas por debaixo está sempre o «próprio interesse». Ao contrário, a caridade descentraliza-te, situando-te no único verdadeiro centro que é Cristo. Então, sim, podes ser uma pessoa respeitadora e atenta ao bem dos outros.

A caridade, diz Paulo, «não se irrita, não leva em conta o mal recebido». Ao pastor que vive em contacto com as pessoas, não faltam ocasiões para se irritar. E o risco de se irritar é talvez ainda maior nas relações entre nós, irmãos, embora tenhamos efectivamente menos desculpa. Também disto é a caridade, e só a caridade, que nos liberta. Liberta-nos do perigo de reagir impulsivamente, dizer e fazer coisas erradas; e sobretudo liberta-nos do risco mortal da ira retida, «aninhada» no interior, que te leva a ter em conta os malefícios recebidos. Não. Isto não é aceitável no homem de Igreja. Entretanto se é possível desculpar uma indignação momentânea e imediatamente moderada, não se pode dizer o mesmo do rancor. Que Deus nos preserve e livre dele!

A caridade – acrescenta o Apóstolo – «não se alegra com a injustiça, mas rejubila com a verdade». Quem é chamado na Igreja ao serviço da governação deve ter um sentido tão forte da justiça que veja toda e qualquer injustiça como inaceitável, incluindo aquela que possa ser vantajosa para si mesmo ou para a Igreja. E, ao mesmo tempo, «rejubila com a verdade»: é uma bela expressão! O homem de Deus é alguém que vive fascinado pela verdade e que a encontra plenamente na Palavra e na Carne de Jesus Cristo. Ele é a fonte inesgotável da nossa alegria. Possa o povo de Deus encontrar sempre em nós a denúncia firme da injustiça e o serviço jubiloso da verdade.

Por fim, a caridade «tudo desculpa, tudo crê, tudo espera, tudo suporta». Temos aqui, em quatro palavras, um programa de vida espiritual e pastoral. O amor de Cristo, derramado em nossos corações pelo Espírito Santo, permite-nos viver assim, ser assim: pessoas capazes de perdoar sempre; de dar sempre confiança, porque cheias de fé em Deus; capazes de infundir sempre esperança, porque cheias de esperança em Deus; pessoas que sabem suportar com paciência todas as situações e cada irmão e irmã, em união com Jesus, que suportou com amor o peso de todos os nossos pecados.

Amados irmãos, nada disto provém de nós, mas de Deus. Deus é amor e realiza tudo isto, se formos dóceis à acção do seu Santo Espírito. Eis então como devemos ser: incardinados e dóceis. Quanto mais estivermos incardinados na Igreja que está em Roma, tanto mais nos devemos tornar dóceis ao Espírito, para que a caridade possa dar forma e sentido a tudo o que somos e fazemos. Incardinados na Igreja que preside na caridade, dóceis ao Espírito Santo, que derrama nos nossos corações o amor de Deus (cf. Rom 5, 5). Assim seja.

[00262-06.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Drodzy Bracia Kardynałowie,

Kardynalstwo jest z pewnością godnością, ale nie zaszczytem. Wskazuje już na to nazwa „kardynał" przywołująca włoskie słowo „cardine" - [punkt oparcia, podstawa], a więc nie coś drugorzędnego, dekoracyjnego, co kazałoby myśleć o jakimś wyróżnieniu, ale podpora, punkt wsparcia i poruszania się, istotny dla życia wspólnoty. Jesteście podstawą i jesteście inkardynowani do Kościoła Rzymu, który „przewodzi całemu zgromadzeniu miłości" (Sobór Wat. II, Konst. Dogm. o Kościele Lumen gentium, 13; por. Św. Ignacy Antiocheński, List do Rzymian, Prolog).

W Kościele każde przewodniczenie wywodzi się z miłości, powinno dokonywać się w miłości, a jego celem jest miłość. Także w tym Kościół, który jest w Rzymie, pełni rolę przykładu: tak, jak on przewodzi w miłości, tak też każdy Kościół partykularny jest wezwany, aby na swoim terytorium przewodzić w miłości.

Dlatego sądzę, że „Hymn o miłości" z Pierwszego Listu św. Pawła do Koryntian może być słowem przewodnim tej uroczystości oraz dla waszej posługi, zwłaszcza dla tych z was, którzy dziś stają się członkami Kolegium Kardynalskiego. Warto, abyśmy dali się prowadzić, ja jako pierwszy, a wy wraz ze mną, natchnionymi słowami apostoła Pawła, zwłaszcza tam, gdzie wymienia on cechy miłości. Niech nam w tym słuchaniu pomoże nasza Matka Maryja. Ona dała światu, Tego który jest „Drogą jeszcze doskonalszą" (por. 1 Kor 12,31): Jezusa, Miłość wcieloną; niech nam pomoże przyjąć to Słowo i zawsze podążać tą Drogą. Niech nam pomoże swoją macierzyńską postawą pokorną i delikatną, gdyż miłość, dar Boga wzrasta tam, gdzie jest pokora i delikatność.

Święty Paweł mówi nam przede wszystkim, że miłość jest „wielkoduszna" i „łaskawa". Im szersza jest odpowiedzialność w służbie Kościołowi, tym bardziej powinno poszerzać się serce, rozciągając się według miary serca Chrystusowego. Wielkoduszność jest, w pewnym sensie, synonimem katolicyzmu: oznacza umiejętność kochania bez granic, ale będąc zarazem wiernymi szczególnym sytuacjom i za pomocą konkretnych gestów. Miłowaniem tego, co jest wielkie nie zaniedbując tego, co małe; miłowaniem rzeczy małych w perspektywie wielkich, gdyż: „Non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo, divinum est" [Być nieogarnionym przez największe, a jednocześnie mieszkać w najmniejszym – boską jest rzeczą – św. Ignacy Loyola, Imago]. Umieć miłować za pomocą gestów łaskawych. Łaskawość jest stanowczym i stałym zamiarem miłowania zawsze i wszystkich, także i tych, którzy nas nie miłują.

Następnie Apostoł mówi, że miłość „nie zazdrości, nie szuka poklasku, nie unosi się pychą". Jest to naprawdę cudem miłości, ponieważ my, ludzie – wszyscy i na każdym etapie życia – jesteśmy na skutek naszej natury zranionej grzechem skłonni do zazdrości i pychy. Także osoby obdarzone godnością kościelną nie są odporne na tę pokusę. Drodzy bracia, właśnie z tego względu może w nas jeszcze bardziej wybijać się Boża moc miłości, która przemienia serce tak, „abyś już nie ty żył, lecz aby żył w tobie Chrystus". A Jezus jest cały miłością.

Ponadto miłość „nie dopuszcza się bezwstydu, nie szuka swego". Te dwie cechy wskazują, że ci, którzy żyją w miłości, nie są skoncentrowani na sobie. Ludziom egocentrycznym nieuchronnie brakuje szacunku, a często nie zdają sobie z tego sprawy, ponieważ „szacunek" jest właśnie zdolnością do liczenia się z drugim, jego godnością, jego kondycją, jego potrzebami. Osoby egocentryczne nieuchronnie szukają swego interesu i wydaje się im, że jest to normalne, niemal obowiązkowe. Taki „interes" może być również zawoalowany pod szlachetnymi osłonami, ale zawsze kryje się pod nimi „interes własny". Natomiast miłość zawsze usuwa ciebie z centrum i umieszcza w prawdziwym centrum, którym jedynie jest Chrystus. Wówczas możesz rzeczywiście być osobą szanującą innych i wrażliwą na dobro innych.

Św. Paweł mówi, że miłość „nie unosi się gniewem, nie pamięta złego". Pasterzowi żyjącemu w kontakcie z ludźmi nie brakuje okazji, by wpaść w gniew. Może jeszcze bardziej grozi nam zagniewanie w relacjach między nami, współbraćmi, gdyż to w istocie nam mniej można wybaczyć. Także i w tym wypadku miłość, i to tylko miłość nas wyzwala. Uwalnia nas od niebezpieczeństwa reakcji impulsywnej, powiedzenia i uczynienia rzeczy błędnych, a nade wszystko wyzwala nas ze śmiertelnego niebezpieczeństwa gniewu przetrzymywanego w sercu, „noszonego w sobie", prowadzącego do brania pod uwagę zła zaznanego od innych. Nie, to jest nie do przyjęcia w człowieku Kościoła. O ile można bowiem wybaczyć chwilowe zagniewanie, które natychmiast przechodzi, to nie można wybaczyć przetrzymywania uraz. Niech Bóg nas od tego chroni i wyzwala!

Apostoł dodaje: miłość „nie cieszy się z niesprawiedliwości, lecz współweseli się z prawdą". Osoba powołana w Kościele do posługi rządzenia musi mieć silne poczucie sprawiedliwości, aby wszelka niesprawiedliwość okazywała się dla niej nie do przyjęcia, nawet, gdyby mogła być korzystna dla niego lub dla Kościoła. A jednocześnie „współweseli się z prawdą": jakże to piękne wyrażenie! Człowiek Boży jest zafascynowany prawdą i znajduje ją w pełni w Słowie i Ciele Jezusa Chrystusa. On jest niewyczerpanym źródłem naszej radości. Oby lud Boży zawsze mógł w nas znajdować stanowcze odrzucenie niesprawiedliwości i radosną służbę prawdzie.

Wreszcie miłość „wszystko znosi, wszystkiemu wierzy, we wszystkim pokłada nadzieję, wszystko przetrzyma". Tutaj w czterech słowach zawarty jest program życia duchowego i duszpasterskiego. Miłość Chrystusa, wylana w sercach naszych przez Ducha Świętego, pozwala nam tak żyć, być takimi: ludźmi zdolnymi, by zawsze wybaczyć; by zawsze obdarzać zaufaniem, bo pełnymi wiary w Boga; zdolnymi, by zawsze budzić nadzieję, bo pełnymi nadziei w Bogu; osobami umiejącymi cierpliwie znosić wszelkie sytuacje i każdego brata czy siostrę, w jedności z Jezusem, który z miłością znosił ciężar wszystkich naszych grzechów.

Drodzy Bracia, wszystko to nie pochodzi od nas, ale od Boga. Bóg jest miłością i tego wszystkiego dokonuje, jeśli jesteśmy otwarci na działanie Jego Ducha Świętego. Powinniśmy zatem być inkardynowani i zdolni do uczenia się. Im bardziej stajemy się inkardynowani do Kościoła, który jest w Rzymie, to tym bardziej powinniśmy stawać się zdolni do uległości Duchowi Świętemu, aby miłość mogła nadawać kształt i sens temu wszystkiemu, czym jesteśmy i co czynimy. Inkardynowani do Kościoła, który przewodniczy związkowi miłości i w miłości, ulegli Duchowi Świętemu, który rozlewa w naszych sercach miłość Bożą (por. Rz 5,5). Niech się tak stanie!

[00262-09.01] [Testo originale: Italiano]

[B0117-XX.02]