CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA 98a GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO (15 GENNAIO 2012) ● INTERVENTO DI S.E. MONS. ANTONIO MARIA VEGLIÒ
● INTERVENTO DI S.E. MONS. JOSEPH KALATHIPARAMBIL
● INTERVENTO DI P. GABRIELE FERDINANDO BENTOGLIO, C.S.
Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, si tiene la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la 98a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (15 gennaio 2012) sul tema: "Migrazioni e nuova evangelizzazione".
Intervengono: S.E. Mons. Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti; S.E. Mons. Joseph Kalathiparambil, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti; P. Gabriele Ferdinando Bentoglio, C.S., Sotto-Segretario del medesimo Pontificio Consiglio.
Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:
● INTERVENTO DI S.E. MONS. ANTONIO MARIA VEGLIÒ
Sul tema "Migrazioni e nuova evangelizzazione", sono lieto e onorato di presentare oggi il Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la celebrazione annuale della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, a livello ecclesiale, che avrà luogo il 15 gennaio 2012. Come ormai avviene da qualche anno, anche il Messaggio pontificio che oggi presentiamo è tripartito, dando attenzione successivamente ai lavoratori migranti, ai rifugiati e agli studenti internazionali. I nostri tre interventi illustreranno il pensiero del Santo Padre nel coniugare la nuova evangelizzazione con questi particolari ambiti delle migrazioni.
Evangelizzare è il cuore della missione di Gesù Cristo, secondo le parole che l’evangelista Luca gli attribuisce quando afferma: "Bisogna che io annunzi il regno di Dio … per questo sono stato mandato" (Lc 4,43).
Anche san Paolo scrive nella sua prima lettera ai Corinzi che "Annunciare il Vangelo non è per me un vanto; perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!" (1Cor 9,16).
E il Messaggio pontificio che oggi presentiamo, richiamando l’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, ribadisce che evangelizzare, cioè annunciare Gesù Cristo unico Salvatore del mondo e il suo Vangelo, "costituisce la missione essenziale della Chiesa" (n. 14).
Oggi ci troviamo davanti ad una realtà sociale e religiosa caratterizzata dalla facilità degli spostamenti, tanto che la mobilità dei singoli e dei popoli, soprattutto a causa di migrazioni interne o internazionali, "come sbocco per la ricerca di migliori condizioni di vita o per fuggire dalla minaccia di persecuzioni, guerre, violenza, fame e catastrofi naturali", ha prodotto "un mutevole intreccio di popoli e culture", con proprie identità e fisionomie (cf. Messaggio 2012, § 3). Come conseguenza di ciò, il mondo intero è diventato terra di annuncio evangelico. In effetti, persone che non conoscono Gesù Cristo si trovano in Paesi di antica tradizione cristiana, mentre molti cristiani emigrano verso regioni che, in passato, si era soliti chiamare "di missione".
Per avere un quadro concreto sulla mescolanza dei popoli come conseguenza del fenomeno migratorio, basta dare uno sguardo, per esempio, al "Rapporto Mondiale del 2010 sulle Migrazioni" dell’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (IOM), che individua i Paesi che hanno "accolto" il maggior numero di migranti negli ultimi anni. Essi sono gli Stati Uniti d’America, la Federazione Russa, la Germania, l’Arabia Saudita, il Canada, la Francia, il Regno Unito e la Spagna. Sulla copia cartacea di questo mio intervento ho aggiunto i dettagli di tale analisi (nota a fondo pagina).
È evidente che il miscuglio di nazionalità e di religioni va crescendo in misura esponenziale. Nei Paesi di antica cristianità osserviamo la penetrazione della secolarizzazione e la crescente insensibilità nei confronti della fede cristiana, mentre in alcuni Paesi a maggioranza non cristiana c’è un influsso emergente del Cristianesimo. Ovunque pullulano i nuovi movimenti settari, con il tentativo di "eliminare ogni visibilità sociale e simbolica della fede cristiana" (cf. Messaggio 2012, § 3), come se Dio e la Chiesa non esistessero.
Questo è il contesto in cui la Chiesa oggi è chiamata a svolgere la sua missione evangelizzatrice. Di fronte a tale sfida, essa si sente sollecitata a rivedere i suoi metodi, le sue espressioni e il suo linguaggio, rinnovando il suo slancio missionario. Una "nuova" evangelizzazione, quindi, ma che non scalfisce i contenuti e i valori del mandato missionario, trasmessi dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione e dal Magistero.
Il Beato Giovanni Paolo II, nella sua Enciclica sulla missione Redemptoris Missio, espone le differenti attività che si possono svolgere all’interno dell’unica missione della Chiesa, sorte "non da ragioni intrinseche alla missione stessa, ma dalle diverse circostanze in cui essa si svolge" (n. 33).
Sotto questo profilo, si distingue il primo annuncio o prima evangelizzazione, che si rivolge ai "popoli, gruppi umani, contesti socio-culturali in cui Cristo e il suo vangelo non sono conosciuti" (Ibid.). Il Santo Padre Benedetto XVI vi accosta il fenomeno delle migrazioni, dicendo che "uomini e donne provenienti da varie regioni del mondo, che non hanno incontrato Gesù Cristo o lo conoscono soltanto in maniera parziale, chiedono di essere accolti in Paesi di antica tradizione cristiana. Nei loro confronti è necessario trovare adeguate modalità perché possano incontrare Gesù Cristo e sperimentare il dono inestimabile della salvezza, che per tutti è sorgente di «vita in abbondanza» (Gv 10,10)" (Messaggio 2012, § 5). Vi è, poi, la dimensione permanente dell’evangelizzazione, che tocca direttamente le tradizionali comunità cristiane, impegnandole a testimoniare il disegno salvifico di Dio nella vita quotidiana. Infine, soprattutto nei Paesi di antica cristianità, ma a volte anche nei territori in cui l’annuncio evangelico è giunto più recentemente, si verifica una "situazione intermedia … in cui interi gruppi di battezzati hanno perduto il senso vivo della fede, o addirittura non si riconoscono più come membri della chiesa, conducendo un’esistenza lontana da Cristo e dal suo vangelo" (Redemptoris Missio, 33): ecco gli ambiti in cui c’è bisogno di una "nuova evangelizzazione" o "rievangelizzazione".
In tutti e quattro i casi, ad ogni modo, è vitale e in continua crescita il fenomeno migratorio. Il Santo Padre sottolinea che donne e uomini migranti non sono soltanto destinatari, ma anche protagonisti dell’annuncio o del ri-annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo. Essi sono come il "lievito" evangelico che, trovandosi inserito nel mondo, ha la possibilità e la forza di far fermentare tutta la "pasta" della cultura e della società. La nuova evangelizzazione nel mondo delle migrazioni, infatti, deve far leva soprattutto sul necessario coinvolgimento del laicato, da una parte, e sull’importanza del dialogo a tutti i livelli, dall’altra.
Di fatto – spiega il Papa nel suo Messaggio – vi sono persone che, cresciute "in seno a popoli marcati dalla fede cristiana, spesso emigrano verso Paesi in cui i cristiani sono una minoranza, o dove l’antica tradizione di fede non è più convinzione personale, né confessione comunitaria, ma è ridotta ad un fatto culturale". Nel primo caso si potrebbe trattare di "un’occasione per proclamare che in Gesù Cristo l’umanità è resa partecipe del mistero di Dio e della sua vita di amore, … anche attraverso il dialogo rispettoso e la testimonianza concreta della solidarietà". Nel secondo, invece, "c’è la possibilità di risvegliare la coscienza cristiana assopita, attraverso un rinnovato annuncio della Buona Novella e una vita cristiana più coerente". In ambedue le situazioni occorre che la pastorale adeguata assista i migranti affinché mantengano salda la loro fede, nella coerenza della vita cristiana e nella testimonianza del Vangelo, incoraggiandoli a diventare essi stessi autentici annunciatori del kerygma evangelico (cf. Messaggio 2012, § 4).
In tutto ciò, il Messaggio del Papa suggerisce che non si trascurino alcuni orientamenti peculiari della pastorale migratoria. I migranti, anzitutto, godono come tutti dell’intangibile dignità della persona umana, che va rispettata tutelandone i diritti, che vanno di pari passo con i doveri, che a tutti spettano in modo da "guardare all’umanità come ad una famiglia chiamata ad essere unita nella diversità" (Messaggio 2011). Altri punti cardine, poi, sono l’accoglienza e la solidarietà basate "sull’amore a Cristo, certi che il bene fatto al prossimo, particolarmente al più bisognoso, per amore di Dio, è fatto a Lui stesso" (Erga migrantes caritas Christi, n. 41). I lavoratori migranti, soprattutto, hanno bisogno che la comunità internazionale da un lato protegga i loro diritti umani e lavorativi, e dall’altro tuteli i membri delle loro famiglie (cfr. Messaggio 2012, § 9).
Faccio inoltre presente l’importanza che il nostro Dicastero ha sempre attribuito alla cooperazione tra le Chiese di origine, di transito e di destinazione affinché il migrante, in qualunque tappa del suo viaggio verso un futuro sconosciuto, sperimenti l’amore di Dio e incontri il volto misericordioso di Cristo. In tal modo, potrà sentirsi sostenuto nello sforzo di interagire con culture e popoli diversi e nella ricerca di un’integrazione che non gli faccia perdere la sua identità umana e cristiana. Anche questi aspetti sono presenti nel Messaggio.
Come sottolinea il Santo Padre, comunque, resta vero che quando si individuano adeguate modalità perché i migranti "incontrino e conoscano Gesù Cristo e sperimentino il dono inestimabile della salvezza… gli stessi migranti hanno un ruolo prezioso, poiché possono a loro volta diventare «annunciatori della Parola di Dio e testimoni di Gesù Cristo, speranza del mondo»" (Messaggio 2012, § 5).
Qui assumono un ruolo importante "gli Operatori pastorali – sacerdoti, religiosi e laici – che si trovano a lavorare sempre più in un contesto pluralista" (Messaggio 2012, § 6). Il nostro Pontificio Consiglio si unisce alla voce del Santo Padre nel manifestare sentimenti di stima, apprezzamento e sincera gratitudine verso tutti coloro che impegnano tempo, energie e risorse nella pastorale delle migrazioni, spesso nel silenzio e, talvolta, anche a rischio della propria vita. Sono molti, infatti, i laici, i religiosi e i sacerdoti che, con passione e generosità, a fianco di milioni di persone in mobilità, annunciano che il disegno di salvezza evangelico è già in atto nel mondo e, con abnegazione, assistono migranti, rifugiati, nomadi, gente del mare, viaggiatori e pellegrini nelle loro necessità quotidiane. Grazie a loro la Chiesa guarda, ascolta, rispetta e condivide con ogni migrante tutti i passaggi fondamentali della vita: nascere, amare, gioire, soffrire, morire. A loro il Papa rinnova altresì l’invito ad "aggiornare le tradizionali strutture di attenzione ai migranti e ai rifugiati, affiancandole a modelli che rispondano meglio alle mutate situazioni in cui si trovano a interagire culture e popoli diversi" (Messaggio 2012, § 6). Si tratta sempre, comunque, di porre Gesù Cristo al centro dell’esistenza, evitando con ogni sforzo di soffocare l’annuncio evangelico con eccessive complicazioni strutturali e organizzative.
Un campo aperto, insomma, nell’ottimismo cristiano che traccia nuove strade alla "corsa della Parola" (2Ts 3,1), non nel senso di un vago spiritualismo, ma nella certezza che il tempo che stiamo vivendo è arricchito dalla preziosa opportunità dei movimenti migratori. Questi, ovviamente, devono essere legittimamente regolati, liberandoli dalle piaghe della povertà, dello sfruttamento, del traffico di organi e di persone. Nella legalità, con attenzione a tutelare la dignità di ogni persona umana e a promuoverne l’autentico progresso, anche le migrazioni contemporanee possono diventare una benedizione per il dialogo tra i popoli, la convivenza nella giustizia e nella pace, l’annuncio evangelico della salvezza in Gesù Cristo.
Nota
Nel 2009 c’erano 38,5 milioni di immigrati negli U.S.A., di cui poco meno di un terzo erano messicani (11.478.234), il gruppo più numeroso nel Paese. Seguivano tre nazioni asiatiche: Filippine (1.733.864), India (1.665.055) e Cina (esclusi Hong Kong e Taiwan) (1.425.814). El Salvador è provenienza di altre 1.157.217 persone e il Vietnam di 1.149.355. La Corea, invece, è Paese di origine di 1.012.911 immigrati, mentre Cuba lo è per 982.862 persone (fonte: Statistical Portrait of the Foreign-Born Population in the United States, 2009; Table 5. Country of Birth: 2009, Pew Hispanic Center). Dunque, gli U.S.A., che sono a maggioranza cristiana, per lo più protestante, accolgono ora non solo i cattolici, ma anche gli indù, i buddisti, i musulmani, i taoisti e i confuciani.
Nella Federazione Russa, di cui è più difficile ottenere statistiche dettagliate, gli immigrati sono arrivati soprattutto da Kazakistan (circa 1,9 milioni di persone tra il 1989 al 2007) e, con flusso simile, da Kirgizia, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan (fonte: "Russian Federation", Country Profile, Focus Migration, No. 20, July 2010, in http://focus-migration.hwwi.de/Country-Profiles.1349.0.html ?&L=1). La Russia è un Paese di tradizione cristiano-ortodossa, ed è ora casa anche di immigrati musulmani dai Paesi dell’ex-U.R.S.S.
Nell’Unione Europea, il numero più elevato di immigrati si trova in Germania, Francia, Regno Unito e Spagna (per tutti i Paesi Europei, le statistiche citate sono quelle riportate da International Migration Outlook, OECD-SOPEMI 2010, Table B.1.5. Stock of foreign population by nationality). Nel 2008, in Germania vi era una popolazione immigrata di 6.727.600 persone di diverse nazionalità. Fra questi, gli immigrati turchi erano i più numerosi (1.688.400), seguiti da italiani (523.200), polacchi (393.800) e greci (287.200). Nella Germania evangelica abitano ora i cattolici polacchi e italiani, gli ortodossi greci e i musulmani turchi. In Francia, nel 2006, gli immigrati erano 3.541.800, soprattutto portoghesi (490.600), algerini (481.000) e marocchini (460.400), seguiti da turchi (223.600), italiani (177.400) e tunisini (145.900). In questo stato laico, in cui la maggioranza appartiene comunque alla Chiesa cattolica, ci sono ora molti musulmani. Nel Regno Unito, nel 2008, su 4.196.000 immigrati, i gruppi più numerosi erano costituiti da polacchi (500.000), irlandesi (359.000) e indiani (295.000), con una notevole presenza anche di pakistani (178.000) e francesi (124.000). Qui sono giunti i cattolici polacchi, irlandesi e francesi, gli indiani a maggioranza indù, ma anche musulmani, cattolici e sikh, e i pakistani a maggioranza musulmana. Nella Spagna tradizionalmente cattolica, invece, sono arrivati 5.598.700 immigrati, di cui soprattutto rumeni (796.600), per la maggior parte ortodossi, marocchini musulmani (710.000), ecuadoriani cattolici (413.700) e cittadini del Regno Unito a maggioranza anglicana (374.600).
In Arabia Saudita, gli immigrati che vi si trovavano nel 2005 provenivano soprattutto dai seguenti Paesi: India, Egitto, Pakistan, Filippine, Bangladesh, Yemen, Indonesia, Sudan, Giordania e Sri Lanka (Source: World Bank, 2008, Migration and Remittances Factbook). Anche se, in maggioranza, si tratta di Paesi a prevalenza musulmana, s’annoverano fra essi anche l’India, che è a maggioranza indù, le Filippine, i cui cittadini sono generalmente cattolici, e lo Sri Lanka, di cui la popolazione è per il 70% buddista e per il 15% indù. Il Sudan stesso, che è a maggioranza musulmana, è abitato anche da cristiani che costituiscono un gruppo numericamente rilevante.
In Canada, dove si contavano 6.187.000 immigrati nel 2006, il gruppo immigrato più numeroso proveniva dal Regno Unito (579.600 persone). Legami storici possono giocare un ruolo importante in questo tipo di flusso. Subito dopo venivano i cinesi (466.900) e gli indiani (443.700). C’erano anche i filippini (303.200), gli italiani (296.900) e gli statunitensi (250.500) (Fonte: Statistics Canada, 2006 Census of Population). Anche nel Canada cristiano, oltre ai cristiani del Regno Unito e degli Stati Uniti, e a quelli specificamente cattolici delle Filippine e dell’Italia, sono immigrati gli indù, dall’India, e buddisti, musulmani, taoisti e confuciani soprattutto dalla Cina.
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● INTERVENTO DI S.E. MONS. JOSEPH KALATHIPARAMBIL
La società in cui viviamo sta diventando sempre più multietnica e interculturale, come mostra anche la presenza di richiedenti asilo e di rifugiati. Ad essi il Messaggio del Santo Padre riserva attenzione nella sua seconda parte e ciò assume particolare rilievo se teniamo conto che proprio quest’anno ricordiamo il sessantesimo anniversario della Convenzione internazionale sui rifugiati, siglata a Ginevra nel 1951. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR), nel suo Rapporto statistico annuale, diffuso nella Giornata mondiale del rifugiato dello scorso mese di giugno, ha denunciato "profondi squilibri nel supporto internazionale che le persone sradicate dalle loro terre ricevono". Secondo il Rapporto, i 4/5 dei rifugiati del mondo sono accolti dai Paesi in via di sviluppo, sia in termini assoluti che in proporzione ai loro sistemi economici. In effetti, il maggior numero di rifugiati è oggi ospitato da Pakistan (1.900.000), Iran (1.100.000) e Siria (un milione). Tanto più che – nota l’Organizzazione – "questo avviene in un periodo caratterizzato da crescenti sentimenti di ostilità nei confronti dei rifugiati in molti Paesi industrializzati".
In effetti, richiedenti asilo e rifugiati arrivano in un Paese straniero con tante preoccupazioni causate da persecuzioni e dalla violazione dei diritti umani, che li costringono a fuggire dalla loro patria. Si tratta, in notevole misura, di persone profondamente legate al credo religioso al quale appartengono e proprio questo è il motivo che ha obbligato alcuni di essi a lasciare la terra d’origine. Nella società che li accoglie, essi hanno bisogno di compassione e di aiuto, in una parola cercano un luogo dove possano sentirsi a casa. Benedetto XVI afferma che "I rifugiati che chiedono asilo, fuggiti da persecuzioni, violenze e situazioni che mettono in pericolo la loro vita, hanno bisogno della nostra comprensione e accoglienza, del rispetto della loro dignità umana e dei loro diritti, nonché della consapevolezza dei loro doveri". Il dolore, la sofferenza e l’esperienza traumatica della fuga per salvare la vita sono elementi che stanno alla base della loro esistenza e, nella condivisione solidale, possono aprire la via a profonde relazioni umane di empatia e di filantropia, soprattutto per le comunità cristiane, che in ogni caso vedono nei richiedenti asilo e nei rifugiati il volto di Cristo, che tutti ci rende fratelli e sorelle.
Nell’incontro fraterno, fatto di solidarietà e di sensibilità, il cristiano testimonia la sua fede e, dunque, si rende protagonista di evangelizzazione attestando che in Gesù Cristo risiede la risposta alle attese, alle sofferenze e alle speranze di ogni esistenza umana. I rifugiati, in tal modo, fanno appello ai valori evangelici che costituiscono il fondamento delle comunità cristiane e, vissuti nella quotidianità, incarnano la Dottrina sociale della Chiesa. Benedetto XVI lo ha detto nell’Enciclica Spe salvi: "La misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società" (n. 38). E oggi lo ripete nel Messaggio che presentiamo, in particolare raccomandando che "Sacerdoti, religiosi e religiose, laici e, soprattutto, giovani uomini e donne siano sensibili nell’offrire sostegno a tante sorelle e fratelli che, fuggiti dalla violenza, devono confrontarsi con nuovi stili di vita e difficoltà di integrazione. L’annuncio della salvezza in Gesù Cristo sarà fonte di sollievo, speranza e "gioia piena" (cfr Gv 15,11)".
Cosa significano l’amore del prossimo e la solidarietà in queste situazioni concrete? Come si realizzano individualmente e come società?
Nella risposta a queste domande è necessario garantire che l’altro sia trattato come persona con la dignità che gli compete. Si tratta di un modo di vivere e di condividere che conduce all’atteggiamento di accoglienza che costituisce la base dell’autentico annuncio evangelico. L’accoglienza, infatti, può essere definita il segno di riconoscimento della Chiesa ed è la caratteristica fondamentale della sollecitudine pastorale per i migranti e i rifugiati, rifiutando ogni sentimento e manifestazione di xenofobia e razzismo (vedi Erga migrantes caritas Christi, n. 30).
I rifugiati e i richiedenti asilo contribuiscono anche alla vita della società e della comunità religiosa che li accoglie. Essi esprimono la propria fede a livello individuale, ma anche con un forte legame nei confronti della società. La fede implica la vita in tutti i suoi aspetti, modella l’identità ed è legata alla famiglia, alla cultura e alle strutture sociali. Per questo, la testimonianza della fede avviene in modo spontaneo, anche attraverso i simboli della devozione popolare. In tal modo, anche i rifugiati e i richiedenti asilo possono incoraggiare le comunità di antica tradizione cristiana a offrire una rinnovata testimonianza della loro fede, nelle varie dimensioni della quotidianità.
Il Messaggio del Santo Padre ricorda che "La loro sofferenza invoca dai singoli Stati e dalla comunità internazionale che vi siano atteggiamenti di mutua accoglienza, superando timori ed evitando forme di discriminazione e che si provveda a rendere concreta la solidarietà anche mediante adeguate strutture di ospitalità e programmi di reinsediamento". In effetti, qui si raccomanda anzitutto che gli Stati tengano aperte le loro frontiere alle persone in fuga dalle crisi che minacciano la loro vita. Poi, si può scorgere l’incoraggiamento a portare avanti l’impegno comune per rafforzare l’asilo e lo spazio di protezione a livello internazionale, anche mediante la costruzione di un sistema normativo equilibrato e condiviso, che superi le differenze nelle pratiche dei vari Paesi. Infine, non va dimenticato l’appello a sottoscrivere e ratificare gli strumenti internazionali già varati, magari per una commemorazione, che sia autentica e non soltanto verbale, del 60° anniversario della Convenzione sui rifugiati del 1951 e del 50° della Convenzione sulla riduzione dell’apolidia del 1961.
Del resto, questo non potrà che manifestare esplicitamente lo spirito di solidarietà e di corresponsabilità che deve animare tutti, come scrive il Santo Padre: "Tutto ciò comporta un vicendevole aiuto tra le regioni che soffrono e quelle che già da anni accolgono un gran numero di persone in fuga e una maggiore condivisione delle responsabilità tra gli Stati".
Una parola, che è insieme di apprezzamento e di sollecitazione, il Santo Padre la rivolge a Voi, Signori giornalisti, rilevando che "La stampa e gli altri mezzi di comunicazione hanno un ruolo importante nel far conoscere, con correttezza, oggettività e onestà, la situazione di chi ha dovuto forzatamente lasciare la propria patria e i propri affetti e desidera iniziare a costruirsi una nuova esistenza".
In definitiva, in un mondo in cui le persone lottano per la giustizia, la libertà e la pace, spesso senza realizzare le loro speranze, è importante non lasciarsi trasportare dall’onda lunga dello stereotipo o della sola ricerca dello scoop giornalistico, ma contribuire ad annunciare che il Regno di Dio è stato promesso ad ogni persona di buona volontà e la sua presenza già nell’oggi comincia a realizzarsi in Gesù Cristo, che "è venuto affinché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza" (Gv 10,10).
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● INTERVENTO DI P. GABRIELE FERDINANDO BENTOGLIO, C.S.
La sezione conclusiva del Messaggio pontificio che oggi presentiamo è dedicata ai giovani che, per motivi di studio e di formazione professionale, si recano in un Paese straniero e – afferma il Santo Padre – "affrontano problemi di inserimento, difficoltà burocratiche, disagi nella ricerca di alloggio e di strutture di accoglienza".
Alla fine del primo decennio di questo secolo, il numero degli studenti all’estero ha superato i tre milioni e si prevede che raggiunga i 7 milioni entro il 2025. I principali Paesi che li accolgono sono Stati Uniti d’America, Regno Unito, Germania e Francia. Nel corso del decennio appena concluso, tuttavia, i più bruschi aumenti percentuali si sono avuti in Nuova Zelanda e in Corea, seguiti da Australia, Canada e Giappone. È stato anche notato che oltre il 50% dei flussi totali di studenti internazionali registrati nel 2008 provenivano da una ventina di Paesi, tra cui, ai primi posti, figuravano Cina, Polonia, India e Messico. Rispetto agli anni precedenti, però, gli incrementi maggiori sono da attribuire a Colombia, Cina, Romania e Marocco. Sono diminuiti, invece, gli studenti provenienti da Filippine e Federazione Russa.
Bisogna dire che lo studio di questo fenomeno suscita notevole interesse perché gli studenti sono una delle fonti privilegiate di lavoratori immigrati molto qualificati in seno alle varie aree di immigrazione del pianeta, soprattutto quelle dei Paesi più sviluppati, che sono ovviamente la meta preferita delle migrazioni internazionali. Inoltre, bisogna tener conto che molti di questi studenti internazionali tendono a diventare immigrati permanenti.
Se la mobilità degli studenti internazionali è in aumento, di pari passo cresce l’urgenza che i luoghi dell’educazione e della formazione, soprattutto a livello universitario, acquisiscano e valorizzino il legame necessario e strategico fra la "profonda sete di verità e il desiderio di incontrare Dio", come raccomanda il Santo Padre, riferendosi da una parte alle comunità cristiane, affinché "siano sensibili verso tanti ragazzi e ragazze che, proprio per la loro giovane età, oltre alla crescita culturale, hanno bisogno di punti di riferimento". Dall’altra parte, è ovviamente indispensabile il corretto intervento degli istituti universitari, specialmente quelli di ispirazione cristiana, perché "siano luogo di testimonianza e d’irradiazione della nuova evangelizzazione".
In effetti, nel nostro mondo globale, l’educazione va estesa alla formazione integrale della persona e alla trasmissione dei valori, come il senso della responsabilità individuale e sociale, il lavoro etico, la solidarietà con l’intera famiglia umana, al di là delle appartenenze nazionali. La responsabilità educativa di tutti coloro che hanno a cuore la creazione di "una sola famiglia di fratelli e sorelle in società che si fanno sempre più multietniche e interculturali", come scriveva il Papa nel Messaggio dello scorso anno, richiede un impegno continuo perché l’educazione non sia soltanto "indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali" (ONU, Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, art. 26), ma sia anche un mezzo per la partecipazione di tutti in una società libera e uno strumento che promuove reciproca comprensione e "amicizia fra tutte le Nazioni e tutti i gruppi etnici o religiosi" (Ibid.). Di fatto, tra gli obiettivi fondamentali dell’educazione vi sono anche la trasmissione e lo sviluppo di comuni valori culturali e morali, che possano essere punti di riferimento per l’individuo e per la società, affinché ognuno trovi la sua identità e dignità.
In tutto ciò, nella prospettiva degli studenti internazionali, hanno un ruolo importante le tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni, che permettono il prolungamento dei contatti con le loro radici umane e culturali, favorendo altresì nuovi campi di apprendimento e di scambio. Tenute a basso costo, le nuove tecnologie possono offrire inedite opportunità formative, a beneficio dei Paesi d’origine degli studenti, ma anche di quelli in cui essi perfezionano la loro formazione specifica.
Ad ogni buon conto, la missione di coloro che hanno una responsabilità accademica e pastorale nel mondo universitario dovrebbe essere quella di incentivare la collaborazione tra le culture diverse degli studenti, anche in vista di un annuncio esplicito del Vangelo ai giovani. Per questo il Santo Padre auspica che i giovani universitari incontrino "autentici testimoni del Vangelo ed esempi di vita cristiana", che li spingano a "diventare essi stessi attori della nuova evangelizzazione".
Al fine di concretizzare queste riflessioni, il nostro Pontificio Consiglio realizzerà il III Congresso Mondiale della pastorale per gli studenti internazionali, qui a Roma, dal 30 novembre al 3 dicembre di quest’anno. Il Congresso avrà come tema "Studenti internazionali e incontro delle culture". Oltre agli organizzatori, ai relatori e ad alcuni invitati speciali, vi parteciperanno 123 delegati (24 Vescovi, 38 sacerdoti, 9 religiosi, 26 assistenti pastorali laici e 26 studenti universitari), provenienti dall’Europa (42 delegati da 14 Paesi), dall’Africa (28 da 9 Paesi), dall’America (20 da 7 Paesi), dall’Asia (14 da 5 Paesi) e 3 dall’Australia, oltre ad alcuni rappresentanti di Istituti religiosi, associazioni laicali e organizzazioni internazionali e regionali.
[01475-01.01] [Testo originale: Italiano]
[B0634-XX.01]