CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELLA NOTA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE: "PER UNA RIFORMA DEL SISTEMA FINANZIARIO INTERNAZIONALE NELLA PROSPETTIVA DI UN’AUTORITÀ PUBBLICA A COMPETENZA UNIVERSALE" ● INTERVENTO DEL CARD. PETER KODWO APPIAH TURKSON
● INTERVENTO DI S.E. MONS. MARIO TOSO
● INTERVENTO DEL PROF. LEONARDO BECCHETTI
Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, viene presentata la Nota del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace: "Per una riforma del sistema finanziario internazionale nella prospettiva di un’Autorità pubblica a competenza universale".
Intervengono alla Conferenza Stampa: l’Em.mo Card. Peter Kodwo Appiah Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace; S.E. Mons. Mario Toso, Segretario del medesimo Pontificio Consiglio; il Prof. Leonardo Becchetti, Professore di Economia Politica, Università di Roma "Tor Vergata".
Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:
● INTERVENTO DEL CARD. PETER KODWO APPIAH TURKSON
Nei giorni 3 e 4 novembre prossimi, a Cannes, in Francia, avrà luogo la sesta riunione dei Capi di Governo del G-20, che si riuniranno per discutere le principali questioni riguardanti l’economia e la finanza mondiale.
Il Santo Padre e la Santa Sede seguono queste questioni con viva e particolare attenzione esortando e incoraggiando costantemente non solo "un’azione d’insieme", ma una azione basata su una "visione chiara di tutti gli aspetti economici, sociali, culturali e spirituali" (Prefazione).
In questo spirito di discernimento, il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, attraverso una Nota, offre e condivide un suo contributo che può essere utile per le deliberazioni del G-20, dal titolo Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza mondiale.
La Nota si apre con una profetica dichiarazione contenuta nell’Enciclica Populorum progressio, di Paolo VI. Era il 1967, e si era in piena Guerra Fredda.
Così scrisse Papa Montini in questo famoso brano dove definisce la Chiesa "esperta di umanità": «La situazione attuale del mondo esige un'azione d'insieme sulla base di una visione chiara di tutti gli aspetti economici, sociali, culturali e spirituali. Esperta in umanità, la chiesa, lungi dal pretendere minimamente d'intromettersi nella politica degli stati, "non ha di mira che un unico scopo: continuare, sotto l'impulso dello Spirito consolatore, la stessa opera del Cristo, venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità (cf. Gv 18,37), per salvare, non per condannare, per servire, non per essere servito (cf. Gv 3,17; Mt 20,28; Mc 10,45)».
Con queste lucide parole il Papa della Populorum progressio tratteggiava le forme della relazione profonda tra la Chiesa e il mondo che si intrecciano nel sacro valore della dignità dell’uomo e nella ricerca del bene comune: i due cardini intorno ai quali è stato definito l’itinerario di riflessione della Nota.
A questo proposito, mi risuonano alla memoria le vive parole del Santo Padre Benedetto XVI, che, appena due anni fa, nel 2009, nella Enciclica Caritas in Veritate ha scritto: «la complessità e gravità dell'attuale situazione economica giustamente ci preoccupa, ma dobbiamo assumere con realismo, fiducia e speranza le nuove responsabilità a cui ci chiama lo scenario di un mondo che ha bisogno di un profondo rinnovamento culturale e della riscoperta di valori di fondo su cui costruire un futuro migliore. La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente» (21).
In questo senso occorre una «nuova sintesi umanistica», come l’ha acutamente definita Benedetto XVI, verso la quale il documento che presentiamo è orientato con il fine di far tornare le forze, in particolare quelle finanziarie, dopo il loro cattivo impiego, ad essere strumenti fondamentali al servizio del progresso e del generale sviluppo dell’economia reale (cf. CiV, 65): uno sviluppo che lenisca la grave nuova questione sociale che sta così duramente colpendo il nostro tempo.
Nella enciclica Pacem in terris del 1963, il pontefice Giovanni XXIII, aveva in qualche modo previsto l’attuale globalizzazione nel senso della progressiva unificazione del mondo. E, a questo riguardo, avvertiva sulla necessità di uniformare le potestà politiche alle progressivamente più larghe necessità della comunità umana (cf. Pacem in terris, 70).
Come conseguenza di tale comprensione, Giovanni XXIII auspicò la formazione «un’Autorità pubblica mondiale» (Ivi, 71-74), che fosse in grado – senza ledere le legittime sovranità – di far prevalere sempre il dialogo della ragione politica e giuridica sulla violenza, vista sia in termini di conflitto o ingiustizia sociale, sia in termini di guerra guerreggiata.
Allacciandosi al magistero sociale dei pontefici e volendo specificare ulteriormente gli orientamenti pratici offerti da Benedetto XVI nella Caritas in veritate (cf soprattutto il n. 67), il Pontificio Consiglio, mediante le brevi riflessioni qui in considerazione non solo ripropone la costituzione di un Autorità pubblica a competenza universale, necessariamente super partes, ma cerca di articolare questa proposta più in dettaglio, come si potrà constatare nel paragrafo intitolato "Verso una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale rispondente alle esigenze di tutti i popoli" (cf pp. 28-35).
L’Autorità dovrà avere il fine specifico del bene comune, e dovrà lavorare ed essere strutturata non come ulteriore leva di potestà dei più forti sui più deboli. In questo senso, essa dovrà svolgere quel ruolo super partes che, attraverso il primato del diritto della persona, favorisca lo sviluppo integrale dell’intera comunità umana, intesa – in questo quadro – come «comunità delle Nazioni».
Concludo con le parole di Benedetto XVI. Nell’Enciclica Caritas in Veritate ha scritto: «La complessità e gravità dell'attuale situazione economica giustamente ci preoccupa, ma dobbiamo assumere con realismo, fiducia e speranza le nuove responsabilità a cui ci chiama lo scenario di un mondo che ha bisogno di un profondo rinnovamento culturale e della riscoperta di valori di fondo su cui costruire un futuro migliore. La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente» (CiV, 21).
Solo così potrà tornare a soffiare forte il vento della speranza, il solo in grado di allontanare l’avversario più grande del nostro tempo: la paura del presente e del futuro.
[01488-01.01] [Testo originale: Italiano]
● INTERVENTO DI S.E. MONS. MARIO TOSO
La nota del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace sulla Riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’Autorità pubblica competenza universale intende proporre una riflessione sulle possibili vie da percorrere - il linea con il più recente magistero sociale dei pontefici1 - per giungere a politiche ed istituzioni finanziarie e monetarie efficaci e rappresentative a livello mondiale e orientate ad uno sviluppo autenticamente umano di tutte le persone e i popoli.
È noto che la Chiesa, allorché interviene a parlare sulla questione sociale, si muove sul piano della sua competenza etica e religiosa. Pertanto, se essa affronta l’attuale crisi del sistema monetario e finanziario non intende addentrarsi in questioni prettamente tecniche, pur non ignorandole. Il discernimento e la progettualità che essa mette in campo sono frutto della cooptazione di molteplici saperi entro una prospettiva teologico-morale. È così che, nell’analisi, nell’interpretazione e negli orientamenti pratici elaborati, la Chiesa propone un sapere sapienziale, di tipo sintetico, globale, quale quadro etico-culturale che innerva ed orienta la prassi costruttrice e riformatrice secondo l’ispirazione cristiana.
In particolare, nelle riflessioni del Pontificio Consiglio viene offerta una rilettura della grave crisi economica e finanziaria in cui ancora siamo immersi, segnalando, tra le altre cause, non solo quelle etiche, ma più specificamente quelle ideologiche.2 Le vecchie ideologie sono tramontate. Ma ne sono sorte di nuove, non meno pericolose per lo sviluppo integrale della famiglia umana. Esse hanno inciso negativamente sul sistema monetario e finanziario internazionale e globalizzato, provocando diseguaglianze sul piano dello sviluppo economico sostenibile, nonché gravi problemi di giustizia sociale, mettendo a dura prova soprattutto i popoli più deboli. Si tratta di ideologie neoliberiste, neoutilitariste e tecnocratiche che, mentre appiattiscono il bene comune su dimensioni economiche, finanziarie e tecniche assolutizzate, mettono a repentaglio il futuro delle stesse istituzioni democratiche.3
Come superare tali visioni e prassi distorte? Muovendo da un nuovo pensiero, da un nuovo umanesimo globale, aperto alla trascendenza, secondo cui il primato dell’essere sull’avere comanda un’etica più «amica della persona», ossia un’etica della fraternità e della solidarietà, nonché la subordinazione dell’economia e della finanza alla politica, responsabile del bene comune. Solo così si possono vincere le idolatrie di mercati aventi come unica regola obiettivi e prospettive meramente tecnici e performativi, ignorando quell’etica che li dovrebbe permeare intimamente. Infatti, i mercati, essendo creati dall’uomo, recano inscritto un codice etico naturale, che non può essere ignorato, pena la loro disumanizzazione e desemantizzazione.
Per quanto concerne l’aspetto progettuale, ossia l’indicazione di vie di soluzione, la Nota del Pontificio Consiglio, allacciandosi al magistero sociale dei pontefici, suggerisce che la globalizzazione sia governata mediante la costituzione di un’autorità pubblica a competenza universale. Una prospettiva questa che, nel solco tracciato dalla Pacem in terris di Giovanni XXIII, è riproposta con determinazione e chiarezza da Benedetto XVI nella Caritas in veritate.4 Le riflessioni del Pontificio Consiglio intendono svilupparla, volendo così tratteggiare, sia pure per sommi capi, suggerimenti per la riforma delle attuali istituzioni internazionali, perché siano più autorevoli e democratiche. Queste devono essere espressione di un accordo libero e condiviso tra i popoli; più rappresentative; più partecipate; più legittimate; più coinvolgenti tutte le società politiche e civili. Devono essere super partes, al servizio del bene di tutti, in grado di offrire una guida efficace e, al tempo stesso, di permettere a ciascun Paese di esprimere e di perseguire il proprio bene comune, secondo il principio di sussidiarietà, nel contesto del bene comune mondiale. Solo così le istituzioni internazionali riusciranno a favorire l’esistenza di sistemi monetari e finanziari efficienti ed efficaci, ossia mercati liberi e stabili, disciplinati da un adeguato quadro giuridico, funzionali allo sviluppo sostenibile e al progresso sociale di tutti, ispirati ai valori della carità nella verità. L’Autorità mondiale non dovrà schiacciare o sfruttare i Governi nazionali o regionali. Essa dovrà intendere la sua facoltà di orientare e di decidere, nonché di sanzionare sulla base del diritto, come un mettersi al servizio dei vari Paesi membri, affinché crescano e posseggano mercati efficienti ed efficaci, ossia mercati non iperprotetti da politiche nazionali paternalistiche, non indeboliti da deficit sistematici delle finanze pubbliche e dei Prodotti nazionali, che di fatto impediscono ai mercati stessi di operare in un contesto mondiale come istituzioni aperte e concorrenziali.5
È da sottolineare che le riflessioni presentate dal Pontificio Consiglio non demonizzano affatto i mercati monetari e finanziari, bensì li considerano un «bene pubblico»:6 bene fondamentale quindi, ma non bene o fine ultimo. Proprio per questo, essi devono essere funzionali o ministeriali alla realizzazione del bene comune universale della famiglia umana, grazie all’orientamento offertogli da parte dei vari soggetti sociali delle società politiche e civili, sul piano nazionale ed internazionale.
Il testo del Pontificio Consiglio mostra, forse, la sua maggiore originalità, allorché cerca di tratteggiare alcune tappe e caratteristiche del cammino da percorrere nella costituzione di un’Autorità pubblica a competenza universale specie con riferimento all’ambito economico e finanziario.
In primo luogo, prospetta un processo di riforma attuato «avendo come punto di riferimento l’Organizzazione delle Nazioni Unite, in ragione dell’ampiezza mondiale delle sue responsabilità, della sua capacità di riunire le Nazioni della terra e della diversità dei suoi compiti e di quelli delle sue Agenzie specializzate».7
In secondo luogo, propone un netto salto di qualità rispetto alle istituzioni e ai fora informali esistenti. Occorre innovare rispetto ad esse, all’ONU, alle fallimentari istituzioni di Bretton Woods,8 al G8 o al G20, ad altro ancora. Occorre, in particolare, il passaggio deciso da un sistema di governance - ossia di coordinamento orizzontale tra Stati senza un’Autorità super partes - ad un sistema che, oltre al coordinamento orizzontale, disponga di un’Autorità super partes, con potestà di decidere con metodo democratico e di sanzionare in conformità al diritto. Un tale passaggio, verso uno "stato di diritto" e forme di "governo" mondiali, non può avvenire se non dando espressione politica a preesistenti interdipendenze e cooperazioni e, quindi, non abbandonando la pratica del multilateralismo sia a livello diplomatico sia nell’ambito dei piani per lo sviluppo sostenibile e per la pace.9
Secondo le riflessioni del Pontificio Consiglio, l’allargamento attuale del G7 in G20, configurato anche secondo altre modalità, che coinvolgono maggiormente, negli orientamenti da dare all’economia e alla finanza globali, la responsabilità dei Paesi con più elevata popolazione, in via di sviluppo ed emergenti, non coincide ancora con quanto auspicabile. Si tratterebbe di una soluzione ancora insoddisfacente ed inadeguata. In effetti, nonostante gli apprezzabili cambiamenti nella composizione e nel funzionamento, chiaramente riconosciuti dalla Nota del Pontificio Consiglio,10 il G20 non risponde pienamente alla logica delle Nazioni Unite quali dovrebbero essere. Gli Stati che compongono il G20 non possono considerarsi rappresentativi di tutti i popoli. Sebbene allargato, il G20 che, come è ben noto non è parte dell’ONU, è sempre un forum informale e limitato che, tra l’altro, mostra di perdere di efficacia più viene ampliato. Allo stato attuale delle cose, il G20 manca di una legittimazione e di un mandato politico da parte della comunità internazionale. A ciò si deve aggiungere che, non mutando la situazione, rischia di delegittimare o di sostituirsi di fatto alle istituzioni internazionali - come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale - che, sebbene necessitino di profonde riforme, appaiono in grado di rappresentare in maniera istituzionale tutti i Paesi e non un loro numero ristretto.
Ciò che, pertanto, andrebbe fatto quanto prima, secondo anche quanto affermano gli stessi leader del G20, nella Dichiarazione finale di Pittsburgh del 2009, è che si deve avere a disposizione un pensiero politico più adeguato e, finalmente, mettere mano alla riforma dell’«architettura globale», per far fronte alle improcrastinabili esigenze del bene comune del 21° secolo. E ciò, percorrendo «vie creative e realistiche, tendenti a valorizzare gli aspetti positivi delle istituzioni e dei fora già esistenti»,11 migliorandoli, di modo che assumano struttura e modalità tipiche di una competenza universale, secondo i principi della solidarietà e della sussidiarietà, oltre che della rappresentanza.
Certamente tali prospettive richiedono prudenza e gradualità. Occorre al tempo stesso non rinunciare alla decisione che comporta il perseguimento di obiettivi dalla cui realizzazione dipende quella del bene comune mondiale. Tra questi indichiamo: a) promuovere, nel contesto delle istituzioni internazionali esistenti - in particolare delle Nazioni Unite-, in coerenza anche ai loro Statuti, la giunzione tra sfera politica e sfera economica e civile nelle relazioni mondiali; b) riformare le attuali istituzioni internazionali, in vista di istituzioni e politiche finanziarie e monetarie mondiali effettive. Occorre quindi riflettere sui sistemi di cambi esistenti e sull possibilità di giungere ad una o più istituzioni che svolgano «le funzioni di una sorta di «Banca centrale mondiale», per regolare il flusso e il sistema degli scambi monetari, alla stregua della Banche centrali nazionali, riscoprendo la logica di fondo - logica di pace, di coordinamento e di prosperità comune - che portò agli Accordi di Bretton Woods. In tale riflessione è cruciale il coinvolgimento dei Paesi emergenti e in via di sviluppo; c) sul piano regionale, occorre promuovere un processo analogo, valorizzando il ruolo delle istituzioni esistenti. A livello europeo, ad esempio, potrebbe costituire un riferimento la Banca Centrale Europea, facendovi, però, corrispondere istituzioni politiche proporzionate, in vista di una maggior unità ed efficacia nelle decisioni.
Preliminare a ciò è soprattutto il recupero del primato della politica sull’economia e sulla finanza. «Occorre - si legge nelle riflessioni qui presentate - recuperare il primato dello spirituale e dell’etica e, con essi, il primato della politica – responsabile del bene comune - sull’economia e sulla finanza. Occorre ricondurre quest’ultime entro i confini della loro reale vocazione e della loro funzione, compresa quella sociale, in considerazione delle loro evidenti responsabilità nei confronti della società, per dar vita a mercati ed istituzioni finanziarie che siano effettivamente a servizio della persona, che siano capaci, cioè, di rispondere alle esigenze del bene comune e della fratellanza universale, trascendendo ogni forma di piatto economicismo e di mercantilismo performativo».12
Coerentemente all’impegno della politica di orientare i sistemi finanziari e monetari alla realizzazione del bene comune, vengono suggerite dal Pontificio Consiglio, a mo’ di esempio, tre possibili vie da percorrere: a) misure di tassazione delle transazioni finanziarie; b) forme di ricapitalizzazione delle banche; c) distinzione tra attività di credito ordinario e di Investment Banking. Rispetto al secondo punto l’Europa, proprio in questi ultimi giorni, ha già espresso il suo parere positivo.
Ecco, in breve, alcuni tratti della progettualità, elaborata dalla riflessioni in esame, e che dovrebbe essere assunta, oltre che dai più diretti responsabili del bene comune sul piano nazionale e sovranazionale, da coloro che, specie nelle Università e negli Istituti culturali, sono chiamati a formare le classi dirigenti di domani.
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1
Cf BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, nn. 57 e 67.
2 Cf PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale, Tipografia Vaticana, Città del Vaticano 2011, pp. 7-19.
3 Cf Ib., p. 18.
4 Cf BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, n. 67.
5 Cf Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale, pp. 24-25.
6 Cf Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale, p. 29.
7 Cf Ib., pp. 26-27.
8 Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, se inizialmente hanno saputo rispondere allo scenario successivo alla Seconda Guerra Mondiale, sembrano avere progressivamente perso il mandato e la vocazione universale impliciti agli Accordi di Bretton Woods di cui erano il frutto. In definitiva, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale non sono stati capaci di garantire l’obiettivo della stabilità monetaria e finanziaria, nonché uno sviluppo economico adeguato, in modo che fossero vinte o, almeno, significativamente ridimensionate le situazioni di povertà e di disuguaglianza; anzi, spesso le hanno aggravate, contribuendo, peraltro, a ridurre notevolmente la propria credibilità internazionale.
9 Cf Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale, pp. 27-28.
10 Cf Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale, pp. 30-31.
11 Ib., pp. 31-32.
12 Ib., pp. 33-34. [01489-01.01] [Testo originale: Italiano]
● INTERVENTO DEL PROF. LEONARDO BECCHETTI
L’aspetto positivo delle crisi è che esse sono allo stesso tempo momenti di grandi opportunità. La crisi finanziaria globale è un’opportunità per riformare l’architettura del sistema finanziario mondiale, rafforzare l’Unione Europea dal punto di vista dell’armonizzazione delle politiche fiscali procedendo più speditamente verso il traguardo di un’unità politica, aumentare la disciplina delle politiche fiscali nazionali.
Il documento vaticano si incentra su due aspetti fondamentali:
i) costruire una cornice di regole di global governance che se possibile facciano da quadro per l’azione di istituzioni globali;
ii) riformare il sistema finanziario internazionale con una serie di proposte specifiche.
Sul primo punto la global govenance è urgente e necessaria per superare l’asimmetria della globalizzazione di mercati globali ed istituzioni e regole che restano prevalentemente nazionali.
La globalizzazione ci rende sempre più interdipendenti e rende praticamente impossibile disinteressarsi dei problemi di altri paesi un tempo lontani: simul stabunt simul cadent.
Solo per fare alcuni esempi ci sono almeno sei fondamentali elementi di interdipendenza tra sistemi economici e finanziari: i) la crisi del debito americano è un problema che riguarda non solo quel paese ma i risparmiatori di tutto il mondo che in esso investono e tra i primi grandi stati come la Cina che ha investito in titoli del tesoro una parte consistente delle proprie riserve; ii) la crisi del debito greco e il probabile abbattimento del valore nominale dei titoli pubblici del paese (tra il 20 e il 60 percento) comporterà serie perdite sui bilanci delle banche francesi e tedesche che maggiormente avevano investito in tali attività finanziarie; iii) la presenza di un’enorme massa di poveri e diseredati a livello mondiale, disposti a lavorare a salari molto più bassi di quelli dei nostri lavoratori di pari qualifica, tutelati e sindacalizzati, rappresenta una minaccia formidabile al mantenimento dei livelli di benessere dei paesi ad alto reddito; iv) l’uscita dall’euro comporterebbe danni gravissimi non solo per paesi del Sud ma anche per la stessa Germania che per anni ha goduto del vantaggio di poter esportare le proprie merci sul mercato dei paesi dell’eurozona senza il costo dell’apprezzamento del proprio tasso di cambio; v) il coordinamento delle banche centrali è oggi sempre più importante in un mondo globalmente integrato e i paesi emergenti hanno lamentato più volte recentemente che le politiche monetari espansive delle banche centrali americane ed europea (quantitative easing) hanno esportato inflazione nei loro paesi; vi) da tempo nelle riunioni del G-20 si cerca di coordinare le politiche dei paesi in deficit e di quelli in surplus cercando di esortare i secondi ad adottare politiche più espansive per rilanciare la domanda a livello mondiale.
C’è una grande tavola imbandita con commensali che hanno a disposizione dei lunghissimi cucchiai. La differenza tra inferno e paradiso in questa nota storia è che nel primo caso i commensali usano i cucchiai per tentare goffamente di imboccare se stessi senza riuscirci mentre nel secondo caso li usano per imboccarsi l’un l’altro. E’ proprio questa la situazione di fronte alla quale si trovano gli stati nazionali nei mercati globalmente integrati. Cercare di perseguire il proprio interesse miope di breve periodo diventa persino controproducente perché è soltanto cooperando tutti insieme che si può uscire dalla crisi.
Sul secondo punto (le regole dei mercati finanziari) il documento fa proprie alcune proposte già lanciate dalla legge Dodd-Frank negli Stati Uniti e dalla commissione Vickers nel Regno Unito, non ancora implementate ed entrate in vigore per vari ostacoli.
E’ fondamentale riportare la finanza al servizio dell’economia reale. Per far ciò è necessario:
i) ridurre la leva delle banche troppo grandi per fallire (leva di 30 a 1 e squilibrio tra passività a breve e attività a a lunga sono tra le principali cause della propagazione della crisi dei mutui subprime a livello mondiale).
ii) adottare la cosiddetta Volckerrule che impedisce alle banche di fare trading in proprio con i depositi dei clienti.
iii) regolamentare in modo più severo il mercato dei derivati che nascono come strumenti assicurativi. Nell’economia reale le polizze assicurative si acquistano se si è in possesso dell’attività sottostante da assicurare mentre sui mercati finanziari questo avviene in non più del 5 percento dei casi. Esiste a questo proposito una proposta dell’UE per raggiungere tale obiettivo per quanto riguarda i credit default swaps sui titoli di stato.
Una quarta proposta riguarda l’istituzione di una tassa sulle transazioni finanziarie per i motivi illustrati nel paragrafo che segue.
E’ opportuno interrogarci sul perché la posizione degli economisti e della società civile (a maggioranza favorevole nell’UE) nei confronti della tassa sulle transazioni finanziarie è cambiata radicalmente nel corso degli ultimi anni. Lo scorso anno 130 economisti italiani hanno firmato un appello in suo favore (http://www.dirittiglobali.it/home/categorie/17-globalizzazionesviluppo-multinazionali/6663-perche-e-il-momento-di-una-tassa-sulle-transazioni-finanziarie.html?ml=2&mlt=yoo_explorer&tmpl=component) che è poi confluito nell’analogo appello di 1000 economisti i di 53 Paesi consegnato ai ministri finanziari dei Paesi del G20in occasione del vertice svoltosi a Washington il 14 e 15 aprile 2011 (tra i firmatari ci sono figure di primissimo piano come Dani Rodrik, Tony Atkinson, Joseph Stiglitz e Jeffrey Sachs) (http://www.guardian.co.uk/business/2011/apr/13/robin-hood-tax-economists-letter).
Due i motivi di questo cambiamento di opinione: gli eventi della crisi finanziaria globale e maggiore evidenza in materia che ha aiutato a superare alcuni pregiudizi. Con la crisi finanziaria globale le finanze pubbliche di alcuni dei principali paesi occidentali si sono gravemente indebolite per salvare le banche e sono successivamente diventate il nuovo obiettivo di attacchi speculativi. Una parte del mondo finanziario ha così privatizzato i profitti, socializzato le perdite e successivamente utilizzato i fondi pubblici usati per il proprio salvataggio contro gli stessi salvatori. E’ comprensibile pertanto che la maggioranza dell’opinione pubblica sia dell’avviso che chi opera sui mercati finanziari debba contribuire a pagare i costi di questa crisi, per ora ridossati sulle fasce più deboli. Da questo punto di vista la TTF risponde ad un’elementare esigenza di giustizia ed appare addirittura urgente visti gli eventi più recenti per mantenere la coesione sociale a livello comunitario.
Il secondo motivo dell’aumentato favore della tassa nasce dal superamento di un pregiudizio. Sino a poco tempo fa si è ritenuto che essa non fosse applicabile se non a livello globale pena la fuga di capitali dal paese che decidesse di porla in vigore. Questo pregiudizio è infondato perché esistono ad oggi, come documenta un lavoro di ricerca del Fondo Monetario Internazionale, ben 23 paesi che applicano unilateralmente la tassa (nient’altro che un fissato bollato) senza che si sia verificata alcuna fuga di capitali (Matheson T., Taxing Financial Transactions. Issues and Evidence, IMF WorkingPaper n. 11/54, marzo 2011, 8). Il paese con la tassa più alta è il Regno Unito che applica la Duty StampTax su un solo tipo di attività finanziaria (tassa del 5 per mille sui possessori di azioni quotate alla borsa di Londra). La tassa consente di raccogliere circa 5 miliardi di sterline all’anno. Per via di quest’evidenza la proposta Barroso di introduzione della tassa a livello UE parla correttamente di "armonizzazione" a livello europeo delle tasse sulle transazioni finanziarie e non di loro introduzione. Proprio la tassa londinese ha generato un interessante esempio di elusione: per non pagare la tassa una parte degli operatori sono usciti dal mercato azionario per costituire nuovi derivati OTC (contracts for differences) che consistono in scommesse sulle variazioni di prezzo delle azioni. Interessante dunque notare che la tassa ha separato in due diversi mercati gli interessati ad investire realmente nei titoli azionari delle imprese e gli operatori che giocano sulle variazioni di breve dei prezzi. Questo tipo di elusione è già implicitamente considerata nella proposta Barroso che estende la tassazione ai derivati (e quindi anche ai contracts for differences). Esse può essere altresì contrastata proibendo i contract for differences come avviene su un mercato non secondario come quello degli Stati Uniti.
Ancora sul piano scientifico, esistono numerosi lavori che misurano l’elasticità dei volumi di transazioni all’introduzione di tasse simili evidenziando coefficienti piuttosto contenuti e non tali da avvalorare l’ipotesi di fuga dei capitali. Un altro motivo per i quali la fuga non può avvenire è che proprio le operazioni ad altissima frequenza usufruiscono di un vantaggio di prossimità alla sede fisica della borsa da cui partono le informazioni in via telematica (New York Times (2009): Stock Traders FindSpeedPays, in Milliseconds). Spostare le operazioni lontano dai mercati principali comporterebbe la perdita di questo vantaggio.
Un’altra obiezione che appare infondata è quella dell’impatto della tassa sul costo del capitale. Per l’aliquota fissata dalla proposta Barroso i calcoli fondati sui modelli di capitalizzazione dei valori futuri attesi degli asset dimostrano che questo costo è pressoché nullo (vedasi ancora Matheson 2011). L’altra obiezione che la tassa diminuisca la liquidità dei mercati è anch’essa opinabile. Di quanta liquidità abbiamo bisogno ? Dean Baker in un suo commento sul tema dice che la tassa ci riporterebbe ai costi di transazione e alla liquidità di dieci anni fa, ovvero ad un periodo più florido di quello che stiamo vivendo (http://www.cepr.net/index.php/blogs/cepr-blog/ken-rogoff-misses-the-boat-on-financial-speculation-taxes). La verità è che non esiste nessun evidenza certa sugli effetti della tassa sulla liquidità ma solo una serie di diversi modelli che trovano risultati opposti a seconda del tipo di microstruttura dei mercati finanziari e del modello di competizione ipotizzato tra gli intermediari.
Riassumendo le quattro principali obiezioni all’istituzione della tassa (non si può imporre se non a livello globale, non ci sarebbe gettito per la fuga dei capitali, la tassa aumenta significativamente il costo del capitale, la tassa riduce la liquidità dei mercati) sono false o infondate o per l’evidenza dei fatti (le prime due) o per mancanza di prove (le seconde due).
Per quanto esposto sopra la tassa sulle transazioni (pur non essendo ovviamente la panacea di tutti i mali) può rappresentare una tappa importante in quel riequilibrio dei rapporti tra istituzioni e finanza che può favorire le altre riforme auspicate per prevenire nuove crisi finanziarie dalla legge Dodd-Frank o dalla commissione Vickers nel Regno Unito (Volckerrule, riduzione della leva degli intermediari too big to fail, penalizzazione nei requisiti di capitalizzazione per le attività più rischiose rispetto al credito ordinario) e il recupero di fiducia da parte della società civile nei confronti delle istituzioni finanziarie di cui abbiamo urgente bisogno.
[01490-01.01] [Testo originale: Italiano]
[B0631-XX.02]