Alle ore 9.30 di oggi, ricorrenza del Giovedì Santo, il Santo Padre Benedetto XVI presiede, nella Basilica Vaticana, la Santa Messa Crismale, Liturgia che si celebra in questo giorno in tutte le Chiese Cattedrali.
La Messa del Crisma è concelebrata dal Santo Padre con i Cardinali, i Vescovi ed i Presbiteri - diocesani e religiosi - presenti a Roma.
Nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la rinnovazione delle promesse sacerdotali, vengono benedetti l’olio dei catecumeni, l’olio degli infermi e il crisma.
Riportiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia dopo la lettura del Santo Vangelo:
● OMELIA DEL SANTO PADRE
Cari fratelli e sorelle!
Centro del culto della Chiesa è il Sacramento. Sacramento significa che in primo luogo non siamo noi uomini a fare qualcosa, ma Dio in anticipo ci viene incontro con il suo agire, ci guarda e ci conduce verso di sé. E c’è ancora qualcos’altro di singolare: Dio ci tocca per mezzo di realtà materiali, attraverso doni del creato che Egli assume al suo servizio, facendone strumenti dell’incontro tra noi e Lui stesso. Sono quattro gli elementi della creazione con i quali è costruito il cosmo dei Sacramenti: l’acqua, il pane di frumento, il vino e l’olio di oliva. L’acqua come elemento basilare e condizione fondamentale di ogni vita è il segno essenziale dell’atto in cui, nel Battesimo, si diventa cristiani, della nascita alla vita nuova. Mentre l’acqua è l’elemento vitale in genere e quindi rappresenta l’accesso comune di tutti alla nuova nascita da cristiani, gli altri tre elementi appartengono alla cultura dell’ambiente mediterraneo. Essi rimandano così al concreto ambiente storico in cui il cristianesimo si è sviluppato. Dio ha agito in un luogo ben determinato della terra, ha veramente fatto storia con gli uomini. Questi tre elementi, da una parte, sono doni del creato e, dall’altra, sono tuttavia anche indicazioni dei luoghi della storia di Dio con noi. Sono una sintesi tra creazione e storia: doni di Dio che ci collegano sempre con quei luoghi del mondo, nei quali Dio ha voluto agire con noi nel tempo della storia, diventare uno di noi.
In questi tre elementi c’è di nuovo una graduazione. Il pane rinvia alla vita quotidiana. È il dono fondamentale della vita giorno per giorno. Il vino rinvia alla festa, alla squisitezza del creato, in cui, al contempo, può esprimersi in modo particolare la gioia dei redenti. L’olio dell’ulivo ha un significato ampio. È nutrimento, è medicina, dà bellezza, allena per la lotta e dona vigore. I re e i sacerdoti vengono unti con olio, che così è segno di dignità e di responsabilità, come anche della forza che viene da Dio. Nel nostro nome "cristiani" è presente il mistero dell’olio. La parola "cristiani", infatti, con cui i discepoli di Cristo vengono chiamati già all’inizio della Chiesa proveniente dai pagani, deriva dalla parola "Cristo" (cfr At 11,20-21) – traduzione greca della parola "Messia", che significa "Unto". Essere cristiani vuol dire: provenire da Cristo, appartenere a Cristo, all’Unto di Dio, a Colui al quale Dio ha donato la regalità e il sacerdozio. Significa appartenere a Colui che Dio stesso ha unto – non con un olio materiale, ma con Colui che è rappresentato dall’olio: con il suo Santo Spirito. L’olio di oliva è così in modo del tutto particolare simbolo della compenetrazione dell’Uomo Gesù da parte dello Spirito Santo.
Nella Messa crismale del Giovedì Santo gli oli santi stanno al centro dell’azione liturgica. Vengono consacrati nella cattedrale dal Vescovo per tutto l’anno. Esprimono così anche l’unità della Chiesa, garantita dall’Episcopato, e rimandano a Cristo, il vero "pastore e custode delle nostre anime", come lo chiama san Pietro (cfr 1 Pt 2,25). E, al contempo, tengono insieme tutto l’anno liturgico, ancorato al mistero del Giovedì Santo. Infine, rimandano all’Orto degli Ulivi, in cui Gesù ha accettato interiormente la sua Passione. L’Orto degli Ulivi è però anche il luogo dal quale Egli è asceso al Padre, è quindi il luogo della Redenzione: Dio non ha lasciato Gesù nella morte. Gesù vive per sempre presso il Padre, e proprio per questo è onnipresente, sempre presso di noi. Questo duplice mistero del Monte degli Ulivi è anche sempre "attivo" nell’olio sacramentale della Chiesa. In quattro Sacramenti l’olio è segno della bontà di Dio che ci tocca: nel Battesimo, nella Cresima come Sacramento dello Spirito Santo, nei vari gradi del Sacramento dell’Ordine e, infine, nell’Unzione degli infermi, in cui l’olio ci viene offerto, per così dire, quale medicina di Dio – come la medicina che ora ci rende certi della sua bontà, ci deve rafforzare e consolare, ma che, allo stesso tempo, al di là del momento della malattia, rimanda alla guarigione definitiva, alla risurrezione (cfr Gc 5,14). Così l’olio, nelle sue diverse forme, ci accompagna lungo tutta la vita: a cominciare dal catecumenato e dal Battesimo fino al momento in cui ci prepariamo all’incontro con il Dio Giudice e Salvatore. Infine, la Messa crismale, in cui il segno sacramentale dell’olio ci viene presentato come linguaggio della creazione di Dio, si rivolge, in modo particolare, a noi sacerdoti: essa ci parla di Cristo, che Dio ha unto Re e Sacerdote – di Lui che ci rende partecipi del suo sacerdozio, della sua "unzione", nella nostra Ordinazione sacerdotale.
Vorrei quindi tentare di spiegare ancora brevemente il mistero di questo santo segno nel suo riferimento essenziale alla vocazione sacerdotale. In etimologie popolari si è collegata, già nell’antichità, la parola greca "elaion" – olio – con la parola "eleos" – misericordia. Di fatto, nei vari Sacramenti, l’olio consacrato è sempre segno della misericordia di Dio. L’unzione per il sacerdozio significa pertanto sempre anche l’incarico di portare la misericordia di Dio agli uomini. Nella lampada della nostra vita non dovrebbe mai venir a mancare l’olio della misericordia. Procuriamocelo sempre in tempo presso il Signore – nell’incontro con la sua Parola, nel ricevere i Sacramenti, nel trattenerci in preghiera presso di Lui.
Attraverso la storia della colomba col ramo d’ulivo, che annunciava la fine del diluvio e così la nuova pace di Dio con il mondo degli uomini, non solo la colomba, ma anche il ramo d’ulivo e l’olio stesso sono diventati simbolo della pace. I cristiani dei primi secoli amavano ornare le tombe dei loro defunti con la corona della vittoria e il ramo d’ulivo, simbolo della pace. Sapevano che Cristo ha vinto la morte e che i loro defunti riposavano nella pace di Cristo. Si sapevano, essi stessi, attesi da Cristo, che aveva loro promesso la pace che il mondo non è in grado di dare. Si ricordavano che la prima parola del Risorto ai suoi era stata: "Pace a voi!" (Gv 20,19). Egli stesso porta, per così dire, il ramo d’ulivo, introduce la sua pace nel mondo. Annuncia la bontà salvifica di Dio. Egli è la nostra pace. I cristiani dovrebbero quindi essere persone di pace, persone che riconoscono e vivono il mistero della Croce come mistero della riconciliazione. Cristo non vince mediante la spada, ma per mezzo della Croce. Vince superando l’odio. Vince mediante la forza del suo amore più grande. La Croce di Cristo esprime il "no" alla violenza. E proprio così essa è il segno della vittoria di Dio, che annuncia la nuova via di Gesù. Il sofferente è stato più forte dei detentori del potere. Nell’autodonazione sulla Croce, Cristo ha vinto la violenza. Come sacerdoti siamo chiamati ad essere, nella comunione con Gesù Cristo, uomini di pace, siamo chiamati ad opporci alla violenza e a fidarci del potere più grande dell’amore.
Appartiene al simbolismo dell’olio anche il fatto che esso rende forti per la lotta. Ciò non contrasta col tema della pace, ma ne è una parte. La lotta dei cristiani consisteva e consiste non nell’uso della violenza, ma nel fatto che essi erano e sono tuttora pronti a soffrire per il bene, per Dio. Consiste nel fatto che i cristiani, come buoni cittadini, rispettano il diritto e fanno ciò che è giusto e buono. Consiste nel fatto che rifiutano di fare ciò che negli ordinamenti giuridici in vigore non è diritto, ma ingiustizia. La lotta dei martiri consisteva nel loro "no" concreto all’ingiustizia: respingendo la partecipazione al culto idolatrico, all’adorazione dell’imperatore, si sono rifiutati di piegarsi davanti alla falsità, all’adorazione di persone umane e del loro potere. Con il loro "no" alla falsità e a tutte le sue conseguenze hanno innalzato il potere del diritto e della verità. Così hanno servito la vera pace. Anche oggi è importante per i cristiani seguire il diritto, che è il fondamento della pace. Anche oggi è importante per i cristiani non accettare un’ingiustizia che viene elevata a diritto – per esempio, quando si tratta dell’uccisione di bambini innocenti non ancora nati. Proprio così serviamo la pace e proprio così ci troviamo a seguire le orme di Gesù Cristo, di cui san Pietro dice: "Insultato non rispondeva con insulti; maltrattato non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia" (1 Pt 2,23s).
I Padri della Chiesa erano affascinati da una parola dal Salmo 45 (44) – secondo la tradizione il Salmo nuziale di Salomone –, che veniva riletto dai cristiani come Salmo per le nozze del nuovo Salomone, Gesù Cristo, con la sua Chiesa. Lì si dice al Re, Cristo: "Ami la giustizia e la malvagità detesti: Dio, il tuo Dio, ti ha consacrato con olio di letizia, a preferenza dei tuoi compagni" (v. 8). Che cosa è questo olio di letizia con cui è stato unto il vero Re, Cristo? I Padri non avevano alcun dubbio al riguardo: l’olio di letizia è lo stesso Spirito Santo, che è stato effuso su Gesù Cristo. Lo Spirito Santo è la letizia che viene da Dio. Da Gesù questa letizia si riversa su di noi nel suo Vangelo, nella buona novella che Dio ci conosce, che Egli è buono e che la sua bontà è un potere sopra tutti i poteri; che noi siamo voluti ed amati da Lui. La gioia è frutto dell’amore. L’olio di letizia, che è stato effuso su Cristo e da Lui viene a noi, è lo Spirito Santo, il dono dell’Amore che ci rende lieti dell’esistenza. Poiché conosciamo Cristo e, in Cristo, il vero Dio, sappiamo che è cosa buona essere uomo. È cosa buona vivere, perché siamo amati. Perché la verità stessa è buona.
Nella Chiesa antica l’olio consacrato è stato considerato, in modo particolare, come segno della presenza dello Spirito Santo, che a partire da Cristo si comunica a noi. Egli è l’olio di letizia. Questa letizia è una cosa diversa dal divertimento o dall’allegria esteriore che la società moderna si auspica. Il divertimento, nel suo posto giusto, è certamente cosa buona e piacevole. È bene poter ridere. Ma il divertimento non è tutto. È solo una piccola parte della nostra vita, e dove esso vuol essere il tutto diventa una maschera dietro la quale si nasconde la disperazione o almeno il dubbio se la vita sia veramente buona, o se non sarebbe forse meglio non esistere invece di esistere. La gioia, che da Cristo ci viene incontro, è diversa. Essa ci dà allegria, sì, ma certamente può andar insieme anche con la sofferenza. Ci dà la capacità di soffrire e, nella sofferenza, di restare tuttavia intimamente lieti. Ci dà la capacità di condividere la sofferenza altrui e così di rendere percepibile, nella disponibilità reciproca, la luce e la bontà di Dio. Mi fa sempre riflettere il racconto degli Atti degli Apostoli secondo cui gli Apostoli, dopo che il Sinedrio li aveva fatti flagellare, erano "lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù" (At 5,41). Chi ama è pronto a soffrire per l’amato e a motivo del suo amore, e proprio così sperimenta una gioia più profonda. La gioia dei martiri era più forte dei tormenti loro inflitti. Questa gioia, alla fine, ha vinto ed ha aperto a Cristo le porte della storia. Quali sacerdoti, noi siamo – come dice san Paolo – "collaboratori della vostra gioia" (2 Cor 1,24). Nel frutto dell’ulivo, nell’olio consacrato, ci tocca la bontà del Creatore, l’amore del Redentore. Preghiamo che la sua letizia ci pervada sempre più in profondità e preghiamo di essere capaci di portarla nuovamente in un mondo che ha così urgentemente bisogno della gioia che scaturisce dalla verità. Amen.
[00450-01.01] [Testo originale: Italiano]
● TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE
Chers frères et sœurs,
Le Sacrement est le centre du culte de l’Eglise. Sacrement signifie que, en premier lieu, ce ne sont pas nous les hommes qui faisons quelque chose, mais c’est d’abord Dieu, qui, par son agir, vient à notre rencontre, nous regarde et nous conduit vers Lui. Et il y a aussi autre chose de particulier : Dieu nous touche par le moyen des réalités matérielles, à travers des dons de la création qu’Il met à son service, en en faisant des instruments de la rencontre entre nous et Lui-même. Les éléments de la création avec lesquels le monde des Sacrements est construit sont au nombre de quatre : l’eau, le pain de froment, le vin et l’huile d’olive. L’eau, comme élément de base et condition fondamentale de toute vie, est le signe essentiel de l’acte par lequel dans le Baptême, on devient chrétien, le signe de la naissance à la vie nouvelle. Tandis que l’eau est l’élément vital en général et représente donc l’accès commun de tous à la nouvelle naissance comme chrétiens, les trois autres éléments appartiennent à la culture du monde méditerranéen. Ils renvoient ainsi au contexte historique concret dans lequel le christianisme s’est développé. Dieu a agi dans un lieu bien déterminé de la terre, Il a vraiment fait histoire avec les hommes. Ces trois éléments, d’une part, sont des dons de la création et d’autre part, ils renvoient cependant aussi à des lieux de l’histoire de Dieu avec nous. Ils sont une synthèse entre la création et l’histoire : dons de Dieu qui nous rattachent toujours à ces lieux du monde dans lesquels Dieu, dans le temps de l’histoire, a voulu agir avec nous, devenir un de nous.
Dans ces trois éléments, il y a de nouveau une graduation. Le pain renvoie à la vie quotidienne. Il est le don fondamental de la vie, jour après jour. Le vin renvoie à la fête, à la suavité de la création dans laquelle la joie des sauvés peut, en même temps, s’exprimer d’une manière particulière. L’huile d’olive a une vaste signification. Elle est nourriture, elle est médicament ; elle donne beauté, entraîne pour la lutte et procure vigueur. Les rois et les prêtres sont oints avec l’huile qui est ainsi signe de dignité et de responsabilité, comme aussi de la force qui vient de Dieu. Dans notre nom ‘chrétiens’, est présent le mystère de l’huile. En effet, le mot ‘chrétiens’, par lequel les disciples du Christ venus du paganisme ont été appelés, dès la naissance de l’Eglise, vient du mot ‘Christ’ (Ac 11, 20-21) - traduction grecque du mot ‘Messie’ -, qui signifie ‘oint’. Être chrétiens signifie : provenir du Christ, appartenir à Christ, à l’Oint de Dieu, à Celui auquel Dieu a donné la royauté et le sacerdoce ; signifie appartenir à Celui que Dieu Lui-même a oint – non par une huile matérielle, mais par Celui qui est représenté par l’huile : par son Saint Esprit. L’huile d’olive est ainsi, d’une manière toute particulière, symbole de l’imprégnation de l’Homme Jésus par l’Esprit Saint.
Dans la Messe chrismale du Jeudi Saint, les saintes huiles sont au centre de l’action liturgique. Elles sont consacrées dans la cathédrale par l’Évêque pour toute l’année. Ainsi, expriment-elles aussi l’unité de l’Église garantie par l’Épiscopat, et renvoient-elles au Christ, le vrai « pasteur et gardien de nos âmes », comme l’appelle saint Pierre (cf. 1 P 2,25). Et elles font en même temps l’unité de toute l’année liturgique ancrée dans le mystère du Jeudi Saint. Enfin, elles renvoient au Jardin des Oliviers, dans lequel Jésus a accepté intérieurement sa Passion. Le Jardin des Oliviers est cependant aussi le lieu à partir duquel il est monté vers le Père, il est donc le lieu de la Rédemption : Dieu n’a pas laissé Jésus dans la mort. Jésus vit pour toujours auprès du Père, et c’est bien pour cela qu’il est omniprésent, toujours auprès de nous. Ce double mystère du Mont des Oliviers est aussi toujours ‘actif’ dans l’huile sacramentelle de l’Église. Dans quatre sacrements, l’huile est signe de la bonté de Dieu qui nous touche : dans le Baptême, dans la Confirmation comme Sacrement de l’Esprit Saint, dans les divers degrés du Sacrement de l’Ordre et enfin, dans l’Onction des malades, dans laquelle l’huile nous est offerte, pour ainsi dire, comme remède de Dieu – comme le remède qui, dès à présent, nous rend certains de sa bonté, doit nous fortifier et nous consoler, mais qui, en même temps, renvoie au-delà du moment de la maladie, à la guérison définitive, à la résurrection (cf. Jc 5, 14). Ainsi, l’huile, sous ses différentes formes, nous accompagne tout au long de la vie : à commencer par le catéchuménat et le Baptême jusqu’au moment où nous nous préparons à la rencontre avec le Dieu Juge et Sauveur. Enfin, la Messe chrismale, dans laquelle le signe sacramentel de l’huile nous est présenté comme langage de la création de Dieu, s’adresse de façon particulière à nous, prêtres : elle nous parle du Christ, que Dieu a oint Roi et Prêtre – de Lui qui nous rend participants de son sacerdoce, de son « onction », dans notre Ordination sacerdotale.
J’aimerais donc essayer d’expliquer encore brièvement le mystère de ce saint signe dans sa relation essentielle avec la vocation sacerdotale. Dans des étymologies populaires, déjà dans l’antiquité, le mot grec ‘elaion’ – huile – s’est relié au mot ‘eleos’ – miséricorde. En réalité, dans les divers sacrements, l’huile consacrée est toujours signe de la miséricorde de Dieu. C’est pourquoi l’onction pour le sacerdoce signifie toujours aussi la charge de porter la miséricorde de Dieu aux hommes. L’huile de la miséricorde ne devrait jamais manquer dans la lampe de notre vie. Procurons-nous en toujours à temps auprès du Seigneur – dans la rencontre avec sa Parole, dans la réception des Sacrements, dans notre présence priante auprès de Lui.
À travers l’histoire de la colombe avec le rameau d’olivier, qui annonçait la fin du déluge et ainsi la nouvelle paix de Dieu avec le monde des hommes, non seulement la colombe, mais aussi le rameau d’olivier et l’huile même sont devenus symbole de la paix. Les chrétiens des premiers siècles aimaient orner les tombes de leurs défunts avec la couronne de la victoire et le rameau d’olivier, symbole de la paix. Ils savaient que le Christ a vaincu la mort et que leurs défunts reposaient dans la paix du Christ. Ils se savaient, eux-mêmes, attendus par le Christ qui leur avait promis la paix que le monde n’est pas en mesure de donner. Ils se rappelaient que la première parole du Ressuscité aux siens avait été : « La paix soit avec vous » (Jn 20,19)! Il porte lui-même, pour ainsi dire, le rameau d’olivier, il fait entrer sa paix dans le monde. Il annonce la bonté salvifique de Dieu. Il est notre paix. Les chrétiens devraient donc être des personnes de paix, des personnes qui reconnaissent et vivent le mystère de la Croix comme mystère de la réconciliation. Le Christ ne triomphe pas par l’épée, mais par la Croix. Il triomphe en dépassant la haine. Il triomphe par la force de son plus grand amour. La Croix du Christ exprime le ‘non’ à la violence. Et c’est bien ainsi qu’elle est le signe de la victoire de Dieu qui annonce le nouveau chemin de Jésus. Celui qui souffre a été plus fort que les détenteurs du pouvoir. Dans le don de lui-même sur la Croix, le Christ a vaincu la violence. Comme prêtres, nous sommes appelés à être, dans la communion avec Jésus Christ, des hommes de paix, nous sommes appelés à nous opposer à la violence et à avoir confiance au plus grand pouvoir de l’amour.
Le fait que l’huile rende fort pour le combat appartient aussi à son symbolisme. Cela ne s’oppose pas au thème de la paix, mais en fait partie. Le combat des chrétiens consistait et consiste, non dans l’usage de la violence, mais dans le fait qu’ils étaient et sont toujours prêts à souffrir pour le bien, pour Dieu. Il consiste dans le fait que les chrétiens, en bons citoyens, respectent le droit et font ce qui est juste et bon. Il consiste dans le fait qu’ils refusent de faire ce qui, dans les dispositions juridiques en vigueur, n’est pas un droit, mais une injustice. Le combat des martyrs résidait dans leur ‘non’ concret à l’injustice : rejetant toute participation au culte idolâtre, à l’adoration de l’empereur, ils ont refusé de se plier au mensonge, à l’adoration de personnes humaines et de leur pouvoir. Avec leur ‘non’ au mensonge et à toutes ses conséquences, ils ont porté haut le pouvoir du droit et de la vérité. Ainsi, ils ont servi la véritable paix. Aujourd’hui encore, il est important pour les chrétiens de suivre le droit qui est le fondement de la paix. Aujourd’hui encore, il est important pour les chrétiens de ne pas accepter une injustice qui est élevée au rang de droit – par exemple, quand il s’agit du meurtre d’enfants innocents qui ne sont pas encore nés. C’est ainsi que nous servons la paix et c’est ainsi que nous nous mettons à suivre les traces de Jésus Christ dont saint Pierre dit : « Couvert d’insultes, il n’insultait pas ; accablé de souffrances, il ne menaçait pas, mais il confiait sa cause à Celui qui juge avec justice. Dans son corps, il a porté nos péchés sur le bois de la croix, afin que nous puissions mourir à nos péchés et vivre dans la justice » (1 P 2, 23ss).
Les Pères de l’Église étaient séduits par une parole du Psaume 44 (45) – selon la tradition le Psaume nuptial de Salomon -, qui était relu par les chrétiens comme le Psaume pour les noces du nouveau Salomon, Jésus Christ, avec son Église. Il y est dit au Roi, le Christ : « Tu aimes la justice, tu réprouves le mal. C’est pourquoi, Dieu, ton Dieu t’a donné l’onction d’une huile d’allégresse, comme à nul de tes rivaux» (v. 8). Qu’est-ce que cette huile d’allégresse avec laquelle a été oint le vrai Roi, le Christ ? Les Pères n’avaient aucun doute à ce sujet : l’huile d’allégresse est le même Esprit Saint, qui a été répandu sur Jésus Christ. L’Esprit Saint est l’allégresse qui vient de Dieu. De Jésus, cette allégresse se réverse sur nous dans son Évangile, dans la bonne nouvelle que Dieu nous connaît, qu’Il est bon et que sa bonté est un pouvoir au-dessus de tous les pouvoirs ; que nous sommes voulus et aimés par Lui. La joie est fruit de l’amour. L’huile d’allégresse, qui a été répandue sur le Christ et de Lui, jusqu’à nous, c’est l’Esprit Saint, le don de l’Amour qui nous rend heureux de l’existence. Puisque nous connaissons le Christ et dans le Christ, le vrai Dieu, nous savons que c’est une bonne chose que d’être un homme. C’est une bonne chose de vivre, parce que nous sommes aimés. Parce que la vérité elle-même est bonne.
Dans l’Église antique, l’huile consacrée a été considérée, d’une manière particulière, comme signe de la présence de l’Esprit Saint qui, à partir du Christ, se communique à nous. Il est l’huile d’allégresse. Cette allégresse est une chose différente du divertissement ou de la gaieté extérieure que la société moderne désire. Le divertissement, à sa juste place, est certainement une chose bonne et agréable. C’est bien de pouvoir rire. Mais le divertissement n’est pas tout. Il est seulement une petite partie de notre vie, et là où il veut être le tout, il devient un masque derrière lequel se cache le désespoir ou du moins le doute de savoir si la vie est vraiment bonne, ou s’il ne serait peut-être pas mieux ne pas exister que d’exister. Mais la joie qui nous vient du Christ est différente. Elle nous donne l’allégresse, oui, mais elle peut certainement cohabiter avec la souffrance. Elle nous donne la capacité de souffrir et, dans la souffrance, de rester cependant profondément joyeux. Elle nous donne la capacité de partager la souffrance de l’autre et de rendre ainsi perceptible, dans la disponibilité réciproque, la lumière et la bonté de Dieu. Le récit des Actes des Apôtres selon lequel les Apôtres, après que le Sanhédrin les ait faits flageller, étaient « joyeux d’avoir été jugés dignes de subir des humiliations pour le nom de Jésus » (Ac 5, 41) me fait toujours réfléchir. Celui qui aime est prêt à souffrir pour la personne aimée et à cause de son amour et il fait ainsi l’expérience d’une joie plus profonde. La joie des martyrs était plus forte que les tourments qui leur étaient infligés. Cette joie, à la fin, a vaincu et a ouvert au Christ les portes de l’histoire. Comme prêtres, nous sommes – comme le dit saint Paul – « collaborateurs de votre joie » (2 Cor 1, 24). Dans le fruit de l’olivier, dans l’huile consacrée, la bonté du Créateur et l’amour du Rédempteur nous touchent. Prions pour que sa joie nous envahisse toujours plus en profondeur et prions pour être capables de la porter encore à un monde qui a si urgemment besoin de la joie qui jaillit de la vérité. Amen.
[00450-03.01] [Texte original: Italien]
● TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE
Dear Brothers and Sisters,
At the centre of the Church’s worship is the notion of "sacrament". This means that it is not primarily we who act, but God comes first to meet us through his action, he looks upon us and he leads us to himself. Another striking feature is this: God touches us through material things, through gifts of creation that he takes up into his service, making them instruments of the encounter between us and himself. There are four elements in creation on which the world of sacraments is built: water, bread, wine and olive oil. Water, as the basic element and fundamental condition of all life, is the essential sign of the act in which, through baptism, we become Christians and are born to new life. While water is the vital element everywhere, and thus represents the shared access of all people to rebirth as Christians, the other three elements belong to the culture of the Mediterranean region. In other words, they point towards the concrete historical environment in which Christianity emerged. God acted in a clearly defined place on the earth, he truly made history with men. On the one hand, these three elements are gifts of creation, and on the other, they also indicate the locality of the history of God with us. They are a synthesis between creation and history: gifts of God that always connect us to those parts of the world where God chose to act with us in historical time, where he chose to become one of us.
Within these three elements there is a further gradation. Bread has to do with everyday life. It is the fundamental gift of life day by day. Wine has to do with feasting, with the fine things of creation, in which, at the same time, the joy of the redeemed finds particular expression. Olive oil has a wide range of meaning. It is nourishment, it is medicine, it gives beauty, it prepares us for battle and it gives strength. Kings and priests are anointed with oil, which is thus a sign of dignity and responsibility, and likewise of the strength that comes from God. Even the name that we bear as "Christians" contains the mystery of the oil. The word "Christians", in fact, by which Christ’s disciples were known in the earliest days of Gentile Christianity, is derived from the word "Christ" (Acts 11:20-21) – the Greek translation of the word "Messiah", which means "anointed one". To be a Christian is to come from Christ, to belong to Christ, to the anointed one of God, to whom God granted kingship and priesthood. It means belonging to him whom God himself anointed – not with material oil, but with the One whom the oil represents: with his Holy Spirit. Olive oil is thus in a very particular way a symbol of the total compenetration of the man Jesus by the Holy Spirit.
In the Chrism Mass on Holy Thursday, the holy oils are at the centre of the liturgical action. They are consecrated in the bishop’s cathedral for the whole year. They thus serve also as an expression of the Church’s unity, guaranteed by the episcopate, and they point to Christ, the true "shepherd and guardian" of our souls, as Saint Peter calls him (1 Pet 2:25). At the same time, they hold together the entire liturgical year, anchored in the mystery of Holy Thursday. Finally, they point to the Garden of Olives, the scene of Jesus’ inner acceptance of his Passion. Yet the Garden of Olives is also the place from which he ascended to the Father, and is therefore the place of redemption: God did not leave Jesus in death. Jesus lives for ever with the Father, and is therefore omnipresent, with us always. This double mystery of the Mount of Olives is also always "at work" within the Church’s sacramental oil. In four sacraments, oil is the sign of God’s goodness reaching out to touch us: in baptism, in confirmation as the sacrament of the Holy Spirit, in the different grades of the sacrament of holy orders and finally in the anointing of the sick, in which oil is offered to us, so to speak, as God’s medicine – as the medicine which now assures us of his goodness, offering us strength and consolation, yet at the same time points beyond the moment of the illness towards the definitive healing, the resurrection (cf. Jas 5:14). Thus oil, in its different forms, accompanies us throughout our lives: beginning with the catechumenate and baptism, and continuing right up to the moment when we prepare to meet God, our Judge and Saviour. Moreover, the Chrism Mass, in which the sacramental sign of oil is presented to us as part of the language of God’s creation, speaks in particular to us who are priests: it speaks of Christ, whom God anointed King and Priest – of him who makes us sharers in his priesthood, in his "anointing", through our own priestly ordination.
I should like, then, to attempt a brief interpretation of the mystery of this holy sign in its essential reference to the priestly vocation. In popular etymologies a connection was made, even in ancient times, between the Greek word "elaion" – oil – and the word "eleos" – mercy. In fact, in the various sacraments, consecrated oil is always a sign of God’s mercy. So the meaning of priestly anointing always includes the mission to bring God’s mercy to those we serve. In the lamp of our lives, the oil of mercy should never run dry. Let us always obtain it from the Lord in good time – in our encounter with his word, in our reception of the sacraments, in the time we spend with him in prayer.
As a consequence of the story of the dove bearing an olive branch to signal the end of the flood – and thus God’s new peace with the world of men – not only the dove but also the olive branch and oil itself have become symbols of peace. The Christians of antiquity loved to decorate the tombs of their dead with the crown of victory and the olive branch, symbol of peace. They knew that Christ conquered death and that their dead were resting in the peace of Christ. They knew that they themselves were awaited by Christ, that he had promised them the peace which the world cannot give. They remembered that the first words of the Risen Lord to his disciples were: "Peace be with you!" (Jn 20:19). He himself, so to speak, bears the olive branch, he introduces his peace into the world. He announces God’s saving goodness. He is our peace. Christians should therefore be people of peace, people who recognize and live the mystery of the Cross as a mystery of reconciliation. Christ does not conquer through the sword, but through the Cross. He wins by conquering hatred. He wins through the force of his greater love. The Cross of Christ expresses his "no" to violence. And in this way, it is God’s victory sign, which announces Jesus’ new way. The one who suffered was stronger than the ones who exercised power. In his self-giving on the Cross, Christ conquered violence. As priests we are called, in fellowship with Jesus Christ, to be men of peace, we are called to oppose violence and to trust in the greater power of love.
A further aspect of the symbolism of oil is that it strengthens for battle. This does not contradict the theme of peace, but forms part of it. The battle of Christians consisted – and still consists – not in the use of violence, but in the fact that they were – and are – ready to suffer for the good, for God. It consists in the fact that Christians, as good citizens, keep the law and do what is just and good. It consists in the fact that they do not do whatever within the legal system in force is not just but unjust. The battle of the martyrs consists in their concrete "no" to injustice: by taking no part in idolatry, in Emperor worship, they refused to bow down before falsehood, before the adoration of human persons and their power. With their "no" to falsehood and all its consequences, they upheld the power of right and truth. Thus they served true peace. Today too it is important for Christians to follow what is right, which is the foundation of peace. Today too it is important for Christians not to accept a wrong that is enshrined in law – for example the killing of innocent unborn children. In this way we serve peace, in this way we find ourselves following in the footsteps of Jesus Christ, of whom Saint Peter says: "When he was reviled he did not revile in return; when he suffered, he did not threaten; but he trusted to him who judges justly. He himself bore our sins in his body on the tree, that we might die to sin and live to righteousness" (1 Pet 2:23f.).
The Fathers of the Church were fascinated by a phrase from Psalm 45 (44) – traditionally held to be Solomon’s wedding psalm – which was reinterpreted by Christians as the psalm for the marriage of the new Solomon, Jesus Christ, to his Church. To the King, Christ, it is said: "Your love is for justice; your hatred for evil. Therefore God, your God, has anointed you with the oil of gladness above other kings" (v. 8). What is this oil of gladness with which the true king, Christ, was anointed? The Fathers had no doubt in this regard: the oil of gladness is the Holy Spirit himself, who was poured out upon Jesus Christ. The Holy Spirit is the gladness that comes from God. From Jesus this gladness sweeps over us in his Gospel, in the joyful message that God knows us, that he is good and that his goodness is the power above all powers; that we are wanted and loved by him. Gladness is the fruit of love. The oil of gladness, which was poured out over Christ and comes to us from him, is the Holy Spirit, the gift of Love who makes us glad to be alive. Since we know Christ, and since in him we know the true God, we know that it is good to be a human being. It is good to be alive, because we are loved, because truth itself is good.
In the early Church, the consecrated oil was considered a special sign of the presence of the Holy Spirit, who communicates himself to us as a gift from Christ. He is the oil of gladness. This gladness is different from entertainment and from the outward happiness that modern society seeks for itself. Entertainment, in its proper place, is certainly good and enjoyable. It is good to be able to laugh. But entertainment is not everything. It is only a small part of our lives, and when it tries to be the whole, it becomes a mask behind which despair lurks, or at least doubt over whether life is really good, or whether non-existence might perhaps be better than existence. The gladness that comes to us from Christ is different. It does indeed make us happy, but it can also perfectly well coexist with suffering. It gives us the capacity to suffer and, in suffering, to remain nevertheless profoundly glad. It gives us the capacity to share the suffering of others and thus by placing ourselves at one another’s disposal, to express tangibly the light and the goodness of God. I am always struck by the passage in the Acts of the Apostles which recounts that after the Apostles had been whipped by order of the Sanhedrin, they "rejoiced that they were counted worthy to suffer dishonour for the name of Jesus" (Acts 5:41). Anyone who loves is ready to suffer for the beloved and for the sake of his love, and in this way he experiences a deeper joy. The joy of the martyrs was stronger than the torments inflicted on them. This joy was ultimately victorious and opened the gates of history for Christ. As priests, we are – in Saint Paul’s words – "co-workers with you for your joy" (2 Cor 1:24). In the fruit of the olive-tree, in the consecrated oil, we are touched by the goodness of the Creator, the love of the Redeemer. Let us pray that his gladness may pervade us ever more deeply and that we may be capable of bringing it anew to a world in such urgent need of the joy that has its source in truth. Amen.
[00450-02.01] [Original text: Italian]
● TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA
Das Zentrum des Gottesdienstes der Kirche ist das Sakrament. Sakrament bedeutet, daß zuallererst nicht wir Menschen etwas tun, sondern daß Gott uns im voraus mit seinem Handeln entgegengeht, uns ansieht und zu sich hinführt. Und da ist noch einmal etwas Besonderes: Gott rührt uns an durch materielle Wirklichkeiten, durch Gaben der Schöpfung hindurch, die er in seinen Dienst nimmt, zu Instrumenten der Begegnung zwischen uns und sich selber macht. Es sind vier Elemente der Schöpfung, aus denen der Kosmos der Sakramente gebaut ist: das Wasser, das Weizenbrot, der Wein und das Olivenöl. Das Wasser als das Grundelement und die Grundbedingung allen Lebens ist das wesentliche Zeichen der Christwerdung in der Taufe, der Geburt ins neue Leben hinein. Während das Wasser das Lebenselement überhaupt ist und so den gemeinsamen Zugang aller zur neuen Geburt ins Christsein hinein darstellt, gehören die drei anderen Elemente der Kultur des Mittelmeerraums an. Sie verweisen so auf den konkreten gschichtlichen Raum, in dem das Christentum geworden ist. Gott hat an einer ganz bestimmten Stelle der Erde gehandelt, wirklich Geschichte mit den Menschen gemacht. Diese drei Elemente sind einerseits Gaben der Schöpfung und andererseits doch auch Ortsbezeichnungen der Geschichte Gottes mit uns. Sie sind eine Synthese von Schöpfung und Geschichte: Gaben Gottes, die uns immer an jene Orte der Welt knüpfen, in denen Gott mit uns in der Zeit der Geschichte handeln, einer von uns werden wollte.
In diesen drei Elementen gibt es wieder eine Stufung. Das Brot verweist auf den Alltag. Es ist die grundlegende Gabe des Lebens Tag um Tag. Der Wein verweist auf das Fest, auf die Köstlichkeit der Schöpfung, in der sich zugleich auf besondere Weise die Freude der Erlösten ausdrücken kann. Das Öl des Olivenbaumes hat umfassende Bedeutung. Es ist Nahrung, es ist Medizin, es gibt Schönheit, es rüstet zum Kampf und gibt Stärke. Die Könige und die Priester werden mit Öl gesalbt, das so Zeichen von Würde und Verantwortung wie auch der Kraft von Gott her ist. In unserem Namen „Christen" ist das Geheimnis des Öls anwesend. Denn das Wort „Christen", mit dem die Jünger Christi schon zu Beginn des Heidenchristentums benannt werden (vgl. Apg 11, 20f.), ist von dem Wort Christus her genommen – der griechischen Übersetzung des Wortes Messias, das „der Gesalbte" bedeutet. Christsein heißt: Von Christus herkommen, zu Christus gehören, zu dem Gesalbten Gottes, zu dem, dem Gott das Königtum und das Priestertum geschenkt hat. Zu dem, den Gott selbst gesalbt hat – nicht mit materiellem Öl, sondern mit dem, wofür das Öl steht: mit seinem Heiligen Geist. Das Öl der Olive ist so in ganz besonderer Weise Symbol für das Durchdrungensein des Menschen Jesus mit dem Heiligen Geist.
In der Chrisam-Messe des Gründonnerstags stehen die heiligen Öle im Mittelpunkt der liturgischen Handlung. Sie werden in der Kathedrale vom Bischof geweiht für das ganze Jahr. So drücken sie auch die Einheit der Kirche aus, die durch das Bischofsamt gewährleistet wird und verweisen auf Christus, den wahren „Hirten und Bischof unserer Seelen", wie der heilige Petrus ihn nennt (1 Petr 2, 25). Und sie halten zugleich das ganze liturgische Jahr zusammen, verankert im Geheimnis des Gründonnerstags. Endlich verweisen sie auf den Ölgarten, in dem Jesus sein Leiden von innen her angenommen hat. Der Ölgarten ist aber auch der Ort, von wo aus er zum Vater aufgestiegen ist und so der Ort der Erlösung: Gott hat Jesus nicht im Tod gelassen. Jesus lebt für immer beim Vater und ist eben deshalb allgegenwärtig, immer bei uns. Dieses doppelte Geheimnis des Ölbergs ist immer mit anwesend im sakramentalen Öl der Kirche. In vier Sakramenten ist das Öl Zeichen der Güte Gottes, die uns anrührt: in der Taufe, in der Firmung als dem Sakrament des Heiligen Geistes, in den verschiedenen Stufen des Weihesakraments und schließlich in der Krankensalbung, in der das Öl uns gleichsam als Medizin Gottes angeboten wird – als die Medizin, die uns jetzt seiner Güte versichert, uns stärken und trösten soll, die aber zugleich über den Augenblick der Krankheit hinaus auf die endgültige Heilung verweist, auf die Auferstehung (vgl. Jak 5, 14). So begleitet das Öl in seinen verschiedenen Formen uns das ganze Leben hindurch: vom Katechumenat und der Taufe angefangen bis in den Augenblick, da wir uns auf die Begegnung mit dem richtenden und rettenden Gott bereiten. Die Chrisam-Messe, in der uns das sakramentale Zeichen des Öls als Schöpfungssprache Gottes vor Augen gestellt wird, spricht schließlich in besonderer Weise uns Priester an: Sie spricht uns von Christus, den Gott zum König und zum Priester gesalbt hat – von Ihm, der uns an seinem Priestertum, an seiner „Salbung" teilhaben läßt in unserer Weihe zum Priestertum.
So möchte ich versuchen, das Geheimnis dieses heiligen Zeichens nun noch kurz in seiner wesentlichen Beziehung zur priesterlichen Berufung auszulegen. In volkstümlichen Ethymologien hat man schon im Altertum das griechische Wort Elaion – Öl – mit dem Wort Eleos – Erbarmen – in Verbindung gebracht. In der Tat: Das geweihte Öl ist in den verschiedenen Sakramenten immer Zeichen der Barmherzigkeit Gottes. Die Salbung zum Priestertum bedeutet daher immer auch den Auftrag, das Erbarmen Gottes zu den Menschen zu bringen. In der Ampel unseres Lebens sollte das Öl des Erbarmens nie ausgehen. Holen wir es uns immer rechtzeitig beim Herrn – in der Begegnung mit seinem Wort, im Empfangen der Sakramente, im betenden Verweilen bei ihm.
Durch die Geschichte von der Taube mit dem Ölzweig, die das Ende der Flut und so den neuen Frieden Gottes mit der Welt der Menschen verkündete, ist nicht nur die Taube, sondern auch der Ölzweig und das Öl selber zum Symbol des Friedens geworden. Die Christen der ersten Jahrhunderte liebten es, die Grabstätten ihrer Toten mit Siegeskranz und Olivenzweig, dem Symbol des Friedens, zu schmücken. Sie wußten, daß Christus den Tod besiegt hat und daß ihre Toten im Frieden Christi ruhten. Daß sie selber von Christus erwartet wurden, der ihnen seinen Frieden verheißen hatte, den die Welt nicht geben kann. Sie erinnerten sich daran, daß das erste Wort des Auferstandenen an die Seinen lautete: Friede sei mit euch (Joh 20, 19). Er selbst bringt gleichsam den Ölzweig, trägt seinen Frieden in die Welt herein. Er verkündet Gottes rettende Güte. Er ist unser Friede. So sollten Christen Menschen des Friedens sein, die das Geheimnis des Kreuzes als Geheimnis der Versöhnung erkennen und leben. Christus siegt nicht durch das Schwert, sondern durch das Kreuz. Er siegt, indem er den Haß überwindet. Er siegt durch die Kraft seiner größeren Liebe. Das Kreuz Christi drückt das Nein zur Gewalt aus. Und gerade so ist es das Siegeszeichen Gottes, das den neuen Weg Jesu verkündigt. Der Leidende war stärker als die Inhaber der Gewalt. In der Hingabe am Kreuz hat Christus die Gewalt besiegt. Als Priester sind wir berufen, in der Gemeinschaft mit Jesus Christus Menschen des Friedens zu sein, der Gewalt entgegenzustehen und der größeren Macht der Liebe zu vertrauen.
Zur Symbolik des Öls gehört es auch, daß es stark macht zum Kampf. Das steht nicht gegen das Thema Friede, sondern ist ein Teil davon. Der Kampf der Christen bestand und besteht nicht im Gebrauch der Gewalt, sondern darin, daß sie für das Gute, für Gott zu leiden bereit waren und sind. Er besteht darin, daß die Christen sich als gute Staatsbürger an das Recht halten, das Rechte und das Gute tun. Er besteht darin, daß sie nicht tun, was in den geltenden Rechtsordnungen nicht Recht, sondern Unrecht ist. Der Kampf der Märtyrer bestand in ihrem konkreten Nein zum Unrecht: Indem sie sich dem Götzenkult, der Anbetung des Kaisers versagten, haben sie sich geweigert, sich vor der Unwahrheit zu beugen, vor der Anbetung von Menschen und ihrer Macht. Sie haben mit dem Nein zur Unwahrheit und zu allen ihren Folgen die Macht des Rechts und der Wahrheit aufgerichtet. So haben sie dem wirklichen Frieden gedient. Auch heute ist es für Christen wichtig, dem Recht zu folgen, das die Grundlage des Friedens ist. Auch heute ist es für Christen wichtig, Unrecht, das zu Recht erhoben wird, nicht anzunehmen – etwa wenn es um die Tötung unschuldiger ungeborener Kinder geht. Gerade so dienen wir dem Frieden, und gerade so sind wir auf der Spur Jesu Christi, von dem der heilige Petrus sagt: „Er wurde geschmäht, schmähte aber nicht; er litt, drohte aber nicht, sondern überließ seine Sache dem gerechten Richter. Er hat unsere Sünden mit seinem Leib auf das Holz des Kreuzes getragen, damit wir tot seien für die Sünde und für die Gerechtigkeit leben" (1 Petr 2, 23f).
Die Kirchenväter waren fasziniert von einem Wort aus Ps 45 (44) – nach der Überlieferung der Hochzeitspsalm Salomons, der von den Christen neu gelesen wurde als der Hochzeitspsalm des neuen Salomon Jesus Christus mit seiner Kirche. Da wird dem König – Christus – gesagt: „Du liebst das Recht und haßt das Unrecht, darum hat Gott, dein Gott, dich gesalbt mit dem Öl der Freude wie keinen deiner Gefährten" (v. 8). Was ist das – das Öl der Freude, mit dem der wahre König, Christus, gesalbt wurde? Die Kirchenväter hatten keinen Zweifel darüber: Das Öl der Freude ist der Heilige Geist selbst, der ausgegossen ist über Jesus Christus. Der Heilige Geist ist die von Gott kommende Freude. Von Jesus strömt diese Freude auf uns über in seinem Evangelium, in der frohen Botschaft, daß Gott uns kennt, daß er gut ist, daß seine Güte Macht ist über allen Mächten. Daß wir gewollt und geliebt sind von ihm. Die Freude ist Frucht der Liebe. Das Öl der Freude, das über Christus ausgegossen ist und von ihm zu uns kommt, ist der Heilige Geist, die Gabe der Liebe, die uns des Seins froh werden läßt. Weil wir Christus und in Christus den wahren Gott kennen, wissen wir, daß es gut ist, ein Mensch zu sein. Es ist gut zu leben, weil wir geliebt sind. Weil die Wahrheit selbst gut ist.
In der alten Kirche ist das geweihte Öl in besonderer Weise als Zeichen für die Gegenwart des Heiligen Geistes angesehen worden, der sich uns von Christus her mitteilt. Er ist das Öl der Freude. Diese Freude ist etwas anderes als der Spaß oder die äußere Lustigkeit, die sich die moderne Gesellschaft wünscht. Spaß ist an seinem rechten Ort durchaus etwas Gutes und Erfreuliches. Lachen zu können, ist gut. Aber Spaß ist nicht alles. Er ist nur ein kleiner Teil unseres Lebens, und wo er das Ganze sein will, wird er zur Maske, hinter der sich die Verzweiflung verbirgt oder doch mindestens der Zweifel, ob das Leben wirklich gut ist, ob es nicht besser wäre, nicht zu sein als zu sein. Die Freude, die von Christus auf uns zukommt, ist anders. Sie gibt uns Fröhlichkeit, ja, aber sie kann sehr wohl auch mit dem Leid zusammengehen. Sie gibt uns die Fähigkeit zu leiden und im Leiden doch zuinnerst froh zu bleiben. Sie gibt uns die Fähigkeit, das Leiden anderer mitzutragen und so im Füreinandersein das Licht und die Güte Gottes spürbar zu machen. Mir gibt immer die Erzählung in der Apostelgeschichte zu denken, daß die Apostel, nachdem der Hohe Rat sie hatte auspeitschen lassen, „sich freuten, daß sie gewürdigt worden waren, für seinen Namen Schmach zu erleiden" (Apg 5, 41). Wer liebt, ist bereit, für den Geliebten und um seiner Liebe willen zu leiden und erfährt gerade so eine tiefere Freude. Die Freude der Märtyrer war stärker als die Qualen, die ihnen angetan wurden. Diese Freude hat letztlich gesiegt und Christus die Tore der Geschichte geöffnet. Als Priester sind wir, wie der heilige Paulus sagt, „Diener eurer Freude" (2 Kor 1, 24). In der Frucht des Ölbaums, im geweihten Öl rührt uns die Güte des Schöpfers, die Liebe des Erlösers an. Bitten wir darum, daß seine Freude uns immer tiefer durchdringt und daß wir sie neu hineinzutragen vermögen in eine Welt, die der aus der Wahrheit kommenden Freude so dringend bedarf. Amen.
[00450-05.01] [Originalsprache: Italienisch]
● TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA
Queridos hermanos y hermanas
El sacramento es el centro del culto de la Iglesia. Sacramento significa, en primer lugar, que no somos los hombres los que hacemos algo, sino que es Dios el que se anticipa y viene a nuestro encuentro con su actuar, nos mira y nos conduce hacia él. Pero hay algo todavía más singular: Dios nos toca por medio de realidades materiales, a través de dones de la creación, que él toma a su servicio, convirtiéndolos en instrumentos del encuentro entre nosotros y él mismo. Los elementos de la creación, con los cuales se construye el cosmos de los sacramentos, son cuatro: el agua, el pan de trigo, el vino y el aceite de oliva. El agua, como elemento básico y condición fundamental de toda vida, es el signo esencial del acto por el que nos convertimos en cristianos en el bautismo, del nacimiento a una vida nueva. Mientras que el agua, por lo general, es el elemento vital, y representa el acceso común de todos al nuevo nacimiento como cristianos, los otros tres elementos pertenecen a la cultura del ambiente mediterráneo. Nos remiten así al ambiente histórico concreto en el que el cristianismo se desarrolló. Dios ha actuado en un lugar muy determinado de la tierra, verdaderamente ha hecho historia con los hombres. Estos tres elementos son, por una parte, dones de la creación pero, por otra, están relacionados también con lugares de la historia de Dios con nosotros. Son una síntesis entre creación e historia: dones de Dios que nos unen siempre con aquellos lugares del mundo en los que Dios ha querido actuar con nosotros en el tiempo de la historia, y hacerse uno de nosotros.
En estos tres elementos hay una nueva gradación. El pan remite a la vida cotidiana. Es el don fundamental de la vida diaria. El vino evoca la fiesta, la exquisitez de la creación y, al mismo tiempo, con el que se puede expresar de modo particular la alegría de los redimidos. El aceite de oliva tiene un amplio significado. Es alimento, medicina, embellece, prepara para la lucha y da vigor. Los reyes y sacerdotes son ungidos con óleo, que es signo de dignidad y responsabilidad, y también de la fuerza que procede de Dios. El misterio del aceite está presente en nuestro nombre de "cristianos". En efecto, la palabra "cristianos", con la que se designaba a los discípulos de Cristo ya desde el comienzo de la Iglesia que procedía del paganismo, viene de la palabra "Cristo" (cf. Hch 11,20-21), que es la traducción griega de la palabra "Mesías", que significa "Ungido". Ser cristiano quiere decir proceder de Cristo, pertenecer a Cristo, al Ungido de Dios, a Aquel al que Dios ha dado la realeza y el sacerdocio. Significa pertenecer a Aquel que Dios mismo ha ungido, pero no con aceite material, sino con Aquel al que el óleo representa: con su Santo Espíritu. El aceite de oliva es de un modo completamente singular símbolo de cómo el Hombre Jesús está totalmente colmado del Espíritu Santo.
En la Misa crismal del Jueves Santo los óleos santos están en el centro de la acción litúrgica. Son consagrados por el Obispo en la catedral para todo el año. Así, expresan también la unidad de la Iglesia, garantizada por el Episcopado, y remiten a Cristo, el verdadero «pastor y guardián de nuestras almas», como lo llama san Pedro (cf. 1 P 2,25). Al mismo tiempo, dan unidad a todo el año litúrgico, anclado en el misterio del Jueves santo. Por último, evocan el Huerto de los Olivos, en el que Jesús aceptó interiormente su pasión. El Huerto de los Olivos es también el lugar desde el cual ascendió al Padre, y es por tanto el lugar de la redención: Dios no ha dejando a Jesús en la muerte. Jesús vive para siempre junto al Padre y, precisamente por esto, es omnipresente, y está siempre junto a nosotros. Este doble misterio del monte de los Olivos está siempre "activo" también en el óleo sacramental de la Iglesia. En cuatro sacramentos, el óleo es signo de la bondad de Dios que llega a nosotros: en el bautismo, en la confirmación como sacramento del Espíritu Santo, en los diversos grados del sacramento del orden y, finalmente, en la unción de los enfermos, en la que el óleo se ofrece, por decirlo así, como medicina de Dios, como la medicina que ahora nos da la certeza de su bondad, que nos debe fortalecer y consolar, pero que, al mismo tiempo, y más allá de la enfermedad, remite a la curación definitiva, la resurrección (cf. St 5,14). De este modo, el óleo, en sus diversas formas, nos acompaña durante toda la vida: comenzando por el catecumenado y el bautismo hasta el momento en el que nos preparamos para el encuentro con Dios Juez y Salvador. Por último, la Misa crismal, en la que el signo sacramental del óleo se nos presenta como lenguaje de la creación de Dios, se dirige, de modo particular, a nosotros los sacerdotes: nos habla de Cristo, que Dios ha ungido Rey y Sacerdote, de Aquel que nos hace partícipes de su sacerdocio, de su "unción", en nuestra ordenación sacerdotal.
Quisiera brevemente explicar el misterio de este signo santo en su referencia esencial a la vocación sacerdotal. Ya desde la antigüedad, en la etimología popular se ha unido la palabra griega "elaion", aceite, con la palabra "eleos", misericordia. De hecho, en varios sacramentos, el óleo consagrado es siempre signo de la misericordia de Dios. Por tanto, la unción para el sacerdocio significa también el encargo de llevar la misericordia de Dios a los hombres. En la lámpara de nuestra vida nunca debería faltar el óleo de la misericordia. Obtengámoslo oportunamente del Señor, en el encuentro con su Palabra, al recibir los sacramentos, permaneciendo junto a él en oración.
Mediante la historia de la paloma con el ramo de olivo, que anunciaba el fin del diluvio y, con ello, el restablecimiento de la paz de Dios con los hombres, no sólo la paloma, sino también el ramo de olivo y el aceite mismo, se transformaron en símbolo de la paz. Los cristianos de los primeros siglos solían adornar las tumbas de sus difuntos con la corona de la victoria y el ramo de olivo, símbolo de la paz. Sabían que Cristo había vencido a la muerte y que sus difuntos descansaban en la paz de Cristo. Ellos mismos estaban seguros de que Cristo, que les había prometido la paz que el mundo no era capaz de ofrecerles, estaba esperándoles. Recordaban que la primera palabra del Resucitado a los suyos había sido: «Paz a vosotros» (Jn 20,19). Él mismo lleva, por así decir, el ramo de olivo, introduce su paz en el mundo. Anuncia la bondad salvadora de Dios. Él es nuestra paz. Los cristianos deberían ser, pues, personas de paz, personas que reconocen y viven el misterio de la cruz como misterio de reconciliación. Cristo no triunfa por medio de la espada, sino por medio de la cruz. Vence superando el odio. Vence mediante la fuerza más grande de su amor. La cruz de Cristo expresa su "no" a la violencia. Y, de este modo, es el signo de la victoria de Dios, que anuncia el camino nuevo de Jesús. El sufriente ha sido más fuerte que los poderosos. Con su autodonación en la cruz, Cristo ha vencido la violencia. Como sacerdotes estamos llamados a ser, en la comunión con Jesucristo, hombres de paz, estamos llamados a oponernos a la violencia y a fiarnos del poder más grande del amor.
Al simbolismo del aceite pertenece también el que fortalece para la lucha. Esto no contradice el tema de la paz, sino que es parte de él. La lucha de los cristianos consistía y consiste no en el uso de la violencia, sino en el hecho de que ellos estaban y están todavía dispuestos a sufrir por el bien, por Dios. Consiste en que los cristianos, como buenos ciudadanos, respetan el derecho y hacen lo que es justo y bueno. Consiste en que rechazan lo que en los ordenamientos jurídicos vigentes no es derecho, sino injusticia. La lucha de los mártires consistía en su "no" concreto a la injusticia: rechazando la participación en el culto idolátrico, en la adoración del emperador, no aceptaban doblegarse a la falsedad, a adorar personas humanas y su poder. Con su "no" a la falsedad y a todas sus consecuencias han realzado el poder del derecho y la verdad. Así sirvieron a la paz auténtica. También hoy es importante que los cristianos cumplan el derecho, que es el fundamento de la paz. También hoy es importante para los cristianos no aceptar una injusticia, aunque sea retenida como derecho, por ejemplo, cuando se trata del asesinato de niños inocentes aún no nacidos. Así servimos precisamente a la paz y así nos encontramos siguiendo las huellas de Jesús, del que san Pedro dice: «Cuando lo insultaban, no devolvía el insulto; en su pasión no profería amenazas; al contrario, se ponía en manos del que juzga justamente. Cargado con nuestros pecados subió al leño, para que, muertos al pecado, vivamos para la justicia» (1 P 2,23s.).
Los Padres de la Iglesia estaban fascinados por unas palabras del salmo 45 [44], según la tradición el salmo nupcial de Salomón, que los cristianos releían como el salmo de bodas de Jesucristo, el nuevo Salomón, con su Iglesia. En él se dice al Rey, Cristo: «Has amado la justicia y odiado la impiedad: por eso el Señor, tu Dios, te ha ungido con aceite de júbilo entre todos tus compañeros» (v.8). ¿Qué es el aceite de júbilo con el que fue ungido el verdadero Rey, Cristo? Los Padres no tenían ninguna duda al respecto: el aceite de júbilo es el mismo Espíritu Santo, que fue derramado sobre Jesucristo. El Espíritu Santo es el júbilo que procede de Dios. Cristo derrama este júbilo sobre nosotros en su Evangelio, en la buena noticia de que Dios nos conoce, de que él es bueno y de que su bondad es más poderosa que todos los poderes; de que somos queridos y amados por Dios. La alegría es fruto del amor. El aceite de júbilo, que ha sido derramado sobre Cristo y por él llega a nosotros, es el Espíritu Santo, el don del Amor que nos da la alegría de vivir. Ya que conocemos a Cristo y, en Cristo, al Dios verdadero, sabemos que es bueno ser hombre. Es bueno vivir, porque somos amados. Porque la verdad misma es buena.
En la Iglesia antigua, el aceite consagrado fue considerado de modo particular como signo de la presencia del Espíritu Santo, que se nos comunica por medio de Cristo. Él es el aceite de júbilo. Este júbilo es distinto de la diversión o de la alegría exterior que la sociedad moderna anhela. La diversión, en su justa medida, es ciertamente buena y agradable. Es algo bueno poder reír. Pero la diversión no lo es todo. Es sólo una pequeña parte de nuestra vida, y cuando quiere ser el todo se convierte en una máscara tras la que se esconde la desesperación o, al menos, la duda de que la vida sea auténticamente buena, o de si tal vez no habría sido mejor no haber existido. El gozo que Cristo nos da es distinto. Es un gozo que nos proporciona alegría, sí, pero que sin duda puede ir unido al sufrimiento. Nos da la capacidad de sufrir y, sin embargo, de permanecer interiormente gozosos en el sufrimiento. Nos da la capacidad de compartir el sufrimiento ajeno, haciendo así perceptible, en la mutua disponibilidad, la luz y la bondad de Dios. Siempre me hace reflexionar el episodio de los Hechos de los Apóstoles, en el que los Apóstoles, después de que el sanedrín los había mandado flagelar, salieron «contentos de haber merecido aquel ultraje por el nombre de Jesús» (Hch 5,41). Quien ama está siempre dispuesto a sufrir por el amado y a causa de su amor y, precisamente así, experimenta una alegría más profunda. La alegría de los mártires era más grande que los tormentos que les infligían. Este gozo, al final, ha vencido y ha abierto a Cristo las puertas de la historia. Como sacerdotes, como dice San Pablo, «contribuimos a vuestro gozo» (2 Co 1,24). En el fruto del olivo, en el óleo consagrado, nos alcanza la bondad del Creador, el amor del Redentor. Pidamos que su júbilo nos invada cada vez más profundamente y que seamos capaces de llevarlo nuevamente a un mundo que necesita urgentemente el gozo que nace de la verdad.
Amén.
[00450-04.01] [Texto original: Italiano]
● TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE
Amados irmãos e irmãs!
O centro do culto da Igreja é o Sacramento. Sacramento significa que o primeiro a intervir não somos nós homens, mas Deus que primeiro vem ao nosso encontro com o seu agir, olha-nos e nos conduz até junto de si. E, existe ainda outra coisa extraordinária: Deus nos toca por meio de realidades materiais, através de dons da criação que Ele assume ao seu serviço, fazendo deles instrumentos do encontro entre nós e Ele mesmo. Quatro são os elementos da criação com os quais o universo dos Sacramentos é construído: a água, o pão de trigo, o vinho e o azeite. A água, como elemento básico e condição fundamental de toda a vida, é o sinal essencial do Batismo, o ato através do qual uma pessoa torna-se cristã; o ato do nascimento para uma vida nova. Enquanto a água é o elemento vital em geral e, por isso, representa o acesso comum ao novo nascimento de todos como cristãos, os outros três elementos pertencem à cultura do ambiente mediterrâneo. Deste modo aludem ao ambiente histórico concreto, no qual o cristianismo se desenvolveu. Deus agiu num lugar bem determinado da terra, verdadeiramente fez história com os homens. Estes três elementos, por um lado, são dons da criação e, por outro, são também indicações dos lugares da história de Deus junto de nós. São uma síntese entre criação e história: dons de Deus que sempre nos ligam com aqueles lugares do mundo onde Deus quis atuar conosco no tempo da história, fazendo-se um de nós.
Nestes três elementos há novamente uma graduação. O pão faz referência à vida quotidiana. É o dom fundamental da vida de todos os dias. O vinho recorda a festa, o primor da criação, em que se pode ao mesmo tempo expressar de modo singular a alegria dos redimidos. O azeite possui um amplo significado. Serve de nutrimento, medicamento, alindamento, adestra para a luta e dá vigor. Os reis e os sacerdotes são ungidos com este óleo, que assim torna-se sinal de dignidade e responsabilidade e ainda da força que vem de Deus. No nosso nome de "cristãos", está presente o mistério do óleo. Com efeito, a palavra "cristãos", com que foram denominados os discípulos de Cristo, já no início da Igreja formada a partir dos pagãos, deriva da palavra "Cristo" (At 11, 20-21) – tradução grega da palavra "Messias", que significa "Ungido". Ser cristão significa: provir de Cristo, pertencer a Cristo, ao Ungido de Deus, Àquele a quem Deus entregou a realeza e o sacerdócio. Significa pertencer Àquele a quem Deus mesmo ungiu – não com um óleo material, mas com Aquele que é representado pelo óleo: com o seu Espírito Santo. Assim, o azeite simboliza de um modo muito particular a permeabilização do Homem Jesus pelo Espírito Santo.
Na Missa Crismal de Quinta-feira Santa, os santos óleos estão no centro da ação litúrgica. São consagrados pelo Bispo na catedral para o ano inteiro. Assim, exprimem também a unidade da Igreja, garantida pelo Episcopado e aludem a Cristo, o verdadeiro "pastor e guarda das nossas almas", como o chama São Pedro (cf. 1 Pd 2,25). E, ao mesmo tempo, mantêm unido todo o ano litúrgico, ancorado no mistério de Quinta-feira Santa. Enfim, os óleos aludem ao Horto das Oliveiras, onde Jesus aceitou interiormente a sua Paixão. Contudo, o Horto das Oliveiras é também o lugar donde Jesus subiu ao Pai, tornando-se, assim, o lugar da Redenção: Deus não deixou Jesus na morte. Jesus vive para sempre junto do Pai, e por isso mesmo é onipresente, está sempre junto de nós. Este duplo mistério do Monte das Oliveiras também está "ativo" no óleo sacramental da Igreja. Em quatro sacramentos, o óleo é sinal da bondade de Deus que nos toca: no Batismo; na Confirmação, como sacramento do Espírito Santo; nos vários graus do Sacramento da Ordem; e, finalmente, na Unção dos Enfermos, na qual o óleo nos é oferecido, por dizer assim, como medicamento de Deus – como o medicamento que agora nos torna seguros da sua bondade e deve-nos revigorar e consolar, mas ao mesmo tempo aponta para além do momento da enfermidade, para a cura definitiva, a ressurreição (cf. Tg 5,14). Assim o óleo, nas suas diversas formas, nos acompanha ao longo de toda a vida, desde o catecumenato e o Batismo até ao momento em que nos preparamos para o encontro com Deus Juiz e Salvador. Em suma, a Missa Crismal, na qual o sinal sacramental do óleo nos é apresentado como linguagem da criação de Deus, fala de modo particular a nós, sacerdotes: fala-nos de Cristo, que Deus ungiu como Rei e Sacerdote; dele, que nos torna participantes do seu sacerdócio, da sua "unção", na nossa ordenação sacerdotal.
Procurarei agora explicar brevemente o mistério deste sinal sagrado na sua referência essencial à vocação sacerdotal. Já na antiguidade, etimologias populares associaram a palavra grega "elaion" – óleo – com a palavra "eleos" – misericórdia. De fato, nos vários Sacramentos, o óleo consagrado é sempre sinal da misericórdia de Deus. Por isso, a unção para o sacerdócio significa sempre também a missão de levar a misericórdia de Deus aos homens. Na lâmpada da nossa vida, não deveria jamais faltar o óleo da misericórdia. Não nos cansemos de procurá-lo a tempo junto do Senhor – no encontro com a sua Palavra, recebendo os Sacramentos, demorando-nos em oração junto dele.
Através da história da pomba com o ramo de oliveira, que anunciava o fim do dilúvio e, desse modo, a nova paz de Deus com o mundo dos homens, tanto a pomba, como o ramo de oliveira e o mesmo óleo tornaram-se símbolos da paz. Os cristãos dos primeiros séculos gostavam de ornamentar as tumbas dos seus defuntos com a coroa da vitória e o ramo de oliveira, símbolo da paz. Sabiam que Cristo venceu a morte e que os seus defuntos repousavam na paz de Cristo. Eles mesmos sabiam que Cristo os esperava, que lhes tinha prometido a paz que o mundo não é capaz de dar. Lembravam-se de que a primeira palavra do Ressuscitado aos seus discípulos fora: "A paz esteja convosco!" (Jo 20,19). Por assim dizer, Ele mesmo traz o ramo de oliveira, introduz a sua paz no mundo. Anuncia a bondade salvífica de Deus. Ele é a nossa paz. Portanto, os cristãos deverão ser pessoas de paz, pessoas que reconhecem e vivem o mistério da Cruz como mistério da reconciliação. Cristo não vence com a espada, mas por meio da Cruz. Vence, superando o ódio. Vence em virtude daquele amor maior que é o seu. A Cruz de Cristo diz "não" à violência. E, justamente assim, ela é o sinal da vitória de Deus, que anuncia o novo caminho de Jesus. A vítima foi mais forte que os detentores de poder. Na sua auto-doação na Cruz, Cristo venceu a violência. Como sacerdotes, somos chamados a ser, na comunhão com Jesus Cristo, homens de paz, somos chamados a opor-nos à violência e a confiar no poder maior do amor.
Também pertence ao simbolismo do óleo o fato de que este robustece para a luta. Isto não contradiz o tema da paz; é, antes, uma parte deste. A luta dos cristãos consistia, e consiste, não no uso da violência, mas no fato de que estes estavam, e ainda estão, prontos a sofrer pelo bem, por Deus. Consiste no fato de que os cristãos, como bons cidadãos, respeitam o direito e fazem aquilo que é justo e bom. Consiste no fato de que rejeitam fazer aquilo que, nos ordenamentos jurídicos em vigor, não é direito, mas injustiça. A luta dos mártires consistia no seu "não" concreto à injustiça: rejeitando a participação no culto idolátrico, na adoração do imperador, recusaram-se a ajoelhar-se diante da falsidade, da adoração de pessoas humanas e do seu poder. Com o seu "não" à falsidade e a todas as suas conseqüências, exaltaram o poder do direito e da verdade. Assim, serviram a verdadeira paz. Também hoje, é importante para os cristãos seguir o direito, que é o fundamento da paz. Também hoje, é importante para os cristãos não aceitar uma injustiça que é elevada a direito – por exemplo, quando se trata do assassinato de crianças inocentes ainda por nascer. É justamente assim que servimos a paz e vivemos seguindo os passos de Jesus Cristo, de quem São Pedro diz: "Quando injuriado, não retribuía as injúrias; atormentado, não ameaçava; antes, colocava a sua causa nas mãos daquele que julga com justiça. Sobre sua cruz, carregou nossos pecados em seu próprio corpo a fim de que, mortos para os pecados, vivamos para a justiça" (1 Pd 2, 23s).
Os Padres da Igreja sentiam-se fascinados por uma palavra do Salmo 45 (44) – segundo a tradição, o salmo nupcial de Salomão – que era considerado pelos cristãos como Salmo para as núpcias do novo Salomão, Jesus Cristo com a sua Igreja. Ali, diz-se ao Rei, Cristo: "Amas a justiça e odeias a iniqüidade; por isso Deus, o teu Deus, te consagrou com óleo da alegria, de preferência a teus iguais" (v. 8). O que é este óleo da alegria com o qual foi ungido o verdadeiro Rei, Cristo? Os Padres não tinham qualquer dúvida a este respeito: o óleo da alegria é o próprio Espírito Santo, infundido sobre Jesus Cristo. O Espírito Santo é a alegria que vem de Deus. A partir de Jesus, esta alegria se derrama sobre nós no seu Evangelho, na Boa Nova de que Deus nos conhece, que Ele é bom e que a sua bondade é um poder superior a todos os poderes; que somos queridos e amados por Ele. A alegria é fruto do amor. O óleo da alegria, que foi derramado sobre Cristo e dele passa para nós, é o Espírito Santo, o dom do Amor que nos torna felizes porque existimos. Porque conhecemos Cristo e, em Cristo, o verdadeiro Deus, sabemos que é bom ser homem. É bom viver, porque somos amados. Porque a verdade mesma é boa.
Na Igreja antiga, o óleo consagrado foi considerado, particularmente, como sinal da presença do Espírito Santo, que se comunica a nós a partir de Cristo. O Espírito é o óleo da alegria. Esta alegria é uma realidade diversa do divertimento ou da alegria exterior que a sociedade moderna deseja. No seu justo lugar, o divertimento é certamente uma coisa boa e agradável. É bom poder rir. Mas, o divertimento não é tudo. É somente uma pequena parte da nossa vida; e, quando pretende ser tudo, torna-se uma máscara por detrás da qual se esconde o desespero ou pelo menos a dúvida acerca da vida se realmente é boa ou não seria melhor não existir. A alegria, que nos vem de Cristo, é diferente. Essa também nos dá contentamento, mas pode sem dúvida coexistir com o sofrimento. Dá a capacidade de sofrer e, no sofrimento, de permanecer também intimamente felizes. Dá-nos a capacidade de compartilhar o sofrimento dos outros e assim tornar perceptível, na disponibilidade recíproca, a luz e a bondade de Deus. Sempre me faz refletir a passagem dos Atos dos Apóstolos segundo a qual os Apóstolos, depois terem sido flagelados a mando do Sinédrio, saíram de lá "contentes por terem sido considerados dignos de injúrias por causa do nome de Jesus" (At 5,41). Quem ama está pronto a sofrer pelo amado e por causa do seu amor, e precisamente por isso experimenta uma alegria mais profunda. A alegria dos mártires era mais forte do que os tormentos infligidos. No fim, esta alegria venceu e abriu a Cristo as portas da história. Como sacerdotes, somos – diz São Paulo – "colaboradores da vossa alegria" (2 Co 1,24). No fruto da oliveira, no óleo consagrado, toca-nos a bondade do Criador, o amor do Redentor. Rezemos para que a sua alegria nos inunde sempre mais profundamente e peçamos para sermos capazes de levá-la novamente a um mundo tão urgentemente necessitado da alegria que brota da verdade. Amém.
[00450-06.01] [Texto original: Italiano]
[B0191-XX.02]