VISITA DEL PONTEFICE BENEDETTO XVI ALLA COMUNITÀ EBRAICA DI ROMA ● DISCORSO DEL PONTEFICE
● TRADUZIONE NON UFFICIALE IN LINGUA INGLESE
Nel pomeriggio di oggi, 17 gennaio 2010 - 2 shevat 5770, il Pontefice Benedetto XVI si è recato in Visita alla Comunità Ebraica di Roma.
Il Pontefice è arrivato a Largo XVI ottobre al Portico di Ottavia poco prima delle ore 16.30, accolto da Riccardo Pacifici, Presidente della Comunità ebraica di Roma e da Renzo Gattegna, Presidente delle Comunità ebraiche italiane. Davanti la lapide che ricorda la deportazione del 16 ottobre 1943 è stata deposta una corona floreale in omaggio alle vittime della Shoah. Percorrendo Via Catalana verso la Sinagoga, il Vescovo di Roma ha compiuto una breve sosta davanti alla lapide che ricorda l’attentato del 9 ottobre 1982, in cui perse la vita un bambino ebreo di due anni e rimasero ferite decine di persone che uscivano dal Tempio dopo la preghiera.
Accolto ai piedi della scalinata centrale della Sinagoga dal Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni, il Pontefice ha quindi fatto il suo ingresso nel Tempio. Nel corso della visita, dopo i saluti del Presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, del Presidente delle Comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna e del Rabbino Capo, Riccardo Di Segni, il Vescovo di Roma ha pronunciato un discorso, al termine del quale è avvenuto lo scambio dei doni. L’incontro ufficiale nella Sinagoga si è concluso con il canto dell’Inno "Anì Maamin".
Il Pontefice e il Rabbino Capo hanno raggiunto quindi la Sala attigua alla Sinagoga per un breve colloquio privato. Insieme poi, il Pontefice e il Rabbino Capo sono usciti nel giardino del Tempio, passando davanti all’ulivo che è stato piantato a ricordo della visita e sono scesi nel Museo ebraico di Roma per l’inaugurazione della Mostra "Et ecce gaudium" che espone 14 disegni preparati nel 700 dalla Comunità ebraica per l’incoronazione dei Sommi Pontefici. Infine, nella Sinagoga Spagnola posta nei sotterranei del Tempio maggiore, Benedetto XVI ha incontrato alcuni Rappresentanti della Comunità ebraica.
Poco prima delle 18.30 il Pontefice ha quindi lasciato la Sinagoga per far rientro in Vaticano.
Pubblichiamo di seguito il discorso che Benedetto XVI ha pronunciato nella Sinagoga di Roma nel corso della visita alla Comunità ebraica:
● DISCORSO DEL PONTEFICE
"Il Signore ha fatto grandi cose per loro"
Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia" (Sal 126)
"Ecco, com’è bello e com’è dolce
che i fratelli vivano insieme!" (Sal 133)
Signor Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma,
Signor Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane,
Signor Presidente della Comunità Ebraica di Roma
Signori Rabbini,
Distinte Autorità,
Cari amici e fratelli,
1. All’inizio dell’incontro nel Tempio Maggiore degli Ebrei di Roma, i Salmi che abbiamo ascoltato ci suggeriscono l’atteggiamento spirituale più autentico per vivere questo particolare e lieto momento di grazia: la lode al Signore, che ha fatto grandi cose per noi, ci ha qui raccolti con il suo Hèsed, l’amore misericordioso, e il ringraziamento per averci fatto il dono di ritrovarci assieme a rendere più saldi i legami che ci uniscono e continuare a percorrere la strada della riconciliazione e della fraternità. Desidero esprimere innanzitutto viva gratitudine a Lei, Rabbino Capo, Dottor Riccardo Di Segni, per l’invito rivoltomi e per le significative parole che mi ha indirizzato. Ringrazio poi i Presidenti dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Avvocato Renzo Gattegna, e della Comunità Ebraica di Roma, Signor Riccardo Pacifici, per le espressioni cortesi che hanno voluto rivolgermi. Il mio pensiero va alle Autorità e a tutti i presenti e si estende, in modo particolare, alla Comunità ebraica romana e a quanti hanno collaborato per rendere possibile il momento di incontro e di amicizia, che stiamo vivendo.
Venendo tra voi per la prima volta da cristiano e da Papa, il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II, quasi ventiquattro anni fa, intese offrire un deciso contributo al consolidamento dei buoni rapporti tra le nostre comunità, per superare ogni incomprensione e pregiudizio. Questa mia visita si inserisce nel cammino tracciato, per confermarlo e rafforzarlo. Con sentimenti di viva cordialità mi trovo in mezzo a voi per manifestarvi la stima e l’affetto che il Vescovo e la Chiesa di Roma, come pure l’intera Chiesa Cattolica, nutrono verso questa Comunità e le Comunità ebraiche sparse nel mondo.
2. La dottrina del Concilio Vaticano II ha rappresentato per i Cattolici un punto fermo a cui riferirsi costantemente nell’atteggiamento e nei rapporti con il popolo ebraico, segnando una nuova e significativa tappa. L’evento conciliare ha dato un decisivo impulso all’impegno di percorrere un cammino irrevocabile di dialogo, di fraternità e di amicizia, cammino che si è approfondito e sviluppato in questi quarant’anni con passi e gesti importanti e significativi, tra i quali desidero menzionare nuovamente la storica visita in questo luogo del mio Venerabile Predecessore, il 13 aprile 1986, i numerosi incontri che egli ha avuto con Esponenti ebrei, anche durante i Viaggi Apostolici internazionali, il pellegrinaggio giubilare in Terra Santa nell’anno 2000, i documenti della Santa Sede che, dopo la Dichiarazione Nostra Aetate, hanno offerto preziosi orientamenti per un positivo sviluppo nei rapporti tra Cattolici ed Ebrei. Anche io, in questi anni di Pontificato, ho voluto mostrare la mia vicinanza e il mio affetto verso il popolo dell’Alleanza. Conservo ben vivo nel mio cuore tutti i momenti del pellegrinaggio che ho avuto la gioia di realizzare in Terra Santa, nel maggio dello scorso anno, come pure i tanti incontri con Comunità e Organizzazioni ebraiche, in particolare quelli nelle Sinagoghe a Colonia e a New York.
Inoltre, la Chiesa non ha mancato di deplorare le mancanze di suoi figli e sue figlie, chiedendo perdono per tutto ciò che ha potuto favorire in qualche modo le piaghe dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo (cfr Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo, Noi Ricordiamo: una riflessione sulla Shoah, 16 marzo 1998). Possano queste piaghe essere sanate per sempre! Torna alla mente l’accorata preghiera al Muro del Tempio in Gerusalemme del Papa Giovanni Paolo II, il 26 marzo 2000, che risuona vera e sincera nel profondo del nostro cuore: "Dio dei nostri padri, tu hai scelto Abramo e la sua discendenza perché il tuo Nome sia portato ai popoli: noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti, nel corso della storia, li hanno fatti soffrire, essi che sono tuoi figli, e domandandotene perdono, vogliamo impegnarci a vivere una fraternità autentica con il popolo dell’Alleanza".
3. Il passare del tempo ci permette di riconoscere nel ventesimo secolo un’epoca davvero tragica per l’umanità: guerre sanguinose che hanno seminato distruzione, morte e dolore come mai era avvenuto prima; ideologie terribili che hanno avuto alla loro radice l’idolatria dell’uomo, della razza, dello stato e che hanno portato ancora una volta il fratello ad uccidere il fratello. Il dramma singolare e sconvolgente della Shoah rappresenta, in qualche modo, il vertice di un cammino di odio che nasce quando l’uomo dimentica il suo Creatore e mette se stesso al centro dell’universo. Come dissi nella visita del 28 maggio 2006 al campo di concentramento di Auschwitz, ancora profondamente impressa nella mia memoria, "i potentati del Terzo Reich volevano schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità" e, in fondo, "con l’annientamento di questo popolo, intendevano uccidere quel Dio che chiamò Abramo, che parlando sul Sinai stabilì i criteri orientativi dell’umanità che restano validi in eterno" (Discorso al campo di Auschwitz-Birkenau: Insegnamenti di Benedetto XVI, II, 1[2006], p. 727).
In questo luogo, come non ricordare gli Ebrei romani che vennero strappati da queste case, davanti a questi muri, e con orrendo strazio vennero uccisi ad Auschwitz? Come è possibile dimenticare i loro volti, i loro nomi, le lacrime, la disperazione di uomini, donne e bambini? Lo sterminio del popolo dell’Alleanza di Mosè, prima annunciato, poi sistematicamente programmato e realizzato nell’Europa sotto il dominio nazista, raggiunse in quel giorno tragicamente anche Roma. Purtroppo, molti rimasero indifferenti, ma molti, anche fra i Cattolici italiani, sostenuti dalla fede e dall’insegnamento cristiano, reagirono con coraggio, aprendo le braccia per soccorrere gli Ebrei braccati e fuggiaschi, a rischio spesso della propria vita, e meritando una gratitudine perenne. Anche la Sede Apostolica svolse un’azione di soccorso, spesso nascosta e discreta.
La memoria di questi avvenimenti deve spingerci a rafforzare i legami che ci uniscono perché crescano sempre di più la comprensione, il rispetto e l’accoglienza.
4. La nostra vicinanza e fraternità spirituali trovano nella Sacra Bibbia – in ebraico Sifre Qodesh o "Libri di Santità" – il fondamento più solido e perenne, in base al quale veniamo costantemente posti davanti alle nostre radici comuni, alla storia e al ricco patrimonio spirituale che condividiamo. E’ scrutando il suo stesso mistero che la Chiesa, Popolo di Dio della Nuova Alleanza, scopre il proprio profondo legame con gli Ebrei, scelti dal Signore primi fra tutti ad accogliere la sua parola (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 839). "A differenza delle altre religioni non cristiane, la fede ebraica è già risposta alla rivelazione di Dio nella Antica Alleanza. E’ al popolo ebraico che appartengono ‘l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne’ (Rm 9,4-5) perché ‘i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!’ (Rm 11,29)" (Ibid.).
5. Numerose possono essere le implicazioni che derivano dalla comune eredità tratta dalla Legge e dai Profeti. Vorrei ricordarne alcune: innanzitutto, la solidarietà che lega la Chiesa e il popolo ebraico "a livello della loro stessa identità" spirituale e che offre ai Cristiani l’opportunità di promuovere "un rinnovato rispetto per l’interpretazione ebraica dell’Antico Testamento" (cfr Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, 2001, pp. 12 e 55); la centralità del Decalogo come comune messaggio etico di valore perenne per Israele, la Chiesa, i non credenti e l’intera umanità; l’impegno per preparare o realizzare il Regno dell’Altissimo nella "cura del creato" affidato da Dio all’uomo perché lo coltivi e lo custodisca responsabilmente (cfr Gen 2,15).
6. In particolare il Decalogo – le "Dieci Parole" o Dieci Comandamenti (cfr Es 20,1-17; Dt 5,1-21) – che proviene dalla Torah di Mosè, costituisce la fiaccola dell’etica, della speranza e del dialogo, stella polare della fede e della morale del popolo di Dio, e illumina e guida anche il cammino dei Cristiani. Esso costituisce un faro e una norma di vita nella giustizia e nell’amore, un "grande codice" etico per tutta l’umanità. Le "Dieci Parole" gettano luce sul bene e il male, sul vero e il falso, sul giusto e l’ingiusto, anche secondo i criteri della coscienza retta di ogni persona umana. Gesù stesso lo ha ripetuto più volte, sottolineando che è necessario un impegno operoso sulla via dei Comandamenti: "Se vuoi entrare nella vita, osserva i Comandamenti" (Mt 19,17). In questa prospettiva, sono vari i campi di collaborazione e di testimonianza. Vorrei ricordarne tre particolarmente importanti per il nostro tempo.
Le "Dieci Parole" chiedono di riconoscere l’unico Signore, contro la tentazione di costruirsi altri idoli, di farsi vitelli d’oro. Nel nostro mondo molti non conoscono Dio o lo ritengono superfluo, senza rilevanza per la vita; sono stati fabbricati così altri e nuovi dei a cui l’uomo si inchina. Risvegliare nella nostra società l’apertura alla dimensione trascendente, testimoniare l’unico Dio è un servizio prezioso che Ebrei e Cristiani possono e devono offrire assieme.
Le "Dieci Parole" chiedono il rispetto, la protezione della vita, contro ogni ingiustizia e sopruso, riconoscendo il valore di ogni persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio. Quante volte, in ogni parte della terra, vicina e lontana, vengono ancora calpestati la dignità, la libertà, i diritti dell’essere umano! Testimoniare insieme il valore supremo della vita contro ogni egoismo, è offrire un importante apporto per un mondo in cui regni la giustizia e la pace, lo "shalom" auspicato dai legislatori, dai profeti e dai sapienti di Israele.
Le "Dieci Parole" chiedono di conservare e promuovere la santità della famiglia, in cui il "sì" personale e reciproco, fedele e definitivo dell’uomo e della donna, dischiude lo spazio per il futuro, per l’autentica umanità di ciascuno, e si apre, al tempo stesso, al dono di una nuova vita. Testimoniare che la famiglia continua ad essere la cellula essenziale della società e il contesto di base in cui si imparano e si esercitano le virtù umane è un prezioso servizio da offrire per la costruzione di un mondo dal volto più umano.
7. Come insegna Mosè nello Shemà (cfr. Dt 6,5; Lv 19,34) – e Gesù riafferma nel Vangelo (cfr. Mc 12,19-31), tutti i comandamenti si riassumono nell’amore di Dio e nella misericordia verso il prossimo. Tale Regola impegna Ebrei e Cristiani ad esercitare, nel nostro tempo, una generosità speciale verso i poveri, le donne, i bambini, gli stranieri, i malati, i deboli, i bisognosi. Nella tradizione ebraica c’è un mirabile detto dei Padri d’Israele: "Simone il Giusto era solito dire: Il mondo si fonda su tre cose: la Torah, il culto e gli atti di misericordia" (Aboth 1,2). Con l’esercizio della giustizia e della misericordia, Ebrei e Cristiani sono chiamati ad annunciare e a dare testimonianza al Regno dell’Altissimo che viene, e per il quale preghiamo e operiamo ogni giorno nella speranza.
8. In questa direzione possiamo compiere passi insieme, consapevoli delle differenze che vi sono tra noi, ma anche del fatto che se riusciremo ad unire i nostri cuori e le nostre mani per rispondere alla chiamata del Signore, la sua luce si farà più vicina per illuminare tutti i popoli della terra. I passi compiuti in questi quarant’anni dal Comitato Internazionale congiunto cattolico-ebraico e, in anni più recenti, dalla Commissione Mista della Santa Sede e del Gran Rabbinato d’Israele, sono un segno della comune volontà di continuare un dialogo aperto e sincero. Proprio domani la Commissione Mista terrà qui a Roma il suo IX incontro su "L’insegnamento cattolico ed ebraico sul creato e l’ambiente"; auguriamo loro un proficuo dialogo su un tema tanto importante e attuale.
9. Cristiani ed Ebrei hanno una grande parte di patrimonio spirituale in comune, pregano lo stesso Signore, hanno le stesse radici, ma rimangono spesso sconosciuti l’uno all’altro. Spetta a noi, in risposta alla chiamata di Dio, lavorare affinché rimanga sempre aperto lo spazio del dialogo, del reciproco rispetto, della crescita nell’amicizia, della comune testimonianza di fronte alle sfide del nostro tempo, che ci invitano a collaborare per il bene dell’umanità in questo mondo creato da Dio, l’Onnipotente e il Misericordioso.
10. Infine un pensiero particolare per questa nostra Città di Roma, dove, da circa due millenni, convivono, come disse il Papa Giovanni Paolo II, la Comunità cattolica con il suo Vescovo e la Comunità ebraica con il suo Rabbino Capo; questo vivere assieme possa essere animato da un crescente amore fraterno, che si esprima anche in una cooperazione sempre più stretta per offrire un valido contributo nella soluzione dei problemi e delle difficoltà da affrontare.
Invoco dal Signore il dono prezioso della pace in tutto il mondo, soprattutto in Terra Santa. Nel mio pellegrinaggio del maggio scorso, a Gerusalemme, presso il Muro del Tempio, ho chiesto a Colui che può tutto: "manda la tua pace in Terra Santa, nel Medio Oriente, in tutta la famiglia umana; muovi i cuori di quanti invocano il tuo nome, perché percorrano umilmente il cammino della giustizia e della compassione" (Preghiera al Muro Occidentale di Gerusalemme, 12 maggio 2009).
Nuovamente elevo a Lui il ringraziamento e la lode per questo nostro incontro, chiedendo che Egli rafforzi la nostra fraternità e renda più salda la nostra intesa.
["Genti tutte, lodate il Signore,
popoli tutti, cantate la sua lode,
perché forte è il suo amore per noi
e la fedeltà del Signore dura per sempre".
Alleluia" (Sal 117)]
[00062-01.02] [Testo originale: Italiano]
● TRADUZIONE NON UFFICIALE IN LINGUA INGLESE
"What marvels the Lord worked for them!
What marvels the Lord worked for us:
Indeed we were glad" (Ps 126)
"How good and how pleasant it is
when brothers live in unity" (Ps 133)
Dear Chief Rabbi of the Jewish Community of Rome,
President of the Union of Italian Jewish Communities,
President of the Jewish Community of Rome,
Rabbis,
Distinguished Authorities,
Friends, Brothers and Sisters,
1. At the beginning of this encounter in the Great Synagogue of the Jews of Rome, the Psalms which we have heard suggest to us the right spiritual attitude in which to experience this particular and happy moment of grace: the praise of the Lord, who has worked marvels for us and has gathered us in his Hèsed, his merciful love, and thanksgiving to him for granting us this opportunity to come together to strengthen the bonds which unite us and to continue to travel together along the path of reconciliation and fraternity. I wish to express first of all my sincere gratitude to you, Chief Rabbi, Doctor Riccardo Di Segni, for your invitation and for the thoughtful words which you have addressed to me. I wish to thank also the President of the Union of Italian Jewish Communities, Mr Renzo Gattegna, and the President of the Jewish Community of Rome, Mr Riccardo Pacifici, for their courteous greetings. My thoughts go to the Authorities and to all present, and they extend in a special way, to the entire Jewish Community of Rome and to all who have worked to bring about this moment of encounter and friendship which we now share.
When he came among you for the first time, as a Christian and as Pope, my Venerable Predecessor John Paul II, almost 24 years ago, wanted to make a decisive contribution to strengthening the good relations between our two communities, so as to overcome every misconception and prejudice. My visit forms a part of the journey already begun, to confirm and deepen it. With sentiments of heartfelt appreciation, I come among you to express to you the esteem and the affection which the Bishop and the Church of Rome, as well as the entire Catholic Church, have towards this Community and all Jewish communities around the world.
2. The teaching of the Second Vatican Council has represented for Catholics a clear landmark to which constant reference is made in our attitude and our relations with the Jewish people, marking a new and significant stage. The Council gave a strong impetus to our irrevocable commitment to pursue the path of dialogue, fraternity and friendship, a journey which has been deepened and developed in the last forty years, through important steps and significant gestures. Among them, I should mention once again the historic visit by my Venerable Predecessor to this Synagogue on 13 April 1986, the numerous meetings he had with Jewish representatives, both here in Rome and during his Apostolic Visits throughout the world, the Jubilee Pilgrimage which he made to the Holy Land in the year 2000, the various documents of the Holy See which, following the Second Vatican Council’s Declaration Nostra Aetate, have made helpful contributions to the increasingly close relations between Catholics and Jews. I too, in the course of my Pontificate, have wanted to demonstrate my closeness to and my affection for the people of the Covenant. I cherish in my heart each moment of the pilgrimage that I had the joy of making to the Holy Land in May of last year, along with the memories of numerous meetings with Jewish Communities and Organizations, in particular my visits to the Synagogues of Cologne and New York.
Furthermore, the Church has not failed to deplore the failings of her sons and daughters, begging forgiveness for all that could in any way have contributed to the scourge of anti-Semitism and anti-Judaism (cf. Commission for Religious Relations with the Jews, We Remember: A Reflection on the Shoah, 16 March 1998). May these wounds be healed forever! The heartfelt prayer which Pope John Paul II offered at the Western Wall on 26 March 2000 comes back to my mind, and it calls forth a profound echo in our hearts: "God of our Fathers, you chose Abraham and his descendants to bring your Name to the nations: we are deeply saddened by the behaviour of those who in the course of history have caused these children of yours to suffer, and asking your forgiveness we wish to commit ourselves to genuine brotherhood with the people of the Covenant."
3. The passage of time allows us to recognize in the Twentieth Century a truly tragic period for humanity: ferocious wars that sowed destruction, death and suffering like never before; frightening ideologies, rooted in the idolatry of man, of race, and of the State, which led to brother killing brother. The singular and deeply disturbing drama of the Shoah represents, as it were, the most extreme point on the path of hatred that begins when man forgets his Creator and places himself at the centre of the universe. As I noted during my visit of 28 May 2006 to the Auschwitz Concentration camp, which is still profoundly impressed upon my memory, "the rulers of the Third Reich wanted to crush the entire Jewish people", and, essentially, "by wiping out this people, they intended to kill the God who called Abraham, who spoke on Sinai and laid down principles to serve as a guide for mankind, principles that remain eternally valid" (Discourse at Auschwitz-Birkenau Concentration Camp: The Teachings of Pope Benedict XVI, II, 1 [2006], p.727).
Here in this place, how could we not remember the Roman Jews who were snatched from their homes, before these very walls, and who with tremendous brutality were killed at Auschwitz? How could one ever forget their faces, their names, their tears, the desperation faced by these men, women and children? The extermination of the people of the Covenant of Moses, at first announced, then systematically programmed and put into practice in Europe under the Nazi regime, on that day tragically reached as far as Rome. Unfortunately, many remained indifferent, but many, including Italian Catholics, sustained by their faith and by Christian teaching, reacted with courage, often at risk of their lives, opening their arms to assist the Jewish fugitives who were being hunted down, and earning perennial gratitude. The Apostolic See itself provided assistance, often in a hidden and discreet way.
The memory of these events compels us to strengthen the bonds that unite us so that our mutual understanding, respect and acceptance may always increase.
4. Our closeness and spiritual fraternity find in the Holy Bible - in Hebrew Sifre Qodesh or "Book of Holiness" – their most stable and lasting foundation, which constantly reminds us of our common roots, our history and the rich spiritual patrimony that we share. It is in pondering her own mystery that the Church, the People of God of the New Covenant, discovers her own profound bond with the Jews, who were chosen by the Lord before all others to receive his word (cf. Catechism of the Catholic Church, 839). "The Jewish faith, unlike other non-Christian religions, is already a response to God’s revelation in the Old Covenant. To the Jews ‘belong the sonship, the glory, the covenants, the giving of the law, the worship, and the promises; to them belong the patriarchs and of their race, according to the flesh is the Christ’ (Rom 9:4-5), ‘for the gifts and the call of God are irrevocable!’ (Rom 11:29)" (Ibid).
5. Many lessons may be learnt from our common heritage derived from the Law and the Prophets. I would like to recall some of them: first of all, the solidarity which binds the Church to the Jewish people "at the level of their spiritual identity", which offers Christians the opportunity to promote "a renewed respect for the Jewish interpretation of the Old Testament" (cf. Pontifical Biblical Commission, The Jewish people and their Sacred Scriptures in the Christian Bible, 2001, pp.12 and 55); the centrality of the Decalogue as a common ethical message of permanent value for Israel, for the Church, for non-believers and for all of humanity; the task of preparing or ushering in the Kingdom of the Most High in the "care for creation" entrusted by God to man for him to cultivate and to care for responsibly (cf. Gen 2:15).
6. In particular, the Decalogue – the "Ten Words" or Ten Commandments (cf. Ex 20:1-17; Dt 5:1-21) – which comes from the Torah of Moses, is a shining light for ethical principles, hope and dialogue, a guiding star of faith and morals for the people of God, and it also enlightens and guides the path of Christians. It constitutes a beacon and a norm of life in justice and love, a "great ethical code" for all humanity. The "Ten Commandments" shed light on good and evil, on truth and falsehood, on justice and injustice, and they match the criteria of every human person’s right conscience. Jesus himself recalled this frequently, underlining the need for active commitment in living the way of the Commandments: "If you wish to enter into life, observe the Commandments" (Mt 19:17). From this perspective, there are several possible areas of cooperation and witness. I would like to recall three that are especially important for our time.
The "Ten Commandments" require that we recognize the one Lord, against the temptation to construct other idols, to make golden calves. In our world there are many who do not know God or who consider him superfluous, without relevance for their lives; hence, other new gods have been fabricated to whom man bows down. Reawakening in our society openness to the transcendent dimension, witnessing to the one God, is a precious service which Jews and Christians can and must offer together.
The "Ten Commandments" call us to respect life and to protect it against every injustice and abuse, recognizing the worth of each human person, created in the image and likeness of God. How often, in every part of the world, near and far, the dignity, the freedom and the rights of human beings are trampled upon! Bearing witness together to the supreme value of life against all selfishness, is an important contribution to a new world where justice and peace reign, a world marked by that "shalom" which the lawgivers, the prophets and the sages of Israel longed to see.
The "Ten Commandments" call us to preserve and to promote the sanctity of the family, in which the personal and reciprocal, faithful and definitive "Yes" of man and woman makes room for the future, for the authentic humanity of each, and makes them open, at the same time, to the gift of new life. To witness that the family continues to be the essential cell of society and the basic environment in which human virtues are learned and practised is a precious service offered in the construction of a world with a more human face.
7. As Moses taught in the Shema (cf. Dt 6:5; Lev 19:34) – and as Jesus reaffirms in the Gospel (cf. Mk 12:19-31), all of the Commandments are summed up in the love of God and loving-kindness towards one’s neighbour. This Rule urges Jews and Christians to exercise, in our time, a special generosity towards the poor, towards women and children, strangers, the sick, the weak and the needy. In the Jewish tradition there is a wonderful saying of the Fathers of Israel: "Simon the Just often said: The world is founded on three things: the Torah, worship, and acts of mercy" (Avoth 1:2). In exercising justice and mercy, Jews and Christians are called to announce and to bear witness to the coming Kingdom of the Most High, for which we pray and work in hope each day.
8. On this path we can walk together, aware of the differences that exist between us, but also aware of the fact that when we succeed in uniting our hearts and our hands in response to the Lord’s call, his light comes closer and shines on all the peoples of the world. The progress made in the last forty years by the International Committee for Catholic-Jewish Relations and, in more recent years, by the Mixed Commission of the Chief Rabbinate of Israel and of the Holy See, are a sign of our common will to continue an open and sincere dialogue. Tomorrow here in Rome, in fact, the Mixed Commission will hold its ninth meeting, on "Catholic and Jewish Teaching on Creation and the Environment"; we wish them a profitable dialogue on such a timely and important theme.
9. Christians and Jews share to a great extent a common spiritual patrimony, they pray to the same Lord, they have the same roots, and yet they often remain unknown to each other. It is our duty, in response to God’s call, to strive to keep open the space for dialogue, for reciprocal respect, for growth in friendship, for a common witness in the face of the challenges of our time, which invite us to cooperate for the good of humanity in this world created by God, the Omnipotent and Merciful.
10. Finally, I offer a particular reflection on this, our city of Rome, where, for nearly two millennia, as Pope John Paul II said, the Catholic Community with its Bishop and the Jewish Community with its Chief Rabbi have lived side by side. May this proximity be animated by a growing fraternal love, expressed also in closer cooperation, so that we may offer a valid contribution to solving the problems and difficulties that we still face.
I beg from the Lord the precious gift of peace in the world, above all in the Holy Land. During my pilgrimage there last May, at the Western Wall in Jerusalem, I prayed to Him who can do all things, asking: "Send your peace upon this Holy Land, upon the Middle East, upon the entire human family; stir the hearts of those who call upon your name, to walk humbly in the path of justice and compassion" (Prayer at the Western Wall of Jerusalem, 12 May 2009).
I give thanks and praise to God once again for this encounter, asking him to strengthen our fraternal bonds and to deepen our mutual understanding.
"O praise the Lord, all you nations,
acclaim him, all you peoples.
Strong is his love for us,
He is faithful forever.
Alleluia" (Ps 117)
[00062-02.01] [Original text: Italian]
[B0034-XX.02]