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VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA DI PASQUA, 22.03.2008


Alle ore 21 il Santo Padre Benedetto XVI presiede, nella Basilica Vaticana, la solenne Veglia nella Notte Santa di Pasqua.
La Veglia ha inizio nell’atrio della Basilica di San Pietro con la benedizione del fuoco e l’accensione del cero pasquale. Alla processione verso l’Altare con il cero pasquale e il canto dell’Exsultet, fanno seguito la Liturgia della Parola, la Liturgia Battesimale e la Liturgia Eucaristica, concelebrata con i Cardinali.
Nel corso della Liturgia Battesimale, il Santo Padre amministra i Sacramenti dell’iniziazione cristiana a 7 catecumeni - 5 donne e 2 uomini - provenienti da diversi Paesi. Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia dopo la proclamazione del Santo Vangelo:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Nel suo discorso d’addio, Gesù ha annunciato ai discepoli la sua imminente morte e risurrezione con una frase misteriosa. Dice: "Vado e vengo da voi" (Gv 14, 28). Il morire è un andare via. Anche se il corpo del deceduto rimane ancora – egli personalmente è andato via verso l’ignoto e noi non possiamo seguirlo (cfr Gv 13, 36). Ma nel caso di Gesù c’è una novità unica che cambia il mondo. Nella nostra morte l’andare via è una cosa definitiva, non c’è ritorno. Gesù, invece, dice della sua morte: "Vado e vengo da voi". Proprio nell’andare via, Egli viene. Il suo andare inaugura un modo tutto nuovo e più grande della sua presenza. Col suo morire Egli entra nell’amore del Padre. Il suo morire è un atto d’amore. L’amore, però, è immortale. Per questo il suo andare via si trasforma in un nuovo venire, in una forma di presenza che giunge più nel profondo e non finisce più. Nella sua vita terrena Gesù, come tutti noi, era legato alle condizioni esterne dell’esistenza corporea: a un determinato luogo e a un determinato tempo. La corporeità pone dei limiti alla nostra esistenza. Non possiamo essere contemporaneamente in due luoghi diversi. Il nostro tempo è destinato a finire. E tra l’io e il tu c’è il muro dell’alterità. Certo, nell’amore possiamo in qualche modo entrare nell’esistenza dell’altro. Rimane, tuttavia, la barriera invalicabile dell’essere diversi. Gesù, invece, che ora mediante l’atto dell’amore è totalmente trasformato, è libero da tali barriere e limiti. Egli è in grado di passare non solo attraverso le porte esteriori chiuse, come ci raccontano i Vangeli (cfr Gv 20, 19). Può passare attraverso la porta interiore tra l’io e il tu, la porta chiusa tra l’ieri e l’oggi, tra il passato ed il domani. Quando, nel giorno del suo ingresso solenne in Gerusalemme, un gruppo di Greci aveva chiesto di vederLo, Gesù aveva risposto con la parabola del chicco di grano che, per portare molto frutto, deve passare attraverso la morte. Con ciò aveva predetto il proprio destino: Non voleva allora semplicemente parlare con questo o quell’altro Greco per qualche minuto. Attraverso la sua Croce, mediante il suo andare via, mediante il suo morire come il chicco di grano, sarebbe arrivato veramente presso i Greci, così che essi potessero vederLo e toccarLo nella fede. Il suo andare via diventa un venire nel modo universale della presenza del Risorto, ieri, oggi ed in eterno. Egli viene pure oggi ed abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi. Ora può oltrepassare anche il muro dell’alterità che separa l’io dal tu. Questo è avvenuto con Paolo, il quale descrive il processo della sua conversione e del suo Battesimo con le parole: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2, 20). Mediante la venuta del Risorto, Paolo ha ottenuto un’identità nuova. Il suo io chiuso si è aperto. Ora vive in comunione con Gesù Cristo, nel grande io dei credenti che sono divenuti – come egli definisce tutto ciò – "uno in Cristo" (Gal 3, 28).

Cari amici, così appare evidente, che le parole misteriose di Gesù nel Cenacolo ora – mediante il Battesimo – si rendono per voi di nuovo presenti. Nel Battesimo il Signore entra nella vostra vita per la porta del vostro cuore. Noi non stiamo più uno accanto all’altro o uno contro l’altro. Egli attraversa tutte queste porte. È questa la realtà del Battesimo: Egli, il Risorto, viene, viene a voi e congiunge la vita sua con quella vostra, tenendovi dentro al fuoco aperto del suo amore. Voi diventate un’unità, sì, una cosa sola con Lui, e così una cosa sola tra di voi. In un primo momento questo può sembrare assai teorico e poco realistico. Ma quanto più vivrete la vita da battezzati, tanto più potrete sperimentare la verità di questa parola. Le persone battezzate e credenti non sono mai veramente estranee l’una per l’altra. Possono separarci continenti, culture, strutture sociali o anche distanze storiche. Ma quando ci incontriamo, ci conosciamo in base allo stesso Signore, alla stessa fede, alla stessa speranza, allo stesso amore, che ci formano. Allora sperimentiamo che il fondamento delle nostre vite è lo stesso. Sperimentiamo che nel più profondo del nostro intimo siamo ancorati alla stessa identità, a partire dalla quale tutte le diversità esteriori, per quanto grandi possano anche essere, risultano secondarie. I credenti non sono mai totalmente estranei l’uno all’altro. Siamo in comunione a causa della nostra identità più profonda: Cristo in noi. Così la fede è una forza di pace e di riconciliazione nel mondo: è superata la lontananza, nel Signore siamo diventati vicini (cfr Ef 2, 13).

Questa intima natura del Battesimo come dono di una nuova identità viene rappresentata dalla Chiesa nel Sacramento mediante elementi sensibili. L’elemento fondamentale del Battesimo è l’acqua; accanto ad essa c’è in secondo luogo la luce che, nella Liturgia della Veglia Pasquale, emerge con grande efficacia. Gettiamo solo uno sguardo breve su questi due elementi. Nel capitolo conclusivo della Lettera agli Ebrei si trova un’affermazione su Cristo, nella quale l’acqua non compare direttamente, ma che, per il suo collegamento con l’Antico Testamento, lascia tuttavia trasparire il mistero dell’acqua e il suo significato simbolico. Là si legge: "Il Dio della pace ha fatto tornare dai morti il Pastore grande delle pecore in virtù del sangue di un’alleanza eterna" (cfr 13, 20). In questa frase echeggia una parola del Libro di Isaia, nella quale Mosè viene qualificato come il pastore che il Signore ha fatto uscire dall’acqua, dal mare (cfr 63, 11). E Gesù appare adesso come il nuovo Pastore, quello definitivo che porta a compimento ciò che Mosè aveva fatto: Egli ci conduce fuori dalle acque mortifere del mare, fuori dalle acque della morte. Possiamo in questo contesto ricordarci che Mosè dalla madre era stato messo in un cestello e deposto nel Nilo. Poi, per la provvidenza di Dio, era stato tirato fuori dall’acqua, portato dalla morte alla vita, e così – salvato egli stesso dalle acque della morte – poteva condurre gli altri facendoli passare attraverso il mare della morte. Gesù è per noi disceso nelle acque oscure della morte. Ma in virtù del suo sangue, ci dice la Lettera agli Ebrei, è stato fatto tornare dalla morte: il suo amore si è unito a quello del Padre e così dalla profondità della morte Egli ha potuto salire alla vita. Ora eleva noi dalle acque della morte alla vita vera. Sì, è ciò che avviene nel Battesimo: Egli ci tira su verso di sé, ci attira dentro la vera vita. Ci conduce attraverso il mare spesso così oscuro della storia, nelle cui confusioni e pericoli non di rado siamo minacciati di sprofondare. Nel Battesimo ci prende come per mano, ci conduce sulla via che passa attraverso il Mar Rosso di questo tempo e ci introduce nella vita duratura, in quella vera e giusta. Teniamo stretta la sua mano! Qualunque cosa succeda o ci venga incontro, non abbandoniamo la sua mano! Camminiamo allora sulla via che conduce alla vita.

In secondo luogo c’è il simbolo della luce e del fuoco. Gregorio di Tours, IV secolo, racconta di un’usanza che qua e là si è conservata a lungo, di prendere per la celebrazione della Veglia Pasquale il fuoco nuovo per mezzo di un cristallo direttamente dal sole: si riceveva, per così dire, luce e fuoco nuovamente dal cielo per accendere poi da essi tutte le luci e i fuochi dell’anno. È questo un simbolo di ciò che celebriamo nella Veglia Pasquale. Con la radicalità del suo amore, nel quale il cuore di Dio e il cuore dell’uomo si sono toccati, Gesù Cristo ha veramente preso la luce dal cielo e l’ha portata sulla terra – la luce della verità e il fuoco dell’amore che trasforma l’essere dell’uomo. Egli ha portato la luce, ed ora sappiamo chi è Dio e come è Dio. Così sappiamo anche come stanno le cose riguardo all’uomo; che cosa siamo noi e per che scopo esistiamo. Venir battezzati significa che il fuoco di questa luce viene calato giù nel nostro intimo. Per questo, nella Chiesa antica il Battesimo veniva chiamato anche il Sacramento dell’illuminazione: la luce di Dio entra in noi; così diventiamo noi stessi figli della luce. Questa luce della verità che ci indica la via, non vogliamo lasciare che si spenga. Vogliamo proteggerla contro tutte le potenze che intendono estinguerla per rigettarci nel buio su Dio e su noi stessi. Il buio, di tanto in tanto, può sembrare comodo. Posso nascondermi e passare la mia vita dormendo. Noi però non siamo chiamati alle tenebre, ma alla luce. Nelle promesse battesimali accendiamo, per così dire, nuovamente anno dopo anno questa luce: sì, credo che il mondo e la mia vita non provengono dal caso, ma dalla Ragione eterna e dall’Amore eterno, sono creati dal Dio onnipotente. Sì, credo che in Gesù Cristo, nella sua incarnazione, nella sua croce e risurrezione si è manifestato il Volto di Dio; che in Lui Dio è presente in mezzo a noi, ci unisce e ci conduce verso la nostra meta, verso l’Amore eterno. Sì, credo che lo Spirito Santo ci dona la Parola di verità ed illumina il nostro cuore; credo che nella comunione della Chiesa diventiamo tutti un solo Corpo col Signore e così andiamo incontro alla risurrezione e alla vita eterna. Il Signore ci ha donato la luce della verità. Questa luce è insieme anche fuoco, forza da parte di Dio, una forza che non distrugge, ma vuole trasformare i nostri cuori, affinché noi diventiamo veramente uomini di Dio e affinché la sua pace diventi operante in questo mondo.

Nella Chiesa antica c’era la consuetudine, che il Vescovo o il sacerdote dopo l’omelia esortasse i credenti esclamando: "Conversi ad Dominum" – volgetevi ora verso il Signore. Ciò significava innanzitutto che essi si volgevano verso Est – nella direzione del sorgere del sole come segno del Cristo che torna, al quale andiamo incontro nella celebrazione dell’Eucaristia. Dove, per qualche ragione, ciò non era possibile, essi in ogni caso si volgevano verso l’immagine di Cristo nell’abside o verso la Croce, per orientarsi interiormente verso il Signore. Perché, in definitiva, si trattava di questo fatto interiore: della conversio, del volgersi della nostra anima verso Gesù Cristo e così verso il Dio vivente, verso la luce vera. Era collegata con ciò poi l’altra esclamazione che ancora oggi, prima del Canone, viene rivolta alla comunità credente: "Sursum corda" – in alto i cuori, fuori da tutti gli intrecci delle nostre preoccupazioni, dei nostri desideri, delle nostre angosce, della nostra distrazione – in alto i vostri cuori, il vostro intimo! In ambedue le esclamazioni veniamo in qualche modo esortati ad un rinnovamento del nostro Battesimo: Conversi ad Dominum – sempre di nuovo dobbiamo distoglierci dalle direzioni sbagliate, nelle quali ci muoviamo così spesso con il nostro pensare ed agire. Sempre di nuovo dobbiamo volgerci verso di Lui, che è la Via, la Verità e la Vita. Sempre di nuovo dobbiamo diventare dei "convertiti", rivolti con tutta la vita verso il Signore. E sempre di nuovo dobbiamo lasciare che il nostro cuore sia sottratto alla forza di gravità, che lo tira giù, e sollevarlo interiormente in alto: nella verità e l’amore. In questa ora ringraziamo il Signore, perché in virtù della forza della sua parola e dei santi Sacramenti Egli ci orienta nella direzione giusta e attrae verso l’alto il nostro cuore. E lo preghiamo così: Sì, Signore, fa che diventiamo persone pasquali, uomini e donne della luce, ricolmi del fuoco del tuo amore. Amen.

[00466-01.02] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Chers frères et sœurs,

Dans son discours d’adieu, Jésus a annoncé à ses disciples, par une phrase mystérieuse, sa mort imminente et sa résurrection. Il dit : « Je m’en vais, et je reviens vers vous » (Jn 14, 28). Mourir c’est s’en aller. Même si le corps du défunt demeure encore –personnellement, il s’en est allé vers l’inconnu et nous ne pouvons pas le suivre (cf. Jn 13, 36). Mais dans le cas de Jésus, il y a une nouveauté unique, qui change le monde. Dans notre mort, s’en aller, c’est quelque chose de définitif, il n’y a pas de retour. Jésus, au contraire, dit de sa mort : « Je m’en vais, et je reviens vers vous ». En réalité, dans ce départ, il vient. Son départ inaugure pour lui un mode de présence totalement nouveau et plus grand. Par sa mort il entre dans l’amour du Père. Sa mort est un acte d’amour. Mais l’amour est immortel. C’est pourquoi son départ se transforme en un nouveau retour, en une forme de présence qui parvient plus en profondeur et qui ne finit plus. Dans sa vie terrestre, Jésus, comme nous tous, était lié aux conditions extérieures de l’existence corporelle : à un lieu déterminé et à un temps donné. La corporéité met des limites à notre existence. Nous ne pouvons pas être en même temps en deux lieux différents. Notre temps est destiné à finir. Et entre le je et le tu il y a le mur de l’altérité. Bien sûr, dans l’amour nous pouvons d’une certaine façon entrer dans l’existence d’autrui. Cependant, la barrière qui vient du fait que nous sommes différents demeure infranchissable. Au contraire, Jésus, qui est maintenant totalement transformé par l’action de l’amour, est libéré de ces barrières et de ces limites. Il est en mesure de passer non seulement à travers les portes extérieures fermées, comme nous le racontent les Évangiles (cf. Jn 20, 19). Il peut passer à travers la porte intérieure entre le je et le tu, la porte fermée entre l’hier et l’aujourd’hui, entre le passé et l’avenir. Quand, le jour de son entrée solennelle à Jérusalem, un groupe de Grecs avait demandé à le voir, Jésus avait répondu par la parabole du grain de blé qui, pour porter beaucoup de fruit, doit passer par la mort. De cette manière, il avait prédit son propre destin : il ne voulait pas alors simplement parler avec tel ou tel Grec pour quelques minutes. Par sa Croix, à travers son départ, à travers sa mort comme le grain de blé, il serait vraiment arrivé auprès des Grecs, si bien que ces derniers pourraient le voir et le toucher dans la foi. Son départ devient un retour dans le mode universel de la présence du Ressuscité, dans lequel il est présent hier, aujourd’hui et pour l’éternité ; dans lequel il embrasse tous les temps et tous les lieux. Maintenant il peut aussi franchir le mur de l’altérité qui sépare le je du tu. Cela est arrivé avec Paul, qui décrit le processus de sa conversion et de son baptême par ces paroles : « Je vis, mais ce n’est plus moi, c’est le Christ qui vit en moi » (Ga 2, 20). Par la venue du Ressuscité, Paul a obtenu une identité nouvelle. Son moi fermé s’est ouvert. Désormais il vit en communion avec Jésus Christ, dans le grand moi des croyants qui sont devenus – comme il le définit – « un dans le Christ » (Ga 3, 28).

Chers amis, il apparaît donc évident que – par le Baptême – les paroles mystérieuses de Jésus au Cénacle se font maintenant de nouveau présentes pour vous. Dans le Baptême, le Seigneur entre dans votre vie par la porte de votre cœur. Nous ne sommes plus l’un à côté de l’autre ou l’un contre l’autre. Le Seigneur traverse toutes ces portes. Telle est la réalité du Baptême : lui, le Ressuscité, vient, il vient à vous et il associe sa vie à la vôtre, vous tenant dans le feu ouvert de son amour. Vous devenez une unité, oui, un avec Lui, et de ce fait un entre vous. Dans un premier temps, cela peut sembler très théorique et peu réaliste. Mais plus vous vivrez la vie de baptisés, plus vous pourrez faire l’expérience de la vérité de ces paroles. Les personnes baptisées et croyantes ne sont jamais vraiment étrangères l’une à l’autre. Des continents, des cultures, des structures sociales ou encore des distances historiques peuvent nous séparer. Mais quand nous nous rencontrons, nous nous connaissons selon le même Seigneur, la même foi, la même espérance, le même amour, qui nous forment. Nous faisons alors l’expérience que le fondement de nos vies est le même. Nous faisons l’expérience que, au plus profond de nous-mêmes, nous sommes ancrés dans la même identité, à partir de laquelle toutes les différences extérieures, aussi grandes qu’elles puissent encore être, se révèlent secondaires. Les croyants ne sont jamais totalement étrangers l’un à l’autre. Nous sommes en communion en raison de notre identité la plus profonde : le Christ en nous. Ainsi la foi est une force de paix et de réconciliation dans le monde : l’éloignement est dépassé ; dans le Seigneur nous sommes devenus proches (cf. Ep 2, 13).

Cette nature profonde du Baptême comme don d’une nouvelle identité est représentée par l’Église dans le sacrement au moyen d’éléments sensibles. L’élément fondamental du Baptême est l’eau ; à côté d’elle, il y a en deuxième lieu la lumière qui, dans la liturgie de la Veillée pascale, jaillit avec une grande efficacité. Jetons seulement un regard sur ces deux éléments. Dans le dernier chapitre de la Lettre aux Hébreux se trouve une affirmation sur le Christ, dans laquelle l’eau n’apparaît pas directement, mais qui, en raison de son lien avec l’Ancien Testament, laisse cependant transparaître le mystère de l’eau et sa signification symbolique. On y lit : « Le Dieu de la paix a fait remonter d’entre les morts le berger des brebis, Pasteur par excellence, grâce au sang de l’Alliance éternelle » (cf. 13, 20). Dans cette phrase, est évoquée une parole du Livre d’Isaïe, dans laquelle Moïse est qualifié comme le pasteur que le Seigneur a fait sortir de l’eau, de la mer (cf. 63, 11). Jésus apparaît comme le nouveau Pasteur, le pasteur définitif qui porte à son accomplissement ce que Moïse avait fait : il nous conduit hors des eaux mortifères de la mer, hors des eaux de la mort. Dans ce contexte, nous pouvons nous souvenir que Moïse avait été mis par sa mère dans une corbeille et déposé dans le Nil. Ensuite, par la providence de Dieu, il avait été tiré de l’eau, porté de la mort à la vie, et ainsi – sauvé lui-même des eaux de la mort – il pouvait conduire les autres en les faisant passer à travers la mer de la mort. Pour nous Jésus est descendu dans les eaux obscures de la mort. Mais en vertu de son sang, nous dit la Lettre aux Hébreux, il a été remonté de la mort : son amour s’est uni à celui du Père et ainsi, de la profondeur de la mort, il a pu remonter à la vie. Maintenant il nous élève de la mort à la vraie vie. Oui, c’est ce qui se réalise dans le Baptême : il nous remonte vers lui, il nous attire dans la vraie vie. Il nous conduit à travers la mer souvent si obscure de l’histoire, où nous sommes fréquemment menacés de sombrer, au milieu des confusions et des dangers. Dans le Baptême, il nous prend comme par la main, il nous conduit sur le chemin qui passe à travers la Mer Rouge de ce temps et il nous introduit dans la vie sans fin, celle qui est vraie et juste. Tenons serrée sa main ! Quoiqu’il arrive ou quel que soit ce que nous rencontrons, n’abandonnons pas sa main ! Nous marchons alors sur le chemin qui conduit à la vie.

En second lieu, il y a le symbole de la lumière et du feu. Grégoire de Tours parle d’un usage qui, ici et là, s’est conservé longtemps, de prendre le feu nouveau pour la célébration de la Veillée pascale directement du soleil, au moyen d’un cristal : on recevait, à nouveau pour ainsi dire, lumière et feu du ciel, pour en allumer ensuite toutes les lumières et les feux de l’année. C’est un symbole de ce que nous célébrons dans la Veillée pascale. Par son amour, qui a un caractère radical et dans lequel le cœur de Dieu et le cœur de l’homme se sont touchés, Jésus Christ a vraiment pris la lumière du ciel et l’a apportée sur la terre – la lumière de la vérité et le feu de l’amour qui transforment l’être de l’homme. Il a apporté la lumière, et maintenant nous savons qui est Dieu et comment est Dieu. De ce fait, nous savons aussi comment sont les choses qui concernent l’homme ; ce que nous sommes, nous, et dans quel but nous existons. Etre baptisés signifie que le feu de cette lumière est descendu jusqu’au plus intime de nous-mêmes. C’est pourquoi, dans l’Église ancienne, le Baptême était appelé aussi le Sacrement de l’illumination : la lumière de Dieu entre en nous ; nous devenons ainsi nous-mêmes fils de la lumière. Cette lumière de la vérité qui nous indique le chemin, nous ne voulons pas la laisser s’éteindre. Nous voulons la protéger contre toutes les puissances qui veulent l’éteindre pour faire en sorte que nous soyons dans l’obscurité sur Dieu et sur nous-mêmes. De temps en temps, l’obscurité peut sembler commode. Je peux me cacher et passer ma vie à dormir. Cependant, nous ne sommes pas appelés aux ténèbres mais à la lumière. Dans les promesses baptismales, nous allumons, pour ainsi dire, de nouveau cette lumière, année après année : oui, je crois que le monde et ma vie ne proviennent pas du hasard, mais de la Raison éternelle et de l’Amour éternel, et qu’ils sont créés par le Dieu tout-puissant. Oui, je crois qu’en Jésus Christ, par son incarnation, par sa croix et sa résurrection, s’est manifesté le Visage de Dieu ; et qu’en Lui Dieu est présent au milieu de nous, qu’il nous unit et nous conduit vers notre but, vers l’Amour éternel. Oui, je crois que l’Esprit Saint nous donne la Parole de vérité et illumine notre cœur ; je crois que dans la communion de l’Église nous devenons tous un seul Corps avec le Seigneur et ainsi nous allons à la rencontre de la résurrection et de la vie éternelle. Le Seigneur nous a donné la lumière de la vérité. Cette lumière est en même temps feu, force qui vient de Dieu, force qui ne détruit pas, mais qui veut transformer nos cœurs, afin que nous devenions vraiment des hommes de Dieu et que sa paix devienne efficace en ce monde.

Dans l’Église ancienne, il était habituel que l’Évêque ou le prêtre après l’homélie exhorte les croyants en s’exclamant : « Conversi ad Dominum » – tournez-vous maintenant vers le Seigneur. Cela signifiait avant tout qu’ils se tournaient vers l’Est – dans la direction du lever du soleil comme signe du Christ qui revient, à la rencontre duquel nous allons dans la célébration de l’Eucharistie. Là où, pour une raison quelconque, cela n’était pas possible, en tout cas, ils se tournaient vers l’image du Christ, dans l’abside ou vers la Croix, pour s’orienter intérieurement vers le Seigneur. Car, en définitive, il s’agissait d’un fait intérieur : de la conversio, de tourner notre âme vers Jésus Christ et ainsi vers le Dieu vivant, vers la vraie lumière. Était aussi lié à cela l’autre exclamation qui, aujourd’hui encore, avant le Canon, est adressée à la communauté croyante : «Sursum corda » – élevons nos cœurs hors de tous les enchevêtrements de nos préoccupations, de nos désirs, de nos angoisses, de notre distraction – élevez vos cœurs, le plus profond de vous-même ! Dans les deux exclamations, nous sommes en quelque sorte exhortés à un renouvellement de notre Baptême : Conversi ad Dominum – nous devons toujours de nouveau nous détourner des mauvaises directions dans lesquelles nous nous mouvons si souvent en pensée et en action. Nous devons toujours de nouveau nous tourner vers Lui, qui est le Chemin, la Vérité et la Vie. Nous devons toujours de nouveau devenir des « convertis », tournés avec toute notre vie vers le Seigneur. Et nous devons toujours de nouveau faire en sorte que notre cœur soit soustrait à la force de gravité qui le tire vers le bas, et que nous l’élevions intérieurement vers le haut : dans la vérité et l’amour. En cette heure, remercions le Seigneur, parce qu’en vertu de la force de sa parole et de ses Sacrements, il nous oriente dans la juste direction et attire notre cœur vers le haut. Et nous le prions ainsi : Oui, Seigneur, fait que nous devenions des personnes pascales, des hommes et des femmes de la lumière, remplis du feu de ton amour. Amen.

[00466-03.01] [Texte original: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Dear Brothers and Sisters,

In his farewell discourse, Jesus announced his imminent death and resurrection to his disciples with these mysterious words: “I go away, and I will come to you”, he said (Jn 14:28). Dying is a “going away”. Even if the body of the deceased remains behind, he himself has gone away into the unknown, and we cannot follow him (cf. Jn 13:36). Yet in Jesus’s case, there is something utterly new, which changes the world. In the case of our own death, the “going away” is definitive, there is no return. Jesus, on the other hand, says of his death: “I go away, and I will come to you.” It is by going away that he comes. His going ushers in a completely new and greater way of being present. By dying he enters into the love of the Father. His dying is an act of love. Love, however, is immortal. Therefore, his going away is transformed into a new coming, into a form of presence which reaches deeper and does not come to an end. During his earthly life, Jesus, like all of us, was tied to the external conditions of bodily existence: to a determined place and a determined time. Bodiliness places limits on our existence. We cannot be simultaneously in two different places. Our time is destined to come to an end. And between the “I” and the “you” there is a wall of otherness. To be sure, through love we can somehow enter the other’s existence. Nevertheless, the insurmountable barrier of being different remains in place. Yet Jesus, who is now totally transformed through the act of love, is free from such barriers and limits. He is able not only to pass through closed doors in the outside world, as the Gospels recount (cf. Jn 20:19). He can pass through the interior door separating the “I” from the “you”, the closed door between yesterday and today, between the past and the future. On the day of his solemn entry into Jerusalem, when some Greeks asked to see him, Jesus replied with the parable of the grain of wheat which has to pass through death in order to bear much fruit. In this way he foretold his own destiny: these words were not addressed simply to one or two Greeks in the space of a few minutes. Through his Cross, through his going away, through his dying like the grain of wheat, he would truly arrive among the Greeks, in such a way that they could see him and touch him through faith. His going away is transformed into a coming, in the Risen Lord’s universal manner of presence, yesterday, today and for ever. He also comes today, and he embraces all times and all places. Now he can even surmount the wall of otherness that separates the “I” from the “you”. This happened with Paul, who describes the process of his conversion and his Baptism in these words: “it is no longer I who live, but Christ who lives in me” (Gal 2:20). Through the coming of the Risen One, Paul obtained a new identity. His closed “I” was opened. Now he lives in communion with Jesus Christ, in the great “I” of believers who have become – as he puts it – “one in Christ” (Gal 3:28).

So, dear friends, it is clear that, through Baptism, the mysterious words spoken by Jesus at the Last Supper become present for you once more. In Baptism, the Lord enters your life through the door of your heart. We no longer stand alongside or in opposition to one another. He passes through all these doors. This is the reality of Baptism: he, the Risen One, comes; he comes to you and joins his life with yours, drawing you into the open fire of his love. You become one, one with him, and thus one among yourselves. At first this can sound rather abstract and unrealistic. But the more you live the life of the baptized, the more you can experience the truth of these words. Believers – the baptized – are never truly cut off from one another. Continents, cultures, social structures or even historical distances may separate us. But when we meet, we know one another on the basis of the same Lord, the same faith, the same hope, the same love, which form us. Then we experience that the foundation of our lives is the same. We experience that in our inmost depths we are anchored in the same identity, on the basis of which all our outward differences, however great they may be, become secondary. Believers are never totally cut off from one another. We are in communion because of our deepest identity: Christ within us. Thus faith is a force for peace and reconciliation in the world: distances between people are overcome, in the Lord we have become close (cf. Eph 2:13).

The Church expresses the inner reality of Baptism as the gift of a new identity through the tangible elements used in the administration of the sacrament. The fundamental element in Baptism is water; next, in second place, is light, which is used to great effect in the Liturgy of the Easter Vigil. Let us take a brief look at these two elements. In the final chapter of the Letter to the Hebrews, there is a statement about Christ which does not speak directly of water, but the Old Testament allusions nevertheless point clearly to the mystery of water and its symbolic meaning. Here we read: “The God of peace … brought again from the dead our Lord Jesus, the great shepherd of the sheep, by the blood of the eternal covenant” (13:20). In this sentence, there is an echo of the prophecy of Isaiah, in which Moses is described as the shepherd whom the Lord brought up from the water, from the sea (cf. 63:11). And Jesus now appears as the new, definitive Shepherd who brings to fulfilment what Moses had done: he leads us out of the deadly waters of the sea, out of the waters of death. In this context we may recall that Moses’ mother placed him in a basket in the Nile. Then, through God’s providence, he was taken out of the water, carried from death to life, and thus – having himself been saved from the waters of death – he was able to lead others through the sea of death. Jesus descended for us into the dark waters of death. But through his blood, so the Letter to the Hebrews tells us, he was brought back from death: his love united itself to the Father’s love, and thus from the abyss of death he was able to rise to life. Now he raises us from the waters of death to true life. This is exactly what happens in Baptism: he draws us towards himself, he draws us into true life. He leads us through the often murky sea of history, where we are frequently in danger of sinking amid all the confusion and perils. In Baptism he takes us, as it were, by the hand, he leads us along the path that passes through the Red Sea of this life and introduces us to everlasting life, the true and upright life. Let us grasp his hand firmly! Whatever may happen, whatever may befall us, let us not lose hold of his hand! Let us walk along the path that leads to life.

In the second place, there is the symbol of light and fire. Gregory of Tours (4th century) recounts a practice that in some places was preserved for a long time, of lighting the new fire for the celebration of the Easter Vigil directly from the sun, using a crystal. Light and fire, so to speak, were received anew from heaven, so that all the lights and fires of the year could be kindled from them. This is a symbol of what we are celebrating in the Easter Vigil. Through his radical love for us, in which the heart of God and the heart of man touched, Jesus Christ truly took light from heaven and brought it to the earth – the light of truth and the fire of love that transform man’s being. He brought the light, and now we know who God is and what God is like. Thus we also know what our human situation is: what we are, and for what purpose we exist. When we are baptized, the fire of this light is brought down deep within ourselves. Thus, in the early Church, Baptism was also called the Sacrament of Illumination: God’s light enters into us; thus we ourselves become children of light. We must not allow this light of truth, that shows us the path, to be extinguished. We must protect it from all the forces that seek to eliminate it so as to cast us back into darkness regarding God and ourselves. Darkness, at times, can seem comfortable. I can hide, and spend my life asleep. Yet we are not called to darkness, but to light. In our baptismal promises, we rekindle this light, so to speak, year by year. Yes, I believe that the world and my life are not the product of chance, but of eternal Reason and eternal Love, they are created by Almighty God. Yes, I believe that in Jesus Christ, in his incarnation, in his Cross and resurrection, the face of God has been revealed; that in him, God is present in our midst, he unites us and leads us towards our goal, towards eternal Love. Yes, I believe that the Holy Spirit gives us the word of truth and enlightens our hearts; I believe that in the communion of the Church we all become one Body with the Lord, and thus we encounter his resurrection and eternal life. The Lord has granted us the light of truth. This light is also fire, a powerful force coming from God, a force that does not destroy, but seeks to transform our hearts, so that we truly become men of God, and so that his peace can become active in this world.

In the early Church there was a custom whereby the Bishop or the priest, after the homily, would cry out to the faithful: “Conversi ad Dominum” – turn now towards the Lord. This meant in the first place that they would turn towards the East, towards the rising sun, the sign of Christ returning, whom we go to meet when we celebrate the Eucharist. Where this was not possible, for some reason, they would at least turn towards the image of Christ in the apse, or towards the Cross, so as to orient themselves inwardly towards the Lord. Fundamentally, this involved an interior event; conversion, the turning of our soul towards Jesus Christ and thus towards the living God, towards the true light. Linked with this, then, was the other exclamation that still today, before the Eucharistic Prayer, is addressed to the community of the faithful: “Sursum corda” – “Lift up your hearts”, high above all our misguided concerns, desires, anxieties and thoughtlessness – “Lift up your hearts, your inner selves!” In both exclamations we are summoned, as it were, to a renewal of our Baptism: Conversi ad Dominum – we must always turn away from false paths, onto which we stray so often in our thoughts and actions. We must turn ever anew towards him who is the Way, the Truth and the Life. We must be converted ever anew, turning with our whole life towards the Lord. And ever anew we must withdraw our hearts from the force of gravity, which pulls them down, and inwardly we must raise them high: in truth and love. At this hour, let us thank the Lord, because through the power of his word and of the holy Sacraments, he points us in the right direction and draws our heart upwards. Let us pray to him in these words: Yes, Lord, make us Easter people, men and women of light, filled with the fire of your love. Amen.

[00466-02.02] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

Liebe Brüder und Schwestern!

In seinen Abschiedsreden hat Jesus den Jüngern seinen bevorstehenden Tod und seine Auferstehung mit einem geheimnisvollen Satz angekündigt. Er sagt: „Ich gehe und ich komme zu euch" (Joh 14, 28). Sterben ist ein Weggehen. Auch wenn der Körper des Toten noch bleibt, er selbst ist weggegangen ins Unbekannte, und wir können ihm nicht folgen (vgl. Joh 13, 36). Aber bei Jesus gibt es etwas einzigartig Neues, das die Welt verändert. Das Weggehen in unserem Tod ist definitiv, es gibt keine Rückkehr. Jesus aber sagt über seinen Tod: „Ich gehe und ich komme zu euch." Gerade indem er geht, kommt er. Sein Gehen eröffnet eine ganz neue und größere Weise seiner Anwesenheit. Er geht mit seinem Sterben hinein in die Liebe des Vaters. Sein Sterben ist ein Akt der Liebe. Die Liebe aber ist unsterblich. Deshalb verwandelt sich sein Weggehen in ein neues Kommen, in eine tiefer reichende und nicht mehr endende Form von Gegenwart. In seinem irdischen Leben war Jesus wie wir alle an die äußeren Bedingungen unseres körperlichen Daseins gebunden: an diesen Ort, an diese Zeit. Die Leibhaftigkeit beschränkt unser Dasein. Wir können nicht gleichzeitig an einem und an einem anderen Ort sein. Unsere Zeit ist endlich. Und zwischen ich und du steht die Wand der Andersheit. Gewiß, in der Liebe können wir irgendwie in die Existenz des anderen eintreten. Dennoch bleibt die unüberschreitbare Schranke des Andersseins. Jesus aber, der nun ganz durch den Akt der Liebe umgewandelt ist, ist frei von diesen Schranken und Grenzen. Er kann nicht nur äußerlich Türen durchschreiten, die verschlossen sind, wie uns die Evangelien erzählen (vgl. Joh 20, 19). Er kann die innere Tür von ich und du durchschreiten, die verschlossene Tür zwischen gestern und heute, zwischen damals und morgen. Als am Tag seines feierlichen Einzugs in Jerusalem eine Gruppe von Griechen gebeten hatte, ihn zu sehen, hat er mit dem Gleichnis vom Weizenkorn geantwortet, das durch den Tod hindurchgehen muß, um viele Frucht zu tragen. Er hatte damit sein eigenes Geschick vorausgesagt: Nicht jetzt für ein paar Minuten wollte er mit diesem oder jenem Griechen reden. Durch sein Kreuz hindurch, durch sein Gehen, durch sein Sterben als Weizenkorn kam er wirklich zu den Griechen, so daß sie ihn sehen konnten und ihn berühren durften im Glauben. Sein Gehen wird zum Kommen in der universalen Weise der Gegenwart des Auferstandenen – gestern, heute und in Ewigkeit. Auch heute kommt er und umspannt alle Zeiten und Orte. Er kann nun auch die Wand der Andersheit durchschreiten, die ich und du voneinander trennt. So ist es Paulus geschehen, der den Vorgang seiner Bekehrung und seiner Taufe mit den Worten beschreibt: Ich lebe, doch nicht mehr ich, sondern Christus lebt in mir (Gal 2, 20). Durch das Kommen des Auferstandenen hat Paulus eine neue Identität erhalten. Sein verschlossenes Ich ist aufgebrochen. Er lebt nun in der Gemeinschaft mit Jesus Christus, in dem großen Ich der Glaubenden, die mit Christus – wie er es ausdrückt – ein einziger geworden sind (Gal 3, 28).

Liebe Freunde, so wird sichtbar, daß die geheimnisvollen Worte Jesu im Abendmahlssaal jetzt, bei euch – durch die Taufe – wieder Gegenwart werden. In der Taufe tritt der Herr durch die Tür eures Herzens in euer Leben ein. Wir stehen nicht mehr nebeneinander oder gegeneinander. Er durchschreitet all diese Türen. Das ist Taufe: Er, der Auferstandene, kommt, kommt zu euch und verbindet sein Leben mit dem eurigen, hält euch in die offene Flamme seiner Liebe hinein. Ihr werdet eins, ja einer mit ihm und so eins untereinander. Das mag zunächst sehr theoretisch und unwirklich klingen. Aber je mehr ihr das Leben als Getaufte lebt, desto mehr könnt ihr die Wahrheit dieses Wortes erfahren. Getaufte, gläubige Menschen sind nie wirklich fremd füreinander. Kontinente können uns voneinander trennen, Kulturen und soziale Situationen, geschichtliche Entfernungen. Aber wenn wir einander treffen, kennen wir uns durch den gleichen Herrn, den gleichen Glauben, die gleiche Hoffnung, die gleiche Liebe, die uns formen. Dann erfahren wir, daß unsere Lebensgrundlage dieselbe ist. Daß wir vom Innersten her in der gleichen Identität verankert sind, von der her alle noch so großen äußeren Unterschiede zweitrangig werden. Glaubende sind nie ganz fremd füreinander. Uns verbindet unsere tiefste Identität: Christus in uns. So ist Glaube eine Kraft des Friedens und der Versöhnung in der Welt: Die Ferne ist überwunden, im Herrn sind wir einander nahe geworden (vgl. Eph 2, 13).

Dieses innerste Wesen der Taufe als Geschenk einer neuen Identität stellt die Kirche im Sakrament in sinnlichen Elementen dar. Das Grundelement der Taufe ist das Wasser; neben ihm steht an zweiter Stelle das Licht, das in der Liturgie der Osternacht mit großer Eindruckskraft hervortritt. Werfen wir nur einen kurzen Blick auf diese beiden Elemente. Im Schlußkapitel des Briefs an die Hebräer steht ein Wort über Christus, in dem das Wasser nicht vorkommt, das aber durch seine Bindung an das Alte Testament doch das Geheimnis des Wassers, seine zeichenhafte Bedeutung durchscheinen läßt. Da heißt es: „Der Gott des Friedens hat Jesus, den großen Hirten der Schafe, von den Toten heraufgeführt, durch das Blut eines ewigen Bundes" (13, 20). In diesem Satz klingt ein Wort aus dem Jesaja-Buch durch, in dem Mose als der Hirte bezeichnet wird, den der Herr aus dem Wasser, aus dem Meer herausgeführt hat (63, 11). Und Jesus erscheint jetzt als der neue, der endgültige Hirte, der zur Vollendung führt, was Mose getan hat: Er führt uns aus den tödlichen Wassern des Meeres, aus den Wassern des Todes heraus. Dabei können wir uns daran erinnern, daß Mose von seiner Mutter in einem Körblein in den Nil gelegt worden war und daß er durch Gottes Fügung aus dem Wasser gezogen worden war, aus dem Tod ins Leben gebracht und so - selbst aus den Wassern des Todes gerettet - andere durch das Todesmeer hindurchführen konnte. Jesus ist für uns in die dunklen Wasser des Todes hinabgestiegen. Aber durch sein Blut, so sagt uns der Hebräer-Brief, ist er heraufgeführt worden aus dem Tod: Seine Liebe hat sich geeint mit der des Vaters, und so konnte er aus der Tiefe des Todes heraufsteigen ins Leben. Nun zieht er uns aus den Wassern des Todes ins wirkliche Leben herauf. Ja, dies geschieht in der Taufe: Er zieht uns herauf zu sich, er zieht uns ins wirkliche Leben hinein. Er führt uns durch das oft so dunkle Meer der Geschichte, in dessen Verwirrungen und Gefährdungen wir oft zu versinken drohen. In der Taufe nimmt er uns gleichsam an die Hand und führt uns den Weg durch das Rote Meer dieser Zeit hindurch in das bleibende, in das wirkliche und rechte Leben hinein. Halten wir seine Hand fest. Was immer geschieht oder auf uns zukommt: Lassen wir seine Hand nicht los. Dann gehen wir den Weg zum Leben.

An zweiter Stelle steht das Symbol des Lichts und des Feuers. Gregor von Tours (4. Jahrhundert) erzählt uns von dem Brauch, der sich da und dort lange erhalten hat, für die Feier der Osternacht das neue Feuer mit einem Kristall von der Sonne zu holen: Licht und Feuer gleichsam vom Himmel her neu zu empfangen, um daran dann alle Lichter und Feuer des kommenden Jahres zu entzünden. Dies ist ein Sinnbild für das, was wir in der Osternacht feiern. Jesus Christus hat mit der Radikalität seiner Liebe, in der sich das Herz Gottes und des Menschen berührten, wirklich das Licht vom Himmel auf die Erde geholt – das Licht der Wahrheit und das Feuer der das Menschsein verwandelnden Liebe. Er hat das Licht gebracht, und nun wissen wir, wer Gott ist und wie Gott ist. So wissen wir auch, was es um den Menschen ist; was wir sind und wozu wir sind. Getauft werden bedeutet, daß das Feuer dieses Lichts in unser Inneres eingesenkt wird. Die Taufe wurde daher in der alten Kirche auch Sakrament der Erleuchtung genannt: Das Licht Gottes tritt in uns herein; so werden wir selbst zu Kindern des Lichts. Dieses Licht der Wahrheit, das uns den Weg zeigt, wollen wir in uns nicht erlöschen lassen. Wir wollen es hüten gegen all die Mächte, die es auslöschen, uns wieder ins Gottesdunkel und in das Dunkel über uns selbst zurückwerfen möchten. Das Dunkel kann zeitweise bequem erscheinen. Ich kann mich verstecken und kann mein Leben verschlafen. Aber wir sind nicht zum Dunkel berufen, sondern zum Licht. In den Taufgelübden zünden wir gleichsam Jahr um Jahr dieses Licht neu an: Ja, ich glaube daran, daß die Welt und mein Leben nicht aus dem Zufall stammen, sondern aus der ewigen Vernunft und der ewigen Liebe, von Gott dem Allmächtigen geschaffen. Ja, ich glaube daran, daß in Jesus Christus, in seiner Menschwerdung, seinem Kreuz und seiner Auferstehung sich das Gesicht Gottes gezeigt hat. Daß in ihm Gott da ist, mitten unter uns und uns zueinander, an unser Ziel, zur ewigen Liebe führt. Ja, ich glaube daran, daß der Heilige Geist uns das Wort der Wahrheit schenkt und unser Herz erleuchtet; daß in der Gemeinschaft der Kirche wir alle mit dem Herrn ein Leib werden und so auf die Auferstehung und das ewige Leben zugehen. Der Herr hat uns das Licht der Wahrheit geschenkt. Dieses Licht ist zugleich Feuer, Kraft von Gott her, die nicht zerstört, sondern unsere Herzen umwandeln will, damit wir wahrhaft Menschen Gottes werden und sein Friede in dieser Welt wirksam werde.

In der alten Kirche war es üblich, daß der Bischof oder der Priester den Gläubigen nach der Predigt zurief: „Conversi ad Dominum" – wendet euch nun auf den Herrn zu. Das bedeutete zunächst, daß sie sich nach Osten wendeten – in die Richtung der aufgehenden Sonne als Zeichen des wiederkehrenden Christus, dem wir in der Feier der Eucharistie entgegengehen. Wo aus irgendwelchen Gründen dies nicht möglich war, wendeten sie sich jedenfalls dem Christusbild in der Apsis oder dem Kreuz zu, um so inwendig die Richtung auf den Herrn hin einzunehmen. Denn letztlich ging es um dies Innere: um die Conversio, um die Wendung unserer Seele auf Jesus Christus und so auf den lebendigen Gott hin, auf das wahre Licht. Damit hing dann der andere Ruf zusammen, der auch heute noch vor dem Hochgebet an die gläubige Gemeinde ergeht: „Sursum corda" – das Herz nach oben, heraus aus allen Verquerungen in unsere Sorgen, in unser Begehren, in unsere Ängste, in unsere Gedankenlosigkeit – das Herz, euer Innerstes in die Höhe! In beiden Rufen werden wir gleichsam zu einer Erneuerung unserer Taufe aufgefordert: Conversi ad Dominum – immer wieder müssen wir uns herauswenden aus den verkehrten Richtungen, in die wir so oft mit unserem Denken und Handeln gehen. Immer neu müssen wir uns hinwenden zu ihm, der Weg, Wahrheit und Leben ist. Immer neu müssen wir Bekehrte werden, mit dem ganzen Leben auf den Herrn zugewandt. Und immer neu müssen wir unser Herz aus der Schwerkraft, die nach unten zieht, herausholen lassen und inwendig nach oben heben: in die Wahrheit und in die Liebe hinein. In dieser Stunde danken wir dem Herrn, daß er durch die Kraft seines Wortes und der heiligen Sakramente uns in die rechte Richtung wendet und unser Herz in die Höhe zieht. Und wir bitten ihn: Ja, Herr, laß uns österliche Menschen werden, Menschen des Lichts, erfüllt vom Feuer deiner Liebe. Amen.

[00466-05.02] [Originalsprache: Italienisch]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

Queridos hermanos y hermanas:

En su discurso de despedida, Jesús anunció a los discípulos su inminente muerte y resurrección con una frase misteriosa: «Me voy y vuelvo a vuestro lado» (Jn 14, 28). Morir es partir. Aunque el cuerpo del difunto aún permanece, él personalmente se marchó hacia lo desconocido y nosotros no podemos seguirlo (cf. Jn 13, 36). Pero en el caso de Jesús existe una novedad única que cambia el mundo. En nuestra muerte el partir es algo definitivo; no hay retorno. Jesús, en cambio, dice de su muerte: «Me voy y vuelvo a vuestro lado». Precisamente al irse, regresa. Su marcha inaugura un modo totalmente nuevo y más grande de su presencia. Con su muerte entra en el amor del Padre. Su muerte es un acto de amor. Ahora bien, el amor es inmortal. Por este motivo su partida se transforma en un retorno, en una forma de presencia que llega hasta lo más profundo y no acaba nunca. En su vida terrena Jesús, como todos nosotros, estaba sujeto a las condiciones externas de la existencia corpórea: a un lugar determinado y a un tiempo determinado. La corporeidad pone límites a nuestra existencia. No podemos estar simultáneamente en dos lugares diferentes. Nuestro tiempo está destinado a acabarse. Entre el yo y el tú está el muro de la alteridad. Ciertamente, por el amor podemos entrar, de algún modo, en la existencia del otro. Sin embargo, queda la barrera infranqueable de que somos diversos. En cambio, Jesús, que por el acto de amor ha sido transformado totalmente, está libre de esas barreras y límites. No sólo es capaz de atravesar las puertas exteriores cerradas, como nos narran los Evangelios (cf. Jn 20, 19). También puede atravesar la puerta interior entre el yo y el tú, la puerta cerrada entre el ayer y el hoy, entre el pasado y el porvenir. Cuando, en el día de su entrada solemne en Jerusalén, un grupo de griegos pidió verlo, Jesús respondió con la parábola del grano de trigo que, para dar mucho fruto, tiene que morir. De ese modo predijo su propio destino: no quería limitarse a hablar unos minutos con algunos griegos. A través de su cruz, de su partida, de su muerte como el grano de trigo, llegaría realmente a los griegos, de modo que ellos pudieran verlo y tocarlo por la fe. Su partida se convierte en un venir en el modo universal de la presencia del Resucitado ayer, hoy y siempre. Él viene también hoy y abraza todos los tiempos y todos los lugares. Ahora puede superar también el muro de la alteridad que separa el yo del tú. Esto sucedió a san Pablo, que describe el proceso de su conversión y su bautismo con las palabras: «Ya no vivo yo, es Cristo quien vive en mí» (Ga 2, 20). Con la llegada del Resucitado, san Pablo obtuvo una identidad nueva. Su yo cerrado se abrió. Ahora vive en comunión con Jesucristo en el gran yo de los creyentes que se han convertido —como él afirma— en «uno en Cristo» (Ga 3, 28).

Queridos amigos, así se pone de manifiesto que las palabras misteriosas que pronunció Jesús en el Cenáculo ahora —mediante el bautismo— se hacen de nuevo presentes para vosotros. En el bautismo el Señor entra en vuestra vida por la puerta de vuestro corazón. Nosotros no estamos ya uno junto a otro o uno contra otro. Él atraviesa todas estas puertas. Esta es la realidad del bautismo: él, el Resucitado, viene, viene a vosotros y une su vida a la vuestra, introduciéndoos en el fuego vivo de su amor. Formáis una unidad; sí, sois uno con él y de este modo sois uno entre vosotros. En un primer momento esto puede parecer muy teórico y poco realista. Pero cuanto más viváis la vida de bautizados, tanto más podréis experimentar la verdad de estas palabras. En realidad, las personas bautizadas y creyentes nunca son extrañas las unas para las otras. Pueden separarnos continentes, culturas, estructuras sociales o también distancias históricas. Pero cuando nos encontramos nos conocemos en el mismo Señor, en la misma fe, en la misma esperanza, en el mismo amor, que nos conforman. Entonces experimentamos que el fundamento de nuestra vida es el mismo. Experimentamos que en lo más profundo de nosotros mismos estamos enraizados en la misma identidad, a partir de la cual todas las diversidades exteriores, por más grandes que sean, resultan secundarias. Los creyentes no son nunca totalmente extraños el uno para el otro. Estamos en comunión a causa de nuestra identidad más profunda: Cristo en nosotros. Así la fe es una fuerza de paz y reconciliación en el mundo; la lejanía ha sido superada, pues estamos unidos en el Señor (cf. Ef 2, 13).

Esta naturaleza íntima del bautismo, como don de una nueva identidad, es representada por la Iglesia en el sacramento a través de elementos sensibles. El elemento fundamental del bautismo es el agua. En segundo lugar viene la luz, que en la liturgia de la Vigilia pascual destaca con gran eficacia. Reflexionemos brevemente sobre estos dos elementos. En el último capítulo de la carta a los Hebreos se encuentra una afirmación sobre Cristo en la que el agua no aparece directamente, pero que, por su relación con el Antiguo Testamento, deja traslucir el misterio del agua y su sentido simbólico. Allí se lee: «El Dios de la paz hizo volver de entre los muertos al gran Pastor de las ovejas en virtud de la sangre de la alianza eterna» (cf. Hb 13, 20). Esta frase guarda relación con unas palabras del libro de Isaías, en las que Moisés es calificado como el pastor que el Señor ha hecho salir del agua, del mar (cf. Is 63, 11). Jesús se presenta ahora como el nuevo y definitivo Pastor que lleva a cabo lo que Moisés hizo: nos saca de las aguas letales del mar, de las aguas de la muerte. En este contexto podemos recordar que Moisés fue colocado por su madre en una cesta en el Nilo. Luego, por providencia divina, fue sacado de las aguas, llevado de la muerte a la vida, y así —salvado él mismo de las aguas de la muerte— pudo conducir a los demás haciéndolos pasar a través del mar de la muerte. Jesús descendió por nosotros a las aguas oscuras de la muerte. Pero, como nos dice la carta a los Hebreos, en virtud de su sangre fue arrancado de la muerte: su amor se unió al del Padre y así, desde la profundidad de la muerte, pudo subir a la vida. Ahora nos eleva de las aguas de la muerte a la vida verdadera. Sí, esto es lo que ocurre en el bautismo: él nos atrae hacía sí, nos atrae a la vida verdadera. Nos conduce por el mar de la historia, a menudo tan oscuro, en cuyas confusiones y peligros frecuentemente corremos el riesgo de hundirnos. En el bautismo nos toma de la mano, nos conduce por el camino que atraviesa el Mar Rojo de este tiempo y nos introduce en la vida eterna, en la vida verdadera y justa. Apretemos su mano. Pase lo que pase, no soltemos su mano. Caminemos, pues, por la senda que conduce a la vida.

En segundo lugar está el símbolo de la luz y del fuego. San Gregorio de Tours, en el siglo IV, narra la costumbre, que se ha mantenido durante mucho tiempo en ciertas partes, de tomar el fuego nuevo para la celebración de la Vigilia pascual directamente del sol a través de un cristal: así se recibía la luz y el fuego nuevamente del cielo para encender luego todas las luces y fuegos del año. Se trata de un símbolo de lo que celebramos en la Vigilia pascual. Con la radicalidad de su amor, en el que el corazón de Dios y el corazón del hombre se han entrelazado, Jesucristo ha tomado verdaderamente la luz del cielo y la ha traído a la tierra: la luz de la verdad y el fuego del amor que transforma el ser del hombre. Él ha traído la luz, y ahora sabemos quién es Dios y cómo es Dios. Así también sabemos cómo están las cosas con respecto al hombre; qué somos y para qué existimos. Ser bautizados significa que el fuego de esta luz ha penetrado hasta lo más íntimo de nosotros mismos. Por esto, en la Iglesia antigua, al bautismo se le llamaba también el sacramento de la iluminación: la luz de Dios entra en nosotros; así nos convertimos nosotros mismos en hijos de la luz. No queremos dejar que se apague esta luz de la verdad que nos indica el camino. Queremos protegerla frente a todas las fuerzas que pretenden extinguirla para arrojarnos en la oscuridad sobre Dios y sobre nosotros mismos. La oscuridad, de vez en cuando, puede parecer cómoda. Puedo esconderme y pasar mi vida durmiendo. Pero nosotros no hemos sido llamados a las tinieblas, sino a la luz. En las promesas bautismales, por decirlo así, encendemos nuevamente año tras año esta luz: sí, creo que el mundo y mi vida no provienen del azar, sino de la Razón eterna y del Amor eterno; han sido creados por Dios omnipotente. Sí, creo que en Jesucristo, en su encarnación, en su cruz y resurrección, se ha manifestado el Rostro de Dios; que en él Dios está presente entre nosotros, nos une y nos conduce hacia nuestra meta, hacia el Amor eterno. Sí, creo que el Espíritu Santo nos da la Palabra de verdad e ilumina nuestro corazón. Creo que en la comunión de la Iglesia nos convertimos todos en un solo Cuerpo con el Señor y así caminamos hacia la resurrección y la vida eterna. El Señor nos ha dado la luz de la verdad. Al mismo tiempo esta luz es también fuego, fuerza de Dios, una fuerza que no destruye, sino que quiere transformar nuestro corazón, para que seamos realmente hombres de Dios y para que su paz actúe en este mundo.

En la Iglesia antigua existía la costumbre de que el obispo o el sacerdote, después de la homilía, exhortara a los creyentes exclamando: «Conversi ad Dominum», «Volveos ahora hacia el Señor». Eso significaba ante todo que ellos se volvían hacia el este, en la dirección por donde sale el sol como signo de Cristo que vuelve, a cuyo encuentro vamos en la celebración de la Eucaristía. Donde, por alguna razón, eso no era posible, dirigían su mirada a la imagen de Cristo en el ábside o a la cruz, para orientarse interiormente hacia el Señor. Porque, en definitiva, se trataba de este hecho interior: de la conversio, de dirigir nuestra alma hacia Jesucristo y, de ese modo, hacia el Dios vivo, hacia la luz verdadera. Además, se hacía también otra exclamación que aún hoy, antes del Canon, se dirige a la comunidad creyente: «Sursum corda», «Levantemos el corazón», fuera de la maraña de nuestras preocupaciones, de nuestros deseos, de nuestras angustias, de nuestra distracción. Levantad vuestro corazón, vuestra interioridad. Con ambas exclamaciones se nos exhorta de alguna manera a renovar nuestro bautismo. Conversi ad Dominum: siempre debemos apartarnos de los caminos equivocados, en los que tan a menudo nos movemos con nuestro pensamiento y nuestras obras. Siempre tenemos que dirigirnos a él, que es el camino, la verdad y la vida. Siempre hemos de ser «convertidos», dirigir toda la vida a Dios. Y siempre tenemos que dejar que nuestro corazón sea sustraído de la fuerza de gravedad, que lo atrae hacia abajo, y levantarlo interiormente hacia lo alto: hacia la verdad y el amor. En esta hora damos gracias al Señor, porque en virtud de la fuerza de su palabra y de los santos sacramentos nos indica el itinerario correcto y atrae hacia lo alto nuestro corazón. Y lo pedimos así: Sí, Señor, haz que nos convirtamos en personas pascuales, hombres y mujeres de la luz, llenos del fuego de tu amor. Amén

[00466-04.02] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

Amados irmãos e irmãs,

No seu discurso de despedida, Jesus anunciou aos discípulos sua morte e ressurreição iminentes, com uma frase misteriosa: «Vou partir, mas voltarei para junto de vós» (Jo 14, 28). Morrer é partir. Embora fique ainda o corpo do morto – este pessoalmente partiu para o desconhecido e não podemos segui-lo (cf. Jo 13, 36). Mas, no caso de Jesus, há uma novidade única que muda o mundo. Na nossa morte, a partida é uma realidade definitiva, não há regresso. Pelo contrário Jesus, falando da sua morte, diz: «Vou partir, mas voltarei para junto de vós». É precisamente partindo que Ele vem. A sua partida inaugura um modo totalmente novo e maior da sua presença. Com a sua morte, Jesus entra no amor do Pai. A sua morte é um acto de amor. O amor, porém, é imortal. Por isso, a sua partida transforma-se numa nova vinda, numa forma de presença mais profunda que não acaba mais. Na sua vida terrena, Jesus, como todos nós, estava ligado às condições externas da existência corpórea: a um certo lugar e a um determinado tempo. A corporeidade coloca limites à nossa existência. Não podemos estar contemporaneamente em dois lugares diferentes. O nosso tempo tende a acabar. E entre o "eu" e o "tu" existe o muro da alteridade. Certamente, no amor, podemos de algum modo entrar na existência do outro. Mas permanece a barreira intransponível de sermos diversos. Pelo contrário, Jesus, que agora fica totalmente transformado por meio do acto de amor, está livre de tais barreiras e limites. É capaz não só de passar através das portas externas fechadas, como narram os Evangelhos (cf. Jo 20, 19), mas pode também passar através da porta interna entre o "eu" e o "tu", a porta fechada entre o ontem e o hoje, entre o passado e o amanhã. No dia da sua entrada triunfal em Jerusalém, quando um grupo de Gregos veio pedir para O ver, Jesus respondeu com a parábola do grão de trigo que, para dar muito fruto, deve passar através da morte. Predissera assim o seu próprio destino: Ele não queria simplesmente falar então com este ou aquele Grego durante alguns minutos. Através da sua cruz, mediante a sua partida, por meio da sua morte como o grão de trigo chegaria verdadeiramente até junto dos Gregos, de tal modo que estes pudessem vê-Lo e tocá-Lo na fé. A sua partida torna-se uma vinda no modo universal da presença do Ressuscitado, no qual Ele está presente ontem, hoje e para sempre; em que abraça todos os tempos e lugares. Agora pode ultrapassar também o muro da alteridade que separa o "eu" do "tu". Assim aconteceu com Paulo, que descreve o processo da sua conversão e do seu Baptismo com estas palavras: «Já não sou eu que vivo, é Cristo que vive em mim» (Gal 2, 20). Por meio da vinda do Ressuscitado, Paulo obteve uma identidade nova. O seu "eu" fechado abriu-se. Agora vive em comunhão com Jesus Cristo, no grande "eu" dos crentes que se tornaram – segundo definição dele – «um em Cristo» (Gal 3, 28).

Queridos amigos, deste modo resulta evidente que as palavras misteriosas de Jesus, no Cenáculo, agora – por meio do Baptismo – se tornam de novo presentes para vós. No Baptismo, o Senhor entra na vossa vida pela porta do vosso coração. Já não estamos um ao lado do outro ou um contra o outro. Ele atravessa todas estas portas. A realidade do Baptismo consiste nisto: Ele, o Ressuscitado, vem; vem até vós e une a sua vida com a vossa conservando-vos dentro do fogo vivo do seu amor. Passais a ser uma unidade: sim, um só com Ele e, deste modo, um só entre vós. Num primeiro momento, isto pode parecer bastante teórico e pouco realista. Mas quanto mais viverdes a vida de baptizados, tanto mais podereis experimentar a verdade desta palavra. As pessoas baptizadas e crentes nunca são verdadeiramente estranhas uma à outra. Podem separar-nos continentes, culturas, estruturas sociais ou mesmo distâncias históricas. Mas, quando nos encontramos, reconhecemo-nos com base no mesmo Senhor, na mesma fé, na mesma esperança e no mesmo amor, que nos formam. Então experimentamos que o fundamento das nossas vidas é o mesmo. Experimentamos que, no mais fundo do nosso íntimo, estamos ancorados à mesma identidade, a partir da qual todas as diferenças exteriores, por maiores que sejam, resultam secundárias. Os crentes nunca são totalmente estranhos um ao outro. Estamos em comunhão por causa da nossa identidade mais profunda: Cristo em nós. Deste modo, a fé é uma força de paz e reconciliação no mundo: fica superada a distância, no Senhor tornamo-nos próximos (cf. Ef 2, 13).

Esta natureza íntima do Baptismo como dom de uma nova identidade é representada pela Igreja através de elementos sensíveis. O elemento fundamental do Baptismo é a água; ao lado desta e em segundo lugar, temos a luz, que, na liturgia da Vigília Pascal, sobressai com grande vigor. Lancemos apenas um olhar sobre estes dois elementos. No capítulo conclusivo da Carta aos Hebreus, encontra-se uma afirmação sobre Cristo, na qual não aparece directamente a água, mas, vista na sua ligação com o Antigo Testamento, deixa transparecer o mistério da água e o seu significado simbólico. Diz o texto: «O Deus da paz fez voltar dos mortos o Pastor grande das ovelhas em virtude do sangue de uma aliança eterna» (cf. 13, 20). Ecoa, nesta frase, um trecho do Livro de Isaías, onde Moisés é designado como o pastor que o Senhor fez sair da água, do mar (cf. 63, 11). Jesus aparece como o novo e definitivo Pastor que leva a cumprimento o que Moisés tinha feito: Ele conduz-nos fora das águas mortíferas do mar, fora das águas da morte. Neste contexto, convém recordar que Moisés tinha sido colocado pela mãe num cesto e deposto no Nilo. Depois, pela providência de Deus, fora tirado para fora da água, trazido da morte à vida, e assim – salvo ele próprio das águas da morte – podia conduzir os outros fazendo-os passar através do mar da morte. Por nós, Jesus desceu às águas obscuras da morte. Mas, em virtude do seu sangue – diz-nos a Carta aos Hebreus – foi feito voltar da morte: o seu amor uniu-se ao do Pai e, assim, da profundidade da morte Ele pôde subir para a vida. Agora eleva-nos a nós da morte para a vida verdadeira. Sim, isto mesmo acontece no Baptismo: Jesus levanta-nos para Ele, atrai-nos para dentro da verdadeira vida. Conduz-nos através do mar frequentemente tão obscuro da história, em cujas confusões e perigos não é raro sentirmo-nos ameaçados de afundar. No Baptismo como que nos toma pela mão, conduz-nos pelo caminho que passa através do Mar Vermelho deste tempo e introduz-nos na vida duradoura, na vida verdadeira e justa. Agarremos bem a sua mão! Suceda o que suceder e implicando mais ou menos connosco, não larguemos a sua mão! Caminharemos então pela via que conduz à vida.

Em segundo lugar, temos o símbolo da luz e do fogo. Gregório de Tours refere o costume, que em diversos lugares se conservou durante muito tempo, de tomar o fogo novo, para a celebração da Vigília Pascal, directamente do sol por meio de um cristal: luz e fogo recebiam-se novamente, por assim dizer, do céu para depois, a partir deles, se acenderem todas as luzes e fogos do ano. Isto é um símbolo do que celebramos na Vigília Pascal. Com a radicalidade do seu amor, no qual se tocaram o coração de Deus e o coração do homem, Jesus tomou verdadeiramente a luz do céu e trouxe-a à terra – a luz da verdade e o fogo do amor que transformam o ser do homem. Ele trouxe a luz, e agora sabemos quem e como é Deus. De igual modo sabemos também como estão as coisas a respeito do homem: o que somos nós e para que fim existimos. Ser baptizados significa que o fogo desta luz desce ao nosso íntimo. Por isso, na Igreja Antiga, o Baptismo era chamado também o Sacramento da Iluminação: a luz de Deus entra em nós; assim nos tornamos nós próprios filhos da luz. Esta luz da verdade que nos aponta o caminho, não deixemos que se apague. Protejamo-la contra todas as forças que pretendem extingui-la para nos lançar novamente na escuridão de Deus e de nós mesmos. De vez em quando a escuridão pode-nos parecer cómoda. Posso esconder-me e passar a minha vida dormindo. Nós, porém, não somos chamados a viver nas trevas, mas na luz. Nas promessas baptismais, por assim dizer acendemos novamente, ano após ano, esta luz: sim, creio que o mundo e a minha vida não provêm do acaso, mas da Razão eterna e do Amor eterno, são criados por Deus omnipotente. Sim, creio que em Jesus Cristo, na sua encarnação, na sua cruz e ressurreição, se manifestou o Rosto de Deus; que, n’Ele, Deus está presente no meio de nós, nos une e conduz para a nossa meta, para o Amor eterno. Sim, creio que o Espírito Santo nos dá a Palavra da verdade e ilumina o nosso coração; creio que, na comunhão da Igreja, nos tornamos todos um só Corpo com o Senhor e, deste modo, vamos ao encontro da ressurreição e da vida eterna. O Senhor deu-nos a luz da verdade. Esta luz é ao mesmo tempo também fogo, força que nos vem de Deus: uma força que não destrói, mas quer transformar os nossos corações, para nos tornarmos verdadeiramente homens de Deus e para que a sua paz se torne operativa neste mundo.

Na Igreja Antiga, havia o costume de o Bispo ou o sacerdote, após a homilia, exortar os crentes exclamando: "Conversi ad Dominum – agora voltai-vos para o Senhor". Isto significava, antes de mais, que eles se viravam para o Oriente – na direcção donde nasce o sol como sinal de Cristo que volta, saindo ao seu encontro na celebração da Eucaristia. Nos lugares onde isso, por qualquer razão, não era possível fazer-se, os crentes voltavam-se para a imagem de Cristo na ábside ou para a cruz, a fim de se orientarem interiormente para o Senhor. Com efeito, em última análise era deste facto interior que se tratava: da conversio, de voltar a nossa alma para Jesus Cristo e, n’Ele, para o Deus vivo, para a luz verdadeira. Com isto estava ligada também a outra exclamação, que ainda hoje é dirigida à comunidade cristã, antes do Cânone: "Sursum corda – corações ao alto", fora de todos os enredos das nossas preocupações, dos nossos desejos, das nossas angústias, do nosso alheamento – ao alto, os vossos corações, o vosso íntimo! Nas duas exclamações, somos de algum modo exortados a uma renovação do nosso Baptismo: Conversi ad Dominum – sempre de novo nos devemos afastar das direcções erradas, em que tão frequentemente nos movemos com o nosso pensar e agir. Sempre de novo nos devemos voltar para Ele, que é o Caminho, a Verdade e a Vida. Sempre de novo nos devemos tornar "convertidos", com toda a vida voltada para o Senhor. E sempre de novo devemos deixar que o nosso coração seja subtraído à força da gravidade, que o puxa para baixo, e levantá-lo interiormente para o alto: para a verdade e o amor. Nesta hora, agradeçamos ao Senhor, porque Ele, com a força da sua palavra e dos sacramentos sagrados, nos orienta na justa direcção e atrai para o alto o nosso coração. E rezemos-Lhe deste modo: Sim, Senhor, fazei que nos tornemos pessoas pascais, homens e mulheres da luz, repletos do fogo do teu amor. Amen.

[00466-06.01] [Texto original: Italiano]

[B0202-XX.02]