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DOCUMENTO DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI E GLI ITINERANTI: "ORIENTAMENTI PER LA PASTORALE DELLA STRADA", 19.06.2007


INDICE

Presentazione

PRIMA Parte
Pastorale per gli utenti della strada

I. Il fenomeno della mobilità umana

Movimento stradale e progresso umano

II. La Parola di Dio illumina la strada

Spunti dall’Antico Testamento
Spunti dal Nuovo Testamento
Cristo è la Via, Egli è la Strada

III. Aspetti antropologici

La particolare psicologia dell’autista
Evasione dalla quotidianità e piacere di guidare
Istinto di dominio
Vanità ed esaltazione personale

Squilibrio comportamentale e relative conseguenze
Diverse manifestazioni
Un fenomeno non patologico

IV. Aspetti morali della guida

Guidare vuol dire «convivere»
Guidare significa controllarsi
Aspetti etici
Guida di un veicolo e suoi rischi
Obbligatorietà delle norme stradali
Responsabilità morale degli utenti della strada

V. Virtù cristiane del conducente e suo «decalogo»

Carità e servizio al prossimo
La virtù della Prudenza
La virtù della Giustizia
La virtù della Speranza
«Decalogo» del conducente

VI. Missione della Chiesa

Profezia, in una situazione grave e allarmante
Educazione stradale
Soggetti a cui rivolgersi
Appello del Concilio Ecumenico Vaticano II

VII. Pastorale della Strada

Evangelizzazione nell’ambiente della strada

seconda parte
Pastorale per la liberazione delle donne di strada

I. Alcuni punti fermi

La prostituzione è una forma di schiavitù
Migrazioni, traffico di esseri umani e diritti
Chi è la vittima della prostituzione?
Chi è il «cliente»?

II. Compito della Chiesa

Promuovere la dignità della persona
Nella solidarietà e nell’annuncio della Buona Novella
Approccio pluridimensionale

III. Recupero di donne e «clienti»

Educazione e ricerca
La Dottrina sociale cattolica

IV. Liberazione e redenzione

Prestazione di soccorso ed evangelizzazione

TERZA Parte
pastorale per i ragazzi di strada

I. Il fenomeno, le cause e possibili interventi

Il fenomeno
Le cause del fenomeno
Gli interventi e i loro obiettivi

II. Questioni di metodo

La pluridimensionalità

III. Compito di evangelizzazione e promozione umana

Una pastorale specifica
Una pastorale dell’incontro, una nuova evangelizzazione

IV. Alcune proposte concrete

V. Icone dell’educatore

Gesù Buon Pastore e i discepoli di Emmaus
Un unico traguardo finale

VI. Gli operatori pastorali

Preparazione
Insieme per un impegno comune
«In rete» e con un minimo di struttura pastorale

quarta parte
Pastorale per le persone senza fissa dimora

I. destinatari

Cause della situazione
Precarietà della situazione
La dignità delle persone

II. Metodi di approccio e mezzi di assistenza

La sollecitudine cristiana

 

Presentazione

Questi Orientamenti per la pastorale della strada, della quale si occupa uno specifico settore del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli itineranti, sono il frutto di una grande opera di ascolto, di ponderazione e di discernimento.

Il documento si struttura in quattro parti ben distinte, in considerazione della specificità e dell’ampiezza delle problematiche legate al luogo della strada come ambito pastorale: la prima parte è dedicata agli utenti della strada (automobilisti, camionisti, ecc) e della ferrovia –la strada ferrata– e a quanti lavorano nei vari servizi ad esse collegati; la seconda e la terza, rispettivamente, alle donne e ai ragazzi di strada, la quarta, infine, alle persone senza fissa dimora.

Il presente Documento è dedicato ai soggetti sopra indicati, anche se non bisogna dimenticare gli abitanti del marciapiede (pavement dwellers) e i venditori di strada (street vendors), né il legame con la strada dei turisti e dei pellegrini, dei nomadi, dei circensi, degli attori di strada.

Di alcune di queste categorie di persone il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli itineranti si è già occupato in tre documenti pubblicati in questo ultimo decennio: Orientamenti per una Pastorale degli Zingari1, Orientamenti per la Pastorale del Turismo2, Il Pellegrinaggio nel Grande Giubileo del 2000.3

Gli Orientamenti contenuti nel presente documento sono destinati a vescovi, sacerdoti, religiosi/e e agli operatori pastorali, per un ulteriore passo verso una pastorale sempre più attenta a tutte le espressioni della mobilità umana e integrata nella pastorale ordinaria, territoriale e parrocchiale.

Renato Raffaele Cardinale Martino
Presidente

+ Agostino Marchetto
Arcivescovo titolare di Astigi
Segretario

 

 

PRIMA Parte
Pastorale per gli utenti della strada

 

I. Il fenomeno della mobilità umana

1. È caratteristica dell’essere umano, fin da quando se ne conosce la storia, lo spostamento da un luogo ad un altro, il trasportare cose usando diversi mezzi. La mobilità e il peregrinare sono cioè espressioni della natura dell’uomo e del suo evolversi sul piano culturale.

2. Il traffico delle merci e il movimento delle persone aumentano oggi in modo vorticoso, avvengono talvolta in condizioni difficili e anche a rischio della vita. L’auto condiziona l’esistenza, poiché si è fatto della mobilità un idolo, che l’automobile simboleggia.

La strada e la ferrovia devono essere al servizio della persona umana, come strumenti per facilitarle la vita e lo sviluppo integrale della società. Esse devono costituire un ponte di comunicazione fra le genti, creando nuovi spazi economici e di umanità. È vero infatti che «attraverso le strade circola gran parte della vita di un Paese».4

3. Fenomeno odierno, gravido di conseguenze, all’interno di questa mobilità e del progresso che ne deriva, è «il traffico» in genere, in particolare quello stradale. Esso è andato gradualmente aumentando, come esigenza di una società in continuo sviluppo, anche a causa di mezzi di locomozione sempre più rapidi, e di accresciute dimensioni, impiegati per lo spostamento di persone e cose.

Movimento stradale e progresso umano

4. La strada non è più soltanto una via di comunicazione; essa diviene un luogo di vita, nel quale si passa gran parte del proprio tempo, anche nei Paesi in via di sviluppo. basti pensare a molte strade dissestate e percorse da mezzi di trasporto insicuri e strapieni, con grave pericolo per tutti, specialmente durante la notte.

5. I pericoli che corrono direttamente le persone provengono oltre che dalla congestione del traffico anche da altri problemi ad esso collegati: rumorosità, inquinamento atmosferico, uso intensivo di materie prime… Tali questioni devono essere affrontate e non subite passivamente, anche per limitare i costi di una modernizzazione che diventa insostenibile. In questo contesto non è inutile richiamare all’impegno di evitare di usare l’automobile senza necessità.

6. Certamente numerosi sono i vantaggi che ci offrono i veicoli in circolazione. Essi rappresentano un mezzo di spostamento rapido per le persone (per l’ accesso a luoghi di lavoro e di studio, uscite di fine settimana con la famiglia, trasferimenti per le vacanze, incontri di amicizia e parentela). lo stesso dicasi per le merci. Con l’uso di un veicolo viene favorita la vita sociale e lo sviluppo economico e molte persone hanno l’opportunità di un onesto guadagno per la vita.

7. Un altro aspetto positivo della mobilità è la possibilità di migliorare la dimensione umana di ciascuno, grazie alla conoscenza di altre culture e persone, di religione, etnia e costume differenti.5 Lo spostamento unisce le genti, ne facilita il dialogo, dando luogo a processi di socializzazione e di arricchimento personale, attraverso scoperte e conoscenze nuove.

8. I mezzi di trasporto si dimostrano particolarmente utili quando permettono di soccorrere malati e feriti, rendendo più facile e accessibile un intervento urgente. essi possono promuovere altresì l’esercizio delle virtù cristiane - prudenza, pazienza e carità nell’aiuto ai fratelli - tanto sul piano spirituale quanto su quello corporale. Possono costituire, infine, un’occasione per avvicinarsi a Dio, poiché facilitano la scoperta delle bellezze del creato, segno dell’amore senza limiti di Dio per noi.

Lo spirito del viaggiatore potrà anche elevarsi contemplando le varie testimonianze di religiosità che si scorgono lungo le strade o vicino alla ferrovia: chiese, campanili, cappelle, capitelli, croci, statue, mete di pellegrinaggi, a cui ci si dirige oggi con maggior facilità, usando appunto i mezzi di locomozione moderni.

9. Il movimento stradale e quello ferroviario sono, dunque, cosa buona, oltre che una esigenza ineluttabile della vita dell’uomo contemporaneo. Se egli fa buon uso dei mezzi di trasporto, accettandoli come doni che Dio gli concede, e che sono, al tempo stesso, frutto del lavoro delle sue mani operose e del suo ingegno, potrà trarne vantaggio per il proprio perfezionamento umano e cristiano.

II. La Parola di Dio illumina la strada

10. Dall’impegno cristiano nei luoghi del movimento stradale e ferroviario, che chiamiamo «Pastorale della Strada», proviene il dovere di elaborare e promuovere anche una adeguata e corrispondente espressione di «spiritualità», radicata nella Parola di Dio. Da una spiritualità così intesa scaturisce la luce capace di dare senso a tutta la vita, proprio a partire da quella vissuta nel movimento stradale e ferroviario. La mobilità, fenomeno che caratterizza l’uomo contemporaneo, deve essere vissuta da cristiani, esercitando le virtù teologali e cardinali. Per il fedele, anche la strada diventa cammino di santità.

Spunti dall’Antico Testamento

11. Nella Bibbia incontriamo continue migrazioni e peregrinazioni. I Patriarchi, Abramo (cfr. Gen 12,4-10), Isacco (cfr. Gen 26,1.17.22), Giacobbe (cfr. Gen 29, 1; 31,21; 46,1-7) e Giuseppe (cfr. Gen 37,28) conducono una esistenza itinerante. Quando poi i loro discendenti costituiscono un popolo numeroso, Mosè li guida nell’esodo dall’Egitto (cfr. Es 12,41), attraversando il Mar Rosso (cfr. Es 14) e peregrinando nel deserto (cfr. Es 15,22).

12. Nell’esperienza della mobilità, piena di rischi e di drammi, il Popolo di Dio è sempre assistito dalla protezione particolare di Yahvè (cfr. Es 13,21). Le ripetute infedeltà degli Israeliti all’Alleanza ebbero più tardi, come conseguenza, un altro tipo di peregrinazione, quanto mai penosa, la deportazione in Babilonia (cfr. 2 Re 24, 15). Dopo lunghi anni di esilio, la fedeltà di Dio si manifesta nell’editto di Ciro, che rende possibile il gioioso viaggio di ritorno nella terra promessa (cfr. 2 Cr 36,22-23; Sal 126 [125]).

13. Il Salmista (cfr. Sal 107 [106],7) indica la «via retta» sulla quale conduce il Signore, mentre il profeta Isaia lancia l’invito a preparare la strada al Signore (cfr. Is 40,3). L’importanza data dalla Bibbia al tema della peregrinazione, del viaggio, appare chiaramente anche dal fatto che il termine «cammino» viene usato quale metafora per indicare i comportamenti umani. La Scrittura esorta con insistenza a scegliere «vie rette», a non indugiare «nella via dei peccatori» (Sal 1,1), a camminare nelle vie del Signore (cfr. Dt 8,6; 10,12; 19,9).

Spunti dal Nuovo Testamento

14. Nel Nuovo Testamento i riferimenti alla strada, agli spostamenti, ai viaggi, sono assai numerosi. Pensiamo a quelli di Maria e Giuseppe, prima e dopo la nascita di Gesù, agli spostamenti continui di Gesù durante la Sua vita pubblica e a quelli degli Apostoli. Gli evangelisti presentano la vita di Cristo come un andare continuo: Gesù percorreva città e villaggi per proclamare il Vangelo e curare «ogni malattia e infermità» (cfr. Mt 9,35); una lunghissima sezione del vangelo di Luca (9,51-19,41) ci mostra il Signore in cammino verso Gerusalemme, dove Egli doveva portare a compimento il Suo «esodo» (cfr. Lc 9,31).6

15. Cammino e viaggio sono presenti altresì nelle parabole evangeliche. Pensiamo – oltre a quella del Buon Samaritano, immediatamente applicabile alla Pastorale della strada (cfr. Lc 10,29-37) – al figlio prodigo, che parte «per un paese lontano» (Lc 15,13) e poi ritorna presso il padre (cfr. Lc 15,13-20). Ricordiamo pure il padrone che «parte per un viaggio» e consegna i suoi beni ai servitori (cfr. Mt 25,14-30).

16. Gesù stesso mette in cammino anche i suoi discepoli. Li invia infatti, a due a due, a proclamare la Buona Novella del Regno (cfr. Mc 6, 6-13), mentre nel vangelo di Luca la missione dei settantadue discepoli (cfr. Lc 10,1-20) suggerisce una estensione universale di quella successiva, esplicitata quando Gesù Risorto invia gli Apostoli, dicendo: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15; Mt 28,19 e Lc 24,47). Essi saranno infatti Suoi testimoni «a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino agli estremi confini della terra» (At 1,8). Tale missione universale comporterà certo innumerevoli viaggi, come è attestato dagli Atti degli Apostoli, per Pietro (cfr. At 9,32-11,2) e Paolo (cfr. At 13,4-14,28; 15,36-28,16).

17. Nel suo insieme la Sacra Scrittura presenta la realtà della mobilità umana, con i suoi rischi, le sue soddisfazioni e le sue pene, e ne afferma il legame con il disegno salvifico di Dio. Possiamo così comprendere il viaggio non soltanto come uno spostamento fisico da un luogo all’altro, ma nella sua dimensione spirituale, dovuta al fatto che esso mette in relazione le persone, contribuendo all’attuazione del disegno d’amore di Dio.

Cristo è la Via, Egli è la Strada

18. Il vangelo secondo Giovanni presenta espressioni particolarmente importanti per quanto riguarda quella che chiameremmo una spiritualità della strada, in attuazione del piano di Dio. Il Signore Gesù attesta: «Io sono la via, la verità e la vita, nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6). Cristo presentandosi come «via» ci indica che tutto deve essere orientato verso il Padre. L’affermazione «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12) conferma che Gesù e il Suo messaggio sono la via luminosa per orientare la nostra vita verso il Padre. Colui che segue il Signore, ascolta e mette in pratica la Sua Parola procede sul cammino della vita.

19. Chi conosce Gesù Cristo è prudente sulla strada. Non pensa soltanto a sé e non è sempre assillato dalla fretta di arrivare. Vede le persone che lo «accompagnano» per strada, ognuna con la propria vita, il desiderio di arrivare, e i propri problemi. Le vede tutte come fratelli e sorelle, figli di Dio. è questo l’atteggiamento che connota l’automobilista cristiano.

20. È attestato che una delle radici di molti problemi inerenti al traffico è di ordine spirituale. La soluzione di questi problemi si troverà, per i credenti, in una visione di fede, nella relazione con Dio, e in una opzione generosa a favore della vita, testimoniata anche con un comportamento rispettoso di quella altrui e delle norme poste a sua tutela, lungo la strada.

«Davvero, si potrebbe trarre dalle pagine ispirate dei due Testamenti, ma soprattutto dai Vangeli e dalle Lettere apostoliche, un florilegio di precetti, che ben potrebbero formare un corpus di criteri morali e perfino un manuale di galateo e di buona creanza per l’uso della strada, con il quale sostenere e avvalorare le prescrizioni del Codice, e dargli un afflato, che la enunciazione puramente negativa e preventiva delle sue norme non può avere. Finché l’utente della strada non sia condotto a considerare le sue responsabilità in questa luce positiva e incoraggiante, che trova nei valori superiori e imprescrittibili della coscienza la sua vera giustificazione, non si potrà ottenere l’auspicata moralizzazione».7

III. Aspetti antropologici

La particolare psicologia dell’autista

21. Il veicolo è un mezzo di cui ci si può servire in modo prudente ed etico, per la «convivenza», la solidarietà e il servizio degli altri, oppure se ne può anche abusare.

Evasione dalla quotidianità e piacere di guidare

22. Al volante dell’auto, c’è chi accende il motore per lanciarsi nella corsa, per evadere dai ritmi assillanti della vita quotidiana, legati al lavoro. Il piacere di guidare diventa un modo di godere della libertà e autonomia di cui abitualmente non si dispone. Ciò porta anche a praticare gli sport di strada, il ciclismo, il motociclismo, a partecipare a corse automobilistiche, in un sano senso di competizione, anche se con i relativi rischi.

23. Accade che si sentano come limitazione di libertà i divieti che i segnali stradali impongono; specialmente quando non visti e controllati, alcuni soggetti sono tentati di infrangere tali barriere, che invece sono poste a protezione di sé e degli altri. Alcuni conducenti arrivano a considerare umiliante il dover rispettare certe norme di prudenza che diminuiscono rischi e pericoli del traffico. Altri ritengono intollerabile, quasi una limitazione dei propri «diritti», l’essere costretti a seguire pazientemente un’altra vettura, quando questa viaggia a velocità ridotta, perché i segnali stradali indicano, per esempio, una proibizione di sorpasso.

24. Occorre tener conto del fatto che la personalità del conducente alla guida è diversa da quella del pedone. Circostanze speciali, quando si guida un veicolo, possono portare ad avere un comportamento inadeguato e perfino poco umano. Consideriamo, qui di seguito, i principali fattori psicologici che influiscono sul comportamento del conducente.

Istinto di dominio

25. L’istinto di dominio, o sentimento di prepotenza, nell’essere umano, spinge a cercare il potere per affermarsi.8 La guida di un’ automobile offre la possibilità di esercitare facilmente tale dominio sugli altri. Identificandosi con l’automobile, il conducente sente aumentare il proprio potere, che si esprime in velocità, il che dà luogo a un piacere, quello di guidare, appunto. Tutto ciò può portare l’autista a voler gustare l’ebbrezza della velocità, manifestazione caratteristica di crescita del suo potere. 

Il disporre liberamente della velocità, l’avere la possibilità di accelerare a proprio piacimento e di lanciarsi alla conquista del tempo, dello spazio, superando, «sottomettendo» quasi, gli altri conducenti, diventano fonti di soddisfazione derivante da dominio.

Vanità ed esaltazione personale

26. L’automobile si presta in modo particolare a essere usata dal proprietario come oggetto di ostentazione di sé e mezzo per eclissare gli altri e suscitare sentimenti di invidia. La persona si identifica così con la macchina e proietta su di essa l’affermazione dell’ego. Quando si fa l’elogio della propria automobile, in fondo, si elogia se stessi, poiché essa ci appartiene e, soprattutto, la si guida. I record battuti, le grandi velocità raggiunte sono ciò di cui molti automobilisti, anche non giovani, si vantano con maggiore piacere; è facile costatare come non si possa sopportare di essere considerati cattivi conducenti, anche se si può riconoscere di esserlo.

Squilibrio comportamentale e relative conseguenze

Diverse manifestazioni

27. I comportamenti poco equilibrati variano a seconda delle persone e delle circostanze: mancanza di cortesia, gestacci, imprecazioni, bestemmie, perdita del senso di responsabilità, violazioni deliberate del Codice della strada. In alcuni autisti lo squilibrio comportamentale si manifesta in modi irrilevanti, mentre in altri produce gravi eccessi che dipendono dal carattere, dal livello di educazione, dalla incapacità di autocontrollo e dalla mancanza del senso di responsabilità.

Un fenomeno non patologico

28. Tali eccessi sono riscontrabili in moltissime persone normali. Questi fenomeni di squilibrio comportamentale, che possono avere gravi conseguenze, vengono fatti rientrare, tuttavia, nei limiti della normalità psicologica.

29. La guida di un’automobile fa emergere dall’inconscio inclinazioni che di solito, quando non si è per strada, sono «controllate». Alla guida, invece, gli squilibri si manifestano, viene favorita la regressione a forme di comportamento primitive. La guida è da considerarsi alla stregua di ogni altra attività sociale, che presuppone un impegno a mediare tra le esigenze dell’io e i limiti imposti dai diritti degli altri.

L’automobile tende insomma a mostrare l’essere umano per quello che egli è «primitivamente», e tutto ciò può risultare assai poco gradevole. Bisogna tener conto di queste dinamiche e reagire, facendo appello alle tendenze nobili dell’animo umano, al senso di responsabilità e al controllo di sé, per impedire quelle manifestazioni di regressione psicologica abbastanza spesso legata alla guida di un mezzo di locomozione.

IV. Aspetti morali della guida

Guidare vuol dire «convivere»

30. Il «convivere» è dimensione fondamentale dell’uomo e la strada deve perciò essere più umana. L’automobilista, alla guida, non è mai solo, anche se non v’è nessuno al suo fianco. guidare un veicolo è in fondo una maniera di relazionarsi, di avvicinarsi, di integrarsi in una comunità di persone. Tale capacità di «convivere», di entrare in rapporto con gli altri, presuppone nel conducente alcune qualità concrete e specifiche: l’esser padrone di sé, la prudenza, la cortesia, un adeguato spirito di servizio e la conoscenza delle norme del codice della strada. Si dovrà prestare aiuto disinteressato a chi ha bisogno, dando esempio di carità e di ospitalità.

Guidare significa controllarsi

31. Il comportamento della persona si connota per la capacità di controllarsi e dominarsi, di non lasciarsi trasportare dagli impulsi. La responsabilità di coltivare questa personale capacità di controllo e dominio è importante, tanto per quel che riguarda la psicologia del conducente, quanto per i gravissimi danni che possono essere causati alla vita e all’integrità delle persone e dei beni, in caso di incidente.

Aspetti etici

32. Nella sua evoluzione, come fatto sociale, il comportamento alla guida dei veicoli si è sviluppato talvolta al margine delle norme etiche; si è generato così – lo osserviamo – un contrasto profondo fra la realtà del progresso costante nel trasporto e l’aumento continuo e caotico del traffico sulle strade, con conseguenze negative per chi guida e per i pedoni.

33. Per porre la base dei principi etici che devono reggere tutto ciò che riguarda la «professionalità» dell’utente della strada, occorre anzitutto considerare il pericolo, per le persone e per i beni, derivante dalla circolazione stradale. Esso esiste per il conducente, per i suoi passeggeri, per tutti gli automobilisti alla guida. La mancata osservanza delle norme etiche basilari impedisce agli utenti della strada di godere dei propri diritti personali e compromette anche la salvaguardia delle cose.

34. Il dovere di proteggere i beni può essere leso non solo da una guida imprudente, ma anche dal non mantenere la vettura o il mezzo di trasporto in condizioni meccaniche di sicurezza, trascurando il controllo tecnico periodico. Il dovere di revisione dei veicoli va rispettato.

35. Vi sono altresì i casi di guida senza abilità fisica o capacità mentale, per l’ abuso di alcool e di altri stimolanti o droghe, per stati di spossatezza o di sonnolenza. V’è il pericolo derivante dalle «minimacchine» (citycars), affidate a giovanissimi e adulti privi di patente, e quello dell’uso spericolato dei ciclomotori e delle moto.

36. Considerato tutto ciò, per salvaguardare i diritti ed evitare i danni causati da incidenti, le autorità pubbliche stabiliscono un insieme di norme penali. Nella pratica, purtroppo, il carattere obbligatorio di tali norme non viene avvertito, facilmente si attutisce o addirittura scompare nella consapevolezza degli autisti, proprio per il fatto che esse appartengono all’ambito del codice penale, vale a dire a eventi considerati non ordinari, ma straordinari. ciò pone il conducente più facilmente nella condizione di agire contro la norma, nella speranza di non essere colto in fallo dall’Autorità che dovrebbe punirlo.

37. È chiaro, a questo riguardo, che una pedagogia a favore della cultura della vita, in difesa del comandamento «Non uccidere» è sempre più necessaria. Nella stessa prospettiva, risultano di grande utilità le varie campagne per la sicurezza stradale, il miglioramento dei mezzi pubblici di trasporto, il tracciato sicuro delle strade, la segnaletica e la pavimentazione adeguate delle vie di comunicazione, la soppressione dei passaggi a livello incustoditi, la creazione di una mentalità pubblica responsabile, tramite specifiche associazioni, e la collaborazione con gli utenti da parte degli addetti al servizio stradale.

Guida di un veicolo e suoi rischi

38. Quando esce in automobile, il conducente dev’essere consapevole, senza fobie, che in qualsiasi momento potrebbe succedere un incidente. Nonostante la buona qualità, in genere, delle odierne vie di comunicazione nei Paesi sviluppati, è insensato guidare «allegramente», come se non esistessero pericoli. L’atteggiamento alla guida dovrebbe essere lo stesso che si assume quando si usano strumenti pericolosi, cioè di molta attenzione.

39. Ne sono prova le cifre. Partendo dalla produzione mondiale di veicoli a motore, rileviamo che nel 2001 furono quasi 57 milioni, mentre erano 10 milioni e mezzo nel 1950. Nel corso del secolo XX, poi, per incidenti stradali, si ritiene che circa 35 milioni di persone abbiano trovato la morte, mentre i feriti si sarebbero aggirati attorno al miliardo e mezzo. Soltanto nel 2000 i decessi sarebbero stati 1.260.000; degno di nota il fatto che circa il 90% degli incidenti si verifica per errore umano. 

Da non dimenticare il danno causato alle famiglie di chi subisce l’incidente, oltre le prolungate conseguenze per i feriti, che restano troppo spesso handicappati permanenti. Oltre al danno alle persone, in ogni caso, meritano opportuna considerazione gli ingenti danni ai beni materiali.

40. Tutto ciò è una vera tragedia, e una grave sfida per la società e per la Chiesa. Non sorprende che l’Assemblea Generale dell’ONU abbia affrontato seriamente questo problema in una sessione plenaria, convocata specificamente sulla sicurezza stradale, nell’aprile 2004, volta a rendere più sensibile l’opinione pubblica alle proporzioni del fenomeno, in vista di precise raccomandazioni per la sicurezza stradale.9

41. Papa Paolo VI ebbe ad affermare: «Troppo sangue si versa ogni giorno in una assurda contesa con la velocità e il tempo; e mentre gli Organismi internazionali si dedicano volenterosamente a sanare dolorose rivalità, mentre è in atto un meraviglioso progresso verso la conquista dello spazio, mentre si cercano mezzi adeguati per sanare le piaghe della fame, dell’ignoranza e della malattia, è doloroso pensare come, in tutto il mondo, innumerevoli vite umane continuino a essere sacrificate ogni anno a questa inammissibile sorte. La coscienza pubblica deve riscuotersi, e considerare il problema alla stregua di quelli più ardui, che tengono desti la passione e l’interesse del mondo intero».10

Obbligatorietà delle norme stradali

42. Quando qualcuno guida mettendo in pericolo la vita altrui o quella propria, come pure l’integrità fisica e psichica delle persone, e anche beni materiali considerevoli, egli si rende responsabile di colpa grave, pure quando questo comportamento non provochi incidenti, perché, in ogni caso, esso comporta gravi rischi. C’è da aggiungere che la maggior parte degli incidenti è provocata proprio dall’imprudenza.

43. Il Magistero della Chiesa si è pronunciato chiaramente in relazione a queste problematiche: «Le conseguenze spesso drammatiche delle infrazioni al Codice della strada gli conferiscono un carattere di obbligazione intrinseca molto più grave di ciò che generalmente non si pensi. Gli automobilisti non possono contare solo sulla loro propria vigilanza e abilità per evitare gli incidenti, bensì devono mantenere un giusto margine di sicurezza, se vogliono essi stessi liberarsi degli imprudenti e ovviare alle imprevedibili difficoltà».11 Infatti «giustamente le leggi civili della umana convivenza fanno sostegno alla grande legge del "Non occides": non ammazzare, che splende nel Decalogo di tutti i tempi, ed è per tutti precetto sacro del Signore».12

44. Dunque «occorre che ciascuno s’impegni a creare, mediante il rigoroso rispetto del Codice della strada, una "cultura della strada", basata sulla diffusa comprensione dei diritti e dei doveri di ciascuno e sul comportamento coerente che ne consegue».13

45. Principi teologici, etici, giuridici e tecnologici sostengono la moralizzazione dell’utenza stradale. «Tali principi si fondano sul rispetto dovuto alla vita umana, alla persona umana, qual è inculcato fin dalle prime pagine delle Sacra Scrittura. La persona umana è sacra: essa è stata creata a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gen 1,26), è redenta dal prezzo inestimabile del sangue di Cristo (cfr. 1 Cor 6,20; 1 Pt 1,18-19), è stata inserita nella Chiesa, nella Comunione dei Santi, col diritto e col dovere della mutua, effettiva, sincera carità verso i fratelli e le sorelle, secondo il precetto dell’Apostolo Paolo: "La vostra carità non sia finta ... con amore fraterno vogliatevi bene scambievolmente. Prevenitevi gli uni gli altri nel rendervi onore" (Rm 12,9-10)».14

Responsabilità morale degli utenti della strada

46. È certo che né l’automobilista o il motociclista, né il ciclista o il pedone imprudenti vogliono le fatali conseguenze di un incidente da essi provocato, e nemmeno hanno l’intenzione di arrecare danno alla vita o ai beni altrui. Peraltro, poiché queste conseguenze sono il prodotto di un’azione cosciente, possiamo parlare giustamente di responsabilità morale.

«Perché l’effetto dannoso sia imputabile, bisogna che sia prevedibile e che colui che agisce abbia la possibilità di evitarlo; è il caso, di un omicidio commesso da un conducente in stato di ubriachezza».15 Quando si guida senza le dovute condizioni (ad esempio imprudentemente, senza le capacità necessarie, ecc.), si mettono in pericolo vita e beni, il che presuppone una violazione della legge morale, a causa del carattere volontario dell’atto. 

47. La responsabilità morale dell’utente della strada, conducente o pedone, deriva dall’obbligo di rispettare il quinto e il settimo comandamento: «Non uccidere» e «Non rubare». I peccati più gravi contro la vita umana, contro il quinto comandamento, sono il suicidio e l’omicidio, ma questo comandamento richiede anche il rispetto della propria integrità fisica e psichica e di quella altrui.

Sono atti contro tali comandamenti le imprudenti distrazioni e negligenze, la cui gravità morale si misura sul loro grado di prevedibilità e in qualche modo di intenzionalità. Ciò significa che, oltre alla proibizione di uccidere, ferire o mutilare direttamente, il comandamento del Signore proibisce ogni atto che possa procurare indirettamente tali danni. Lo stesso dicasi per quelli causati ai beni del prossimo. 

48. La legge morale proibisce di esporre qualcuno a serio pericolo, senza grave ragione, come pure di rifiutare assistenza a una persona in pericolo. D’altro lato, il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna che «la virtù della temperanza dispone ad evitare ogni sorta di eccessi: l’abuso di cibo, dell’alcool, del tabacco e dei medicinali. Coloro che, in stato di ubriachezza o per uno smodato gusto della velocità, mettono in pericolo l’incolumità altrui e la propria sulle strade, in mare, o in volo, si rendono gravemente colpevoli».16

V. virtù cristiane del conducente e suo «decalogo»

Carità e servizio al prossimo

49. Papa Pio XII così esortava gli automobilisti, già nel 1956: «Voi non dimenticate di rispettare gli utenti della strada, di osservare la cortesia e la lealtà verso gli altri piloti e pedoni, e di mostrare loro il vostro carattere servizievole. Mettete il vostro vanto nel saper dominare una impazienza spesso ben naturale, nel sacrificare talora un poco del vostro senso di onore per far trionfare quella gentilezza che è un segno di vera carità. Non soltanto potrete così evitare incidenti spiacevoli, ma contribuirete a fare dell’automobile uno strumento anche più utile per voi stessi e per gli altri e capace di procurarvi un piacere di miglior lega».17

50. A tale esortazione pontificia fa eco molto più tardi l’Episcopato belga che invita i conducenti a dare «prova di spirito di cortesia e carità, rispettando la precedenza con un atteggiamento comprensivo per le manovre impacciate dei principianti, prestando attenzione agli anziani e ai bambini, ai ciclisti e ai pedoni, e dominandosi nei casi di infrazioni commesse da terze persone. La solidarietà cristiana incita tutti gli utenti della strada ad un grande spirito di servizio, a prestare assistenza ai feriti e aiuto alle persone anziane, con una sollecitudine particolare per i bambini e gli handicappati».18 E con l’attenzione al corpo non si può dimenticare di prestare un’assistenza spirituale, non meno urgente, in numerosi casi.

51. L’esercizio della carità, nel conducente, ha una duplice dimensione. La prima si manifesta nella tenuta della propria autovettura, di cui occorre curare lo stato tecnico dal punto di vista della sicurezza, per non mettere consapevolmente a rischio la propria e l’altrui vita. Essere affezionati alla propria vettura significa anche non pretendere da essa ciò che non può dare.

La seconda dimensione riguarda l’amore verso i viaggiatori di cui non bisogna mettere a rischio la vita con manovre sbagliate e imprudenti che possono arrecare danno tanto ai passeggeri quanto ai pedoni. Usiamo qui la parola «amore» volendo significare le molteplici forme in cui si esprime l’autentica carità, cioè il rispetto, la cortesia, la considerazione, ecc. Il buon guidatore lascia passare cortesemente il pedone, non si sente offeso se un altro lo supera, non ostacola colui che vuole correre più velocemente, non si vendica.

La virtù della Prudenza

52. Questa virtù è sempre stata presentata come una delle più necessarie e importanti in relazione alla circolazione stradale. Lo conferma il testo seguente: «Un’altra virtù che non può essere dimenticata è quella della prudenza. Questa esige un margine adeguato di precauzioni con cui far fronte agli imprevisti che si possono presentare in qualsiasi occasione».19 Certamente non si comporta secondo prudenza chi si distrae, alla guida, con il telefonino o con la televisione.

53. E ancora, in tema di prudenza: «Gli utenti della strada non devono circolare ad una velocità eccessiva, bisogna calcolare un ampio margine di tempo, teoricamente e psicologicamente necessario, per frenare; non devono sopravvalutare la propria abilità e prontezza; bisogna controllare continuamente la propria attenzione e conversazione. A questo proposito, anche i compagni di viaggio devono conoscere le loro responsabilità».20

La virtù della Giustizia

54. Non c’è dubbio che ogni relazione umana deve essere retta dalla giustizia, a maggior ragione se è in gioco la vita. Fin dal momento in cui la Chiesa si è interessata del problema del traffico, ha fatto riferimento a questa virtù. Ricordiamo a tale proposito la seguente esortazione: «La giustizia esige da chi guida una conoscenza completa ed esatta del codice della strada. Chi usa la strada, infatti, deve conoscerne i regolamenti e prenderli in considerazione. L’automobilista, inoltre, è obbligato a cercare di trovarsi in condizioni fisiche e psicologiche adeguate. Se è in stato di ebbrezza, non dovrà mai sedersi al volante e non deve essere autorizzato a farlo. Egli è obbligato, come più di qualsiasi altra persona, alla sobrietà: l’alcool, in effetti, provoca uno stato di euforia e riduce la presenza di spirito a un punto che può essere fatale ».21

55. Rispettando la giustizia, «l’utente della strada dovrà anche riparare il danno causato ad un altro. Se, in coscienza, ne è responsabile, deve adoperarsi affinché la vittima, o i suoi parenti prossimi, siano adeguatamente indennizzati. Qualora il danno si producesse poi in maniera completamente indipendente dalla sua volontà, sarà nondimeno obbligato, in coscienza, a indennizzare la vittima secondo quanto prescrive la legge e, in caso di contestazione e processo, dovrà rispettare la sentenza».22

56. D’altra parte, si devono anche incoraggiare al perdono dell’aggressore i familiari delle vittime, come segno, pur difficile, di maturità umana e cristiana. In questo processo di perdono, è utile, se non necessario, il sostegno spirituale del cappellano o dell’operatore pastorale e la celebrazione della apposita «Giornata del perdono».23

La virtù della Speranza

57. La speranza è un’altra virtù che deve distinguere il conducente e il viaggiatore. Chi intraprende un viaggio, infatti, parte sempre con una speranza, quella di arrivare sicuramente a destinazione, per sbrigare affari o godere della natura, per visitare luoghi famosi o che suscitano dei ricordi o per riabbracciare i propri cari. Per i credenti, la ragione di tale speranza, pur tenendo conto dei problemi e dei pericoli della strada, sta nella certezza che, nel viaggio verso una meta, Dio cammina con l’uomo e lo preserva dai pericoli. In virtù di questa compagnia di Dio e grazie alla collaborazione dell’uomo, egli giungerà a destinazione.

58. Pur essendo Dio la roccia su cui si fonda la speranza cristiana, la devozione cattolica ha trovato numerosi intercessori presso di Lui, i Suoi e nostri veri amici, gli Angeli e i Santi e le Sante di Dio, ai quali ci si affida per superare i pericoli del viaggio, con la grazia divina. Ricordiamo San Cristoforo (Portatore di Cristo), la presenza dell’Angelo custode, l’Arcangelo Raffaele, che accompagnava Tobia (cfr. Tb 5,1ss.), e che la Chiesa considera protettore dei viaggiatori. Significativi sono altresì i titoli dati a Maria SS.ma, in relazione al cammino. La invochiamo, infatti, come Madonna della strada, Vergine pellegrina, icona della donna migrante.24

59. Il ricorso ai nostri Intercessori celesti non deve far dimenticare l’importanza del segno della croce, fatto prima di iniziare un viaggio. Con tale segno ci rimettiamo direttamente alla protezione della Santissima Trinità. Esso, infatti, ci indirizza anzitutto al Padre, come origine e meta; a questo proposito ricordiamo le espressioni del salmo: «Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi» (Sal 91 [90],11).

Il segno della croce, poi, ci affida a Gesù Cristo, la nostra guida (cfr. Gv 8,12). L’incontro di Emmaus (cfr. Lc 24,13-35) ci assicura che il Signore si fa incontro a ciascuno nel cammino, prende alloggio nella casa di chi lo invita, e viaggia con noi, sta seduto al nostro fianco.

Infine il segno della croce ci rimette allo «Spirito Santo, che è Signore e dà la Vita».25 Egli illumina la mente e concede, a chi Lo invoca, il dono della prudenza per giungere alla meta. Ce lo conferma il canto del Veni Creator: «Ductore sic te praevio, vitemus omne noxium» («Se sei Tu a guidarci, eviteremo tutto ciò che ci danneggia»).

60. Durante il viaggio si potrà con frutto anche pregare vocalmente, alternandosi specialmente, nella recitazione, con chi ci accompagna, come per la recita del Rosario26 che, per il suo ritmo e la sua dolce ripetizione, non distrae il conducente. Ciò contribuirà a sentirsi immersi nella presenza di Dio, a rimanere sotto la sua protezione, e potrà nascere il desiderio di una celebrazione comunitaria, o liturgica, se possibile, in punti «spiritualmente strategici» della strada o della ferrovia (santuari, chiese e cappelle, anche mobili).

«Decalogo» del conducente

61. In ogni caso, con il richiamo all'esercizio delle virtù da parte dell'automobilista, vi è chi ha voluto formulare per lui uno speciale "decalogo", in analogia con le 10 «Parole», cioè con i Comandamenti del Signore. Lo riportiamo qui di seguito, a titolo indicativo, pur ritenendo che essi potrebbero essere anche diversamente formulati:

I.

Non uccidere.

II.

La strada sia per te strumento di comunione tra le persone e non di danno mortale.

III.

Cortesia, correttezza e prudenza ti aiutino a superare gli imprevisti.

IV.

Sii caritatevole e aiuta il prossimo nel bisogno, specialmente se è vittima di un incidente.

V.

L’automobile non sia per te espressione di potere, di dominio e occasione di peccato.

VI.

Convinci con carità i giovani, e i non più tali, a non mettersi alla guida quando non sono in condizione di farlo.

VII.

Sostieni le famiglie delle vittime di incidenti.

VIII.

Fa' incontrare la vittima e l’automobilista aggressore in un momento opportuno, affinché possano vivere l’esperienza liberatrice del perdono.

IX.

Sulla strada tutela la parte più debole.

X.

Senti te stesso responsabile verso gli altri.

VI. Missione della Chiesa

Profezia, in una situazione grave e allarmante

62. La denuncia di situazioni pericolose, come quelle causate dal traffico, fa parte della missione della Chiesa, è realizzazione cioè della sua missione profetica. È preoccupante il numero di incidenti, in cui anche i pedoni possono avere una grave responsabilità. Denuncia va fatta, inoltre, della pericolosità di certe competizioni automobilistiche e di quelle illegali per le strade, che costituiscono grave rischio.

63. È abbastanza usuale indicare la causa di un incidente nelle condizioni del fondo stradale, in un problema meccanico o in circostanze ambientali; bisogna però sottolineare che grandissima parte degli incidenti automobilistici sono determinati da leggerezze gravi e gratuite - quando non si tratta perfino di stupidità e arroganza nel comportamento del conducente o del pedone -, e quindi dal fattore umano.

Educazione stradale

64. Di fronte ad un problema così grave, tanto la Chiesa quanto lo Stato – ciascuno nell’ambito delle proprie competenze – devono operare, oltre la denuncia, al fine di creare una coscienza generale e pubblica per quel che riguarda la sicurezza stradale e promuovere, con tutti i mezzi, una corrispondente, adeguata educazione dei conducenti, come pure dei viaggiatori e pedoni.

65. In termini più generali, ricordiamo che per poter compiere bene un’azione, sono necessari tre elementi, vale a dire sapere ciò che si deve fare, volerlo realizzare e, infine, aver sviluppato a sufficienza una serie di riflessi e abitudini necessari per eseguirlo con precisione, esattezza e rapidità. Ciò vale anche per l’educazione stradale: essa deve coinvolgere l’intelligenza, la volontà e anche i comportamenti abitudinari.

66. La Chiesa, a tale proposito, si preoccuperà di sensibilizzare le coscienze e di promuovere un’educazione stradale che tenga in considerazione i tre citati elementi: sapere ciò che si deve fare, consapevoli del pericolo, della responsabilità e degli obblighi che ne derivano per conducenti o pedoni; volerlo compiere con attenzione e dedizione e, infine, sviluppare sufficienti riflessi e abitudini per un’azione precisa, che non comporti rischi né imprudenze.

67. Per raggiungere tali fini non si dovranno trascurare, oltre all’impegno familiare, le possibilità educative che hanno le parrocchie, le associazioni laicali e i movimenti ecclesiali, soprattutto per bambini e giovani.

68. Tutto ciò significa destare e incoraggiare quella che potremmo chiamare un’«etica della strada», la quale non è cosa diversa dall’etica in generale, ma ne costituisce una applicazione.

Soggetti a cui rivolgersi

69. Questione importante è la determinazione dei soggetti dell’educazione stradale; consideriamo anzitutto quelli «attivi». Poiché il traffico è questione legata al bene comune, nella soluzione del problema della formazione di automobilisti, motociclisti, ciclisti e pedoni, è implicata tutta una serie di attori ed enti sociali, oltre l’individuo e la famiglia, la società in generale e i pubblici poteri.

70. L’individuo ha l’obbligo etico di rispettare le norme di circolazione e, per questo, deve avere delle conoscenze che siano frutto di una formazione atta ad approfondire il suo senso di responsabilità. Il ruolo della famiglia risulta evidente e fondamentale nell’educazione stradale, che fa parte del bagaglio necessario da trasmettere ai figli per una buona educazione generale. 

Da parte sua, la società ha l’obbligo e il diritto di affrontare questo problema, poiché esso riguarda il bene comune. Si usa il termine società in accezione ampia e diversificata, poiché ingloba, ad esempio, la scuola, l’impresa privata, il club, l’istituzione, la stampa, ecc. Col termine società si intendono altresì i pubblici poteri e l’amministrazione civile, il cui intervento in questo campo, come in altri, deve essere retto dal principio di sussidarietà.27

71. Fra i soggetti «passivi», da educare, citiamo in primo luogo il bambino. È necessario che egli sia preparato molto presto ad affrontare il traffico, nel quale dovrà passare parte della propria vita, e questo per due ragioni fondamentali.

Anzitutto perché educare il bambino a dirigersi nel traffico vuol dire mettere a sua disposizione il migliore mezzo per proteggere la propria vita. Sono molti, infatti, i bambini che ogni anno muoiono sulla strada, e molti sono anche coloro che, senza perdere la vita, restano menomati nelle loro facoltà e segnati per sempre nel fisico e/o nella psiche. E poi l’educazione stradale del bambino è la migliore garanzia di una generazione futura più sicura e corretta, in questo ambito.

72. L’accento va posto anche sul ruolo insostituibile della scuola, che forma e informa. È soprattutto a scuola che il bambino può cogliere, per tempo, il fondamento etico dei problemi del traffico e il perché delle sue regole. A scuola si apprende che i problemi del traffico appartengono al più vasto campo delle problematiche della convivenza umana, per la quale la prima urgenza è il rispetto degli altri. A scuola si apprende l’autolimitazione cosciente nell’uso e nel godimento dei beni comuni; vi si deve imparare la cortesia e la grandezza d’animo nelle relazioni umane.

73. La scuola è l’istituzione alla quale la famiglia affida una parte molto importante dei suoi compiti educativi. Ciò fa di essa uno degli strumenti potenti e insostituibili di formazione integrale della persona. Il mancato adempimento del dovere di provvedere anche all’educazione stradale creerebbe una pericolosa lacuna formativa, difficilmente colmabile.

74. Una occasione importante di educazione stradale è offerta a coloro che desiderano ottenere la patente di guida. E’ una tappa di formazione specifica, di evidente importanza, soprattutto se il soggetto non ha ricevuto in precedenza alcuna educazione stradale. Le scuole guida hanno una grande responsabilità, così come la civica amministrazione, a cui compete di regolare le prove alle quali deve sottoporsi l’aspirante conducente.

75. Un altro soggetto da formare, infine, è la moltitudine degli utenti stessi della strada: non solo i conducenti, ma anche i pedoni non automobilisti, i quali, nella maggior parte, non hanno ricevuto un’educazione stradale conveniente. Molti di loro, essendo persone anziane, hanno riflessi meno pronti per affrontare il traffico in tutta sicurezza. V’è dunque per loro più facilmente il rischio di un incidente.

Appello del Concilio Ecumenico Vaticano II

76. Il Concilio Ecumenico Vaticano II, in cui risuonava, mentre veniva aggiornato, il precedente Magistero ecclesiale, avvertendo i cambiamenti sociali del XX secolo, e mettendo in guardia contro il puro individualismo, richiamò l’attenzione anche sul problema del traffico, nei seguenti termini: «La profonda e rapida trasformazione delle cose esige con più urgenza che non vi sia alcuno che, non curandosi del corso degli eventi o intorpidito dall’inerzia, indulga a un’etica puramente individualistica. Il dovere della giustizia e della carità viene sempre più adempiuto per il fatto che ognuno, contribuendo al bene comune secondo le proprie capacità e le necessità degli altri, promuove e aiuta anche le istituzioni pubbliche e private che servono a cambiare in meglio le condizioni di vita degli uomini… Non pochi non hanno ritegno ad evadere con varie frodi e vari sotterfugi le giuste imposte o gli altri obblighi sociali. Altri trascurano certe norme della vita sociale, come per esempio quelle riguardanti la prevenzione delle malattie o le norme per la guida dei veicoli, non rendendosi conto che con questa incuria mettono in pericolo la vita propria e degli altri».28

77. Nel cercare di rispondere in maniera adeguata e pastorale alle sfide del mondo contemporaneo, intravediamo qui un campo d’apostolato vasto e rinnovato, che richiede soggetti pastorali debitamente preparati e attivi. Ci riferiamo, per esempio, alla espressione della sollecitudine pastorale per i camionisti, che trasportano merci su lunghe distanze, e per i conducenti di automobili e autobus, per i turisti in viaggio su strada e sui treni, per i responsabili della sicurezza del traffico, per gli addetti ai distributori di carburante e ai posti di ristoro, ecc.

78. Questo è anche un campo di nuova evangelizzazione, quella tanto auspicata da Papa Giovanni Paolo II. Da questo settore scaturisce una chiamata urgente a cercare nuovi cammini per portare il Vangelo sulle vie del mondo, anche su quelle del movimento stradale e ferroviario, nuovi areopaghi per l’annuncio della Buona Novella di Gesù Cristo Salvatore.

VII. Pastorale della Strada

79. Di fronte a questo urgente impegno evangelizzatore, nella società industrializzata e tecnicamente avanzata, senza dimenticare i Paesi in via di sviluppo, la Chiesa vuole suscitare una rinnovata presa di coscienza degli obblighi inerenti alla pastorale della strada e della responsabilità morale circa la trasgressione delle norme stradali, al fine di prevenire il più possibile le fatali conseguenze che ne derivano. Il Concilio Ecumenico Vaticano II chiede cosi ai Vescovi che abbiano «un particolare interessamento per i fedeli che per le loro condizioni di vita non possono usufruire a sufficienza dell’ordinario ministero comune dei parroci o ne sono del tutto privi».29

Evangelizzazione nell’ambiente della strada

80. L’evangelizzazione dell’ambiente della strada si propone a quest’ambito peculiare, facilitando ovunque la corsa del lieto annunzio e l’amministrazione dei sacramenti, la direzione spirituale, il counseling e la formazione religiosa degli automobilisti, dei trasportatori professionali, dei passeggeri e di coloro che sono in qualche modo legati alla strada e alla ferrovia.

Occorre uno sforzo comune che miri alla presa di coscienza delle esigenze etiche che derivano dal traffico; è necessario e opportuno assecondare le iniziative e gli impegni tesi a promuovere i valori etici e umani nella strada e nella ferrovia, affinché la mobilità sia fattore di comunione tra gli uomini.

Si deve diffondere nella società il messaggio evangelico d’amore applicato alla realtà stradale, rafforzando, in primo luogo, la consapevolezza degli obblighi morali che incombono su coloro che viaggiano, alimentando il senso di responsabilità, assicurando il rispetto delle leggi per evitare offese e danni a terzi.

81. Destinatari di questa pastorale sono tutti coloro che, in diversa misura, sono legati alla strada e alla ferrovia, e quindi non solo gli utenti, ma anche i professionisti, i lavoratori di questo settore. Tale pastorale vuole avvicinare gli uomini di oggi, nel proprio ambiente, per aiutarli a convivere in pace, ad esercitare reciproca solidarietà, e per unirli a Dio, contribuendo a far diventare tale settore più consono al messaggio cristiano e anche più umano.

Per ciò bisognerà riscoprire e mettere in pratica le virtù necessarie all’utente stradale, soprattutto la carità, la prudenza e la giustizia. In questo compito potranno essere di grande aiuto i mezzi di comunicazione, specialmente la radio, che fa buona compagnia ai viaggiatori.

Le Radio cattoliche dovranno avere un ruolo più attivo in questo campo, anche per mezzo di canzoni, di contenuto non superficiale, e sfruttando le loro possibilità di formazione personale.

82. Riguardo a tale pastorale specifica, esistono iniziative in diversi Paesi, alcune delle quali veramente creative, capaci di buoni risultati concreti. Pensiamo, ad esempio, alle cappelle (fisse o mobili) lungo le autostrade, alle Liturgie celebrate periodicamente nei grandi nodi stradali, in autogrill e nei parcheggi per autocarri. Ricordiamo i luoghi di vendita di oggetti religiosi o i centri di attenzione e d’informazione cristiana per viaggiatori e operatori, nelle stazioni ferroviarie e dei pullman, quelli di riunione, nelle parrocchie, sulle autostrade stesse, alla frontiera; attività dirette da sacerdoti e religiosi/e o anche da operatori pastorali laici.

Non dimentichiamo la sollecitudine di cura d’anime per i trasportatori e le loro famiglie, i club motociclistici, i "rallies" e altri appuntamenti simili, e ancora la benedizione dei veicoli, la «Giornata europea senza macchine», la celebrazione, nazionale o diocesana o parrocchiale, della Giornata dei feriti su strada, o del perdono, la collaborazione con la pastorale del turismo e dei pellegrinaggi, e in altri settori della mobilità, coi cappellani della polizia stradale, le scuole guida, e così via.

83. Un’adeguata risposta anche a queste sfide pastorali è certo affidata alla responsabilità delle Conferenze episcopali e alle corrispondenti strutture delle Chiese Orientali Cattoliche. Tale apostolato richiede un minimo di organizzazione, o almeno un punto di riferimento nazionale, diocesano/eparchiale o locale, che dia riferimenti istituzionali all’opera di questa incipiente pastorale specifica. Potrebbe essere opportuno nominare, per essa, un Promotore nazionale, e magari, per cominciare, qualche Delegato diocesano, affidando a un presbitero, anche se non a tempo pieno, o a un diacono, l’incarico di questa specifica animazione pastorale.

In ogni caso, essa richiede una coscienza ecclesiale più missionaria anche nelle strutture pastorali legate al territorio, capace di immaginare e realizzare una «pastorale in movimento», una pastorale anche della mobilità, in vista di una reale ed efficace pastorale d’insieme o integrata. In effetti «alla mobilità del mondo moderno deve corrispondere la mobilità della carità pastorale della Chiesa».30 È auspicabile la realizzazione di incontri a vari livelli, fra operatori pastorali impegnati nello specifico apostolato della strada, per uno scambio di informazioni ed esperienze che aiuterà a cogliere frutti più abbondanti in questo campo di nuova evangelizzazione.31

84. La mobilità con i suoi problemi, vero segno dei tempi, caratteristica delle società contemporanee nel mondo intero, costituisce oggi una sfida importante e urgente per le Istituzioni, per le persone e anche per la Chiesa, che ha una missione a tale riguardo. I credenti nel Figlio di Dio fatto uomo per salvare l’umanità non possono restare inerti di fronte a questo nuovo orizzonte che si apre per l’evangelizzazione, per promuovere integralmente, nel nome di Gesù Cristo, tutto l’uomo e ogni uomo.

 

Seconda parte
Pastorale per la liberazione delle donne di strada

85. L’approccio del «cliente» alle donne di strada è fatto dal suo veicolo, che viene usato anche come luogo del commercio sessuale. Una pastorale della strada deve prendere in esame pure queste situazioni, purtroppo ordinarie, e rivolgere grande sollecitudine verso chi «abita» la strada.

86. Incoraggia questo impegno pastorale il magistero di Papa Giovanni Paolo II, che denuncia lo sfruttamento delle donne: «Guardando poi a uno degli aspetti più delicati della situazione femminile nel mondo, come non ricordare la lunga e umiliante storia – per quanto spesso «sotterranea» – di soprusi perpetrati nei confronti delle donne nel campo della sessualità? Alle soglie del terzo millennio non possiamo restare impassibili e rassegnati di fronte a questo fenomeno. È ora di condannare con vigore, dando vita ad appropriati strumenti legislativi di difesa, le forme di violenza sessuale che non di rado hanno per oggetto le donne. In nome del rispetto della persona non possiamo altresì non denunciare la diffusa cultura edonistica e mercantile che promuove il sistematico sfruttamento della sessualità, inducendo anche ragazze in giovanissima età a cadere nei circuiti della corruzione e a prestarsi alla mercificazione del loro corpo».32

87. Papa Benedetto XVI insegna che la prostituzione femminile può rientrare tra le forme del traffico di esseri umani con queste precise parole: «Il traffico di esseri umani – e soprattutto di donne – prospera dove le opportunità di migliorare la propria condizione di vita, o semplicemente di sopravvivere, sono scarse; diventa facile per i trafficanti offrire i propri "servizi" alle vittime, che spesso non sospettano neppure lontanamente ciò che dovranno poi affrontare. In taluni casi, vi sono donne e ragazze che sono destinate ad essere poi sfruttate sul lavoro, quasi come schiave, e non di rado anche nell’industria del sesso. Pur non potendo approfondire qui l’analisi delle conseguenze di una tale migrazione, faccio mia la condanna già espressa da Giovanni Paolo II contro la diffusa cultura edonistica e mercantile che promuove il sistematico sfruttamento della sessualità (Lettera alle donne, 29 giugno 1995, n. 5). V’è qui tutto un programma di redenzione e di liberazione, a cui i cristiani non possono sottrarsi».33

I. Alcuni punti fermi

La prostituzione è una forma di schiavitù 

88. La prostituzione è una forma di schiavitù moderna che può colpire anche uomini e bambini. Si deve purtroppo osservare che il numero delle donne di strada è drammaticamente cresciuto nel mondo, per un insieme di ragioni complesse, anche economiche, sociali e culturali. È importante riconoscere, in primo luogo, che lo sfruttamento sessuale e la prostituzione legata al traffico di esseri umani sono atti di violenza, che costituiscono un’offesa alla dignità umana e una grave violazione dei diritti fondamentali.

89 Si deve inoltre considerare il fatto che le donne coinvolte nella prostituzione, in molti casi, hanno sperimentato violenze e abusi sessuali fin dall’infanzia. Inducono alla prostituzione la speranza di assicurare il sostentamento economico a sé stesse e alle proprie famiglie, la necessità di far fronte a debiti o la decisione di abbandonare situazioni di povertà nel Paese di origine, pensando che il lavoro offerto all’estero possa cambiare la vita. È chiaro che lo sfruttamento sessuale delle donne è una conseguenza di vari sistemi ingiusti.

90. Tante donne di strada, nel cosiddetto mondo sviluppato, provengono da Paesi poveri e, in Europa come altrove, molte sono vittime del traffico di esseri umani che risponde alla crescente domanda dei «consumatori» di sesso.

Migrazioni, traffico di esseri umani e diritti

91. Il legame tra migrazione, traffico di esseri umani e diritti è definito nel Protocollo delle Nazioni Unite per la prevenzione, la soppressione e la punizione del traffico di persone, specialmente di donne e bambini.34

Coloro che emigrano per far fronte alle necessità della vita e le vittime del traffico di esseri umani condividono molti aspetti di vulnerabilità, ma esistono anche rilevanti differenze tra migrazione, traffico e contrabbando di esseri umani. Le donne indebitate e senza lavoro, a causa di politiche di macro sviluppo, che emigrano per vivere e aiutare le proprie famiglie o comunità, sono in una situazione ben diversa dalle donne vittime del traffico di esseri umani.

92. Per una risposta pastorale efficace è importante conoscere i fattori che spingono o attraggono le donne alla prostituzione, le strategie usate da intermediari e sfruttatori per tenerle sotto il proprio dominio, le piste di movimento dai paesi di origine a quelli di destinazione e le risorse istituzionali per affrontare il problema. La comunità internazionale e molte Organizzazioni non governative stanno progressivamente aumentando le iniziative atte ad affrontare le attività criminali e a proteggere le persone vittime del traffico di esseri umani, sviluppando un’ampia gamma di interventi per prevenire tale fenomeno e riabilitare a livello di integrazione sociale le sue vittime. 

Chi è la vittima della prostituzione?

93. Vittima della prostituzione è un essere umano, che in molti casi «grida» per ricevere aiuto, per essere liberato dalla sua schiavitù, poiché vendere il proprio corpo sulla strada non è, in genere, ciò che si sceglierebbe volontariamente di fare. Certo, ogni persona ha una storia diversa, ma tutte le storie individuali sono accomunate dalla violenza, dall’abuso, dalla sfiducia e poca stima di sé, dalla paura e dalla mancanza di opportunità. Ognuna porta profonde ferite che è necessario curare, mentre cerca relazioni, amore, sicurezza, affetto, affermazione di sé, un futuro migliore, anche per la propria famiglia.

Chi è il «cliente»?

94. Anche il cliente è una persona che ha problemi ben radicati poiché, in un certo senso, è anche schiavo, nei suoi oltre 40 anni (è questa l’età della maggioranza dei «clienti»). Tuttavia, fra loro, crescente è il numero dei giovani tra i 16 e i 24 anni. In crescita è pure il numero di uomini che cercano le prostitute più per dominarle che per soddisfazione sessuale. Si tratta di soggetti che, nelle relazioni sociali e personali, sperimentano una perdita di potere e di «mascolinità» e non riescono a sviluppare relazioni di reciprocità e di rispetto. Tali uomini cercano le prostitute per un’esperienza di totale dominio e controllo su una donna anche solo per un breve periodo di tempo.

95. Il «cliente» va aiutato a risolvere i suoi problemi più intimi e a trovare modalità consone a indirizzare le sue tendenze sessuali. «Comprare sesso» non risolve i problemi che sorgono soprattutto dalle frustrazioni, dalla mancanza di relazioni autentiche, dalla solitudine che caratterizza, oggi, tante situazioni di vita. Un provvedimento efficace in direzione di un cambiamento culturale rispetto al commercio sessuale potrebbe derivare dall’associare il codice penale alla condanna sociale. 

96. La relazione tra uomo e donna, in moltissimi casi, non è una relazione tra pari, poiché la violenza, o la minaccia di essa, dà all’uomo privilegi e potere che possono rendere le donne silenziose e passive. Esse, e i bambini, sono spesso spinti sulla strada, o attirati da essa, a causa della violenza che soffrono da parte di maschi presenti in casa, i quali, a loro volta, hanno «interiorizzato» modelli di violenza legati alle ideologie cristallizzate nelle strutture sociali. È particolarmente triste prendere atto della partecipazione di donne all’oppressione e alla violenza fatta ad altre donne all’interno di reti criminali collegate alla prostituzione.

II. Compito della Chiesa

Promuovere la dignità della persona

97. La Chiesa ha la responsabilità pastorale di difendere e di promuovere la dignità umana delle persone sfruttate a causa della prostituzione e di perorare la loro liberazione, dando pure, a tal fine, un sostegno economico, educativo e formativo.

98. Per rispondere a queste necessità pastorali, la Chiesa denuncia le ingiustizie e le violenze perpetrate contro le donne di strada e invita gli uomini e le donne di buona volontà a profondere il loro impegno per sostenere la loro dignità umana, ponendo termine allo sfruttamento sessuale.

Nella solidarietà e nell’annuncio della Buona Novella

99. C’è bisogno di una rinnovata solidarietà nelle comunità cristiane e tra le congregazioni religiose, i movimenti ecclesiali, le nuove comunità, le istituzioni e associazioni cattoliche, al fine di dare maggiore attenzione e «visibilità» alla cura pastorale delle donne sfruttate a causa della prostituzione, una cura al cui centro sta l’annuncio esplicito della Buona Novella della liberazione integrale in Gesù Cristo, cioè della salvezza cristiana.

100. Nel prendersi cura delle necessità delle donne nel corso dei secoli, le congregazioni religiose, specialmente quelle femminili, prestarono sempre attenzione ai segni dei tempi, riscoprendo il valore e la rilevanza dei loro carismi in nuovi contesti sociali. Le religiose nel mondo, in fedele meditazione della Parola di Dio e della dottrina sociale della Chiesa, cercano oggi nuove modalità di testimonianza in favore della dignità femminile. 

Esse offrono anche alle donne di strada un’ampia gamma di servizi di soccorso, in centri di accoglienza, alloggi e case sicure, realizzando programmi di formazione e di educazione. Gli ordini contemplativi mostrano la loro solidarietà dando sostegno con la preghiera e, quando possibile, con l’assistenza economica.

101. Programmi specifici di formazione per operatori pastorali sono necessari per sviluppare competenze e strategie al fine di combattere la prostituzione e il traffico di esseri umani. Tali programmi sono realizzazioni importanti, perché impegnano sacerdoti, religiosi/e e laici nella prevenzione dei fenomeni considerati e nella reintegrazione sociale delle vittime. La collaborazione e la comunicazione tra Chiese di origine e di destinazione sono essenziali.35 

Approccio pluridimensionale

102. Per realizzare l’azione ecclesiale di liberazione delle donne di strada è necessario un approccio pluridimensionale. Esso deve coinvolgere tanto gli uomini quanto le donne e porre i diritti umani al centro di ogni strategia.

103. Gli uomini hanno un importante compito da svolgere nell’opera tesa al raggiungimento dell’uguaglianza dei sessi, in un contesto di reciprocità e di giuste differenze. Gli sfruttatori (generalmente i «clienti» sono uomini, trafficanti, turisti del sesso, ecc.) hanno bisogno di essere illuminati sulla gerarchia dei valori della vita e sui diritti umani. Essi devono anche considerare la chiara condanna della Chiesa per il loro peccato e per l’ingiustizia che commettono. Ciò vale anche per il commercio omosessuale e transessuale.

104. Le Conferenze episcopali e le corrispondenti Strutture delle Chiese Orientali Cattoliche, nei Paesi con diffusa prostituzione, conseguenza di traffico umano, dovranno denunciare questa piaga sociale. È necessario anche promuovere rispetto, comprensione, compassione e un atteggiamento di astensione dal giudizio – nel giusto senso – verso le donne cadute nella rete della prostituzione.

Vescovi, sacerdoti e operatori pastorali vanno incoraggiati ad affrontare questa schiavitù dal punto di vista pastorale, nel ministero ecclesiale. Le congregazioni religiose cercheranno di puntare sulla potenza delle loro istituzioni e di unire le forze per informare, educare ed agire.

105. Tutte le iniziative pastorali porranno l’accento sui valori cristiani, sul rispetto reciproco, su sane relazioni familiari e comunitarie e, inoltre, sulla necessità di equilibrio e di armonia nelle relazioni interpersonali tra uomini e donne.

È urgente poi che i vari progetti, promossi al fine di aiutare il rimpatrio e la reintegrazione sociale delle donne prigioniere della prostituzione, ricevano anche adeguato sostegno finanziario. Si raccomandano incontri di associazioni religiose che operano in diverse parti del mondo con tali finalità di assistenza e di liberazione.

Per quanto riguarda i «clienti», il coinvolgimento e il sostegno del clero sono determinanti sia per la formazione dei giovani, soprattutto uomini, sia per la complessa azione di vicinanza umana e, insieme, di formazione e di guida spirituale.

106. La cooperazione tra organismi pubblici e privati per arrivare all’eliminazione dello sfruttamento sessuale occorre che sia piena.

È anche necessario collaborare con i mezzi di comunicazione sociale per assicurare una corretta informazione su questo gravissimo problema. La Chiesa auspica la presentazione e l’applicazione di leggi che proteggano le donne dalla piaga della prostituzione e del traffico di esseri umani. è altresì importante adoperarsi per arrivare a misure efficaci contro avvilenti rappresentazioni della donna nella pubblicità.

Le comunità cristiane, infine, saranno stimolate a collaborare con le autorità nazionali e locali per aiutare le donne di strada a trovare risorse alternative per vivere.

III. Recupero di donne e «clienti»

107. Dai rapporti pastorali con le vittime risulta evidente che la loro «cura» è lunga e difficile. Le donne di strada hanno bisogno di essere aiutate a trovare casa, un ambiente familiare e una comunità in cui si sentano accettate e amate, dove possano cominciare a ricostruirsi una vita e un futuro. Ciò le metterà in grado di riacquistare stima e fiducia in se stesse, gioia di vivere e di ricominciare una nuova esistenza senza sentirsi segnate a dito.

Liberazione e reintegrazione sociale delle donne di strada richiedono accettazione e comprensione da parte delle comunità; il cammino di «guarigione» di queste donne sarà spianato da un amore genuino e dall’offerta di varie opportunità atte a soddisfare il loro bisogno di sicurezza, di affermazione di vita migliore. Il tesoro della fede (cfr. Mt 6,21), se è ancora viva in esse, nonostante tutto, o la sua scoperta, le aiuterà immensamente, perché potente nel bene è la certezza dell’amore di Dio, misericordioso e grande nell’amore.

108. I potenziali «clienti», invece, hanno bisogno di essere illuminati per quanto riguarda il rispetto e la dignità della donna, i valori interpersonali e l’intera sfera delle relazioni e della sessualità. In una società in cui denaro e «benessere» sono gli ideali, relazioni adeguate ed educazione sessuale risultano necessarie per la formazione completa delle persone.

Tale tipo di educazione deve illustrare la vera natura di relazioni interpersonali basate non sull’interesse egoistico o sullo sfruttamento, ma sulla dignità della persona da rispettare e apprezzare anzitutto quale immagine di Dio (cfr. Gen 1,27). In questo contesto, ai credenti va ricordato che il peccato è un’offesa al Signore, da evitare con tutte le proprie forze e con l’affidamento fiducioso di sé all’azione della Grazia divina.

Educazione e ricerca

109. È importante accostarsi al problema della prostituzione con una visione cristiana della vita. Lo si farà con i gruppi giovanili nelle scuole, nelle parrocchie e nelle famiglie, al fine di sviluppare giudizi corretti a proposito delle relazioni umane e cristiane, del rispetto, della dignità, dei diritti umani e della sessualità.

I formatori e gli educatori dovranno tener conto del contesto culturale in cui operano, ma non permetteranno che un inopportuno senso di imbarazzo impedisca loro di impegnarsi in un appropriato dialogo su questi argomenti, al fine di creare consapevolezza e infondere giusta preoccupazione riguardo all’abuso della sessualità.

110. La causa della violenza in famiglia ed il suo effetto sulle donne sono da considerare e studiare a ogni livello della società, particolarmente riguardo al loro impatto sulla vita familiare. Le conseguenze pratiche della violenza «interiorizzata» dovranno essere chiaramente identificate, sia per gli uomini che per le donne.

111. Educazione e crescita di consapevolezza sono requisiti essenziali per affrontare l’ingiustizia nella relazione uomo-donna e creare l’eguaglianza fra di loro, in un contesto di reciprocità, tenendo conto delle giuste differenze. Sia gli uomini che le donne hanno bisogno di diventare coscienti del fenomeno dello sfruttamento sessuale e di conoscere i propri diritti e le relative responsabilità.

Agli uomini, in particolare, è necessario proporre iniziative che affrontino le problematiche della violenza contro le donne, della sessualità, dell’HIV/AIDS, della paternità e della famiglia, ponendole in relazione con il rispetto e la carità verso le donne e le ragazze, nel quadro della reciprocità di relazioni, in un esame che includa una giusta critica di costumi tradizionali legati alla mascolinità.

La dottrina sociale cattolica

112. La Chiesa insegna e diffonde la sua dottrina sociale, che offre chiare linee di comportamento e invita a lottare per la giustizia.36 Impegnarsi a vari livelli – locale, nazionale e internazionale – per la liberazione delle donne di strada è un atto di vero discepolato verso il Signore Gesù, un’espressione di autentico amore cristiano (cfr. 1 Cor 13,3). È essenziale sviluppare la coscienza cristiana e sociale delle persone con la predicazione del Vangelo della salvezza, l’insegnamento catechetico e varie iniziative formative.

La formazione particolare destinata a seminaristi, giovani religiosi/e e sacerdoti è altresì necessaria affinché possano avere capacità e atteggiamenti appropriati per essere, con vero amore, pastori anche delle donne prigioniere della prostituzione e dei loro «clienti».

IV. Liberazione e redenzione

Prestazione di soccorso ed evangelizzazione

113. Per quanto riguarda la prestazione di soccorso, la Chiesa può offrirne un’ampia varietà alle vittime della prostituzione, cioè alloggi, punti di riferimento, assistenza medica e legale, consultori, formazione vocazionale, educazione, riabilitazione, difesa e campagne d’informazione, protezione dalle minacce, collegamenti con la famiglia, assistenza per il ritorno volontario e reintegrazione nel Paese di origine, aiuto nell’ottenere il visto per rimanere, quando il ritorno in Patria si rivela impossibile.

Prima, e oltre i servizi indicati, l’incontro con Gesù Cristo, Buon Samaritano e Salvatore, è il fattore decisivo di liberazione e redenzione, anche per le vittime della prostituzione (cfr. Mc 16,16; At 2,21; 4,12; Rm 10,9; Fil 2,11 e 1 Ts 1,9-10).

114. Accostare, per redimere, donne e ragazze di strada è un’impresa complessa ed esigente, che implica anche attività finalizzate alla prevenzione e alla crescita della consapevolezza del problema nei Paesi di origine, di transito e di destinazione di chi è vittima del traffico.

115. Iniziative di reintegrazione sono indispensabili nei Paesi di origine, per le donne che vi ritornano. Sono anche importanti la difesa e l’informazione, così come una «rete di collegamento». Occorre rafforzare quella di chi è impegnato nella pastorale in questo campo, cioè i volontari, le associazioni e i movimenti, le congregazioni religiose, le diocesi, le organizzazioni non governative (ong), i gruppi ecumenici e inter-religiosi, ecc.

Le Conferenze nazionali di religiosi/e sono incoraggiate a scegliere, in questo settore pastorale, una persona che funga da elemento di collegamento della «rete» operante all’interno e all’esterno del proprio Paese.

 

Terza partE
PASTORALE PER I RAGAZZI DI STRADA

116. Vogliamo qui ricordare le seguenti parole di Papa Giovanni Paolo II: «diamo ai bambini un futuro di pace! Ecco l’appello che rivolgo fiducioso agli uomini ed alle donne di buona volontà, invitando ciascuno ad aiutare i bambini a crescere in un clima di autentica pace. È un loro diritto, è un nostro dovere…Vi sono in alcuni Paesi bambini costretti a lavorare in tenera età, maltrattati, puniti violentemente, retribuiti con un compenso irrisorio: poiché non hanno modo di farsi valere, sono i più facili da ricattare e sfruttare».37  In un telegramma al Direttore Generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, la Santa Sede aggiunse: «Nessuno può rimanere indifferente di fronte alle sofferenze di tanti bambini che diventano vittime di un’intollerabile sfruttamento e violenza, non proprio come risultato del male perpetrato da parte degli individui, ma spesso come una diretta conseguenza di corrotte strutture sociali».38

117. L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha solennemente affermato che «occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società, ed allevarlo nello spirito degli ideali proclamati nello Statuto delle Nazione Unite e in particolare nello spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà e di solidarietà».39

Orbene il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti rivolge la sua sollecitudine pastorale anche ai piccoli abitanti della strada, ragazzi e ragazze.

I. Il fenomeno, le cause e possibili interventi

Il fenomeno

118. I ragazzi di strada costituiscono una delle sfide più impegnative e inquietanti del nostro secolo, sia per la Chiesa sia per la società civile. Si tratta di un fenomeno di insospettata ampiezza: un popolo, quasi ovunque in crescita, che già conta circa 100 milioni di ragazzi. è una vera e propria emergenza sociale, oltre che pastorale.

119. Le pubbliche istituzioni, anche quando manifestano chiara consapevolezza della gravità del fenomeno, non si mobilitano adeguatamente per efficaci interventi di prevenzione e di recupero. Nella stessa società civile l’atteggiamento prevalente è quello dell’allarme sociale che scatta di fronte a una possibile minaccia all’ordine pubblico. Circa il problema, stentano ad emergere atteggiamenti umanitari, solidali, e anche cristiani; di conseguenza è ancor più assente una pastorale specifica.

120. i ragazzi di strada, in senso stretto, risultano privi di legame con il loro nucleo familiare di origine, essi cioè hanno fatto della strada la loro abitazione, dove anche dormono, in una vasta gamma di situazioni. c’è chi ha sofferto l’esperienza traumatizzante di una famiglia che si è sfaldata, ed è rimasto solo, o è fuggito di casa perché troppo trascurato o maltrattato. 

Vi sono poi coloro che rifiutano la casa, o da essa sono cacciati perché compromessi con forme di devianza (droga, alcool, furti ed espedienti vari per sopravvivere), e quanti sono indotti con promesse, seduzione o violenza, da parte di adulti o di cosche malavitose, a stare sulla strada. 

Ciò avviene spesso per giovani straniere costrette a prostituirsi o per minori esteri non accompagnati, costretti all’accattonaggio o anche alla prostituzione. Questi ragazzi hanno spesso a che fare con le forze dell’ordine e sovente sperimentano il carcere.

121. Diversa è la situazione dei «ragazzi nella strada», di coloro che trascorrono gran parte del loro tempo in strada, anche se non sono privi di «casa» e di un legame con la famiglia originaria. Essi preferiscono vivere alla giornata, con scarso o nessun senso di responsabilità per la formazione e il futuro, in aggregazioni poco raccomandabili, abitualmente fuori della famiglia, anche se in essa possono ancora trovare un giaciglio per dormire. Il loro numero è comunque preoccupante anche nei Paesi sviluppati.

Le cause del fenomeno

122. Numerose sono le cause alla base di questo fenomeno sociale di dimensioni sempre più allarmanti; tra le principali: una crescente disgregazione delle famiglie; situazioni di tensione fra genitori; comportamenti aggressivi, violenti, e talora perversi, nei confronti dei figli; l’emigrazione, con quanto essa comporta di sradicamento dal contesto abituale di vita e conseguente disorientamento; condizioni di povertà e di miseria che mortificano la dignità e privano dell’indispensabile per sopravvivere; il dilagare della tossicodipendenza e dell’alcoolismo; la prostituzione e l’industria del sesso, che continua a mietere un numero impressionante di vittime, indotte spesso con violenze allucinanti alla più feroce delle schiavitù.

Tra le cause del fenomeno considerato ci sono poi le guerre e i disordini sociali che sconvolgono, anche per i minori, la normalità della vita e non va sottovalutato il diffondersi, soprattutto in Europa, di una «cultura dello sballo e della trasgressione» in ambienti segnati dalla mancanza di valori di riferimento, in cui la solitudine e un senso sempre più profondo di vuoto esistenziale caratterizzano il mondo giovanile in generale.

Gli interventi e i loro obiettivi

123. Quanto più si presenta allarmante l’entità del fenomeno e carente la presenza effettiva dei pubblici poteri, tanto più è apprezzabile e prezioso l’intervento del privato sociale e del volontariato. Attivo ed efficiente risulta l’associazionismo di area ecclesiale e di ispirazione cristiana, con i suoi nuovi movimenti e comunità, ma esso è purtroppo inadeguato di fronte alla ampiezza dei bisogni e, per lo più, sganciato da un progetto pastorale organico. 

È necessario che le Diocesi e le Conferenze episcopali e le corrispondenti Strutture delle Chiese Orientali Cattoliche affrontino pastoralmente questo problema, considerando sia la prevenzione sia il recupero dei ragazzi. 

124. Nella varietà delle iniziative concrete, a tale riguardo, si riscontra una sostanziale concordanza di obiettivi, vale a dire il recupero del ragazzo di strada a una normalità di vita, che comporta il suo reinserimento nella società, ma soprattutto in un ambiente di famiglia, possibilmente in quella di origine, oppure in un’altra, e, nel caso in cui ciò sia impossibile, in strutture comunitarie, ma sempre di tipo familiare. 

L’impegno prioritario è quello di mettere il ragazzo in condizione di aver fiducia in sé stesso, facendogli guadagnare autostima, senso della sua dignità e una conseguente consapevolezza della propria responsabilità personale, affinché possa nascere in lui un autentico desiderio di riprendere un curriculum scolastico e di prepararsi professionalmente ad un inserimento, anche lavorativo, nella società, così da poter sviluppare dignitosi e gratificanti progetti di vita, contando sulle sue forze e non in una condizione di esclusiva dipendenza da altri. 

125. Molto diversificate sono le tipologie di intervento, quali il cosiddetto impegno in strada, che prevede il contatto con i ragazzi nei loro luoghi di aggregazione, al fine di stabilire un rapporto empatico e di fiducia che consenta loro un’apertura verso gli educatori e i centri diurni organizzati per la promozione di condizioni essenziali affinché i ragazzi possano vivere con dignità.

Vi sono anche iniziative di sostegno per il soddisfacimento dei loro bisogni primari: mensa, guardaroba, assistenza socio-sanitaria e strutture educative e formative, cioè asili, scuole e corsi di formazione professionale. Si organizzano inoltre centri di accoglienza residenziale, dove essi ricevono anche istruzione e formazione, ma soprattutto si fa leva sull’accompagnamento umano, con il supporto anche delle discipline psico-pedagogiche.

126. Nell’ambito delle attività volte al reinserimento dei ragazzi nel nucleo originario di appartenenza o in nuove comunità di adozione, in certi casi si realizzano percorsi di accompagnamento spirituale, basati sul Vangelo.

Non dimentichiamo infine l’attività, a più ampio raggio, che raggiunge la società civile ed ecclesiale, non semplicemente per informare, ma per sensibilizzare e coinvolgere soprattutto nell’opera di prevenzione del fenomeno e di sostegno dei ragazzi restituiti al loro ambiente naturale, e i corsi di formazione e di aggiornamento per operatori e volontari, che mirano a garantire seria professionalità.

II. Questioni di metodo

La pluridimensionalità

127. Quanto al metodo, l’obiettivo fondamentale è l’integrazione dei vari interventi: il lavoro in équipe di tutti gli operatori, il parallelo impegno di sostegno ai genitori, se rintracciabili e recuperabili alla collaborazione, il reinserimento dei ragazzi nella scuola o nella formazione professionale, la costruzione e l’allargamento di reti di amicizia, anche al di fuori delle strutture di accoglienza, le attività ludiche e sportive e a quanto stimola il ragazzo ad assumere ruoli attivi di responsabilità e creativi.

128. L’impegno con i ragazzi di strada, non risulta certo facile, talora anzi sembra inconcludente e frustrante e può nascere la tentazione di cedere e ritirarsi. In questi casi, bisogna ancorarsi alle motivazioni di fondo che hanno spinto a dedicarsi a quest’opera benemerita. Per il credente, si tratta in primo luogo di motivazioni di fede.

È comunque utile focalizzare l’attenzione su chi fa una esperienza decisamente positiva, verso chi sostiene giustamente che il lavoro ha risultati soddisfacenti in molti, talora nella maggioranza dei casi. Con prudenza e pazienza si deve attendere la conferma del tempo, verificando, ad esempio dopo cinque anni, la «tenuta» del recupero e della normalizzazione del soggetto. È possibile una ricaduta, un ritorno alla strada, ma può anche succedere che il ragazzo refrattario, in un primo momento, all’opera degli educatori, si apra più tardi al cammino di recupero e ai valori che gli erano stati in precedenza proposti senza risultato.

III. Compito di evangelizzazione e promozione umana

Una pastorale specifica

129. Risulta con evidenza la necessità di una maggiore presa di coscienza della gravità del fenomeno qui analizzato e di un più sistematico impegno per affrontarlo, anche in ambito ecclesiale. A questo livello gli interventi di carattere umanitario in favore dei ragazzi di strada dovrebbero essere accompagnati dal generale, primario compito di evangelizzazione; è dunque auspicabile l’elaborazione di una pastorale specifica caratterizzata dalla proposta di nuove strategie e modalità finalizzate a porre in contatto questi ragazzi con la forza liberatrice e sanante di Gesù, amico, fratello e maestro. Una qualificata pastorale di prima o nuova evangelizzazione è necessaria e insostituibile per recuperare e valorizzare la dimensione religiosa, fondamentale in tutte le persone.

130. All’educatore, all’operatore pastorale, si presenta a tale riguardo una duplice via e modalità di intervento, quella cioè che punta direttamente sulla proposta religiosa specificamente evangelica, affinché il ragazzo, una volta entrato in quest’area di fede e di valori umani, possa liberarsi dai condizionamenti e superare i dissesti che l’hanno portato sulla strada, oppure quella del recupero umano del ragazzo fino a restituirgli equilibrio e normalità, piena identità umana.

Si accompagna questa paziente opera anche con proposte e riferimenti religiosi, nella misura in cui ciò sia compatibile con la condizione del ragazzo stesso e del Paese in cui egli si trova. Tali itinerari certo non vanno posti in contrapposizione, perché entrambi possono rivelarsi efficaci.

131. La proposta religiosa rimane fondamentale nel quadro complessivo dell’intervento di recupero. Il problema che accomuna gran parte del «popolo della strada» non è soltanto la miseria o la tossicodipendenza, l’alcoolismo o la devianza, la violenza o la criminalità, l’Aids o la prostituzione, quanto piuttosto il terribile male della «morte dell’anima». Si tratta troppo spesso di persone che, anche se nel pieno della giovinezza, sono «morte dentro».

Una pastorale dell’incontro, una nuova evangelizzazione

132. è dunque necessario accogliere il pressante invito, che risuonò spesso durante il pontificato di Giovanni Paolo II, ad una nuova evangelizzazione. Solo l’incontro con Cristo Risorto può ridonare la gioia della risurrezione a chi è nella morte. Solo l’incontro con Colui che è venuto a fasciare le piaghe dei cuori trafitti (cfr. is 61,1-2; Lc 4,18-19) può operare una profonda guarigione delle devastanti ferite di esseri traumatizzati e impietriti dalle troppe frustrazioni e violenze subite.

133. è importante passare dalla pastorale dell’attesa alla pastorale dell’incontro, dell’accoglienza, agendo con fantasia, creatività e coraggio, per raggiungere i ragazzi nei loro nuovi luoghi di aggregazione, nelle strade, nelle piazze, come pure – allargando la prospettiva – nei vari locali, nelle discoteche e nelle zone più «calde» delle nostre metropoli. Bisogna andare loro incontro con amore per portare il Lieto Annunzio e testimoniare con la propria esperienza di vita che Cristo è Via, Verità e Vita.

134. è indispensabile dare testimonianza della luce di Cristo, che illumina e apre nuove vie a chi si sente immerso nelle tenebre. È urgente risvegliare nella comunità cristiana la vocazione al servizio e alla missione, in una crescente e sentita consapevolezza del potere salvifico della fede e dei sacramenti. Troppi ragazzi continuano infatti a morire sulle strade, nell’indifferenza di molti. 

Non accogliere con grande impegno l’accorato invito alla nuova evangelizzazione è un vero e proprio peccato di omissione. È perciò importante contemplare, nei progetti pastorali, i più svariati interventi che portino il primo annuncio ai «lontani», che diano la possibilità anche ai ragazzi di strada di scoprire che esiste qualcuno che li ama e di essere accompagnati nella ricerca di un nuovo rapporto con se stessi, con gli altri, con Dio, con la comunità di appartenenza o di adozione.

IV. Alcune proposte concrete

135. Esperienze già collaudate suggeriscono come auspicabili:

- la creazione di comunità e gruppi (parrocchiali e non) nei quali i giovani abbiano la possibilità di conoscere e vivere il Vangelo con radicalità, sperimentandone in prima persona la potenza risanatrice;

- l’istituzione nelle parrocchie e nelle varie realtà ecclesiali di scuole di preghiera che diano un nuovo impulso alla dimensione contemplativa e missionaria dei differenti gruppi;

- la formazione di équipe di evangelizzazione capaci di testimoniare con entusiasmo la meravigliosa Notizia che Cristo è venuto a portarci, nonché di ragazzi «missionari» che portino l’abbraccio di Cristo Risorto ai loro coetanei e ai «nuovi poveri» o schiavi nel nostro mondo;

- la formazione, nelle diocesi/eparchie di giovani sempre più preparati professionalmente che sappiano far confluire i loro talenti artistici e musicali nella creazione di nuovi spettacoli connotati da contenuti evangelici;

- la creazione di centri di formazione per l’evangelizzazione di strada;

- la costituzione di luoghi alternativi di aggregazione giovanile, che offrano proposte dense di valori e di significato;

- la costituzione di centri d’ascolto e l’elaborazione di iniziative di prevenzione e di evangelizzazione nelle scuole;

- un impegno per utilizzare i mass-media come preziosi strumenti per «gridare sui tetti» il Vangelo (cfr. Mt 10,27);

- la costituzione di nuove comunità e gruppi di accoglienza che accompagnino i ragazzi in un lungo e impegnativo cammino di guarigione interiore, basato sul Vangelo, con quell’amore che Cristo ci ha insegnato, un amore che non si accontenta di «fare la carità», ma si fa carico del grido, dell’angoscia, delle ferite, della morte, dei piccoli e dei poveri, un amore pronto a dare la vita per i propri amici.

V. Icone dell’educatore

Gesù Buon Pastore e i discepoli di Emmaus

136. Anche l’educatore, il quale non parta da una esplicita e forte proposta religiosa, può vivere un atteggiamento interiore ispirato al Vangelo, bene espresso da una triplice icona evangelica. Anzitutto quella di Gesù di fronte all’adultera (cfr. Lc 7,36-50; Gv 8,3-11): il maestro è rispettoso e affettuoso, non giudica, non condanna la persona, ma l’incoraggia col suo stesso atteggiamento a cambiare vita.

La seconda icona, quella del Buon Pastore (cfr. Mt 18,12-14; Lc 15,4-7)) che va alla ricerca della pecora smarrita (tanto più se si tratta di un agnellino), invita a non attendere, e tanto meno a pretendere, che sia la pecorella a ritrovare la strada dell’ovile. queste sono quindi le tappe obbligate, auspicate, per una pastorale dei ragazzi di strada: osservare, ascoltare, comprendere dal di dentro questo mondo che è tanto misterioso (il Buon Pastore conosce le sue pecore); prendere l’iniziativa dell’incontro, andare per strada, così che il ragazzo percepisca che ci si trova a proprio agio anche là dove egli ha scelto di stare, o vi è costretto (il Pastore lascia l’ovile e va); tessere con lui un rapporto spontaneo, caldo di affetto e di interesse, di amicizia autentica che non è necessario declamare con tante parole perché traspare da ogni gesto (il Pastore porta la pecora sulle spalle e fa festa con gli amici quando l’ha ritrovata).

La terza icona è quella dei discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,13-35): essi aprono finalmente gli occhi di fronte al Cristo risorto e alla prospettiva della risurrezione, dopo aver fatto un certo percorso, durante il quale non sono gli occhi, ma è il cuore, reso ardente, ad aprirsi alla Novità evangelica. 

Un unico traguardo finale

137. È evidente che con questo atteggiamento interiore il secondo percorso educativo sopra descritto (v. n. 130) ha molto in comune col primo e soprattutto unica è la meta finale. I due percorsi hanno in comune anche il metodo, in questi suoi aspetti fondamentali:

- Suscitare fiducia e autostima, così che il ragazzo comprenda e sperimenti che egli è importante per l’educatore e l’educatore è importante per lui. è un punto di partenza indispensabile affinché il ragazzo in difficoltà possa fare con convinzione e decisione i primi passi verso un’altra scelta di vita. Bisogna accompagnarlo nella scoperta dell’Amore di Dio attraverso l’esperienza concreta del sentirsi accolto, accettato incondizionatamente e amato personalmente per ciò che è. Questo contatto a tu per tu va proseguito anche in seguito, dopo che il ragazzo è passato magari sotto la cura di altri educatori o ha lasciato la struttura di accoglienza.

- Dare spazio all’educando affinché abbia un suo ruolo attivo nella comunità, suscitare il suo senso di responsabilità e di libertà, così che in comunità si senta a casa sua. Ciò domanda che nella «casa» continuino a predominare il calore, la spontaneità, la vicinanza amichevole più che l’ordine, la disciplina e una norma scritta.

- Coltivare il rapporto personale con ogni ragazzo. Per quanto siano utili metodologie e regole generali, ognuno è un caso a sé, è un mondo originale, ed ha la sua storia. Tanti ragazzi hanno mostrato intelligenza ed energia nel sopravvivere a situazioni molto difficili; si sono rivelati abili, creativi, furbi. Ebbene si dovrà continuare a far leva su queste risorse, più o meno manifeste della loro personalità, per orientarli a «cambiare strada», per farli diventare essi stessi soggetto e non solo oggetto di pastorale per il loro recupero. I programmi pedagogico-educativi hanno l’importante compito di portare i ragazzi a riscoprire e a valorizzare il proprio potenziale positivo, a mettere a frutto i talenti e a sviluppare il più possibile le proprie capacità.

- Aver di mira il fine che il ragazzo faccia proprio e interiorizzi in profondità il progetto educativo a tal punto da diventare, magari dopo qualche anno, aiuto e stimolo per altri ragazzi di strada a fare il suo medesimo percorso. Egli così si affianca al suo educatore, trasformandosi egli stesso in soggetto di questa pastorale specifica.

- Riconoscere nell’impegno a favore dei ragazzi di strada una via privilegiata di servizio al Signore e di incontro con Lui. Egli infatti dice: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

VI. Gli operatori pastorali

Preparazione

138. è chiaro che il meglio delle risorse impegnate in questo campo deve tendere a preparare professionalmente e spiritualmente gli operatori pastorali, che devono avere una grande maturità umana, essere capaci di rinunciare al successo immediato e di nutrire fiducia nel fatto che il frutto del loro impegno potrà rivelarsi anche in seguito, magari dopo periodi in cui pare che tutto sia perduto. Essi devono avere grande capacità di agire in sintonia e collaborazione con gli altri educatori.

Insieme per un impegno comune

139. È da prevedere, se possibile, un impegno con la famiglia d’origine, che incida positivamente sulle dinamiche familiari e sia volto al sostegno, alla ricostruzione del tessuto familiare e al graduale accompagnamento e reinserimento del ragazzo nel nucleo di appartenenza.

140. Va perseguito un lavoro d’insieme non soltanto al di dentro delle proprie strutture, educative e pastorali, ma pure con quanti, sul territorio, sono impegnati nel medesimo servizio, o comunque vi sono interessati. 

Sarà dunque da ricercare e da accogliere la collaborazione con altre forze, anche non di matrice ecclesiale, ma di autentica sensibilità umana, e con gli enti pubblici, pure quando non si può o non si intende, per scelta, fare affidamento su loro finanziamenti.

141. Si presterà tuttavia molta attenzione affinché gli interventi di supplenza dell’associazionismo e del volontariato non creino, in chi dovrebbe intervenire, la mentalità e il pretesto per il disimpegno. Anche da parte della Chiesa, quando sia necessario, alla funzione di proposta e di stimolo va congiunta quella della critica costruttiva e della denuncia profetica di situazioni ingiuste ed inumane.

«In rete» e con un minimo di struttura pastorale

142. Si dovrà inoltre cercare di «mettere in rete» quanto già esiste su un certo territorio per uno scambio di buone esperienze e anche per un eventuale sostegno, da parte di chi ha già una lunga pratica, nei confronti di quanti sono ancora agli inizi.

143. I ragazzi di strada risultano essere un riflesso della società in cui vivono. Gli operatori devono aiutare la società a prendere coscienza di questa responsabilità, e alimentare in essa un certo senso di sana inquietudine nei confronti di questi ragazzi. La medesima attenzione devono avere la Chiesa locale e le comunità cristiane.

144. Sarà di grande utilità, per questa mobilitazione a favore dei ragazzi di strada, la creazione, presso le Conferenze episcopali e le corrispondenti strutture delle Chiese Orientale Cattoliche, e/o le stesse diocesi/eparchie maggiormente interessate al problema, di uno speciale ufficio (o di una sezione in uno già esistente, quello ad esempio della pastorale della mobilità umana, o della strada), in collegamento con l’impegno apostolico giovanile o familiare.

È altresì auspicabile che siano inserite nei progetti pastorali generali proposte organiche, incisive e con continuità d’azione, che pongano una sollecitudine particolare alla «pastorale della strada» per la quale gli operatori specifici devono aprire le comunità parrocchiali ed ecclesiali, in crescita di sensibilità e con attenzione, nella ricerca di risposte all’altezza dell’urgenza del problema, alla Parola del Signore: «chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me» (Mt 18,5).

Quarta parte
Pastorale per le persone senza fissa dimora

145. La Chiesa, con la sua scelta preferenziale per i poveri40 e i bisognosi, stimola i cristiani ad accompagnare e servire queste persone, qualunque sia la situazione morale o personale nella quale esse si trovano. Per rendersi conto dello stato della povertà nel mondo, anche per quanto riguarda i senza tetto, basti pensare al numero di persone senza casa che vivono nelle grandi città.41 

I. Destinatari

146. La povertà ha un aspetto che si manifesta nelle persone che vivono e dormono nelle strade o sotto i ponti. Esse rappresentano uno dei tanti volti della povertà nel mondo contemporaneo: sono i clochard, persone costrette a vivere in strada perché non hanno alloggio, oppure stranieri immigrati dai paesi poveri che, a volte, pur lavorando, non hanno una casa dove abitare, o anziani senza domicilio, oppure, infine, coloro che – e sono in genere giovani – hanno «scelto» un tipo di vita vagabonda, da soli o in gruppo. 

147. Tra le persone che vivono sulla strada meritano un discorso a parte gli stranieri: in genere si tratta di giovani, che si trovano senza alloggio solo durante il primo periodo di immigrazione, a causa della carenza delle strutture, e che vivono questa esperienza con umiliazione, pur accettandola come un passaggio obbligato per un futuro migliore.

Cause della situazione

148. In questi ultimi anni, nelle società industrializzate, specialmente nella vecchia Europa, a causa della crisi dello Stato sociale o delle difficili condizioni economiche (per esempio nell’Est europeo), tante persone non trovano più sostegno in misure assistenziali statali. Le pensioni di vecchiaia sono insufficienti, il diritto alla casa è disatteso, la disoccupazione in molti casi non è assistita, e le spese sanitarie risultano gravose. Accade così che molte persone, ad un certo momento della loro vita, si ritrovano a vivere per strada.

Altri motivi di questa situazione possono essere uno sfratto, una tensione familiare che non si risolve, la perdita del lavoro, una malattia. Tutto ciò – là dove manca il sostegno necessario – può trasformare persone che fino a un certo momento conducevano una vita «normale» in gente sprovvista del necessario.

Precarietà della situazione

149. Vivere per strada – è importante saperlo –, contrariamente a quanto spesso si ritiene, non è sempre una scelta. La vita in strada, infatti, è dura e pericolosa, è una lotta quotidiana per la sopravvivenza. Tanto meno è una scelta di libertà. Chi è senza casa vive infatti una condizione di grande vulnerabilità perché è costretto a dipendere dagli altri, anche solo per i bisogni primari, ed è esposto alle aggressioni, al freddo, all’umiliazione di esser cacciato come indesiderato. 

150. Ciò avviene sempre più spesso, poiché aumenta il numero dei poveri senza tetto, ma gli spazi dove essi possono trovare riparo si riducono (per esempio le stazioni, le panchine, i portici, i ponti), mentre assistiamo anche ad un graduale cambiamento di mentalità nei loro confronti. I poveri non commuovono più, sono diventati un problema di ordine pubblico; v’è un atteggiamento di fastidio crescente verso chi chiede l’elemosina, anche perché può esistere una vera e propria organizzazione dell’accattonaggio. 

151. Chi vive per strada è guardato dunque con diffidenza e con sospetto e il fatto di non avere una casa diventa l’inizio di una perdita progressiva di diritti. È più difficile così avere assistenza, è quasi impossibile trovare lavoro, non si riesce più ad avere i documenti di identità... Questi poveri diventano una folla senza nome e senza voce incapace spesso di difendersi e di trovare risorse per migliorare il proprio futuro. 

La Parola di Dio stigmatizza qualsiasi forma di fastidio o indifferenza verso i poveri (poverty fatigue), ricordandoci che il Signore giudicherà le nostre vite valutando il come e il quanto abbiamo amato i poveri (cfr. Mt 25, 31-46). Secondo Sant’Agostino, siamo invitati a dare il nostro aiuto ad ogni povero per non correre il pericolo che proprio quello a cui lo neghiamo sia Cristo stesso.42 

La dignità delle persone

152. Anche se in condizione di bisogno e di disagio, i senza tetto sono persone, con una dignità che non si deve mai perdere di vista, con tutte le sue conseguenze.

Gli interventi a favore delle persone senza fissa dimora devono essere innovativi, affinché venga finalmente spezzato il binomio della semplice risposta al bisogno e si lanci lo sguardo oltre, per tentare di cogliere sempre la persona.

153. Si tratta di partire da ciò che la persona senza dimora ha, dalle sue capacità e non dalle sue carenze. In questo contesto anche le piccole novità di cambiamento, manifestate, debbono essere valorizzate dagli operatori pastorali.

154. Importante comunque risulta il riconoscimento delle «differenze», che vanno integrate, e dei limiti, che non devono indurre a fare sentire l’altro come un diverso, un uomo di serie inferiore. Personalizzare l’intervento significa anche discernere quello che è possibile fare e quello che non lo è.

Alcuni parlano, a tale proposito, di un «diritto alla crisi», che investe direttamente l’operatore pastorale che gestisce la relazione di aiuto. Egli si sente, a sua volta, in qualche modo, come graffiato o ferito. Le «differenze», e le possibili crisi, portano la struttura di appoggio a uscire dall’isolamento in cui a volte rischia di trovarsi e ad attivare un «lavoro di rete» con i vari servizi presenti nel territorio.

155. Se guardiamo inoltre al mondo in via di sviluppo scopriamo un numero crescente di mendicanti, spesso persone malate, ciechi o lebbrosi, infettate dall’AIDS, e quindi escluse dal loro villaggio o dalle loro famiglie, costrette a vivere, sui marciapiedi, di espedienti e di elemosina.

II. Metodi di approccio e mezzi di assistenza

156. Grazie a Dio non mancano risposte pastorali adeguate, anche se non sufficienti, da parte di parrocchie, aggregazioni cattoliche, movimenti ecclesiali e nuove comunità. Vi è cioè chi va alla ricerca di tali fratelli e sorelle bisognosi, e l’incontro ha creato una rete di amicizia e di sostegno, dando luogo a generose iniziative stabili di solidarietà.

157. La ricerca delle persone senza fissa dimora, l’incontro con loro, porta a vincere l’isolamento in cui vivono, a proteggerli dal freddo e dalla fame. Si portano loro cibo e bevande calde, in una specie di «cena itinerante», si donano coperte e altri generi di conforto nelle loro necessità.

158. Si sono creati anche centri di accoglienza, in grado di garantire un complesso di iniziative organizzate per venire incontro ai tanti bisogni delle persone in stato di necessità: informazione e consulenza, distribuzione di generi alimentari e di vestiario, con possibilità di pulizia personale (docce, lavanderia, parrucchiere) e di ambulatorio medico.

159. Da considerare è peraltro il fatto che le persone senza dimora spesso perdono la possibilità di usufruire dei servizi pubblici perché, a causa della loro situazione, non hanno più una residenza anagrafica e non possiedono più documenti di identità. Questa condizione di «morte anagrafica» va combattuta cercando, con i comuni e le autorità civili, di stabilire la residenza, magari presso una comunità di assistenza o il centro di accoglienza. La stessa soluzione potrà trovarsi per il recapito postale.

160. Per quanto riguarda l’offerta di cibo, il dar da mangiare all’affamato (cfr. Mt 25,35) è valore umano antico diffuso in tutte le culture, perché ha un legame diretto col riconoscimento del valore della vita. Lo scandalo del povero Lazzaro e del ricco Epulone, nella famosa parabola di Gesù (cfr. Lc 16,19-30), trova riscontro anche nelle culture ebraica e islamica, pure nell’ambito delle tematiche relative all’ospitalità. L’affamato interroga dunque la coscienza di tutti, laici e credenti, nel contesto di una cultura della solidarietà.43 

161. Per quanto riguarda le mense, di qualsiasi genere e ordine, con il servizio gratuito di un pasto caldo e abbondante, gioverà il clima familiare e accogliente che si saprà creare. Chi vi si reca a mangiare, nella sua povertà, ha sì necessità di soddisfare il bisogno di cibo, ma sopratutto di trovare simpatia, rispetto e calore umano, che spesso gli sono negati. Ideale è il servizio garantito da volontari, che a titolo gratuito offrono il loro tempo libero per aiutare.

L’attenzione alla dignità e alla persona di ciascuno si esprimerà altresì nella cura dell’ambiente e nell’atteggiamento cortese dei volontari che servono a tavola. Bisognerà anche tener conto delle abitudini alimentari degli ospiti, nel rispetto per esempio della loro tradizione religiosa.

162. In tale situazione i volontari vivono con i poveri un rapporto speciale, fino a raggiungere quasi quello di famiglia, di amicizia, che molti senza tetto hanno perso o non hanno mai avuto. Così si giunge all’espressione bella di un pranzo natalizio quasi di famiglia, per le persone senza dimora, che sta diventando tradizione in molti luoghi.

La sollecitudine cristiana

163. È qui rivelato il legame della strada, della relativa pastorale specifica, con la sua sorgente, Cristo Signore, nel mistero della Sua incarnazione, e con la Chiesa e la sua opzione preferenziale per i poveri, da evangelizzare, naturalmente nel rispetto della libertà di coscienza di ciascuno. Anche i poveri, poi, ci evangelizzano (cfr. Is 61,1-3; Lc 4,18-19).

164. In questa prospettiva non va dimenticata, fra le altre opere di misericordia, quella della sepoltura. Per chi muore e non ha famiglia, gli operatori pastorali dovranno preoccuparsi di garantire una celebrazione del funerale. Una volta all’anno si potrà altresì fare memoria, con le persone che vivono nella strada, di quelle conosciute e passate a migliore vita, ricordando uno per uno i loro nomi. che siano scritti nel libro della vita!

165. Il nostro sguardo contemplativo, al termine di questo andare per le varie vie della pastorale della strada, si rivolge a Maria, Madre e Signora nostra, con la preghiera dedicata agli operatori pastorali nel quarto mistero glorioso del Rosario dei migranti e degli itineranti: «[…] affinché, nello svolgimento della loro attività pastorali, non si lascino "consumare da interessi e preoccupazioni materiali", né sopraffare da incertezza, ansia e solitudine, ma cerchino sicurezza nel cuore amorevole di Maria, Assunta in Cielo».44

Roma, dalla sede del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, il 24 maggio 2007, nella memoria della Madonna della Strada.

Renato Raffaele Cardinale Martino
Presidente

+ Agostino Marchetto
Arcivescovo titolare di Astigi
Segretario

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1 Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, Orientamenti per una Pastorale degli Zingari, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2005.

2  Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, Orientamenti per la Pastorale del Turismo, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2001.

3 Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, Il Pellegrinaggio nel Grande Giubileo del 2000, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998.

4 Pio XII, Discorso alla «Fédération Routière internationale»: Discorsi e Radiomessaggi di S. S. Pio XII, vol. XVII (1955) 275.

5 Cfr. Cardinale Angelo Sodano, Messaggio Pontificio per la Giornata Mondiale del Turismo 2005: L’Osservatore Romano, 21 luglio 2005, 5.

6 Cfr. Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, Istruzione Erga Migrantes Caritas Christi, n. 15, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004.

7 Paolo vi, Discorso sulla moralizzazione dell’utenza stradale: Insegnamenti di Paolo VI, vol. III (1965) 499

8 In una esortazione pastorale sulla sicurezza stradale, la Commissione Sociale della Conferenza Episcopale Francese così dichiarava: «Secondo gli psicologi, i conducenti utilizzano spesso il proprio veicolo in maniera irresponsabile, e pertanto pericolosa. La macchina, il camion e la moto diventano così espressione di potere, intolleranza, esibizione, a volte perfino di violenza. Il conducente può manifestare sentimenti e atteggiamenti che non adotta nella vita normale ... Tale insicurezza stradale costituisce pertanto uno scandalo che deve suscitare la riflessione di tutti i conducenti di veicoli e incitarli a modificare il proprio comportamento»: Conférence Episcopale Française, Sécurité routière: un défi évangélique, 24 octobre 2002: www.cef.fr/catho/actus/communiques/ 2002/ commu20021029securiteroutiere.php.

9 Cfr. General Assembly Plenary Meeting and expert Consultation on the Global Road Safety Crisis, 14-15 aprile 2004.

10 Paolo vi, Discorso ai partecipanti al dialogo internazionale per la moralizzazione dell’utenza stradale: Insegnamenti di Paolo VI, vol. III (1965) 500, cfr. anche Benedetto xvi, Angelus Domini di domenica 20 novembre 2005: L’Osservatore Romano 21-22 novembre 2005, 6.

11 pio xii, Discorso alla «Fédération Routière Internationale»: l. c. 275; cfr. episcopato belga, Lettre pastorale sur la morale de la circulation routière, Malines, le 15 Janvier 1966 : Pastoralia, (1966) n. 8, foglio 1 verso, col. II.

12 Giovanni xxiii, Il rispetto della vita umana fondamento di efficace disciplina stradale: Discorsi, Messaggi, Colloqui del Santo Padre Giovanni xxiii, vol. III (1961) 383.

13 Giovanni paolo ii, Una cultura della strada. Contro i troppi incidenti: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. X, 3 (1987) 22.

14 paolo vi, Discorso ai partecipanti al Dialogo internazionale per la moralizzazione dell’utenza stradale: Insegnamenti di Paolo VI, vol. III (1965) 499.

15 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1737, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1999.

16 Ibidem, n. 2290.

17 pio xii, Ai soci dell’Automobile Club di Roma: Discorsi e Radiomessaggi di S.S. Pio XII, vol. XVIII (1956) 89.

18 Episcopato belga : l. c., foglio 2 recto, col. II.

19 Episcopato spagnolo, Esortazione Pastorale Espiritu cristiano y tráfico, n. 7: «Ecclesia», n. 1481, 21 luglio 1968.

20 Episcopato belga: l.c.

21 Ibidem, col. I.

22 Ibidem.

23 Cfr. «La Giornata del perdono»: L’Osservatore Romano 13-14 marzo 2000, 8-9.

24 Cfr. pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, Istruzione Erga Migrantes Caritas Christi, n. 15: 1.c.

25 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 485: 1. c.; giovanni paolo ii, Lettera enciclica Dominum et vivificantem, n. 66: AAS LXXVIII (1986) 896.

26 Cfr. gioavani paolo ii, Omelia all'Aeroporto «Leonardo da Vinci» di Roma: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XIV, 2 (1991) 1351; cfr. anche pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, Il Rosario dei Migranti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004.

27 Cfr. paolo vi, Ai partecipanti al VII Congresso della Associazione Nazionale Enti di Assistenza: Insegnamenti di Paolo VI, vol. II (1964) 333.

28 Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes, n. 30: AAS LVIII (1966) 1049-1050.

29 Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sulla missione pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, n. 18: AAS LVIII (1966) 682.

30 Paolo vi, Allocutio: aas lxv (1973) 591.

31 Cfr. Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, Iº Incontro Europeo dei Direttori Nazionali per la pastorale della strada, Documento finale:
www.vatican.va/roman_curia/ pontifical_councils/migrants/rc_pc_migrants_doc_20021209_road_leur_pressrelease_it.shtml; idem, I° Incontro Internazionale per la pastorale dei ragazzi di strada, Documento finale: People on the Move XXXVII (2005) Suppl. 98, 97 e Idem, I° Incontro Internazionale di pastorale per la liberazione delle donne di strada, Documento finale: People on the Move xxxviii (2006) Suppl. 102, 119.

32 Giovanni Paolo II, Lettera alle donne, n. 5: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XVIII, 1 (1995) 1875. Possiamo qui ricordare che «L’atteggiamento di Gesù nei riguardi delle donne, che incontra lungo la strada del suo servizio messianico, è il riflesso dell’eterno disegno di Dio, che, creando ciascuna di loro, la sceglie e la ama in Cristo (cfr. Ef 1, 1-5) … Ciascuna dal "principio" eredita la dignità di persona proprio come donna»: giovanni paolo ii, Lettera apostolica Mulieris Dignitatem, n. 13: AAS LXXX (1988), 1685. Richiamiamo pure, sempre di Papa giovanni paolo ii, il Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante,1995, n. 3, il cui tema è Solidarietà, accoglienza, tutela da abusi e protezione a favore della donna: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, Vol. XVII, 2 (1994) 118.

33 Benedetto xvi, Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2006, dal tema Migrazione: segno dei tempi: People on the Move XXXVII (2005) n. 99, 52.

34 Cfr. Protocol to Prevent, Suppress and Punish Trafficking in Persons, Especially Women and Children, supplementing the United Nations convention against Transnational Organized Crime, 15 Novembre 2000.

35 Cfr. Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, Erga Migrantes Caritas Christi, nn. 70-72 e relativo ordinamento giuridico-pastorale Art. 1 § 3; e 19 § 1: l.c.

36 Cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, n. 19.

37 Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1996: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XVIII, 2 (1995) 1331.

38 cardinale angelo sodano, Segretario di Stato, Telegramma al Direttore Generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro in occasione dell’entrata in vigore della Convenzione n. 182 sull’interdizione e l’eliminazione delle forme peggiori di lavoro dei bambini: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XXIII, 2 (2000) 921-922.

39 ONU, ConvenziIne internazionale sui diritti dell’infanzia, 1989, Preambolo.

40 Cfr. III Conferenza Generale dell’episcopato latinoamericano, celebrata in Puebla de los Angeles, Messico, nel 1979: Puebla. L’Evangelizzazione nel presente e nel futuro dell’America Latina, n. 1142, Editrice Missionaria Italiana, Bologna 1979.

41 Cfr. Giovanni paolo II, Lettera al Cardinale Roger Etchegaray sul problema dei senza tetto: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. X, 3 (1987) 1352 e Pontificia commissione «Iustitia et Pax», Che ne hai fatto del tuo fratello senza tetto? La Chiesa e il problema dell’alloggio, EDB, Bologna 1988, 6-7.

42 Date omnibus, ne cui non dederitis ipse sit Christus, ps. augustinus, Sermo 311: P.L. 39,2342s.

43 Cfr. pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, Istruzione Erga Migrantes Caritas Christi, n. 9: l. c.

44 Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, Il Rosario dei Migranti, 28: l. c.

[00905-01.01] [Testo originale: Italiano]