IL RITO ISPANO-MOZARABICO: INFORMAZIONI STORICHE Nell’ambito delle celebrazioni giubilari, alle ore 10 di domani, sabato 16 dicembre, S.E. Mons. Francisco Alvarez Martínez, Arcivescovo di Toledo (Spagna) presiede all’altare della Cattedra della Basilica di San Pietro, la celebrazione della Santa Messa in rito mozarabico.
Diamo di seguito alcune informazioni di carattere storico e liturgico su tale Rito:
Il Rito ispanico è uno dei Riti formatisi nel corso dei secoli nelle diverse regioni in cui la Chiesa si è stabilita. Essi derivano da quella prima frazione del pane operata dagli Apostoli secondo l’invito ricevuto da Gesù per far memoria della sua morte e risurrezione, nella celebrazione dell’Eucaristia. Alla primitiva semplicità di quelle celebrazioni, si aggiunsero con il tempo nuovi elementi, quali le letture dal testo sacro, le preghiere e le invocazioni, differenziate a seconda dei tempi e dei luoghi. Sorsero così le forme diverse di celebrazione che oggi chiamiamo riti: i riti orientali, celebrati in lingua greca e altre lingue dell’Oriente; quelli occidentali, celebrati tutti in latino, ma diversi tra loro. Ricordiamo, tra questi ultimi, il romano, l’ambrosiano, il gallicano, il nord-africano, il bracarense e l’ispanico.
Il Rito ispanico, quindi, è il modo utilizzato dalla Chiesa di Spagna per celebrare le azioni liturgiche durante i primi dieci secoli della sua storia. Usato all’inizio dai cristiani ispano-romani, si conservò anche sotto la dominazione dei visigoti, epoca nella quale i grandi Padri della Chiesa visigota lo arricchirono notevolmente, e sotto l’occupazione dei musulmani.
Quando Papa Gregorio VII decise di estendere a tutta la cristianità europea il Rito romano, i Re di Aragona prima e di Castiglia poi lo accettarono, seppure con qualche resistenza: scomparve così il Rito ispanico nei regni cristiani della penisola iberica. Tuttavia, esso persistette nei territori occupati dai musulmani e da allora cominciò ad essere chiamato mozàrabe, nome con cui erano indicati i cristiani sottomessi all’Islam. Toledo divenne il luogo privilegiato della celebrazione del Rito, poiché pochi rimanevano i cristiani in Andalusia a causa della continue migrazioni e anche delle apostasie provocate dalle pressioni dei dominatori musulmani.
Quando nel 1085 Alfonso VI di Castiglia riconquistò Toledo, sottraendola agli occupanti musulmani, si pose il problema della sopravvivenza del Rito Mozarabico. Seguendo il parere dei suoi consiglieri, i monaci di Cluny, fautori dell’unificazione gregoriana, il re tentò di sopprimerlo. Ma i mozarabi toledani, che si distinsero nella riconquista della città, non volevano perdere le formule tradizionali dell’espressione delle propria fede, che li avevano aiutati a rimanere uniti durante i secoli della dominazione musulmana.
Si giunse ad una soluzione di compromesso: il Rito mozarabico sarebbe rimasto in vigore solo nelle sei parrocchie della città assegnate ai cristiani che le abitavano prima della riconquista; il rito romano veniva introdotto nella Cattedrale e nelle parrocchie territoriali create per i nuovi cittadini, castigliani e franchi. Ben presto, però, i mozarabi toledani, per cause diverse, cominciarono a diminuire, fino al punto che nel secolo XVI le parrocchie di San Sebastiano e di San Torquato non avevano praticamente più fedeli. Le altre parrocchie contavano fedeli che abitavano addirittura fuori Toledo i quali, a ragione della propria appartenenza personale, e non territoriale, e anche della discendenza, continuavano a pagare le decime alla parrocchia mozarabica a cui appartenevano.
Il Messale
Il passare del tempo mise in pericolo la sopravvivenza del Rito, giacché gli antichi libri in pergamena erano difficili da riscrivere e non più comprensibili alle giovani generazioni di chierici. Finalmente la generosità del Cardinale Cisneros (1495-1517) permise, dopo un’accurata revisione, la raccolta dei manoscritti in uso e di quelli di difficile lettura in una edizione del Messale e del Breviario mozarabici, affinché l’antica liturgia ispanica potesse essere ancora celebrata nelle parrocchie superstiti e nella Cappella del Corpus Christi, da lui stesso istituita nella Cattedrale Primaziale. Esauriti i Messali della precedente edizione, il Cardinale Lorenzana (1772-1800) provvide ad una nuova, molto curata ed annotata, conservando i medesimi testi: era un nuovo utile strumento per la celebrazione del Rito nella Cappella e nelle parrocchie mozarabiche di Toledo.
Recentemente, è stata compiuta una nuova revisione del Messale, promossa dal Cardinale González Martín (1972-1995), finalizzata non soltanto all’aggiornamento della celebrazione in Toledo, ma bensì, secondo le indicazioni della Costituzione sulla Liturgia del Concilio Vaticano II, orientata alla restaurazione della primitiva purezza dei testi e dell’ordine della celebrazione, e aperta a qualsiasi luogo delle Spagna ove lo richieda la devozione o l’interesse storico-liturgico.
Struttura della Messa ispano-mozarabica
La Messa in rito ispanico è basata su uno schema fondamentale comune a tutte le liturgie: Liturgia della Parola, Preghiera Eucaristica, Rito di Comunione.
Uno dei tratti peculiari della Messa ispana è la parte posta tra la Liturgia della Parola e la Preghiera Eucaristica, e il sistema adottato nella sua composizione. Si tratta di un insieme di elementi di uso universale anche se distinti nella loro origine: l’offertorio, i dittici e il segno di pace. Il Rito ispano unì quei tre elementi ed incluse tra loro una serie di testi eucologici (orazioni) che danno coesione all’insieme e nel contempo distinguono con chiarezza i tre momenti di quella fase della celebrazione.
Essendo i dittici l’elemento tradizionale più sottolineato dai testi eucologici propri, tutta questa parte acquista la caratteristica di una professione solenne di comunione ecclesiale, con le preghiere sacerdotali e il dialogo tra diacono e popolo, e con il segno di pace, che qui è collocato prima della prece eucaristica, mentre nel Rito romano trova posto immediatamente prima della Comunione, dove il nostro Rito pone la professione di fede con la recita del Credo.
Merita anche uno speciale accenno la frazione del Pane consacrato in nove pezzi, che il celebrante colloca sulla patena in forma di croce; la recita del Padre nostro è riservata al Presidente, anche se i fedeli ratificano ogni petizione con l’Amen cantato; non c’è elevazione dopo la consacrazione: viene fatta prima della benedizione e della comunione. Alla fine della Messa non c’è benedizione.
[fonte: Officium de Liturgicis Celebrationibus Summi Pontificis- Notitiae 1992, 404-408]
[02467-01.02] [Testo originale: Italiano]