DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL CORSO DI FORMAZIONE DELLA ROTA ROMANA
Sala Clementina
Sabato, 23 novembre 2024
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Eminenza,
Eccellenze,
cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Sono lieto di incontrarvi al termine del Corso di formazione promosso dal Tribunale della Rota Romana sul tema Ministerium Iustitiae et Caritatis in Veritate. Rivolgo a ciascuno di voi il mio saluto cordiale, e ringrazio il Decano della Rota e quanti hanno collaborato per queste giornate di studio e di riflessione. Esse vi hanno dato modo di esaminare le sfide giuridico-pastorali concernenti il matrimonio e la famiglia. Questo è molto importante. Si tratta di un campo apostolico vasto, ma anche complesso e delicato, al quale è necessario dedicare energia ed entusiasmo, nell’intento di promuovere il Vangelo della famiglia e della vita.
«La carità nella verità, di cui Gesù Cristo s’è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera. L’amore – “ caritas” – è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace. È una forza che ha la sua origine in Dio, Amore eterno e Verità assoluta». Con queste parole Benedetto XVI apriva la sua Enciclica Caritas in veritate [1], in cui presenta la dottrina sociale della Chiesa nella prospettiva del rapporto tra carità e giustizia, e di entrambe con la verità. Sono parole che valgono per l’intero ambito della società civile, ma che risultano pienamente pertinenti quando si considerano le relazioni tra i fedeli e tra essi e i Pastori, all’interno del Popolo di Dio. È perciò molto appropriato qualificare la missione del Tribunale della Rota Romana come ministerium iustitiae et caritatis in veritate – ministero della giustizia e della carità nella verità -; e questa descrizione si può estendere a tutti i tribunali ecclesiastici, anzi, abbraccia tutto l’agire pastorale della Chiesa, che è stato oggetto di questo Convegno.
Il fulcro del messaggio che oggi vorrei lasciarvi è questo: voi siete chiamati ad amare la giustizia, la carità e la verità, e a impegnarvi quotidianamente per attuarle nel vostro lavoro come canonisti e in tutti i compiti che svolgete al servizio dei fedeli. Si tratta di amarle tutte e tre contemporaneamente, perché esse vanno insieme – Giustizia, carità e verità, vanno insieme – e, se si prescinde da una, le altre perdono di autenticità. Infatti, il nostro modello è Gesù Cristo, che è la Verità ed è giusto e misericordioso.
Né giustizia senza carità, né carità senza giustizia. Una carità senza giustizia non è carità. La giustizia è virtù cardinale importantissima, che porta a dare a ciascuno il suo diritto. E questa virtù va vissuta certamente anche all’interno della Chiesa: lo esigono i diritti dei fedeli e i diritti della Chiesa stessa. Tuttavia, in nessuna comunità umana, e tanto meno nella Chiesa, basta rispettare i diritti: occorre andare oltre i diritti, con lo slancio della carità, cercando il bene dell’altro mediante la donazione generosa della propria esistenza. Bisogna vivere il servizio dell’amore, «poiché […] la giustizia si comprende solo alla luce dell’amore» [2]. Anche nelle vostre mansioni giuridiche dovete ricordarlo sempre: le persone vanno trattate non solo secondo giustizia, il che è imprescindibile, ma anche e soprattutto con carità. Non dimenticate mai che chi si accosta a voi chiedendovi di esercitare il vostro ufficio ecclesiale deve incontrare sempre il volto della nostra Madre, la Chiesa santa, che ama con tenerezza tutti i suoi figli.
Va così evitata una giustizia fredda che sia meramente distributiva senza spingersi al di là, cioè senza misericordia. Si può applicare alla giustizia ciò che afferma l’Enciclica Fratelli tutti: «Le persone possono sviluppare alcuni atteggiamenti che presentano come valori morali: fortezza, sobrietà, laboriosità e altre virtù. Ma per orientare adeguatamente gli atti delle varie virtù morali, bisogna considerare anche in quale misura essi realizzino un dinamismo di apertura e di unione verso altre persone. Tale dinamismo è la carità che Dio infonde. Altrimenti, avremo forse solo un’apparenza di virtù, e queste saranno incapaci di costruire la vita in comune» [3].
Ma nemmeno si può ipotizzare una carità senza giustizia. Infatti « la carità – spiega ancora Papa Benedetto – eccede la giustizia, perché amare è donare, offrire del “mio” all’altro; ma non è mai senza la giustizia, la quale induce a dare all’altro ciò che è “suo”, ciò che gli spetta in ragione del suo essere e del suo operare. Non posso “donare” all’altro del mio, senza avergli dato in primo luogo ciò che gli compete secondo giustizia. Chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro» [4]. Proprio perché amate tutti e ciascun fedele, coltivate la vostra sensibilità giuridica, non intesa come tante volte si pensa quale mero adempimento delle formalità peraltro dovute, bensì come delicato riconoscimento di ciò che costituisce un vero diritto della persona nella Chiesa. La sua dignità infinita va esemplarmente rispettata nelle relazioni intra-ecclesiali.
Ma occorre superare inutili timori. Anzitutto, il timore della giustizia, come se essa potesse intaccare o diminuire la carità. A ben vedere, quel timore proviene da una concezione sbagliata della giustizia, pensata come rivendicazione egoistica e potenzialmente conflittuale. L’essenza della giustizia è tutt’altra cosa: essa è virtù squisitamente altruistica che muove verso il bene dell’altro. Se poi quest’altro può e talvolta deve esigere che si rispetti il suo diritto, ciò presuppone l’oggettività del dovuto. Come operatori della giustizia avete il compito assai rilevante di contribuire ad accertare quali siano i diritti e i doveri dei fedeli e come ci si debba adoperare per tutelarli, anche mediante i processi, tanto necessari all’occorrenza per il bene della Chiesa e di tutti i suoi membri.
Nemmeno si può avere paura della carità, e della misericordia come sua espressione caratteristica. La carità non dissolve la giustizia, non relativizza i diritti. In nome dell’amore non si può tralasciare ciò che è dovere di giustizia. Per esempio, non si possono interpretare le norme attuali sui processi matrimoniali come se, nella doverosa ricerca della prossimità e della celerità, esse implicassero un affievolimento delle esigenze della giustizia. Da parte sua, la misericordia non cancella la giustizia, al contrario spinge a viverla più delicatamente come frutto della compassione dinanzi alle sofferenze del prossimo. Infatti, «l’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti – i tre atteggiamenti del Signore, no? Prossimità, misericordia e tenerezza. Il Signore è vicino, è misericordioso, è tenero – Nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole» [5].
L’armonia tra carità e giustizia si illumina nel loro comune riferimento alla verità. Vera carità e vera giustizia: ecco l’orizzonte affascinante e la sfida attraente del vostro servizio ecclesiale. Lo richiamava l’ incipit stesso dell’Enciclica di Benedetto XVI: Caritas in veritate. Egli insegnava a questo riguardo: « Solo nella verità la carità risplende e può essere vissuta. La verità è luce che dà senso e valore alla carità. Questa luce è, a un tempo, quella della ragione e quella della fede, attraverso cui l’intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità: ne coglie il significato di donazione, di accoglienza e di comunione. Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L’amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell’amore in una cultura senza verità» [6].
Fratelli e sorelle, la Chiesa ripone molta fiducia in voi, come operatori di giustizia e di carità nella verità. Il clima del vostro lavoro sia quello della speranza, che è proprio al centro dell’ormai prossimo Anno Santo. Si può applicare a voi l’esortazione che ho fatto nella Lettera di indizione: «Lasciamoci fin d’ora attrarre dalla speranza e permettiamo che attraverso di noi diventi contagiosa per quanti la desiderano. Possa la nostra vita dire loro: “Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore” ( Sal 27,14). Possa la forza della speranza riempire il nostro presente, nell’attesa fiduciosa del ritorno del Signore Gesù Cristo, al quale va la lode e la gloria per i secoli futuri» [7].
Per la vostra missione e per la vostra santificazione in essa, vi imparto di cuore la mia benedizione. E voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!
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[1] 29 giugno 2009, n. 1.
[2] Lett. enc. Dilexit nos (24 ottobre 2024), 197.
[3] 3 ottobre 2020, n. 91.
[4] Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 6; cfr S. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio (26 marzo 1967), 22.
[5] Bolla Misericordiae vultus (11 aprile 2015), 10.
[6] Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 3.
[7] Bolla Spes non confundit (9 maggio 2024), 25.
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