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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN OCCASIONE DEL 40° ANNIVERSARIO DELLA CREAZIONE
DELLA FONDAZIONE GIOVANNI PAOLO II PER IL SAHEL 

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A Sua Eminenza
il Cardinale Michael Czerny
Presidente della Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel

Rivolgo i miei saluti ai Corpi diplomatici presenti, ai rappresentanti delle Istituzioni internazionali e nazionali e a tutti i partecipanti alla commemorazione del 40° anniversario della creazione della Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel.

Questo dialogo di alto livello, che verte sul tema della desertificazione, mi dà l’opportunità di ricordare il suo santo fondatore, attraverso l’appello solenne che ha rivolto al mondo intero a favore di questa parte dell’Africa il 10 maggio 1980 a Ouagadougou. Era una voce supplichevole e piena di sollecitudine che risuona ancora oggi per le persone povere e vulnerabili del Sahel. «La voce dei padri e delle madri che hanno visto morire i loro figli senza capire, o che vedranno sempre nei loro figli le conseguenze della fame patita; la voce delle future generazioni le quali non devono più vivere con la terribile incombente minaccia sulla loro esistenza» (Omelia a Ouagadougou, 10 maggio 1980). Era la voce di coloro che non hanno voce, la voce degli innocenti che sono morti perché mancavano loro l’acqua e il pane.

È così che la Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel è stata costituita ed eretta dal Papa santo affinché il suo appello restasse un segno efficace dell’amore della Chiesa per i suoi figli e le sue figlie dell’Africa occidentale. La Santa Sede segue con particolare interesse la Fondazione attraverso il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, consapevole che le sue attività contribuiscono a migliorare la situazione umanitaria e sociale delle popolazioni del Sahel.

Come il mio predecessore ha giustamente sottolineato, i deserti esterni possono essere il riflesso di deserti interiori, e «le modalità con cui l’uomo tratta l’ambiente influiscono sulle modalità con cui tratta se stesso e, viceversa» (Benedetto XVI, Lettera enciclica Caritas in veritate, n. 51).

La nostra azione di solidarietà e di responsabilità deriva dalla nostra fede in Dio creatore e dall’amore verso il prossimo (cfr. Mt 22, 37-40).

Prendersi cura della casa comune e prendersi cura di ogni persona, creata a immagine e somiglianza di Dio, sono dunque atteggiamenti che vanno di pari passo. Rientrano nella carità e rendono testimonianza all’amore di Cristo, segno vivente della carità.

Ogni incontro con una persona o un popolo in situazione di povertà o di vulnerabilità ci provoca e c’interroga. Come possiamo contribuire a eliminare, o almeno ad alleviare, la loro emarginazione e la loro sofferenza? Il popolo di Dio deve essere in prima linea, sempre e dovunque, per rispondere al grido silenzioso dei tanti poveri in tutto il mondo, in particolare nel Sahel, per dare loro una voce, per difenderli e per solidarizzare con loro dinanzi a tanta ipocrisia e tante promesse non mantenute (cfr. Messaggio per la IV Giornata Mondiale dei Poveri, 15 novembre 2020).

Alcuni Paesi di questa Regione dell’Africa occidentale stanno ancora attraversando crisi che minacciano sempre più la pace, la stabilità, la sicurezza e lo sviluppo. Questi fenomeni legati al terrorismo, alla precarietà economica, al cambiamento climatico e alle lotte intercomunitarie, aggravano la vulnerabilità degli Stati e la povertà dei cittadini, con, come conseguenza, la migrazione dei giovani. Tale contesto rende il compito della Fondazione sempre più difficile ma sempre più indispensabile.

In questa giornata di commemorazione, facendo eco al grido del cuore di san Giovanni Paolo II, reitero il suo appello a tutte le persone di buona volontà nel mondo intero: operate per la sicurezza, la giustizia e la pace nel Sahel! La pace permette lo sviluppo umano integrale che si costruisce giorno dopo giorno nella ricerca dell’ordine voluto da Dio, e può fiorire solo quando ognuno riconosce la propria responsabilità nella sua promozione (cfr. Paolo VI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 1974). Faccio appello a tutti gli attori, in Africa e nel resto del mondo, in particolare ai decisori politici ed economici. È in gioco la loro responsabilità.

Non è più tempo di aspettare, bisogna agire! Nessuno può negare il diritto fondamentale di ogni essere umano a vivere nella dignità e a svilupparsi integralmente. «Se ciascuno vale tanto, bisogna dire con chiarezza e fermezza che il solo fatto di essere nati in un luogo con minori risorse o minor sviluppo non giustifica che alcune persone vivano con minore dignità». «Ne consegue che è un atto di carità altrettanto indispensabile l’imp egno finalizzato ad organizzare e strutturare la società in modo che il prossimo non abbia a trovarsi nella miseria. È carità stare vicino a una persona che soffre, ed è pure carità tutto ciò che si fa, anche senza avere un contatto diretto con quella persona, per modificare le condizioni sociali che provocano la sua sofferenza» (Lettera enciclica Fratelli tutti, nn. 106 e 186).

Formulo l’auspicio che questa commemorazione della creazione della Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel permetta d’individuare, di promuovere e di mettere in atto, con determinazione, tutte le iniziative necessarie per la costruzione della giustizia e della pace, per uno sviluppo umano integrale e sostenibile di tutte le popolazioni del Sahel. Vi do la mia Benedizione. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

Dalla Basilica di San Giovanni in Laterano, 7 maggio 2024


FRANCESCO

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L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n. 105, venerdì 10 maggio 2024, p. 10.



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