PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI Il «Motu proprio» “Omnium in mentem” Le ragioni di due modifiche
Il Motu proprio “Omnium in mentem” che oggi viene pubblicato contiene alcune modifiche da apportare al Codice di Diritto Canonico, che da tempo erano sottoposte allo studio dei Dicasteri della Curia romana e delle Conferenze episcopali. Le variazioni riguardano due diverse questioni, e cioè: adeguare il testo dei canoni che definiscono la funzione ministeriale dei Diaconi al relativo testo del Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1581); e sopprimere, in tre canoni concernenti il Matrimonio, un inciso che l’esperienza ha rilevato inidoneo. Nei cinque articoli che contiene il presente Motu proprio viene indicata la nuova redazione dei canoni modificati. La prima variazione riguarda il testo dei canoni 1008 e 1009 del Codice di Diritto Canonico che si riferiscono ai sacri ministri. Nell’esporre “gli effetti del Sacramento dell’Ordine”, la prima edizione del Catechismo della Chiesa Cattolica affermava che: “Per ordinationem recipitur capacitas agendi tamquam Christi legatus, Capitis Ecclesiae, in eius triplici munere sacerdotis, prophetae et regis” (secondo periodo del n. 1581). Successivamente, però, per evitare di estendere al grado del Diaconato la facoltà di “agere in persona Christi Capitis”, che è riservata soltanto ai Vescovi ed ai Presbiteri, la Congregazione per la Dottrina della Fede ritenne necessario modificare, nell’edizione tipica, la redazione di questo n. 875 nel modo seguente: “Ab eo (= Christo) Episcopi et presbiteri missionem et facultatem agendi in persona Christi Capitis accipiunt, diaconi vero vim populo Dei serviendi in ‘diaconia’ liturgiae, verbi et caritatis”. Il 9 ottobre 1998, il Servo di Dio Giovanni Paolo II approvò questa modifica e dispose che ad essa si adeguassero anche i canoni del Codice di Diritto Canonico. Il Motu proprio “Omnium in mentem”, quindi, modifica il testo del can. 1008 CIC che, in riferimento indistinto ai tre gradi dell’Ordine, non affermerà più che il sacramento conferisce la facoltà di agire nella persona di Cristo Capo, ma si limiterà ad affermare, in maniera più generica, che chi riceve l’Ordine Sacro è destinato a servire il popolo di Dio per un nuovo e peculiare titolo. La distinzione che a questo riguardo esiste fra i tre gradi del sacramento dell’Ordine viene adesso ripresa nel can. 1009 CIC con l’aggiunta di un terzo paragrafo nel quale viene precisato che il ministro costituito nell’Ordine dell’Episcopato o del Presbiterato riceve la missione e la facoltà di agire in persona di Cristo Capo, mentre i Diaconi ricevono l’abilitazione a servire il Popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della Parola e della Carità. Non è stato necessario, invece, introdurre alcuna modifica nei correlativi canoni 323 § 1; 325 e 743 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali perché in tali norme non è adoperata l’espressione “agere in persona Christi Capitis”. L’altra modifica che introduce il Motu proprio “Omnium in mentem” riguarda la soppressione della clausola “actus formalis defectionis ab Ecclesia Catholica” nei canoni 1086 § 1, 1117 e 1124 del Codice di Diritto Canonico, che dopo un lungo studio è stata ritenuta non necessaria e inidonea. Si tratta di un inciso, che non appartiene alla tradizione canonica e non è riportata nemmeno nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, con il quale si intendeva stabilire una eccezione alla regola generale del can. 11 CIC circa l’obbligatorietà delle leggi ecclesiastiche, col proposito di facilitare l'esercizio dello “ius connubii” a quei fedeli che, a causa del loro allontanamento dalla Chiesa, difficilmente avrebbero osservato la legge canonica che esige una forma per la validità del loro matrimonio. Le difficoltà di interpretazione e di applicazione di detta clausola, però, sono emerse in diversi ambiti. In questo senso, l’allora Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei Testi legislativi esaminò la convenienza di sopprimere dai tre canoni l’inciso citato. La questione fu trattata inizialmente nella Sessione Plenaria del 3 giugno 1997. I Padri della Plenaria approvarono la formula di un dubium e il relativo responsum per realizzare eventualmente una Interpretazione autentica sulla precisa portata giuridica di detta clausola, ma ritennero opportuno procedere prima a una consultazione delle Conferenze episcopali circa le esperienze, positive e negative, provenenti da queste prescrizioni, al fine di poter valutare tutte le circostanze prima di prendere una decisione. La consultazione delle Conferenze episcopali è avvenuta nei due anni successivi e al Pontificio Consiglio sono pervenute una cinquantina di motivate risposte, rappresentative dei cinque Continenti, compresi tutti i Paesi con un episcopato rilevante come numero. In alcuni luoghi non c’erano significative esperienze in argomento; nella maggioranza, però, emergeva il bisogno di un chiarimento sulla portata precisa di questo inciso o, meglio, si desiderava la sua completa soppressione. A questo proposito vennero segnalate motivazioni coincidenti, provenienti dall’esperienza giuridica: la convenienza di non avere in questi casi un trattamento diverso da quello dato alle unioni civili dei battezzati che non fanno alcun atto formale di abbandono; la necessità di mostrare con coerenza l’identità “matrimonio-sacramento”; il rischio di favorire matrimoni clandestini; le ulteriori ripercussioni nei paesi dove il Matrimonio canonico possiede effetti civili, e così via. I risultati della consultazione vennero poi sottoposti a una nuova sessione Plenaria del Pontificio Consiglio, tenutasi il 4 giugno 1999, che approvò all’unanimità di proporre la soppressione del menzionato inciso, e il Servo di Dio Giovanni Paolo II confermò tale decisione nell’Udienza del 3 luglio 1999, incaricando di preparare l’opportuno testo normativo. Nel frattempo, la soppressione di questo inciso riguardante la disciplina canonica del Matrimonio è stata messa in collegamento con una questione del tutto diversa, che richiedeva però opportuno chiarimento, e riguardava esclusivamente alcuni Paesi centro-europei: si trattava dell’efficacia ecclesiale dell’eventuale dichiarazione fatta da un cattolico davanti al funzionario civile delle tasse di non appartenere alla Chiesa cattolica e, in conseguenza, di non essere tenuto a versare la cosiddetta tassa per il culto. A questo concreto proposito e, quindi, in ambito diverso da quello strettamente matrimoniale al quale faceva riferimento il summenzionato inciso nei tre canoni del Codice, venne avviato uno studio da parte del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi in collaborazione con la Congregazione per la Dottrina della Fede per precisare quali siano i requisiti essenziali della manifestazione di volontà di defezione dalla Chiesa cattolica. Tali condizioni di efficacia sono state indicate nella Lettera Circolare ai Presidenti delle Conferenze Episcopali che, con approvazione del Santo Padre Benedetto XVI, il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi inviò il 13 marzo 2006 (cfr. Communicationes XXXVIII (2006), 170-184). Pur avendo obiettivi diversi dal presente Motu proprio, la pubblicazione della Lettera Circolare contribuì a rafforzare il convincimento circa l’opportunità di sopprimere la suddetta clausola nei canoni sul Matrimonio. Ciò, appunto, viene fatto nel presente documento pontificio. Il testo di questo Motu proprio è stato studiato dalla Plenaria del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, presieduta nell’occasione dal Cardinale Segretario di Stato, in data 16 giugno 2009. La rilevanza concreta della modifica dei canoni 1086 § 1, 1117 e 1124 del Codice riguarda, dunque, l’ambito matrimoniale. Dall’entrata in vigore del Codice di Diritto Canonico nell’anno 1983 al momento dell’entrata in vigore di questo Motu proprio, i cattolici che avessero fatto un atto formale di abbandono della Chiesa cattolica non erano tenuti alla forma canonica di celebrazione per la validità del matrimonio (can. 1117 CIC), né vigeva per loro l’impedimento di sposare non battezzati (disparità di culto, can. 1086 § 1 CIC), né li riguardava la proibizione di sposare cristiani non cattolici (can. 1124 CIC). Il menzionato inciso inserito in questi tre canoni rappresentava una eccezione di diritto ecclesiastico, ad un’altra più generale norma di diritto ecclesiastico, secondo la quale tutti i battezzati nella Chiesa cattolica o in essa accolti sono tenuti all’osservanza delle leggi ecclesiastiche (can. 11 CIC). Dall’entrata in vigore del nuovo Motu proprio, quindi, il can. 11 del Codice di Diritto Canonico riacquista vigore pieno per quanto riguarda il contenuto dei canoni ora modificati, anche nei casi in cui sia avvenuto un abbandono formale. Di conseguenza, per regolarizzare successivamente eventuali unioni fatte nella non osservanza di queste regole si dovrà far ricorso, sempre che sia possibile, ai mezzi ordinari offerti per questi casi dal Diritto Canonico: dispensa dell'impedimento, sanazione, e così via. In conformità con quanto stabilito dal can. 8 del Codice di Diritto Canonico, il Motu proprio “Omnium in mentem” sarà formalmente promulgato con la pubblicazione negli Acta Apostolicae Sedis ed entrerà “in vigore compiuti tre mesi dal giorno apposto al numero degli Acta”.
+ Francesco Coccopalmerio Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi
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