CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA EDUCARE OGGI E DOMANI. Instrumentum laboris 2014
INDICE I. PUNTI DI RIFERIMENTO ESSENZIALI 1. La Dichiarazione Gravissimum educationis
2. La Costituzione apostolica Ex corde Ecclesiae II. QUALE SCUOLA E UNIVERSITÀ CATTOLICA?
III. SFIDE EDUCATIVE OGGI E DOMANI 1. Le sfide della scuola cattolica
2. Le sfide dell’educazione superiore cattolica
I Membri dell’Assemblea Plenaria della Congregazione per l’Educazione Cattolica, convocata nel 2011, raccogliendo l’invito di Papa Benedetto XVI, affidarono al Dicastero di preparare gli anniversari del 50° della Dichiarazione Gravissimum educationis e del 25° della Costituzione Apostolica Ex corde Ecclesiae, che cadono nel 2015, allo scopo di rilanciare l’impegno della Chiesa nel campo dell’educazione. Due sono le tappe principali che hanno segnato il cammino di preparazione: un seminario di studio con esperti provenienti da tutto il mondo, svoltosi nel giugno 2012, e l’Assemblea Plenaria dei Membri della Congregazione, riunitasi nel febbraio 2014. Le riflessioni maturate in questi incontri trovano eco nel presente Instrumentum laboris “Educare oggi e domani. Una passione che si rinnova”. In esso si richiamano i punti di riferimento essenziali dei due documenti, le caratteristiche fondamentali delle scuole e delle università cattoliche, e si tracciano le sfide alle quali le istituzioni educative cattoliche sono chiamate a rispondere con un proprio specifico progetto. Negli anni del postconcilio, il Magistero dei Pontefici è ritornato con insistenza sull’importanza dell’educazione in generale e sul contributo che ad essa la comunità cristiana è chiamata ad offrire. Su questo argomento, anche la Congregazione per l’Educazione Cattolica è intervenuta con numerosi documenti. Le ricorrenze del 2015 diventano, pertanto, una opportuna e preziosa occasione per raccogliere le indicazioni del Magistero e tracciare gli orientamenti per i decenni futuri. L’Instrumentum laboris è stato preparato per tale scopo. Tradotto in varie lingue, esso è destinato anzitutto alle Conferenze Episcopali, all’Unione dei Superiori Generali e all’Unione Internazionale delle Superiore Generali delle Congregazioni religiose, alle associazioni nazionali e internazionali di docenti, genitori, studenti ed ex studenti, nonché a quelle dei gestori, e alle comunità cristiane per riflettere sull’importanza dell’educazione cattolica nel contesto della nuova evangelizzazione. Può essere utilizzato per effettuare una verifica pastorale in questo ambito dell’impegno della Chiesa, ma anche per promuovere iniziative di aggiornamento e di formazione degli operatori nelle scuole e nelle università cattoliche. L’Instrumentum laboris si può trovare online nei seguenti indirizzi: http://www.educatio.va/content/cec/it/documentazione-e-materiali/documenti-della-congregazione.html http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/ccatheduc/index_it.htm Esso si conclude con un questionario al quale invitiamo tutti a rispondere per fornire alla Congregazione per l’Educazione Cattolica indicazioni, suggerimenti e proposte che saranno tenute in considerazione in vista degli eventi che si stanno programmando, in particolare del Convegno mondiale che si terrà a Roma dal 18 al 21 novembre 2015. A tale scopo è necessario che le risposte al questionario vengano inviate al Dicastero entro il 31 luglio 2014 (educat2015@gmail.com).
Card. Zenon Grocholewski, Prefetto Città del Vaticano, 7 aprile 2014
La cultura attuale è attraversata da varie problematiche che provocano una diffusa “emergenza educativa”. Con questa espressione ci si riferisce alle difficoltà di stabilire rapporti educativi che, per essere autentici, devono trasmettere alle giovani generazioni valori e principi vitali, non solo per aiutare le persone singole a crescere e maturare, ma anche per concorrere a costruire il bene comune. L’educazione cattolica, con le sue numerose istituzioni scolastiche ed universitarie sparse in tutto il mondo, offre un contributo rilevante alle comunità ecclesiali impegnate nella nuova evangelizzazione, e contribuisce ad immettere nelle persone e nella cultura i valori antropologici ed etici che sono necessari per costruire una società solidale e fraterna[1]. I. PUNTI DI RIFERIMENTO ESSENZIALI Nel 2015 ricorrono due anniversari: il cinquantesimo della Gravissimum educationis[2], il documento sull’educazione varato dal Concilio Vaticano II il 28 ottobre 1965, e il venticinquesimo della Ex corde Ecclesiae[3], la Costituzione apostolica sull’identità e sulla missione dell’università cattolica, promulgata da Giovanni Paolo II il 15 agosto 1990; al di là della loro diversa natura, essi costituiscono, per la Congregazione per l’Educazione Cattolica, un essenziale punto di riferimento. Questo Instrumentum laboris vuol essere un documento-guida predisposto per accompagnare le iniziative di studio e gli eventi ecclesiali e culturali delle Chiese particolari e delle associazioni. Allo stesso tempo esso offre stimoli per tracciare nuovi progetti e percorsi educativi per il futuro. 1. La Dichiarazione Gravissimum educationis La Dichiarazione Gravissimum educationis aveva lo scopo di richiamare l’attenzione di tutti i battezzati sull’importanza della questione educativa. Tale documento, che intendeva fornire alcuni orientamenti di fondo in ordine ai problemi educativi, va collocato nel complesso dell’insegnamento conciliare, e va letto insieme agli altri testi approvati dal Concilio. La Gravissimum educationis, come dichiara nella sua introduzione, non va vista come la risposta definitiva a tutti i problemi dell’educazione, ma come un documento che viene consegnato a una speciale Commissione post-conciliare – divenuta poi l’Ufficio Scuole della Congregazione per l’Educazione Cattolica – per sviluppare ulteriormente i principi dell’educazione cristiana, nonché alle Conferenze Episcopali per applicarli alle diverse situazioni locali. Tra i molti elementi di raccordo che la Dichiarazione presenta con i documenti conciliari (concernenti la liturgia, il ministero dei vescovi, l’ecumenismo, il ruolo dei laici, le comunicazioni sociali…), forse quelli più significativi riguardano le due Costituzioni maggiori, la Lumen gentium (promulgata il 21 novembre 1964) e la Gaudium et spes (promulgata il 7 dicembre 1965). La Gravissimum educationis fa diversi riferimenti alla Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, così come la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, nel capitolo II della Parte II (dedicato a La promozione del progresso e della cultura), rinvia alla Gravissimum educationis. L’esame coordinato dei tre documenti si rivela particolarmente prezioso per l’aiuto che può fornire rispetto alle due dimensioni che l’educazione, assunta in una prospettiva di fede, deve necessariamente tenere presenti: la dimensione secolare e la dimensione teologico-spirituale. a) Contesto storico-sociale e ruolo dei cristiani Dal tempo del Concilio, il contesto storico-sociale è molto mutato, sul piano delle visioni del mondo non meno che sul piano delle concezioni etico-politiche. Gli anni ‘60 erano un tempo di fiduciosa attesa, grazie proprio all’indizione del Concilio oltre che al delinearsi di una maggiore distensione nei rapporti fra gli Stati. Rispetto ad allora lo scenario è profondamente cambiato. Si è evidenziata una marcata spinta alla secolarizzazione. Il sempre più accentuato processo di globalizzazione, anziché favorire la promozione dello sviluppo delle persone e una maggiore integrazione fra i popoli, sembra al contrario limitare la libertà dei singoli e acuire i contrasti tra i diversi modi di concepire la vita personale e collettiva (con posizioni oscillanti tra il più rigido fondamentalismo e il più scettico relativismo). Non meno significativi sono alcuni fenomeni di natura eminentemente economico-politica, come l’attacco al Welfare State e ai diritti sociali, il trionfo del liberalismo con le sue nefaste ripercussioni sul piano educativo e scolastico. Tuttavia i cambiamenti intervenuti rispetto agli anni ‘60 non solo non infirmano il magistero espresso dal Concilio sulle tematiche educative, ma ne mettono in risalto la portata profetica. Tanto la Gravissimum educationis, quanto la Gaudium et spes (nn. 59-60) contengono orientamenti di grande lungimiranza e fecondità storica, che possono servire ad affrontare anche molte delle sfide attuali:
b) Visione teologico-spirituale Non meno importante è l’aiuto che il magistero conciliare è in grado di fornire alla dimensione dell’educazione cristiana, come formazione spirituale e teologica del battezzato e della sua coscienza. Il n. 2 della Gravissimum educationis e i nn. 11 e 17 (oltre ai nn. 35 e 36) della Lumen gentium contengono alcune rilevanti prospettive, tra le quali vale la pena di notare:
2. La Costituzione apostolica Ex corde Ecclesiae La Gravissimum educationis aveva dedicato una particolare attenzione alle scuole e alle università cattoliche, fornendo anche su questi punti alcuni orientamenti significativi. Il documento sottolineava che, in particolare le università, dovevano porsi a servizio della società, e non solo della Chiesa, “ma esse, più che per il numero, dovranno distinguersi per l’impegno culturale” (Gravissimun educationis, n. 10), perché è meglio poche università cattoliche ottime che molte mediocri. Nella visione dei padri conciliari scopo essenziale di un’istruzione superiore cattolica era quello di mettere gli studenti in condizione di assumere con pienezza le responsabilità culturali, sociali e religiose che sarebbero state loro richieste. In quest’ottica, consideravano necessario che le università cattoliche si sforzassero di promuovere una autentica ricerca scientifica. Nel 1990 Giovanni Paolo II emanava la Costituzione apostolica Ex corde Ecclesiae, volta a richiamare l’attenzione sull’importanza di un’università cattolica, quale strumento privilegiato per accedere alla verità intorno alla natura, all’uomo e a Dio e per favorire un franco dialogo fra la Chiesa e tutti gli uomini di qualsiasi cultura. In linea con la Dichiarazione conciliare, la Costituzione ribadiva che l’università cattolica, in quanto università, avrebbe dovuto assolvere in modo degno alle funzioni di ricerca, insegnamento e servizio culturale proprie di un’istituzione accademica e, in quanto cattolica, avrebbe dovuto a) possedere una ispirazione cristiana non solo da parte dei singoli, ma anche della comunità universitaria considerata come tale; b) promuovere un’incessante riflessione, alla luce della fede cattolica, sui processi e sulle conquiste dello studio e della conoscenza, recandovi, per altro, il proprio originale contributo; c) restare fedele al messaggio cristiano, così come era presentato dalla Chiesa; d) porsi a servizio del popolo di Dio e dell’intero consorzio umano nello sforzo da essi perseguito per accedere alla verità. Giovanni Paolo II invitava, inoltre, i membri dell’università cattolica a prendere consapevolezza delle implicazioni etiche e morali delle loro ricerche nonché a favorire il confronto fra le diverse discipline in modo da evitare una loro concezione chiusa e particolaristica e favorire l’elaborazione di una visione sintetica delle cose, senza per questo mettere in discussione l’integrità e le metodologie della propria disciplina. Una speciale rilevanza veniva data al dialogo fra i vari saperi e la teologia, nel senso che questa avrebbe potuto aiutare le altre discipline ad approfondire ciascuna le ragioni e il significato del proprio operare, così come gli altri saperi avrebbero potuto stimolare la ricerca teologica a confrontarsi con i problemi della vita e a realizzare una migliore comprensione del mondo. Egli riteneva pertanto necessario che ogni università cattolica possedesse una facoltà o, almeno, una cattedra di teologia (cfr Ex corde Ecclesiae, n.19). Se pensiamo alla situazione di frammentazione in cui il sapere accademico oggi versa, non si può non rilevare come l’idea di Giovanni Paolo II di un ateneo che, fedele per altro alla sua originaria vocazione, incentivi il confronto tra i diversi settori disciplinari si riveli di stringente attualità e possa offrire preziose indicazioni a chi lavora nel settore dell’istruzione superiore. II. QUALE SCUOLA E UNIVERSITÀ CATTOLICA? Alla luce del Magistero della Chiesa e di fronte ai bisogni e alle sfide della società di oggi, come devono essere la scuola e l’università cattolica? Scuola e università sono luoghi di educazione alla vita, allo sviluppo culturale, alla formazione professionale, all’impegno per il bene comune; rappresentano un’occasione e un’opportunità per comprendere il presente e per immaginare il futuro della società e dell’umanità. Radice della proposta formativa è il patrimonio spirituale cristiano, in costante dialogo con il patrimonio culturale e le conquiste della scienza. Scuole e università cattoliche sono comunità educative nelle quali l’esperienza di apprendimento si alimenta dell’integrazione di ricerca, pensiero e vita. 1. Costruire un contesto educativo La scuola e l’università cattolica educano, prima di tutto, attraverso il contesto di vita, il clima che gli studenti e i docenti creano nell’ambiente in cui si svolgono le attività di istruzione e di apprendimento. Tale clima è intessuto dai valori non solo affermati, ma vissuti, dalla qualità delle relazioni interpersonali che legano i docenti agli alunni e gli alunni tra loro, dalla cura che i professori pongono nei confronti dei bisogni degli studenti e delle esigenze della comunità locale, dalla limpida testimonianza di vita offerta dagli insegnanti e da tutto il personale delle istituzioni educative. Pur nella pluralità dei contesti culturali e nella varietà delle possibilità educative e dei condizionamenti entro i quali si opera, vi sono alcuni elementi di qualità che una scuola e un’università cattolica devono saper esprimere:
La scuola e l’università sono luoghi di introduzione ai saperi e alla dimensione della ricerca scientifica. Una delle principali responsabilità degli insegnanti è di avvicinare le giovani generazioni alla conoscenza e alla comprensione delle conquiste della conoscenza e delle sue applicazioni. L’impegno del conoscere e del ricercare non va, però, disgiunto dal senso etico e dal trascendente. Non vi è vera scienza che possa trascurare le sue conseguenze etiche e non vi è vera scienza che allontani dalla trascendenza. Scienza e eticità, scienza e trascendenza non si escludono reciprocamente, ma si coniugano per una maggiore e migliore comprensione dell’uomo e della realtà del mondo. 3. Fare dell’insegnamento uno strumento di educazione Il “modo” in cui si apprende sembra essere oggi più rilevante del “che cosa” si apprende, così come il modo di insegnare sembra più importante dei contenuti dell’insegnamento. Un insegnamento che promuova solo l’apprendere ripetitivo, che non favorisca la partecipazione attiva degli studenti, che non accenda la loro curiosità, non è sufficientemente sfidante da suscitare la motivazione. Imparare attraverso la ricerca e la soluzione di problemi educa capacità cognitive e mentali diverse e più significative di quelle di una semplice ricezione delle informazioni, e stimola anche modalità di lavoro collaborativo. Non va, però, sottovalutato il valore dei contenuti di apprendimento. Se non è indifferente il come un alunno apprende, non lo è nemmeno il che cosa. È importante che gli insegnanti sappiano selezionare e proporre alla considerazione degli alunni gli elementi essenziali del patrimonio culturale accumulato nel tempo e lo studio delle grandi questioni che l’umanità si è trovata e si trova ad affrontare. Altrimenti il rischio è di un insegnamento orientato a fornire solo ciò che sembra oggi essere utile, perché richiesto da una contingente domanda economica o sociale, ma dimentico di ciò che è, per la persona umana, indispensabile. L’insegnamento e l’apprendimento rappresentano i due termini di una relazione che non è solo tra un oggetto di studio e una mente che apprende, ma tra persone. Tale relazione non può basarsi su rapporti solo tecnici e professionali, ma deve nutrirsi di stima reciproca, di fiducia, di rispetto, di cordialità. L’apprendimento che ha luogo in contesti in cui i soggetti percepiscono un senso di appartenenza è ben diverso da un apprendimento che avviene in una cornice di individualismo, di antagonismo o di freddezza reciproca. 4. La centralità della persona che apprende La scuola, e ancora di più l’università, sono impegnate a fornire agli studenti una formazione che li abiliti ad entrare nel mondo del lavoro e della vita sociale con competenze adeguate. Tuttavia questo, per quanto indispensabile, non è sufficiente. Una buona scuola e una buona università si misurano anche dalla loro capacità di promuovere attraverso l’istruzione un apprendimento attento a sviluppare competenze di carattere più generale e di livello più elevato. L’apprendimento non è solo assimilazione di contenuti, ma opportunità di auto-educazione, di impegno per il proprio miglioramento e per il bene comune, di sviluppo della creatività, di desiderio di apprendimento continuo, di apertura agli altri. Ma può anche essere una occasione per aprire il cuore e la mente al mistero e alla meraviglia del mondo e della natura, alla coscienza e consapevolezza di sé, alla responsabilità verso il creato, all’immensità del Creatore. In particolare, la scuola non sarebbe un ambiente di apprendimento completo, se ciò che l’alunno apprende non diventasse anche occasione di servizio alla propria comunità. Apprendere, ancora oggi, è considerato da molti studenti un obbligo o una imposizione. È probabile che questo dipenda anche da una incapacità della scuola a comunicare agli alunni, oltre alle conoscenze, la passione, che è la molla della ricerca. Quando, però, gli studenti hanno l’opportunità di sperimentare che quanto apprendono è importante per la loro vita e per quella della comunità di appartenenza, la loro motivazione cambia. È desiderabile che gli insegnanti propongano agli studenti occasioni per sperimentare la ricaduta sociale di quanto stanno studiando, favorendo in tal modo la scoperta del nesso tra scuola e vita, e lo sviluppo del senso di responsabilità e di cittadinanza attiva. 5. La diversità della persona che apprende Gli insegnanti sono chiamati a misurarsi con una grande sfida educativa, quella del riconoscimento, rispetto, valorizzazione della diversità. Le diversità psicologiche, sociali, culturali, religiose non vanno nascoste, negate, ma considerate come opportunità e dono. Allo stesso modo, le diversità legate alla presenza di situazioni di particolare fragilità sotto il profilo cognitivo, o dell’autonomia fisica, vanno sempre riconosciute ed accolte, affinché non si trasformino in disuguaglianze penalizzanti. Non è facile per la scuola e l’università essere “inclusive”, aperte alle diversità, in grado di poter veramente aiutare chi è in difficoltà. È necessario che gli insegnanti siano disponibili e professionalmente competenti nel condurre classi dove la diversità viene riconosciuta, accettata, apprezzata come una risorsa educativa per il miglioramento di tutti. Chi è più in difficoltà, più povero, fragile, bisognoso, non deve essere percepito come un disturbo o un ostacolo, ma come il più importante di tutti, al centro dell’attenzione e della tenerezza della scuola. 6. Il pluralismo delle istituzioni educative Le scuole e le università cattoliche svolgono il loro compito, che è missione e servizio, in contesti culturali e politici molto diversi, in alcuni casi vedendo riconosciuta e apprezzata la propria opera, in altri casi dovendo fronteggiare gravi difficoltà economiche e ostilità, che talvolta possono sfociare in forme di violenza. Le modalità della presenza nei diversi Stati e regioni del mondo varia da situazione a situazione, ma le ragioni dell’azione educativa non mutano. Una comunità scolastica che si richiama ai valori della fede cattolica traduce nella sua organizzazione e nel suo curricolo la visione personalistica propria della tradizione umanistico-cristiana, non in contrapposizione, ma in dialogo con le altre culture e fedi religiose. È veramente importante che le istituzioni educative cattoliche sappiano dialogare con le altre istituzioni scolastiche presenti nei paesi in cui operano, in una dimensione di ascolto e di confronto costruttivo, per il bene comune. Oggi tali istituzioni sparse nel mondo sono frequentate da una maggioranza di alunni di diverse appartenenze religiose, oltre che di diverse nazionalità e culture. La loro caratteristica confessionale non deve costituire barriera, ma essere condizione di dialogo interculturale, aiutando ogni alunno a crescere in umanità, responsabilità civica, oltre che nell’apprendimento. L’importanza dei compiti educativi della scuola e dell’università spiega quanto sia cruciale il tema della preparazione degli insegnanti, dei dirigenti, di tutto il personale che ha responsabilità nel campo dell’istruzione. La competenza professionale rappresenta la condizione perché possa meglio manifestarsi la dimensione educativa dell’accoglienza. Ai docenti e ai dirigenti si chiede molto. Si desidera che abbiano la capacità di creare, di inventare e di gestire ambienti di apprendimento ricchi di opportunità; si vuole che essi siano in grado di rispettare le diversità delle ‘intelligenze’ degli studenti e di guidarli ad un apprendimento significativo e profondo; si richiede che sappiano accompagnare gli alunni verso obiettivi elevati e sfidanti, dimostrare elevate aspettative nei loro confronti, coinvolgere e connettere gli studenti tra di loro e con il mondo… Chi insegna deve saper perseguire contemporaneamente molti obiettivi diversi, saper affrontare situazioni problematiche che richiedono una elevata professionalità e preparazione. Per essere all’altezza di simili attese è necessario che tali compiti non siano lasciati alla responsabilità individuale, ma sia offerto un adeguato sostegno a livello istituzionale e alla guida ci siano non burocrati, ma leaders competenti. III. SFIDE EDUCATIVE OGGI E DOMANI Il cuore dell’educazione cattolica è sempre la persona di Gesù Cristo. Tutto ciò che succede nella scuola cattolica e nell’università cattolica dovrebbe condurre all’incontro del Cristo vivo. Se esaminiamo le grandi sfide educative che si presentano all’orizzonte, dobbiamo fare memoria di Dio che si è fatto uomo nella storia degli uomini, nella nostra storia. La scuola e l’università cattolica, come soggetto della Chiesa di oggi, sono una realtà di presenza, di accoglienza, di proposta di fede e di accompagnamento spirituale dei giovani che lo desiderano; si aprono a tutte e a tutti e difendono tanto la dignità umana quanto la diffusione della conoscenza su basi sociali e non di merito. Tali istituzioni sono, anzitutto, luoghi dove la trasmissione delle conoscenze è centrale. Tuttavia, la conoscenza stessa ha subito delle evoluzioni importanti per la nostra pedagogia. Infatti, assistiamo a una grande differenziazione, privatizzazione e persino a un’espropriazione della conoscenza. La scuola e l’università sono, ugualmente, ambienti di vita, nei quali si dona un’educazione integrale, compresa quella religiosa. La sfida consisterà nel far vedere ai giovani la bellezza della fede in Gesù Cristo e la libertà del credente, in un universo multireligioso. In ogni ambiente, accogliente o meno, l’educatore cattolico sarà un testimone credibile. Coloro che lavorano con tale fede, con la passione e la competenza, non possono essere dimenticati; essi meritano tutta la nostra considerazione e il nostro incoraggiamento. Non dobbiamo neanche dimenticare che, per la maggior parte, questa missione educativa e questo coinvolgimento professionale è sostenuto principalmente dalle donne. Per prima cosa dobbiamo riformulare l’antropologia che si trova alla base della nostra visione di educazione nel XXI secolo. Si tratta di un’antropologia filosofica che deve essere un’antropologia della verità. Un’antropologia sociale, cioè, dove si concepisce l’uomo nei suoi rapporti e nel suo modo di esistere. Un’antropologia della memoria e della promessa. Un’antropologia che fa riferimento al cosmo e che prende a cuore lo sviluppo sostenibile. E ancor più un’antropologia che fa riferimento a Dio. Lo sguardo di fede e di speranza, che ne è il fondamento, scruta la realtà per scoprirvi il progetto nascosto di Dio. Partendo così da una riflessione profonda sull’uomo moderno e sul nostro mondo attuale, noi dovremmo riformulare la nostra visione sull’educazione. I giovani che noi educhiamo si preparano alla leadership degli anni 2050. Quale sarà il contributo della religione all’educazione alla pace, allo sviluppo, alla fraternità della comunità umana universale ? Come educheremo alla fede e nella fede? Come creeremo le condizioni preliminari per accogliere il dono, per educare alla gratitudine, al senso dello stupore, agli interrogativi, per sviluppare il desiderio di giustizia e di coerenza? Come educheremo alla preghiera? L’educazione necessita di una grande alleanza tra i genitori e tutti gli educatori per proporre una vita piena, buona, ricca di senso, aperta a Dio, agli altri e al mondo. Questa alleanza è ancor più necessaria perché l’educazione è una relazione personale. Essa è un percorso che rivela i trascendentali della fede, della famiglia, della Chiesa e dell’etica, insistendo sulla dimensione comunitaria. L’educazione non è soltanto conoscenza, ma anche esperienza. Essa collega sapere ed agire, instaura l’unità dei saperi e cerca la coerenza del sapere. Essa comprende il campo affettivo ed emozionale, essa ha anche una dimensione etica: saper fare e sapere ciò che vogliamo fare, osare trasformare la società e il mondo, e servire la comunità. L’educazione è fondata sulla partecipazione. L’intelligenza condivisa e l’interdipendenza delle intelligenze, il dialogo, il dono di sé, l’esempio, la cooperazione, la reciprocità sono ugualmente degli elementi importanti. 1. Le sfide della scuola cattolica L’educazione si trova oggi in un contesto di cambiamenti veloci. Anche la generazione alla quale essa è rivolta cambia velocemente e quindi ogni educatore si trova a dovere affrontare continuamente situazioni che, come ha affermato Papa Francesco, «pongono sfide nuove che a volte sono persino difficili da comprendere»[5]. Nel cuore dei cambiamenti del mondo che siamo chiamati ad accogliere, amare, decifrare ed evangelizzare, l’educazione cattolica deve contribuire alla scoperta del senso della vita e far nascere nuove speranze per l’oggi e per il futuro. È urgente ridefinire l’identità della scuola cattolica per il XXI secolo. A questo compito può dare un notevole contributo la riscoperta dei documenti della Congregazione per l’Educazione Cattolica[6], insieme all’esperienza accumulata lungo il tempo nell’insegnamento cattolico, sia nelle scuole diocesane sia in quelle congregazioniste. Questa esperienza poggia su tre pilastri: la tradizione del Vangelo, l’autorità e la libertà. L’educatore dei nostri tempi vede rinnovata la sua missione, che ha come grande obiettivo quello di offrire ai giovani un’educazione integrale e un accompagnamento nella scoperta della sua libertà personale, dono di Dio. La povertà spirituale e l’abbassamento del livello culturale cominciano a pesare, persino all’interno delle scuole cattoliche. In molti casi registriamo un problema di autorevolezza. Non si tratta, tanto, di una questione di disciplina – i genitori apprezzano molto le scuole cattoliche per la loro disciplina. Ma i responsabili di certe scuole cattoliche hanno ancora una parola da dire? La loro autorità si fonda sulle regole formali o sull’autorevolezza della loro testimonianza? Se si vuole evitare un progressivo impoverimento si richiede che le scuole cattoliche siano dirette da persone e da équipes ispirate dal Vangelo, formate nella pedagogia cristiana, collegate al progetto educativo della scuola cattolica, e non soggette alla seduzione di ciò che va di moda, di ciò che viene, per così dire, venduto meglio. Il fatto che gli alunni di numerose scuole cattoliche appartengano ad una pluralità di culture chiede alle nostre istituzioni di allargare l’annuncio oltre la cerchia dei credenti, non solo a parole, ma con la forza della coerenza di vita degli educatori. Insegnanti, dirigenti, personale amministrativo, tutta la comunità professionale ed educativa è chiamata ad offrire, nell’umiltà e nella prossimità, una proposta amabile della fede. Il modello è quello di Gesù con i discepoli di Emmaus: partire dall’esperienza di vita dei giovani, ma anche da quella dei colleghi, mettersi in una disposizione di servizio incondizionato. Infatti, una delle caratteristiche distintive della scuola cattolica, di domani non meno di quella del passato, dovrà rimanere l’educazione al servizio e al dono gratuito di sé. b) La sfida della comunità scolastica Di fronte all’individualismo che consuma la nostra società, è sempre più importante fare in modo che la scuola cattolica sia una vera comunità di vita animata dallo Spirito Santo. Il clima familiare, accogliente, dei docenti credenti, talvolta minoritari, insieme al comune impegno di tutti quanti abbiano una responsabilità educativa, di qualsiasi credenza o convinzione essi siano, può far superare i momenti di disorientamento e di scoraggiamento e aprire una prospettiva di speranza evangelica. La rete complessa dei rapporti interpersonali costituisce la forza della scuola quando esprime l’amore della verità, e gli educatori credenti vanno sostenuti affinché possano essere il lievito e la forza tranquilla della comunità che si costruisce. Perché questo sia possibile va prestata una particolare attenzione alla formazione e alla selezione dei capi d’istituto. Essi non sono solo i responsabili dell’istituzione scolastica, ma il riferimento, di fronte al loro Vescovo, della preoccupazione pastorale. I dirigenti devono essere i leaders che fanno vivere l’educazione come una missione condivisa, che accompagnano e organizzano i docenti, che promuovono incoraggiamento e sostegno vicendevole. Un altro terreno di sfida per le scuole cattoliche è quello della relazione con le famiglie. Una grande parte di esse è in crisi, e ha bisogno di accoglienza, di solidarietà, di coinvolgimento, persino di formazione. Docenti, genitori e capi d’istituto formano, insieme agli alunni, una grande comunità educativa che è chiamata a cooperare con le istituzioni della Chiesa. La formazione continua deve concentrarsi nella promozione di una comunità giusta e solidale, sensibile nei confronti dei bisogni delle persone, capace di creare dei meccanismi di solidarietà con i ragazzi e le famiglie più povere. Il mondo, nella sua pluralità, è in attesa più che mai di essere orientato verso i grandi valori dell’uomo, del vero, del bene e del bello. Questa è la prospettiva che la scuola cattolica deve assumere nei confronti dei giovani, attraverso la strada del dialogo, proponendo loro una visione dell’Altro e dell’altro, che sia aperta, pacifica, affascinante. Nel rapporto con i giovani, talvolta, l’asimmetria crea distanza tra educatore ed educando. Oggi si apprezza maggiormente la circolarità che si instaura nella comunicazione tra il docente e l’alunno, molto più aperta di un tempo, molto più favorevole all’ascolto reciproco. Questo non significa che gli adulti debbano rinunciare a rappresentare un riferimento autorevole, ma bisogna saper distinguere tra un’autorità esclusivamente legata ad un ruolo, ad una funzione istituzionale, e l’autorevolezza che deriva dalla credibilità di una testimonianza. La comunità scolastica è una comunità che apprende a migliorarsi, grazie al dialogo permanente che gli educatori hanno tra loro, che i docenti intessono con i loro alunni, e che gli stessi alunni sperimentano nei loro rapporti. d) La sfida della società dell’apprendimento Non va, però, dimenticato che l’apprendimento non avviene tutto nella scuola. Anzi, nel contesto attuale, fortemente caratterizzato dalla pervasività dei nuovi linguaggi tecnologici e dalle nuove opportunità di apprendimento informale, la scuola ha perso il suo antico primato formativo. La nostra epoca è stata definita l’epoca della conoscenza. Oggi si parla dell’economia del sapere. Da un lato viene richiesto ai giovani un livello di apprendimento e una capacità di apprendere sconosciuti in passato, dall’altro la scuola si confronta con una realtà nella quale le informazioni sono sempre più largamente disponibili, massicce e non controllabili. È necessaria una certa umiltà nel considerare quello che la scuola può fare, in un tempo come il nostro, nel quale le reti sociali stanno diventando sempre più importanti, le occasioni dell’apprendimento al di fuori della scuola sempre maggiori e più incisive. Dal momento che, già oggi, la scuola non è più l’unico ambiente di apprendimento per i giovani, e nemmeno il principale, e le comunità virtuali guadagnano una rilevanza molto significativa, si pone all’educazione scolastica una nuova sfida: quella di aiutare gli studenti a costruirsi gli strumenti critici indispensabili per non lasciarsi dominare dalla forza dei nuovi strumenti di comunicazione. e) La sfida dell’educazione integrale Educare è molto di più che istruire. Il fatto che l’Unione Europea, l’OCDE e la Banca Mondiale mettano l’accento sulla ragione strumentale e sulla competitività e che abbiano una concezione puramente funzionale dell’educazione, come se essa dovesse legittimarsi solo se al servizio dell’economia di mercato e del lavoro, tutto questo riduce fortemente il contenuto pedagogico di molti documenti internazionali, cosa che ritroviamo anche in numerosi testi dei ministeri dell’educazione. La scuola non dovrebbe cedere a questa logica tecnocratica ed economica, anche se si trova sotto la pressione di poteri esterni ed è esposta a tentativi di strumentalizzazione da parte del mercato, e tanto più questo vale per la scuola cattolica. Non si tratta in nessun caso di minimizzare le richieste dell’economia o la gravità della disoccupazione, ma di rispettare la persona degli studenti nella loro integralità, sviluppando una molteplicità di competenze che arricchiscono la persona umana, la creatività, l’immaginazione, la capacità di assumersi delle responsabilità, la capacità di amare il mondo, di coltivare la giustizia e la compassione. La proposta dell’educazione integrale, in una società che cambia così rapidamente, esige una riflessione continua capace di rinnovarla e di renderla sempre più ricca di qualità. Si tratta, in ogni caso, di una presa di posizione chiara: l’educazione che la scuola cattolica promuove non ha per obiettivo la meritocrazia di una élite. Sebbene sia importante la ricerca della qualità e dell’eccellenza, non va mai dimenticato che gli alunni hanno bisogni specifici, spesso vivono situazioni difficili, e meritano una attenzione pedagogica che sia attenta alle loro esigenze. La scuola cattolica deve dunque inserirsi nel dibattito delle istanze mondiali sull’educazione inclusiva[7] e apportare, in questo ambito, la sua esperienza e la sua visione educativa. C’è un numero crescente di alunni feriti nella loro infanzia. L’insuccesso scolastico aumenta e richiede una educazione preventiva, come anche una formazione specifica per gli insegnanti. Oggi si chiede ai sistemi scolastici di promuovere lo sviluppo delle competenze, non solo di trasmettere conoscenze. Il paradigma della competenza, interpretata secondo una visione umanistica, va oltre l’acquisizione di specifiche conoscenze o abilità. Riguarda lo sviluppo di tutte le risorse personali dello studente e crea un legame significativo tra la scuola e la vita. È importante che l’educazione scolastica valorizzi non solo le competenze relative agli ambiti del sapere e del saper fare, ma anche quelli del vivere insieme agli altri e del crescere in umanità. Ci sono competenze quali, ad esempio, quella di tipo riflessivo, in cui si è autore responsabile dei propri atti, quella interculturale, deliberativa, della cittadinanza, che aumentano di importanza nel mondo globalizzato e ci riguardano direttamente, come pure le competenze in termini di coscienza, di pensiero critico, di azione creatrice e trasformatrice. f) La sfida della carenza di mezzi e risorse Le scuole non sovvenzionate dallo Stato conoscono difficoltà finanziarie crescenti per assicurare il servizio ai più poveri in un momento segnato da una profonda crisi economica e nel quale la scelta per le nuove tecnologie è inevitabile ma costosa. Tutte le scuole, sovvenzionate o no, devono fare fronte a una frattura sociale crescente in seguito alla crisi economica. È chiaro che si impone l’adozione di una pedagogia diversificata, che si indirizza a tutti. Ma questa scelta ha bisogno di risorse finanziarie, che la rendano realizzabile, e di risorse umane, costituite da insegnanti e dirigenti ben formati. In ogni caso non c’è dubbio che l’apertura missionaria alle nuove povertà vada non solo salvaguardata, ma ulteriormente stimolata. Il “mestiere di insegnante” è una vocazione che dobbiamo incoraggiare. Gli insegnanti si vedono sollecitati da compiti sempre più numerosi. Alcuni paesi fanno fatica a trovare dei capi d’istituto. Per certe materie, è difficile trovare insegnanti: molti giovani scelgono un lavoro all’interno di un’impresa sperando di essere meglio remunerati. A ciò si aggiunge che i docenti non godono più dell’apprezzamento sociale e che i loro compiti sono appesantiti dai doveri amministrativi sempre più numerosi. Ciò conduce alcuni capi d’istituto a stimolare la disponibilità e il servizio volontario. Una delle sfide sarà quella di continuare a motivare e a incoraggiare i volontari nel loro dono incondizionato. Una parte crescente di giovani si distanzia dalla Chiesa istituzionale. L’ignoranza o l’analfabetismo religioso crescono. Un’educazione cattolica è una missione controcorrente. Come educare alla libertà di coscienza, prendendo posizione di fronte a un campo immenso di convinzioni e di valori di una società globalizzata? Le scuole cattoliche di molti paesi mancano di orientamenti pastorali adeguati al clima multireligioso nel quale esse sono chiamate ad evangelizzare. Per quanto riguarda gli educatori, ci troviamo di fronte al fatto che la “deculturazione” limita la loro conoscenza delle eredità culturali. Il facile accesso alle informazioni oggi largamente disponibili, non accompagnato da una consapevolezza critica nella loro selezione, sta favorendo una notevole superficialità sia tra gli studenti che tra molti docenti, un impoverimento non solo della ragione, ma della stessa capacità di immaginazione, di pensiero creativo. Il numero di educatori e di insegnanti credenti diminuisce, ciò rende più rara la testimonianza. Come far nascere il legame con la persona di Cristo in questa nuova situazione scolastica? In alcune Conferenze Episcopali l’insegnamento cattolico non è stato considerato tra le priorità pastorali. È quando la crisi raggiunge le parrocchie che esse riconoscono che la scuola cattolica è spesso l’unico punto dove i giovani incontrano dei messaggeri della Buona Novella. In molti casi, questa scuola è diventata una scuola aperta al pluralismo culturale e religioso, e in alcuni paesi, ormai mancano i sacerdoti, i religiosi e religiose. Si tratta di una situazione inedita, che chiede una presenza di laici impegnati, preparati, disponibili ad un impegno molto esigente. Questa consapevolezza ha portato, in molti casi, i laici cattolici ad organizzarsi tra di loro, ma spesso, accanto al loro impegno, si ritrova una diffidenza verso la Chiesa istituzionale, che si è disinteressata della scuola cattolica. Una delle grandi sfide sarà, pertanto, per alcune Conferenze Episcopali, ridefinire con urgenza i rapporti con i laici, nella prospettiva di un servizio all’annuncio del Vangelo. È urgente che i Vescovi riscoprano come, tra le modalità dell’evangelizzazione, un posto importante è quello della formazione religiosa delle nuove generazioni, e la scuola è uno strumento prezioso di questo servizio. h) La sfida della formazione religiosa dei giovani In alcuni paesi, i corsi di religione cattolica sono minacciati, rischiano di sparire dal corso di studi. Poiché tali corsi sono posti sotto la competenza dei Vescovi, c’è la grande urgenza di ricordare l’importanza di non trascurare tale insegnamento, che però va continuamente rinnovato. Il corso di religione presuppone una conoscenza approfondita delle reali esigenze dei giovani, perché sarà questa conoscenza a rappresentare la base sulla quale costruire l’annuncio, anche se va conosciuta e rispettata la differenza tra il “sapere” ed il “credere”. Poiché in molti paesi la popolazione delle scuole cattoliche è caratterizzata dalla molteplicità delle culture e delle credenze, la formazione religiosa nelle scuole deve partire dalla consapevolezza del pluralismo esistente e saper costantemente rendersi attuale. Il panorama è molto diversificato, e le modalità di presenza non possono essere le stesse. In alcune realtà il corso di religione potrà costituire lo spazio del primo annuncio; in altre situazioni, gli educatori offriranno esperienze d’interiorità, di preghiera, di preparazione ai sacramenti per gli studenti, e li inviteranno ad impegnarsi nei movimenti giovanili o in un servizio sociale accompagnato. Davanti alle istanze internazionali che si occupano sempre più di temi religiosi, sarà importante che le Conferenze Episcopali sappiano formulare esse stesse delle proposte di corsi capaci di fornire una conoscenza e un apprendimento critico di tutte le religioni presenti nella nostra società. E che esse sappiano distinguere con chiarezza la specificità dei corsi di religione e di quelli di educazione alla cittadinanza responsabile. Altrimenti saranno i governi a fare le loro proposte, senza che ci sia il contributo della visione cristiana e cattolica nei curricula scolastici, in vista della formazione del cittadino libero, capace di essere solidale, compassionevole, responsabile verso la comprensione e gli interrogativi umani? i) Le sfide specifiche per una società multireligiosa e multiculturale Il multiculturalismo e la multireligiosità degli studenti che frequentano le scuole cattoliche, interpellano tutti i responsabili del servizio educativo. Quando l’identità delle scuole si indebolisce, emergono numerosi problemi, legati all’incapacità di interagire con questi nuovi fenomeni. La risposta non può essere quella di rifugiarsi nell’indifferenza, né di adottare una sorta di fondamentalismo cristiano, né, infine, quella di dichiarare la scuola cattolica come una scuola di valori ‘generici’. Una delle sfide più importanti, dunque, sarà di favorire negli insegnanti una grande apertura culturale e, al tempo stesso, una altrettanto grande disponibilità alla testimonianza, così che sappiano lavorare consapevoli e attenti al contesto che caratterizza la scuola e, senza tiepidezze né integralismo, insegnare ciò che sanno e testimoniare ciò in cui credono. Affinché sappiano interpretare così la loro professione, è importante che vengano formati al dialogo tra la fede e cultura e al dialogo interreligioso. Non ci potrebbe essere vero dialogo se i professori stessi non fossero formati ed accompagnati nell’approfondimento della loro fede, delle loro convinzioni personali. Una opportunità da non sottovalutare, per gli alunni che apprendono in contesti così pluralistici, è quella di promuovere la collaborazione degli studenti di diverse convinzioni religiose, in iniziative di servizio sociale. Non sarebbe desiderabile, almeno come condizione minima, che tutte le scuole cattoliche proponessero ai loro giovani studenti, l’esperienza di un servizio sociale, accompagnato dai loro professori o eventualmente dai loro genitori? j) La sfida della formazione permanente degli insegnanti In un contesto culturale di questo tipo, la formazione degli insegnanti è determinante e richiede un rigore e un approfondimento, senza i quali il loro insegnamento sarebbe considerato poco credibile, poco affidabile e pertanto non necessario. Tale formazione è urgente, se vogliamo poter contare, in avvenire, su insegnanti coinvolti e preoccupati dell’identità evangelica del Progetto Educativo e della sua attuazione. Non è, infatti, desiderabile che nelle scuole cattoliche vi sia “una doppia popolazione” di insegnanti; c’è, invece, bisogno che vi operi un corpo docente omogeneo, disponibile ad accettare e a condividere una definita identità evangelica, e un coerente stile di vita. k) I luoghi e le risorse di questa formazione Chi può garantire questo tipo di formazione? Si possono individuare alcuni luoghi dedicati a questo compito? Dove possiamo trovare i formatori per questo tipo di insegnanti? Ecco alcuni possibili suggerimenti: La struttura nazionale e il suo ufficio nazionale. La struttura diocesana: i vicari o i direttori diocesani per l’insegnamento in collaborazione o in partenariato con istituti di formazione. Si dovrebbe riflettere bene sull’opportunità di raggruppare in un’unica struttura diocesana la formazione dei laici con incarichi ecclesiali e la formazione degli insegnanti di religione. Da un lato tale scelta risponde ad una politica di rafforzamento dell’identità, ma lascia aperto un interrogativo non semplice: come adattare una formazione di questo tipo alle esigenze presenti nel contesto di apprendimento scolastico? Non va dimenticato che gli insegnanti hanno una specifica dimensione professionale, con caratteristiche peculiari, delle quali la formazione dovrebbe tener conto.
l) Alcune sfide di ordine giuridico C’ è una forte tendenza di alcuni governi a marginalizzare la scuola cattolica con tutta una serie di regole e leggi che a volte calpestano la libertà pedagogica delle scuole cattoliche. In alcuni casi i governi nascondono la loro avversità con il fatto che dispongono di risorse insufficienti. In queste situazioni l’esistenza delle scuole cattoliche non è garantita. Un’altra minaccia, che potrebbe di nuovo emergere, è quella delle regole della non discriminazione. Sotto il cappello di una discutibile ‘laicità’ si nasconde l’avversione nei confronti di un’educazione dichiaratamente orientata ai valori religiosi, che va riportata alla sfera del ‘privato’. 2. Le sfide dell’educazione superiore cattolica Le sfide relative all’educazione superiore cattolica, l’educazione universitaria, sono del tutto differenti da quelle incontrate nella scuola cattolica, ai vari livelli primario e secondario? Per la maggior parte, coincidono con le sfide prima richiamate. Anche per le università si deve, infatti, riconoscere che le questioni fondamentali con le quali si deve confrontare oggi il mondo dell’educazione sono primariamente legate, in un modo o in un altro, ai nuovi contesti culturali, perfino sociologici, nei quali vivono le nostre società e da dove provengono gli studenti che vengono accolti nei diversi ambienti dell’insegnamento cattolico. Esistono diversità sistemiche e strutturali che si riferiscono alle differenze tra le istituzioni dell’educazione superiore in termini di dimensioni, fondamenti storici e legislativi, così come in termini di diverse modalità di governance. Vi sono, poi, diversità programmatiche e procedurali, nei livelli formativi, nella ricerca e nelle modalità in cui si svolgono le attività. Vi sono, infine, diversità di status e di prestigio associato alle singole istituzioni, così come diversità nella tipologia di studenti e di personale accademico. I processi di differenziazione vanno visti come risposta ai mutamenti e alle sfide che hanno interessato i sistemi di istruzione superiore negli ultimi trent’anni. In tale periodo si è passati da un’università di élite a una ad “accesso generalizzato”, ed è fortemente aumentata la richiesta che l’università risponda alla domanda sociale e sia fattore di sviluppo economico. Un po’ dovunque la sfida derivante da queste tendenze pone problemi comuni, e cioè: come conciliare questi mutamenti che investono il ruolo dell’università con i valori che hanno caratterizzato la tradizione universitaria? Come riaffermare la centralità della ricerca scientifica e della formazione del capitale umano a elevata qualificazione, prendendo atto che per rispondere alla domanda sociale le università devono diventare non solo luogo di elaborazione ma anche di circolazione della conoscenza, strumenti di crescita economica e non solo culturale e civile? La risposta dei governi a tali questioni è stata quella di differenziare i sistemi a livello di curricula e di titoli accademici oppure creando nuove funzioni all’interno delle istituzioni, come anche articolando i sistemi di istruzione superiore in funzione delle esigenze sempre più complesse del mercato del lavoro. Dinanzi a questi processi di cambiamento tuttora in corso, è naturale il ripensamento degli obiettivi e delle funzioni delle università stesse, le quali accanto alle funzioni prettamente scientifiche, di ricerca e di didattica vedono affiancarsi anche la funzione di servizio al territorio, diventando un punto di riferimento o una sorta di agenzia di analisi a supporto dei decisori socio-politico-economici. Questi cambiamenti rendono necessario ridefinire l’idea di università. Anche l’educazione superiore cattolica non può esimersi da questo sforzo e in tale contesto essa è sollecitata a precisare meglio la propria identità e i propri compiti specifici, accademici e scientifici. a) Internazionalizzazione degli studi universitari Negli anni recenti si è andata sempre più accentuando la dimensione internazionale dell’istruzione superiore, con accordi tra paesi o università, supportata da strumenti e programmi creati dagli organismi internazionali a livello dei vari continenti o a livello mondiale. Le esperienze compiute in questo campo sono caratterizzate da diversi aspetti, quali: una più ampia offerta formativa, il crescente numero di studenti provenienti da altri paesi, l’innovazione delle metodologie didattiche, delle procedure di gestione dei processi formativi e quelli della ricerca. I corsi di diploma congiunti tra diverse università sono un efficace strumento di internazionalizzazione poiché consentono lo scambio di idee e di esperienze, favoriscono l’incontro di persone (studenti, docenti e ricercatori, personale amministrativo), provenienti da culture e tradizioni differenti, permettono di sviluppare le expertise di università con differenti missioni, visioni e profili. Questo è un fenomeno nuovo in crescita che pone non pochi interrogativi alle istituzioni riguardanti l’accoglienza, i metodi d’insegnamento, l’apprendimento e la ricerca. b) Utilizzo delle risorse online negli studi universitari Nella società contemporanea si fa un uso intenso e pervasivo delle applicazioni di rete nella gestione personale della conoscenza. Nel corso degli ultimi anni il tema della competenza digitale, nei suoi diversi aspetti, è stato oggetto di attenzione crescente. In vari documenti e comunicazioni, gli organismi internazionali hanno sottolineato la rilevanza di questa competenza per il Lifelong Learning e per la partecipazione alla cosiddetta “società dell’informazione”. Ma cosa vuol dire essere una persona colta o, semplicemente, istruita nel XXI secolo? La questione va al di là del preparare al futuro i giovani di domani per lavori e sfide che ancora non esistono, ma riguarda l’essere cittadini consapevoli, indipendentemente dall’essere nati o vissuti digitali, e pienamente autonomi nell’accesso e uso delle risorse, contenuti, relazioni, strumenti e potenzialità della società digitale. In questa cornice, assumono notevole rilievo le competenze necessarie per gestire e arricchire la propria conoscenza in maniera autonoma utilizzando risorse online e offline. Questo insieme di competenze, designato con la locuzione Personal Knowledge Management, associato ai concetti di apprendimento personale e/o di rete di apprendimento personale, dovrebbe aiutare ogni persona ad essere in grado di selezionare e valutare autonomamente le proprie fonti di informazione, di ricercare dati online, di saperli archiviare, rielaborare, trasmettere e condividere. Accanto a queste competenze ne occorrono altre, come per esempio: la connectedness (senso di rete), che implica non solo aspetti tecnologici, ma anche abilità comunicative, relazionali e di gestione della propria identità in un contesto di comunicazione globale; la critical ability, ovvero l’approccio critico alla rete, che concerne l’abilità di saper usare il network come base di risorse, finalizzandole al contesto d’uso; la creatività, ovvero lo sviluppo di attitudini creativity per il Lifelong Learning per poter beneficiare delle esperienze formative che intersecano momenti di apprendimento formale con situazioni di apprendimento informale. c) Università, impresa e mondo del lavoro Uno dei problemi fondamentali di oggi riguarda la mancanza di lavoro. Quali opportunità il mondo dell’università può offrire a un futuro imprenditoriale e al lavoro? Occorre creare occasioni che permettano al mondo delle imprese, delle varie professioni e a quello universitario di incontrarsi, offrendo spunti di riflessione e opportunità per i giovani desiderosi di misurarsi con i diversi sistemi dello start up, per sperimentare le proprie idee e capacità. Gli studenti universitari hanno la necessità di conoscere per tempo i diversi sbocchi al mondo del lavoro, partecipando a progetti e concorsi e avendo accesso a borse di studio di specializzazione. In tale prospettiva sono di capitale importanza le attività di orientamento nelle scuole secondarie superiori e l’accompagnamento nel periodo degli studi universitari. Dinanzi ai problemi del lavoro, della disoccupazione e della preparazione dei futuri leaders di cui anche l’educazione superiore si deve fare carico, occorre ricordare che l’università, come dice la Ex corde Ecclesiae, ha la missione fondamentale di porsi con fiducia al servizio «della verità mediante la ricerca, la conservazione e la comunicazione del sapere per il bene della società» (n. 30). L’università cattolica contribuisce a questa missione con la sua finalità di ministero di speranza al servizio degli altri, formando persone dotate di senso di giustizia e profonda sollecitudine per il bene comune, educando a prestare particolare attenzione ai poveri, agli oppressi e cercando di insegnare agli studenti ad essere cittadini globali responsabili e attivi. d) La qualità delle istituzioni accademiche Uno degli obiettivi su cui si è concentrata l’attenzione a livello internazionale, nei vari paesi e nelle stesse istituzioni, è quello di garantire la qualità dei propri sistemi accademici, individuando precisi criteri e strumenti di valutazione per valorizzare la responsabilità e la trasparenza delle singole istituzioni. Si tratta di un obiettivo pienamente accolto e condiviso da tutti per il quale in molti casi si stabiliscono accordi tra realtà specializzate, a livello nazionale e internazionale, per individuare e condividere indicatori di misurazione che non si limitino a valutare dati esterni statistici e procedure, ma considerino anche la finalità e i contenuti dell’educazione superiore, inquadrandoli in un orizzonte valoriale. Promuovere la qualità di un centro accademico cattolico significa evidenziare il valore delle attività svolte, consolidarne gli aspetti positivi e, laddove è necessario, migliorare quelli carenti. Questa attività di monitoraggio e valutazione diventa oggi indispensabile e svolge due funzioni fondamentali: anzitutto una funzione pubblica, ovvero quella di rendere affidabile e trasparente il sistema di studi, favorendone la conoscenza ed anche una sana emulazione tra diverse sedi di insegnamento; in secondo luogo, una funzione interna, volta ad aiutare gli attori del sistema a raggiungere gli obiettivi istituzionali ed a riflettere sul risultato della loro attività al fine di migliorarla e svilupparla. Le trasformazioni illustrate riguardano anche l’università cattolica come istituzione e la sua governance. Essa in quanto realtà “imparziale” (cioè non soggetta a logiche di parte) e non legata alla “sovranità popolare” (poiché chi governa l’università non è un rappresentante del popolo), può essere vista sotto vari aspetti, quali: le condizioni di accesso degli studenti, le fonti e i meccanismi di finanziamento, il grado di autonomia, il suo ruolo nella società moderna e l’assetto di governo in quanto istituzione accademica. In cosa consiste l’autonomia delle università? In molti paesi lo Stato ha un peso rilevante di fronte al quale le singole istituzioni necessitano di poter agire con libertà nel raggiungere i propri obiettivi accademici, senza essere condizionate dall’intervento finanziario pubblico (che a seconda dei vari paesi può essere di totale o prevalente copertura). Oggi gli Stati, proprio per il fatto che finanziano le istituzioni universitarie, sono comunque presenti in esse esercitando un “controllo a distanza”, definendo obiettivi, strumenti di valutazione e coinvolgendo in modo più consistente le stesse università nella responsabilità e sostenibilità finanziaria. Mentre si sottolinea l’autonomia, le università sono sempre più sollecitate a rispondere alle esigenze del territorio di riferimento, offrendo corsi di studio, nella logica del lifelong learning, a favorire il progresso economico-sociale, a porsi al servizio della comunità per supportare i decision maker pubblici e privati. Questa crescente eterogeneità di funzioni che l’università sta sviluppando sotto la pressione sociale, ha portato molti paesi a prevedere diversi modelli organizzativi di studi superiori i quali, da una parte sono caratterizzati da maggiore autonomia e libertà accademica e dall’altra dalla aumentata responsabilità verso lo Stato e verso gli stakeholder in generale. f) La sfida del cambiamento e l’identità cattolica dell’università L’educazione deve avviare lo studente a incontrare la realtà, a inserirsi con consapevolezza e responsabilità nel mondo e, perché questo sia possibile, l’acquisizione del sapere è sempre necessaria. Tuttavia, più che l’informazione e la conoscenza, la trasformazione della persona è il vero risultato atteso. In questo senso, la motivazione non è solo una condizione preliminare, essa si costruisce, è un risultato. L’istruzione superiore cattolica si propone di formare uomini e donne capaci di pensiero critico, dotati di elevata professionalità, ma anche di una umanità ricca e orientata a mettere la propria competenza al servizio del bene comune. «All'occorrenza l'Università cattolica dovrà avere il coraggio di dire verità scomode, verità che non lusingano l'opinione pubblica, ma che pur sono necessarie per salvaguardare il bene autentico della società» (Ex corde Ecclesiae, n. 32). Ricerca, insegnamento e varie forme di servizi rispondenti alla sua missione culturale sono le dimensioni fondamentali verso le quali indirizzare la formazione universitaria, dimensioni che devono dialogare tra loro. Il contributo dell’educazione cattolica alimenta la doppia crescita, in scienza e in umanità. In una università cattolica l’ispirazione cristiana permea la vita stessa della comunità universitaria, alimenta l’impegno per la ricerca, fornendo ad essa una direzione di senso, e sostiene il compito della formazione dei giovani, ai quali può essere offerto un orizzonte più ampio e significativo di quello costituito dalle pur legittime attese professionali. I docenti delle università cattoliche sono chiamati ad offrire un originale contributo al superamento della frammentazione dei saperi disciplinari, favorendo il dialogo tra questi vari punti di vista specialistici, alla ricerca di una ricomposizione unitaria del sapere, sempre approssimativa e in divenire, ma orientata dalla consapevolezza del senso unitario delle cose. In questo dialogo la teologia offre un apporto essenziale. Oggi c’è una particolare attenzione a verificare i risultati dei percorsi di apprendimento degli studenti. Le indagini internazionali stilano classifiche, comparano i paesi. L’opinione pubblica è sensibile a questi messaggi. La trasparenza dei risultati, l’abitudine alla rendicontazione sociale, la spinta al miglioramento degli standard raggiunti sono aspetti che denotano la tendenza verso l’innalzamento della qualità dell’offerta formativa. Tuttavia è importante non perdere di vista un aspetto fondamentale dell’educazione, che è dato dal rispetto dei tempi delle persone e dalla consapevolezza che i veri cambiamenti richiedono durate non brevi. L’educazione vive la metafora del buon seminatore che si preoccupa di seminare, non sempre con la possibilità di vedere i risultati del suo operare. Educare è agire con speranza e con fiducia. L’azione educativa e l’insegnamento devono preoccuparsi di migliorarsi continuamente e di verificare l’efficacia degli strumenti, ma nella consapevolezza di non poter vedere né constatare tutti i risultati desiderati. La formazione di una persona si svolge in un processo realizzato negli anni, da molti educatori, a cominciare dai genitori. L’esperienza scolastica si situa in continuità con un percorso di crescita già avviato, che può essere positivo e ricco, ma anche problematico o limitante, e che in ogni caso va considerato. L’educazione cattolica si colloca in un momento della storia personale, ed è tanto più efficace quanto più sa collegarsi a questa storia, sa costruire alleanze, condividere responsabilità, costruire comunità educanti. All’interno di una dimensione di collaborazione educativa, l’insegnamento non è solo un processo di trasmissione di conoscenze o di addestramento, ma una guida alla scoperta dei propri talenti, allo sviluppo della competenza professionale, all’assunzione di importanti responsabilità sia intellettuali, sia sociali, sia politiche nella comunità. Ancora di più, insegnare è accompagnare i giovani nella ricerca della verità, della bellezza, di ciò che è giusto e buono. L’efficacia dell’azione collettiva del personale docente e non docente è data dall’avere una visione valoriale condivisa e dall’essere una comunità che apprende, non solo che insegna. Le sfide per la scuola e l’università cattolica del futuro sono immense. Tuttavia, le parole di Papa Francesco sono di grande incoraggiamento a rinnovare la passione educativa: «Non scoraggiatevi di fronte alle difficoltà che la sfida educativa presenta! Educare non è un mestiere, ma un atteggiamento, un modo di essere; per educare bisogna uscire da se stessi e stare in mezzo ai giovani, accompagnarli nelle tappe della loro crescita mettendosi al loro fianco. Donate loro speranza, ottimismo per il loro cammino nel mondo. Insegnate a vedere la bellezza e la bontà della creazione e dell’uomo, che conserva sempre l’impronta del Creatore. Ma soprattutto siate testimoni con la vostra vita di quello che comunicate. Un educatore […] trasmette conoscenze, valori con le sue parole, ma sarà incisivo sui ragazzi se accompagnerà le parole con la sua testimonianza, con la sua coerenza di vita. Senza coerenza non è possibile educare! Tutti siete educatori, non ci sono deleghe in questo campo. La collaborazione allora in spirito di unità e di comunità tra le diverse componenti educative è essenziale e va favorita e alimentata. Il collegio può e deve fare da catalizzatore, esser luogo di incontro e di convergenza dell’intera comunità educante con l’unico obbiettivo di formare, aiutare a crescere come persone mature, semplici, competenti ed oneste, che sappiano amare con fedeltà, che sappiano vivere la vita come risposta alla vocazione di Dio, e la futura professione come servizio alla società»[8].
Il seguente questionario serve come traccia per la riflessione e i suggerimenti. Può essere utilizzato con una certa libertà. 1. IDENTITÀ E MISSIONE - In che modo nella vostra Nazione la scuola e l'università cattoliche sono coerenti con la loro natura e finalità? - Quali sono gli aspetti che maggiormente qualificano l'offerta che la scuola e l'università cattolica fanno agli studenti e alle loro famiglie? - Si può dire che le scuole e le università cattoliche sono preoccupate dell'evangelizzazione e non solo di dare un servizio di qualità, superiore a quello offerto dalle altre istituzioni? In che modo la pastorale locale o nazionale coinvolge organicamente il mondo scolastico e universitario? - Che posto ha l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole cattoliche e non? - Nelle scuole e università cattoliche è stato promosso il dialogo interreligioso e interculturale? 2. SOGGETTI - E' previsto un percorso di accompagnamento nella fede, per docenti, studenti, famiglie degli studenti che frequentano la scuola e l’università cattolica? - E' favorita la partecipazione degli studenti alla vita dell’istituzione educativa? - E' favorita la partecipazione delle famiglie? - Quali sono le attese dei giovani che si iscrivono alle scuole superiori e all'università e in che modo la proposta educativa sa dialogare con queste attese? - C'è attenzione nei confronti degli studenti che hanno condizioni di difficoltà economica? - C'è attenzione nei confronti degli studenti che presentano difficoltà di apprendimento o disabilità? - Vengono promosse iniziative per gli ex alunni? - Le congregazioni religiose con carisma educativo come hanno “aggiornato”la loro presenza nelle scuole e università? Quali difficoltà e quali risultati positivi hanno ottenuto? - Come è promossa la missione condivisa delle persone consacrate e dei fedeli laici nelle scuole e nelle università cattoliche? 3. FORMAZIONE - Come avviene il reclutamento del personale, specie di quello docente e dei dirigenti? - Come è impostata e garantita la formazione continua, professionale e cristiana, del personale dirigente, docente e non docente? - C'è una attenzione formativa anche verso quanti operano nelle scuole e nelle università non cattoliche? - L'attenzione formativa riguarda anche i genitori? - C'è attenzione a che ci sia cooperazione tra le diverse scuole e università cattoliche? 4. SFIDE E PROSPETTIVE - L'Instrumentum laboris elenca numerose sfide che oggi l'educazione cattolica si trova a fronteggiare. Quali sono quelle sentite come più impegnative nel vostro contesto? - Come si collocano le scuole e università cattoliche rispetto a queste sfide? - Quali sono, in sintesi, gli aspetti più positivi dell'esperienza delle scuole e università cattoliche nella vostra Nazione? - Quali, invece, le maggiori criticità? - Quali linee strategiche e operative sono già state prospettate o si intravvedono per il futuro?
[1] «Bisogna sempre ricordarsi di essere fratelli e perciò educare ed educarsi a non considerare il prossimo come un nemico o come un avversario da eliminare», PAPA FRANCESCO, Fraternità, fondamento e via per la pace, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (2014), n. 8. [2] CONCILIO VATICANO II, Dichiarazione sull’educazione cristiana Gravissimum educationis, 28 ottobre 1965 [3] GIOVANNI PAOLO II, Costituzione apostolica Ex corde Ecclesiae sulle Università cattoliche, 15 agosto 1990 [4] Cf. BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti all'incontro dei rettori e docenti delle università europee su "Un nuovo umanesimo per l'Europa. Il ruolo delle Università" (23 giugno 2007). [5] «Svegliate il mondo!». Colloquio di Papa Francesco con i Superiori Generali, in La Civiltà Cattolica, n. 3925, 4 gennaio 2014, p. 17. [6] Documenti: La scuola cattolica (1977); Il laico cattolico testimone della fede nella scuola (1982); Orientamenti educativi sull'amore umano. Lineamenti di educazione sessuale (1983); Dimensione religiosa dell'educazione nella scuola cattolica (1988); La scuola cattolica alle soglie del terzo millennio (1997); Le persone consacrate e la loro missione nella scuola. Riflessioni e orientamenti (2002); Educare insieme nella scuola cattolica. Missione condivisa di persone consacrate e fedeli laici (2007); Educare al dialogo interculturale nella scuola cattolica. Vivere insieme per una civiltà dell’amore (2013). Inoltre, sono state inviate alcune Lettere circolari: Alle Famiglie religiose e alle Società di vita apostolica con responsabilità di scuole cattoliche (N. 483/96/13 del 15 ottobre 1996); Alle Conferenze Episcopali sull’educazione sessuale nelle scuole cattoliche (N. 484/96 del 2 maggio 1997); Alle Conferenze Episcopali sull’insegnamento della religione nella scuola (N. 520/2009 del 5 maggio 2009). [7] Cf. 48a sessione della Conferenza internazionale sull’educazione dell’UNESCO, Ginevra (27-28 novembre 2008); Cf. PAPA FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii gaudium (24 novembre 2013), n. 186 ss. [8] PAPA FRANCESCO, Discorso agli studenti delle scuole gestite dai Gesuiti in Italia e Albania (7 giugno 2013).
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