[Testo consegnato - Non completo di eventuali aggiunte a braccio]
Congregazione Generale 16 - 23 ottobre 2023
Spunti spirituali
“Il più piccolo di tutti…” (Mc 4,30)
Narrare parabole più che emanare proclami
sr. Maria Ignazia Angelini O.S.B
1. - Premessa
“Che sono questi discorsi che andate facendo tra voi, lungo il cammino?” (Lc 24,17). Raggiungendo i due discepoli che conversano tra loro, Gesù, a partire dalla domanda (“che sono questi discorsi?”) e dalla conseguente sosta sulle Scritture, e la frazione del pane, capovolge a “U” il loro cammino. I nostri discorsi sono ora a un punto decisivo, una certa conversione è accaduta, dobbiamo renderne ragione. La Parola di Dio, ascoltata e congiunta con gli eventi che ci circondano, ci incalza e ci dà luce. La Chiesa, la coscienza credente di ciascun membro, oggi è scossa. Mentre attorno imperversano guerre, abbiamo gustato la conversazione spirituale, ascoltato tanti ottativi, tanti imperativi, tentativi di lettura della realtà, complessa, inquietante, …: che dire? È, di nuovo, il momento di alzare lo sguardo alla luce ispirante del Vangelo. Il Vangelo non produce soluzioni ma rivela il dinamismo, sempre sorprendente, dello Spirito, che dà compimento.
Ebbene, dalla postazione in cui ho avuto la grazia di trovarmi, ai margini del Sinodo e in preghiera, con padre Timothy siamo stati attratti da questo Vangelo. Le due piccole parabole del c. 4 di Marco, carta d’identità del Regno, sono uno dei luoghi sacri della rivelazione del più proprio di Gesù, e di come Gesù vede la sua chiesa serva del Regno – ne viene luce anche sul cammino sinodale.
2. - La domanda è intrigante
"A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio, o di quale parabola ci serviremo?”: Gesù inizia con una doppia domanda. Come per coinvolgere l’interlocutore – oggi, la domanda rimbalza su questa santa assemblea – nella sua ricerca di proporre al popolo di Dio, e oltre, una sintesi del cammino.
Ne ha già raccontate tante Gesù di parabole, “la bellezza della sua rivelazione è di averci parlato di Dio e dell'uomo insieme, l'uno nell'altro. Per questo “la rivelazione di Gesù è parabolica, e tale deve essere l'esistenza cristiana” (B. Maggioni). Per questo, Gesù qui tira dentro gli uditori in questa sua arte narrativa. E la domanda ci riguarda oggi profondamente. Il regno di Dio va sempre annunciato “in parabola”, cioè in un punto di congiunzione tra la sua presenza e la nostra esperienza, altrimenti il suo mistero trascendente, suona estraneo. Punto di congiunzione simbolicamente indicativo, non conclusivo.
Come dire dunque oggi il mistero del Regno, della sorprendente e drammatica crescita, narrando questi giorni di cammino sinodale, con parole di carne?
3. - Come seme gettato, caduto in terra
Il punto della parabola, è il contrasto. Infimo seme - grande pianta ospitale. Ci fa intuire come Gesù vede la storia propria, e della chiesa; e quale sia il suo stile. Gli è cara, la riprende, l’immagine del seme, più volte: anche e proprio nell’ora ultima, di fronte ai greci che chiedono di vedere: “Se il chicco di grano caduto nella terra non muore, rimane solo; se muore porta molto frutto (...) dove sono io sarà anche il mio discepolo” (Gv 12,24). Lì l’immagine avrà tutta la sua luce pasquale. È una luce: il segreto del chicco che gettato, consegnato, mescolato alla terra fino a morire, si fa pianta ospitale. Siamo chiamati a cogliere la portata ispirante dell’immagine. È mistero di generazione, di gratuita alleanza. La grande sfida di Dio, amante degli umani.
Gesù, quale Figlio pienamente abbandonato alla volontà del Padre, pienamente fiducioso nella potenza di Colui che l’ha mandato nel mondo, elabora qui la propria kenosi nella terra, discerne paradossalmente i segni di quello che potrebbe apparire un fallimento, e offre alla sua chiesa lo sguardo per discernere i segni del Regno.
In tal modo, impedisce che il paradosso del Regno si diluisca in una comprensione mistificante - che tanto seduce i discepoli, sempre - prima che la croce offra l'ultimo e decisivo segno interpretativo. È nella consegna ultima di Gesù, nell’Eucaristia celebrata al cuore della notte, che la Chiesa, abbarbicata a quell’ “arbor beata”, cresce e ramifica. E sporge in rami nuovi, ad ogni stormo improvviso di uccelli che cerca ombra, cerca nido per nuove generazioni.
E così, riceviamo provocazione a intessere la nostra narrazione parabolica, per maturare risposta di Vangelo alle sfide, alle povertà, al disorientamento di oggi.
4. - Cogliere la forza rivelativa e performante della parabola
Ci vuole molto silenzio, e umiltà vera, per cogliere in sé e nella chiesa la dynamis della Parola e farle spazio. Il sorprendente senso del piccolo come portatore di futuro segna lo stile di Gesù. Dice i gusti di Dio. Il Regno di Dio viene così. Gesù vede se stesso nell’infimo e nudo e spregevole seme, inapparente, abietto, senza bellezza, solo (fino a che muore), inerte all’apparenza, marcescente – attraverso la consegna alla terra - si anima in un dinamismo imprevedibile, inarrestabile, ospitale. E nel dinamismo della consegna alla terra, fa sorgere il Regno. E diventa riparo perché alla sua ombra tutti gli uccelli del cielo trovino ristoro e luogo per nidificare.
Contrasto e continuità fra l'umiltà del punto di partenza (il seme) e la grandezza del punto di arrivo (l'albero) segnano anche il vissuto della fede: questo ci deve sorprendere oggi nuovamente. L’abbiamo percepito, nei molti interventi in aula. E dal Vangelo riceviamo il filo del senso.
La parabola ci dà così il linguaggio per interpretare l’itinerario di questo mese di semina. Oggi – in una cultura della lotta per la supremazia, del profitto e dei “followers”, o dell’evasione – la paziente opera di semina di questo sinodo è, in sé, come un atto profondamente sovversivo e rivoluzionario. Nella logica del più piccolo del seme che affonda nella terra. Così, il Sinodo mi pare si trovi chiamato a osare una sintesi-come-semina, per aprire cammino verso la riforma - nuova forma -, che la vita richiede.
Si tratta di cogliere - tra le tante parole ascoltate - “il più piccolo”, carico di futuro, e osare immaginare come consegnarlo alla terra che lo farà maturare e diventare luogo ospitale: “Con quale parabola racconteremo?”
“Come avverrà?”, si domandava Maria di Nazaret (Lc 1,33.37). E lei, adombrata dallo Spirito, impara quest’arte dal proprio stesso grembo, e canta la sua parabola impossibile nel Magnificat. E ci insegna come anche una minima, la piccola ragazza di Galilea, può armonizzarsi alla potenza dello Spirito e leggere la storia. A proporre visioni ardite. Porre gesti profetici. Senza tutele dei potenti e dei ricchi.
È dallo Spirito, l’arte di cogliere e narrare somiglianze inedite tra il Regno di Dio e le più semplici, minime, fragili e vitali, realtà della terra, somiglianze che aprono il futuro.
E qui, quali consonanze rintracciamo, nelle conversazioni di questi giorni benedetti, e come raccontarle? La storia quotidiana delle chiese è piena di parabole, che attendono narrazione con lo sguardo fisso agli occhi di Gesù. In ciascuna vicenda di chiesa siamo chiamati a riconoscere la forma cristologica della piccolezza e la forma cristologica della trasformazione compiutamente rivelata nella croce, “arbor alta”. Grandezza ospitale maturata attraverso la discesa nella terra, la libera, amante consegna.
Al contrario, le storie che oggi si raccontano attingono filo di senso dai luoghi comuni di una cultura omologata, o da melense miracolistiche fictions, o al contrario da sconsolate repliche di Godot.
Ci vuole molto silenzio e umiltà vera.
La formazione della coscienza dei battezzati
Dio sta trasformando il mondo, guarisce le ferite e perdona e vincendo i nostri fallimenti, ponendosi visibilmente – come “l’infimo” - accanto ai processi del mondo e dentro tali processi. La questione è di vederlo, e crearne, e nutrirne, narrazioni concrete. “Nella terra”: luogo di non apparenza, buio delle radici, luogo di gestazione promettente. Umanità tentata dal post umano. C’è un servizio del Regno che richiede perspicace, fiduciosa pazienza. E oculata cura.
La parabola ci chiama con forza a prendere sul serio quel “più piccolo” che è l’uomo (Sal 8), che custodisce una forza generativa trascendente. Il lavoro delle radici deve maturare a partire dalla formazione della coscienza. Il più piccolo è – in Gesù - ogni battezzato, che però è chiamato a entrare in sinergia col sorprendente dinamismo del seme gettato. Il che vuol dire dissociare decisamente l’opera pastorale da ogni prospettiva statistica, efficientistica, procedurale eretta a sistema. Concentrandosi sulla formazione della coscienza dei battezzati. In un mondo saturo di hybris, tentato dal post umano.
Io prego che questo Sinodo riceva l’arte di nuove narrazioni, l’umiltà radicale di chi apprende a riconoscere la somiglianza del Regno nei dinamismi più veri, vitali, dell’umano, dei legami primari, della vita che pulsa misteriosamente in tutti i mondi e le sfere dell’esistenza umana, in una mirabile nascosta armonia. Con tanta pazienza. La capacità di scrutare la notte.
Buon lavoro finale: nella narrazione di parabole nuove, che danno a pensare, crescere, sperare, camminare - insieme.