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[Testo consegnato - Non completo di eventuali aggiunte a braccio]

 

Martedì 3 ottobre 2023 - alle LODI

 

Il Magnificat,

uno sguardo “giovane” sul mondo e sulla chiesa

 

La celebrazione, lo sappiamo e forse lo sperimentiamo, è l’intima energia del cammino sinodale. In tutti i suoi passi e passaggi. IL Sinodo stesso avviene come “celebrazione”. E dalla Liturgia celebrata trae luce e orientamento per nuovi linguaggi e nuovi percorsi Nulla di strano, allora, che la proposta per questo giorno conclusivo di ritiro sia posta sotto la luce del Magnificat – il canto dell’Inizio, che dà compimento a ogni giorno della chiesa in preghiera.

“Fammi giustizia, Dio!” (Sal 42,1) abbiamo invocato nelle Lodi, dando voce al gemito dell’umanità oppressa e della creazione sottomessa alla vanità e in travaglio per le doglie del parto (Rm 8,20-24), in preda a una tristezza diffusa, che annebbia i nostri giorni. Ma poi, senza soluzione di continuità – così vuole l’ordinario contrappunto della preghiera della chiesa – abbiamo intonato: “Tutto canta e grida di gioia” (Sal 63,14). Proprio questo contrappunto di supplica e di lode è il canto fermo della fede, che raccoglie armonie dissonanti di mondi visibili e nascosti, accompagnandoci fino a sera nella lotta per credere, per stare nella compagnia degli umani come “fratelli tutti”.

E dunque, a sera, la Madre ci attende. La convocazione vespertina d’ogni giorno, nel Magnificat, ci ospita e ci rivela come portare a compimento ogni opera intrapresa nell’obbedienza della fede. Al calare d’ogni sera, la Madre di Dio ci attende con il suo canto. Un canto straordinario nel suo potenziale di lettura profetica della storia. Sintesi “materna” che raccoglie e dà luce alla nostra sfilacciata vicenda umana. E indica la via.

È posto all’inizio sulle labbra di Maria in visita ad Elisabetta (Lc 1,39-56) mentre porta in germe nel proprio corpo un segreto pesantissimo da vivere. Come condividerlo? Come sfidare l’impossibile, narrando quanto le è avvenuto? Solo in canto, e in un canto che abbraccia l’universo e le generazioni, ove la sua storia minore di ragazza di Nazareth trova il giusto orizzonte.

Il canto è all’Altissimo, ma rivolto ai presenti - e ai lettori -, fino a coinvolgere tutte le generazioni, in una profonda comunicazione spirituale. Creazione stupenda, attinge all’eredità antica (1Sam 2,1-10): donne prima di lei hanno incontrato l’impossibile attraverso preghiera e lacrime, e Maria ne raccoglie l’eredità.

Così dall’incontro di Maria con l’anziana cugina Elisabetta, trasuda una mirabile reciprocità per grazia. Il Magnificat scaturisce da un’autentica “conversazione spirituale”, quale preghiera concepita per guidare la chiesa e ritmare il suo viaggio nel tempo. I suoi giorni.

Il canto della giovane donna ardisce interpretare la storia alla luce di un evento impercettibile e trasformante - che la coinvolge radicalmente nella carne, sovverte la sua esistenza, la sua piccolezza – “nientità” (oudeneia) –, e schiude così una mirabile visione della storia universale, un futuro da lei profeticamente coniugato al passato. Così Maria consegna il suo canto alla Chiesa di Dio in cammino- per raccogliere in preghiera lo scendere della sera e aprire futuro a ogni suo passo. Anche gli incontri sinodali. Sarà bene tenerlo presente. Lasciarsi ispirare dall’impossibile di Dio, visto dalla ragazzina di Nazaret, l’Annunziata.

 

La ragazzina di Galilea – la chica, la guapa, direbbe qualcuno – come abilitata dalla benedizione della cugina, si scioglie in canto a “Dio mio salvatore, … che ha guardato”, un canto per “farlo grande”. In quel “mio” salvatore: non c’è nulla di intimistico, bensì c’è il coinvolgimento di tutti: il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio di Gesù, sempre raccoglie la sua chiesa attraverso del singolo che si lascia coinvolgere corpo e anima nell’impossibile di Dio.

Il canto vespertino della chiesa è anche il soffio che sospinge il cammino sinodale. “«Non sta a te compiere l'opera, ma non puoi sottrartene”, diceva rabbi Tarfon, uno gli antichi saggi della Mishnà (Avot II,19). Ebbene, il Magnificat è per la chiesa e per il suo processo sinodale, grazia quotidiana di compimento; grazia che la sospinge in avanti, al di là delle differenze e contrapposizioni. Spinge coll’intima certezza che il Signore comunque fa grazia, guarda la povertà, conosce – dall’Egitto del popolo oppresso fino al Golgota del Figlio –le nostre fatiche e afflizioni.

L’ora del Magnificat, al calar della sera (Lc 24,29) - è segretamente arricchita di infinite e risonanze, dopo quel giorno in cui fu cantato la prima volta in terra di Giuda. Tutta la storia del santo popolo di Dio vi è scritta. La Donna madre può cantarlo anche ad ogni passo della sua fuga in quel silenzioso deserto in cui viene nutrita per ben 1260 giorni – secondo Ap 12,6. Qui non è più la ragazza di Nazareth, è Donna che nel travaglio grida, partorisce, per poi essere nutrita nel rifugio del deserto, sotto la potente mano di Dio (1Pt 5,6). È la Chiesa santa di Dio.

Nella chiesa il Magnificat si rinnova ogni giorno in eucaristia, intessendo la storia degli inizi, di dolore e di benedizioni e lo sfilacciato tessuto dei giorni, attraverso i secoli. Fino a oggi. La comunione dei santi, tutte le generazioni, s’intesse nel suo grembo, di donna che intercede (Lc 1,48.50).

Maria guarda alla storia dal suo compimento, secondo la logica del capovolgimento delle sorti, della realizzazione dell’impossibile promesso da Dio, e lo vede già attuato. Questo sguardo di fede ci manca per poter fare del Magnificat la corda di recitazione dei giorni comuni.

Il Magnificat e la sequela: uno stesso stile, “senza voltarsi indietro” – è il vangelo di oggi. Senza divagare né indugiare su obiettivi estranei. Con mitezza e umiltà. Nomi, volti, domande, confronti, scelte, sotto quello Sguardo unificante, “senza voltarsi indietro”.

Tra il Benedictus e il Magnificat, il ritmo del cammino della Chiesa è scandito per una narrazione diversa di fatiche, dolori, conflitti, scelte e speranze: come vedendo l’invisibile (Eb 11,27). Ci sia dato, dallo Spirito Santo in cui siamo battezzati, ci sia dato di non perdere mai il ritmo che questa preghiera “materna” imprime agl’incerti passi della vita, e del cammino sinodale di tutto il santo popolo di Dio.

 

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