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Intervista di Vatican News all’Em.mo Cardinale Mario Grech,

Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi

sulla pubblicazione del Documento sul processo sinodale

della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi

sul tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione"

Testo in lingua italiana

Testo in lingua francese

Testo in lingua inglese

Testo in lingua spagnola

Testo in lingua italiana

Grech: il Sinodo si trasforma per dar spazio al popolo di Dio

            Intervista con il Cardinale Segretario del Sinodo dei Vescovi: “Tutti possano far sentire la loro voce, il processo decisionale nella Chiesa inizia sempre dall’ascolto, perché solo così possiamo comprendere come e dove lo Spirito vuole condurre la Chiesa”

ANDREA TORNIELLI

Il Sinodo si trasforma per dar spazio al popolo di Dio e così tutti possano fare sentire la loro voce. È questo il significato delle novità introdotte nel processo sinodale. Il cardinale Mario Grech le illustra in questa intervista con i media vaticani.

 

Perché il Sinodo è stato rimandato?

L’Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi in quanto tale sarà celebrata nell’ottobre del 2023. Da una parte c’era la situazione drammatica della pandemia, che consigliava pazienza per un evento ecclesiale che domanda comunque la presenza a Roma dei vescovi nella sua fase celebrativa. Dall’altra, si imponeva l’esigenza di applicare in tempi distesi la normativa prevista dalla costituzione apostolica Episcopalis communio. Papa Francesco ha pubblicato questo importante documento nel 15 settembre 2018, trasformando il Sinodo da evento in processo. Prima il Sinodo era, a tutti gli effetti, un evento ecclesiale che si apriva e chiudeva in un tempo determinato – in genere tre-quattro settimane – e che vedeva impegnati i vescovi membri dell’Assemblea. Quella forma celebrativa rispondeva alla configurazione data al Sinodo da papa Paolo VI nel 1965. Nel Motu proprio Apostolica sollicitudo, del 15 settembre 1965, il papa istituiva un organismo di vescovi «sottomesso direttamente ed immediatamente all'autorità del Romano Pontefice», che partecipasse – come dice il titolo del Motu proprio – alla funzione petrina di «sollecitudine per tutta la Chiesa». Il fine del Sinodo era quello di «favorire una stretta unione e collaborazione fra il Sommo Pontefice ed i Vescovi di tutto il mondo»; di «procurare una informazione diretta ed esatta circa i problemi e le situazioni che riguardano la vita interna della Chiesa e l’azione che essa deve condurre nel mondo attuale»; di «rendere più facile l’accordo delle opinioni almeno circa i punti essenziali della dottrina e circa il modo d'agire nella vita della Chiesa».

Che cosa ci insegna mezzo secolo di storia dei Sinodi?

La storia del Sinodo illustra quanto bene queste Assemblee hanno arrecato alla Chiesa, ma anche come fossero maturi i tempi per una più larga partecipazione del Popolo di Dio a un processo decisionale che riguarda tutta la Chiesa e tutti nella Chiesa. Il primo segnale è stato piccolo ma significativo: il questionario inviato a tutti in occasione della prima Assemblea sinodale sulla famiglia, nel 2014. Invece di inviare ai vescovi i Lineamenta preparati da esperti, sollecitando delle risposte che avrebbero permesso alla Segreteria del Sinodo di elaborare l’Instrumentum laboris da discutere in Assemblea, il papa domandava che si mettesse in atto un ascolto più ampio di tutte le realtà ecclesiali. Il discorso del 17 ottobre 2015, nel 50° anniversario di istituzione del Sinodo, ha aperto totalmente lo scenario sulla «Chiesa costitutivamente sinodale». Una delle frasi più citate di papa Francesco è tratta da quel discorso: «Proprio il cammino della sinodalità è il cammino che il Signore si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio» e descriveva la Chiesa sinodale come «Chiesa dell’ascolto», in cui ciascuno ha da imparare dall’altro: Popolo di Dio, Collegio episcopale, Vescovo di Roma. Qui è di fatto disegnato il processo sinodale, nel quale «il Sinodo dei Vescovi è il punto di convergenza di questo dinamismo di ascolto condotto a tutti i livelli della Chiesa»: nelle Chiese particolari, ascoltando il Popolo di Dio; ai livelli intermedi della sinodalità, soprattutto nelle Conferenze episcopali, dove i vescovi esercitano la loro funzione di discernimento; a livello infine della Chiesa universale, nell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi. Episcopalis communio non fa altro che sancire queste idee.

Quali sono, in sintesi, tutte le novità introdotte da questo documento?

La prima e più grande novità è la trasformazione del Sinodo da evento in processo. L’ho già sottolineato: mentre prima il Sinodo si esauriva nella celebrazione dell’Assemblea, ora ogni Assemblea del Sinodo si sviluppa secondo fasi successive, che la costituzione chiama «fase preparatoria, fase celebrativa, fase attuativa». La prima fase ha come scopo la consultazione del Popolo di Dio nelle Chiese particolari. Nel discorso del 50° il papa insiste tanto sull’ascolto del sensus fidei del Popolo di Dio. Si può dire che è questo uno dei temi più forti del pontificato attuale: molti interpreti sottolineano giustamente il tema della Chiesa come Popolo di Dio; ma quello che maggiormente caratterizza questo Popolo per il papa è il sensus fidei, che lo rende infallibile in credendo. Si tratta di un dato tradizionale in dottrina, che attraversa tutta la vita della Chiesa: «la totalità dei fedeli non può sbagliarsi nel credere», in forza della luce che proviene dallo Spirito santo donato nel battesimo. Il Concilio Vaticano II dice che il Popolo di Dio partecipa alla funzione profetica di Cristo. Per questo bisogna ascoltarlo, e per ascoltarlo bisogna andare là dove vive, nelle Chiese particolari. Il principio che regola questa consultazione del Popolo di Dio, è l’antico principio che «da tutti deve essere discusso ciò che interessa tutti». Non si tratta di democrazia, di populismo o qualcosa del genere; è la Chiesa ad essere Popolo di Dio, e questo popolo, in ragione del battesimo, è soggetto attivo della vita e della missione della Chiesa.

Perché è importante questa prima fase preparatoria?

Il fatto che questa fase è chiamata preparatoria potrebbe trarre in inganno qualcuno, quasi che non facesse parte del processo sinodale; in realtà, senza questa consultazione non ci sarebbe processo sinodale, perché il discernimento dei Pastori, che costituisce la seconda fase, si fa su ciò che è emerso dall’ascolto del Popolo di Dio. Si tratta di due atti strettamente correlati, direi complementari: le questioni che i Pastori sono chiamati a discernere sono quelle emerse dalla consultazione, non altre. L’Instrumentum laboris si elabora sulla base di questi due atti, che fanno capo a due soggetti: il popolo di Dio e i loro pastori. Il discernimento dei pastori ha il suo punto culminante nell’Assemblea sinodale, che raccoglie il discernimento di tutte le Conferenze episcopali, nazionali e continentali, e del Consiglio dei Patriarchi delle Chiese orientali. Un atto corale che implica nel processo sinodale tutto l’episcopato cattolico. Come non sperare grandi frutti da un cammino sinodale così ampio e partecipativo? E come non sperare che le indicazioni emerse dal Sinodo diventino, attraverso la terza fase, quella dell’attuazione, vettore di rinnovamento e di riforma della Chiesa?

Qual è stata la ragione che ha mosso il Papa e la Segreteria del Sinodo a intraprendere questa nuova via?

Il processo sinodale non è stato pensato a tavolino; è emerso dal cammino stesso della Chiesa in tutto il periodo post-conciliare. All’inizio tutto era circoscritto a un’assemblea di vescovi. Ma Paolo VI aveva chiarito che il Sinodo, come ogni organismo ecclesiale, è perfettibile. Era un inizio. Senza quell’inizio, probabilmente non saremmo qui a parlare di sinodalità e di Chiesa costitutivamente sinodale. Il tema della sinodalità era andato indebolendosi nella prassi ecclesiale e nella riflessione ecclesiologica del secondo millennio nella Chiesa Cattolica. Era una pratica tipica della Chiesa del primo millennio, continuata nella Chiesa Ortodossa. La novità nella Chiesa Cattolica è che la sinodalità riemerge a coronamento di un lungo processo di sviluppo dottrinale, che porta a chiarire il primato petrino nel Vaticano I, la collegialità episcopale nel Vaticano II e oggi, attraverso la progressiva recezione dell’ecclesiologia conciliare, soprattutto del capitolo II di Lumen gentium sul Popolo di Dio, la sinodalità come modalità di partecipazione di tutti al cammino della Chiesa. Si tratta di una grande prospettiva, che unisce la tradizione della Chiesa d’Oriente e d’Occidente, consegnando alla Chiesa sinodale quel principio di unità che mancava addirittura alla Chiesa dei Padri, quando la funzione di unità era svolta addirittura dall’imperatore! Da questo cammino sinodale si possono dunque attendere con fiducia anche grandi frutti sul piano ecumenico. Il Papa lo ha detto nel discorso nel 50° dell’istituzione del Sinodo: la sinodalità come dimensione costitutiva della Chiesa offre anche una cornice adeguata per comprendere il ministero gerarchico, soprattutto il ministero petrino, con il papa che – sono parole di papa Francesco – «non sta da solo al di sopra della Chiesa; ma dentro di essa come battezzato tra i battezzati, e dentro il collegio episcopale come vescovo tra i vescovi, chiamato al contempo – come successore di Pietro – a guidare la Chiesa di Roma che presiede nell’amore tutte le Chiese». Il processo sinodale è la cartina al tornasole di questa visione di Chiesa veramente alta.

Quali frutti ci possiamo attendere da questa nuova modalità di celebrare il Sinodo?

La prossima assemblea sinodale verte sulla sinodalità. In fondo, i frutti che si possono sperare sono già implicitamente indicati nel titolo indicato dal Papa per l’Assemblea: «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione». Per lungo tempo si è parlato della comunione come elemento costitutivo della Chiesa. Oggi appare chiaro che tale comunione, o è sinodale o non è comunione. Sembra uno slogan, ma il suo senso è preciso: la sinodalità è la forma della comunione della Chiesa-popolo di Dio. Nel camminare insieme del Popolo di Dio con i suoi Pastori, nel processo sinodale in cui tutti partecipano, ciascuno secondo la propria funzione – Popolo di Dio, Collegio dei Vescovi, Vescovo di Roma – si determina una reciprocità dei soggetti e delle funzioni che muove la Chiesa nel suo cammino in avanti sotto la guida dello Spirito. Non bisogna nascondersi che forse in passato si è tanto insistito sulla communio hierarchica: l’idea che l’unità della Chiesa si potesse fare unicamente rafforzando l’autorità dei Pastori. Per certi aspetti quel passaggio è stato anche necessario, quando, dopo il Concilio, erano apparse varie forme del dissenso. Ma quella non può essere la modalità ordinaria di vivere la comunione ecclesiale, che domanda circolarità, reciprocità, cammino insieme nel rispetto delle rispettive funzioni nel Popolo di Dio. La comunione dunque non può che tradursi in partecipazione di tutti alla vita della Chiesa, ciascuno secondo la sua specifica condizione e funzione. Il processo sinodale mostra bene tutto questo.

Più volte Papa Francesco ha sottolineato l’importanza del santo popolo di Dio e la necessità di dare più spazio alle donne nella Chiesa, e insieme ha denunciato il rischio del clericalismo. Come il documento sul processo sinodale risponde a queste sollecitazioni? State lavorando per introdurre altre novità che permettano una partecipazione più piena del popolo di Dio in tutte le sue componenti?

Nel processo sinodale è implicato tutto il Popolo di Dio. L’importanza assegnata al Popolo di Dio è evidente nella consultazione, che è l’atto fondante del Sinodo. Torno a ripetere: la consultazione è già parte del processo sinodale, ne costituisce il primo e imprescindibile atto. Il discernimento dipende da questa consultazione. Chi dicesse che non è rilevante, che in fondo si tratta solo di un atto preparatorio, probabilmente non comprende bene l’importanza del sensus fidei del Popolo di Dio. Come ho già detto, nella Chiesa antica era questa l’unica istanza di infallibilità riconosciuta nella Chiesa: «la totalità dei fedeli non può sbagliarsi nel credere». Qui tutti hanno il loro posto e la possibilità di esprimersi. La volontà della Segreteria generale è di permettere che tutti possano far sentire la loro voce; che l’ascolto sia la vera “conversione pastorale” della Chiesa. Voglia Dio che uno dei frutti del Sinodo sia che tutti comprendiamo che un processo decisionale nella Chiesa inizia sempre dall’ascolto, perché solo così possiamo comprendere come e dove lo Spirito vuole condurre la Chiesa.

Quale sarà il ruolo dei vescovi?

Non bisogna dimenticare che il momento del discernimento è affidato soprattutto ai vescovi raccolti in assemblea. Qualcuno dirà che questo è clericalismo, che è volontà di mantenere la Chiesa su posizioni di potere. Ma non bisogna dimenticare almeno due cose. La prima, continuamente ribadita dal Papa: che un’assemblea sinodale non è un parlamento. Farlo funzionare con sistemi di rappresentanza o di quota rischia di resuscitare una specie di conciliarismo, già ampiamente sepolto. La seconda: il Concilio dice che vescovi sono «principio e fondamento di unità nelle loro Chiese particolari». Ai vescovi compete dunque una funzione di discernimento, che appartiene loro in ragione del ministero che svolgono a favore della Chiesa. A mio parere, la forza del processo sta nella reciprocità tra consultazione e discernimento. Lì sta il principio fecondo che può portare ad ulteriori sviluppi della sinodalità, della Chiesa sinodale e del Sinodo dei vescovi. Ma questo non possiamo saperlo oggi: più si cammina, più si impara cammin facendo. Sono persuaso che l’esperienza del prossimo Sinodo ci dirà tanto sulla sinodalità e su come attuarla.

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Testo in lingua francese

Grech : Le Synode se transforme pour donner de l’espace au Peuple de Dieu

            Une interview du Cardinal Secrétaire du Synode des Évêques : « Chacun peut faire entendre sa voix, le processus de décision dans l'Église commence toujours par l'écoute, car ce n'est que de cette manière que nous pouvons comprendre comment et où l'Esprit veut conduire l'Église ».

ANDREA TORNIELLI

Le Synode se transforme pour donner de l’espace au Peuple de Dieu afin que tous puissent faire entendre leur voix. C'est le sens des nouveautés introduites dans le processus synodal. Le Cardinal Mario Grech les illustre dans cet entretien avec les médias du Vatican.

 

Pourquoi le Synode a-t-il été reporté ?

L'Assemblée Générale Ordinaire du Synode des Évêques en tant que telle sera célébrée en octobre 2023. D'une part, il y avait la situation dramatique de la pandémie, qui conseillait la patience pour un événement ecclésial qui, de toute façon, exige la présence des évêques à Rome dans sa phase de célébration. D'autre part, il y avait la nécessité d’une période plus étendue pour appliquer les normes établies dans la Constitution apostolique Episcopalis communio. Le Pape François a publié cet important document le 15 septembre 2018, transformant le synode d'un événement en un processus. Auparavant, le Synode était, à tous les effets, un événement ecclésial qui s'ouvrait et se clôturait dans un temps déterminé - généralement trois à quatre semaines - et qui impliquait les évêques membres de l'Assemblée. Cette forme de célébration répondait à la configuration donnée au Synode par le Pape Paul VI en 1965. Dans le Motu proprio Apostolica sollicitudo, du 15 septembre 1965, le Pape a institué un organisme d'évêques « soumis directement et immédiatement à l'autorité du Pontife Romain », qui participerait - comme le dit le titre du Motu proprio - à la fonction pétrinienne de « sollicitude de toute l'Église ». Le but du Synode était de « favoriser une union et une collaboration étroites entre le Souverain Pontife et les évêques du monde entier » ; de « procurer des informations directes et exactes sur les problèmes et les situations qui concernent la vie interne de l'Église et l'action qu'elle doit mener dans le monde actuel » ; de « faciliter l'accord des opinions au moins sur les points essentiels de la doctrine et sur la manière d'agir dans la vie de l'Église ».

Que nous apprend un demi-siècle d'histoire du Synode ?

L'histoire du Synode illustre tout le bien que ces Assemblées ont apporté à l'Église, mais aussi le fait que le temps était venu d'une participation plus large du Peuple de Dieu à un processus de décision qui concerne toute l'Église et chacun de ses membres. Le premier signal a été petit mais significatif : le Questionnaire envoyé à tous lors de la première Assemblée synodale sur la famille en 2014. Au lieu d'envoyer aux évêques les Lineamenta préparés par des experts, en sollicitant des réponses qui permettraient à la Secrétairerie du Synode de rédiger l'Instrumentum laboris qui sera discuté en Assemblée, le Pape a ordonné la mise en place d'une écoute plus large de toutes les réalités ecclésiales. Le discours du 17 octobre 2015, à l'occasion du 50e anniversaire de l'institution du Synode, a ouvert le scénario sur « l'Église constitutivement synodale ». L'une des phrases les plus citées du Pape François est tirée de ce discours : « Le chemin de la synodalité est justement celui que Dieu attend de l’Église du troisième millénaire » et décrivait l’Église synodale comme une « Église de l'écoute », dans laquelle chacun doit apprendre de l'autre : Peuple de Dieu, Collège épiscopal, Évêque de Rome. C'est là que se dessine, en fait, le processus synodal, dans lequel « le Synode des Évêques est le point de convergence de ce dynamisme d’écoute mené à tous les niveaux de la vie de l’Église » : dans les Églises particulières, à l'écoute du Peuple de Dieu ; aux niveaux intermédiaires de la synodalité, surtout dans les Conférences épiscopales, où les Évêques exercent leur fonction de discernement ; et enfin au niveau de l'Église universelle, dans l'Assemblée du Synode des Évêques. Episcopalis communio ne fait qu'entériner ces idées.

Quelles sont, en résumé, toutes les nouveautés introduites par ce document ?

La première et plus grande nouveauté est la transformation du Synode d'un événement en un processus. Je l'ai déjà signalé : alors qu'auparavant le Synode s'épuisait dans la célébration de l'Assemblée, désormais chaque Assemblée du Synode se développe selon des phases successives, que la Constitution appelle « phase préparatoire, phase de célébration, phase de réalisation ». La première phase a pour objet la consultation du Peuple de Dieu dans les Églises particulières. Dans son discours du 50e anniversaire, le Pape insiste beaucoup sur l'écoute du sensus fidei du Peuple de Dieu. On peut dire que c'est l'un des thèmes les plus forts du pontificat actuel : de nombreux interprètes soulignent à juste titre le thème de l'Église comme Peuple de Dieu ; mais ce qui caractérise le plus ce Peuple pour le pape, c'est le sensus fidei, qui le rend infaillible in credendo. Il s'agit d'une donnée traditionnelle de la doctrine, qui traverse toute la vie de l'Église : « la totalité des fidèles ne peut pas se tromper en croyant », en vertu de la lumière qui vient de l'Esprit Saint qui leur a été donné au baptême. Le Concile Vatican II dit que le Peuple de Dieu participe à la fonction prophétique du Christ. C'est pourquoi il est nécessaire de l'écouter, et pour l'écouter il faut aller là où il vit, dans les Églises particulières. Le principe qui régit cette consultation du Peuple de Dieu est l'ancien principe selon lequel « ce qui concerne tout le monde, doit être discuté par tous ». Il ne s'agit pas de démocratie, de populisme ou de quelque chose de ce genre ; c'est l'Église qui est le Peuple de Dieu, et ce peuple, en raison du baptême, est le sujet actif de la vie et de la mission de l'Église.

Pourquoi cette première phase préparatoire est-elle importante ?

Le fait que cette phase soit appelée préparatoire pourrait induire certaines personnes en erreur, comme si elle ne faisait pas partie du processus synodal ; en réalité, sans cette consultation, il n'y aurait pas de processus synodal, car le discernement des Pasteurs, qui constitue la deuxième phase, se fait sur la base de ce qui est ressorti de l'écoute du Peuple de Dieu. Ces deux actes sont étroitement liés, je dirais même complémentaires : les questions que les Pasteurs sont appelés à discerner sont celles qui ont émergé de la consultation, pas les autres. L'Instrumentum laboris est élaboré sur la base de ces deux actes, qui se réfèrent à deux sujets : le Peuple de Dieu et ses Pasteurs. Le discernement des Pasteurs trouve son point culminant dans l'Assemblée synodale, qui réunit le discernement de toutes les Conférences épiscopales, nationales et continentales, et du Conseil des Patriarches des Églises orientales. Un acte choral qui implique l'ensemble de l'épiscopat catholique dans le processus synodal. Comment ne pas espérer de grands fruits d'un chemin synodal aussi large et participatif ? Et comment ne pas espérer que les indications issues du Synode deviennent, à travers la troisième phase, celle de la mise en œuvre, un vecteur de renouvellement et de réforme de l'Église ?

Quelle est la raison qui a poussé le Pape et la Secrétairerie du Synode à entreprendre cette nouvelle voie ?

Le processus synodal n'a pas été conçu dans un bureau ; il a émergé du cheminement même de l'Église tout au long de la période postconciliaire. Au début, tout était circonscrit à une assemblée d'évêques. Mais Paul VI avait précisé que le Synode, comme tout organisme ecclésial, est perfectible. C'était un début. Sans ce début, nous ne serions probablement pas ici à parler de synodalité et de l'Église constitutivement synodale. Le thème de la synodalité était tombé dans l'oubli dans la pratique ecclésiale et la réflexion ecclésiologique du deuxième millénaire dans l'Église catholique. Il s'agissait d'une pratique typique de l'Église du premier millénaire, perpétuée dans l'Église orthodoxe. La nouveauté dans l'Église catholique est que la synodalité réapparaît comme le couronnement d'un long processus de développement doctrinal, qui conduit à la clarification de la primauté pétrinienne avec Vatican I, à la collégialité épiscopale avec Vatican II et aujourd'hui, à travers l'accueil progressif de l'ecclésiologie conciliaire, en particulier le chapitre II de Lumen gentium sur le Peuple de Dieu, à la synodalité comme moyen de participation de tous au cheminement de l'Église. Il s'agit d'une grande perspective, qui unit la tradition de l'Église d'Orient et de l'Église d'Occident, en donnant à l'Église synodale ce principe d'unité qui faisait défaut même dans l'Église des Pères, quand la fonction d'unité même était exercée par l'empereur ! De ce cheminement synodal, ou peut sans nul doute s’attendre également à de grands fruits au niveau œcuménique. C'est ce qu'a déclaré le Pape dans son discours à l'occasion du 50e anniversaire de l'institution du Synode : la synodalité comme dimension constitutive de l'Église offre également un cadre adéquat pour comprendre le ministère hiérarchique, en particulier le ministère pétrinien, avec le Pape qui - ce sont les mots du Pape François – « ne se trouve pas, tout seul, au-dessus de l’Église, mais en elle comme baptisé parmi les baptisés et dans le Collège épiscopal comme évêque parmi les évêques, appelé en même temps – comme Successeur de l’Apôtre Pierre – à guider l’Église de Rome qui préside dans l’amour toutes les Églises». Le processus synodal est le test décisif de cette vision vraiment élevée de l'Église.

Quels fruits pouvons-nous attendre de cette nouvelle façon de célébrer le Synode ?

La prochaine assemblée synodale porte sur la synodalité. Au fond, les fruits que l'on peut espérer sont déjà implicitement indiqués dans le titre indiqué par le Pape pour l'Assemblée : « Pour une Église synodale : communion, participation et mission ». Pendant longtemps, on a parlé de la communion comme d'un élément constitutif de l'Église. Aujourd'hui, il semble clair qu'une telle communion est synodale ou n'est pas une communion. Cela ressemble à un slogan, mais sa signification est précise : la synodalité est la forme de communion de l'Église-Peuple de Dieu. Dans le cheminement commun du Peuple de Dieu avec ses Pasteurs, dans le processus synodal auquel tous participent, chacun selon sa fonction propre - Peuple de Dieu, Collège des Évêques, Évêque de Rome - il y a une réciprocité de sujets et de fonctions qui fait avancer l'Église sur son chemin, sous la conduite de l'Esprit. Il ne faut pas oublier qu'on a peut-être beaucoup insisté dans le passé sur la communio hierarchica : l'idée que l'unité de l'Église ne pouvait être réalisée qu'en renforçant l'autorité des Pasteurs. À certains égards, ce passage était également nécessaire, lorsque, après le Concile, diverses formes de dissidence sont apparues. Mais cela ne peut pas être la manière ordinaire de vivre la communion ecclésiale, qui exige la circularité, la réciprocité, un cheminement ensemble dans le respect des fonctions respectives au sein du Peuple de Dieu. La communion ne peut donc se traduire que par la participation de tous à la vie de l'Église, chacun selon sa condition et sa fonction spécifiques. Le processus synodal démontre bien tout cela.

Le Pape François a souligné à plusieurs reprises l'importance du Peuple saint de Dieu et la nécessité de donner plus de place aux femmes dans l'Église, tout en dénonçant le risque du cléricalisme. Comment le document sur le processus synodal répond-il à ces tensions ? Travaillez-vous à introduire d'autres innovations qui permettront une participation plus complète du Peuple de Dieu dans toutes ses composantes ?

Dans le processus synodal est impliqué l'ensemble du Peuple de Dieu. L'importance accordée au Peuple de Dieu est évidente dans la consultation, qui est l'acte fondateur du Synode. Je le répète : la consultation fait déjà partie du processus synodal, elle en constitue le premier et indispensable acte. Le discernement dépend de cette consultation. Ceux qui disent que ce n'est pas pertinent, qu'au fond ce n'est qu'un acte préparatoire, ne comprennent probablement pas bien l'importance du sensus fidei du Peuple de Dieu. Comme je l'ai déjà dit, dans l'Église primitive, c'était le seul cas d'infaillibilité reconnu dans l'Église : « la totalité des fidèles ne peut se tromper dans la croyance ». Ici, chacun a sa place et la possibilité de s'exprimer. La volonté de la Secrétairerie Générale est de permettre à chacun de faire entendre sa voix ; que cette écoute soit la véritable « conversion pastorale » de l'Église. Que Dieu fasse que l'un des fruits du Synode soit que nous comprenions tous qu'un processus de décision dans l'Église commence toujours par l'écoute, car ce n'est que de cette manière que nous pouvons comprendre comment et où l'Esprit veut conduire l'Église.

Quel sera le rôle des évêques ?

Il ne faut pas oublier que le moment du discernement est confié avant tout aux évêques réunis en assemblée. Certains diront que c'est du cléricalisme, que c'est un désir de maintenir l'Église dans des positions de pouvoir. Mais il ne faut pas oublier au moins deux choses. La première, sans cesse réitérée par le Pape, est qu'une assemblée synodale n'est pas un parlement. Le faire fonctionner avec des systèmes de représentation ou de quotas risque de ressusciter une sorte de conciliarisme, déjà largement enterré. En second lieu, le Concile affirme que les évêques sont « le principe et le fondement de l'unité dans leurs Églises particulières ». Aux évêques revient donc une fonction de discernement, qui leur appartient en raison du ministère qu'ils exercent pour l'Église. À mon avis, la force du processus réside dans la réciprocité entre la consultation et le discernement. C'est là que réside le principe fécond qui peut conduire à d'autres développements de la synodalité, de l'Église synodale et du Synode des Évêques. Mais nous ne pouvons pas le savoir aujourd'hui : plus nous marchons, plus nous apprenons en chemin. Je suis convaincu que l'expérience du prochain Synode nous en dira long sur la synodalité et sur la manière de la mettre en œuvre.

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Testo in lingua inglese

Grech: The Transformation of the Synod to Create Space for the People of God

            Interview with the General Secretary for the Synod of Bishops, Cardinal Grech. “… that every voice might be heard, the decision-making process in the Church always begins with listening… because only in this way can we understand how and where the Spirit wants to lead the Church.”

ANDREA TORNIELLI

The Synod becomes a space that helps the People of God hear the voice of the Spirit. This is the meaning of the innovations introduced in the new synodal process. Cardinal Mario Grech explains these innovations in his interview with Vatican Media.

 

Why was the Synod postponed?

The Ordinary General Assembly of the Synod of Bishops will be celebrated in October 2023. On the one hand, there was the dramatic situation of the pandemic, which demanded patience for an ecclesial event that still requires the physical presence of bishops in Rome for its celebratory phase. On the other hand, there was the need to apply with appropriate time the norms of the Apostolic Constitution, Episcopalis communio. Pope Francis published this important document 15 September 2018, transforming the Synod from an event into a process. Before, the Synod was, to all intents and purposes, an ecclesial event that opened and closed in a fixed time - generally three to four weeks - involving the bishops who were members of the Assembly. That celebratory form responded to the configuration given to the Synod by Pope Paul VI in 1965. In the Motu Proprio, Apostolica sollicitudo, 15 September 1965, the Pope established a body of bishops “directly and immediately subject to the authority of the Roman Pontiff,” who participated - as the title of the Motu Proprio says - in the Petrine function of “concern for the Universal Church.” The aim of the Synod was to “promote closer union and greater cooperation between the Supreme Pontiff and the bishops of the whole world,” to “see to it that accurate and direct information is supplied on matters and situations that bear upon the internal life of the Church and upon the kind of action that should be carrying on in today's world,” and to “facilitate agreement, at least on the essential points of doctrine and on the course of action to be taken in the life of the Church.”

What does half a century of the history of the Synod of Bishops teach us?

The history of the Synod illustrates how much good these Assemblies have brought to the Church, but also how the time was ripe for a wider participation of the People of God in a decision-making process that affects the whole Church and everyone in the Church. The first sign was small but significant, the questionnaire sent to all in preparation for the first Synod on the Family in 2014. Instead of sending the bishops the lineamenta prepared by experts, which seeks responses that assist the General Secretariat for the Synod of Bishops in drafting the Instrumentum laboris for discussion at the Assembly, the Pope called for a wider listening of all ecclesial realities. The speech in commemoration of the 50th anniversary of the institution of the Synod (17 October 2015) completely opened the scene for “synodality as a constitutive element of the church.” One of the most quoted phrases of Pope Francis taken from that speech is as follows. “It is precisely this path of synodality which God expects of the Church in the third millennium.” He also described the synodal Church as a ‘Church of listening,’ in which each of us learns from one another, the People of God, the College of Bishops, and the Bishop of Rome. In fact, the synodal process is defined by the idea that “the Synod of Bishops is the point of convergence of this listening process conducted at every level of the Church’s life.” This means listening to the local church, the People of God. Listening at the intermediate levels of synodality, especially the Episcopal Conferences, where the bishops exercise their function of discernment, and finally at the level of the Universal Church, in the Assembly of the Synod of Bishops. Episcopalis communio does nothing other than approve these ideas.

To summarise, what are the various innovations that this document introduces?

The first and greatest innovation is the transformation of the Synod from an event into a process. I have emphasised, whilst the Synod before consisted of and in the celebration of the Assembly, now each Assembly of the Synod develops in successive phases, which the constitution calls the “preparatory phase, the celebratory phase, and the implementation phase.” The purpose of the first phase is the consultation of the People of God at the level of the local churches. In the address of the 50th anniversary, the Pope strongly insists on listening to the sensus fidei of the People of God. One might say that this is one of the strongest themes of the current pontificate. Many commentators rightly emphasise the theme of the Church as the People of God. However, for Pope Francis the sensus fidei best characterises this people that makes them infallible in credendo. This traditional aspect of doctrine throughout the history of the Church professes that “the entire body of the faithful… cannot err in matters of belief” by virtue of the light that comes from the Holy Spirit given in baptism. The Second Vatican Council teaches that the People of God participate in the prophetic office of Christ. Therefore, we must listen to the People of God, and this means going out to the local churches. The governing principle of this consultation of the People of God is contained in the ancient principle “that which touches upon all must be approved by all.” (Quod omnes tangit ab omnibus approbari debet) This is not about democracy, or populism or anything like that. Rather, it is the Church that as the People of God, a People who by virtue of baptism, is an active subject in the life and mission of the Church.

Why is this first preparatory phase important?

The fact that this phase is called preparatory could be misleading, as if it were not truly part of the synodal process. In reality, without this consultation there would be no synodal process, because the discernment of pastors, which constitutes the second phase, emerges from listening to the People of God. I would describe these two closely related acts as complementary. Pastors are called to discern those issues that emerge from none other than this consultation. The Instrumentum laboris emerges from the foundation of these two acts, which refer to two subjects: the People of God and their pastors. The discernment of pastors culminates in the Synodal Assembly, which gathers the discernment of all the Episcopal Conferences, (national and continental) and the Council of Patriarchs of the Eastern Churches. This choral act involves the entire Catholic episcopate in the synodal process. How can we not hope for great fruits from such a broad and participatory synodal journey? Moreover, how can we not hope that the indications that emerged from the Synod will become, through the third phase, that of implementation, a vehicle of renewal and reform of the Church?

What was the reason that moved the Pope and the Synod Secretariat to undertake this new path?

The synodal process was not thought up in some office away from reality, rather it emerged from the journey of the Church throughout the post-conciliar period. In the beginning, everything was limited to an assembly of bishops. However, Paul VI made it clear that the Synod can be improved like any ecclesial body. It was a start. Without that beginning, we probably would not be here talking about synodality and the Church as constitutively synodal. The theme of synodality had weakened in ecclesial practice and ecclesiological reflection over the course of the second millennium in the Catholic Church. Synods were a typical practice of the first millennium Church, a practice that continued in the Orthodox Church. The novelty in the Catholic Church is that synodality re-emerges as the crowning of a long process of doctrinal development. Synodality helps advance and clarify our understanding of Petrine primacy at Vatican I, collegiality at Vatican II, and today through a progressive reception of conciliar ecclesiology, especially Chapter II of Lumen Gentium on the People of God, expressing the way which synodality is a modality for everyone to participate in the journey of the Church. This is a great vision, which unites the tradition of the Eastern and Western Churches, giving to a synodal Church that principle of unity that was lacking even in the Church of the Fathers, when the function of unity was exercised by the emperor! From this synodal journey, we can also expect with confidence great fruits on the ecumenical level. The Pope reminds us in his speech in the 50th anniversary of the institution of the Synod that synodality is a constitutive dimension of the Church. Synodality offers us an adequate framework for understanding hierarchical ministry, especially the Petrine ministry. As Pope Francis notes that, “the Pope is not above the Church; but within it as one of the baptised and within the college of Bishops as a bishop among bishops, called at the same time - as Successor of Peter - to lead the Church of Rome which presides in charity over all the Churches.” The synodal process is the litmus test of this truly high vision of the Church.

What fruits can we expect from this new way of celebrating the Synod?

The next synodal assembly focuses on synodality. The fruits that can be hoped for are already implicitly indicated in the title indicated by the Pope for the Assembly: “For a synodal Church: communion, participation and mission.” For a long time, there was talk of communion as a constitutive element of the Church. Today it is clear that this communion is either synodal or it is not communion at all. It seems like a slogan, but its meaning is precise: synodality is the form of communion of the Church-People of God. In this journey together of the People of God with her pastors, in the synodal process everyone participates, each according to his or her own function - People of God, College of Bishops, Bishop of Rome – as a reciprocity of subjects and functions which moves the Church forward on its path under the guidance of the Spirit. We must not hide the fact that perhaps in the past there has been so much insistence on the communio hierarchica that there arose the idea that unity in the Church could only be achieved by strengthening the authority of pastors. In some respects, that path was in some ways necessary when after the Council various forms of dissent had appeared. However, that cannot be the ordinary way of living ecclesial communion, which requires circularity, reciprocity, journeying together with respect to the various functions of the People of God. Therefore, communion becomes the participation of all in the life of the Church, each according to his or her specific condition and function. The synodal process demonstrates this very well.

Several times Pope Francis has stressed the importance of the holy People of God and the need to give more space to women in the Church. At the same time, he has warned of the risk of clericalism. How does the document on the synodal process respond to these concerns? Are you working to introduce other novelties that allow for a fuller participation of the people of God in all its constitutive elements?

The whole People of God is involved in the synodal process. The importance assigned to the People of God is evident in the consultation, which is the founding act of the Synod. I repeat, consultation is already part of the synodal process, it constitutes its first and indispensable act. Discernment depends upon this consultation. Whoever says that it is not relevant, that it is simply a preparatory act, probably does not understand very well the importance of the sensus fidei of the People of God. As I have observed, in the ancient Church this was the only instance of infallibility recognized in the Church, “the entire body of the faithful… cannot err in matters of belief.” Here all have their place and the opportunity to express themselves. The desire of the General Secretariat is to allow everyone to make his or her voice heard, that listening is the true ‘pastoral conversion’ of the Church. God willing, one of the fruits of the Synod is that we might all understand that a decision-making process in the Church always begins with listening, because only in this way can we understand how and where the Spirit wants to lead the Church.

What will be the role of the bishops?

We must not forget that the moment of discernment is entrusted above all to those bishops who are gathered in the assembly. Some may say that this is clericalism, which is the desire to keep the Church in positions of power. However, we must not forget at least two things. The first, continually reiterated by the Pope, a synodal assembly is not a parliament. Making it work with representation or quota systems risks reviving a kind of conciliarism, that has largely been buried. The second, the Council teaches that bishops are “the principle and foundation of unity in their particular Churches.” The bishops therefore have a function of discernment, which belongs to them because of the ministry they carry out for the good of the Church. In my opinion, the strength of the process lies in the reciprocity between consultation and discernment. There lies the fruitful principle that can lead to furthering development of synodality, of the synodal Church and of the Synod of Bishops. However, we cannot know everything straight away, the more we walk, the more we learn as we go along. I am convinced that the experience of the next Synod will teach us much about synodality and how to implement it.

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Testo in lingua spagnola

Grech: el Sínodo se trasforma para dar espacio al Pueblo de Dios

            Entrevista con el Cardenal Secretario del Sínodo de los Obispos: “Todos pueden hacer escuchar su voz, el proceso decisional de la Iglesia inicia siempre de la escucha, porque solo así podemos comprender cómo y dónde el Espíritu quiere conducir a la Iglesia”.

ANDREA TORNIELLI

Il Sínodo se transforma para dar espacio al pueblo de Dios y que todos puedan hacer escuchar su voz. Este es el significado de las novedades introducidas en el proceso sinodal. El Cardenal Mario Grech lo ilustra en esta entrevista con los medios de comunicación del Vaticano.

 

¿Por qué se ha postergado el Sínodo?

La asamblea general ordinaria del Sínodo de los obispos se celebrará en octubre 2023. Por una parte vino la situación dramática de la pandemia, que aconsejaba paciencia para un evento eclesial que requiere la presencia de los obispos en Roma, en su fase celebrativa. Por otra, era necesaria la exigencia de aplicar con mayor tiempo la normativa prevista en la constitución apostólica Episcopalis communio. El Papa Francisco publicó este importante documento el 15 de septiembre del 2018, transformando el Sínodo: de evento en proceso. Antes, el Sínodo era a todos los efectos, un evento eclesial que se abría y cerraba en un tiempo determinado – generalmente tres o cuatro semanas – y que involucraba a los obispos miembros de la Asamblea. Esa forma de celebrarlo respondía a la configuración dada al Sínodo por el papa Pablo VI en 1965. Con el Motu proprio Apostolica sollicitudo, del 15 de septiembre de 1965, el Papa instituyó un organismo de los obispos “sometido directa e inmediatamente a la autoridad del Romano Pontífice”, que participase – como dice el título del Motu proprio – a la función petrina de “preocuparse por toda la Iglesia”. La finalidad del Sínodo era la de “favorecer una estrecha unión y colaboración entre el Sumo Pontífice y los obispo de todo el mundo”; de “procurar una información directa y exacta sobre los problema y las situaciones que preocupan la vida interna de la Iglesia y la acción que esta debe conducir en el mundo actual”; de “facilitar el acuerdo de las opiniones al menos en referencia a los puntos esenciales de la doctrina y en el modo de actuar en la vida de la Iglesia”.

¿Qué nos enseña en medio siglo la historia del Sínodo?

La historia del Sínodo muestra el bien que estas asambleas han hecho a la Iglesia, pero también cómo los tiempos han madurado para una participación más amplia del Pueblo de Dios, en un proceso sinodal que interesa a toda la Iglesia y a todos en la Iglesia. La primera señal fue pequeña pero significativa: el cuestionario enviado a todos en ocasión de la primera asamblea sinodal, en el 2014. En lugar de enviar a los obispos los Lineamenta preparados por expertos, solicitando sus respuestas que servirían a la Secretaría del Sínodo para elaborar el Instrumentum laboris, que se debatiría durante la asamblea; el Papa pidió que se pusiera en acto una escucha más amplia de todas las realidades eclesiales. Su discurso del 17 de octubre 2015, en el 50º aniversario de la institución del Sínodo, abrió totalmente el escenario sobre “la Iglesia constitutivamente sinodal”. Una de las frases más citadas de Papa Francisco proviene de ese discurso: “Precisamente el camino de la sinodalidad es el camino que Dios espera de la Iglesia del tercer milenio”, describiendo la Iglesia sinodal como la “la Iglesia de la escucha”, en la que cada uno aprende del otro: pueblo de Dios, Colegio Episcopal, Obispo de Roma. Aquí está, de hecho, diseñado el proceso sinodal, en el cual “el Sínodo de los obispos es el punto de convergencia de este dinamismo de escucha conducido a todos los niveles de la Iglesia”: en las Iglesias particulares, escuchando el pueblo de Dios; en los niveles intermedios de la sinodalidad, sobre todo en las Conferencias Episcopales, donde los obispos ejercitan su función de discernimiento; a nivel de la Iglesia universal, en la asamblea del Sínodo de los Obispos.  Episcopalis communio no hace otra cosa que reconocer estas ideas.

¿Cuáles son, en síntesis, todas las novedades introducidas por este documento?

La primera novedad y la más grande es la transformación del Sínodo, de evento a proceso. Como ya he indicado: antes el Sínodo se limitaba a la celebración de la asamblea, ahora cada asamblea del Sínodo se desarrolla en fases consecutivas, que la Constitución llama “fase preparatoria, fase celebrativa y fase de implementación”. La primera fase tiene como finalidad la consulta del Pueblo de Dios en las Iglesia particulares. En el discurso del 50º aniversario el Papa insiste mucho en la escucha del sensus fidei del Pueblo de Dios. Se puede decir que este tema es uno de los más fuertes del actual pontificado: muchos interpretes subrayan justamente el tema de la Iglesia como Pueblo de Dios; pero aquello que más caracteriza a este pueblo para el Papa, es el sensus fidei, que lo hace infalible in credendo. Se trata de un dato tradicional de la doctrina, que atraviesa toda la vida de la Iglesia: “la totalidad de los fieles no puede equivocarse al creer”, en virtud de la luz que proviene del Espíritu Santo donado en el bautismo. El Concilio Vaticano II dice que el Pueblo de Dios participa en la función profética de Cristo. Por esto, es necesario escucharlo, y para escucharlo es necesario ir allí donde vive, en las Iglesias particulares. El principio que regula esta consulta del Pueblo de Dios, es el antiguo principio que “aquello que interesa a todos debe ser debatido entre todos”. No se trata de democracia, ni de populismo o algo parecido; se trata de que la Iglesia es el Pueblo de Dios, y este pueblo, por el bautismo, es sujeto activo de la vida de la misión de la Iglesia.

¿Por qué es importante esta primera fase preparatoria?

El hecho de que esta fase sea llamada preparatoria podría confundir a alguno que piense que no forma parte del proceso sinodal. En realidad, sin esta primera consulta no habría proceso sinodal, porque el discernimiento de los pastores, que constituye la segunda fase, se realiza sobre aquello que ha surgido de la escucha del Pueblo de Dios. Se trata de dos actos estrictamente conectados, diría complementarios: las cuestiones que los pastores están llamados a discernir, son aquellas que emergieron de la consulta, no otras. El Instrumentum laboris se elabora sobre la base de estos dos actos, que pertenecen a dos sujetos: al Pueblo de Dios y a sus pastores. El discernimiento de los pastores tiene su culmen en la asamblea sinodal, que recoge el discernimiento de todas las Conferencias Episcopales, nacionales y continentales, y del Consejo de patriarcas de las Iglesias Orientales: un acto coral que implica todo el episcopado católico en el proceso sinodal. ¿Cómo no esperar grandes frutos de un camino sinodal tan amplio y participativo? ¿Y cómo no esperar que las indicaciones que emerjan del Sínodo, a través de la tercera fase – la implementación – sean vectores de renovación y de reforma de la Iglesia?

¿Cuál ha sido la razón para que el Papa y la Secretaría del Sínodo abran este nuevo camino?

El proceso sinodal no se pensó en un escritorio, sino que surge del mismo camino de la Iglesia en todo el periodo post-conciliar. Al inicio todo se circunscribía a una asamblea de obispos. Pero Pablo VI aclaró que el Sínodo, como todo organismo eclesial, es perfectible. Era un inicio. Sin aquel inicio, probablemente no estaríamos hablando hoy de sinodalidad y de Iglesia constitutivamente sinodal. El tema de la sinodalidad fue debilitándose en la praxis eclesial y en la reflexión eclesiológica del segundo milenio en la Iglesia católica. Era una práctica típica de la Iglesia del primer milenio, continuada después en la Iglesia ortodoxa. La novedad en la Iglesia católica es que la sinodalidad ha vuelto a emerger después de un largo proceso de desarrollo doctrinal, que aclara el primado petrino en el Vaticano I, la colegialidad episcopal en el Vaticano II y hoy, a través de la recepción progresiva de la eclesiología conciliar - sobre todo del capítulo II de Lumen Gentium, sobre el Pueblo de Dios, la sinodalidad como modalidad de participación de todos en el camino de la Iglesia. Se trata de una gran prospectiva, que une la tradición de la Iglesia de Oriente y de Occidente, entregando a la Iglesia sinodal aquel principio de unidad que faltaba incluso a la Iglesia de los Padres, cuando hasta la función de unidad estaba a cargo del emperador. Por lo tanto, de este camino sinodal, también se pueden esperar con confianza grandes frutos en el ámbito ecuménico. El Papa lo dicho en su discurso del 50º aniversario de la institución del Sínodo: la sinodalidad como dimensión constitutiva de la Iglesia ofrece también un marco interpretativo para comprender el mismo ministerio jerárquico, sobre todo el ministerio petrino, con el Papa que – son palabras de Papa Francisco – “no está, por sí mismo, por encima de la Iglesia; sino dentro de ella como bautizado entre los bautizados y dentro del Colegio episcopal como obispo entre los obispos, llamado a la vez —como Sucesor del apóstol Pedro— a guiar a la Iglesia de Roma, que preside en la caridad a todas las Iglesias”. El proceso sinodal es el crisol de una visión de Iglesia verdaderamente elevada.

¿Qué frutos podemos esperar de esta nueva modalidad de celebrar el Sínodo?

La próxima asamblea sinodal tocará el tema de la sinodalidad. En realidad, los frutos que se pueden esperar están ya implícitamente indicados en el título que el Papa ha elegido para esta asamblea: “Por una Iglesia sinodal: comunión, participación y misión”. Por un largo tiempo se habló de la comunión como elemento constitutivo de la Iglesia. Hoy parece claro que tal comunión, o es sinodal o no es comunión. Parece un eslogan, pero su significado es claro: la sinodalidad es la forma de la comunión de la Iglesia–Pueblo de Dios. En el caminar juntos el Pueblo de Dios y sus pastores, en el proceso sinodal en el que todos participan, cada uno según su propia función – Pueblo de Dios, Colegio Episcopal, Obispo de Roma – se determina una reciprocidad de los sujetos y de las funciones que hacen que la Iglesia avance en su camino bajo la guía del Espíritu. No debemos ocultar que tal vez en el pasado se ha insistido mucho en la communio hierarchica: la idea que la unidad de la Iglesia se realizase únicamente fortaleciendo la autoridad de los pastores. En cierta forma, esa etapa ha sido necesaria, cuando, después del Concilio, aparecieron varias formas de disenso. Pero aquella no puede ser la modalidad ordinaria de vivir la comunión eclesial, que necesita circularidad, reciprocidad, camino juntos, en el respeto de las distintas funciones del pueblo de Dios. Así pues, la comunión no puede ser otra que la participación de todos en la vida de la Iglesia, cada uno según su condición y función específica. El proceso sinodal muestra muy bien todo esto.

El Papa Francisco ha subrayado muchas veces la importancia del Pueblo de Dios y la necesidad de dar más espacio a la mujer en la Iglesia, y también ha denunciado el riesgo del clericalismo. ¿Cómo el documento sobre el proceso sinodal responde a esta solicitación? ¿Están trabajando para introducir otras novedades que permitan una participación más llena del pueblo de Dios en todas sus componentes?

En el proceso sinodal está implicado todo el Pueblo de Dios. Durante la consulta – que es el acto fundamental del sínodo – es evidente la importancia asignada al Pueblo de Dios. Vuelvo a repetir: la consulta es ya parte del proceso sinodal, constituye el primer e imprescindible acto. El discernimiento depende de esta consultación. Quien diga que no es relevante, o que se trata solo de un acto preparatorio, probablemente no comprende bien la importancia del sensus fidei del Pueblo de Dios. Como ya he dicho, en la Iglesia antigua esta era la única instancia de infalibilidad reconocida en la Iglesia: “la totalidad de los fieles no puede equivocarse al creer”. Aquí todos tienen su lugar y la posibilidad de expresarse. La Secretaría General tiene la voluntad de que todos hagan escuchar su voz; que la escucha sea la verdadera “conversión pastoral” en la Iglesia. Dios quiera que uno de los frutos del Sínodo sea que todos comprendamos que un proceso decisional en la Iglesia, inicia siempre de la escucha, porque solo así podemos comprender cómo y dónde el Espíritu quiere conducir a la Iglesia.

¿Cuál será el rol de los obispos?

No olvidemos que el momento de discernimiento viene confiado sobre todo a los obispos reunidos en asamblea. Alguno dirá que esto es clericalismo, o que es la voluntad de mantener a la Iglesia en una posición de poder. Sin embargo, no olvidemos estas dos cosas. La primera, repetida por el Papa continuamente: que una asamblea sinodal no es un parlamento. Al imaginarlo como un sistema de representación o de cuotas se corre el riesgo de resucitar una especie de conciliarismo, ya desterrado mucho tiempo atrás. La segunda: el Concilio afirma que los obispos son “principio y fundamento de unidad en sus Iglesias particulares”. Entonces, compete a los obispos una función de discernimiento, que les pertenece en razón del ministerio que desarrollan a favor de la Iglesia. Me parece que la fuerza del proceso está en la reciprocidad entre consulta y discernimiento. Allí está el principio fecundo que puede llevar a futuros desarrollos de la sinodalidad, de la Iglesia sinodal y del Sínodo de los obispos.  Pero esto no podemos saberlo ahora: cuanto más se camina, más se aprende en el camino. Estoy convencido que la experiencia del próximo Sínodo nos dirá muchísimo sobre la sinodalidad y sobre cómo ponerla en práctica.

 

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