Commento alla Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio Spiritus Domini.
Il Lettorato e l’Accolitato come ministeri laicali radicati nel Battesimo
Chi scorresse con una rapida e superficiale lettura il Motu Proprio Spiritus Domini, con il quale Papa Francesco modifica il can 230 § 1 del Codice di Diritto Canonico, quasi non si accorgerebbe del cambiamento introdotto e soprattutto delle ripercussioni che avrà nella vita della Chiesa nell’ambito dei ministeri liturgici. Nel disposto del canone viene infatti semplicemente tolta la parola iniziale Viri [Le persone di sesso maschile]. La nuova formulazione recita dunque: «I laici che abbiano l’età e le doti determinate con decreto della Conferenza Episcopale, possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico stabilito, ai ministeri di lettori e di accoliti». Questo comporta che i due ministeri istituiti sono ora aperti a ogni laico, uomo o donna. Cade quindi l’esclusiva riserva agli uomini dei sopra citati ministeri ecclesiali. Già durante il pontificato di san Giovanni Paolo II, il Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei Testi Legislativi, rispondendo a un dubium sul paragrafo due dello stesso canone, aveva precisato che tra le funzioni che i laici, uomini e donne, possono assumere per mandato temporaneo, oltre a quella del lettore, citata esplicitamente, vi è anche il servizio all’altare (11 luglio 1992). Più recentemente è stata modificata la rubrica della Messa «in Cena Domini» del Giovedì Santo allargando la possibilità della lavanda dei piedi a persone scelte tra tutti i membri del popolo di Dio, quindi a uomini e donne, per rapportarsi meglio al significato del gesto compiuto da Gesù, che ha portata universale in quanto esprime la sua carità che tutti abbraccia (Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Decreto In Missa in Cena Domini, 6 gennaio 2016).
La decisione di Papa Francesco si pone dunque nella linea di un armonico sviluppo con il magistero dei suoi predecessori san Paolo VI e san Giovanni Paolo II. Il primo, nel Motu Proprio Ministeria quaedam (15 agosto 1972), aveva rinnovato la disciplina riguardante gli ordini minori distinguendo gli uffici propri dell’Ordine sacro da altri ministeri ecclesiali, anche di carattere liturgico. L’espressione ordini minori viene infatti sostituita da ministeri e per il loro conferimento non si utilizzerà più il termine ordinazione, ma istituzione. Infine si afferma che i ministri istituiti non sono e non devono essere ritenuti chierici, ma laici a tutti gli effetti. Si entra nello stato clericale solo con il diaconato. In questo modo, scrive san Paolo VI «risalterà anche meglio la distinzione fra chierici e laici, fra ciò che è proprio e riservato ai chierici e ciò che può essere affidato ai fedeli laici; così apparirà più chiaramente il loro vicendevole rapporto, in quanto il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo» (Ministeria quaedam). Appare chiara la volontà del Papa di distinguere il sacerdozio ministeriale dei presbiteri e dei vescovi, fondato sul sacramento dell’Ordine, da quello dei fedeli, che trova la sua fonte nel sacramento del Battesimo, e al tempo stesso di mostrarne la relazione nella partecipazione all’unico sacerdozio di Cristo e nel comune servizio alla Chiesa, suo Corpo. Non deve trarre in inganno il fatto che il Lettorato e l’Accolitato debbano essere obbligatoriamente esercitati per un congruo periodo di tempo dai candidati all’Ordine sacro: essi svolgono questi ministeri in quanto laici, in forza del loro sacerdozio battesimale, non come anticipazione delle funzioni di futuri presbiteri.
Nella linea di san Paolo VI si pone san Giovanni Paolo II, soprattutto nell’Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988). In essa infatti leggiamo: «La missione salvifica della Chiesa nel mondo è stata attuata non solo dai ministri in virtù del sacramento dell’Ordine, ma anche da tutti i fedeli laici: questi, infatti, in virtù della loro condizione battesimale e della loro specifica vocazione, nella misura a ciascuno propria, partecipano all’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo. I pastori, pertanto, devono riconoscere e promuovere i ministeri, gli uffici e le funzioni dei fedeli laici, che hanno il loro fondamento sacramentale nel Battesimo e nella Confermazione, nonché, per molti di loro, nel Matrimonio» (n. 23). Su questo radicamento battesimale si ritorna più volte; «È necessario allora, in primo luogo, che i pastori, nel riconoscere e nel conferire ai fedeli laici i vari ministeri, uffici e funzioni, abbiano la massima cura di istruirli sulla radice battesimale di questi compiti». Al tempo stesso si ribadisce che l’unità di missione della Chiesa, alla quale partecipano tutti i battezzati, non deve ignorare «l’essenziale diversità di ministero dei pastori, radicato nel sacramento dell’Ordine, rispetto agli altri ministeri, uffici e funzioni ecclesiali, che sono radicati nei sacramenti del Battesimo e della Confermazione». Proprio per questo «I vari ministeri, uffici e funzioni che i fedeli laici possono legittimamente svolgere nella liturgia, nella trasmissione della fede e nelle strutture pastorali della Chiesa, dovranno essere esercitati in conformità alla loro specifica vocazione laicale, diversa da quella dei sacri ministri» (Ibidem).
Con il Motu Proprio Spiritus Domini, Papa Francesco porta dunque a maturazione un processo avviato nel 1972 da san Paolo VI. Sarebbe fuorviante ridurre la nuova disciplina introdotta a mera "promozione" della donna, della quale la Chiesa deve sempre più riconoscere il ruolo anche nei luoghi dove vengono prese le decisioni importanti (cf. Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, n. 103), o come una prima apertura alla sua ammissione al presbiterato, per la quale vi è già stato un pronunciamento magisteriale di carattere definitivo (cf. Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis; cf. Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, n. 104), o al diaconato, ancora oggetto di studio di un’apposita Commissione. Si tratta propriamente di un riconoscimento del laicato e del suo ruolo nella Chiesa, nella direzione della declericalizzazione di una ministerialità che, tra l’altro, non può essere intesa ed esercitata solo nell’ambito della liturgia. Il ministero del lettore infatti non si esercita solo nella proclamazione delle pericopi non evangeliche nella celebrazione, ma anche nell’annuncio della parola di Dio perché germogli e fruttifichi nel cuore degli uomini. L’accolito non è istituito solo per il servizio all’altare, ma anche per testimoniare un sincero amore per il corpo mistico di Cristo e specialmente per i deboli e i malati. Si tratta di svolgere una missione ecclesiale in quelle realtà aperte all’evangelizzazione che san Paolo VI aveva indicato come campo dell’attività laicale: «l’amore, la famiglia, l’educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza» (San Paolo VI, Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, n. 70).
Viene inoltre tolta una possibile ambiguità rimasta nell’attuazione di Ministeria quaedam, quella di una ministerialità che sembrava correre su binari paralleli; da un lato, i ministeri del lettore e dell’accolito, istituiti con apposito rito liturgico, riservati solo a uomini, validi per tutta la Chiesa latina, obbligatori per chi deve accedere al diaconato e/o al presbiterato e, dall’altro, altri ministeri, aperti anche alle donne e legati a determinate esigenze delle Chiese locali, per i quali non si specifica il rito liturgico per il conferimento. Ora appare in modo più evidente il carattere laicale della ministerialità, fondata sul Battesimo, destinata al servizio ecclesiale in feconda reciprocità con il ministero ordinato. Anche i candidati all’Ordine sacro ne troveranno giovamento: nell’esercizio dei ministeri del Lettorato e dell’Accolitato, accanto ad altri uomini e donne, sperimenteranno il servizio ecclesiale e il loro cammino verso i sacri Ordini non come un progressivo possesso di poteri che si assommano l’uno all’altro, ma come condivisione della missione di tutto il popolo di Dio nel quale ciascuno, rispondendo con generosità alla propria vocazione, si riconosce come servo di Cristo e dei fratelli.
Il Motu Proprio di Papa Francesco ci aiuta inoltre a comprendere meglio la struttura ministeriale della Chiesa, finalizzata alla realizzazione della missione affidata da Cristo agli Apostoli in ordine all’annuncio e al dono della salvezza per la realizzazione del disegno di Dio, «il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità» (1 Tm 2, 4).
Proprio per il comune servizio al popolo di Dio per la salvezza del mondo, nella Chiesa si delineano vari ministeri, veri doni dello Spirito, partecipi del munus profetico, sacerdotale e regale di Cristo. Alcuni sono essenziali alla vita della Chiesa: radicati nel sacramento dell’Ordine, configurano a Cristo servo (diaconato) o a Cristo capo che si consegna nell’Eucaristia (episcopato, presbiterato). Altri, appartenenti all’essenziale struttura ministeriale della Chiesa, fondati sui sacramenti del Battesimo e della Confermazione, sono suscitati dallo Spirito in modi diversi lungo i secoli, perché la Chiesa, scrutando i segni dei tempi, possa adempiere la sua missione in ascolto dei bisogni di un cammino che avviene nella storia.
Angelo Lameri
Pontificia Università Lateranense
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