Il Card. Ján Chryzostom Korec, Vescovo emerito di Nitra (Repubblica Slovacca), è nato a Bošany in diocesi di Nitra il 22 gennaio 1924. Entrato nella Compagnia di Gesù il 15 settembre 1939, interruppe gli studi filosofici nel 1950, in seguito alla soppressione degli Ordini Religiosi. Ricevette l'ordinazione sacerdotale il 1° ottobre 1950 all'età di 26 anni e il 24 agosto 1951, a 27 anni, ricevette clandestinamente l'ordinazione episcopale dal Vescovo Pavel Hnilica.
«C'è un uomo a Bratislava che fa paura al partito ateista cecoslovacco. Si chiama Ján Korec e lavora come operaio in una grande fabbrica. Benché sofferente di asma polmonare è obbligato a compiere lavori pesanti: caricare e scaricare tutto il giorno grossi bidoni di catrame. Quando le forze lo abbandonano non può aspettarsi nessuna compassione, perché è un cittadino di terza categoria: sui suoi documenti c'è il marchio di condannato per ‘tradimento della Patria’». Così scrivevano di lui i giornali esteri in occasione del suo XXV di episcopato nel 1976.
Il Card. Korec ha una storia incredibile da raccontare. Ha costruito nella Chiesa delle catacombe del XX secolo la sua personalità umana e spirituale. La sua storia straordinaria inizia nel 1949 con la presa del potere dei comunisti in Cecoslovacchia. Alla fine del 1950 tutta l'organizzazione della Chiesa della Cecoslovacchia era paralizzata. I Vescovi in prigione o agli arresti domiciliari; tremila sacerdoti diocesani incarcerati; religiosi, suore, seminaristi: deportati; chiusi monasteri, conventi e dieci seminari su dodici. "La Chiesa in Cecoslovacchia è in ginocchio" - diceva il ministro Cepicka, incaricato degli affari ecclesiastici.
I vescovi imprigionati cominciarono a pensare al futuro della Chiesa. Bisognava provvedere alla ordinazione di sacerdoti e di Vescovi. Tra i prescelti si pensò anche a Ján Korec, ordinato sacerdote nel 1950 e - appena un anno dopo - eletto per l'ordinazione episcopale. La cerimonia si svolse segretamente in presenza soltanto di alcuni testimoni. Ján aveva allora solo 27 anni. Era il Vescovo più giovane del mondo.
In fabbrica per nove anni consecutivi svolse la sua missione di sacerdote e di Vescovo senza essere scoperto da nessuno. Era il fratello di tutti. Arrestato nel 1960 divenne anche in carcere l'amico di tutti. Per dodici anni, in prigione, celebrava ogni giorno la Santa Messa. Erano soprattutto i giovani che pregavano con lui. Ma l'esperienza più dura è stato l'isolamento. Questa la sua testimonianza personale: «Sicuramente fu questa la più terribile delle punizioni. Tuttavia la necessità rende l'uomo ingegnoso cosicché avevo trovato un sistema molto semplice per rompere l'isolamento. Immaginavo di fare gli esercizi spirituali. Mi facevo un programma giornaliero ben dettagliato ed intenso. Cominciavo al mattino con una buona ora di meditazione, proprio come si faceva in convento. Quindi, la Santa Messa. Per questa avevo soltanto pane e vino: ma ciò bastava a procurarmi tanta gioia. Dopo la Santa Messa cominciava il programma di studio: ripassavo a memoria testi di teologia e di filosofia, discutendo ad alta voce come se mi trovassi all'università, davanti ai professori. Quando mi sentivo stanco mi distendevo con canti religiosi. Poi continuavo a studiare e pregare. Arrivava la sera senza che io avessi potuto svolgere tutto il programma che mi ero fissato. Quando poi, dalla cella d'isolamento, venivo trasferito di nuovo nella cella comune, mi sentivo spiritualmente più forte come se avessi realmente compiuto un corso di esercizi spirituali».
Mentre si trovava internato a Valdice (Boemia del Nord) fece più volte richiesta di riabilitazione. Così scrisse al Ministro della Giustizia della Slovacchia: «Non ho ammesso né ammetterò mai di aver coscientemente commesso le infrazioni alla legge o alla Costituzione di cui sono stato accusato. Ho già esposto la mia opinione sullo svolgimento del processo e non la cambierò. Non contesto il fatto di aver aiutato dei giovani nello studio della teologia e di averli anche ordinati sacerdoti, però mi rifiuto di considerare questi atti come delitti e tanto meno come tradimento. Ho iniziato i miei dodici anni di condanna con la convinzione di essere vittima di un'aperta rappresaglia subìta in condizioni di assoluta impotenza fisica e giuridica. Con dodici anni di detenzione si puniscono solo dei criminali... con il processo che mi fu fatto si è reso un cattivo servizio alla giustizia slovacca. Riguardo poi all'accusa di aver avuto rapporti con i capitalisti ed i proprietari di terre posso rispondere di non averla mai presa in considerazione perché destituita di ogni fondamento. Sono stato educato in ambienti di povertà ed ho conosciuto i problemi sociali non dai libri, ma dalla vita reale. L'addebito poi di mantenermi fedele al Papa lo ritengo un onore. Questa fedeltà non ha bisogno dell'approvazione né del beneplacito di nessuno. La prigione non ha per nulla diminuito questa fedeltà. Anzi è proprio essa che mi ha permesso di sopportare la prigionia. I processi dovrebbero servire a difendere i più deboli, se il diritto sta dalla loro parte. La Giustizia non può servire che la Verità: questo è scritto sul palazzo di Giustizia di Bratislava. Per questa giustizia si sono battuti nella storia slovacca uomini coraggiosi ed onesti. Non chiedo grazia: mi appello semplicemente alla Verità, alla Legge ed alla Giustizia. Le ingiustizie sperimentate personalmente possono essere dimenticate. Non potrò mai invece rinunziare alla Verità ed alla Giustizia».
Riabilitato nel 1968 in seguito ad una amnistia generale, uscì dalla prigione gravemente ammalato. Nel 1969 durante il nuovo processo il giudice riabilitò totalmente Mons. Korec. Uscito dall'ospedale, lavorò prima come netturbino a Bratislava e poi in una fabbrica di catrame. Ma la sua salute crollò. Offriva la sua prima ora di lavoro per il Papa, la seconda per il suo Vescovo, la terza per i giovani, e così via. Ogni ora aveva la sua intenzione spirituale.
Nel 1974 venne annullata la riabilitazione del 1969. Venne così nuovamente incarcerato per scontare i quattro rimanenti anni della primitiva sentenza. Successivamente fu rilasciato in seguito alle non buone condizioni di salute. Perse il suo lavoro di spazzino entrando nella lista dei disoccupati finché non trovò un posto come magazziniere in una fabbrica di prodotti chimici, dove svolgeva il suo lavoro di scaricatore di barili. La sua "via crucis" di operaio è durata fino al compimento del suo sessantesimo anno.
Il 6 febbraio 1990 il Santo Padre Giovanni Paolo II lo nominava Vescovo di Nitra.
In una lettera inviata al Papa il 25 marzo del 1990, dopo aver ribadito la totale obbedienza al Successore di Pietro e ringraziato il Papa per il dono della Croce pettorale, rilevava i 38 anni di fedele missione secondo le istruzioni di Pio XII avute nel 1951 e gli ultimi dieci anni secondo le indicazioni ricevute da Giovanni Paolo II.
In un’intervista rilasciata al giornale "CAS" (Il Tempo) nell'aprile del 1990, Mons. Korec rilevava di aver paura soltanto dell'orgoglio degli uomini, dei gruppi e dei popoli... «Se si vive il comandamento dell'amore, si cambia la gente che è in prigione». E, in un'altra intervista rilasciata a "La Civiltà Cattolica" (21 febbraio 1987), così rispondeva al giornalista che gli chiedeva alcuni particolari della sua vita passata: «Non mi attribuisco grandi meriti. Più gli anni passano, più vedo chiaro che tutto ciò che ha importanza appartiene alla grazia, cioè a Dio».
Autore di numerosi volumi, molti dei quali pubblicati in diverse nazioni.
Vescovo emerito di Nitra, 9 giugno 2005.
Da Giovanni Paolo II creato e pubblicato Cardinale nel Concistoro del 28 giugno 1991, del titolo dei Santi Fabiano e Venanzio a Villa Fiorelli.
Il Card. Ján Chryzostom Korec è deceduto il 24 ottobre 2015