Omelia del Santo Padre
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Traduzione in lingua araba
Questo pomeriggio, VI Domenica di Pasqua, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, il Santo Padre Leone XIV ha presieduto la Celebrazione Eucaristica in occasione dell’insediamento sulla Cattedra di Vescovo di Roma.
Hanno concelebrato con il Santo Padre il Cardinale Vicario della Diocesi di Roma, Sua Eminenza Baldassare Reina, il Vicegerente della Diocesi di Roma e Vescovo Ausiliare della Diocesi di Roma per il settore Sud, S.E. Mons. Renato Tarantelli, i Cardinali, i Vescovi e i Parroci di Roma.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Santo Padre ha pronunciato nel corso della Santa Messa:
Omelia del Santo Padre
Rivolgo un caro saluto ai Signori Cardinali presenti, in particolare al Cardinale Vicario, ai Vescovi Ausiliari e a tutti i Vescovi, ai carissimi Sacerdoti – Parroci, Vice-parroci e tutti coloro che a vario titolo cooperano alla cura pastorale nelle nostre comunità –; come pure ai Diaconi, ai Religiosi, alle Religiose, alle Autorità e a tutti voi, carissimi fedeli.
La Chiesa di Roma è erede di una grande storia, radicata nella testimonianza di Pietro, di Paolo e di innumerevoli martiri, e ha una missione unica, ben indicata da ciò che è scritto sulla facciata di questa Cattedrale: essere Mater omnium Ecclesiarum, Madre di tutte le Chiese.
Spesso Papa Francesco ci ha invitato a riflettere sulla dimensione materna della Chiesa (cfr Esort. Ap. Evangelii gaudium, 46-49.139-141; Catechesi, 13 gennaio 2016) e sulle caratteristiche che le sono proprie: la tenerezza, la disponibilità al sacrificio e quella capacità di ascolto che permette non solo di soccorrere, ma spesso di prevenire i bisogni e le attese, prima ancora che siano espresse. Sono tratti che ci auguriamo crescano ovunque nel popolo di Dio, anche qui, nella nostra grande famiglia diocesana: nei fedeli, nei pastori, in me per primo. Su di essi ci possono aiutare a riflettere le Letture che abbiamo ascoltato.
Negli Atti degli Apostoli (cfr 15,1-2.22-29), in particolare, si narra di come la comunità delle origini ha affrontato la sfida dell’apertura al mondo pagano nell’annuncio del Vangelo. Non è stato un processo facile: ha richiesto tanta pazienza e ascolto reciproco; ciò è avvenuto anzitutto all’interno della comunità di Antiochia, dove i fratelli, dialogando – anche discutendo – sono arrivati a definire insieme la questione. Poi però Paolo e Barnaba sono saliti a Gerusalemme. Non hanno deciso per conto loro: hanno cercato la comunione con la Chiesa madre e vi si sono recati con umiltà.
Lì hanno trovato, ad ascoltarli, Pietro e gli Apostoli. Si è così intavolato il dialogo che finalmente ha portato alla giusta decisione: riconoscendo e considerando la fatica dei neofiti, si è concordato di non imporre loro pesi eccessivi, ma di limitarsi a chiedere l’essenziale (cfr At 15,28-29). Così, quello che poteva sembrare un problema è divenuto per tutti un’occasione per riflettere e per crescere.
Il testo biblico, però, ci dice di più, andando oltre la pur ricca e interessante dinamica umana dell’evento.
Ce lo rivelano le parole che i fratelli di Gerusalemme rivolgono, per lettera, a quelli di Antiochia, comunicando loro le decisioni prese. Essi scrivono: «È parso bene […] allo Spirito Santo e a noi» (cfr At 15,28). Sottolineano, cioè, che nell’intera vicenda l’ascolto più importante, che ha reso possibile tutto il resto, è stato quello della voce di Dio. Ci ricordano, così, che la comunione si costruisce prima di tutto “in ginocchio”, nella preghiera e in un continuo impegno di conversione. Solo in tale tensione, infatti, ciascuno può sentire in sé la voce dello Spirito che grida: «Abbà! Padre!» (Gal 4,6) e di conseguenza ascoltare e comprendere gli altri come fratelli.
Anche il Vangelo ci ribadisce questo messaggio (cfr Gv 14,23-29), dicendoci che nelle scelte della vita non siamo soli. Lo Spirito ci sostiene e ci indica la via da seguire, “insegnandoci” e “ricordandoci” tutto ciò che Gesù ha detto (cfr Gv 14,26).
In primo luogo lo Spirito ci insegna le parole del Signore imprimendole profondamente in noi, secondo l’immagine biblica della legge scritta non più su tavole di pietra, ma nei nostri cuori (cfr Ger 31,33); dono che ci aiuta a crescere fino a renderci “lettera di Cristo” (cfr 2Cor 3,3) gli uni per gli altri. Ed è proprio così: noi siamo tanto più capaci di annunciare il Vangelo quanto più ce ne lasciamo conquistare e trasformare, permettendo alla potenza dello Spirito di purificarci nell’intimo, di rendere semplici le nostre parole, onesti e limpidi i nostri desideri, generose le nostre azioni.
E qui entra in gioco l’altro verbo: “ricordare”, cioè tornare a rivolgere l’attenzione del cuore a ciò che abbiamo vissuto e appreso, per penetrarne più profondamente il significato e gustarne la bellezza.
Penso, in proposito, al cammino impegnativo che la Diocesi di Roma sta percorrendo in questi anni, articolato su vari livelli di ascolto: verso il mondo circostante, per accoglierne le sfide, e all’interno delle comunità, per comprendere i bisogni e promuovere sapienti e profetiche iniziative di evangelizzazione e di carità. È un cammino difficile, ancora in corso, che cerca di abbracciare una realtà molto ricca, ma anche molto complessa. È però degno della storia di questa Chiesa, che tante volte ha dimostrato di saper pensare “in grande”, spendendosi senza riserve in progetti coraggiosi, e mettendosi in gioco anche di fronte a scenari nuovi e impegnativi.
Ne è segno il grande lavoro con cui tutta la diocesi, proprio in questi giorni, si sta prodigando per il Giubileo, nell’accoglienza e nella cura dei pellegrini e in innumerevoli altre iniziative. Grazie a tanti sforzi, la città appare a chi vi giunge, a volte da molto lontano, come una grande casa aperta e accogliente, e soprattutto come un focolare di fede.
Da parte mia, esprimo il desiderio e l’impegno di entrare in questo cantiere così vasto mettendomi, per quanto mi sarà possibile, in ascolto di tutti, per apprendere, comprendere e decidere insieme: “cristiano con voi e Vescovo per voi”, come diceva Sant’Agostino (cfr Discorso 340, 1). Vi chiedo di aiutarmi a farlo in uno sforzo comune di preghiera e di carità, ricordando le parole di San Leone Magno: «Tutto il bene da noi compiuto nello svolgimento del nostro ministero è opera di Cristo; e non di noi, che non possiamo nulla senza di lui, ma di lui ci gloriamo, lui da cui deriva tutta l’efficacia del nostro operare» (Serm. 5, de natali ipsius, 4).
A tali parole vorrei unire, concludendo, quelle del Beato Giovanni Paolo I, che il 23 settembre del 1978, con il volto radioso e sereno che già gli era valso l’appellativo di “Papa del sorriso”, così salutava la sua nuova famiglia diocesana: «San Pio X – diceva – entrando patriarca a Venezia, aveva esclamato in San Marco: “Cosa sarebbe di me, Veneziani, se non vi amassi?”. Io dico ai romani qualcosa di simile: posso assicurarvi che vi amo, che desidero solo entrare al vostro servizio e mettere a disposizione di tutti le mie povere forze, quel poco che ho e che sono» (Omelia in occasione della Presa di Possesso della Cathedra Romana, 23 settembre 1978).
Anch’io vi esprimo tutto il mio affetto, con il desiderio di condividere con voi, nel cammino comune, gioie e dolori, fatiche e speranze. Anch’io vi offro “quel poco che ho e che sono”, e lo affido all’intercessione dei Santi Pietro e Paolo e di tanti altri fratelli e sorelle la cui santità ha illuminato la storia di questa Chiesa e le vie di questa città. La Vergine Maria ci accompagni e interceda per noi.
[00600-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Je salue cordialement les Cardinaux présents, en particulier le Cardinal Vicaire, les évêques auxiliaires et tous les évêques, les très chers prêtres – curés, vicaires et tous ceux qui, à divers titres, collaborent à la pastorale dans nos communautés –; ainsi que les diacres, les religieux, les religieuses, les Autorités et vous tous, très chers fidèles.
L’Église de Rome est l’héritière d’une grande histoire, enracinée dans le témoignage de Pierre, de Paul et d’innombrables martyrs, et elle a une mission unique, bien indiquée par ce qui est écrit sur la façade de cette Cathédrale: être Mater omnium Ecclesiarum, Mère de toutes les Églises.
Le Pape François nous a souvent invités à réfléchir sur la dimension maternelle de l’Église (cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium, nn. 46-49.139-141; Catéchèse, 13 janvier 2016) et sur ses caractéristiques propres: la tendresse, la disponibilité au sacrifice et cette capacité d’écoute qui permet non seulement de venir en aide, mais souvent aussi d’anticiper les besoins et les attentes, avant même qu’ils ne soient exprimés. Ce sont là des traits que nous souhaitons voir grandir partout dans le peuple de Dieu, ici aussi, dans notre grande famille diocésaine: chez les fidèles, chez les pasteurs, chez moi le premier. Les lectures que nous avons écoutées peuvent nous aider à y réfléchir.
Dans les Actes des Apôtres (cf. 15, 1-2.22-29), en particulier, il est raconté comment la communauté des origines a affronté le défi de l’ouverture au monde païen dans l’annonce de l’Évangile. Cela n’a pas été un processus facile: cela a demandé beaucoup de patience et d’écoute mutuelle; cela s’est produit tout d’abord au sein de la communauté d’Antioche, où les frères, en dialoguant – même en discutant – sont parvenus à définir ensemble la question. Mais ensuite, Paul et Barnabé sont montés à Jérusalem. Ils n’ont pas décidé de leur propre chef: ils ont cherché la communion avec l’Église mère et s’y sont rendus avec humilité.
Pierre et les Apôtres les ont écoutés. Ainsi s’est engagé le dialogue qui a finalement conduit à la bonne décision: reconnaissant et considérant la difficulté des néophytes, il a été convenu de ne pas leur imposer de charges excessives, mais de se limiter à leur demander l’essentiel (cf. Ac 15, 28-29). Ainsi, ce qui pouvait sembler un problème est devenu pour tous une occasion de réfléchir et de grandir.
Le texte biblique, cependant, nous en dit davantage, allant au-delà de la riche et intéressante dynamique humaine de l’événement.
C’est ce que révèlent les paroles que les frères de Jérusalem adressent par lettre à ceux d’Antioche, leur communiquant les décisions prises. Ils écrivent: «L’Esprit Saint et nous-mêmes» (Ac 15, 28). Ils soulignent, en effet, que dans toute cette histoire, l’écoute la plus importante, celle qui a rendu tout le reste possible, a été celle de la voix de Dieu. Ils nous rappellent ainsi que la communion se construit avant tout “à genoux”, dans la prière et dans un engagement continu de conversion. Ce n’est que dans cette tension, en effet, que chacun peut entendre en lui la voix de l’Esprit qui crie: «Abba! Père!» (Ga 4, 6) et, par conséquent, écouter et comprendre les autres comme des frères.
L’Évangile nous réaffirme également ce message (cf. Jn 14, 23-29), en nous disant que nous ne sommes pas seuls dans les choix de vie. L’Esprit nous soutient et nous montre le chemin à suivre, en nous “enseignant” et en nous “rappelant” tout ce que Jésus nous a dit (cf. Jn 14, 26).
Tout d’abord, l’Esprit nous enseigne les paroles du Seigneur en les imprimant profondément en nous, selon l’image biblique de la loi écrite non plus sur des tables de pierre, mais dans nos cœurs (cf. Jr 31, 33); un don qui nous aide à grandir jusqu’à devenir “lettre du Christ” (cf. 2 Co 3, 3) les uns pour les autres. Et il en est ainsi: nous sommes d’autant plus capables d’annoncer l’Évangile que nous nous laissons conquérir et transformer, en permettant à la puissance de l’Esprit de nous purifier au plus profond de nous-mêmes, de rendre nos paroles simples, nos désirs honnêtes et limpides, nos actions généreuses.
Et c’est là qu’intervient l’autre verbe: “rappeler”, c’est-à-dire ramener l’attention du cœur vers ce que nous avons vécu et appris, afin d’en pénétrer plus profondément le sens et d’en savourer la beauté.
Je pense à cet égard au chemin exigeant que le diocèse de Rome parcourt depuis quelques années, articulé à différents niveaux d’écoute: vers le monde environnant, pour en accueillir les défis, et au sein des communautés, pour en comprendre les besoins et promouvoir des sages et prophétiques initiatives d’évangélisation et de charité. C’est un chemin difficile, encore en cours, qui cherche à embrasser une réalité très riche, mais aussi très complexe. Il est toutefois digne de l’histoire de cette Église qui a si souvent démontré sa capacité à voir “grand”, en s’investissant sans réserve dans des projets courageux et s’impliquant même face à des scénarios nouveaux et exigeants.
En témoigne le travail considérable accompli ces jours-ci par l’ensemble du diocèse en vue du Jubilé, dans l’accueil et l’accompagnement des pèlerins et à travers d’innombrables autres initiatives. Grâce à ces nombreux efforts, la ville apparaît à ceux qui y arrivent, parfois de très loin, comme une grande maison ouverte et accueillante, et surtout comme un foyer de foi.
Pour ma part, j’exprime le désir et l’engagement d’entrer dans ce chantier si vaste en me mettant, autant que possible, à l’écoute de tous, pour apprendre, comprendre et décider ensemble: “chrétien avec vous et pour vous évêque ”, comme le disait saint Augustin (cf. Discours 340, 1). Je vous demande de m’aider à le faire dans un effort commun de prière et de charité, en rappelant les paroles de saint Léon le Grand: «Tout le bien que nous accomplissons dans l’exercice de notre ministère est l’œuvre du Christ; et non pas la nôtre, car nous ne pouvons rien sans lui, mais nous nous glorifions en lui, de qui vient toute l’efficacité de notre action» (Serm. 5, de natali ipsius, 4).
À ces paroles je voudrais joindre, en concluant, celles du Bienheureux Jean-Paul Ier, qui le 23 septembre 1978, avec le visage radieux et serein qui lui avait déjà valu l’appellation de “Pape du sourire”, saluait ainsi sa nouvelle famille diocésaine: «Devenant Patriarche à Venise, Saint Pie X s’était exclamé à St-Marc: “Qu’en serait-il de moi, Vénitiens, si je ne vous aimais pas?”. Aux Romains, je dirai quelque chose de semblable; je puis vous assurer que je vous aime, que je désire seulement entrer à votre service et mettre à votre disposition, toutes mes pauvres forces, le peu que j’ai et le peu que je suis» (Homélie à l’occasion de la Prise de Possession de la Cathedra Romana, 23 septembre 1978).
Je vous exprime également toute mon affection, avec le désir de partager avec vous, sur notre chemin commun, les joies et les peines, les difficultés et les espoirs. Je vous offre moi aussi “le peu que j’ai et que je suis”, et je le confie à l’intercession des saints Pierre et Paul et de tant d’autres frères et sœurs dont la sainteté a illuminé l’histoire de cette Église et les rues de cette ville. Que la Vierge Marie nous accompagne et intercède pour nous.
[00600-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
I offer a cordial greeting to the Cardinals present, and particularly to the Cardinal Vicar, the auxiliary bishops, all the bishops and the priests – parish priests, parochial vicars and all those who in in various ways cooperate in the pastoral care of our communities. My greeting also goes to the deacons, the men and women religious, the civil authorities and all of you, the dear lay faithful.
The Church of Rome is heir to a great history, grounded in the witness of Peter, Paul and countless martyrs, and it has a unique mission, as we see from the inscription on the façade of this Cathedral: to be Mater omnium Ecclesiarum, Mother of all the Churches.
Pope Francis frequently encouraged us to reflect on the maternal dimension of the Church (cf. Evangelii Gaudium, 46-49,139-141; Catechesis, 13 January 2016) and her defining qualities of tenderness, self-sacrifice and the capacity to listen. Those qualities enable her not only to assist others but often to anticipate their needs and expectations before they are even expressed. We hope that those qualities will be increasingly present in the people of God everywhere, including here, in our great diocesan family: in the faithful, in pastors, and, first of all, in myself. The readings we have heard can help us to reflect on these qualities.
The Acts of the Apostles (cf. 15:1-2, 22-29) in particular describe how the early Christian community faced the challenge of opening to the pagan world in its preaching of the Gospel. This was no easy matter; it called for much patience and mutual listening. This was the case in the community in Antioch, where the brethren, through dialogue – and even disagreements – resolved the question together. Paul and Barnabas then went up to Jerusalem. They did not settle the question on their own: they wanted to be in communion with the Mother Church and so they went there with humility.
In Jerusalem, they found Peter and the Apostles, who were prepared to listen to them. This was the beginning of a dialogue that, in the end, led to the right decision. Recognizing the difficulties of the new converts, they agreed not to impose excessive burdens on them, but rather to insist only on what was essential (cf. Acts 15:28-29). In this way, what might have seemed a problem became for everyone an opportunity for reflection and growth.
The biblical text, however, tells us something else, beyond the rich and interesting human dynamics of the event.
We see this in the words used by the brethren in Jerusalem to communicate their decisions to those in Antioch. They wrote: “For it has seemed good to the Holy Spirit and to us” (cf. Acts 15:28). In other words, they emphasized that the most important part of the entire event was listening to God’s voice, which made everything else possible. In this way, they remind us that communion is built primarily “on our knees,” through prayer and constant commitment to conversion. For only in this way can each of us hear within the voice of the Spirit crying out: “Abba! Father!” (Gal 4:6) and then, as a result, listen to and understand others as our brothers and sisters.
The Gospel reaffirms this point (cf. Jn 14:23-29). It assures us that we are not alone in making our decisions in life. The Spirit sustains us and shows us the way to follow, “teaching” us and “reminding” us of all that Jesus said to us (cf. Jn 14:26).
First, the Spirit teaches us the Lord’s words by impressing them deep within us, written, as the biblical image would have it, no longer on tablets of stone but in our hearts (cf. Jer 31:33). This gift helps us grow and become “a letter of Christ” (cf. 2 Cor 3:3) for one another. Naturally, the more we let ourselves be convinced and transformed by the Gospel — allowing the power of the Spirit to purify our heart, to make our words straightforward, our desires honest and clear, and our actions generous — the more capable we are of proclaiming its message.
Here, the other verb comes into play: we remember, that is, we reflect in our hearts upon what we have experienced and learned, in order to understand more fully its meaning and to savour its beauty.
I think in this regard of the challenging process of listening that the Diocese of Rome has undertaken in these years, a process carried out at various levels: listening to the world around us to respond to its challenges, and listening within our communities to understand needs and to propose sage and prophetic initiatives of evangelization and charity. This has been a challenging, ongoing journey meant to embrace a very rich and complex reality. Yet it is worthy of the history of this local Church, which has shown, time and again, that it is able to “think big”, unafraid to embark on bold projects and to confront new and challenging scenarios.
This is evident in the great efforts and many initiatives that the Diocese has made to welcome and provide for the needs of pilgrims during the present Jubilee. Thank you! These have made the city of Rome appear to visitors, some of whom have travelled from far away, as a wide, open and welcoming home, and above all as a place of deep faith.
For my part, I would like to express my firm desire to contribute to this great ongoing process by listening to everyone as much as possible, in order to learn, understand and decide things together, as Saint Augustine would say, “as a Christian with you and a Bishop for you” (cf. Serm. 340, 1). I would also ask you to support me in prayer and charity, mindful of the words of Saint Leo the Great: “All the good we do in the exercise of our ministry is the work of Christ and not our own, for we can do nothing without him. Yet we glory in him, from whom all the effectiveness of our work is derived” (Serm. 5, De Natali Ipsius, 4).
Let me conclude by adding the words with which Blessed John Paul I, whose joyful and serene face had already earned him the nickname of “the smiling Pope,” greeted his new diocesan family on 23 September 1978. “Saint Pius X,” he said, “upon entering Venice as patriarch, exclaimed in Saint Mark’s: ‘What would become of me, dear Venetians, if I did not love you?’ I would say something similar to you Romans: I assure you that I love you, that I desire only to enter into your service and to place my own poor abilities, the little I have and am, at the service of all” (Homily for the Taking of Possession of the Chair of the Bishop of Rome).
I too express my affection for you and my desire to share with you, on our journey together, our joys and sorrows, our struggles and hopes. I too offer you “the little I have and am,” entrusting it to the intercession of Saints Peter and Paul and of all those other brothers and sisters of ours whose holiness has illuminated the history of this Church and the streets of this city. May the Virgin Mary accompany us and intercede for us.
[00600-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Herzlich grüße ich die anwesenden Herren Kardinäle, besonders den Kardinalvikar, die Weihbischöfe und alle Bischöfe, die lieben Priester – die Pfarrer, die Vikare und alle, die auf unterschiedliche Weise bei der Seelsorge in unseren Gemeinden mithelfen –, wie auch die Diakone, die Ordensleute, die Vertreter der öffentlichen Einrichtungen und euch alle, liebe Gläubige.
Die Kirche von Rom hat eine lange Geschichte, die im Zeugnis von Petrus, Paulus und unzähligen Märtyrern gründet, und sie hat eine einzigartige Aufgabe, die auf der Fassade dieser Kathedrale geschrieben steht: Mater omnium Ecclesiarum, Mutter aller Kirchen zu sein.
Papst Franziskus hat uns oft dazu eingeladen, über die mütterliche Dimension der Kirche (vgl. Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 46-49.139-141; Katechese, 13. Januar 2016) und über ihre besonderen Merkmale nachzudenken: Zärtlichkeit, Opferbereitschaft und jene Fähigkeit zuzuhören, die es nicht nur ermöglicht, zu helfen, sondern oft auch Bedürfnissen und Erwartungen zu begegnen, noch bevor sie ausgesprochen werden. Das sind Eigenschaften, von denen wir hoffen, dass sie überall im Volk Gottes wachsen, auch hier, in unserer großen Bistumsfamilie: bei den Gläubigen, bei den Hirten, allen voran bei mir. Die Lesungen, die wir gehört haben, können uns beim Nachdenken darüber helfen.
Insbesondere in der Apostelgeschichte (vgl. 15,1-2.22-29) geht es darum, wie die erste Gemeinde mit der Herausforderung umgegangen ist, sich bei der Verkündigung des Evangeliums der heidnischen Welt zu öffnen. Das war kein einfacher Prozess: Er erforderte viel Geduld und gegenseitiges Zuhören; das geschah vor allem in der Gemeinde von Antiochia, wo die Brüder im Dialog – auch in Auseinandersetzungen – gemeinsam zu einer Lösung der Angelegenheit gelangten. Dann aber gingen Paulus und Barnabas nach Jerusalem. Sie haben nicht auf eigene Faust entschieden, sondern die Gemeinschaft mit der Mutterkirche gesucht und sich in Demut an sie gewandt.
Dort hörten Petrus und die Apostel ihnen zu. So kam ein Dialog in Gang, der schließlich zur richtigen Entscheidung führte: In Anerkennung und unter Berücksichtigung der Bemühungen der Neubekehrten wurde vereinbart, ihnen keine übermäßigen Lasten aufzuerlegen, sondern sich auf das Wesentliche zu beschränken (vgl. Apg 15,28-29). So wurde aus etwas, das ein Problem zu sein schien, für alle eine Gelegenheit zum Nachdenken und zum Wachsen.
Der Bibeltext sagt uns aber noch mehr und geht über die vielschichtige und interessante menschliche Dynamik des Ereignisses hinaus.
Das zeigen uns die Worte, die die Brüder aus Jerusalem in einem Brief an die Brüder in Antiochia schreiben, um ihnen ihre Entscheidungen mitzuteilen. Sie schreiben: »Der Heilige Geist und wir haben beschlossen« (Apg 15,28). Sie betonen also, dass das Wichtigste in dem ganzen Geschehen das Hören auf die Stimme Gottes war, das alles andere erst möglich gemacht hat. So erinnern sie uns daran, dass Gemeinschaft vor allem „auf den Knien“ entsteht, im Gebet und in einem andauernden Bemühen um Umkehr. Nur in dieser Spannung nämlich kann jeder in sich die Stimme des Geistes hören, der ruft: »Abba! Vater!« (Gal 4,6), und infolgedessen die anderen als Brüder und Schwestern hören und verstehen.
Auch das Evangelium bestätigt diese Botschaft (vgl. Joh 14,23-29) wenn es uns sagt, dass wir bei unseren Entscheidungen im Leben nicht allein sind. Der Heilige Geist unterstützt uns und zeigt uns den Weg, den wir gehen sollen, indem er uns alles „lehrt“ und an alles „erinnert“, was Jesus uns gesagt hat (vgl. Joh 14,26).
Zunächst lehrt uns der Heilige Geist die Worte des Herrn, indem er sie tief in uns einprägt, gemäß dem biblischen Bild vom Gesetz, das nicht mehr auf Steintafeln, sondern in unsere Herzen geschrieben ist (vgl. Jer 31,33); das ist ein Geschenk, das uns hilft, zu wachsen, bis wir füreinander zu einem „Brief Christi“ werden (vgl. 2 Kor 3,3). Und genau so ist es: Wir können das Evangelium umso besser verkünden, je mehr wir uns davon gewinnen und verwandeln lassen, indem wir der Kraft des Heiligen Geistes erlauben, uns innerlich zu reinigen, unsere Worte einfach, unsere Wünsche ehrlich und klar und unsere Taten großzügig zu machen.
Und hier kommt das andere Verb ins Spiel: „sich erinnern“, also die Aufmerksamkeit des Herzens wieder auf das zu richten, was wir erlebt und gelernt haben, um dessen Bedeutung tiefer zu durchdringen und dessen Schönheit zu verkosten.
Ich denke dabei an den anspruchsvollen Weg, den die Diözese Rom in diesen Jahren geht und der auf verschiedenen Ebenen des Zuhörens stattfindet: gegenüber der Welt um uns herum, um ihre Herausforderungen anzunehmen, und innerhalb der Gemeinschaften, um die Bedürfnisse zu erkennen sowie kluge und prophetische Initiativen der Evangelisierung und Nächstenliebe zu fördern. Es ist ein schwieriger Weg, der noch nicht abgeschlossen ist und das Ziel hat, eine sehr reichhaltige, aber auch sehr komplexe Wirklichkeit zu erfassen. Er ist jedoch der Geschichte dieser Kirche würdig, die so viele Male bewiesen hat, dass sie „groß denken“ kann, indem sie sich vorbehaltlos für mutige Projekte einsetzt und sich auch neuen und anspruchsvollen Herausforderungen stellt.
Ein Zeichen dafür ist der große Einsatz für das Heilige Jahr, den die ganze Diözese gerade in diesen Tagen zeigt, indem sie Pilger aufnimmt und betreut und unzählige andere Initiativen organisiert. Dank dieser Bemühungen wirkt die Stadt auf diejenigen, die manchmal von weit her kommen, wie ein großes, offenes und einladendes Zuhause und vor allem wie ein heimatlicher Ort des Glaubens.
Von meiner Seite aus wünsche ich mir und verspreche ich, mich in dieses umfangreiche Unterfangen einzubringen und, soweit es mir möglich ist, allen zuzuhören, damit wir gemeinsam lernen, verstehen und entscheiden können: „Mit euch bin ich Christ und für euch bin ich Bischof“, wie der heilige Augustinus sagte (vgl. Sermo 340, 1). Ich bitte euch, mir dabei mit eurem Gebet und eurer Liebe zu helfen, eingedenk der Worte des heiligen Leo des Großen: »Alles Gute, das wir in unserem Dienst vollbringen, ist das Werk Christi; nicht unseres, denn ohne ihn können wir nichts tun; sondern wir rühmen uns seiner, von dem alle Wirksamkeit unseres Handelns kommt« (Sermo 5, de natali ipsius, 4).
Abschließend möchte ich diesen Worten noch die Worte des seligen Johannes Paul I. hinzufügen, der am 23. September 1978 mit jenem strahlenden und heiteren Gesicht, das ihm bereits den Beinamen „Der lächelnde Papst“ eingebracht hatte, seine neue diözesane Familie wie folgt begrüßte: »Der heilige Pius X. [hat], als er Patriarch von Venedig wurde, im Markusdom ausgerufen: „Was hättet ihr von mir, Venezianer, wenn ich euch nicht liebte?“ Ich möchte Ähnliches sagen: Ich kann euch versichern, dass ich euch liebe, dass ich nur einen Wunsch habe, euch zu dienen und meine bescheidenen Kräfte, das Wenige, was ich habe und bin, in den Dienst aller zu stellen« (Predigt anlässlich der Inbesitznahme des Römischen Bischofsstuhls, 23. September 1978).
Auch ich drücke euch meine ganze Zuneigung aus, mit dem Wunsch, auf unserem gemeinsamen Weg Freuden und Leiden, Mühen und Hoffnungen mit euch zu teilen. Auch ich biete euch „das Wenige, das ich habe und bin“ an und vertraue es der Fürsprache der Heiligen Petrus und Paulus und der vielen anderen Brüder und Schwestern an, deren Heiligkeit die Geschichte dieser Kirche und die Wege dieser Stadt erleuchtet hat. Die Jungfrau Maria begleite uns und bitte für uns.
[00600-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Dirijo un atento saludo a los señores cardenales que están aquí presentes, en particular al cardenal vicario, también a los obispos auxiliares y a todos los obispos, a los queridos sacerdotes —párrocos, vicarios parroquiales y a todos aquellos que de distintas maneras colaboran en el cuidado pastoral de nuestras comunidades—; asimismo a los diáconos, a los religiosos, a las religiosas, a las autoridades y a todos ustedes, amados fieles.
La Iglesia de Roma es heredera de una gran historia, consolidada en el testimonio de Pedro, de Pablo y de innumerables mártires, y tiene una misión única, perfectamente indicada por lo que está escrito en la fachada de esta catedral: ser Mater ómnium Ecclesiarum, Madre de todas las Iglesias.
Frecuentemente el Papa Francisco nos invitaba a reflexionar sobre la dimensión materna de la Iglesia (cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium, 46-49.139-141; Catequesis, 13 enero 2016) y sobre las características que le son propias: la ternura, la disponibilidad al sacrificio y esa capacidad de escucha que permite no sólo socorrer, sino a menudo prever las necesidades y las expectativas, antes incluso de que se formulen. Son rasgos que deseamos que vayan creciendo en el Pueblo de Dios en todas partes, también aquí, en nuestra gran familia diocesana: en los fieles, en los pastores y, antes que nadie, en mí mismo. Las lecturas que hemos escuchado nos pueden ayudar a reflexionar sobre estos atributos.
En los Hechos de los Apóstoles (cf. 15,1-2.22-29), en particular, se narra cómo la comunidad de los orígenes afrontó el desafío de la apertura al mundo pagano para el anuncio del Evangelio. No fue un proceso fácil, requirió mucha paciencia y escucha recíproca; esto se verificó en primer lugar dentro de la comunidad de Antioquía, donde los hermanos, dialogando —incluso discutiendo— llegaron a solucionar juntos la cuestión que los ocupaba. Después, Pablo y Bernabé subieron a Jerusalén. No decidieron por su cuenta, sino que buscaron la comunión con la Iglesia madre y fueron a ella con humildad.
Allí encontraron a Pedro y a los Apóstoles, que les escucharon. Se entabló un diálogo que finalmente llevó a la decisión adecuada: reconociendo y teniendo en cuenta el esfuerzo de los neófitos, convenía no imponerles pesos excesivos, sino limitarse a pedir lo esencial (cf. Hch 15,28-29). De ese modo, lo que podía parecer un problema, se convirtió en una ocasión en la que todos pudieron reflexionar y crecer.
El texto bíblico, sin embargo, nos dice algo más, superando la ya rica e interesante dinámica humana del evento.
Nos lo revelan las palabras que los hermanos de Jerusalén dirigen, en una carta, a los de Antioquía, comunicándoles la decisión que han tomado. Ellos escriben: «El Espíritu Santo, y nosotros mismos, hemos decidido» (cf. Hch 15,28). Precisando que, en todo el proceso, la escucha más importante que hizo posible todo lo demás fue la de la voz de Dios. De ese modo, nos recuerdan que la comunión se construye ante todo “de rodillas”, en la oración y en un continuo compromiso de conversión. Sólo en esa tensión, en efecto, cada uno puede sentir dentro de sí la voz del Espíritu que grita: “Abba, Padre” (cf. Gal 4,6) y consecuentemente escuchar y comprender a los demás como hermanos.
También el Evangelio nos reitera este mensaje (cf. Jn 14,23-29), diciéndonos que, en las decisiones de la vida no estamos solos. El Espíritu nos sostiene y nos indica el camino a seguir, “enseñándonos” y “recordándonos” todo lo que Jesús dijo (cf. Jn 14,26).
En primer lugar, el Espíritu nos enseña las palabras del Señor grabándolas profundamente en nosotros, según la imagen bíblica de la ley que ya no está escrita en tablas de piedra, sino en nuestros corazones (cf. Jr 31,33); don que nos ayuda a crecer hasta transformarnos en “una carta de Cristo” (2 Co 3,3) los unos para los otros. Y es efectivamente así: nosotros somos tanto más capaces de anunciar el Evangelio cuanto más nos dejamos conquistar y transformar por Él, permitiendo a la potencia del Espíritu purificarnos en lo más íntimo, haciendo que nuestras palabras sean simples y sin doblez, nuestros deseos honestos y limpios, nuestras acciones generosas.
Y aquí entra en juego el otro verbo, “recordar”, es decir volver a dirigir la atención del corazón a lo que hemos vivido y aprendido, para penetrar más profundamente en el significado y saborear su belleza.
Pienso, a este respecto, en el comprometido camino que la diócesis de Roma está recorriendo en estos años, estructurado sobre varios niveles de escucha: hacia el mundo que le rodea —para acoger los desafíos—, y al interno de la comunidad —para comprender las necesidades y promover sabias y proféticas iniciativas de evangelización y de caridad—. Es un camino difícil, aún en curso, que intenta abrazar una realidad muy rica, pero también muy compleja. Es, sin embargo, un camino digno de la historia de esta Iglesia, que muchas veces ha demostrado que sabe pensar “a lo grande”, entregándose sin reservas en proyectos valientes, y arriesgándose incluso frente a escenarios nuevos y complejos.
De esto es signo el gran trabajo con el que toda la diócesis, precisamente en estos días, se ha prodigado para el Jubileo, en la acogida y en el cuidado de los peregrinos y en tantas otras iniciativas. Gracias a muchos esfuerzos, la ciudad le parece a quien viene —a veces desde muy lejos— como una gran casa abierta y acogedora, y sobre todo como un hogar de fe.
Por mi parte, expreso el deseo y el compromiso de entrar en este vasto proyecto poniéndome, en la medida de lo posible, a la escucha de todos, para aprender, comprender y decidir juntos: “cristiano con ustedes y Obispo para ustedes”, como decía san Agustín (cf. Sermón 340,1). Les pido que me ayuden a realizarlo mediante un esfuerzo común de oración y de caridad, recordando las palabras de san León Magno: «que en todas las cosas que hacemos rectamente, Cristo es quien realiza la obra de nuestro ministerio. No nos gloriamos en nosotros, que nada podemos sin Él, sino en Aquel que es nuestro poder» (Serm. 5, de natali ipsius, 4).
A estas palabras quisiera agregar, para concluir, las del beato Juan Pablo I, que el 23 de septiembre de 1978, con el rostro radiante y sereno que ya le había valido el apelativo de “el Papa de la sonrisa”, saludaba así a su nueva familia diocesana: «San Pío X, al entrar como Patriarca en Venecia, exclamó en San Marcos: “¿Qué sería de mí, venecianos, si no os amase?” Algo parecido digo yo a los romanos: puedo aseguraros que os amo, que solamente deseo serviros y poner a disposición de todos mis pobres fuerzas, todo lo poco que tengo y que soy» (Homilía en la toma de posesión de la cátedra de Roma, 23 septiembre 1978).
También yo quisiera expresarles todo mi afecto, con el deseo de compartir con ustedes, en el camino común, alegrías y dolores, fatigas y esperanzas. Del mismo modo, les ofrezco “todo lo poco que tengo y que soy”, y eso, lo confío a la intercesión de los santos Pedro y Pablo y a la de tantos otros hermanos y hermanas cuya santidad ha iluminado la historia de esta Iglesia y las calles de esta ciudad. La Virgen María nos acompañe e interceda por nosotros.
[00600-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Dirijo uma cordial saudação aos senhores Cardeais presentes, em particular ao Cardeal Vigário, aos Bispos auxiliares e a todos os Bispos, aos queridos Sacerdotes – Párocos, Vigários paroquiais e todos aqueles que, de diferentes modos, cooperam com o cuidado pastoral das nossas comunidades –; saúdo também os diáconos, os religiosos e religiosas, as autoridades e todos vós, queridos fiéis.
A Igreja de Roma é herdeira de uma grande história, enraizada no testemunho de Pedro, de Paulo e de inúmeros mártires, e tem uma única missão, muito bem expressa pelo que está escrito na fachada desta Catedral: ser Mater omnium Ecclesiarum, Mãe de todas as Igrejas.
O Papa Francisco, frequentemente, convidou-nos a meditar sobre a dimensão materna da Igreja (cf. Exort. ap. Evangelii gaudium, 46-49.139-141; Catequese, 13 de janeiro de 2016) e sobre as características que lhe são próprias: a ternura, a disponibilidade ao sacrifício e aquela capacidade de escuta que permite não só socorrer, mas muitas vezes prover às necessidades e às expectativas, antes mesmo que sejam manifestadas. Estes são traços que desejamos que cresçam em todo o povo de Deus, e também aqui, na nossa grande família diocesana: nos fiéis e nos pastores, a começar por mim. As leituras que ouvimos podem ajudar-nos a refletir sobre estes traços.
Nos Atos dos Apóstolos (cf. 15, 1-2.22-29) narra-se, em particular, como a comunidade primitiva enfrentou o desafio da abertura ao mundo pagão no anúncio do Evangelho. Não foi uma tarefa fácil: exigiu muita paciência e escuta recíproca; isto aconteceu, primeiramente, dentro da comunidade de Antioquia, onde os irmãos, dialogando – e também discutindo –, chegaram juntos a uma definição sobre a questão. Depois, porém, Paulo e Barnabé subiram a Jerusalém. Não decidiram por conta própria: procuraram a comunhão com a Igreja mãe e foram até lá com humildade.
Ali encontraram Pedro e os Apóstolos, que os ouviram. Assim se iniciou o diálogo que finalmente levou à decisão correta: reconhecendo e considerando as dificuldades dos neófitos, concordou-se em não lhes impor encargos excessivos, mas limitar-se a pedir o essencial (cf. Act 15, 28-29). Assim, o que poderia parecer um problema, tornou-se para todos uma ocasião de reflexão e crescimento.
O texto bíblico, no entanto, nos diz mais, indo além da já rica e interessante dinâmica humana do evento.
Isso é revelado pelas palavras que os irmãos de Jerusalém dirigem, por carta, aos de Antioquia, comunicando-lhes as decisões tomadas. Eles escrevem: «o Espírito Santo e nós próprios resolvemos» (Act 15, 28). Enfatizam, portanto, que a atitude mais importante em toda a questão – aquela que tornou possível todo o resto – foi a escuta da voz de Deus. Assim, eles nos lembram que a comunhão se constrói primeiramente “de joelhos”, na oração e num compromisso contínuo de conversão. Na realidade, somente com esta atitude cada um pode ouvir dentro de si a voz do Espírito que clama: «Abbá! Pai!» (Gal 4, 6) e, consequentemente, ouvir e compreender os outros como irmãos.
Também o Evangelho nos reafirma esta mensagem (cf. Jo 14, 23-29), dizendo-nos que não estamos sozinhos nas escolhas da vida. O Espírito nos sustenta e nos indica o caminho a seguir, “ensinando-nos” e “lembrando-nos” tudo o que disse Jesus (cf. Jo 14, 26).
Em primeiro lugar, o Espírito nos ensina as palavras do Senhor, gravando-as profundamente em nós, segundo a imagem bíblica da lei escrita não mais em tábuas de pedra, mas nos nossos corações (cf. Jr 31, 33); um dom que nos ajuda a crescer até nos tornarmos “carta de Cristo” (cf. 2 Cor 3, 3) uns para os outros. E é exatamente assim: somos tanto mais capazes de anunciar o Evangelho quanto mais nos deixamos conquistar e transformar por ele, permitindo que a força do Espírito nos purifique no íntimo, torne simples as nossas palavras, honestos e transparentes os nossos desejos, generosas as nossas ações.
E aqui entra em cena o outro verbo: “recordar”, ou seja, voltar a dirigir a atenção do coração para o que vivemos e aprendemos, para penetrar mais profundamente no seu significado e saborear a sua beleza.
Penso, a este respeito, no exigente caminho que a Diocese de Roma está percorrendo nestes anos, articulado em vários níveis de escuta: em direção do mundo que a rodeia, para acolher os seus desafios, e dentro das comunidades, para compreender as necessidades e promover sábias e proféticas iniciativas de evangelização e caridade. É um caminho difícil, ainda em curso, que procura abranger uma realidade muito rica, mas também muito complexa. É, entretanto, digno da história desta Igreja, que tantas vezes demonstrou saber pensar de modo magnânimo, dedicando-se sem reservas a projetos corajosos e assumindo riscos, mesmo perante cenários novos e desafiadores.
Um sinal disto é o grande empenho com que toda a diocese, justamente nestes dias, tem se dedicado ao Jubileu, no acolhimento e cuidado dos peregrinos e em inúmeras outras iniciativas. Graças a tantos esforços, a cidade se apresenta àqueles que nela chegam – às vezes de muito longe – como uma grande casa aberta e acolhedora e, sobretudo, como um lar de fé.
Quanto a mim, expresso o desejo e o compromisso de entrar neste vasto canteiro, colocando-me, na medida do possível, à escuta de todos, para aprender, compreender e decidir juntos: «para vós sou Bispo, convosco sou cristão», como dizia Santo Agostinho (cf. Sermão 340, 1). Peço-vos que me ajudem a fazê-lo num esforço comum de oração e caridade, recordando as palavras de São Leão Magno: «Todo o bem realizado por nós no exercício do nosso ministério é obra de Cristo, e não nossa; pois nada podemos sem Ele, mas é n’Ele que nos gloriamos, d’Ele que provém toda a eficácia da nossa ação» (Sermão 5, De natali ipsius, 4).
Para concluir, gostaria de acrescentar a essas palavras aquilo que disse o Beato João Paulo I, que em 23 de setembro de 1978, com o rosto radiante e sereno que já lhe valera o apelido de “Papa do sorriso”, assim saudou a sua nova família diocesana: «São Pio X – dizia ele – entrando como Patriarca em Veneza, exclamou em São Marcos: “Que seria de mim, venezianos, se não vos amasse?”. Eu digo aos Romanos coisa semelhante: posso assegurar-vos que vos amo, que só desejo começar a servir-vos e pôr à disposição de todos as minhas pobres forças, aquele pouco que tenho e sou» (Homilia na tomada de posse da Cátedra do Bispo de Roma, 23 de setembro de 1978).
Também eu vos expresso todo o meu carinho, com o desejo de partilhar convosco, no caminho comum, alegrias e dores, cansaços e esperanças. Também eu vos ofereço “o pouco que tenho e que sou”, e confio-o à intercessão dos Santos Pedro e Paulo e de tantos outros irmãos e irmãs, cuja santidade iluminou a história desta Igreja e as ruas desta cidade. Que a Virgem Maria nos acompanhe e interceda por nós.
[00600-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Serdecznie pozdrawiam obecnych kardynałów, w szczególności Kardynała Wikariusza, biskupów pomocniczych i wszystkich biskupów, drogich księży – proboszczów, wikariuszy i wszystkich, którzy w różnym charakterze współpracują w duszpasterstwie naszych wspólnot; a także diakonów, zakonników, siostry zakonne, władze i was wszystkich, drodzy wierni.
Kościół Rzymski jest spadkobiercą wielkiej historii, zakorzenionej w świadectwie Piotra, Pawła i niezliczonych męczenników. Posiada wyjątkową misję, dobrze wyrażoną w napisie na fasadzie tej katedry: być Mater omnium Ecclesiarum, Matką wszystkich Kościołów.
Papież Franciszek często zachęcał nas do refleksji nad macierzyńskim wymiarem Kościoła (por. Adhort. apost. Evangelii gaudium, 46-49.139-141; Katecheza, 13 stycznia 2016) oraz nad cechami, które są jemu właściwe: czułością, gotowością do poświęcenia i tą umiejętnością słuchania, która pozwala nie tylko nieść pomoc, ale często także zapobiegać potrzebom i oczekiwaniom, zanim jeszcze zostaną wyrażone. Pragniemy, żeby te cechy wzrastały wszędzie pośród Ludu Bożego, także tutaj, w naszej wielkiej rodzinie diecezjalnej: pośród wiernych, pasterzy, a przede wszystkim we mnie samym. W refleksji nad nimi mogą nam dopomóc czytania, których wysłuchaliśmy.
W Dziejach Apostolskich (por. 15,1-2.22-29) mowa jest szczególnie o tym, jak pierwsza wspólnota, w głoszeniu Ewangelii, zmierzała się z wyzwaniem otwarcia się na świat pogański. Nie był to proces łatwy: wymagał wiele cierpliwości i wzajemnego słuchania; miało to miejsce przede wszystkim wewnątrz wspólnoty w Antiochii, gdzie bracia, rozmawiając – a nawet dyskutując – doszli do wspólnego zdefiniowania tej kwestii. Potem jednak Paweł i Barnaba udali się do Jerozolimy. Nie podjęli decyzji samodzielnie: dążyli do wspólnoty z Kościołem macierzystym i do niego udali się z pokorą.
Tam zastali Piotra i Apostołów, którzy ich wysłuchali. W ten sposób rozpoczęła się rozmowa, która ostatecznie doprowadziła do słusznej decyzji: uznając i biorąc pod uwagę trud nowo nawróconych, uzgodniono, że nie będzie się nakładać na nich nadmiernych obciążeń, ale ograniczy się do tego, co niezbędne (por. Dz 15, 28-29). W ten sposób to, co mogło wydawać się problemem, stało się dla wszystkich okazją do refleksji i do rozwoju.
Tekst biblijny jednak, mówi nam więcej, wykraczając poza bogatą i interesującą dynamikę ludzką tego wydarzenia.
Ujawniają to słowa, które bracia z Jerozolimy kierują w liście do braci z Antiochii, informując ich o podjętych decyzjach. Piszą oni: „Postanowiliśmy bowiem, Duch Święty i my” (por. Dz 15, 28). Podkreślają zatem, że w całej tej sprawie najważniejsze było wysłuchanie głosu Boga, które umożliwiło wszystko inne. Przypominają nam w ten sposób, że komunię buduje się przede wszystkim „na kolanach”, w modlitwie i nieustannym dążeniu do nawrócenia. Tylko bowiem z takim nastawieniem, każdy może usłyszeć w sobie głos Ducha, który woła: „Abba! Ojcze!” (Ga 4, 6), a co za tym idzie, wysłuchać i rozumieć innych jako braci.
Również Ewangelia potwierdza to przesłanie (por. J 14, 23-29), mówiąc nam, że w wyborach życiowych nie jesteśmy sami. Duch wspiera nas i wskazuje nam drogę, którą należy podążać, „ucząc” nas i „przypominając” nam wszystko to, co nam powiedział Jezus (por. J 14, 26).
Po pierwsze, Duch uczy nas słów Pana, odciskając je głęboko w nas, zgodnie z biblijnym obrazem prawa, już nie wyrytego na kamiennych tablicach, lecz zapisanego w naszych sercach (por. Jr 31, 33). Jest to dar, który pomaga nam wzrastać, aż po uczynienie nas „listem Chrystusowym” (por. 2 Kor 3, 3) jednych dla drugich. I tak właśnie jest: tym bardziej jesteśmy zdolni do głoszenia Ewangelii, im bardziej pozwalamy się jej zdobyć i przemienić, dopuszczając moc Ducha Świętego, by oczyściła nasze wnętrze, uczyniła nasze słowa prostymi, nasze pragnienia szczerymi i przejrzystymi, a nasze działania wielkodusznymi.
I tu pojawia się drugie słowo: „pamiętać”, czyli ponownie skierować uwagę serca na to, czego doświadczyliśmy i czego się nauczyliśmy, aby wniknąć głębiej w jego znaczenie i smakować jego piękno.
W tym kontekście, myślę tu o wymagającej drodze, jaką w ostatnich latach przemierza diecezja rzymska, wyrażonej w różnych poziomach słuchania: wobec otaczającego świata, aby przyjąć jego wyzwania, oraz wewnątrz wspólnot, aby zrozumieć potrzeby i promować mądre i prorocze inicjatywy ewangelizacji i miłosierdzia. Jest to droga trudna, wciąż trwająca, która stara się ogarnąć rzeczywistość bardzo bogatą, ale też bardzo złożoną. Jest to jednak godne historii tego Kościoła, który wielokrotnie wykazał się umiejętnością myślenia wielkodusznego i odważnego, angażując się bez zastrzeżeń w odważne projekty i podejmując wyzwania także w obliczu nowych i wymagających scenariuszy.
Dowodem tego jest wielka praca, jaką cała diecezja, właśnie w tych dniach, wkłada w Jubileusz, przyjmując i opiekując się pielgrzymami oraz realizując niezliczone inne inicjatywy. Dzięki tym wysiłkom, miasto jawi się przybywającym – czasem z daleka – jako wielki otwarty i gościnny dom, a przede wszystkim jako ognisko wiary.
Ze swojej strony wyrażam pragnienie i zobowiązanie, aby wejść na ten tak rozległy „plac budowy”, słuchając wszystkich, na ile to możliwe, aby uczyć się, rozumieć i wspólnie podejmować decyzje: „Dla was jestem biskupem, z wami jestem chrześcijaninem”, jak powiedział św. Augustyn (por. Mowa 340, 1). Proszę was o pomoc w tym wspólnym wysiłku modlitwy i miłości, pamiętając słowa św. Leona Wielkiego: „Wszystko, co dobre w poczynaniach naszych sprawia Chrystus. Nie w nas się chlubimy, boć nic czynić bez Niego nie możemy, ale w Nim. On jest naszą możnością” (Mowa 5, w rocznicę wstąpienia na Stolicą Piotrową, 4, w: Św. Leon Wielki, Mowy, przekł. bp Kazimierz Tomczak, Poznań, 1957, s. 20).
Na zakończenie chciałbym dodać słowa błogosławionego Jana Pawła I, który 23 września 1978 r., z promienną i spokojną twarzą, dzięki której zyskał przydomek „Papież uśmiechu”, pozdrowił swoją nową rodzinę diecezjalną w następujący sposób: „Święty Pius X – powiedział – wchodząc jako patriarcha do Wenecji, wykrzyknął w bazylice św. Marka: «Co by się ze mną stało, Wenecjanie, gdybym was nie kochał?». Ja mówię Rzymianom coś podobnego: mogę was zapewnić, że was kocham, że pragnę tylko służyć wam i oddać do dyspozycji wszystkich moje skromne siły, to niewiele, co mam i czym jestem” (Homilia wygłoszona podczas objęcia Katedry Rzymskiej, 23 września 1978).
Ja również wyrażam wam całą moją miłość, pragnąc dzielić z wami, na wspólnej drodze, radości i smutki, trudy i nadzieje. Ja również ofiarowuję wam „to, co mam i czym jestem” i powierzam to wstawiennictwu świętych Piotra i Pawła oraz wielu innych braci i sióstr, których świętość rozjaśniła historię tego Kościoła i drogi tego miasta. Niech Maryja Dziewica towarzyszy nam i wstawia się za nami.
[00600-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
عظة قداسة البابا لاوُن الرَّابع عشر
في القدَّاس الإلهيّ
وتنصيب أسقف روما على كرسيّ روما
(الأحد السَّادس من الزَّمن الفصحي)
يوم الأحد 25 أيَّار/مايو 2025
بازيليكا القدِّيس يوحنَّا في اللاتران
أتوجّه بتحيّة قلبيّة إلى أصحاب النّيافة الكرادلة الحاضرين، وخاصّة إلى الكاردينال النّائب العام (نائب البابا العام على أبرشيّة روما)، والأساقفة المساعدين وجميع الأساقفة، وإلى الكهنة الأعزّاء – كهنة الرّعايا، ومساعدي كهنة الرّعايا، وجميع الذين يشاركون، كلٌّ بحسب رسالته، في العمل الرّعوي في جماعاتنا – وكذلك إلى الشّمامسة، والرّهبان والرّاهبات، والسُّلطات، وإليكم جميعًا أيّها المؤمنون الأعزّاء.
كنيسة روما وريثةُ تاريخٍ كبير، ومتجذِّرة في شهادة بطرس وبولس، وعدد لا يُحصى من الشّهداء، ولها رسالة فريدة، كما هو واضح من خلال ما هو مكتوب على واجهة هذه البازيليكا: أن تكون ”أمّ جميع الكنائس“.
دعانا البابا فرنسيس مرارًا إلى أن نتأمّل في وجه الكنيسة الوالدي (راجع الإرشاد الرّسولي، فرح الإنجيل، 46-49، 139-141؛ دروس في التّعليم المسيحيّ خلال اللقاء العام، 13 كانون الثّاني/يناير 2016) وميزاتها: الحنان، والاستعداد للتضحيّة، والقدرة على الإصغاء، والتي لا تقدِّم المساعدة فقط، بل تستبق مرارًا الاحتياجات والتّطلعات حتّى قبل التّعبير عنها. هذه مِيزاتٌ نرجو أن تنمو في كلّ مكان بين شعب الله، هنا أيضًا، في عائلتنا، عائلة الأبرشيّة الكبيرة: في المؤمنين، والرّعاة، وفيَّ أنا أوّلًا. ويمكن أن تساعدنا القراءات التي أصغينا إليها للتأمّل فيها.
في سفر أعمال الرّسل (راجع 15، 1-2. 22-29)، خاصّة، يُروى كيف واجهت الجماعة الأولى تحدّي الانفتاح على العالم الوثني في إعلان الإنجيل. لم تكن عمليّة سهلة: فقد تطلّبت الكثير من الصّبر والإصغاء المتبادل. وحدث ذلك أوّلًا داخل جماعة أنطاكيّة، حيث توصّل الإخوة، بالحوار – بل وحتّى بالجدل – إلى أن يحدّدوا المسألة معًا. وبعد ذلك، صعد بولس وبرنابا إلى أورشليم. لم يقرّروا وحدهم في أنطاكيّة، بل طلبوا الوَحدة والشّركة مع الكنيسة الأمّ، وذهبوا إليها بتواضع.
وهناك، وجدوا من يُصغي إليهم: بطرس والرّسل. وهكذا بدأ الحوار الذي قاد في النّهاية إلى القرار الصّحيح: بالاعتراف بمعاناة المبتدئين في الإيمان وبالنّظر إليها، تقرّر ألّا تُلْقى عليهم أَعباءٌ مبالغة، بل الاكتفاء بمطالبتهم بما لا بُدَّ منه (راجع أعمال الرّسل 15، 28-29). وهكذا، تحوّلت مسألة كانت تبدو مشكلة إلى فرصة للتأمّل والنّمو للجميع.
غير أنّ نصّ الكتاب المقدّس يقول لنا أكثر من هذا، ويتجاوز حتّى الدّيناميكيّة الإنسانيّة الغنيّة والمهمّة في هذا الحدث.
هذا ما تبيِّنه الكلمات التي وجّهها الإخوة في أورشليم، في رسالتهم إلى مؤمني أنطاكيّة ليبلغوهم بالقرارات المتّخذة. كتبوا لهم: "فقد حَسُنَ لَدى الرُّوحِ القُدُسِ ولَدَينا" (راجع أعمال الرّسل 15، 28). أي إنّهم بيَّنوا أنّ الإصغاء هو الأهمّ في كلّ الحدث، والذي جعل كلّ ما حدث ممكنًا، هو الإصغاء إلى صوت الله. ويُذكّروننا بذلك أنّ الوَحدة والشّركة تُبنى أوّلًا ”ونحن جاثون“ في الصّلاة وفي التزام دائم بالتّوبة. لأنّه في هذا السّعي فقط يمكن لكلّ واحد أن يسمع في داخله صوت الرّوح الذي ينادي: "يا أَبَتِ" (غلاطية 4، 6)، ونتيجة لذلك، يستطيع أن يُصغي إلى الآخرين ويفهمهم كإخوة.
الإنجيل يؤكّد لنا أيضًا هذه الرّسالة (راجع يوحنّا 14، 23-29)، ويقول لنا إنّنا لسنا وحدنا في خيارات الحياة. فالرّوح يُساندنا، ويُرشدنا إلى الطّريق الواجب اتّباعها، ”فيعلّمنا“ و”يُذكّرنا“ بكلّ ما قاله يسوع لنا (راجع يوحنّا 14، 26).
أوّلًا، الرّوح القدس يُعلّمنا كلام الرّبّ يسوع ويطبعه فينا بعمق، بحسب صورة الشّريعة في الكتاب المقدّس التي كُتبت لا على ألواح من حجر، بل في قلوبنا (راجع إرميا 31، 33)، وهو عطيّة تساعدنا على النّمو حتّى نصير بعضنا لبعض ”رسالة المسيح“ (راجع 2 قورنتوس 3، 3). هذه هي حالنا: تزداد قدرتنا على إعلان الإنجيل كلّما سمحنا له بأن يدخل في حياتنا ويبدّلنا، وكلّما سمحنا لقوّة الرّوح القدس بأن تُطهّر أعماقنا، وتجعل كلامنا بسيطًا، ورغباتنا صادقة وواضحة، وأعمالنا سخيّة.
وهنا يأتي الفعل الآخر: ”يذكِّر“، أي أن نعيد انتباه القلب إلى ما عشناه وتعلّمناه، لكي نفهم معناه فهمًا أعمق ونتذوّق جماله.
أفكّر، في هذا الخصوص، في المسيرة الصّعبة التي تسلكها أبرشيّة روما في هذه السّنوات، على مستويات مختلفة من الإصغاء: إلى العالم الذي يُحيط بها، لكي تقبل تحدّياته، وفي داخل جماعات المؤمنين، لكي تُدرك الاحتياجات وتعزّز المبادرات الحكيمة والنّبويّة لإعلان البشارة والمحبّة. إنّها مسيرة صعبة، وما زالت مستمرّة، وتحاول أن تشمل واقعًا غنيًّا جدًّا، ومُعقّدًا جدًّا أيضًا. وهي، مع ذلك، جديرة بتاريخ هذه الكنيسة، التي أثبتت مرّاتٍ كثيرة أنّها قادرة على أن تفكّر ”وترى الأمور الكبيرة“، وأن تبذل نفسها في مشاريع جريئة دون تحفّظ، وأن تتوقّف لتحاسب نفسها حتّى أمام سيناريوهات جديدة وصعبة.
يدُلُّ على ذلك، العمل الكبير الذي تقوم به كلّ الأبرشيّة، في هذه الأيّام، في مناسبة اليوبيل، في استقبال الحجّاج والاهتمام بهم، وفي مبادرات أخرى لا تُحصى. وبفضل الجهود الكثيرة، تبدو المدينة للقادمين إليها، وأحيانًا من أماكن بعيدة جدًّا، مثل البيت الكبير المفتوح والمِضيَاف، وقبل كلّ شيء، مثل مَوقدٍ للإيمان.
من جِهَتِي، أعبّر عن رغبتي والتزامي بأن أدخل في هذا المجهود الكبير جدًّا، وأن أُصغي إلى الجميع، على قدر استطاعتي، لأتعلّم وأفهم ونتّخذ القرارات معًا: ”معكم أنا مسيحيّ، ومن أجلكم أنا أسقف“، كما قال القدّيس أغسطينس (راجع العظة 340، 1). أطلب منكم أن تساعدوني لعمل ذلك، بجُهدٍ مُشترك في الصّلاة والمحبّة. وفي الوقت نفسه نتذكّر كلام القدّيس لاوُن الكبير: "كلّ الخير الذي نقوم به في ممارسة خدمتنا هو عمل المسيح، وليس عملنا نحن، إذ لا نقدر شيئًا بدونه، بل به نتمجّد، هو الذي تأتي منه كلّ فعّاليّة أعمالنا" (العظة 5، في عيد ميلاده، 4).
وإلى هذا الكلام أودّ أن أضيف، وأختتم، بكلمات الطّوباويّ يوحنّا بولس الأوّل، - ففي 23 أيلول/سبتمبر 1978، وبوجهه المشِرق الهادئ، الذي أكسبه لقب ”بابا الابتسامة“، ألقى التحيّة على عائلته، عائلة الأبرشيّة الجديدة وقال: "لمّا دخل القدّيس بيوس العاشر بطريركًا إلى البندقيّة، هتف في بازيليكا القدّيس مرقس: ”ما هو مصيري، يا أهل البندقيّة، إن لم أُحبّكم؟“. وأنا أقول لأهل روما مثل هذا الكلام: يمكنّني أن أؤكّد لكم أنّني أحبّكم، وأنّني أرغب فقط في أن أخدمكم وأن أضع في متناول الجميع قوايَ المحدودة، القليل الذي أملكه وكلّ كياني" (كلمة في مناسبة تسلّم كُرسي روما، 23 أيلول/سبتمبر 1978).
أنا أيضًا أُعبّر لكم عن مودّتي كلّها، وعن رغبتي في أن أشارككم، في المسيرة المشتركة، المليئة بالأفراح والآلام، والتّعب والرّجاء. أنا أيضًا أُقدّم لكم ”القليل الذي أملكه وكلّ كياني“، وأُوكله إلى شفاعة القدّيسَين بطرس وبولس، وإلى الإخوة والأخوات الكثيرين الآخرين الذين أضاءت قداستهم تاريخ هذه الكنيسة وطُرق هذه المدينة. لترافقنا سيّدتنا مريم العذراء ولتشفع لنا.
[00600-AR.02] [Testo originale: Italiano]
[B0343-XX.02]