Discorso del Santo Padre
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Traduzione in lingua araba
Alle ore 10.00 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Leone XIV ha ricevuto in Udienza i Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, in occasione dell’inizio del Suo ministero petrino.
Dopo le parole introduttive del Decano del Corpo Diplomatico, S.E. il Sig. Georges Poulides, Ambasciatore di Cipro presso la Santa Sede, il Papa ha pronunciato il discorso che riportiamo di seguito:
Discorso del Santo Padre
Eminenza,
Eccellenze,
Signore e Signori, la pace sia con voi!
Ringrazio S.E. il Sig. George Poulides, Ambasciatore della Repubblica di Cipro e Decano del Corpo Diplomatico, per le cordiali espressioni che mi ha rivolto a nome di tutti voi e per il suo instancabile lavoro, che porta avanti con il vigore, la passione e la simpatia che lo contraddistinguono, doti che gli hanno meritato la stima di tutti i miei Predecessori incontrati in questi anni di missione presso la Santa Sede e, in particolare, del compianto Papa Francesco.
Desidero poi esprimervi gratitudine per i numerosi messaggi augurali seguiti alla mia elezione, come pure per quelli di cordoglio per la scomparsa di Papa Francesco, che li hanno preceduti e che sono pervenuti anche da Paesi con i quali la Santa Sede non intrattiene relazioni diplomatiche. Si tratta di un significativo attestato di stima, che incoraggia l’approfondimento dei rapporti reciproci.
Nel nostro dialogo, vorrei che prevalesse sempre il senso di essere una famiglia – la comunità diplomatica rappresenta infatti l’intera famiglia dei popoli –, che condivide le gioie e i dolori della vita e i valori umani e spirituali che la animano. La diplomazia pontificia è, infatti, un’espressione della cattolicità stessa della Chiesa e, nella sua azione diplomatica, la Santa Sede è animata da una urgenza pastorale che la spinge non a cercare privilegi ma ad intensificare la sua missione evangelica a servizio dell’umanità. Essa combatte ogni indifferenza e richiama continuamente le coscienze, come ha fatto instancabilmente il mio venerato Predecessore, sempre attento al grido dei poveri, dei bisognosi e degli emarginati, come pure alle sfide che contraddistinguono il nostro tempo, dalla salvaguardia del creato all’intelligenza artificiale.
Oltre che ad essere il segno concreto dell’attenzione dei vostri Paesi per la Sede Apostolica, la vostra presenza oggi è per me un dono, che consente di rinnovarvi l’aspirazione della Chiesa – e mia personale – di raggiungere e abbracciare ogni popolo e ogni singola persona di questa terra, desiderosa e bisognosa di verità, di giustizia e di pace! In un certo senso, la mia stessa esperienza di vita, sviluppatasi tra Nord America, Sud America ed Europa, è rappresentativa di questa aspirazione a travalicare i confini per incontrare persone e culture diverse.
Tramite il costante e paziente lavoro della Segreteria di Stato, intendo consolidare la conoscenza e il dialogo con voi e con i vostri Paesi, molti dei quali ho avuto già la grazia di visitare nel corso della mia vita, specialmente quando ero Priore Generale degli Agostiniani. Confido che la Divina Provvidenza mi accorderà ulteriori occasioni di incontro con le realtà dalle quali provenite, consentendomi di accogliere le opportunità che si presenteranno per confermare nella fede tanti fratelli e sorelle sparsi per il mondo e di costruire nuovi ponti con tutte le persone di buona volontà.
Nel nostro dialogo vorrei che tenessimo presente tre parole- chiave, che costituiscono i pilastri dell’azione missionaria della Chiesa e del lavoro della diplomazia della Santa Sede.
La prima parola è pace. Troppe volte la consideriamo una parola “negativa”, ossia come mera assenza di guerra e di conflitto, poiché la contrapposizione è parte della natura umana e ci accompagna sempre, spingendoci troppo spesso a vivere in un costante “stato di conflitto”: in casa, al lavoro, nella società. La pace allora sembra una semplice tregua, un momento di riposo tra una contesa e l’altra, poiché, per quanto ci si sforzi, le tensioni sono sempre presenti, un po’ come la brace che cova sotto la cenere, pronta a riaccendersi in ogni momento.
Nella prospettiva cristiana – come anche in quella di altre esperienze religiose – la pace è anzitutto un dono: il primo dono di Cristo: «Vi do la mia pace» (Gv 14,27). Essa è però un dono attivo, coinvolgente, che interessa e impegna ciascuno di noi, indipendentemente dalla provenienza culturale e dall’appartenenza religiosa, e che esige anzitutto un lavoro su sé stessi. La pace si costruisce nel cuore e a partire dal cuore, sradicando l’orgoglio e le rivendicazioni, e misurando il linguaggio, poiché si può ferire e uccidere anche con le parole, non solo con le armi.
In quest’ottica, ritengo fondamentale il contributo che le religioni e il dialogo interreligioso possono svolgere per favorire contesti di pace. Ciò naturalmente esige il pieno rispetto della libertà religiosa in ogni Paese, poiché l’esperienza religiosa è una dimensione fondamentale della persona umana, tralasciando la quale è difficile, se non impossibile, compiere quella purificazione del cuore necessaria per costruire relazioni di pace.
A partire da questo lavoro, che tutti siamo chiamati a fare, si possono sradicare le premesse di ogni conflitto e di ogni distruttiva volontà di conquista. Ciò esige anche una sincera volontà di dialogo, animata dal desiderio di incontrarsi più che di scontrarsi. In questa prospettiva è necessario ridare respiro alla diplomazia multilaterale e a quelle istituzioni internazionali che sono state volute e pensate anzitutto per porre rimedio alle contese che potessero insorgere in seno alla Comunità internazionale. Certo, occorre anche la volontà di smettere di produrre strumenti di distruzione e di morte, poiché, come ricordava Papa Francesco nel suo ultimo Messaggio Urbi et Orbi, «nessuna pace è possibile senza un vero disarmo [e] l’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo»[1].
La seconda parola è giustizia. Perseguire la pace esige di praticare la giustizia. Come ho già avuto modo di accennare, ho scelto il mio nome pensando anzitutto a Leone XIII, il Papa della prima grande enciclica sociale, la Rerum novarum. Nel cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, la Santa Sede non può esimersi dal far sentire la propria voce dinanzi ai numerosi squilibri e alle ingiustizie che conducono, tra l’altro, a condizioni indegne di lavoro e a società sempre più frammentate e conflittuali. Occorre peraltro adoperarsi per porre rimedio alle disparità globali, che vedono opulenza e indigenza tracciare solchi profondi tra continenti, Paesi e anche all’interno di singole società.
È compito di chi ha responsabilità di governo adoperarsi per costruire società civili armoniche e pacificate. Ciò può essere fatto anzitutto investendo sulla famiglia, fondata sull’unione stabile tra uomo e donna, «società piccola ma vera, e anteriore a ogni civile società»[2]. Inoltre, nessuno può esimersi dal favorire contesti in cui sia tutelata la dignità di ogni persona, specialmente di quelle più fragili e indifese, dal nascituro all’anziano, dal malato al disoccupato, sia esso cittadino o immigrato.
La mia stessa storia è quella di un cittadino, discendente di immigrati, a sua volta emigrato. Ciascuno di noi, nel corso della vita, si può ritrovare sano o malato, occupato o disoccupato, in patria o in terra straniera: la sua dignità però rimane sempre la stessa, quella di creatura voluta e amata da Dio.
La terza parola è verità. Non si possono costruire relazioni veramente pacifiche, anche in seno alla Comunità internazionale, senza verità. Laddove le parole assumono connotati ambigui e ambivalenti e il mondo virtuale, con la sua mutata percezione del reale, prende il sopravvento senza controllo, è arduo costruire rapporti autentici, poiché vengono meno le premesse oggettive e reali della comunicazione.
Da parte sua, la Chiesa non può mai esimersi dal dire la verità sull’uomo e sul mondo, ricorrendo quando necessario anche ad un linguaggio schietto, che può suscitare qualche iniziale incomprensione. La verità però non è mai disgiunta dalla carità, che alla radice ha sempre la preoccupazione per la vita e il bene di ogni uomo e donna. D’altronde, nella prospettiva cristiana, la verità non è l’affermazione di principi astratti e disincarnati, ma l’incontro con la persona stessa di Cristo, che vive nella comunità dei credenti. Così la verità non ci allontana, anzi ci consente di affrontare con miglior vigore le sfide del nostro tempo, come le migrazioni, l’uso etico dell’intelligenza artificiale e la salvaguardia della nostra amata Terra. Sono sfide che richiedono l’impegno e la collaborazione di tutti, poiché nessuno può pensare di affrontarle da solo.
Cari Ambasciatori,
il mio ministero inizia nel cuore di un anno giubilare, dedicato in modo particolare alla speranza. È un tempo di conversione e di rinnovamento e soprattutto l’occasione per lasciare alle spalle le contese e cominciare un cammino nuovo, animati dalla speranza di poter costruire, lavorando insieme, ciascuno secondo le proprie sensibilità e responsabilità, un mondo in cui ognuno possa realizzare la propria umanità nella verità, nella giustizia e nella pace. Mi auguro che ciò possa avvenire in tutti i contesti, a partire da quelli più provati come l’Ucraina e la Terra Santa.
Vi ringrazio per tutto il lavoro che fate per costruire ponti fra i vostri Paesi e la Santa Sede, e di tutto cuore benedico voi, le vostre famiglie e i vostri popoli. Grazie!
[Benedizione]
E grazie per tutto il lavoro che fate!
_______________
[1]Messaggio Urbi et Orbi, 20 aprile 2025.
[2] Leone XIII, Lett. enc.Rerum novarum(15 maggio 1891), 9.
[00546-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Éminence,
Excellences,
Mesdames et Messieurs,
Que la paix soit avec vous!
Je remercie S.E. M. George Poulides, Ambassadeur de la République de Chypre et Doyen du Corps diplomatique, pour les paroles cordiales qu’il m'a adressées en votre nom à tous, et pour le travail inlassable qu’il poursuit avec la vigueur, la passion et l’amabilité qui le caractérisent. Ces qualités lui ont valu l’estime de tous mes prédécesseurs qu’il a rencontrés au cours de ces années de mission auprès du Saint-Siège, et en particulier du regretté Pape François.
Je voudrais également vous exprimer ma gratitude pour les nombreux messages de vœux qui ont suivi mon élection, ainsi que pour les messages de condoléances au décès du Pape François provenant aussi de pays avec lesquels le Saint-Siège n’entretient pas de relations diplomatiques. Il s’agit là d’une marque d’estime significative qui encourage à approfondir les relations mutuelles.
Dans notre dialogue, je voudrais que le sentiment d’appartenance à une famille prenne toujours le pas. En effet, la communauté diplomatique représente toute la famille des peuples, partageant les joies et les peines de la vie ainsi que les valeurs humaines et spirituelles qui l’animent. La diplomatie pontificale est, en effet, une expression de la catholicité même de l’Église et, dans son action diplomatique, le Saint-Siège est animé par une urgence pastorale qui le pousse non pas à rechercher des privilèges, mais à intensifier sa mission évangélique au service de l’humanité. Il combat toute indifférence et rappelle sans cesse les consciences, comme l’a fait inlassablement mon vénérable prédécesseur, toujours attentif au cri des pauvres, des nécessiteux et des marginalisés, mais aussi aux défis qui marquent notre temps, depuis la sauvegarde de la création jusqu’à l’intelligence artificielle.
En plus d’être le signe concret de l’attention que vos pays accordent au Siège Apostolique, votre présence aujourd’hui est pour moi un don qui permet de renouveler l’aspiration de l’Église – et la mienne personnelle – à rejoindre et à étreindre tous les peuples et toutes les personnes de cette terre, désireux et en quête de vérité, de justice et de paix! D’une certaine manière, mon expérience de vie, qui s’est déroulée entre l’Amérique du Nord, l’Amérique du Sud et l’Europe, est représentative de cette aspiration à dépasser les frontières pour rencontrer des personnes et des cultures différentes.
Grâce au travail constant et patient de la Secrétairerie d’État, j’entends consolider la connaissance et le dialogue avec vous et vos pays, dont j’ai déjà eu la grâce d’en visiter un bon nombre au cours de ma vie, en particulier lorsque j’étais prieur général des Augustins. Je suis convaincu que la Divine Providence m’accordera d’autres occasions de rencontres avec les réalités dont vous êtes issus, me permettant ainsi de saisir les opportunités qui se présenteront pour confirmer la foi de tant de frères et sœurs dispersés à travers le monde, et pour construire de nouveaux ponts avec toutes les personnes de bonne volonté.
Dans notre dialogue, je voudrais que nous gardions à l’esprit trois mots clés qui constituent les piliers de l’action missionnaire de l’Église et du travail diplomatique du Saint-Siège.
Le premier mot estpaix. Trop souvent, nous considérons ce mot comme “négatif”, c’est-à-dire comme la simple absence de guerre et de conflit, car l’opposition fait partie de la nature humaine et nous accompagne toujours, nous poussant trop souvent à vivre dans un “état de conflit” permanent: à la maison, au travail, dans la société. La paix semble alors n’être qu’une simple trêve, une pause entre deux conflits, car, malgré tous nos efforts, les tensions sont toujours présentes, un peu comme des braises qui couvent sous la cendre, prêtes à se rallumer à tout moment.
Dans la perspective chrétienne – comme dans d’autres expériences religieuses – la paix est avant tout un don le premier don du Christ: «Je vous donne ma paix» (Jn14, 27). Elle est cependant un don actif, engageant, qui concerne et implique chacun de nous, indépendamment de notre origine culturelle et de notre appartenance religieuse, et qui exige avant tout un travail sur soi-même. La paix se construit dans le cœur et à partir du cœur, en déracinant l’orgueil et les revendications, et en mesurant son langage, car on peut blesser et tuer aussi par des mots, pas seulement par des armes.
Dans cette optique, je considère que la contribution que les religions et le dialogue interreligieux peuvent apporter pour favoriser des contextes de paix est fondamentale. Cela exige naturellement le plein respect de la liberté religieuse dans chaque pays, car l’expérience religieuse est une dimension fondamentale de la personne humaine, sans laquelle il est difficile, voire impossible, d’accomplir cette purification du cœur nécessaire pour construire des relations de paix.
À partir de ce travail, auquel nous sommes tous appelés, il est possible d’éradiquer les prémices de tout conflit et de toute volonté destructrice de conquête. Cela exige également une sincère volonté de dialogue, animée par le désir de se rencontrer plutôt que de s’affronter. Dans cette perspective, il est nécessaire de redonner un souffle à la diplomatie multilatérale et aux institutions internationales qui ont été voulues et conçues avant tout pour remédier aux conflits pouvant surgir au sein de la Communauté internationale. Bien sûr, il faut encore la volonté de cesser de produire des instruments de destruction et de mort, car, comme le rappelait le pape François dans son dernier MessageUrbi et Orbi, «aucune paix n’est possible sans véritable désarmement [et] le besoin de chaque peuple de pourvoir à sa propre défense ne peut se transformer en une course générale au réarmement»[1].
Le deuxième mot estjustice. Poursuivre la paix exige de pratiquer la justice. Comme je l’ai déjà évoqué, j’ai choisi mon nom en pensant avant tout à Léon XIII, le Pape de la première grande encyclique sociale,Rerum novarum. Dans le changement d’époque que nous vivons, le Saint-Siège ne peut s’empêcher de faire entendre sa voix face aux nombreux déséquilibres et injustices qui conduisent, entre autres, à des conditions de travail indignes et à des sociétés de plus en plus fragmentées et conflictuelles. Il faut également s’efforcer de remédier aux inégalités mondiales, qui voient l’opulence et la misère creuser des fossés profonds entre les continents, entre les pays et même au sein d’une même société.
Il incombe à ceux qui ont des responsabilités gouvernementales de s’efforcer à construire des sociétés civiles harmonieuses et pacifiées. Cela peut être accompli avant tout en misant sur la famille fondée sur l’union stable entre un homme et une femme, «une société très petite sans doute, mais réelle et antérieure à toute société civile»[2]. En outre, personne ne peut se dispenser de promouvoir des contextes où la dignité de chaque personne soit protégée, en particulier celle des plus fragiles et des plus vulnérables, du nouveau-né à la personne âgée, du malade au chômeur, que celui-ci soit citoyen ou immigrant.
Mon histoire est celle d’un citoyen, descendant d’immigrés, lui-même émigré. Au cours de la vie, chacun d’entre nous peut se retrouver en bonne santé ou malade, avec ou sans emploi, dans sa patrie ou en terre étrangère: cependant sa dignité reste toujours la même, celle d’une créature voulue et aimée de Dieu.
Le troisième mot estvérité. On ne peut construire des relations véritablement pacifiques, même au sein de la Communauté internationale, sans vérité. Là où les mots revêtent des connotations ambiguës et ambivalentes ou le monde virtuel, avec sa perception altérée de la réalité, prend le dessus sans contrôle, il est difficile de construire des rapports authentiques, puisque les prémisses objectives et réelles de la communication font défaut.
Pour sa part, l’Église ne peut jamais se soustraire à son devoir de dire la vérité sur l’homme et sur le monde, en recourant si nécessaire à un langage franc qui peut au début susciter une certaine incompréhension. Mais la vérité n’est jamais séparée de la charité qui, à la racine, a toujours le souci de la vie et du bien de tout homme et de toute femme. D’ailleurs, dans la perspective chrétienne, la vérité n’est pas l’affirmation de principes abstraits et désincarnés, mais la rencontre avec la personne même du Christ qui vit dans la communauté des croyants. Ainsi, la vérité ne nous éloigne pas, mais au contraire elle nous permet d’affronter avec plus de vigueur les défis de notre temps comme les migrations, l’utilisation éthique de l’intelligence artificielle et la sauvegarde de notre Terre bien-aimée. Ce sont des défis qui exigent l’engagement et la collaboration de tous, car personne ne peut penser les relever seul.
Chers Ambassadeurs,
mon ministère commence au cœur d’une année jubilaire, dédiée d’une façon particulière à l’espérance. C’est un temps de conversion et de renouveau, mais surtout l’occasion de laisser derrière nous les conflits et d’emprunter un nouveau chemin, animés par l’espérance de pouvoir construire, en travaillant ensemble, chacun selon ses sensibilités et ses responsabilités, un monde dans lequel chacun pourra réaliser son humanité dans la vérité, dans la justice et dans la paix. Je souhaite que cela puisse se réaliser dans tous les contextes, à commencer par les plus éprouvés, comme celui de l’Ukraine et de la Terre Sainte.
Je vous remercie pour tout le travail que vous accomplissez afin de construire des ponts entre vos pays et le Saint-Siège, et de tout cœur je vous bénis, ainsi que vos familles et vos peuples. Merci!
[Bénédiction]
Et merci pour tout le travail que vous accomplissez!
__________________
[1] Message Urbi et Orbi, 20 avril 2025.
[2] Léon XIII, Lett. enc. Rerum novarum, 15 mai 1891, n.9.
[00546-FR.01] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Your Eminence,
Your Excellencies,
Ladies and Gentlemen,
Peace be with you!
I thank His Excellency Mr George Poulides, Ambassador of the Republic of Cyprus and Dean of the Diplomatic Corps, for his cordial greeting in your name, and for the tireless work that he has carried out with his characteristic energy, commitment and kindness. These qualities have earned him the esteem of all my predecessors whom he has met in these years of his mission to the Holy See, particularly the late Pope Francis.
I would also like to express my gratitude for your many messages of good wishes following my election, as well as those expressing condolence for the death of Pope Francis. Some of those messages also came from countries with which the Holy See does not have diplomatic relations, a significant sign of esteem that indicates a strengthening of mutual relations.
In our dialogue, I would like us always to preserve the sense of being a family. Indeed, the diplomatic community represents the entire family of peoples, a family that shares the joys and sorrows of life and the human and spiritual values that give it meaning and direction. Papal diplomacy is an expression of the very catholicity of the Church. In its diplomatic activity, the Holy See is inspired by a pastoral outreach that leads it not to seek privileges but to strengthen its evangelical mission at the service of humanity. Resisting all forms of indifference, it appeals to consciences, as witnessed by the constant efforts of my venerable predecessor, ever attentive to the cry of the poor, the needy and the marginalized, as well as to contemporary challenges, ranging from the protection of creation to artificial intelligence.
In addition to being a visible sign of your countries’ respect for the Apostolic See, your presence here today is a gift for me. It allows me to renew the Church’s aspiration — and my own — to reach out and embrace all individuals and peoples on the Earth, who need and yearn for truth, justice and peace! In a certain sense, my own life experience, which has spanned North America, South America and Europe, has been marked by this aspiration to transcend borders in order to encounter different peoples and cultures.
Through the constant and patient work of the Secretariat of State, I intend to strengthen understanding and dialogue with you and with your countries, many of which I have already had the grace to visit, especially during my time as Prior General of the Augustinians. I trust that God’s providence will allow me further occasions to get to know the countries from which you come and enable me to have occasions to confirm in the faith our many brothers and sisters throughout the world and to build new bridges with all people of good will.
In our dialogue, I would like us to keep in mind three essential words that represent the pillars of the Church’s missionary activity and the aim of the Holy See’s diplomacy.
The first word ispeace. All too often we consider it a “negative” word, indicative only of the absence of war and conflict, since opposition is a perennial part of human nature, frequently leading us to live in a constant “state of conflict” at home, at work and in society. Peace then appears simply as a respite, a pause between one dispute and another, given that, no matter how hard we try, tensions will always be present, a little like embers burning beneath the ashes, ready to ignite at any moment.
From a Christian perspective – but also in other religious traditions – peace is first and foremost a gift. It is the first gift of Christ: “My peace I give to you” (Jn14:27).Yet it is an active and demanding gift. It engages and challenges each of us, regardless of our cultural background or religious affiliation, demanding first of all that we work on ourselves. Peace is built in the heart and from the heart, by eliminating pride and vindictiveness and carefully choosing our words. For words too, not only weapons, can wound and even kill.
In this regard, I believe that religions and interreligious dialogue can make a fundamental contribution to fostering a climate of peace. This naturally requires full respect for religious freedom in every country, since religious experience is an essential dimension of the human person. Without it, it is difficult, if not impossible, to bring about the purification of the heart necessary for building peaceful relationships.
This effort, in which all of us are called to take part, can begin to eliminate the root causes of all conflicts and every destructive urge for conquest. It demands a genuine willingness to engage in dialogue, inspired by the desire to communicate rather than clash. As a result, there is a need to give new life to multilateral diplomacy and to those international institutions conceived and designed primarily to remedy eventual disputes within the international community. Naturally, there must also be a resolve to halt the production of instruments of destruction and death, since, as Pope Francis noted in his lastUrbi et OrbiMessage: No peace is “possible without true disarmament [and] the requirement that every people provide for its own defence must not turn into a race to rearmament.”[1]
The second word isjustice. Working for peace requires acting justly. As I have already mentioned, I chose my name thinking first of all of Leo XIII, the Pope of the first great social Encyclical,Rerum Novarum. In this time of epochal change, the Holy See cannot fail to make its voice heard in the face of the many imbalances and injustices that lead, not least, to unworthy working conditions and increasingly fragmented and conflict-ridden societies. Every effort should be made to overcome the global inequalities – between opulence and destitution – that are carving deep divides between continents, countries and even within individual societies.
It is the responsibility of government leaders to work to build harmonious and peaceful civil societies. This can be achieved above all by investing in the family, founded upon the stable union between a man and a woman, “a small but genuine society, and prior to all civil society.”[2]In addition, no one is exempted from striving to ensure respect for the dignity of every person, especially the most frail and vulnerable, from the unborn to the elderly, from the sick to the unemployed, citizens and immigrants alike.
My own story is that of a citizen, the descendant of immigrants, who in turn chose to emigrate. All of us, in the course of our lives, can find ourselves healthy or sick, employed or unemployed, living in our native land or in a foreign country, yet our dignity always remains unchanged: it is the dignity of a creature willed and loved by God.
The third word istruth. Truly peaceful relationships cannot be built, also within the international community, apart from truth. Where words take on ambiguous and ambivalent connotations, and the virtual world, with its altered perception of reality, takes over unchecked, it is difficult to build authentic relationships, since the objective and real premises of communication are lacking.
For her part, the Church can never be exempted from speaking the truth about humanity and the world, resorting whenever necessary to blunt language that may initially create misunderstanding. Yet truth can never be separated from charity, which always has at its root a concern for the life and well-being of every man and woman. Furthermore, from the Christian perspective, truth is not the affirmation of abstract and disembodied principles, but an encounter with the person of Christ himself, alive in the midst of the community of believers. Truth, then, does not create division, but rather enables us to confront all the more resolutely the challenges of our time, such as migration, the ethical use of artificial intelligence and the protection of our beloved planet Earth. These are challenges that require commitment and cooperation on the part of all, since no one can think of facing them alone.
Dear Ambassadors,
My ministry has begun in the heart of a Jubilee Year, devoted in a particular way to hope. It is a time of conversion and renewal and, above all, an opportunity to leave conflicts behind and embark on a new path, confident that, by working together, each of us in accordance with his or her own sensibilities and responsibilities, can build a world in which everyone can lead an authentically human life in truth, justice and peace. It is my hope that this will be the case everywhere, starting with those places that suffer most grievously, like Ukraine and the Holy Land.
I thank you for all the work you are doing to build bridges between your countries and the Holy See, and I cordially impart my blessing to you, your families and your peoples. Thank you! Thank you for all the work that you do!
_______________
[1]FRANCIS,Urbi et OrbiMessage, 20 April 2025.
[2] LEO XIII, EncyclicalRerum Novarum, 15 May 1891, 9.
[00546-EN.01] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Eminenz,
Exzellenzen,
meine Damen und Herren
der Friede sei mit euch!
ich danke S.E. Herrn George Poulides, Botschafter der Republik Zypern und Dekan des Diplomatischen Korps, für die herzlichen Worte, die er in Ihrer aller Namen an mich gerichtet hat, und für seine unermüdliche Arbeit, die er mit der Energie, der Leidenschaft und der Sympathie ausübt, die ihn auszeichnen, Eigenschaften, die ihm die Wertschätzung aller meiner Vorgänger eingebracht haben, denen er in den Jahren seiner Entsendung zum Heiligen Stuhl begegnet ist, und insbesondere die unseres verstorbenen Papstes Franziskus.
Ich möchte mich auch für die vielen Glückwünsche im Anschluss an meine Wahl bedanken sowie für die vorausgegangenen Beileidsbekundungen zum Tod von Papst Franziskus, die auch aus Ländern kamen, mit denen der Heilige Stuhl keine diplomatischen Beziehungen unterhält. Dies ist ein bedeutendes Zeugnis der Wertschätzung, das zur Vertiefung der Verhältnisse zueinander ermutigt.
Ich würde mir wünschen, dass in unserem Dialog immer der Sinn dafür vorherrscht, Familie zu sein̶die diplomatische Gemeinschaft repräsentiert in der Tat die gesamte Familie der Völker̶, welche die Freuden und Leiden des Lebens und die menschlichen und spirituellen Werte, die es beleben, teilt. Die päpstliche Diplomatie ist nämlich ein Ausdruck der Katholizität der Kirche selbst, und der Heilige Stuhl ist in seinem diplomatischen Handeln von einem pastoralen Drang beseelt, der ihn dazu antreibt, nicht nach Privilegien zu streben, sondern seine Sendung zur Evangelisierung im Dienste der Menschheit zu intensivieren. Er bekämpft jede Gleichgültigkeit und redet immer wieder in die Gewissen, so wie es mein verehrter Vorgänger unermüdlich getan hat, der immer ein offenes Ohr für den Schrei der Armen, der Bedürftigen und der Ausgegrenzten hatte, ebenso wie für die Herausforderungen unserer Zeit, von der Bewahrung der Schöpfung bis zur künstlichen Intelligenz.
Ihre Anwesenheit heute ist für mich nicht nur ein konkretes Zeichen der Aufmerksamkeit Ihrer Länder für den Apostolischen Stuhl, sondern auch ein Geschenk, das es mir erlaubt, Ihnen das Bestreben der Kirche̶und mein persönliches Bestreben̶zu bekräftigen, jedes Volk und jeden einzelnen Menschen auf dieser Erde zu erreichen und zu umarmen, der sich nach Wahrheit, Gerechtigkeit und Frieden sehnt und diese braucht! In gewisser Weise ist meine eigene Lebenserfahrung, die sich zwischen Nordamerika, Südamerika und Europa entfaltet hat, repräsentativ für dieses Bestreben, Grenzen zu überschreiten, um verschiedenen Menschen und Kulturen zu begegnen.
Über die kontinuierliche und geduldige Arbeit des Staatssekretariats hindurch möchte ich das Wissen und den Dialog mit Ihnen und Ihren Ländern vertiefen, von denen ich schon viele im Laufe meines Lebens besuchen durfte, vor allem während meiner Zeit als Generalprior der Augustiner. Ich vertraue darauf, dass die göttliche Vorsehung mir weitere Gelegenheiten zu Begegnungen mit den Lebenswirklichkeiten, aus denen Sie stammen, gewähren wird, so dass ich die sich auftuenden Chancen nutzen kann, um so viele über die ganze Welt verstreute Brüder und Schwestern im Glauben zu stärken und neue Brücken zu allen Menschen guten Willens zu bauen.
In unserem Dialog möchte ich, dass wir drei Schlüsselwörter berücksichtigen, welche die Säulen des missionarischen Handelns der Kirche und der Arbeit der Diplomatie des Heiligen Stuhls bilden.
Das erste Wort istFrieden. Allzu oft denken wir dabei an ein „negatives“ Wort, d.h. an die bloße Abwesenheit von Krieg und Konflikten, da Konflikte Teil der menschlichen Natur sind und uns immer begleiten und uns allzu oft dazu bringen, in einem ständigen „Konfliktzustand“ zu leben: zu Hause, am Arbeitsplatz, in der Gesellschaft. Der Friede erscheint dann wie eine bloßer Waffenstillstand, eine Ruhepause zwischen einem Streit und dem nächsten, denn so sehr wir uns auch bemühen, die Spannungen sind immer präsent, ein bisschen wie Glut unter der Asche, die jeden Moment wieder aufflammen kann.
Aus christlicher Sicht ̶wie auch aus der Sicht anderer religiöser Erfahrungen ̶ist der Friede in erster Linie ein Geschenk: das erste Geschenk Christi: »Meinen Frieden gebe euch« (Joh14,27). Er ist jedoch ein aktives Geschenk, das miteinbezieht, das jeden von uns, unabhängig von seinem kulturellen Hintergrund und seiner religiösen Zugehörigkeit, betrifft und in die Pflicht nimmt, und das zuallererst eine Arbeit an uns selbst erfordert. Der Friede entsteht im Herzen und aus dem Herzen heraus, indem man Stolz und Forderungen zurückstellt und die Worte abwägt, denn man kann auch mit Worten verletzen und töten, nicht nur mit Waffen.
Unter diesem Gesichtspunkt halte ich den Beitrag, den die Religionen und der interreligiöse Dialog zur Förderung eines Umfelds des Friedens leisten können, für grundlegend. Dies setzt natürlich die uneingeschränkte Achtung der Religionsfreiheit in jedem Land voraus, denn die religiöse Erfahrung ist eine grundlegende Dimension der menschlichen Person, ohne die es schwierig, wenn nicht gar unmöglich ist, eine Reinigung des Herzens zu erreichen, die notwendig ist, um Beziehungen des Friedens aufzubauen.
Ausgehend von dieser Aufgabe, zu der wir alle berufen sind, können die Voraussetzungen für alle Konflikte und den zerstörerischen Eroberungswillen beseitigt werden. Dies erfordert auch einen aufrichtigen Willen zum Dialog, der von dem Wunsch beseelt ist, sich zu begegnen, anstatt sich zu bekämpfen. Unter diesem Gesichtspunkt müssen die multilaterale Diplomatie und die internationalen Institutionen, die ursprünglich zur Beilegung etwaiger Streitigkeiten innerhalb der internationalen Gemeinschaft gedacht waren, wiederbelebt werden. Natürlich brauchen wir auch den Willen, keine Instrumente der Zerstörung und des Todes mehr zu produzieren, denn, wie Papst Franziskus in seiner letzten BotschaftUrbi et Orbiin Erinnerung rief: »Es kann keinen Frieden geben ohne echte Abrüstung! Der Anspruch eines jeden Volkes, für seine eigene Verteidigung zu sorgen, darf nicht zu einem allgemeinen Wettrüsten führen«[1].
Das zweite Wort istGerechtigkeit. Wer Frieden will, muss Gerechtigkeit üben. Wie ich bereits erwähnt habe, habe ich bei der Wahl meines Namens vor allem an Leo XIII. gedacht, den Papst der ersten großen SozialenzyklikaRerum novarum. In dem Epochenwandel, den wir erleben, kann der Heilige Stuhl nicht umhin, seine Stimme angesichts der vielen Ungleichgewichte und Ungerechtigkeiten zu erheben, die unter anderem zu unwürdigen Arbeitsbedingungen und zunehmend fragmentierten und konfliktgeladenen Gesellschaften führen. Es müssen auch Anstrengungen unternommen werden, um die globalen Ungleichheiten zu beseitigen, bei denen Reichtum und Armut tiefe Furchen zwischen Kontinenten, Ländern und sogar innerhalb einzelner Gesellschaften ziehen.
Es ist die Aufgabe derjenigen, die Regierungsverantwortung tragen, sich um den Aufbau harmonischer und friedlicher Zivilgesellschaften zu bemühen. Dies kann in erster Linie durch Investitionen für die Familie geschehen, die auf der stabilen Verbindung zwischen einem Mann und einer Frau beruht, »eine wahre Gesellschaft […], so klein immerhin diese Gesellschaft sich darstellt; sie ist älter als jegliches andere Gemeinwesen«[2]. Darüber hinaus kommt niemand umhin, sich jeweils um ein Umfeld zu bemühen, in dem die Würde jedes Menschen geschützt wird, insbesondere der schwächsten und schutzlosesten, vom ungeborenen Kind bis zum alten Menschen, vom Kranken bis zum Arbeitslosen, ob Bürger oder Einwanderer.
Meine eigene Geschichte ist die eines Bürgers, eines Nachkommens von Einwanderern, der seinerseits Auswanderer ist. Jeder von uns kann sich im Laufe seines Lebens gesund oder krank, erwerbstätig oder arbeitslos, in der Heimat oder in einem fremden Land wiederfinden: Unsere Würde bleibt jedoch immer dieselbe, nämlich die eines von Gott gewollten und geliebten Geschöpfes.
Das dritte Wort istWahrheit. Wirklich friedliche Beziehungen können nicht ohne Wahrheit aufgebaut werden, auch nicht innerhalb der internationalen Gemeinschaft. Wo Worte zweideutige und ambivalente Bedeutungen annehmen und die virtuelle Welt mit ihrer veränderten Wahrnehmung der Realität unkontrolliert die Oberhand gewinnt, ist es schwierig, authentische Beziehungen aufzubauen, weil die objektiven und realen Voraussetzungen der Kommunikation verloren gehen.
Die Kirche kann sich ihrerseits niemals ihrem Auftrag entziehen, die Wahrheit über den Menschen und die Welt auszusprechen, auch wenn sie, wenn nötig, zu einer deutlichen Sprache greift, die vielleicht ein anfängliches Unverständnis hervorruft. Die Wahrheit ist jedoch niemals von der Nächstenliebe zu trennen, deren Wurzel immer die Sorge um das Leben und das Wohl eines jeden Menschen ist. Aus christlicher Sicht ist die Wahrheit außerdem nicht die Bestätigung abstrakter und realitätsferner Prinzipien, sondern die Begegnung mit der Person Christi selbst, der in der Gemeinschaft der Gläubigen lebt. So entfremdet uns die Wahrheit nicht, sondern befähigt uns vielmehr, die Herausforderungen unserer Zeit mit größerem Nachdruck anzugehen, wie etwa die Migration, die ethische Nutzung der künstlichen Intelligenz und die Bewahrung unserer geliebten Erde. Dies sind Herausforderungen, die das Engagement und die Zusammenarbeit aller erfordern, denn niemand kann sich ihnen allein stellen.
Liebe Botschafterinnen und Botschafter,
mein Dienst beginnt mitten in einem Heiligen Jahr, das in besonderer Weise der Hoffnung gewidmet ist. Es ist eine Zeit der Umkehr und der Erneuerung und vor allem eine Gelegenheit, Streitigkeiten hinter sich zu lassen und einen neuen Weg einzuschlagen, der von der Hoffnung beseelt ist, dass wir gemeinsam, jeder entsprechend seiner Sensibilität und Verantwortung, eine Welt aufbauen können, in der jeder sein Menschsein in Wahrheit, Gerechtigkeit und Frieden verwirklichen kann. Ich hoffe, dass dies in allen Situationen geschehen kann, angefangen bei denen, die am meisten geprüft sind, wie die Ukraine und das Heilig Land.
Ich danke Ihnen für all die Arbeit, die Sie leisten, um Brücken zwischen Ihren Ländern und dem Heiligen Stuhl zu bauen, und ich segne Sie, Ihre Familien und Ihre Völker von ganzem Herzen. Danke!
[Segen]
Und danke für all die Arbeit, die Sie tun!
___________________
[1] Botschaft “Urbi et orbi”, 20. April 2025.
[2] Leo XIII., Enzyklika Rerum novarum, 15. Mai 1891, 9.
[00546-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Eminencia,
Excelencias,
señoras y señores,
la paz esté con ustedes:
Doy gracias a S.E. el Sr. George Poulides, Embajador de la República de Chipre y Decano del Cuerpo Diplomático, por las cordiales palabras que me ha dirigido en nombre de todos ustedes y por su trabajo incansable, que lleva adelante con la fuerza, la pasión y la simpatía que lo caracterizan, dotes por los que ha merecido la estima de todos mis Predecesores, que ha conocido en estos años de misión ante la Santa Sede y, en particular, del recordado Papa Francisco.
Deseo además expresarles mi gratitud por los numerosos mensajes de felicitación enviados luego de mi elección, así como por las precedentes condolencias que han llegado al fallecer el Papa Francisco, incluso de países con los que la Santa Sede no mantiene relaciones diplomáticas. Se trata de una significativa manifestación de estima, que alienta a profundizar las mutuas relaciones.
En nuestro diálogo, quisiera que predominase siempre el sentido de serunafamilia —la comunidad diplomática representa, en efecto, la entera familia de los pueblos—, que comparte las alegrías y los dolores de la vida junto con los valores humanos y espirituales que la animan. La diplomacia pontificia es, de hecho, una expresión de la misma catolicidad de la Iglesia y, en su acción diplomática, la Santa Sede está animada por una urgencia pastoral que la impulsa no a buscar privilegios sino a intensificar su misión evangélica al servicio de la humanidad. Ésta combate la indiferencia y apela continuamente a las conciencias, como ha hecho incansablemente mi venerado Predecesor, siempre atento al clamor de los pobres, los necesitados y los marginados, como también a los desafíos que caracterizan nuestro tiempo, desde la protección de la creación hasta la inteligencia artificial.
Además de ser un signo concreto de la atención que sus países reservan a la Sede Apostólica, su presencia hoy es para mí un don, que permite renovar la aspiración de la Iglesia —y mía personal— de alcanzar y abrazar a cada pueblo y a cada persona de esta tierra, deseosa y necesitada de verdad, de justicia y de paz. En cierto sentido, mi propia experiencia de vida, desplegada entre América del Norte, América del Sur y Europa, pone de manifiesto esta aspiración de traspasar los confines para encontrarse con personas y culturas diferentes.
Por medio del constante y paciente trabajo de la Secretaría de Estado, intento consolidar el conocimiento y el diálogo con ustedes y con sus países, muchos de los cuales he tenido ya la gracia de visitar a lo largo de mi vida, especialmente cuando fui Prior General de los Agustinos. Confío en que la Divina Providencia me conceda tener en el futuro ocasión de encontrarme con las realidades de las que ustedes provienen, permitiéndome acoger las oportunidades que se presenten para confirmar en la fe a tantos hermanos y hermanas dispersos por el mundo y construir nuevos puentes con todas las personas de buena voluntad.
En nuestro diálogo, quisiera que tuviéramos presente las tres palabras clave que constituyen los pilares de la acción misionera de la Iglesia y de la labor de la diplomacia de la Santa Sede.
La primera palabra espaz. Muchas veces la consideramos una palabra “negativa”, o sea, como mera ausencia de guerra o de conflicto, porque la contraposición es parte de la naturaleza humana y nos acompaña siempre, impulsándonos en demasiadas ocasiones a vivir en un constante “estado de conflicto”; en casa, en el trabajo, en la sociedad. La paz entonces pareciera una simple tregua, una pausa de descanso entre una discordia y otra, porque, aunque uno se esfuerce, las tensiones están siempre presentes, un poco como las brasas que arden bajo las cenizas, prontas a reavivarse en cualquier momento.
En la perspectiva cristiana —como también en la de otras experiencias religiosas— la paz es ante todo un don, el primer don de Cristo: «Les doy mi paz» (Jn14,27). Pero es un don activo, apasionante, que nos afecta y compromete a cada uno de nosotros, independientemente de la procedencia cultural y de la pertenencia religiosa, y que exige en primer lugar un trabajo sobre uno mismo. La paz se construye en el corazón y a partir del corazón, arrancando el orgullo y las reivindicaciones, y midiendo el lenguaje, porque también se puede herir y matar con las palabras, no sólo con las armas.
En esta óptica, considero fundamental el aporte que las religiones y el diálogo interreligioso pueden brindar para favorecer contextos de paz. Eso, naturalmente, exige el pleno respeto de la libertad religiosa en cada país, porque la experiencia religiosa es una dimensión fundamental de la persona humana, sin la cual es difícil —si no imposible— realizar esa purificación del corazón necesaria para construir relaciones de paz.
A partir de este trabajo, que todos estamos llamados a realizar, se pueden extirpar las premisas de cualquier conflicto y de cualquier destructiva voluntad de conquista. Esto exige también una sincera voluntad de diálogo, animada por el deseo de encontrarse más que de confrontarse. En esta perspectiva es necesario revitalizar la diplomacia multilateral y esas instituciones internacionales que han sido queridas y pensadas en primer lugar para poner remedio a los conflictos que pudiesen surgir en el seno de la comunidad internacional. Ciertamente, es necesaria también la voluntad de dejar de producir instrumentos de destrucción y de muerte, porque, como recordaba el Papa Francisco en su último MensajeUrbi et Orbi, «la paz tampoco es posible sin un verdadero desarme [ y] la exigencia que cada pueblo tiene de proveer a su propia defensa no puede transformarse en una carrera general al rearme»[1].
La segunda palabra esjusticia. Procurar la paz exige practicar la justicia. Como ya he tenido modo de señalar, he elegido mi nombre pensando principalmente en León XIII, el Papa de la primera gran encíclica social, laRerum novarum. En el cambio de época que estamos viviendo, la Santa Sede no puede eximirse de hacer sentir su propia voz ante los numerosos desequilibrios y las injusticias que conducen, entre otras cosas, a condiciones indignas de trabajo y a sociedades cada vez más fragmentadas y conflictivas. Es necesario, además, esforzarse por remediar las desigualdades globales, que trazan surcos profundos de opulencia e indigencia entre continentes, países e, incluso, dentro de las mismas sociedades.
Es tarea de quien tiene responsabilidad de gobierno aplicarse para construir sociedades civiles armónicas y pacíficas. Esto puede realizarse sobre todo invirtiendo en la familia, fundada sobre la unión estable entre el hombre y la mujer, «bien pequeña, es cierto, pero verdadera sociedad y más antigua que cualquiera otra»[2]. Además, nadie puede eximirse de favorecer contextos en los que se tutele la dignidad de cada persona, especialmente de aquellas más frágiles e indefensas, desde el niño por nacer hasta el anciano, desde el enfermo al desocupado, sean estos ciudadanos o inmigrantes.
Mi propia historia es la de un ciudadano, descendiente de inmigrantes, que a su vez ha emigrado. Cada uno de nosotros, en el curso de la vida, se puede encontrar sano o enfermo, ocupado o desocupado, en su patria o en tierra extranjera. Su dignidad, sin embargo, es siempre la misma, la de una creatura querida y amada por Dios.
La tercera palabra esverdad. No se pueden construir relaciones verdaderamente pacíficas, incluso dentro de la comunidad internacional, sin verdad. Allí donde las palabras asumen connotaciones ambiguas y ambivalentes, y el mundo virtual, con su percepción distorsionada de la realidad, prevalece sin control; es difícil construir relaciones auténticas, porque decaen las premisas objetivas y reales de la comunicación.
Por su parte, la Iglesia no puede nunca eximirse de decir la verdad sobre el hombre y sobre el mundo, recurriendo a lo que sea necesario, incluso a un lenguaje franco, que inicialmente puede suscitar alguna incomprensión. La verdad, sin embargo, no se separa nunca de la caridad, que siempre tiene radicada la preocupación por la vida y el bien de cada hombre y mujer. Por otra parte, en la perspectiva cristiana, la verdad no es la afirmación de principios abstractos y desencarnados, sino el encuentro con la persona misma de Cristo, que vive en la comunidad de los creyentes. De ese modo, la verdad no nos aleja; por el contrario, nos permite afrontar con mayor vigor los desafíos de nuestro tiempo, como las migraciones, el uso ético de la inteligencia artificial y la protección de nuestra amada tierra. Son desafíos que requieren el compromiso y la colaboración de todos, porque nadie puede pensar en afrontarlos solo.
Queridos embajadores:
Mi ministerio comienza en el corazón del Año jubilar, dedicado de manera particular a la esperanza. Es un tiempo de conversión y de renovación, y sobre todo la ocasión para dejar atrás las contiendas y comenzar un camino nuevo, animados por la esperanza de poder construir, trabajando juntos, cada uno según sus propias sensibilidades y responsabilidades, un mundo en el que cada uno de nosotros pueda realizar la propia humanidad en la verdad, en la justicia y en la paz. Espero que esto pueda suceder en todos los contextos, empezando por los más que más sufren, como Ucrania y Tierra Santa.
Les agradezco todo el trabajo que hacen para construir puentes entre sus países y la Santa Sede, y de todo corazón los bendigo, bendigo a sus familias y a sus pueblos.Gracias.
[Bendición]
Y gracias por todo el trabajo que hacen.
_______________
[1]Mensaje «Urbi et Orbi»(20 abril 2025).
[2] León XIII, Carta enc.Rerum novarum(15 mayo 1891), 9.
[00546-ES.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Eminência,
Excelências,
Senhoras e Senhores,
A paz esteja convosco!
Agradeço a S. Ex.cia o Sr. George Poulides, Embaixador da República de Chipre e Decano do Corpo Diplomático, pelas expressões cordiais que, em nome de todos vós, me dirigiu e pelo seu trabalho incansável, realizado com o vigor, a paixão e a simpatia que o distinguem, qualidades que lhe valeram a estima de todos os meus Predecessores durante estes anos de missão junto da Santa Sé, em particular, do saudoso Papa Francisco.
Gostaria de agradecer, igualmente, as numerosas mensagens de felicitações que se seguiram à minha eleição, bem como as de condolências pelo falecimento do Papa Francisco que as precederam e vieram também de países com os quais a Santa Sé não mantém relações diplomáticas. Trata-se de uma significativa declaração de estima, que favorece o aprofundamento das relações mútuas.
No nosso diálogo, gostaria que prevalecesse sempre o sentido de família – com efeito, a comunidade diplomática representa toda a família dos povos – partilhando as alegrias e as tristezas da vida bem como os valores humanos e espirituais que a animam. A diplomacia pontifícia é realmente expressão da própria catolicidade da Igreja e, na sua ação diplomática, a Santa Sé é animada por uma urgência pastoral que a impele a intensificar a sua missão evangélica ao serviço da humanidade, não a procurar privilégios. Essa ação combate toda a indiferença e interpela continuamente as consciências, como o fez incansavelmente o meu venerado Predecessor, sempre atento ao grito dos pobres, dos necessitados e dos marginalizados, bem como aos desafios que marcam o nosso tempo, desde a salvaguarda da criação à inteligência artificial.
Para além de ser um sinal concreto da atenção dos vossos países para com a Sé Apostólica, a vossa presença hoje é para mim um dom, que permite recordar-vos a aspiração da Igreja – e a minha pessoal – de alcançar e abraçar todos os povos e cada pessoa desta terra, desejosa e necessitada de verdade, de justiça e de paz! De certa forma, a minha própria experiência de vida, desenvolvida entre a América do Norte, a América do Sul e a Europa, é representativa desta aspiração de atravessar fronteiras para encontrar pessoas e culturas diferentes.
Através do trabalho constante e paciente da Secretaria de Estado, pretendo consolidar o conhecimento mútuo e o diálogo convosco e com os vossos países, muitos dos quais já tive a graça de visitar ao longo da minha vida, sobretudo quando era Prior Geral dos Agostinianos. Confio que a Divina Providência me concederá novas oportunidades de encontro com as realidades de onde sois provenientes, permitindo-me acolher as ocasiões que surgirão para confirmar na fé tantos irmãos e irmãs espalhados pelo mundo e para construir novas pontes com todas as pessoas de boa vontade.
No nosso diálogo, gostaria que tivéssemos presentes três palavras-chave, que constituem os pilares da ação missionária da Igreja e do trabalho da diplomacia da Santa Sé.
A primeira palavra é paz. Demasiadas vezes pensamos nela como uma palavra “negativa”, ou seja, como uma mera ausência de guerra e de conflito, visto que o confronto faz parte da natureza humana e acompanha-nos sempre, levando-nos demasiadas vezes a viver num “estado de conflito” constante: em casa, no trabalho, na sociedade. A paz parece então uma simples trégua, uma pausa de repouso entre uma disputa e outra, porque, por mais que nos esforcemos, as tensões estão sempre presentes, um pouco como as brasas a arder sob as cinzas, prontas a reacender-se a qualquer momento.
Na perspectiva cristã – como na de outras experiências religiosas – a paz é, principalmente, um dom: o primeiro dom de Cristo: «Dou-vos a minha paz» (Jo 14, 27). No entanto, essa paz é um dom ativo e envolvente, que diz respeito e compromete a cada um de nós, independentemente da origem cultural e da filiação religiosa, e que exige, sobretudo, um trabalho sobre si mesmo. A paz constrói-se no coração e a partir do coração, erradicando o orgulho e as pretensões, e medindo a linguagem, pois também com as palavras se pode ferir e matar, não só com as armas.
Nesta ótica, considero fundamental o contributo que as religiões e o diálogo inter-religioso podem dar para promover contextos de paz. Isto exige, evidentemente, o pleno respeito pela liberdade religiosa em todos os países, uma vez que a experiência religiosa é uma dimensão fundamental da pessoa humana, sem a qual é difícil, se não impossível, alcançar a purificação do coração necessária para construir relações de paz.
A partir deste trabalho, que todos somos chamados a fazer, é possível erradicar as premissas de qualquer conflito ou vontade destrutiva de conquista. Isto exige também uma abertura sincera ao diálogo, animada pelo desejo de encontro e não de confronto. Nesta perspectiva, faz-se necessário dar um novo fôlego à diplomacia multilateral e às instituições internacionais que foram desejadas e concebidas, em primeiro lugar, para remediar as relações conflituosas que possam surgir no seio da comunidade internacional. Naturalmente, também é necessária a vontade de deixar de produzir instrumentos de destruição e morte, porque, como recordou o Papa Francisco na sua última Mensagem Urbi et Orbi: «Não é possível haver paz sem um verdadeiro desarmamento! A necessidade que cada povo sente de garantir a sua própria defesa não pode transformar-se numa corrida generalizada ao armamento» [1].
A segunda palavra é justiça. A busca da paz exige a prática da justiça. Como já referi, escolhi o meu nome a pensar principalmente em Leão XIII, o Papa da primeira grande encíclica social, a Rerum novarum. Na mudança de época que estamos a viver, a Santa Sé não pode deixar de fazer ouvir a sua voz perante os numerosos desequilíbrios e injustiças que conduzem, entre outras coisas, a condições indignas de trabalho e a sociedades cada vez mais fragmentadas e conflituosas. É necessário também esforçar-se para remediar as desigualdades globais, que veem a opulência e a indigência traçar sulcos profundos entre continentes, países e mesmo no interior de cada sociedade.
Cabe aos responsáveis governamentais esforçarem-se por construir sociedades civis harmoniosas e pacíficas. Isto pode ser feito, principalmente, investindo na família, fundada na união estável entre o homem e a mulher, uma “sociedade muito pequena certamente, mas real e anterior a toda a sociedade civil”[2]. Além disso, ninguém pode deixar de favorecer contextos em que a dignidade de cada pessoa é protegida, especialmente a das mais frágeis e indefesas, do nascituro ao idoso, do doente ao desempregado, seja ele cidadão ou imigrante.
A minha própria história é a de um cidadão, descendente de imigrantes, e também emigrado. Cada um de nós, ao longo da vida, pode encontrar-se saudável ou doente, empregado ou desempregado, na sua terra natal ou numa terra estrangeira: a nossa dignidade, no entanto, permanece sempre a mesma, a de uma criatura querida e amada por Deus.
A terceira palavra é verdade. Não é possível construir relações realmente pacíficas, mesmo no seio da comunidade internacional, sem a verdade. Quando as palavras assumem conotações ambíguas e ambivalentes e o mundo virtual, com a sua percepção alterada da realidade, ganha a dianteira sem medida, é difícil construir relações autênticas, uma vez que se perdem as premissas objetivas e reais da comunicação.
Por seu lado, a Igreja nunca se pode furtar a dizer a verdade sobre o homem e sobre o mundo, mesmo recorrendo, quando necessário, a uma linguagem franca, que pode provocar alguma incompreensão inicial. A verdade, porém, nunca está separada da caridade, que tem sempre na sua raiz a preocupação pela vida e pelo bem de cada homem e mulher. Além disso, na perspectiva cristã, a verdade não é a afirmação de princípios abstratos e desencarnados, mas o encontro com a própria pessoa de Cristo, que vive na comunidade dos crentes. Assim, a verdade não nos aliena, mas permite-nos enfrentar com maior vigor os desafios do nosso tempo, como as migrações, o uso ético da inteligência artificial e a preservação da nossa querida Terra. São desafios que exigem o empenho e a cooperação de todos, pois ninguém pode pensar em enfrentá-los sozinho.
Caros Embaixadores,
O meu ministério começa no coração de um ano jubilar, dedicado de modo especial à esperança. É um tempo de conversão e de renovação e, sobretudo, uma oportunidade para deixar para trás os conflitos e iniciar um novo caminho, animado pela esperança de poder construir, trabalhando juntos, cada um segundo as suas sensibilidades e responsabilidades, um mundo em que todos possam realizar a sua humanidade na verdade, na justiça e na paz. Espero que isto possa acontecer em todos os contextos, a começar pelos mais provados, como a Ucrânia e a Terra Santa.
Agradeço-vos por todo o trabalho que fazeis para construir pontes entre os vossos países e a Santa Sé e, de todo o coração, vos abençoo com as vossas famílias e os vossos povos. Obrigado!
[Bênção]
E obrigado por todo o trabalho que fazeis!
______________
[1]Mensagem Urbi et Orbi, 20 de abril de 2025.
[2] Leão XIII, Carta Encíclica.Rerum novarum, 15 de maio de 1891, 9.
[00546-PO.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Eminencjo,
Ekscelencje,
Panie i Panowie!
Pokój z wami!
Dziękuję Jego Ekscelencji Panu George’owi Poulidesowi, Ambasadorowi Republiki Cypryjskiej i Dziekanowi Korpusu Dyplomatycznego, za serdeczne słowa, które skierował do mnie w imieniu was wszystkich, a także za jego niestrudzoną pracę wykonywaną z energią, pasją i życzliwością, które go wyróżniają – przymiotami, które zjednały mu uznanie wszystkich moich Poprzedników, z którymi się spotykał w czasie lat jego misji pełnionej przy Stolicy Apostolskiej, a w szczególności nieodżałowanego Papieża Franciszka.
Ponadto, pragnę wyrazić wam wdzięczność za liczne życzenia, które otrzymałem po moim wyborze, jak również za poprzedzające je wyrazy współczucia z powodu śmierci Papieża Franciszka, które napłynęły także z krajów, z którymi Stolica Apostolska nie utrzymuje stosunków dyplomatycznych. Jest to znaczący wyraz szacunku, który zachęca do pogłębienia wzajemnych relacji.
Chciałbym, aby w naszym dialogu zawsze dominowało poczucie, że stanowimy rodzinę. Wspólnota dyplomatyczna reprezentuje bowiem całą rodzinę narodów, która dzieli radości i smutki życia oraz wartości ludzkie i duchowe, które ją ożywiają.
Dyplomacja papieska jest zatem wyrazem samej katolickości Kościoła i w swoim działaniu dyplomatycznym Stolica Apostolska kieruje się pilną potrzebą duszpasterską, która skłania ją nie do poszukiwania przywilejów, lecz do intensyfikowania swojej misji ewangelicznej w służbie ludzkości. Stolica Święta walczy zwszelkąobojętnością i nieustannie odwołuje się do sumień, tak jak niestrudzenie czynił to mój czcigodny Poprzednik, zawsze wrażliwy nawołanieubogich, potrzebujących i marginalizowanych, jak również na wyzwania,które naznaczają nasze czasy– od ochrony stworzenia po sztuczną inteligencję.
Wasza dzisiejsza obecność jest dla mnie nie tylko konkretnym wyrazemszacunkuwaszych krajówwobec Stolicy Apostolskiej. Jest takżedla mniedarem, który pozwala ponownie wyrazićwobec wasaspiracje Kościoła – a także moje osobiste – aby docierać i obejmować każdego człowieka i każdy naród tej ziemi, spragnionej i potrzebującej prawdy, sprawiedliwości i pokoju! W pewnym sensie, moje własne doświadczenie życiowe,które rozwijałosię pomiędzy Ameryką Północną, Ameryką Południową a Europą, stanowi odzwierciedlenie tego dążenia do przekraczania granic, aby spotykać różnych ludzi i kultury.
Poprzeznieustanną icierpliwą pracęSekretariatu Stanu pragnę umacniać wzajemne poznanie i dialog z wami oraz z waszymi krajami, z pośród których wiele mi już było dane odwiedzić w ciągu mojego życia, zwłaszcza gdy byłem Przeorem Generalnym Zakonu Augustianów. Ufam, że Boża Opatrzność obdarzy mnie kolejnymi sposobnościami do spotkania z rzeczywistościami, z których pochodzicie,pozwalającmi przyjmować nadarzające się okazje, byumacniaćw wierzewielu braci i sióstr, rozproszonychpo całym świecie, oraz budować nowe mosty ze wszystkimi ludźmi dobrej woli.
Chciałbym, abyśmy w naszym dialogu pamiętali o trzech kluczowych słowach, które stanowią filary działalności misyjnej Kościoła oraz pracy dyplomatycznej Stolicy Apostolskiej.
Pierwszym słowem jestpokój. Zbyt często traktujemy go jako pojęcie „negatywne”, rozumiane jedynie jako brak wojny i konfliktu, ponieważ przeciwstawianie się sobie leży w ludzkiej naturze i towarzyszy nam nieustannie,doprowadzającnas do życia w permanentnym „stanie konfliktu” – w domu, w pracy, w społeczeństwie. Pokój więc, wydaje się jedynie zwykłym rozejmem, przerwą na odpoczynek międzyjednym sporem a drugim, ponieważ – mimo wysiłków – napięciazawszesą obecne, niczym żar tlący się pod popiołem, gotowy w każdej chwili na nowo zapłonąć.
W perspektywie chrześcijańskiej – jak również w doświadczeniu innych religii – pokój jest przede wszystkim darem: pierwszym darem Chrystusa. „Pokój mój daję wam” (J14, 27). Jest to jednak dar aktywny, absorbujący, który dotyczy i angażuje każdego z nas, niezależnie od pochodzenia kulturowego czy przynależności religijnej, i który wymagaprzede wszystkim pracy nad sobą. Pokój buduje się w sercu i zaczynając od serca,wykorzeniając pychę i roszczenia,oraz ważąc słowa, ponieważ można ranić i zabijać, nie tylko bronią, ale i językiem.
W tej perspektywie,uważam za fundamentalny wkład, jaki religie oraz dialog międzyreligijny mogą wnieść wtworzenie warunków sprzyjających pokojowi. Oczywiście wymaga to pełnego poszanowania wolności religijnej w każdym kraju, ponieważ doświadczenie religijne jest fundamentalnym wymiarem osoby ludzkiej. Zaniedbanie tego wymiaru utrudnia,o ile wręcznie uniemożliwia, podjęcieowegooczyszczenia serca,niezbędnegodo budowania relacji pokoju.
Zaczynając od tej pracy, do której wszyscy jesteśmy powołani, można wykorzenić przyczyny każdego konfliktu i każdej destrukcyjnej chęci podboju. Wymaga torównieższczerej woli dialogu,ożywionej pragnieniemspotkania się, a nie starcia. W tej perspektywietrzeba dać nowy oddechdyplomacji multilateralnej oraztym instytucjom międzynarodowym, które zostały powołane i zaprojektowane przede wszystkim po to, by zapobiegać sporom,jakie mogą się pojawiaćw ramach wspólnoty międzynarodowej. Oczywiście potrzebna jest także wola zaprzestania produkcji narzędzi służących destrukcji i śmierci, gdyż, jak przypomniał Papież Franciszek w swoim ostatnim OrędziuUrbi et Orbi, „żaden pokój nie jest możliwy bez prawdziwego rozbrojenia, [a] potrzeba zapewnienia przez każdy naród swej obrony nie może przerodzić się w powszechny wyścig zbrojeń”[1].
Drugim słowem jestsprawiedliwość. Dążenie do pokoju wymaga praktykowania sprawiedliwości. Jak już miałem okazję wspomnieć, wybrałem sobie imię, mając przede wszystkim na myśli Leona XIII, Papieża pierwszej wielkiej encykliki społecznejRerum novarum. W momencie zmiany epoki, w którym żyjemy, Stolica Apostolska nie może uchylać się odzabieraniagłosu wobec licznych nierówności i niesprawiedliwości, które prowadzą między innymi do niegodnych warunków pracy oraz do corazbardziej podzielonych i skonfliktowanych społeczeństw. Należy ponadto podejmować wysiłki, by zaradzić globalnym nierównościom, w których bogactwo i nędza wyznaczają głębokie podziały pomiędzy kontynentami, państwami, a także wewnątrz poszczególnych społeczeństw.
Zadaniemosób odpowiedzialnych za sprawowanie władzy, jest podejmowanie starań na rzecz budowania harmonijnych i pokojowych społeczeństw obywatelskich. Można to osiągnąć przede wszystkim poprzezinwestowanie w rodzinę, opartą na trwałym związku mężczyzny i kobiety – to „społeczność domowa, jakkolwiek bardzo mała, jest jednak prawdziwą społecznością i jest starsza od wszelkiego państwa”[2]. Ponadto, nikt nie może uchylać się od wspierania takich działań, które chronią godność każdej osoby, zwłaszcza tych najsłabszych i bezbronnych: odnienarodzonegodziecka po osobę starszą, od chorego po bezrobotnego, niezależnie od tego, czy jest obywatelem, czy imigrantem.
Moja własna historia to historia obywatela, potomka imigrantów, który z kolei sam emigrował. Każdy z nas, w ciągu życia, może znaleźć się w sytuacji, gdy jest zdrowy lub chory, posiada pracę lub jestbezrobotny, jest w ojczyźnie lub na obcej ziemi: jednak jego godność pozostaje zawsze ta sama —godność stworzeniachcianego i umiłowanego przez Boga.
Trzecim słowem jestprawda. Nie można budować prawdziwie pokojowych relacji, także w ramach wspólnoty międzynarodowej, bez prawdy. Tam, gdzie słowanabierają konotacji dwuznacznych i ambiwalentnych, a świat wirtualny, wraz ze swoimzmutowanympostrzeganiem rzeczywistości, zaczyna panować bez kontroli, trudno jestbudowaćautentyczne relacje, ponieważ zanikają obiektywne i rzeczywiste podstawy komunikacji.
Ze swej strony, Kościół nigdy nie może uchylać się od mówienia prawdy o człowieku i świecie, sięgając, w razie potrzeby, po język stanowczy, który może wywołać na początku pewneniezrozumienie. Prawda jednak nigdy nie jest oderwana od miłości,u której korzeni zawsze leży troska o życie i dobro każdego mężczyzny i każdej kobiety. Ponadto, z perspektywy chrześcijańskiej, prawda nie jest afirmacją abstrakcyjnych i oderwanych od życia zasad, lecz spotkaniem z samą Osobą Chrystusa, który żyje we wspólnociewierzących. W ten sposób, prawda nas nie oddala, przeciwnie – pozwala nam z większą siłą stawić czoła wyzwaniom naszych czasów, takim jak migracje, etyczne wykorzystanie sztucznej inteligencji czy ochrona naszej ukochanej Ziemi. Są to wyzwania, które wymagają zaangażowania i współpracy wszystkich, ponieważ nikt nie może myśleć, że sam im sprosta.
Drodzy Ambasadorowie!
Moja posługa rozpoczyna się w centrum Roku Jubileuszowego,w szczególny sposóbpoświęconego nadziei. To czas nawrócenia i odnowy, a przede wszystkim okazja, aby zostawić za sobą spory i rozpocząć nową drogę, ożywieni nadzieją możliwości budowania – wspólnie pracując według swoich wrażliwości i odpowiedzialności – świata, w którym każdy będzie mógł realizować swoje człowieczeństwo w prawdzie, sprawiedliwości i pokoju. Mam nadzieję, że stanie się to we wszystkich środowiskach, począwszy od tych najbardziej doświadczonych, takich jak Ukraina i Ziemia Święta.
Dziękuję wam za całą pracę, jaką podejmujecie na rzecz budowania mostów między waszymi krajami a Stolicą Apostolską, i z całego serca błogosławię wam, waszym rodzinom oraz waszym narodom. Dziękuję!
[Błogosławieństwo]
I dziękuję za całą pracę, jaką wykonujecie!
______________
[1]OrędzieUrbi et Orbi(20 kwietnia 2025).
[2] Leon XIII, EncyklikaRerum novarum(15 maja 1891), 9.
[00546-PL.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
صاحب النيافة،
أصحاب السّعادة،
سيّداتي، سادتي،
السّلام لكم!
أشكر سعادة السّفير جورج بوليدِس (George Poulides)، سفير جمهوريّة قبرص وعميد السّلك الدّبلوماسي، على كلماته الطّيّبة التي وجّهها إليَّ، وعبّر بها باسمكم جميعًا عن مشاعركم، وأشكره على عمله الدّؤوب الذي استمرّ فيه، بالحيويّة والشّغف والُّلطف، وهي صفات ميّزته واستحقَّت له تقدير جميع أسلافي الذين التقاهم خلال سنوات رسالته لدى الكرسيّ الرّسوليّ، ولا سيّما البابا الرّاحل فرنسيس.
أودّ أيضًا أن أعبّر لكم عن امتناني لرسائل التّهنئة الكثيرة التي تلقّيتها بعد انتخابي، وكذلك لرسائل التّعزية بوفاة البابا فرنسيس التي سبقتها، والتي وصلت أيضًا من دول لا تُقيم علاقات دبلوماسيّة مع الكرسيّ الرّسوليّ. وهذا يدلّ على تقدير كبير يشجّع على تعميق العلاقات المتبادلة.
أودّ أن يسود حوارنا الشّعور بأنّنا عائلة واحدة — فالمجتمع الدّبلوماسيّ يمثّل عائلة الشّعوب كلّها — تتشارك في أفراح الحياة وأحزانها، والقيم الإنسانيّة والرّوحية التي تنبض فيها. في الواقع، الدّبلوماسيّة البابويّة هي تعبير عن كاثوليكيّة الكنيسة نفسها، والكرسيّ الرّسوليّ يقوم بعمله الدّبلوماسيّ، بدافع من المقتضيات الرّعويّة التي لا تبحث عن امتيازات، بل عن تعزيز رسالته الإنجيليّة في خدمة البشريّة. إنّه يجاهد ضدّ اللامبالاة ويُنادي الضّمائر بلا كلل، كما عمل سلفي الموقّر بلا تعب، وكان همّه الدّائم الانتباه إلى صراخ الفقراء والمحتاجين والمهمّشين، وكذلك إلى التّحدّيات التي تميّز عصرنا، من حماية الخليقة إلى الذّكاء الاصطناعيّ.
حضوركم اليوم، هو علامة عمليّة على اهتمام بلدانكم بالإصغاء إلى الكرسيّ الرّسوليّ، وهو أيضًا عطيّة لِي، تسمح لِي بأن أجدّد لكم تطلّعات الكنيسة — وتطلّعاتي الشّخصيّة — إلى الوصول إلى كلّ شعب وكلّ إنسان على هذه الأرض، يتوق ويحتاج إلى الحقيقة والعدل والسّلام! وإن خبرة حياتي الشّخصيّة، نوعًا ما، التي عشتها بين أمريكا الشّماليّة وأمريكا الجنوبيّة وأوروبّا، تجسّد هذا التطلّع إلى تجاوز الحدود ولقاء الأشخاص والثّقافات المختلفة.
بالعمل الدّائم والصّبور الذي تقوم به أمانة سرّ الدّولة، إنّي أعتزم تعزيز المعرفة والحوار معكم ومع بلدانكم، وقد سبق لي أنّي قمت بزيارة الكثير منها خلال حياتي، وخاصّة عندما كنت رئيسًا عامًّا للرّهبنة الأغسطينيّة. وأنا واثق أنّ العناية الإلهيّة ستمنحني فرصًا أخرى لألتقي بواقعكم في مختلف بلدانكم، وتمكنني من اغتنام الفرص التي ستُتاح لِي لتثبيت إيمان الإخوة والأخوات الكثيرين المنتشرين في جميع أنحاء العالم، ولبناء جسور جديدة مع جميع النّاس ذوي الإرادة الصّالحة.
أودّ في حوارنا أن نُركّز على ثلاث كلمات رئيسيّة، وهي ركائز عمل الكنيسة الرّسوليّ، ودبلوماسيّة الكرسيّ الرّسوليّ.
الكلمة الأولى هي السّلام. قد نعتبرها مرّاتٍ كثيرة بصورة ”سلبيّة“، فتعني مجرّد غياب الحرب والصّراع، إذ أنّ النّزاعات هي جزء من الطّبيعة البشريّة وترافقنا دائمًا، وتدفعنا مرارًا إلى أن نعيش في ”حالة صراع“ دائمة: في البيت، والعمل، والمجتمع. لذلك، يبدو السّلام هدنة بسيطة، أو فاصل راحة بين معركة وأخرى، لأنّه، مهما اجتهدنا، تبقى التّوتّرات حاضرة دائمًا، مثل الجمر تحت الرّماد، جاهز لأن يشتعل في كلّ وقت.
في المنظور المسيحيّ — وفي خبرات أديان أخرى أيضًا — السّلام هو أوّلًا عطيّة: أوّل عطيّة أعطانا إياها السّيّد المسيح: "سَلامي أُعْطيكم" (يوحنّا 14، 27). وهو عطيّة فعّالة، تُشرك الآخرين، وتهتمّ وتُلزم كلّ واحد منّا، بغضّ النّظر عن خلفيّته الثّقافيّة أو انتمائه الدّينيّ، وتتطلّب أوّلًا أن نعمل لنبدِّل أنفسنا. السّلام يُبنى في القلب وابتداءً من القلب، باقتلاع الكبرياء والانتقام، ويضبط اللسان، لأنّه يمكننا أن نجرح ونقتل بالكلام، ليس فقط بالسّلاح.
من هذا المنظور، أعتبر أنّ المساهمة التي يمكن للأديان والحوار بين الأديان أن تقدّمها لتعزيز مساحات السّلام هي أساسيّة. وهذا الأمر يتطلّب، بطبيعة الحال، احترامًا تامًّا للحرّيّة الدّينيّة في كلّ بلد، لأنّ الخبرة الدّينيّة هي بُعد أساسيّ في الكائن البشريّ، وبدونها يكون من الصّعب، إن لم يكن مستحيلًا، تحقيق تطهير القلب الضّروريّ لبناء علاقات سلميّة.
انطلاقًا من هذا العمل، ونحن كلّنا مدعوّون إلى القيام به، يمكن القضاء على مقدّمات كلّ صراع وكلّ رغبة مُدمرّة من أجل السّيطرة. هذا الأمر يتطلّب أيضًا إرادة صادقة للحوار، تدفعها الرّغبة إلى اللقاء أكثر منها إلى الصّدام. من هذا المنظور، من الضّروري إنعاش الدّبلوماسيّة متعدّدة الأطراف، والمؤسّسات الدّولية التي تمّ إنشاؤها أوّلًا لمعالجة النّزاعات التي يمكنها أن تنشأ داخل المجتمع الدوليّ. بالتّأكيد، يجب أن يكون هناك أيضًا الإرادة للتوقّف عن إنتاج أدوات الدّمار والموت، لأنّه، كما قال البابا فرنسيس في رسالته الأخيرة ”لمدينة روما وللعالم“، "لا يمكن تحقيق السّلام من دون نزعٍ حقيقيّ للسّلاح! حاجة كلّ شعب للدّفاع عن نفسه لا يمكن أن تتحوّل إلى سباق عامّ للتسلّح"[1].
الكلمة الثّانية هي العدل. السّعي إلى السّلام يتطلّب ممارسة العدل. وكما سبق أن أتيحت لي الفرصة وأشرت، فقد اخترت اسمي وأنا أفكّر أوّلًا في البابا لاوُن الثّالث عشر، البابا الذي أصدر أوّل رسالة بابويّة عامّة اجتماعيّة كبيرة، ”في الشّؤون الجديدة - Rerum novarum“. في زمن التّحوّل التّاريخي الذي نعيشه، لا يمكن للكرسيّ الرّسوليّ أن يتخلّى عن مسؤوليّته في رفع صوته في وجه الاختلالات الكثيرة والظّلم الذي يؤدّي، فيما يؤدّي إليه، إلى ظروف عمل لا تليق بالإنسان، وإلى مجتمعات منقسمة ومتصارعة بشكلٍ متزايد. ويجب علينا أيضًا أن نعمل لنعالج عدم المساواة على الصّعيد العالميّ، حيث نرى الثّراء والفقر يحفران أخاديد عميقة بين القارّات والدّول، وداخل المجتمع الواحد أيضًا.
من واجب المسؤولين في الحكومات أن يعملوا من أجل بناء مجتمعات مدنيّة متماسكة وسلمية. ويمكن أن يتحقّق هذا الأمر أوّلًا بالاستثمار في العائلة، القائمة على الاتّحاد الثّابت بين الرّجل والمرأة، "إنّها مجتمع صغير لكنّه حقيقيّ، وهي قبل كلّ مجتمع مدنيّ"[2]. بالإضافة إلى ذلك، لا يمكن لأحد ألّا يعمل لخلق ظروف تحمي كرامة كلّ إنسان، وخاصّة الأضعفين والعُزَّل، من الجنين الذي لم يولد بعد إلى المسنّين، ومن المريض إلى العاطل عن العمل، سواء كان مواطنًا أم مهاجرًا.
قصّتي أنا نفسي هي قصّة مواطن من نسل مهاجرين، وبدوري صرت مهاجرًا. كلّ واحد منّا، في مسيرة حياته، قد يجد نفسه سليمًا أو مريضًا، ويعمل أو عاطلًا عن العمل، وفي وطنه أو في بلد غريب: لكن كرامته تبقى دائمًا هي نفسها، كرامة مخلوق أراده الله وأحبّه.
الكلمة الثّالثة هي الحقيقة. لا يمكن بناء علاقات سلمية حقيقيّة، حتّى داخل المجتمع الدّولي، بدون الحقيقة. فعندما تصير الكلمات ملتبسة ومزدوجة المعاني، وحين يطغى العالم الافتراضي وتضعف فيه صلة الإنسان بالواقع، يصير من الصّعب بناء علاقات أصيلة، إذ تغيب مقومّات التّواصل الموضوعيّة والحقيقية.
أمّا الكنيسة، فلا يمكنها أبدًا أن تتخلّى عن قول الحقيقة بشأن الإنسان والعالم، وأن تستخدم حتّى لغة صريحة حين تقتضي الضّرورة، وإن تسبّب ذلك ببعض سوء الفهم في البداية. غير أنّ الحقيقة لا تنفصل عن المحبّة، وهي في أصلها تهتمّ دائمًا بحياة وخير كلّ إنسان. فالحقيقة، في النّظرة المسيحيّة، ليست مجرّد إعلان مبادئ تجريديّة ومنفصلة عن الواقع، بل هي لقاء شخصيّ مع المسيح الحيّ في جماعة المؤمنين. وهكذا، فإنّ الحقيقة لا تفرّقنا، بل تمنحنا القوّة لمواجهة تحديّات عصرنا بشكل أفضل، مثل الهجرة، والاستخدام الأخلاقي للذّكاء الاصطناعي، وحماية أرضنا الحبيبة. وهي تحديّات تتطلّب التزام الجميع وتعاونهم، لأنّه لا يمكن لأحد أن يفكّر في مواجهتها بمفرده.
السّفراء الأعزّاء،
تبدأ خدمتي في قلب سنة اليوبيل، المكرّسة بشكل خاص للرّجاء. إنّها زمن توبة وتجدّد، وقبل كلّ شيء فرصة لنبذ الصّراعات وبدء مسيرة جديدة، فيما يدفعنا الرّجاء لنبني ونعمل معًا، كلٌّ بحسب ميزاته ومسؤوليته، عالَمًا يمكن فيه لكلّ إنسان أن يحقّق إنسانيته في الحقّ والعدل والسّلام. وآمل أن يتحقّق ذلك في كلّ بيئة ومجال، بدءًا من أكثر البلدان ألمًا، مثل أوكرانيا والأرض المقدّسة.
أشكركم على كلّ ما تعملونه لبناء جسور بين بلدانكم والكرسيّ الرّسوليّ، وأبارككم من كلّ قلبي، أنتم وعائلاتكم وشعوبكم. شكرًا!
[البركة]
وشكرًا على كلّ ما تعملونه.
__________________
[1] بركة لمدينة روما وللعالم في مناسبة عيد الفصح، 20 نيسان/أبريل 2025.
[2] البابا لاوُن الثّالث عشر، الرّسالة البابويّة العامّة ”في الشّؤون الجديدة - Rerum novarum“، 15 أيّار/مايو 1891، 9.
[00546-AR.01] [Testo originale: Italiano]
[B0319-XX.02]