Messaggio del Santo Padre
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Traduzione in lingua araba
Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Santo Padre per la 59ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali sul tema: Condividete con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori (cfr 1Pt 3,15-16):
Messaggio del Santo Padre
Condividete con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori (cfr 1Pt 3,15-16)
Cari fratelli e sorelle!
In questo nostro tempo segnato dalla disinformazione e dalla polarizzazione, dove pochi centri di potere controllano una massa di dati e di informazioni senza precedenti, mi rivolgo a voi nella consapevolezza di quanto sia necessario – oggi più che mai – il vostro lavoro di giornalisti e comunicatori. C’è bisogno del vostro impegno coraggioso nel mettere al centro della comunicazione la responsabilità personale e collettiva verso il prossimo.
Pensando al Giubileo che celebriamo quest’anno come un periodo di grazia in un tempo così travagliato, vorrei con questo mio Messaggio invitarvi ad essere comunicatori di speranza, incominciando da un rinnovamento del vostro lavoro e della vostra missione secondo lo spirito del Vangelo.
Disarmare la comunicazione
Troppo spesso oggi la comunicazione non genera speranza, ma paura e disperazione, pregiudizio e rancore, fanatismo e addirittura odio. Troppe volte essa semplifica la realtà per suscitare reazioni istintive; usa la parola come una lama; si serve persino di informazioni false o deformate ad arte per lanciare messaggi destinati a eccitare gli animi, a provocare, a ferire. Ho già ribadito più volte la necessità di “disarmare” la comunicazione, di purificarla dall’aggressività. Non porta mai buoni frutti ridurre la realtà a slogan. Vediamo tutti come – dai talk show televisivi alle guerre verbali sui social media – rischi di prevalere il paradigma della competizione, della contrapposizione, della volontà di dominio e di possesso, della manipolazione dell’opinione pubblica.
C’è anche un altro fenomeno preoccupante: quello che potremmo definire della “dispersione programmata dell’attenzione” attraverso i sistemi digitali, che, profilandoci secondo le logiche del mercato, modificano la nostra percezione della realtà. Succede così che assistiamo, spesso impotenti, a una sorta di atomizzazione degli interessi, e questo finisce per minare le basi del nostro essere comunità, la capacità di lavorare insieme per un bene comune, di ascoltarci, di comprendere le ragioni dell’altro. Sembra allora che individuare un “nemico” contro cui scagliarsi verbalmente sia indispensabile per affermare sé stessi. E quando l’altro diventa “nemico”, quando si oscurano il suo volto e la sua dignità per schernirlo e deriderlo, viene meno anche la possibilità di generare speranza. Come ci ha insegnato don Tonino Bello, tutti i conflitti «trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti»[1]. Non possiamo arrenderci a questa logica.
Sperare, in realtà, non è affatto facile. Diceva Georges Bernanos che «sperano soltanto coloro che hanno avuto il coraggio di disperare delle illusioni e delle menzogne, nelle quali trovavano una sicurezza e che scambiavano falsamente per speranza. […] La speranza è un rischio che bisogna correre. È il rischio dei rischi»[2]. La speranza è una virtù nascosta, tenace e paziente. Tuttavia, per i cristiani sperare non è una scelta opzionale, ma una condizione imprescindibile. Come ricordava Benedetto XVI nell’Enciclica Spe salvi, la speranza non è passivo ottimismo ma, al contrario, una virtù “performativa”, capace cioè di cambiare la vita: «Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova» (n. 2).
Dare ragione con mitezza della speranza che è in noi
Nella Prima Lettera di Pietro (3,15-16) troviamo una sintesi mirabile in cui la speranza viene posta in connessione con la testimonianza e con la comunicazione cristiana: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto». Vorrei soffermarmi su tre messaggi che possiamo trarre da queste parole.
«Adorate il Signore, nei vostri cuori»: la speranza dei cristiani ha un volto, il volto del Signore risorto. La sua promessa di essere sempre con noi attraverso il dono dello Spirito Santo ci permette di sperare anche contro ogni speranza e di vedere le briciole di bene nascoste anche quando tutto sembra perduto.
Il secondo messaggio ci chiede di essere pronti a dare ragione della speranza che è in noi. È interessante notare che l’Apostolo invita a rendere conto della speranza «a chiunque vi domandi». I cristiani non sono anzitutto quelli che “parlano” di Dio, ma quelli che riverberano la bellezza del suo amore, un modo nuovo di vivere ogni cosa. È l’amore vissuto a suscitare la domanda ed esigere la risposta: perché vivete così? Perché siete così?
Nell’espressione di San Pietro troviamo, infine, un terzo messaggio: la risposta a questa domanda sia data «con dolcezza e rispetto». La comunicazione dei cristiani – ma direi anche la comunicazione in generale – dovrebbe essere intessuta di mitezza, di prossimità: lo stile dei compagni di strada, seguendo il più grande Comunicatore di tutti i tempi, Gesù di Nazaret, che lungo la strada dialogava con i due discepoli di Emmaus facendo ardere il loro cuore per come interpretava gli avvenimenti alla luce delle Scritture.
Sogno per questo una comunicazione che sappia renderci compagni di strada di tanti nostri fratelli e sorelle, per riaccendere in loro la speranza in un tempo così travagliato. Una comunicazione che sia capace di parlare al cuore, di suscitare non reazioni passionali di chiusura e rabbia, ma atteggiamenti di apertura e amicizia; capace di puntare sulla bellezza e sulla speranza anche nelle situazioni apparentemente più disperate; di generare impegno, empatia, interesse per gli altri. Una comunicazione che ci aiuti a «riconoscere la dignità di ogni essere umano e [a] prenderci cura insieme della nostra casa comune» (Lett. enc. Dilexit nos, 217).
Sogno una comunicazione che non venda illusioni o paure, ma sia in grado di dare ragioni per sperare. Martin Luther King ha detto: «Se posso aiutare qualcuno mentre vado avanti, se posso rallegrare qualcuno con una parola o una canzone... allora la mia vita non sarà stata vissuta invano»[3]. Per fare ciò dobbiamo guarire dalle “malattie” del protagonismo e dell’autoreferenzialità, evitare il rischio di parlarci addosso: il buon comunicatore fa sì che chi ascolta, legge o guarda possa essere partecipe, possa essere vicino, possa ritrovare la parte migliore di sé stesso ed entrare con questi atteggiamenti nelle storie raccontate. Comunicare così aiuta a diventare “pellegrini di speranza”, come recita il motto del Giubileo.
Sperare insieme
La speranza è sempre un progetto comunitario. Pensiamo per un momento alla grandezza del messaggio di questo anno di grazia: siamo invitati tutti – davvero tutti! – a ricominciare, a permettere a Dio di risollevarci, a lasciare che ci abbracci e ci inondi di misericordia. Si intrecciano in tutto questo la dimensione personale e quella comunitaria. Ci si mette in viaggio insieme, si compie il pellegrinaggio con tanti fratelli e sorelle, si attraversa insieme la Porta Santa.
Il Giubileo ha molte implicazioni sociali. Pensiamo ad esempio al messaggio di misericordia e speranza per chi vive nelle carceri, o all’appello alla vicinanza e alla tenerezza verso chi soffre ed è ai margini.
Il Giubileo ci ricorda che quanti si fanno operatori di pace «saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). E così ci apre alla speranza, ci indica l’esigenza di una comunicazione attenta, mite, riflessiva, capace di indicare vie di dialogo. Vi incoraggio perciò a scoprire e raccontare le tante storie di bene nascoste fra le pieghe della cronaca; a imitare i cercatori d’oro, che setacciano instancabilmente la sabbia alla ricerca della minuscola pepita. È bello trovare questi semi di speranza e farli conoscere. Aiuta il mondo ad essere un po’ meno sordo al grido degli ultimi, un po’ meno indifferente, un po’ meno chiuso. Sappiate sempre scovare le scintille di bene che ci permettono di sperare. Questa comunicazione può aiutare a tessere la comunione, a farci sentire meno soli, a riscoprire l’importanza del camminare insieme.
Non dimenticare il cuore
Cari fratelli e sorelle, di fronte alle vertiginose conquiste della tecnica, vi invito ad avere cura del vostro cuore, cioè della vostra vita interiore. Che cosa significa questo? Vi lascio alcune tracce.
Essere miti e non dimenticare mai il volto dell’altro; parlare al cuore delle donne e degli uomini al servizio dei quali state svolgendo il vostro lavoro.
Non permettere che le reazioni istintive guidino la vostra comunicazione. Seminare sempre speranza, anche quando è difficile, anche quando costa, anche quando sembra non portare frutto.
Cercare di praticare una comunicazione che sappia risanare le ferite della nostra umanità.
Dare spazio alla fiducia del cuore che, come un fiore esile ma resistente, non soccombe alle intemperie della vita ma sboccia e cresce nei luoghi più impensati: nella speranza delle madri che ogni giorno pregano per rivedere i propri figli tornare dalle trincee di un conflitto; nella speranza dei padri che migrano tra mille rischi e peripezie in cerca di un futuro migliore; nella speranza dei bambini che riescono a giocare, sorridere e credere nella vita anche fra le macerie delle guerre e nelle strade povere delle favelas.
Essere testimoni e promotori di una comunicazione non ostile, che diffonda una cultura della cura, costruisca ponti e penetri nei muri visibili e invisibili del nostro tempo.
Raccontare storie intrise di speranza, avendo a cuore il nostro comune destino e scrivendo insieme la storia del nostro futuro.
Tutto ciò potete e possiamo farlo con la grazia di Dio, che il Giubileo ci aiuta a ricevere in abbondanza. Per questo prego e benedico ciascuno di voi e il vostro lavoro.
Roma, San Giovanni in Laterano, 24 gennaio 2025, memoria di San Francesco di Sales.
FRANCESCO
_________________
[1] «La pace come ricerca del volto», in Omelie e scritti quaresimali, Molfetta 1994, 317.
[2] Georges Bernanos, La liberté, pour quoi faire?, Paris 1995, trad. it. “A che serve questa libertà”, in Lo spirito europeo e il mondo delle macchine, Milano 1972, 255-256.
[3] Sermone “The Drum Major Instinct”, 4 febbraio 1968.
[00139-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Partagez avec douceur l’espérance qui est dans vos cœurs (cf. 1P 3, 15-16)
Chers frères et sœurs,
en ces temps marqués par la désinformation et la polarisation, où quelques centres de pouvoir contrôlent une masse sans précédent de données et d’informations, je me tourne vers vous en sachant à quel point votre travail de journaliste et de communicateur est nécessaire, aujourd’hui plus que jamais. Nous avons besoin de votre engagement courageux pour mettre au centre de la communication la responsabilité personnelle et collective envers le prochain.
En pensant au Jubilé, que nous célébrons cette année comme un temps de grâce dans une époque très troublée, je voudrais vous inviter par ce message à être des communicateurs d’espérance, en commençant par un renouveau de votre travail et de votre mission selon l’esprit de l’Évangile.
Désarmer la communication
Trop souvent aujourd’hui, la communication ne suscite pas d’espérance, mais plutôt la peur et le désespoir, les préjugés et le ressentiment, le fanatisme et même la haine. Trop souvent, elle simplifie la réalité pour provoquer des réactions instinctives ; elle utilise la parole comme une lame ; elle se sert même à dessein d’informations fausses ou déformées pour envoyer des messages destinés à exciter, à provoquer, à blesser. J’ai déjà répété à plusieurs reprises qu’il est nécessaire de “désarmer” la communication, de la purifier de toute agressivité. Réduire la réalité à des slogans ne peut jamais apporter rien de bon. Nous voyons tous comment – à commencer par les débats télévisés aux joutes verbales sur les réseaux sociaux – le paradigme de la concurrence, de l’opposition, de la volonté de dominer et posséder, et de la manipulation de l’opinion publique risque de l’emporter.
Il y a aussi un autre phénomène inquiétant : celui que l’on pourrait appeler la “détournement programmé de l’attention” par le biais de systèmes numériques qui, en nous orientant selon les logiques du marché, modifient notre perception de la réalité. Nous assistons ainsi, souvent impuissants, à une sorte d’atomisation des intérêts qui finit par saper les fondements de notre appartenance à une communauté, la capacité de travailler ensemble pour un bien commun, de nous écouter et de comprendre les raisons de l’autre. Il semble donc que l’identification d’un “ennemi” contre lequel se déchaîner verbalement soit indispensable pour s’affirmer. Et quand l’autre devient un “ennemi”, quand son visage et sa dignité sont obscurcis pour se moquer de lui, la possibilité de générer de l’espérance disparaît également. Comme nous l’a enseigné Don Tonino Bello, tous les conflits « trouvent leur racine dans la disparition des visages ».[1] Nous ne pouvons pas accepter cette logique.
Espérer, en effet, n’est pas du tout facile. Georges Bernanos disait que « n’espèrent que ceux qui ont le courage de désespérer des illusions et des mensonges où ils trouvaient une sécurité qu’ils prenaient faussement pour de l’espérance. […] L’espérance est un risque à courir, c’est même le risque des risques ».[2] L’espérance est une vertu cachée, tenace et patiente. Cependant, pour les chrétiens, espérer n’est pas un choix facultatif, mais une condition irréductible. Comme l’a rappelé Benoît XVI dans l’encyclique Spe salvi, l’espérance n’est pas un optimisme passif mais, au contraire, une vertu “performative”, capable de changer la vie : « Celui qui a l’espérance vit différemment ; une vie nouvelle lui a déjà été donnée » (n. 2).
Rendre raison avec douceur de l’espérance qui est en nous
Nous trouvons dans la première lettre de Pierre une synthèse admirable dans laquelle l’espérance est mise en relation avec le témoignage et la communication chrétienne : « Honorez dans vos cœurs la sainteté du Seigneur, le Christ. Soyez prêts à tout moment à présenter une défense devant quiconque vous demande de rendre raison de l’espérance qui est en vous ; mais faites-le avec douceur et respect » (3, 15-16). Je voudrais m’arrêter sur trois messages que nous pouvons tirer de ces paroles.
« Honorez dans vos cœurs la sainteté du Seigneur » : l’espérance des chrétiens a un visage, celui du Seigneur ressuscité. Sa promesse d’être toujours avec nous par le don de l’Esprit Saint nous permet d’espérer même contre toute espérance et de voir les miettes de bien cachées même quand tout semble perdu.
Le deuxième message nous demande d’être prêts à rendre raison de l’espérance qui est en nous. Il est intéressant de noter que l’apôtre nous invite à rendre compte de l’espérance « devant quiconque nous demande ». Les chrétiens ne sont pas d’abord ceux qui “parlent” de Dieu, mais ceux qui reflètent la beauté de son amour, une nouvelle façon de vivre toute chose. C’est l’amour vécu qui suscite la question et exige la réponse : pourquoi vivez-vous ainsi ? Pourquoi êtes-vous ainsi ?
Dans l’expression de saint Pierre, nous trouvons enfin un troisième message : la réponse à cette question doit être donnée « avec douceur et respect ». La communication des chrétiens - mais je dirais aussi la communication en général - devrait être tissée de douceur, de proximité : le style des compagnons de route, suivant le plus grand Communicateur de tous les temps, Jésus de Nazareth qui dialoguait le long de la route avec les deux disciples d’Emmaüs, faisant brûler leur cœur par la manière dont il interprétait les événements à la lumière des Écritures.
C’est pourquoi je rêve d’une communication capable de faire de nous les compagnons de route de nombreux frères et sœurs, de raviver en eux l’espérance en ces temps troublés. Une communication capable de parler au cœur, de susciter non pas des réactions passionnées de fermeture et de colère, mais des attitudes d’ouverture et d’amitié ; capable de mettre en valeur la beauté et l’espérance, même dans les situations apparemment les plus désespérées ; capable de susciter l’engagement, l’empathie, l’intérêt pour les autres. Une communication qui nous aide à « reconnaître la dignité de tout être humain et à prendre soin ensemble de notre maison commune » (Lett. enc. Dilexit nos, n. 217).
Je rêve d’une communication qui ne vende pas d’illusions ni de peurs, mais qui soit capable de donner des raisons d’espérer. Martin Luther King a dit : « Si je peux aider quelqu’un en chemin, si je peux réconforter quelqu’un avec un mot ou une chanson... alors ma vie n’aura pas été vécue en vain ».[3] Pour ce faire, nous devons guérir les “maladies” du protagonisme et de l’autoréférentialité, éviter le risque de mal parler les uns des autres : le bon communicateur fait en sorte que ceux qui écoutent, lisent ou regardent puissent prendre part, être proches, trouver le meilleur d’eux-mêmes et entrer avec ces attitudes dans les histoires qui leur sont racontées. Communiquer de cette manière aide à devenir des “pèlerins de l’espérance”, selon la devise du Jubilé.
Espérer ensemble
L’espérance est toujours un projet communautaire. Pensons un instant à la grandeur du message de cette année de grâce : nous sommes tous invités - vraiment tous ! - à recommencer, à laisser Dieu nous relever, à le laisser nous embrasser et nous combler de miséricorde. Les dimensions personnelle et communautaire sont imbriquées dans tout cela. Nous nous mettons en route ensemble, nous faisons le pèlerinage avec de nombreux frères et sœurs, nous franchissons la Porte Sainte ensemble.
Le Jubilé a de nombreuses implications sociales. Pensons par exemple au message de miséricorde et d’espérance pour ceux qui vivent dans les prisons, ou encore à l’appel à la proximité et à la tendresse envers ceux qui souffrent et sont en marge de la société. Le Jubilé nous rappelle que ceux qui deviennent des artisans de paix « seront appelés fils de Dieu » (Mt 5, 9). Il nous ouvre donc à l’espérance, il nous montre la nécessité d’une communication attentive, douce, réfléchie, capable d’indiquer des voies de dialogue. Je vous encourage donc à découvrir et à raconter les multiples histoires porteuses de bien, cachées dans les plis de l’actualité ; à imiter les chercheurs d’or qui tamisent inlassablement le sable à la recherche de la minuscule pépite. Il est bon de trouver ces semences d’espérance et de les faire connaître. Cela aide le monde à être un peu moins sourd au cri des plus petits, un peu moins indifférent, un peu moins fermé. Sachez toujours trouver les étincelles de bien qui nous permettent d’espérer. Cette communication peut aider à tisser la communion, à nous faire sentir moins seuls, à redécouvrir l’importance de marcher ensemble.
Ne pas oublier le cœur
Chers frères et sœurs, face aux conquêtes vertigineuses de la technologie, je vous invite à prendre soin de votre cœur, c’est-à-dire de votre vie intérieure. Qu’est-ce que cela signifie ? Je vous laisse quelques pistes.
Soyez doux et n’oubliez jamais le visage de l’autre ; parlez au cœur des femmes et des hommes au service desquels vous faites votre travail.
Ne laissez pas les réactions instinctives guider votre communication. Semez toujours l’espérance, même si c’est difficile, même si cela coûte, même si cela semble ne pas porter de fruits.
Essayez de pratiquer une communication qui sache guérir les blessures de notre humanité.
Faites place à la confiance du cœur qui, comme une fleur fragile mais résistante, résiste aux tempêtes de la vie et s’épanouit dans les endroits les plus inattendus : l’espérance des mères qui prient chaque jour pour voir revenir leurs enfants des tranchées d’un conflit ; l’espérance des pères qui émigrent au milieu de mille risques et vicissitudes à la recherche d’un avenir meilleur ; l’espérance des enfants qui parviennent à jouer, à sourire et à croire en la vie même au milieu des décombres des guerres et dans les rues pauvres des favelas.
Soyez les témoins et les promoteurs d’une communication non hostile, diffusant une culture de l’attention, construisant des ponts et transperçant les murs visibles et invisibles de notre époque.
Racontez des histoires pleines d’espérance, en prenant à cœur notre destin commun et en écrivant ensemble l’histoire de notre avenir.
Tout cela, vous pouvez et nous pouvons le faire avec la grâce de Dieu que le Jubilé nous aide à recevoir en abondance. Je prie pour cela et je bénis chacun d’entre vous ainsi que votre travail.
Rome, Saint-Jean-de-Latran, 24 janvier 2025, Mémoire de saint François de Sales.
FRANÇOIS
____________
[1] «La pace come ricerca del volto», in Omelie e scritti quaresimali, Molfetta 1994, 317.
[2] Georges Bernanos, La liberté, pour quoi faire, Paris 1995.
[3] Sermon « L’instinct du tambour-major », 4 février 1968.
[00139-FR.01] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Share with gentleness the hope that is in your hearts (cf. 1 Pet 3:15-16)
Dear brothers and sisters!
In these our times, characterized by disinformation and polarization, as a few centres of power control an unprecedented mass of data and information, I would like to speak to you as one who is well aware of the importance – now more than ever – of your work as journalists and communicators. Your courageous efforts to put personal and collective responsibility towards others at the heart of communication are indeed necessary.
As I reflect on the Jubilee we are celebrating this year as a moment of grace in these troubled times, I would like in this Message to invite you to be “communicators of hope”, starting from a renewal of your work and mission in the spirit of the Gospel.
Disarming communication
Too often today, communication generates not hope, but fear and despair, prejudice and resentment, fanaticism and even hatred. All too often it simplifies reality in order to provoke instinctive reactions; it uses words like a razor; it even uses false or artfully distorted information to send messages designed to agitate, provoke or hurt. On several occasions, I have spoken of our need to “disarm” communication and to purify it of aggressiveness. It never helps to reduce reality to slogans. All of us see how – from television talk shows to verbal attacks on social media – there is a risk that the paradigm of competition, opposition, the will to dominate and possess, and the manipulation of public opinion will prevail.
There is also another troubling phenomenon: what we might call the “programmed dispersion of attention” through digital systems that, by profiling us according to the logic of the market, modify our perception of reality. As a result, we witness, often helplessly, a sort of atomization of interests that ends up undermining the foundations of our existence as community, our ability to join in the pursuit of the common good, to listen to one another and to understand each other’s point of view. Identifying an “enemy” to lash out against thus appears indispensable as a way of asserting ourselves. Yet when others become our “enemies”, when we disregard their individuality and dignity in order to mock and deride them, we also lose the possibility of generating hope. As Don Tonino Bello observed, all conflicts “start when individual faces melt away and disappear”.[1] We must not surrender to this mindset.
Hope, in fact, is not something easy. Georges Bernanos once said that, “only those are capable of hope, who have had the courage to despair of the illusions and lies in which they once found security and which they falsely mistook for hope... Hope is a risk that must be taken. It is the risk of risks”.[2] Hope is a hidden virtue, tenacious and patient. For Christians, it is not an option but a necessary condition. As Pope Benedict XVI noted in the Encyclical Spe Salvi, hope is not passive optimism but, on the contrary, a “performative” virtue capable of changing our lives: “The one who has hope lives differently; the one who hopes has been granted the gift of a new life’ (No. 2).
Accounting with gentleness for the hope that is in us
In the First Letter of Peter (3:15-16), we find an admirable synthesis in which hope is linked to Christian witness and communication: “In your hearts sanctify Christ as Lord. Always be ready to make your defense to anyone who demands from you an accounting for the hope that is in you; yet do it with gentleness and reverence”. I would like to dwell on three messages that we can glean from these words.
“In your hearts sanctify Christ as Lord”. The hope of Christians has a face, the face of the risen Lord. His promise to remain always with us through the gift of the Holy Spirit enables us to hope even against all hope, and to perceive the hidden goodness quietly present even when all else seems lost.
The second message is that we should be prepared to explain the hope that is in us. Significantly, the Apostle tells us to give an accounting of our hope “to anyone who demands” it. Christians are not primarily people who “talk about” God, but who resonate with the beauty of his love and a new way of experiencing everything. Theirs is a lived love that raises the question and calls for an answer: Why do you live like this? Why are you like this?
In Saint Peter’s words, we find, finally, a third message: our response to this question is to be made “with gentleness and reverence”. Christian communication – but I would also say communication in general – should be steeped in gentleness and closeness, like the talk of companions on the road. This was the method of the greatest communicator of all time, Jesus of Nazareth, who, as he walked alongside the two disciples of Emmaus, spoke with them and made their hearts burn within them as he interpreted events in the light of the Scriptures.
I dream of a communication capable of making us fellow travelers, walking alongside our brothers and sisters and encouraging them to hope in these troubled times. A communication capable of speaking to the heart, arousing not passionate reactions of defensiveness and anger, but attitudes of openness and friendship. A communication capable of focusing on beauty and hope even in the midst of apparently desperate situations, and generating commitment, empathy and concern for others. A communication that can help us in “recognizing the dignity of each human being, and [in] working together to care for our common home” (Dilexit Nos, 217).
I dream of a communication that does not peddle illusions or fears, but is able to give reasons for hope. Martin Luther King once said: “If I can help someone as I pass along, if I can cheer somebody with a word or song... then my living will not be in vain”.[3] To do this, though, we must be healed of our “diseases” of self-promotion and self-absorption, and avoid the risk of shouting over others in order to make our voices heard. A good communicator ensures that those who listen, read or watch can be involved, can draw close, can get in touch with the best part of themselves and enter with these attitudes into the stories told. Communicating in this way helps us to become “pilgrims of hope”, which is the motto of the present Jubilee.
Hoping together
Hope is always a community project. Let us think for a moment of the grandeur of the message offered by this Year of Grace. We are all invited – all of us! – to start over again, to let God lift us up, to let him embrace us and shower us with mercy. In this regard, the personal and communal aspects are inseparably connected: we set out together, we journey alongside our many brothers and sisters, and we pass through the Holy Door together.
The Jubilee has many social implications. We can think, for example, of its message of mercy and hope for those who live in prisons, or its call for closeness and tenderness towards those who suffer and are on the margins. The Jubilee reminds us that those who are peacemakers “will be called children of God” (Mt 5:9), and in this way it inspires hope, points us to the need for an attentive, gentle and reflective communication, capable of pointing out paths of dialogue. For this reason, I encourage you to discover and make known the many stories of goodness hidden in the folds of the news, imitating those gold-prospectors who tirelessly sift the sand in search of a tiny nugget. It is good to seek out such seeds of hope and make them known. It helps our world to be a little less deaf to the cry of the poor, a little less indifferent, a little less closed in on itself. May you always find those glimmers of goodness that inspire us to hope. This kind of communication can help to build communion, to make us feel less alone, to rediscover the importance of walking together.
Do not forget the heart
Dear brothers and sisters, in the face of the astonishing achievements of technology, I encourage you to care for your heart, your interior life. What does that mean? Let me offer you a few thoughts.
Be meek and never forget the faces of other people; speak to the hearts of the women and men whom you serve in carrying out your work.
Do not allow instinctive reactions to guide your communication. Always spread hope, even hen it is difficult, even when it costs, even when it seems not to bear fruit.
Try to promote a communication that can heal the wounds of our humanity.
Make room for the heartfelt trust that, like a slender but resistant flower, does not succumb to the ravages of life, but blossoms and grows in the most unexpected places. It is there in the hope of those mothers who daily pray to see their children return from the trenches of a conflict, and in the hope of those fathers who emigrate at great risk in search of a better future. It is also there in the hope of those children who somehow manage to play, laugh and believe in life even amid the debris of war and in the impoverished streets of favelas.
Be witnesses and promoters of a non-aggressive communication; help to spread a culture of care, build bridges and break down the visible and invisible barriers of the present time.
Tell stories steeped in hope, be concerned about our common destiny and strive to write together the history of our future.
All this you can do, and we can do, with God’s grace, which the Jubilee helps us to receive in abundance. This is my prayer, and with it, I bless each of you and your work.
Rome, Saint John Lateran, 24 January 2025, Memorial of Saint Francis de Sales.
FRANCIS
__________________
[1] “La pace come ricerca del volto”, in Omelie e scritti quaresimali, Molfetta 1994, 317.
[2] La liberté, pour quoi faire?, Paris 1995.
[3] “The Drum Major Instinct”, Sermon (4 February 1968).
[00139-EN.01] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Sprecht mit Güte von der Hoffnung, die eure Herzen erfüllt
(vgl. 1 Petr 3,15-16)
Liebe Brüder und Schwestern!
In unserer von Desinformation und Polarisierung geprägten Zeit, in der einige wenige Machtzentren eine noch nie dagewesene Menge an Daten und Informationen kontrollieren, wende ich mich an euch, weil ich weiß, wie sehr eure Arbeit als Journalisten und Kommunikatoren gebraucht wird – heute mehr denn je. Wir brauchen euer mutiges Engagement, um die persönliche und gemeinschaftliche Verantwortung für andere in den Mittelpunkt der Kommunikation zu stellen.
Angesichts des Heiligen Jahres, das wir inmitten dieser aufgewühlten Zeiten als eine Gnadenzeit begehen, möchte ich euch mit dieser Botschaft aufrufen, Hoffnung zu kommunizieren, und dazu eure Arbeit und eure Aufgabe neu vom Geist des Evangeliums inspirieren zu lassen.
Die Kommunikation entschärfen
Allzu oft erzeugt die Kommunikation heute nicht Hoffnung, sondern Angst und Verzweiflung, Vorurteile und Ressentiments, Fanatismus und sogar Hass. Allzu oft vereinfacht sie die Wirklichkeit, um instinktive Reaktionen hervorzurufen. Sie benutzt Worte wie eine Klinge; sie bedient sie sich sogar falscher oder absichtlich verzerrter Informationen, um Botschaften zu verbreiten, die die Gemüter erregen, die provozieren, die verletzen sollen. Ich habe bereits mehrfach betont, wie wichtig es ist, die Kommunikation zu „entschärfen“, sie von Aggressivität zu befreien. Es führt nie zu guten Ergebnissen, die Wirklichkeit auf Slogans zu reduzieren. Wir alle sehen, wie – von den Fernseh-Talkshows bis hin zu den verbalen Kriegen in den sozialen Medien – das Paradigma des Konkurrenzdenkens, des Gegeneinanders, des Herrschafts- und Besitzstrebens und der Manipulation der öffentlichen Meinung die Oberhand zu gewinnen droht.
Es gibt noch ein weiteres besorgniserregendes Phänomen, das wir als „planmäßige Zerstreuung der Aufmerksamkeit“ durch digitale Systeme bezeichnen könnten, die unsere Wahrnehmung der Wirklichkeit verändern, indem sie von uns ein Profil nach der Logik des Marktes erstellen. So kommt es, dass wir – oft hilflos – einer Art Atomisierung der Interessen beiwohnen, was letztendlich die Seinsgrundlagen der Gemeinschaft untergräbt, nämlich die Fähigkeit, für das gemeinsame Wohl zusammenzuarbeiten, einander zuzuhören und die Beweggründe des jeweils anderen zu verstehen. Es scheint dann unerlässlich, einen „Feind“ zu identifizieren, gegen den man verbal losschlagen kann, um sich selbst zu behaupten. Und wenn der andere zum „Feind“ wird, wenn sein Angesicht und seine Würde verdunkelt werden, um ihn zu verspotten und zu verhöhnen, dann wird es immer weniger möglich, Hoffnung aufkommen zu lassen. Wie Don Tonino Bello uns gelehrt hat, haben alle Konflikte »ihre Wurzel im Ausblenden der Gesichter«[1]. Wir dürfen uns dieser Logik nicht ergeben.
Zu hoffen ist wirklich gar nicht einfach. Georges Bernanos sagte, dass »nur diejenigen hoffen, die den Mut gehabt haben, an jenen Illusionen und Lügen zu verzweifeln, in denen sie eine Sicherheit gefunden hatten, die sie fälschlicherweise für Hoffnung hielten. […] Die Hoffnung ist ein Risiko, das man eingehen muss, sie ist das Risiko aller Risiken«[2]. Die Hoffnung ist eine verborgene Tugend, sie ist widerstandsfähig und geduldig. Für Christen ist die Hoffnung jedoch keine bloße Option, sondern eine unabdingbare Voraussetzung. Wie Benedikt XVI. in der Enzyklika Spe salvi in Erinnerung gerufen hat, ist die Hoffnung kein passiver Optimismus, sondern im Gegenteil eine „performative“ Tugend, die das Leben also verändern kann: »Wer Hoffnung hat, lebt anders; ihm ist ein neues Leben geschenkt worden« (Nr. 2).
Gütig über die Hoffnung Rechenschaft ablegen, die uns erfüllt
Im Ersten Petrusbrief (vgl. 3,15-16) finden wir eine wunderbare Synthese, in der die Hoffnung mit dem christlichen Zeugnis und der christlichen Kommunikation in Verbindung gebracht wird: »Heiligt vielmehr in eurem Herzen Christus, den Herrn! Seid stets bereit, jedem Rede und Antwort zu stehen, der von euch Rechenschaft fordert über die Hoffnung, die euch erfüllt; antwortet aber bescheiden und ehrfürchtig«. Ich möchte auf drei Botschaften eingehen, die wir diesen Worten entnehmen können.
»Heiligt in eurem Herzen den Herrn«: Die Hoffnung der Christen hat ein Gesicht, das Gesicht des auferstandenen Herrn. Sein Versprechen, durch die Gabe des Heiligen Geistes immer bei uns zu sein, erlaubt es uns, auch gegen alle Hoffnung zu hoffen und die verborgenen Reste des Guten zu sehen, selbst wenn alles verloren zu sein scheint.
Die zweite Botschaft fordert uns auf, bereit zu sein, Rechenschaft über die Hoffnung abzulegen, die uns erfüllt. Es ist interessant, dass der Apostel dazu aufruft, einem jedem bezüglich der Hoffnung Rede und Antwort zu stehen, »der von euch Rechenschaft fordert«. Christen sind nicht in erster Linie diejenigen, die von Gott „sprechen“, sondern diejenigen, die die Schönheit seiner Liebe widerspiegeln, welche alles auf eine neue Art erleben lässt. Es ist die gelebte Liebe, die die Frage hervorruft und die Antwort darauf verlangt: Warum lebt ihr so? Warum seid ihr so?
In der Aussage des heiligen Petrus finden wir schließlich noch eine dritte Botschaft: Die Antwort auf diese Frage sollte »bescheiden und ehrfürchtig« gegeben werden. Die Kommunikation der Christen – aber ich würde auch sagen, die Kommunikation im Allgemeinen – soll von Güte geprägt sein, von Nähe. So wie unter Weggefährten, nach dem Beispiel des größten Kommunikators aller Zeiten, Jesus von Nazaret, der unterwegs mit den beiden Emmaus-Jüngern sprach und ihre Herzen brennen ließ durch die Art und Weise, wie er die Ereignisse im Licht der Heiligen Schrift deutete.
Deshalb träume ich von einer Kommunikation, die es versteht, uns zu Weggefährten unserer vielen Brüder und Schwestern zu machen, um in solch aufgewühlten Zeiten wieder Hoffnung in ihnen zu entfachen. Ich träume von einer Kommunikation, die das Herz ansprechen kann, die aber nicht die leidenschaftliche Reaktion der Verschlossenheit und des Zorns hervorruft, sondern eine Haltung der Offenheit und der Freundschaft; die selbst in den scheinbar verzweifeltsten Situationen den Blick auf die Schönheit und die Hoffnung lenken kann; die im Stande ist, Engagement, Einfühlungsvermögen und Interesse an den anderen zu wecken. Eine Kommunikation, die uns hilft, »die Würde jedes Menschen anzuerkennen und zusammen für unser gemeinsames Haus Sorge zu tragen« (Enzyklika Dilexit nos, 217).
Ich träume von einer Kommunikation, die keine Illusionen oder Ängste verkauft, sondern in der Lage ist, Gründe der Hoffnung zu geben. Martin Luther King sagte: »Wenn ich jemand helfen kann auf meinem Weg, wenn ich jemand aufmuntern kann, mit einem Wort oder einem Lied, […] dann wird mein Leben nicht vergeblich sein«[3]. Um dies zu erreichen, müssen wir von den „Krankheiten“ des Geltungsdrangs und der Selbstbezogenheit genesen und das Risiko vermeiden, hohle Phrasen zu dreschen. Ein guter Kommunikator sorgt dafür, dass diejenigen, die zuhören, lesen oder zuschauen, teilhaben können, nahe sein können, das Gute, das in ihnen steckt, finden und mit dieser Haltung an den erzählten Geschichten teilhaben können. Auf diese Weise zu kommunizieren hilft uns dabei, „Pilger der Hoffnung“ zu werden, wie es im Motto des Heiligen Jahres heißt.
Gemeinsam hoffen
Die Hoffnung ist immer ein Gemeinschaftsprojekt. Denken wir einen Augenblick an die Größe der Botschaft dieses Gnadenjahres: Wir alle – wirklich alle! – sind aufgerufen, von neuem zu beginnen, Gott zu erlauben, uns wiederaufzurichten, zuzulassen, dass er uns umarmt und uns mit Barmherzigkeit überschüttet. In all dem verflechten sich die persönliche und die gemeinschaftliche Dimension. Wir machen uns gemeinsam auf den Weg, wir pilgern mit vielen Brüdern und Schwestern, wir gehen gemeinsam durch die Heilige Pforte.
Das Heilige Jahr hat viele gesellschaftliche Auswirkungen. Denken wir beispielsweise an die Botschaft der Barmherzigkeit und der Hoffnung für diejenigen, die in Gefängnissen leben, oder an den Aufruf zu Nähe und Güte gegenüber denjenigen, die leiden und am Rande stehen. Das Heilige Jahr erinnert uns daran, dass diejenigen, die Frieden stiften, »Kinder Gottes genannt werden« (Mt 5,9). Und so öffnet es uns für die Hoffnung, weist uns auf die Notwendigkeit einer aufmerksamen, sanften und nachdenklichen Kommunikation hin, die Wege zum Dialog aufzeigen kann. Ich möchte euch daher ermutigen, die vielen Geschichten des Guten, die zwischen den Zeilen der Nachrichten verborgen sind, zu entdecken und zu erzählen; die Goldgräber nachzuahmen, die unermüdlich den Sand auf der Suche nach einem winzigen Nugget durchsieben. Es ist schön, diese Samen der Hoffnung zu finden und sie bekannt zu machen. Das hilft der Welt, etwas weniger taub für den Schrei der Geringsten zu sein, etwas weniger gleichgültig, etwas weniger verschlossen. Wisst stets, die Funken des Guten zu finden, die es uns ermöglichen, zu hoffen. Eine solche Kommunikation kann dazu beitragen, Gemeinschaft zu schaffen, uns weniger allein zu fühlen und die Bedeutung des gemeinsamen Unterwegsseins wiederzuentdecken.
Das Herz nicht vergessen
Liebe Brüder und Schwestern, angesichts der atemberaubenden Errungenschaften der Technik lade ich euch ein, auf euer Herz zu achten, das heißt, auf euer Inneres. Was bedeutet das? Ich gebe euch ein paar Hinweise mit auf den Weg.
Gütig zu sein und nie das Gesicht des anderen zu vergessen; zum Herzen der Frauen und Männer zu sprechen, für die ihr eure Arbeit verrichtet.
Nicht zuzulassen, dass instinktive Reaktionen eure Kommunikation leiten. Stets Hoffnung zu säen, auch wenn es schwierig ist, auch wenn es etwas kostet, auch wenn es keine Früchte zu tragen scheint.
Eine Kommunikation zu praktizieren, die versucht, die Wunden unserer Menschheit zu heilen.
Dem Vertrauen des Herzens Raum zu geben, das wie eine zarte, aber widerstandsfähige Blume ist, die in den Widrigkeiten des Lebens nicht zugrunde geht, sondern an unerwarteten Orten erblüht und wächst: In der Hoffnung von Müttern, die jeden Tag beten, dass ihre Kinder aus den Schützengräben zurückkehren; in der Hoffnung von Vätern, die inmitten von tausend Risiken und Schicksalsschlägen auf der Suche nach einer besseren Zukunft migrieren; in der Hoffnung von Kindern, die es schaffen, selbst inmitten der Trümmer von Kriegen und in den armen Straßen von Favelas zu spielen, zu lächeln und an das Leben zu glauben.
Zeugen und Förderer einer nicht feindseligen Kommunikation zu sein, die eine Kultur der Fürsorge verbreitet, Brücken errichtet und die sichtbaren und unsichtbaren Mauern unserer Zeit durchdringt.
Geschichten zu erzählen, die von Hoffnung durchtränkt sind, weil uns das gemeinsame Schicksal am Herzen liegt und wir gemeinsam an der Geschichte unserer Zukunft schreiben.
All dies könnt ihr und können wir mit Gottes Gnade tun, die wir in diesem Heiligen Jahr im Übermaß empfangen können. Dafür bete ich und segne einen jeden von euch und eure Arbeit.
Rom, Sankt Johannes im Lateran, 24. Januar 2025, Gedenktag des Heiligen Franz von Sales.
FRANZISKUS
__________________________
[1] »La pace come ricerca del volto«, in Omelie e scritti quaresimali, Molfetta 1994, 317.
[2] Georges Bernanos, La liberté, pour quoi faire?, Paris 1995.
[3] Predigt “The Drum Major Instinct”, 4. Februar 1968.
[00139-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Compartan con mansedumbre la esperanza que hay en sus corazones (cf. 1 P 3,15-16)
Queridos hermanos y hermanas:
En nuestro tiempo, marcado por la desinformación y la polarización, donde pocos centros de poder controlan un volumen de datos e informaciones sin precedentes, me dirijo a ustedes convencido de cuán necesario —hoy más que nunca— sea su trabajo como periodistas y comunicadores. Su valiente compromiso es indispensable para poner en el centro de la comunicación la responsabilidad personal y colectiva hacia el prójimo.
Pensando en el Jubileo que celebramos este año como un período de gracia en un tiempo tan turbulento, quisiera con este Mensaje invitarlos a ser comunicadores de esperanza, comenzando por una renovación de su trabajo y misión según el espíritu del Evangelio.
Desarmar la comunicación
Hoy en día, con mucha frecuencia la comunicación no genera esperanza, sino miedo y desesperación, prejuicio y rencor, fanatismo e incluso odio. Muchas veces se simplifica la realidad para suscitar reacciones instintivas; se usa la palabra como un puñal; se utiliza incluso informaciones falsas o deformadas hábilmente para lanzar mensajes destinados a incitar los ánimos, a provocar, a herir. Ya he afirmado en varias ocasiones la necesidad de “desarmar” la comunicación, de purificarla de la agresividad. Reducir la realidad a un slogan nunca produce buenos frutos. Todos vemos cómo —desde los programas de entrevistas hasta las guerras verbales en las redes sociales— amenaza con prevalecer el paradigma de la competencia, de la contraposición, de la voluntad de dominio y posesión, de manipulación de la opinión pública.
Existe también otro fenómeno preocupante, que podríamos definir como la “dispersión programada de la atención” a través de los sistemas digitales, que, al perfilarnos según las lógicas del mercado, modifican nuestra percepción de la realidad. De esa manera asistimos, a menudo impotentes, a una especie de atomización de los intereses, y esto termina minando las bases de nuestro ser comunidad, la capacidad de trabajar juntos por el bien común, de escucharnos, de comprender las razones del otro. Parece entonces que identificar un “enemigo” contra el cual lanzarse verbalmente sea indispensable para autoafirmarse. Y cuando el otro se convierte en “enemigo”, cuando su rostro y su dignidad se oscurecen para humillarlo y burlarse de él, también se pierde la posibilidad de generar esperanza. Como nos ha enseñado don Tonino Bello, todos los conflictos “encuentran su raíz en la disolución de los rostros”[1]. No podemos rendirnos ante esta lógica.
Esperar, en realidad, no es fácil en absoluto. Decía Georges Bernanos que «sólo esperan los que han tenido el valor de desesperar de las ilusiones y de las mentiras en las que encontraban una seguridad que tomaban falsamente por esperanza. […] La esperanza es un riesgo que correr. Incluso es el riesgo de los riesgos»[2]. La esperanza es una virtud escondida, constante y paciente. Sin embargo, para los cristianos la esperanza no es una elección opcional, sino una condición imprescindible. Como recordaba Benedicto XVI en la Encíclica Spe salvi, la esperanza no es optimismo pasivo sino, por el contrario, una virtud “performativa”, es decir, capaz de cambiar la vida: «Quien tiene esperanza vive de otra manera; se le ha dado una vida nueva» (n. 2).
Dar razón con mansedumbre de la esperanza que hay en nosotros
En la Primera carta de Pedro (cf. 3,15-16) encontramos una síntesis admirable donde la esperanza se pone en relación con el testimonio y con la comunicación cristiana: «Glorifiquen en sus corazones a Cristo, el Señor. Estén siempre dispuestos a defenderse delante de cualquiera que les pida razón de la esperanza que ustedes tienen. Pero háganlo con delicadeza y respeto». Quisiera detenerme en tres mensajes que podemos deducir de estas palabras.
«Glorifiquen en sus corazones a Cristo, el Señor»: la esperanza de los cristianos tiene un rostro, el rostro del Señor resucitado. Su promesa de estar siempre con nosotros a través del don del Espíritu Santo nos permite esperar contra toda esperanza y ver los rastros del bien escondidos, incluso cuando todo parece perdido.
El segundo mensaje nos pide que estemos preparados para dar razón de la esperanza que hay en nosotros. Es interesante observar que el Apóstol invita a dar cuenta de la esperanza a «cualquiera que les pida razón». Los cristianos, ante todo, no son aquellos que “hablan” de Dios, sino aquellos que reflejan la belleza de su amor, una forma nueva de vivir todas las cosas. Es el amor vivido el que suscita la pregunta y exige la respuesta: ¿por qué viven así?, ¿por qué son así?
En la expresión de san Pedro encontramos, finalmente, un tercer mensaje: que la respuesta a esta pregunta sea dada «con delicadeza y respeto». La comunicación de los cristianos —pero también diría que la comunicación en general— debería estar entretejida de mansedumbre, de proximidad, al estilo de los compañeros de camino, siguiendo al mayor Comunicador de todos los tiempos, Jesús de Nazaret, que a lo largo del trayecto dialogaba con los dos discípulos de Emaús haciendo arder sus corazones por el modo en el que interpretaba los acontecimientos a la luz de las Escrituras.
Por eso, sueño con una comunicación que sepa hacernos compañeros de camino de tantos hermanos y hermanas nuestros, para reavivar en ellos la esperanza en un tiempo tan atribulado. Una comunicación que sea capaz de hablar al corazón, no de suscitar reacciones pasionales de aislamiento y de rabia, sino actitudes de apertura y amistad; capaz de apostar por la belleza y la esperanza aun en las situaciones aparentemente más desesperadas; capaz de generar compromiso, empatía, interés por los demás. Una comunicación que nos ayude a «reconocer la dignidad de cada ser humano y [a] cuidar juntos nuestra casa común» (Carta enc. Dilexit nos, 217).
Sueño con una comunicación que no venda ilusiones o temores, sino que sea capaz de dar razones para esperar. Martin Luther King dijo: «Si puedo ayudar a alguien al pasar, si puedo alegrar a alguien con una palabra o una canción, […] entonces mi vida no habrá sido en vano»[3]. Para hacer esto debemos sanar de las “enfermedades” del protagonismo y de la autorreferencialidad, evitar el riesgo de discursos inútiles. Lo que logra el buen comunicador es que quien escucha, lee o mira pueda participar, pueda sentirse incluido, pueda encontrar la mejor parte de sí mismo y entrar con estas actitudes en las historias narradas. Comunicar de esa manera ayuda a convertirse en “peregrinos de esperanza”, como dice el lema del Jubileo.
Esperar juntos
La esperanza es siempre un proyecto comunitario. Pensemos por un momento en la grandeza del mensaje de este año de gracia: todos estamos invitados —¡realmente todos!— a recomenzar, a permitirle a Dios que nos levante, a dejar que nos abrace y nos inunde de misericordia. En todo esto se entrelazan la dimensión personal y la comunitaria: emprendemos un viaje juntos, peregrinamos junto con muchos hermanos y hermanas, cruzamos juntos la Puerta Santa.
El Jubileo tiene muchas implicaciones sociales. Pensemos, por ejemplo, en el mensaje de misericordia y esperanza para los que viven en las cárceles, o en la llamada a la cercanía y a la ternura hacia los que sufren y están marginados. El Jubileo nos recuerda que cuantos trabajan por la paz «serán llamados hijos de Dios» (Mt 5,9). Así nos abre a la esperanza, nos indica la exigencia de una comunicación atenta, tranquila, reflexiva, capaz de indicar caminos de diálogo. Los animo, por tanto, a descubrir y a contar las numerosas historias de bien escondidas entre los pliegues de la crónica; a imitar a los buscadores de oro, que tamizan incansablemente la arena en busca de la minúscula pepita. Es hermoso encontrar estas semillas de esperanza y darlas a conocer. Ayuda al mundo a ser un poco menos sordo al grito de los últimos, un poco menos indiferente, un poco menos cerrado. Sepan encontrar siempre los destellos de bien que nos permiten esperar. Esta comunicación puede contribuir a entretejer la comunión, a hacernos sentir menos solos, a descubrir la importancia de caminar juntos.
No olvidar el corazón
Queridos hermanos y hermanas, ante las vertiginosas conquistas de la técnica, los invito a cuidar sus corazones, es decir, la vida interior. ¿Qué significa esto? Les dejo algunas pistas.
Ser mansos y no olvidar nunca el rostro del otro; hablar al corazón de las mujeres y los hombres a cuyo servicio está dirigido su trabajo.
No permitir que las reacciones instintivas guíen la comunicación. Sembrar esperanza siempre, aun cuando sea difícil, aun cuando cueste, aun cuando parezca no dar fruto.
Intentar practicar una comunicación que sepa sanar las heridas de nuestra humanidad.
Dar espacio a la confianza del corazón que, como una flor frágil pero resistente, no sucumbe ante las inclemencias de la vida sino que florece y crece en los lugares más impensados: en la esperanza de las madres que rezan cada día para ver a sus hijos regresar de las trincheras de un conflicto; en la esperanza de los padres que migran entre mil riesgos y peripecias en busca de un futuro mejor; en la esperanza de los niños que logran jugar, sonreír y creer en la vida incluso entre los escombros de las guerras y en las calles pobres de las favelas.
Ser testigos y promotores de una comunicación no hostil, que difunda una cultura del cuidado, que construya puentes y atraviese los muros visibles e invisibles de nuestro tiempo.
Contar historias llenas de esperanza, teniendo en cuenta nuestro destino común y escribiendo juntos la historia de nuestro futuro.
Todo esto pueden y podemos hacerlo con la gracia de Dios, que el Jubileo nos ayuda a recibir en abundancia. Rezo por esto y los bendigo a cada uno de ustedes y a su trabajo.
Roma, San Juan de Letrán, 24 de enero de 2025, memoria de san Francisco de Sales.
FRANCISCO
_______________________________
[1] Cf. «La pace come ricerca del volto», en Omelie e scritti quaresimali, Molfetta 1994, 317.
[2] Georges Bernanos, La libertad, ¿para qué ?, Madrid 1989, 91-92.
[3] Sermón “The Drum Major Instinct” (4 febrero 1968).
[00139-ES.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Partilhai com mansidão a esperança
que está nos vossos corações
Queridos irmãos e irmãs!
Neste nosso tempo marcado pela desinformação e pela polarização, no qual alguns centros de poder controlam uma grande massa de dados e de informações sem precedentes, dirijo-me a vós consciente do quanto, hoje mais do que nunca, é necessário o vosso trabalho de jornalistas e comunicadores. Precisamos do vosso compromisso corajoso em colocar no centro da comunicação a responsabilidade pessoal e coletiva para com o próximo.
Ao pensar no Jubileu que estamos a celebrar como um período de graça em tempos tão conturbados, com esta Mensagem gostaria de vos convidar a ser comunicadores de esperança, começando pela renovação do vosso trabalho e missão segundo o espírito do Evangelho.
Desarmar a comunicação
Hoje em dia, com demasiada frequência, a comunicação não gera esperança, mas sim medo e desespero, preconceitos e rancores, fanatismo e até ódio. Muitas vezes, simplifica a realidade para suscitar reações instintivas; usa a palavra como uma espada; recorre mesmo a informações falsas ou habilmente distorcidas para enviar mensagens destinadas a exaltar os ânimos, a provocar e a ferir. Já várias vezes insisti na necessidade de “desarmar” a comunicação, de a purificar da agressividade. Nunca dá bom resultado reduzir a realidade a slogans. Desde os talk shows televisivos até às guerras verbais nas redes sociais, todos constatamos o risco de prevalecer o paradigma da competição, da contraposição, da vontade de dominar e possuir, da manipulação da opinião pública.
Há ainda um outro fenómeno preocupante: poderíamos designá-lo como a “dispersão programada da atenção” através de sistemas digitais que, ao traçarem o nosso perfil de acordo com as lógicas do mercado, alteram a nossa perceção da realidade. Acontece portanto que assistimos, muitas vezes impotentes, a uma espécie de atomização dos interesses, o que acaba por minar os fundamentos do nosso ser comunidade, a capacidade de trabalhar em conjunto por um bem comum, de nos ouvirmos uns aos outros, de compreendermos as razões do outro. Parece que, para a afirmação de si próprio, seja indispensável identificar um “inimigo” a quem atacar verbalmente. E quando o outro se torna um “inimigo”, quando o seu rosto e a sua dignidade são obscurecidos de modo a escarnecê-lo e ridicularizá-lo, perde-se igualmente a possibilidade de gerar esperança. Como nos ensinou D. Tonino Bello, todos os conflitos «encontram a sua raiz no desvanecer dos rostos»[1]. Não podemos render-nos a esta lógica.
Na verdade, ter esperança não é de todo fácil. Georges Bernanos dizia que «só têm esperança aqueles que ousaram desesperar das ilusões e mentiras nas quais encontravam segurança e que falsamente confundiam com esperança. [...] A esperança é um risco que é preciso correr. É o risco dos riscos»[2]. A esperança é uma virtude escondida, pertinaz e paciente. No entanto, para os cristãos, a esperança não é uma escolha, mas uma condição imprescindível. Como recordava Bento XVI na Encíclica Spe salvi, a esperança não é um otimismo passivo, antes pelo contrário, é uma virtude “performativa”, capaz de mudar a vida: «Quem tem esperança, vive diversamente; foi-lhe dada uma vida nova» (n. 2).
Dar com mansidão a razão da nossa esperança
Na Primeira Carta de São Pedro (cf. 3, 15-16), encontramos uma síntese admirável na qual se relacionam a esperança com o testemunho e a comunicação cristã: «no íntimo do vosso coração, confessai Cristo como Senhor, sempre dispostos a dar a razão da vossa esperança a todo aquele que vo-la peça; com mansidão e respeito». Gostaria de me deter em três mensagens que podemos extrair destas palavras.
«No íntimo do vosso coração, confessai Cristo como Senhor». A esperança dos cristãos tem um rosto: o rosto do Senhor ressuscitado. A sua promessa de estar sempre connosco através do dom do Espírito Santo permite-nos esperar contra toda a esperança e ver, mesmo quando tudo parece perdido, as escondidas migalhas de bem.
A segunda mensagem pede-nos para estarmos dispostos a dar razão da nossa esperança. É interessante notar que o Apóstolo convida a dar conta da esperança «a todo aquele que vo-la peça». Os cristãos não são, antes de mais, aqueles que “falam” de Deus, mas aqueles que fazem ressoar a beleza do seu amor, uma maneira nova de viver cada pequena coisa. É o amor vivido que suscita a pergunta e exige uma resposta: porque é que viveis assim? Porque é que sois assim?
Por fim, na expressão de São Pedro encontramos uma terceira mensagem: a resposta a este pedido deve ser dada “com mansidão e respeito”. A comunicação dos cristãos – e eu diria até a comunicação em geral – deve ser feita com mansidão, com proximidade: eis o estilo dos companheiros de viagem, na peugada do maior Comunicador de todos os tempos, Jesus de Nazaré, que ao longo do caminho dialogava com os dois discípulos de Emaús, fazendo-lhes arder os corações através do modo como interpretava os acontecimentos à luz das Escrituras.
Por isso, sonho com uma comunicação que saiba fazer de nós companheiros de viagem de tantos irmãos e irmãs nossos para, em tempos tão conturbados, reacender neles a esperança. Uma comunicação que seja capaz de falar ao coração, de suscitar não reações impetuosas de fechamento e raiva, mas atitudes de abertura e amizade; capaz de apostar na beleza e na esperança mesmo nas situações aparentemente mais desesperadas; de gerar empenho, empatia, interesse pelos outros. Uma comunicação que nos ajude a «reconhecer a dignidade de cada ser humano e a cuidar juntos da nossa casa comum» (Carta enc. Dilexit nos, 217).
Sonho com uma comunicação que não venda ilusões ou medos, mas seja capaz de dar razões para ter esperança. Martin Luther King disse: «Se eu puder ajudar alguém enquanto caminho, se eu puder alegrar alguém com uma palavra ou uma canção... então a minha vida não terá sido vivida em vão»[3]. Para isso, precisamos de nos curar da “doença” do protagonismo e da autorreferencialidade, evitar o risco de falarmos de nós mesmos: o bom comunicador faz com que quem ouve, lê ou vê se torne participante, esteja próximo, possa encontrar o melhor de si e entrar com estas atitudes nas histórias contadas. Comunicar deste modo ajuda a tornarmo-nos “peregrinos de esperança”, como diz o lema do Jubileu.
Esperar juntos
A esperança é sempre um projeto comunitário. Pensemos, por um momento, na grandeza da mensagem deste ano de graça: estamos todos – realmente todos! – convidados a recomeçar, a deixar que Deus nos reerga, nos abrace e inunde de misericórdia. E entrelaçadas com tudo isto estão a dimensão pessoal e a dimensão comunitária. É em conjunto que nos pomos a caminho, peregrinamos com tantos irmãos e irmãs, e, juntos, atravessamos a Porta Santa.
O Jubileu tem muitas implicações sociais. Pensemos, por exemplo, na mensagem de misericórdia e esperança para quem vive nas prisões, ou no apelo à proximidade e à ternura para com os que sofrem e estão à margem. O Jubileu recorda-nos que todos os que se tornam construtores da paz «serão chamados filhos de Deus» (Mt 5, 9). E, deste modo, abre-nos à esperança, aponta-nos a necessidade de uma comunicação atenta, amável, refletida, capaz de indicar caminhos de diálogo. Encorajo-vos, portanto, a descobrir e a contar tantas histórias de bem escondidas por detrás das notícias; a imitar aqueles exploradores de ouro que, incansavelmente, peneiram a areia em busca duma pequeníssima pepita. É importante encontrar estas sementes de esperança e dá-las a conhecer. Ajuda o mundo a ser um pouco menos surdo ao grito dos últimos, um pouco menos indiferente, um pouco menos fechado. Que saibais sempre encontrar as centelhas de bem que nos permitem ter esperança. Este tipo de comunicação pode ajudar a tecer a comunhão, a fazer-nos sentir menos sós, a redescobrir a importância de caminhar juntos.
Não esqueçais o coração
Queridos irmãos e irmãs, perante as vertiginosas conquistas da técnica, convido-vos a cuidar do coração, ou seja, da vossa vida interior. O que é que isto significa? Deixo-vos algumas pistas.
Sede mansos e nunca esqueçais o rosto do outro; falai ao coração das mulheres e dos homens ao serviço de quem desempenhais o vosso trabalho.
Não permitais que as reações instintivas guiem a vossa comunicação. Semeai sempre esperança, mesmo quando é difícil, quando custa, quando parece não dar frutos.
Procurai praticar uma comunicação que saiba curar as feridas da nossa humanidade.
Dai espaço à confiança do coração que, como uma flor frágil mas resistente, não sucumbe no meio das intempéries da vida, mas brota e cresce nos lugares mais inesperados: na esperança das mães que rezam todos os dias para rever os seus filhos regressar das trincheiras de um conflito; na esperança dos pais que emigram, entre inúmeros riscos e peripécias, à procura de um futuro melhor; na esperança das crianças que, mesmo no meio dos escombros das guerras e nas ruas pobres das favelas, conseguem brincar, sorrir e acreditar na vida.
Sede testemunhas e promotores de uma comunicação não hostil, que difunda uma cultura do cuidado, construa pontes e atravesse os muros visíveis e invisíveis do nosso tempo.
Contai histórias imbuídas de esperança, tomando a peito o nosso destino comum e escrevendo juntos a história do nosso futuro.
Tudo isto podeis e podemos fazê-lo com a graça de Deus, que o Jubileu nos ajuda a receber em abundância. Por isto, rezo por cada um de vós e pelo vosso trabalho, e vos abençoo.
Roma, São João de Latrão, na Memória de São Francisco de Sales, 24 de janeiro de 2025.
FRANCISCO
_____________________________
[1] “La pace come ricerca del volto”, in Omelie e scritti quaresimali, Molfetta 1994, 317.
[2] Georges Bernanos, La liberté, pour quoi faire?, Paris 1995.
[3] Sermão“The Drum Major Instinct”, 4 de fevereiro de 1968.
[00139-PO.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
„Dzielcie się z łagodnością nadzieją, która jest w waszych sercach”
Drodzy Bracia i Siostry!
W naszych czasach naznaczonych dezinformacją i polaryzacją, w których nieliczne ośrodki władzy kontrolują bezprecedensową masę danych i informacji, zwracam się do was ze świadomością, jak potrzebna jest – dziś, bardziej niż kiedykolwiek – wasza praca jako dziennikarzy i pracowników środków społecznego przekazu. Potrzebne jest wasze odważne zaangażowanie, aby postawić w centrum przekazu osobistą i zbiorową odpowiedzialność za bliźniego.
Myśląc o tegorocznym Jubileuszu jako o czasie łaski, w tak niespokojnych czasach, chciałbym w tym Orędziu zaprosić was do bycia przekazicielami nadziei, zaczynając od odnowienia waszej pracy i misji według ducha Ewangelii.
Rozbroić komunikację
Dzisiaj nazbyt często przekaz nie rodzi nadziei, lecz lęk i rozpacz, uprzedzenia i niechęć, fanatyzm, czy wręcz nienawiść. Nazbyt często upraszcza on rzeczywistość, aby wywołać reakcje instynktowne. Używa słów jak miecza. Posługuje się nawet informacjami fałszywymi lub sztucznie zniekształconymi, aby narzucać wiadomości mające na celu pobudzenie emocji, sprowokowanie, zranienie. Już wielokrotnie podkreśliłem potrzebę „rozbrojenia” komunikacji, oczyszczenia jej z agresji. Redukowanie rzeczywistości do sloganów nigdy nie przynosi dobrych owoców. Wszyscy widzimy, jak – począwszy od telewizyjnychtalk showpo słowne wojny wmediach społecznościowych– może przeważyć paradygmat rywalizacji, opozycji, chęci dominacji i posiadania, oraz manipulacji opinią publiczną.
Istnieje również inne niepokojące zjawisko: coś, co możemy nazwać „zaprogramowanym rozproszeniem uwagi” poprzez systemy cyfrowe, które, profilując nas według logiki rynku, modyfikują naszą percepcję rzeczywistości. Zdarza się więc, że jesteśmy świadkami, często bezradnymi, swoistej atomizacji zainteresowań, co kończy się podważeniem fundamentów naszego bycia wspólnotą, zdolności do współpracy na rzecz dobra wspólnego, do słuchania siebie nawzajem, do rozumienia swoich racji. Wygląda więc na to, że wykrycie „wroga”, przed którym można się werbalnie bronić, jest niezbędne, aby potwierdzić swoją wartość. A kiedy drugi staje się „wrogiem”, kiedy jego twarz i godność zostają przysłonięte, żeby go wyśmiać i wyszydzić, brakuje również możliwości zrodzenia nadziei. Jak nauczał nas ks. Tonino Bello, wszystkie konflikty „mają swoje źródło w zanikaniu twarzy”[1]. Nie możemy poddać się tej logice.
W istocie wcale nie jest łatwo żywić nadzieję. Georges Bernanos powiedział, że „tylko ci, którzy mieli odwagę rozpaczać z powodu iluzji i kłamstw, w których znajdowali bezpieczeństwo i które fałszywie mylili z nadzieją, mają nadzieję. (…) Nadzieja jest ryzykiem, które trzeba podjąć. To ryzyko ryzyka”[2]. Nadzieja jest ukrytą cnotą, wytrwałą i cierpliwą. Jednak dla chrześcijan posiadanie nadziei nie jest wyborem fakultatywnym, lecz niezbędnym stanem. Jak przypominał Benedykt XVI w encykliceSpe salvi, nadzieja nie jest biernym optymizmem, lecz przeciwnie, cnotą „performatywną”, to znaczy zdolną do przemiany życia: „Kto ma nadzieję, żyje inaczej; zostało mu dane nowe życie” (n. 2).
Łagodnie uzasadniać nadzieję, która jest w nas
W Pierwszym Liście św. Piotra (por. 3, 15-16) znajdujemy wspaniałą syntezę, w której nadzieja jest umieszczona w powiązaniu z chrześcijańskim świadectwem i komunikacją: „Pana zaś Chrystusa uznajcie w sercach waszych za Świętego, i bądźcie zawsze gotowi do obrony wobec każdego, kto domaga się od was uzasadnienia tej nadziei, która w was jest. A z łagodnością i z bojaźnią zachowujcie czyste sumienie”. Chciałbym zastanowić się nad trzema przesłaniami, które możemy wyciągnąć z tych słów.
„Pana zaś Chrystusa uznajcie w sercach waszych za Świętego”: nadzieja chrześcijan ma oblicze, oblicze zmartwychwstałego Pana. Jego obietnica, że będzie zawsze z nami poprzez dar Ducha Świętego, pozwala nam mieć nadzieję nawet wbrew wszelkiej nadziei i dostrzegać ukryte okruchy dobra nawet wówczas, gdy wszystko zdaje się stracone.
Drugie przesłanie wymaga od nas bycia gotowymi do uzasadnienia nadziei, która jest w nas. To ciekawe, że Apostoł zachęca, abyśmy zdali sprawę z nadziei „każdemu, kto domaga się”. Chrześcijanie nie są przede wszystkim tymi, którzy „mówią” o Bogu, lecz tymi, którzy odzwierciedlają piękno Jego miłości, nowy sposób przeżywania wszystkiego. To przeżywana miłość prowokuje pytanie i domaga się odpowiedzi: dlaczego tak żyjecie? Dlaczego tacy jesteście?
W wyrażeniu św. Piotra znajdujemy wreszcie trzecie przesłanie: odpowiedź na to pytanie ma być udzielona „z łagodnością i bojaźnią”. Przekaz chrześcijański – ale powiedziałbym także, że komunikacja w ogóle – powinna być przeplatana łagodnością, bliskością: stylem towarzyszy drogi, podążających za największym Komunikatorem wszechczasów, Jezusem z Nazaretu, który w drodze rozmawiał z dwoma uczniami z Emaus, rozpalając ich serca sposobem interpretowania wydarzeń w świetle Pism.
Dlatego też marzę o przekazie, który potrafiłby uczynić nas współtowarzyszami drogi wielu naszych braci i sióstr, aby rozpalić na nowo w nich nadzieję w tych niespokojnych czasach. O przekazie, który jest w stanie przemówić do serca, wzbudzić nie reakcje emocjonalne zamknięcia i gniewu, lecz postawy otwartości i przyjaźni; który jest w stanie skupiać się na pięknie i nadziei, nawet w sytuacjach, zdawałoby się, najbardziej rozpaczliwych; wzbudzać zaangażowanie, empatię, zainteresowanie innymi. O przekazie, który uzdalniałby nas„do uznania godności każdego człowieka i do troszczenia się razem o nasz wspólny dom” (Enc.Dilexit nos, 217).
Marzę o przekazie, który nie sprzedaje iluzji i lęków, lecz potrafi dawać powody do nadziei. Martin Luther King powiedział: „Jeśli mogę komuś pomóc, gdy go mijam, jeśli mogę kogoś pocieszyć słowem lub piosenką… wówczas moje życie nie będzie daremne”[3]. Aby to uczynić, musimy wyleczyć się z „chorób” protagonizmu i autoreferencyjności, unikać niebezpieczeństwa mówienia o sobie: dobry komunikator zapewnia, że ci, którzy słuchają, czytają lub oglądają, mogą być zaangażowani, mogą być blisko, mogą na nowo odnaleźć najlepszą część siebie i wejść z tymi postawami w opowiadane historie. Tego typu przekaz pomaga stać się „pielgrzymami nadziei”, jak głosi motto Jubileuszu.
Wspólnie żywić nadzieję
Nadzieja jest zawsze projektem wspólnotowym. Pomyślmy przez chwilę o wielkości przesłania tego roku łaski: wszyscy jesteśmy zaproszeni – naprawdę wszyscy! – abyśmy zaczęli od nowa, abyśmy pozwolili Bogu by nas podniósł, abyśmy pozwolili Mu by nas objął i obdarzył miłosierdziem. W tym wszystkim przeplatają się wymiary osobisty i wspólnotowy. Wyruszamy razem, pielgrzymujemy z wieloma braćmi i siostrami, razem przechodzimy przez Drzwi Święte.
Jubileusz ma wiele implikacji społecznych. Pomyślmy, na przykład, o orędziu miłosierdzia i nadziei dla tych, którzy żyją w więzieniach, lub o wezwaniu do bliskości i czułości wobec tych, którzy cierpią i są na marginesie.
Jubileusz przypomina nam, że ci, którzy wprowadzają pokój, „będą nazwani synami Bożymi” (Mt5, 9). W ten sposób otwiera nas na nadzieję, wskazuje na potrzebę komunikacji uważnej, delikatnej, refleksyjnej, zdolnej do wskazania dróg dialogu. Zachęcam was zatem do odkrywania i opowiadania wielu historii dobra, ukrytych w zakamarkach codziennych wiadomości; do naśladowania poszukiwaczy złota, którzy niestrudzenie przesiewają piasek w poszukiwaniu maleńkiej grudki. Dobrze znaleźć te ziarna nadziei i zapoznawać z nimi innych. Pomaga to światu być trochę mniej głuchym na wołanie najsłabszych, trochę mniej obojętnym, trochę mniej zamkniętym. Zawsze starajcie się znajdować iskierki dobra, które pozwalają nam żywić nadzieję. Taka komunikacja może pomóc w „tkaniu” komunii, sprawić, że poczujemy się mniej samotni, i odkryć na nowo znaczenie podążania razem.
Nie zapominajmy o sercu
Drodzy bracia i siostry, w obliczu oszałamiających osiągnięć techniki, zachęcam was do troski o swoje serce, to znaczy o swoje życie wewnętrzne. Co to oznacza? Zostawię wam kilka wskazówek.
Bądźcie łagodni i nigdy nie zapominajcie o obliczu drugiego człowieka; przemawiajcie do serca kobiet i mężczyzn, na rzecz których wykonujecie swoją pracę.
Nie pozwólcie, aby waszym przekazem kierowały reakcje instynktowne. Zawsze siejcie nadzieję, nawet jeśli jest to trudne, nawet jeśli to kosztuje, nawet jeśli wydaje się, że nie przynosi owoców.
Starajcie się używać przekazu, który potrafiłby uleczyć rany naszego człowieczeństwa.
Uczyńcie przestrzeń dla zaufania serca, które, jak wątły, ale odporny kwiat, nie poddaje się zawieruchom życiowym, lecz kwitnie i rośnie w najbardziej nieoczekiwanych miejscach: w nadziei matek, które modlą się każdego dnia, aby zobaczyć swoje dzieci powracające z wojennych okopów; w nadziei ojców, którzy migrują pośród tysiąca zagrożeń i perypetii w poszukiwaniu lepszej przyszłości; w nadziei dzieci, które potrafią się bawić, uśmiechać i wierzyć w życie, nawet pośród gruzów wojen i na biednych ulicachfaweli.
Trzeba być świadkami i promotorami komunikacji bez wrogości, która szerzy kulturę troski, buduje mosty i przenika widzialne i niewidzialne mury naszych czasów.
Opowiadać historie przesiąknięte nadzieją, biorąc sobie do serca nasz wspólny los i pisząc razem historię naszej przyszłości.
Wszystko to możecie i możemy uczynić dzięki łasce Bożej, którą Jubileusz pomaga nam przyjąć w obfitości. Modlę się o to i błogosławię każdemu z was oraz waszej pracy.
Rzym, u Świętego Jan na Lateranie, dnia 24 stycznia 2025 roku, we wspomnienie św. Franciszka Salezego.
FRANCISZEK
____________________________________
[1]La pace come ricerca del volto, w:Omelie e scritti quaresimali, Molfetta 1994, s. 317.
[2]Georges Bernanos,La liberté, pour quoi faire?, Paris 1995, tłum. włoskieA che serve questa libertà, w:Lo spirito europeo e il mondo delle macchine, Milano 1972, s. 255-256.
[3]MowaThe Drum Major Instinct(4 lutego 1968).
[00139-PL.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
رسالة قداسة البابا فرنسيس
في اليوم العالميّ التّاسع والخمسين لوسائل التّواصل الاجتماعيّة
تشاركوا بوداعة الرّجاء الذي في قلوبكم (راجع 1 بطرس 3، 15-16)
أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء،
في زمننا هذا، الذي يتميّز بالمعلومات الخاطئة والاستقطاب، وحيث تتحكّم مراكز قليلة من السُّلطة بكمّيّة غير مسبوقة من البيانات والمعلومات، أتوجّه إليكم وأنا مدركٌ – اليوم أكثر من أيّ وقتٍ مَضَى - مدى أهمّيّة عملكم كصحفيّين وعاملين في مجال الإعلام. نحن بحاجة إلى التزامكم الشّجاع لكي تضعوا في صُلب العمل الإعلاميّ المسؤوليّة الشّخصيّة والجماعيّة تجاه القريب.
وأفكّر في اليوبيل الذي نحتفل به في هذه السّنة، وهو زمن نعمة في وقت مليء بالتّحدّيات، أودّ برسالتي هذه أن أدعوكم إلى أن تكونوا حاملين للرّجاء، وتبدأوا فتجدّدوا عملكم ورسالتكم بحسب روح الإنجيل.
نزع السّلاح من وسائل التّواصل
أحيانًا كثيرة اليوم، وسائل التّواصل لا توَلِّدُ الرّجاء، بل الخوف واليأس، والتّحيّز والحِقد، والتّعصّب والكراهية. وأحيانًا كثيرة تبسّط الواقع لتُثير ردود فعلٍ غريزية، وتستخدم الكلمة مثل السّيف، وتلجأ أحيانًا إلى المعلومات الكاذبة أو المشوّهة عمدًا لترسل رسائل تهدف إلى إثارة النّفوس والاستفزاز والإساءة. أكّدتُ مرارًا على ضرورة ”نزع السّلاح“ من وسائل التّواصل، وتطهيرها من العدوانيّة. اختصار الواقع في شعارات لا يأتي أبدًا بثمار جيّدة. نرى كلّنا كيف أنّ برامج الحوار التّلفزيونيّة والحروب الكلاميّة على وسائل التّواصل الاجتماعيّة، تؤدّي إلى سيطرة روح المنافسة والمعارضة وإرادة الهيمنة والتّملُّك والتّلاعب بالرّأي العام.
هناك أيضًا ظاهرة أخرى مُقلقة، التي يمكن أن نسمّيها ”تحويل الانتباه المبرمج“ عبر الأنظمة الرّقميّة، التي تؤثّر فينا بحسب منطق السّوق، فتغيّر إدراكنا للواقع. هكذا يحدث لنا أن نشهد، غالبًا عاجزين، نوعًا من تفتيت المصالح، يؤدّي إلى تقويض أساسات وجودنا كجماعة، وقدرتنا على العمل معًا من أجل الخير العام، والإصغاء بعضنا إلى بعض، وفهم وجهات نظر الآخرين. إذّاك يبدو أنّ العثور على ”عدوّ“ نهاجمه بالكلام هو أمر لا بدَّ منه لإثبات أنفسنا. وعندما يصير الآخر ”عدوًّا“، وعندما يُعتَّم على وجهه وكرامته للاستخفاف به وازدرائه، تقلّ أيضًا الفرص التي تُوَلِّد الرّجاء. كما علّمنا الأب تونينو بيلّلو، النّزاعات كلّها "تجد جذورها في تشويه الوجوه"[1]. ولا يمكننا أن نستسلم لهذا المنطق.
في الواقع، الرّجاء ليس سهلًا على الإطلاق. قال جورج بيرنانوس: "فقط الذين كانت لهم الشّجاعة لأن ييأسوا من الأوهام والأكاذيب، التي فيها وجدوا أمانًا واعتبروها بشكلٍ كاذبٍ رجاءً، هم وحدهم يرجون الرّجاء الصّحيح. [...] الرّجاء مخاطرة يجب أن نسير فيها. إنّه المغامرة الكبرى"[2]. الرّجاء فضيلة مخفيّة، وعنيدة وصابرة. مع ذلك، الرّجاء بالنّسبة للمسيحيّين ليس خَيارًا، بل هو شرطٌ لا بدَّ منه. كما ذكّرنا البابا بنديكتس السّادس عشر في الرّسالة العامّة، ”بالرّجاء مخلَّصون“، ليس الرّجاء تفاؤلًا سلبيًّا، بل، بالعكس، هو فضيلة ”فاعلة منجزة“، أي قادرة على تغيير الحياة: "الذي يرجو يعيش بطريقة مختلفة، فقد أعطيَت له حياة جديدة" (رقم 2).
نقدِّم بوداعة دليلًا على الرّجاء الذي فينا
في رسالة بطرس الأولى (راجع 3، 15-16)، نجد ملخَّصًا بليغًا يربط بين الرّجاء والشّهادة والتّواصل المسيحيّ: "قدِّسوا الرَّبَّ المَسيحَ في قُلوبِكم. وكونوا دائِمًا مُستَعِدِّينَ لأَن تَرُدُّوا على مَن يَطلُبُ مِنكم دَليلَ ما أَنتم علَيه مِنَ الرَّجاء، ولكِن لِيَكُنْ ذلك بِوَداعَةٍ ووَقار". أودّ أن أتوقّف عند ثلاث رسائل يمكننا أن نستخلصها من هذه الكلمات.
"قدِّسوا الرَّبَّ المَسيحَ في قُلوبِكم": رجاء المسيحيّين له وجه، هو وجه الرّبّ يسوع القائم من بين الأموات. وَعدُه لنا بأن يكون معنا دائمًا بعطيّة الرّوح القدس، يسمح لنا بأن نرجُوَ على غير رجاءٍ أيضًا، وأن نرى فُتات الخير المخفيّ حتّى عندما يبدو أنّ كلّ شيء قد ضاع.
الرّسالة الثّانية تطلب منّا أن نكون مستعدّين لأن نقدِّم دليلًا على الرّجاء الذي فينا. من المهمّ أن نلاحظ أنّ الرّسول يدعونا إلى أن نقدِّم حسابًا عن الرّجاء "لمَن يَطلُبُ ذلك مِنّا". ليس المسيحيّون هم الذين ”يتكلّمون“ فقط على الله، بل هم الذين يُشِعُّون جمالَ محبّته، وهذه طريقة جديدة لعيشِ كلّ شيء. المحبّة التي نعيشها هي التي تبعث على السّؤال وتطلب الإجابة عليه: لماذا تعيشون هكذا؟ لماذا أنتم على هذه الحال؟
نجد أخيرًا، في عبارة القدّيس بطرس، رسالة ثالثة: أعطوا الجواب على هذا السّؤال "بِوَداعَةٍ ووَقار". الإعلام المسيحيّ – وأقول أيضًا الإعلام بشكل عامّ – يجب أن يكون مليئًا بالوداعة والمودة: يجب أن يكون مثل أسلوب رفقاء الدّرب، على مثال أعظم عامل في مجال التّواصل في كلّ العصور، يسوع النّاصري، الذي كان يتحاور على طول الطّريق مع تلميذَي عِموَاس، فأضرم قلبهما وهو يفسّر لهما الأحداث على ضوء الكتب المقدّسة.
أحلمُ من أجل ذلك بإعلامٍ يعرف أن يجعلنا رفقاء درب لكثير من إخوتنا وأخواتنا، حتّى نضرم فيهم من جديد الرّجاء في وقت مليء بالتّحدّيات. إعلام قادر أن يتكلّم إلى القلب، يبعث فينا مواقف انفتاح وصداقة، لا ردود فعلٍ غاضبة ومنغلقة، وقادر أن يركّز على الجمال والرّجاء حتّى في المواقف التي قد تبدو أشدّها يأسًا، إعلام يُوَلِّد الالتزام والعطف والاهتمام بالآخرين. إعلام يساعدنا على "الاعتراف بكرامة كلّ إنسان، والاعتناء معًا ببيتنا المشترك" (رسالة بابويّة عامّة، لقد أحَبَّنا، 217).
أحلمُ بإعلامٍ لا يبيع الأوهام أو المخاوف، بل يقدر أن يقدِّم أسباب الرّجاء. قال مارتن لوثر كينغ: "إن استطعت أن أساعد أحدًا فيما أسير، وإن استطعت أن أزرع الفرح في أحدٍ ما بكلمة أو بأُغنية... إذّاك لن أكون قد عِشتُ حياتي عبثًا"[3]. ولنعمل ذلك، يجب أن نتعافى من ”أمراض“ الشُّهرة والمرجعيّة الذّاتيّة، ونتجنَّب خطر التّكلّم عن أنفسنا: لأنّ العامل الصّالح في مجال الإعلام يجعل الذي يستمع أو يقرأ أو يشاهد مشاركًا، وقريبًا، فيكتشف في ما يُروَى عليه أفضل ما في نفسه، فيدخل بهذه المواصفات في القِصَص التي تُروى. هذا الإعلام يساعدنا لنصير ”حُجَّاج رجاء“، كما يقول شعار اليوبيل.
أن نملأ قلبنا بالرّجاء معًا
الرّجاء هو دائمًا مشروع جماعيّ. لنفكّر لحظة في الرّسالة الكبرى لسنة النّعمة هذه: نحن مدعوّون جميعًا – حقًّا جميعًا! – إلى أن نبدأ من جديد، وأن نسمح لله بأن ينهضنا، وأن يعانقنا ويغمرنا برحمته. في كلّ هذا يتشابك البُعد الشّخصيّ والجماعيّ. فننطلق في رحلة معًا، ونقوم بالحجّ مع إخوةٍ وأخواتٍ كثيرين، ونعبر الباب المقدّس معًا.
اليوبيل له دلالات اجتماعيّة كثيرة. لنفكّر مثلًا في رسالة الرّحمة والرّجاء للذين يعيشون في السّجون، أو في الدّعوة إلى القُرب والحنان نحو المُتَألِّمين والمُهَمَّشِين. اليوبيل يذكّرنا بأنّ صانعي السّلام "أَبناءَ اللهِ يُدعَون" (متّى 5، 9). اليوبيل يجعلنا نفتح أنفسنا على الرّجاء، ويدلّنا على الحاجة الملحّة لإعلام متنبّه، وديع، يُفكِّر، ويقدر أن يشير إلى طرق الحوار. لذلك أشجّعكم أن تكتشفوا وتَرووا القصص الكثيرة عن الخير المخفيّ بين طَيَّات الأخبار، وأن تقتدوا بالذين يُنقّبون عن الذّهب، الذين يغربلون الرّمل بلا كَلَل بحثًا عن شَذَرَةٍ صغيرة من الذّهب. جميلٌ أن نجد بذور الرّجاء هذه ونجعل الآخرين يعرفونها. الرّجاء يُساعد العالم ليكون أقلَّ صمَمًا لصرخات الأخيرين، وأقلَّ لا مُبالاة، وانغلاقًا. اعرفوا دائمًا أن تكتشفوا شرارات الخير التي تسمح لنا بأن نملأ قلبنا بالرّجاء. هذا الإعلام يمكنه أن يساعد لننسج الوَحدة والشّركة، فيخفّف شعورنا بالوِحدة، ونكتشف من جديد أهمّيّة أن نسير معًا.
لا تنسَوا القلب
أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء، أمام تطوّرات التّقنيات المذهلة، أدعوكم إلى أن تهتمّوا لقلوبكم، أي لحياتكم الدّاخليّة. ماذا يعني هذا؟ أترك لكم بعض العلامات.
كونوا ودعاء ولا تنسَوا أبدًا وجه الآخر. وتكلَّموا إلى قلوب النّساء والرّجال الذين تخدمونهم بعملكم.
لا تتركوا ردود الفعل العفويّة توجِّه إعلامكم. ازرعوا الرّجاء دائمًا، حتّى ولو كان الأمر صعبًا، ولو كان مكلفًا، ولو بدا أنّه لا يأتي ثمرًا.
حاولوا أن تمارسوا إعلامًا يعرف أن يشفي جراح إنسانيتنا.
أوجِدوا مكانًا لثقة القلب التي لا تستسلم لعواصف الحياة، بل تزهر وتنمو في أماكن لم نفكّر فيها، مثل زهرة وحيدة ولكنّها ثابتة تقاوم: في رجاء الأمّهات اللواتي يصلِّين يوميًّا ليروا أبناءهنّ يعودون من خنادق الصّراع. وفي رجاء الآباء الذين يهاجرون وسط آلاف المخاطر والمصائب بحثًا عن مستقبل أفضل. وفي رجاء الأطفال الذين يستطيعون أن يلعبوا ويبتسموا ويؤمنوا بالحياة حتّى بين أنقاض الحروب وفي شوارع الأحياء الفقيرة.
كونوا شهودًا ومشجِّعين لإعلام غير عدائي، ينشر ثقافة الاهتمام، ويبني الجسور، ويتغلغل عبر جدران زمننا المرئية وغير المرئية.
اروُوا قصصًا مليئة بالرّجاء، مهتمِّين لمصيرنا المشترك، واكتبوا قصة مستقبلنا معًا.
كلّ هذا، تقدرون ونقدر أن نعمله بنعمة الله، التي يساعدنا اليوبيل على قبولها وافرة. لهذا أصلِّي وأبارك كلّ واحد منكم وعملكم.
روما، بازيليكا القدِّيس يوحنّا في اللاتران، 24 كانون الثّاني/يناير 2025، تذكار القدِّيس فرنسيس دي سالِس.
فرنسيس
[00139-AR.01] [Testo originale: Italiano]
[B0069-XX.02]
[1] «La pace come ricerca del volto», in Omelie e scritti quaresimali, Molfetta 1994, 317.
"السّلام وسيلة بحث عن الوجه"، في عظات وكتابات الزّمن الأربعينيّ، مالفيتّا 1994، 317.
[2] Georges Bernanos, “A che serve questa libertà?”, in Lo spirito europeo e il mondo delle macchine, Milano 1972, 255-256.
جورج بيرنانوس، ”ماذا تُفيد هذه الحرّيّة؟“، في الرّوح الأوروبيّة وعالم الآلات، ميلانو 1972، 255-256.
[3] Sermone “The Drum Major Instinct”, 4 febbraio 1968.
عظة ”الرّغبة في أن تكون الأوّل“، 4 شباط/فبراير 1968.