Intervento di S.E. Mons. Bruno Forte
Intervento di Sorella Antonella Fraccaro
Alle ore 12.00 di oggi, presso la Sala Stampa della Santa Sede, in Via della Conciliazione 54, ha avuto luogo la Conferenza Stampa di presentazione di “Dilexit nos - Lettera Enciclica sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo”.
Sono intervenuti: S.E. Mons. Bruno Forte, Teologo, Arcivescovo di Chieti-Vasto (Italia); Sorella Antonella Fraccaro, Responsabile Generale delle Discepole del Vangelo.
Ne riportiamo di seguito gli interventi:
Intervento di S.E. Mons. Bruno Forte
La Lettera Enciclica Dilexit nos, Sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo, pubblicata il 24 ottobre 2024, nasce dall’esperienza spirituale di Papa Francesco, che avverte il dramma delle enormi sofferenze prodotte dalle guerre e dalle tante violenze in corso e vuol farsi vicino a chi soffre proponendo il messaggio dell’amore divino che viene a salvarci. L’Enciclica proprio così offre la chiave di lettura dell’intero magistero di questo Papa, come ci fa capire lui stesso: “Ciò che questo documento esprime permette di scoprire che quanto è scritto nelle Encicliche sociali Laudato si’ e Fratelli tutti non è estraneo al nostro incontro con l’amore di Gesù Cristo, perché, abbeverandoci a questo amore, diventiamo capaci di tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura insieme della nostra casa comune” (n. 217).
Lungi dall’essere un magistero “schiacciato” sul sociale, come a volte è stato maldestramente inteso, il messaggio che questo Papa ha dato e dà alla Chiesa e all’intera famiglia umana nasce da un’unica sorgente, presentata qui nella maniera più esplicita: Cristo Signore e il Suo amore per tutta l’umanità. È la verità per cui Jorge Mario Bergoglio ha giocato tutta la Sua vita e continua a spenderla con passione nel Suo ministero di Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale. In questa luce risulta particolarmente toccante il fatto che egli espliciti come fonte di molte delle idee esposte alcuni scritti inediti di un Testimone della fede recentemente scomparso, che egli stesso aveva accolto nella Compagnia di Gesù: “Buona parte delle riflessioni di questo primo capitolo - è detto nella prima nota al testo - si sono lasciate ispirare da scritti inediti del padre Diego Fares S.J. Il Signore lo abbia nella Sua santa gloria” (nota 1 al n. 2).
Per cogliere la portata del messaggio proposto in questo testo pongo tre domande: che cosa di così importante vuol dirci il Vescovo di Roma dedicando al Sacro Cuore un documento della rilevanza di un’Enciclica? Perché lo fa proprio adesso? Quale scopo si propone?
a) L’importanza del cuore: al primo posto l’amore
L’Enciclica inizia col sottolineare l’importanza del cuore (I Parte: nn. 2-30) in particolare alla luce della Bibbia, dove con “cuore” s’intende il centro unificatore della persona. In questo senso nella vita “tutto si gioca nel cuore” (n. 3) ed è dal cuore che provengono le domande vere (cf. n. 8). Dove manca il cuore, “non è sviluppata nemmeno l’idea di un centro personale in cui l’unica realtà che può unificare tutto è, in definitiva, l’amore”. Come ha scritto Romano Guardini - pensatore molto amato da Bergoglio - “solo il cuore sa accogliere e dare una patria”[1]. Il grande teologo gesuita Karl Rahner, poi, sottolinea che “cuore” è una di quelle parole originarie “che indicano la realtà che spetta all’uomo tutto intero in quanto persona corporea e spirituale”[2].
Perciò è importante ritornare al cuore (nn. 9-16): è il cuore che unisce i frammenti (nn. 17-23) della vita vissuta, realizzando l’armonia di tutta la persona, come mostra l’esempio della Vergine Maria, che custodisce e medita nel suo cuore quanto di assolutamente unico le accade (cf. n. 19). Tutto ciò che viviamo è “unificato nel cuore” (n. 21): le tante piccole cose che fanno la vita, come le grandi ferite prodotte dalle guerre, dalle violenze, dalle infermità e dalla morte, ci toccano nel cuore. Chi non lo percepisce mostra di essersi inaridito: così, vedere delle nonne “piangere i nipoti uccisi, o sentirle augurarsi la morte per aver perso la casa dove hanno sempre vissuto … senza che questo risulti intollerabile” è segno di un mondo senza cuore (n. 22).
Grandi voci nella storia della fede hanno evidenziato l’importanza del cuore: San Bonaventura, ad esempio, invita a interrogare la vera fonte che illumina e che è “non la luce, ma il cuore” (n. 26); Sant’Ignazio di Loyola pone a base degli Esercizi spirituali l’affectus, che sta all’origine del nuovo ordinamento da dare alla vita a partire dal cuore. John Henry Newman, poi, assume come suo motto l’espressione “cor ad cor loquitur”, indicando come solo il cuore metta la persona in atteggiamento di obbedienza amorosa davanti al Mistero (cf. n. 27). Il Concilio Vaticano II, a sua volta, afferma che “gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo” (Gaudium et Spes, 10 e 14).
Nasce da queste costatazioni l’appello di Papa Francesco: “Andiamo al Cuore di Cristo … che è una fornace ardente di amore divino e umano ed è la massima pienezza che possa raggiungere l’essere umano” (n. 30). Risponde a quest’invito la seconda parte dell’Enciclica, intitolata Gesti e parole d’amore (nn. 32-47). Afferma il Papa: “Dio non ci ama a parole, si avvicina e nel suo starci vicino ci dà il suo amore con tutta la tenerezza possibile” (n. 36). Questo punto viene esplicitato in maniera toccante: “Quando ci sembra che tutti ci ignorino, che nessuno sia interessato a ciò che ci accade, che non siamo importanti per nessuno, Lui è attento a noi” (n. 40).
Nella parte successiva dell’Enciclica, intitolata Questo è il cuore che ha tanto amato (nn. 48-91), Papa Francesco precisa che “la devozione al Cuore di Cristo non è il culto di un organo separato dalla Persona di Gesù. Ciò che contempliamo e adoriamo è Gesù Cristo intero, il Figlio di Dio fatto uomo, rappresentato in una sua immagine dove è evidenziato il suo cuore” (n. 48). Un’immagine che “ci parla di carne umana, di terra, e perciò anche di Dio che ha voluto entrare nella nostra condizione storica, farsi storia e condividere il nostro cammino terreno” (n. 58).
“San Giovanni Paolo II ha presentato lo sviluppo di questo culto nei secoli passati come una risposta alla crescita di forme di spiritualità rigoriste e disincarnate che dimenticavano la misericordia del Signore, ma allo stesso tempo come un appello attuale davanti a un mondo che cerca di costruirsi senza Dio” (n. 80). Oggi, la situazione è profondamente diversa: “Ci troviamo di fronte a una forte avanzata della secolarizzazione, che aspira ad un mondo libero da Dio. A ciò si aggiunge che si stanno moltiplicando nella società varie forme di religiosità senza riferimento a un rapporto personale con un Dio d’amore…” (n. 87).
Il Cuore di Cristo aiuta i credenti a liberarsi da questi condizionamenti, come anche dal frequente dualismo “di comunità e pastori concentrati solo su attività esterne, riforme strutturali prive di Vangelo, organizzazioni ossessive, progetti mondani, riflessioni secolarizzate” (n. 88). Ne risulta spesso un cristianesimo “che ha dimenticato la tenerezza della fede, la gioia della dedizione al servizio, il fervore della missione da persona a persona, l’esser conquistati dalla bellezza di Cristo, l’emozionante gratitudine per l’amicizia che Egli offre e per il senso ultimo che dà alla vita personale” (n. 88). La devozione al Sacro Cuore ci aiuta a mettere al centro di tutto l’amore.
b) Ritornare al Cuore di Cristo, sintesi del Vangelo
Occorre, allora, ritornare al Cuore, proponendo a tutta la Chiesa “un nuovo approfondimento sull’amore di Cristo rappresentato dal sacro Cuore” (n. 89). In un’ora storica per tanti aspetti drammatica, segnata da guerre e conflitti che sembravano un lontano ricordo e che invece sono divenuti in poco tempo una tragica realtà, riproporre la buona novella dell’amore di Dio per ciascun essere umano significa ricordare a tutti la fraternità che ci unisce davanti all’unico Padre e l’amore che cambia il cuore e la vita di chiunque voglia accoglierlo in sé. Veramente “il Sacro Cuore è una sintesi del Vangelo” (n. 83).
In tale prospettiva, nella parte intitolata L’amore che dà da bere (nn. 92-163), l’Enciclica richiama la testimonianza della Sacra Scrittura e quella del cristianesimo delle origini: la Bibbia “mostra che al popolo che aveva camminato attraverso il deserto e che attendeva la liberazione era annunciata un’abbondanza di acqua vivificante” (n. 93). “I primi cristiani vedevano realizzata questa promessa nel costato aperto di Cristo, fonte da cui promana la vita nuova” (n. 96). E questo perché “nel Cuore trafitto di Cristo si concentrano, scritte nella carne, tutte le espressioni d’amore delle Scritture” (n. 101).
Lo sviluppo storico del cristianesimo riprenderà queste testimonianze con una coralità di voci, che l’Enciclica richiama: da Sant’Agostino, che “ha aperto la strada alla devozione al Sacro Cuore come luogo di incontro personale con il Signore” (n. 103), a San Bonaventura (n. 106) a Santa Caterina da Siena, che vedono nel Cuore aperto di Cristo la possibilità di un incontro attuale con tale amore (n. 111), a San Francesco di Sales, che vi riconosce “un richiamo alla piena fiducia nell’azione misteriosa della sua grazia” (n. 114), a Santa Margherita Maria Alacoque (n. 121) e a San Claudio della Colombière (nn. 125-128), che collega “l’esperienza spirituale di santa Margherita con la proposta degli Esercizi Spirituali” di Sant’Ignazio di Loyola (n. 143).
Sono citati poi San Charles de Foucauld (nn. 129-132), che vuole lasciar agire in sé il Cuore di Gesù affinché non sia più lui a vivere, ma il Cuore di Gesù che viva in lui (cf. n. 132) e Santa Teresa di Lisieux (nn. 133-142), che “riassume tutto nella fiducia, come la migliore offerta gradita al Cuore di Cristo” (n. 138). Papa Francesco segnala quindi il posto del Sacro Cuore nella spiritualità della Compagnia di Gesù, che “ha sempre proposto una conoscenza interiore del Signore per meglio amarlo e servirlo” (n. 144), tanto che l’itinerario degli Esercizi culmina nella “Contemplazione per raggiungere l’amore, da cui scaturisce il ringraziamento e l’offerta di memoria, intelletto e volontà al Cuore, che è fonte e origine di ogni bene” (n. 145).
La devozione al Cuore di Cristo compare nel cammino spirituale di molti altri santi, quali San Vincenzo de’ Paoli, per il quale “ciò che Dio vuole è il cuore” (n. 148), San Pio da Pietrelcina e Santa Teresa di Calcutta, che “parlano con sentita devozione del Cuore di Cristo”. Santa Faustina Kowalska, poi, ripropone la devozione al Cuore di Cristo “con un forte accento sulla vita gloriosa del Risorto e sulla misericordia divina… San Giovanni Paolo II ha collegato intimamente la sua riflessione sulla misericordia con la devozione al cuore di Cristo” (n. 149).
c) Il frutto della devozione al Sacro Cuore: amore per amore
Dalla devozione al Sacro Cuore scaturisce anche un’intensa esperienza di consolazione: “In questa contemplazione del Cuore di Cristo donatosi fino all’estremo noi veniamo consolati… Desiderosi di consolarlo, ne usciamo consolati” (n. 161). Frutto prezioso, questo: “Vale la pena di recuperare questa espressione dell’esperienza spirituale sviluppata attorno al Cuore di Cristo: il desiderio interiore di dargli consolazione… Se l’Amato è il più importante, come allora non volerlo consolare?” (n. 152).
Com’è detto nella quinta parte dell’Enciclica, intitolata Amore per amore (nn. 164-216), il frutto più profondo della devozione al cuore di Cristo è di farci sentire amati da Lui e resi capaci di amare in unione al Suo Cuore umano e divino. San Charles de Foucauld diceva: “La carità deve irradiare dalla fraternità, come irradia dal cuore di Gesù”. È questa convinzione che lo ha reso “fratello universale, perché lasciandosi plasmare dal Cuore di Cristo, voleva ospitare nel suo cuore fraterno tutta l’umanità sofferente” (n. 179).
È in questa luce che si comprende anche il senso profondo dell’idea di riparazione: “Insieme a Cristo, sulle rovine che noi lasciamo in questo mondo con il nostro peccato, siamo chiamati a costruire una nuova civiltà dell’amore” (n. 182). La riparazione cristiana, allora, “non può essere intesa solo come un insieme di opere esteriori, che pure sono indispensabili e talvolta ammirevoli. Essa esige una spiritualità, un’anima, un senso che le conferiscono forza, slancio e creatività instancabile. Ha bisogno della vita, del fuoco e della luce che le vengono dal cuore di Cristo” (n. 184). Il Signore “ci permette di amare come Lui ha amato e così Egli stesso ama e serve attraverso di noi” (n. 203).
Da tutto questo deriva una peculiare visione della missione al servizio del Vangelo: “Alla luce del Sacro Cuore, la missione diventa una questione d’amore, e il rischio più grande in questa missione è che si dicano e si facciano molte cose, ma non si riesca a provocare il felice incontro con l’amore di Cristo che abbraccia e salva” (n. 208). Perciò la missione, “richiede missionari innamorati, che si lascino ancora conquistare da Cristo e che non possano fare a meno di trasmettere questo amore che ha cambiato la loro vita” (n. 209).
È qui che va collocato il ruolo decisivo della Chiesa: “Non si deve pensare a questa missione di comunicare Cristo come se fosse solo una cosa fra me e Lui. La si vive in comunione con la propria comunità e con la Chiesa” (n. 212). In questa comunione riveste un posto speciale la Vergine Maria, madre, membro, modello e tipo della Chiesa: la devozione al Suo cuore di Madre di Gesù e nostra “nulla toglie all’adorazione unica dovuta al Cuore di Cristo, anzi la stimola” (n. 176), aiutandoci ad amare meglio e di più.
Si comprende da quanto detto come l’Enciclica possa essere considerata una sorta di compendio di quello che Papa Francesco ha voluto e vuole dire a ogni fratello o sorella in umanità: Dio ti ama e te lo ha mostrato nella maniera più luminosa nella vicenda di Gesù di Nazareth; guardando a Lui saprai di essere amato/a da sempre e per sempre e potrai riconoscere i doni, di cui il Padre ha voluto arricchirti; seguendo Lui potrai discernere la via per spenderli con amore lì dove nel Suo Spirito Egli vorrà condurti.
L’invito finale è a chiederlo al Signore. Le parole con cui Papa Francesco chiude l’Enciclica ci aiutano a farlo: “Prego il Signore Gesù che dal suo Cuore santo scorrano per tutti noi fiumi di acqua viva per guarire le ferite che ci infliggiamo, per rafforzare la nostra capacità di amare e servire, per spingerci a imparare a camminare insieme verso un mondo giusto, solidale e fraterno. Questo fino a quando celebreremo felicemente uniti il banchetto del Regno celeste. Lì ci sarà Cristo risorto, che armonizzerà tutte le nostre differenze con la luce che sgorga incessantemente dal suo Cuore aperto. Che sia sempre benedetto!” (n. 220).
________________
[1] R. Guardini, Il mondo religioso di Dostoevskij, Brescia 1980, 236, citato al n. 12.
[2] K. Rahner, Teologia del Cuore di Cristo, Roma 1995, 60, citato al n. 15.
[01636-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Intervento di Sorella Antonella Fraccaro
Romani 8,37-39
37Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati.38Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire,39né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore.
Indice dell’Enciclica:
- L’importanza del cuore
- Gesti e parole d’amore
- Questo è il cuore che ha tanto amato
- L’amore che dà da bere
- Amore per amore
1. «Io sono il mio cuore»: la decisività del nostro cuore
In continuità con le Encicliche sociali,Laudato si’eFratelli tutti, questa enciclica celebra la grandezza del «nostro incontro con l’amore di Gesù Cristo» (DN 217). Riferendoci al cuore di Gesù, che è la sede dell’amore di Dio, troviamo anche noi il centro dell’amore. Il cuore di Gesù ci porta al centro della nostra persona e ci conduce ad amare con tutto noi stessi, coinvolgendo pensieri, sentimenti, azioni. Ci rende capaci di «tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura insieme della nostra casa comune» (DN 217).
Con questa consapevolezza, Papa Francesco ci accompagna ad approfondire il valore del nostro cuore (cfr. DN 27).
Dilexit Nosdà voce, anzitutto, ad alcune questioni che emergono in noi in questo tempo:
Come raggiungere veramente l’altro, così com’è, senza essere personalmente vincolati da noi stessi nella relazione con lui o con lei?
Come fare verità su noi stessi, in un contesto che pilota molto le nostre scelte?
Quale amore per la nostra vita e quale amore da parte nostra per la vita degli altri?
Il n. 8 del documento aiuta ad andare al cuore della verità della nostra esistenza. Anziché inseguire sogni inutili, fantasie su cose appariscenti, superficiali, interroghiamo la nostra vita, ciò che desideriamo, e lasciamo «emergere domande che contano». Andare al cuore della nostra esistenza chiama in causa il nostro cuore, come sorgente della relazione interpersonale vera (cfr. DN 12). «Una relazione che non è costruita con il cuore è incapace di superare la frammentazione dell’individualismo» (DN 17). Interpellare il nostro cuore, infatti, significa interpellare le relazioni e metterle al centro della nostra vita. Si tratta, dunque, di considerare i nostri cuori in un dialogo corresponsabile, dato che «solo il cuore crea l’intimità, la vera vicinanza tra due esseri» (DN 12).
Papa Francesco ci ricorda che «io sono il mio cuore» (DN 14); dunque, è decisivo che «tutte le azioni» (DN 14) della mia vita «siano poste sotto il “dominio politico” del cuore» (DN 14), cioè siano governate da quello che è il centro del mio essere e del mio operare. Infatti «tutto è unificato nel cuore, che può essere la sede dell’amore» (DN 21).Ci invita, pertanto, a considerare maggiormente il cuore e a prendere coscienza delle contraddizioni e fragilità che lo abitano e talvolta lo governano. Il nostro cuore, infatti, «unito a quello di Cristo è capace di questo miracolo sociale» di edificare con noi e tra di noi, «in questo mondo il Regno d’amore e di giustizia» (DN 28). Come suggerisce Charles de Foucauld:«Abbiamo un solo cuore: più sarà caldo per tutti gli uomini, più sarà caldo per la vostra famiglia e caldo per Dio: se è freddo per i poveri, per gli sconosciuti, sarà meno caldo per i vostri, meno caldo per Dio…»[1].
Attenzione, avverte Papa Francesco, a non trascurare il cuore, a non perderlo, all’indifferenza sempre più diffusa tra noi (cfr. DN 22) e intorno a noi; un pericolo dal quale proteggerci. E attenzione alle nostre chiusure di cuore, alle nostre corte vedute, perché con le nostre sicurezze e senza il confronto tra di noi non raggiungiamo gli altri, vicini e lontani, nella loro ricchezza, e ci costruiamo un mondo a nostra misura.
Inoltre, tornare al cuore, non per restare nel “nostro” cuore, chiusi in noi stessi, poiché «il nostro cuore non è autosufficiente, è fragile ed è ferito» (DN 30), ma per dimorare, con il nostro cuore, nel «Cuore di Cristo», perché «è lì, in quel Cuore, che riconosciamo finalmente noi stessi e impariamo ad amare» (DN 30). Non riusciamo, poi, a ritrovare noi stessi da soli o solo con l’aiuto umano, psicologico, ma coltivando la relazione con Gesù nella sua Parola e con le mediazioni ecclesiali che Lui ci ha posto accanto, con i fratelli e le sorelle delle nostre fraternità cristiane.
2. Il Cuore di Gesù rinnova il nostro cuore
Dopo averci introdotto al valore del cuore, come centro della nostra dignità e delle nostre relazioni, Papa Francesco ci incoraggia a guardare a Gesù, ai suoi gesti e alle sue parole (cfr. DN 33), che esprimono la consistenza del suo cuore amante. Il cuore di Gesù si fa attento a ciascuno di noi, ci incontra, ci scruta, pone il suo sguardo su di noi (cfr. DN 35.39-41) e ci invita a fidarci di lui (cfr. DN 37)
Nella relazione con noi, Gesù stesso non nasconde i suoi sentimenti e questo ci permette di sentirlo molto vicino a noi, ce lo fa sentire “uno dei nostri”. In un mondo in cui spesso viviamo sentimenti di estraneità nei confronti degli altri, di ciò che facciamo, della nostra vita e spesso dell’esperienza di fede, sentire Gesù come “uno dei nostri” ci esorta a credere che è possibile anche per noi trovare il cuore in uno stile di vicinanza e accoglienza.
Con il suo cuore, Gesù ama noi stessi con tutto sé stesso (cfr. DN 67), si piega fino in fondo alla nostra umanità per sollevarci (cfr. DN 69), nonostante la distanza che c’è tra noi e Lui. San Charles de Foucauld, che il Papa richiama in questa Enciclica insieme a tante altre figure di santità appassionate del Cuore di Gesù, paragona la distanza tra noi e Dio come la distanza che c’è tra l’Oriente e l’Occidente (cfr. Salmo 103,12). Si tratta della distanza tra l’esiguità della natura umana e l’infinita grandezza di Dio (cfr. M/297[2]), la distanza tra i pensieri di Dio e i nostri pensieri (cfr. M/268; M/296), una distanza che, tuttavia, Gesù è venuto a colmare facendosi uno di noi. Scrive Charles:
Amore, […] agisci attraverso un amore divino e con un amore divino, che produce atti, servendoTi di mezzi pieni di un amore infinito, divino «tanto lontano dai nostri pensieri quanto l’Oriente lo è dall’Occidente» […]. Sei amore, o mio Dio, per questo ci doni questa testimonianza d’amore di cui nessuna anima umana può comprendere il mistero, come la Tua incarnazione e la Tua Passione! (M/260).
La distanza tra Dio e la persona non impedisce l’incontro tra le due realtà. Ciò avviene perché la grandezza dell’amore di Dio porta con sé il sorprendente “potere” di ridimensionarsi alla “piccolezza” della persona. Dio Padre ama ciascuno di noi attraverso il Cuore amante di Gesù, il quale, a sua volta, non ci tiene fissi su di sé, ma ci rinvia al Padre. C’è una circolarità dell’amore tra le Persone della Trinità. Gesù si sentiva amato dal Padre, si occupava delle sue cose e, infine, al Padre ha consegnato il suo spirito, (pericope di Lc 23,46 che ha ispirato la famosa preghiera di abbandono di Charles de Foucauld). Lo Spirito stesso provoca l’«attrazione verso il Padre» (DN 76), perciò la dinamica trinitaria è per noi emblema del valore delle relazioni e riferimento ordinato per vivere i rapporti tra di noi nella vita quotidiana; relazioni, che se vogliono essere d’amore, di carità, attingeranno sempre a questo amore di Dio; per questo motivo, saranno relazioni importanti.
Il centro della nostra vita (cfr. DN 81), che abbiamo bisogno di ritrovare nel nostro cammino, lo troviamo nel nostro cuore riferito al Cuore di Gesù. La nostra adorazione al Cuore di Gesù ci aiuta, poi, a superare i dualismi nei quali rischiamo di dimorare oggi, per maturare in noi la gratuità nutrita della buona parola del Vangelo.
Charles credeva molto in questo, tanto che ha scelto come emblema della sua proposta di evangelizzazione la Visitazione (cfr. Lc 1,39-56): Maria, con Gesù in grembo, va da Elisabetta, gravida di Giovanni. Nell’incontro di queste donne, Gesù, prima ancora di nascere, evangelizza Giovanni, facendolo sussultare di gioia. Se abbiamo Gesù dentro di noi, adorato e ricevuto nell’Eucaristia, possiamo far sussultare di gioia chi ci è accanto, con la sola presenza di Gesù in noi, una presenza che a poco a poco ci trasforma, come ha trasformato san Paolo, fino a dire ai Galati (2,20): «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato sé stesso per me». Charles citava spesso questa espressione e citava san Paolo, del quale si è redatto anche una piccola biografia. Lo considerava, infatti, “fedele imitatore” di Gesù. Facendo parlare Gesù in una delle sue meditazioni, Charles scrive:
È ciò che facevo a Nazareth, è ciò che ha fatto san Paolo, «mio fedele imitatore» [cfr. 1Cor11,1], è ciò che ha stabilito san Benedetto che non ha preteso per mezzo della sua regola se non di istituire una scuola di Vangelo (M/417).
Se crediamo alla forza dell’amore di Gesù possiamo sviluppare attorno a noi la gratuità nei rapporti e nella nostra pastorale, superando i dualismi presenti di cui parla Papa Francesco: «Comunità e pastori concentrati solo su attività esterne, riforme strutturali prive di Vangelo, organizzazioni ossessive, progetti mondani […], un cristianesimo che ha dimenticato la tenerezza della fede, la gioia della dedizione al servizio, il fervore della missione da persona a persona, […] l’emozionante gratitudine per l’amicizia che Egli offre e per il senso ultimo che dà alla vita personale» (DN 88). Malattie, dice il Papa, dalle quali, a volte, «non sentiamo nemmeno il desiderio di guarire» (DN 89), ma che il riferimento al Cuore di Gesù nutrito di adorazione e di Vangelo può aiutarci a superare.
3. Il Sacro Cuore nella storia della Chiesa
Il cuore, sede dell’amore di Dio, è stato presentato nel corso della storia, nella Bibbia e con i Padri della Chiesa, come sorgente di acqua viva; così il costato di Gesù Cristo, aperto, lascia scorrere l’acqua che purifica e vivifica, l’acqua che disseta in eterno perché da quel costato di Gesù in croce scaturisce l’amore che incontra ciascuno di noi.
Maestri sapienti, che ci hanno introdotto a considerare il valore del Cuore di Gesù, sono stati sant’Agostino, san Bernardo, Guglielmo di Saint-Thierry, san Bonaventura (cfr. DN 92-108). Donne sante hanno, poi, raccontato le loro esperienze di riposo e di vita nel Cuore di Gesù. Pensiamo a santa Gertrude di Helfta, che propone di svecchiarci dalla nostra tiepidezza affidandoci all’amore di Cristo (cfr. DN 110).
Uomini e donne hanno dato vita, nel tempo, anche a nuove spiritualità e famiglie religiose affidate al Cuore di Cristo (cfr. DN 112). Devozione, quella al Cuore di Cristo, che coinvolge dunque molti santi. Tra gli altri: san Vincenzo de’ Paoli, san Pio da Pietrelcina, Santa Teresa di Calcutta, santa Faustina Kowalska (cfr. DN 148-149).
Il cuore è un’immagine che rinvia a Gesù Cristo, è il centro della sua Persona e manifesta il suo amore. «La devozione al Cuore di Cristo non è il culto di un organo separato dalla Persona di Gesù. Ciò che contempliamo e adoriamo è Gesù Cristo intero» (DN 48). Charles de Foucauld stesso ha utilizzato molto il cuore e la croce, come simbolo che indica Jesus Caritas, Gesù Carità, e non si è mai separato da questa immagine, poiché essa rinvia a Gesù. Anzi, lui stesso richiama l’attenzione a non fermarsi su una parte del corpo o su immagini, ma di andare a Gesù:
Poiché seisempre con noi nella Santa Eucaristia, siamo sempre con lei, teniamole compagnia ai piedi del tabernacolo,non perdiamoci per colpa nostra uno solo dei momenti che passiamo davanti a lei;Dio è là, che cosa andremmo a cercare altrove? Il Beneamato, il nostro tutto, è là, […]. Tutto il resto, immagini, reliquie, pellegrinaggi, libri, è molto venerabile […], sono solo creature morte; serviamocene per andare a Gesù (M/174).
San Francesco di Sales, in particolare, mette in rilievo, attraverso il Cuore di Cristo, la possibilità di coltivare una relazione personale con Lui, a Lui affidarsi e da Lui essere custodito con particolare cura. Perché l’amore di Cristo è rivolto in modo personale a ciascuno di noi, attraverso «una relazione personale in cui ciascuno si sente unico davanti a Cristo» (DN 115). Cristo stesso intreccia con la persona questa relazione, anche se la persona non ha maturato l’amore, ma lo desidera: «Sebbene il nostro cuore non abbia l’amore, ha però il desiderio dell’amore e l’inizio dell’amore» (DN 115). Una relazione, quella del Cuore di Gesù, che pensa non solo alla persona «ma anche al più piccolo fra i capelli» (DN 116) del suo capo. Una relazione da vivere tra le nostre attività quotidiane (cfr. DN 117) e da vivere insieme, in un clima fraterno, di reciproca cura, soprattutto dei più piccoli e dei più bisognosi.
Santa Margherita Maria Alacoque, sull’influsso della spiritualità di san Francesco di Sales,vive, nel XVII secolo,una relazione profonda con Gesù e a Lui si affida con tutta sé stessa, al punto da volere che Gesù viva in lei (cfr. DN 122). San Claudio La Colombière, suo direttore spirituale, divulgò e difese alcune esperienze di Margherita Maria interpretandole alla luce del Vangelo. Dinanzi al rischio che esse fossero fraintese egli spiega che la contemplazione del Cuore di Cristo, se è autentica, provoca «un indescrivibile abbandono in Cristo che riempie la vita di pace, di sicurezza, di decisione» (DN 126). San Claudio offre una sintesi tra l’esperienza di Margherita Maria e gli Esercizi ignaziani, dicendo che ciò che lo ha commosso è stata la disposizione di Gesù a quanti lo cercavano e il suo Cuore tenero verso i suoi nemici (cfr. DN 128).
San Charles de Foucauld, poi, e Santa Teresa di Gesù Bambino (cfr. DN 129) ci aiutano a comprendere la devozione al Sacro Cuore di Gesù riferendosi al Vangelo. Charles è grato alla cugina per averlo introdotto nell’amore di Gesù, che egli ha approfondito anche attraverso il padre spirituale. Voleva essere «l’eremita “sotto il nome del Sacro Cuore”» (DN 131).Desiderava vivere secondo il Cuore di Gesù,fino a far sì che Gesù con il suo Cuore vivesse in lui.
Egli si è affidato alla devozione del Sacro Cuore, coltivata nel tempo ecclesiale in cui èvissuto, un tempo di devozioni, di simbologia, di riti. Tornato alla vita cristiana, in seguito a una lunga lontananza dalla fede, respira le modalità religiose del tempo, anche se fa liberamente le sue scelte.
Il culto del Sacro Cuore si sviluppa in modo straordinario nella metà del 1800, anche se esisteva già nei secoli. Nel 1856 Papa Pio IX estende la festa del Sacro Cuore alla Chiesa intera. Nel 1861 viene fondato, ad opera di padre Henri Ramière, l’Apostolato della Preghiera, con grande attenzione alla persona di Cristo e al suo Cuore. Egli incoraggerà le folle ad andare a Paray-le-Monial per compiere pellegrinaggi che rendono gloria al Sacro Cuore e che riparano i peccati, per consolare il Cuore di Cristo. Nel 1873 la Francia viene consacrata al Sacro Cuore e dal 1876 grandi cerimonie si tengono nella Basilica di Montmartre in onore del Sacro Cuore. Mons. Maurice Le Sage d’Hauteroche d’Hulst dirà che il XIX secolo può essere considerato «il secolo del Sacro Cuore»[3].
La cugina di Charles de Foucauld, Marie de Bondy, gli trasmette questa devozione, ricevuta a sua volta dal padre spirituale, il card. Adolphe Perraud. Non si sa con precisione quando Marie trasmette a Charles questa devozione, ma conosciamo una consacrazione che Charles fa di sé stesso al Sacro Cuore il 6 giugno 1889, nella Basilica di Montmartre. Egli dichiara che è la prima, ed essa corrisponde al desiderio di seguire Gesù con tutto sé stesso. Ricordiamo che cinque mesi prima, dal giugno 1889, era rientrato dalla Terra Santa, dove aveva percorso i passi di Gesù di Nazareth, in seguito alla conversione del 1886. In una delle sue meditazioni, scritte successivamente a Nazareth, nella festa del Sacro Cuore, leggiamo:
Venerdì, festa del Sacro-Cuore di Gesù. Santa Vergine, san Giuseppe, mettetemi ai piedi del vostro Figlio Gesù, del mio fratello Gesù, mettetemi sul suo cuore, insegnatemi a restare sul suo cuore, a ricevervi i suoi baci! … Oh! Mio Signore Gesù, si sta bene sul tuo cuore, si sta bene nelle tue braccia, è dolce alzare gli occhi sui tuoi occhi, guardarti tutto restando sul tuo petto, e sospirare d’amore, di felicità, del desiderio che il tuo cuore sia consolato in tutto e in tutti!... Fa che io resti sempre sul tuo cuore, sempre nel tuo amore, che io viva sempre in te per il mio amore e non viva più per me e sia sempre da te amato, sempre in te per il mio amore, tu sempre in me per la tua grazia e il più spesso possibile in me corporalmente attraverso la Santa Eucarestia … Cuore Sacro di Gesù, io ti adoro in questa dolce Nazareth, in questa santa casa, dove tu hai passato trenta anni … […], ti amo con tutto il mio cuore, con tutte le mie forze, con tutta la mia anima, con tutto il mio spirito, mi dono e mi consacro interamente a te. Fa che ti possa consolare il più possibile tutti gli istanti della mia vita. Fa che tutti gli uomini ti consolino più che possono, in te, per mezzo di te, per te. Amen![4].
Charles si affida, dunque, al Sacro Cuore di Gesù, che egli rappresenta con un semplice simbolo, il cuore e la croce, per indicare il suo desiderio di amare secondo Gesù. Per lui non è semplicemente un simbolo;il cuore e la croce richiamano la Parola di Dio, l’Eucaristia, il desiderio di amare tutti e ciascuno.Utilizza questo simbolo imprimendolo ovunque, per esprimere dentro di sé, attraverso la quotidianità, questa prospettiva di vita.Lo metterà in apice delle lettere, delle meditazioni, delle regole, degli oggetti, nei parametri liturgici, nella cazzuola, nelle ciotole per i pasti, sul vestito, ecc.
Nel settembre 1901, in Algeria, Charles comincia ad usare il termine IESUS in latino e continua ad usare cuore e croce. A volte scrive Jesus (o Iesus) Caritas con cuore e croce. Altre volte Jésus Amour. Nel Sahara si costruisce un eremo e per la cappella disegna un grande Sacro Cuore, simile a quello che c’è a Montmartre. Alla cugina spiega il significato di questa scelta:
“Mi avete domandato una descrizione della cappella... la cappella dedicata al Sacro-Cuore di Gesù si chiama “la cappella della fraternità del Sacro-Cuore di Gesù” la mia piccola dimora si chiama “la fraternità del Sacro-Cuore di Gesù”… sopra (l’altare) c’è un grande Sacro-Cuore, in piedi, quasi a grandezza naturale: il Sacro-Cuore penitente, che apre le sue braccia per abbracciare, stringere, chiamare tutti gli uomini e donarsi a tutti, e offrire loro il suo cuore … ho disegnato e dipinto io il Sacro-Cuore”[5].
Anche quando scrive le regole per i Piccoli fratelli e per le Piccole sorelle che ha in mente al suo seguito, spiega la sua scelta di riferirsi al Sacro Cuore:
«Fare regnare GESÙ e la CARITÀ, è la missione dei petits frères du Sacré Cœur de Jésus, secondo il loro nome. Devono fare regnareGESÙ E LA CARITÀnei loro cuori e attorno a loro. Le loro fraternità, dedicate alSACRO CUORE DI GESÙ,devono come Lui irradiare sulla terra e “portarvi il fuoco”» [cfr.Lc12,49][6].
La vita di Charles e dei Piccoli fratelli, delle Piccole sorelle, deve essere tutta amore, come quella di Gesù, e il suo Cuore è il modello e l’emblema della loro missione. Nel 1896, il suo progetto di Congrégation des Petits Frères de Jésus prevede che i Piccoli fratelli si consacrino ogni giorno al Sacro Cuore.
Nel 1900 Charles si orienta a diventare sacerdote e vorrebbe inizialmente rimanere in Terra Santa per diffondere in silenzio, con l’adorazione eucaristica, l’amore universale di Gesù.Scritta la regola per gli “Ermites du Sacré Cœur de Jésus”, chiede a Henri Huvelin che si adoperi perché venga approvata dalla Chiesa quell’esperienza di vita cristiana che egli ha messo per iscritto già dal 1893. Desidera ardentemente che questo si realizzi, in particolare, durante l’anno giubilare. Scrive a Huvelin il 16 maggio 1900:
Padre amatissimo, […] poiché io sono francese, poiché il vescovo della mia ultima lunga residenza è il vescovo di Parigi, e soprattutto, forse, poiché il cardinale Richard è il cardinale di Montmartre, il cardinale del Sacro Cuore per così dire, la soluzione più semplice e conveniente è di rivolgermi dapprima a lui per ottenere i seguenti favori: l’autorizzazione a portare l’abito d’eremita del Sacro Cuore, un’approvazione iniziale che autorizzi qualcuno a condurre questa vita di figli del Sacro Cuore e infine, per sua mediazione, i permessi di Roma che potrebbero essere necessari subito e per l’avvenire… Siamo nell’Anno Santo, l’anno del giubileo, delle grazie, l’anno di Roma, ben presto ricorrerà il primo anniversario della consacrazione del mondo al Sacro Cuore di Gesù da parte di Leone XIII […]. Da sette anni, come lei sa, lavoro intorno alla piccola regola di cui le ho inviato un compendio, e dopo varie prove le ho dato la forma attuale […]; poi ho scelto il nome di “eremiti del Sacro Cuore di Gesù” poiché tale nome “esprime bene il concetto”[7].
La prospettiva di diventare sacerdote secondo il Cuore di Gesù è ciò che Charles de Foucauld ritiene prioritario per la sua vita e perciò fa di tutto per ottenere questo permesso. Scrive, dunque, nuovamente al padre spirituale:
Oggi mi pare che il Buon Dio […] voglia farmi capire che devo rivolgermi con la fede “di cui vive il giusto” anche a quegli altri pastori d’anime il cui intervento mi è necessario sia per indossare l’abito e condurre con dei compagni la vita dell’eremita del Sacro Cuore, sia,qualora lo giudichino opportuno, per ricevere gli ordini sacri; cioè a Pietro in primo luogo e in seguito al mio vescovo, primo anello della catena sacra […]. Poiché siamo in un anno particolarmente Santo, poiché il Pontefice regnante è Leone XIII che ha fatto moltissimo per onorare il SacroCuore di Gesù, poiché il nostro vescovo è ilvescovo di Montmartre e nel tempo stesso un cardinale della Chiesa romana, le domando un favore, padre amatissimo: se dopo un esame davanti a Dio lei crede che ciò sia conforme alla Sua volontà, qualche tempo prima della festa del Sacro Cuore, che in quest’anno santo 1900 cade il 22 giugno, chieda al cardinale Richard, come cardinale del Sacro Cuore, di offrire in dono a questo Cuore divino il primo eremita del Sacro Cuore; si tratta di questo vecchio peccatore pentito convertito da lei, che implora di finire i suoi giorni in un deserto, nell’adorazione dell’Ostia Santa e nella pratica della carità e della penitenza […], sotto il nome del Sacro Cuore e con la Sua immagine visibile sul petto… E chieda ancora al cardinale che egli stesso scriva al Santo Padre, pregandolo di offrire al Sacro Cuore, in occasione della Sua festa, queste umili primizie, questa umile fondazione, come dono festivo in quest’anno di grazia, e di accordare i permessi e le dispense necessarie per seguire, incominciando da questo 22 giugno 1900 che segna la data di fondazione degli eremiti del Sacro Cuore, la regola che lei conosce […]. Io credo che in quest’anno di grazia, per la festa del Sacro Cuore, Leone XIII potrà concedere in blocco al cardinale del Sacro Cuore tutte le dispense ed i permessi necessari […]. Poiché sono profondamente affezionato alla nostra Madre, la Chiesa romana, mi piace impetrare tutti questi favori per mezzo di un cardinale, il cardinale di Montmartre, e per mezzo di lei che è mio padre[8].
Il 29 maggio 1900, inpost scriptum, afferma in sintesi le sue intenzioni del momento:
In conclusione, il mio parere è di ricevere gli ordini sacri a Parigi, dalle mani del cardinale di Montmartre; a lui,cardinale della Santa Chiesa romana, cardinale di Montmartre, mi rivolgo per ottenere il permesso di portare il nome e l’abito d’eremita del Sacro Cuore,e l’autorizzazione a seguire con alcuni compagni la regola degli eremiti delSacro Cuore, che è una regola cosìromana; a lui infine chiedo l’imposizione del sacramento dell’ordine; sarò in tal modo ordinato dal mio vescovonaturale, dalprotettoredi quest’umile opera, da un cardinale romano, dal vescovo delSacro Cuore[9].
Charles non fa nulla senza il confronto ecclesiale. Ha un grande amore per la Chiesa, una devozione sincera per il Papa, per la Chiesa romana. Il motto Jesus Caritas, che sceglie come simbolo della sua vita, insieme al cuore e la croce, spiega alla cugina di averlo scelto perché è tutto romano (comincia a utilizzare questo simbolo nella corrispondenza su una lettera del 6 marzo 1902 e scrive a Marie de Bondy: «Chiedete forse perché questo termine JESUS CARITAS, è il termine romano; e sono romano fino in fondo al cuore»[10]). Giustifica così l’utilizzo di un simbolo, che apparentemente sembra un segno puramente devozionale, ma che esprime in modo molto sintetico il suo programma di vita cristiana: l’imitazione di Gesù di Nazareth, l’amore di Dio donato ai fratelli e alle sorelle; dimensioni vissute nel cuore della Chiesa e in comunione con la Chiesa.
Santa Teresa è altrettanto immersa nella devozione al Sacro Cuore della Francia del XIX secolo (il direttore spirituale della famiglia, Pichon, era apostolo del Sacro Cuore, la sorella di Teresa prese il nome del Sacro Cuore, il monastero di Teresa era dedicato a questa devozione). Già quando Teresa ha 15 anni vive questa relazione con il Cuore di Gesù. Gesù è «Colui il cui cuore batteva all’unisono col mio» (DN 134). Con Gesù vive un rapporto molto personale di fiducia, di amicizia; in Maddalena vede una donna che comprende «gli abissi d’amore e di misericordia del Cuore di Gesù» (DN 136). Un cuore che libera Teresa da ogni timore, un Cuore, quello di Gesù che le chiede piccolezza, umiltà, che non le chiede sforzi di perfezione, ma dedizione e fiducia: «Ciò che gli piace è di vedermi amare la mia piccolezza e la mia povertà» (DN 138).
La Compagnia di Gesù crede molto nell’educazione del cuore e gli Esercizi sono un percorso che garantiscono questo cammino, al punto da considerare sant’Ignazio «un maestro degli affetti» (DN 144), un maestro che aiuta l’esercitante a entrare in dialogo con il Signore in una relazione «cuore a cuore» (DN 144); una relazione non costruita attraverso «le nostre capacità e i nostri sforzi, si chiede come dono» (DN 145).
4. Il Cuore di Gesù consola e chiede pentimento
La consapevolezza che Gesù ha donato la sua vita per noi fino alla morte, a causa dei nostri peccati, accogliendo tutta la sofferenza che questo gli ha richiesto, porta anche noi a partecipare alla sua sofferenza consolandolo: «Se l’Amato è il più importante, come allora non volerlo consolare?» (DN 152). È la nostra fede che ci conduce a questa partecipazione.
Come credenti possiamo partecipare all’unico Mistero Pasquale: «Mentre cerchiamo di offrire qualcosa a Cristo per la sua consolazione, le nostre stesse sofferenze vengono illuminate e trasfigurate dalla luce pasquale dell’amore» (DN 157). Gesù Cristo ha partecipato alla nostra vita, alle nostre sofferenze, si è fatto carico delle nostre fragilità, «ha voluto vivere anticipatamente come capo ciò che avrebbe vissuto il suo corpo ecclesiale, tanto nelle ferite quanto nelle consolazioni» (DN 157). Partecipare anche noi a questa duplice dimensione significa vivere una importante esperienza spirituale che possiamo compiere non da soli, ma insieme come Chiesa in cammino.
Abbiamo la possibilità, poi, come credenti, di riconoscere le nostre schiavitù, e di purificarci da esse, poiché «l’amore ha bisogno della purificazione delle lacrime che alla fine ci lasciano più assetati di Dio e meno ossessionati da noi stessi» (DN 158). Più cresce in noi «il desiderio di consolare il Signore, tanto più si approfondisce la compunzione del cuore credente» (DN 159). La compunzione «non è un senso di colpa che ci butta a terra, non è uno scrupolo che ci paralizza, ma è un pungolo benefico che brucia dentro e guarisce» (DN 159) il cuore; esso accoglie la presenza dello Spirito Santo che matura in noi la consapevolezza del peccato commesso verso Dio e verso i fratelli e le sorelle. Si tratta del pentimento che, attraverso le lacrime, scava la durezza del nostro cuore. Scopriamo così «il miracolo della tristezza, della buona tristezza che porta alla dolcezza» (DN 159). È una grazia da chiedere al Signore, un atto di amore che è saggezza e verità, in luogo di «freddi, distanti, calcolati e minimi atti d’amore di cui siamo capaci noi che pretendiamo di possedere una fede più riflessiva, coltivata e matura» (DN 160).
Contemplare il Cuore di Cristo ci porta a vivere la consolazione, perciò «il dolore che sentiamo nel cuore lascia il posto a una fiducia totale, e alla fine ciò che rimane è gratitudine, tenerezza, pace; rimane il suo amore che regna nella nostra vita» (DN 161) e noi ne usciamo alleggeriti.
5. Come diventare missionari dell’Amore?
Il Papa, attraverso alcune figure, ci indica delle strade da percorrere per dare un cuore al nostro cuore e a «questa terra e reinventare l’amore laddove pensiamo che la capacità di amare sia morta per sempre» (DN 218).
Margherita Maria Alacoque, attraverso l’esperienza d’amore ricevuta da Gesù sente l’esigenza di diffondere amore, come richiamò Leone XIII nell’immagine del Sacro Cuore: «La carità di Cristo “ci spinge a ricambiare amore per amore”» (DN 166). Un amore a Dio e ai fratelli e sorelle, come la Parola di Dio ci invita a fare: «La migliore risposta all’amore del suo Cuore è l’amore per i fratelli» (DN 167). Esso «non si fabbrica» (DN 168); piuttosto «richiede una trasformazione del nostro cuore egoista» (DN 168). Si tratta, come dicevamo prima, di assomigliare a Gesù, di avere i suoi sentimenti, come ricorda san Paolo (cfr. Fil 2,5).
È un «principio nuovo nella storia umana» (DN 170) quello che Gesù ha portato e che cambia «il volto del mondo» (DN 170),poiché «il male si supera con il bene» (DN 177) e «si vince con la crescita dell’amore» (DN 177).Cosa significa per noi, oggi, diffondere l’amore di Dio di fronte all’odio tra i popoli, o più quotidianamente nel posto di lavoro, ai colleghi che non credono, all’amico che ha perso una persona cara, alla sorella di una cultura o religione diversa dalla nostra? Sono tutte condizioni che interpellano il nostro modo di amare e che ci chiedono di non passare oltre, ma di determinarci per il bene.
L’amore per il Cuore di Gesù e l’impegno verso fratelli e sorelle è un’unione che «attraversa la storia della spiritualità cristiana» (DN 172). Pensiamo a Origene che afferma che «l’anima dell’essere umano, che è a immagine di Dio, può contenere in sé e produrre da sé pozzi, sorgenti e fiumi» (DN 173), oppure sant’Ambrogio, sant’Agostino, o san Tommaso d’Aquino quando dice che «quando qualcuno “si affretta a comunicare agli altri i vari doni della grazia che ha ricevuto da Dio, dal suo seno sgorga acqua viva» (DN 174). Questa unione avviene, dice san Bernardo, quando la nostra affettività si libera con la «dolcezza dell’amore di Cristo» (DN 177). Riusciamo a essere un dono per l’altro quando ci nutriamo della dolcezza dell’amore di Dio per lui.
San Francesco di Sales ci aiuta a riconoscere il valore e la forza dei «piccoli gesti quotidiani di carità, un mal di testa, […] quel piccolo sforzo per andare a letto presto la sera e alzarsi al mattino di buon’ora per pregare […] l’amore per il prossimo:“un amore stabile, costante, immutabile, che, non soffermandosi sulle inezie, né sulle qualità o sulle condizioni delle persone, non è soggetto a cambiamenti o ad antipatie […]. Nostro Signore ci ama senza interruzione, sopporta i nostri difetti come le nostre imperfezioni; dobbiamo quindi fare lo stesso nei confronti dei nostri fratelli, senza mai stancarci di sopportarli» (DN 178). Nei rapporti con gli altri sono, dunque, necessarie le piccole attenzioni che hanno i fratelli e le sorelle tra di loro, attenzioni di dolcezza e di tenerezza che le madri riservano ai loro figli.
A commento diMc5,35-43 leggiamo, a questo proposito, nelle meditazioni di Charles:
E siamo infinitamentedelicatinella nostra carità; non limitiamoci ai grandi servizi, abbiamo questatenera delicatezzache entra neidettaglie sa con deinientemettere tanto balsamo nei cuori ‒«Dategli da mangiare», dice Gesù ‒ entriamo nello stesso modo con quelli che sono vicino a noi nei piccoli dettagli di salute, di consolazioni, di preghiere, di bisogni, consoliamo, alleviamo con le piùminuziose attenzioni; abbiamo, per quelli che Dio mette vicino a noi, queste tenere, delicate, piccole attenzioni che avrebbero tra loro dei fratelli molto teneri, e delle madri molto tenere con i loro figli, al fine di consolare per quanto è possibile tutti quelli che ci circondano e di essere per loro un oggetto di consolazione e un balsamo come lo fu sempre Nostro Signore per tutti quelli che lo avvicinarono (M/197).
I piccoli gesti quotidiani di bene danno valore alla nostra vita ordinaria, al nostro Nazareth. Non abbiamo bisogno di vivere continuamente di cose straordinarie. La vita di ogni giorno, vissuta con fedeltà, dà dignità alla nostra esistenza. Charles de Foucauld scriveva: «È il segreto della mia vita: ho perso il mio cuore per questo GESÙ di Nazareth crocifisso 1900 anni fa’ e passo la mia vita a cercare di imitarlo nella misura in cui lo può la mia debolezza»[11].La forma della vita di Nazaret è stata la condizione di annuncio evangelico dell’esperienza di Charles. Nei trent’anni a Nazaret, Gesù ha qualificato i tre anni di vita pubblica, maturando una sincera umiltà e un evangelico nascondimento nella sua attività apostolica. L’annuncio del Vangelo è autentico quando è praticato nell’amore, maturato nell’umiltà e nell’ordinarietà del quotidiano. Gesù, nella sua vita a Nazaret, ha saputovivere fino in fondo la sua esistenza, in modo povero, umile e nascosto. Per questo diventa il modello di ogni vita e dona dignità anche all’“ultima vita”:
Hai messo solo 3 anni a insegnare la verità al mondo, mio Dio, a fondare la tua Chiesa, a formare i Tuoi apostoli; ma hai giudicato che non era troppo dedicarne 30 a predicare agli uomini l’esempio dell’umiltà, dell’abbassamento, della vita nascosta (M/198bis).
Charles de Foucauld ha fatto della carità, dell’amore, il suo emblema di vita: «voleva imitare Gesù, vivere come Lui, agire come Lui agiva, fare sempre ciò che Gesù avrebbe fatto al suo posto» (DN 179). Voleva portare l’amore di Dio ai più dimenticati e poveri. Per questo scelse, come dicevamo, come motto Jesus Caritas. Il suo desiderio di irradiare l’amore di Gesù lo portò ad essere fratello universale; si è «lasciato plasmare dal Cuore di Cristo» (DN 179)e voleva «ospitare nel suo cuore fraterno tutta l’umanità sofferente: “il nostro cuore, come quello della Chiesa, come quello di Gesù, deve abbracciare tutti gli uomini”» (DN 179). Charles aveva imparato questa prospettiva dal suo maestro spirituale, l’abbé Huvelin, il quale diceva che «quando nostro Signore vive in un cuore, gli dà questi sentimenti, e questo cuore si abbassa verso i piccoli» (DN 180).
Come offrire al mondo “una riparazione” dell’amore a partire dal Cuore di Cristo? (cfr. DN181).Come collaborare con Dio, oggi, per costruire la civiltà dell’amore, che implica un’armonia tra l’amore verso di Lui e l’amore verso il prossimo? (cfr. DN 182).
L’enciclica ci offre delle condizioni per dare qualità all’esperienza dell’amore, termine oggi forse troppo abusato, ma della cui qualità ne abbiamo molto bisogno. Non si tratta solo di compiere delle buone opere, per affrontare peccati sociali, per sconfiggere strutture di peccato. Occorrono la forza, la creatività, la luce del Cuore di Cristo (cfr. DN 183-184).Si tratta di offrire una “riparazione cristiana” attraversoatti di perdono, di riconoscenza del «proprio peccato davanti agli altri» (DN 188), scelte queste che danno dignità, che sono nobili, che guariscono le relazioni, poiché: «chi non piange regredisce, invecchia dentro» (DN 190), mentre chi si umilia e si commuove dinanzi a Dio compie un atto di maturità, perché «si lega sempre meno a sé stesso e più a Cristo, e diventa povero in spirito […], chi si compunge nel cuore si sente più fratello di tutti i peccatori del mondo» (DN 190), desidera amare e riparare. È una persona che non si scandalizza del proprio peccato e diventa capace di essere ferma con sé stessa e misericordiosa con gli altri (cfr. DN 190).
Dialogando con noi, attraverso Gesù, il Padre ci incoraggia, in modo rispettoso e fraterno, a dialogare tra di noi e a fare del dialogo una forma dell’amore. La totale dedizione di Dio verso l’umanità è la misura del suo amore, che è un amore senza misura[12]. Dio ci incoraggia, dunque, a compiere tra di noi gesti di amore senza misura.Scrive frère Charles, a commento diLc9,27-35:
Amore, Tu agisci secondo la natura del Tuo essere, per mezzo dell’amore, e le Tue opere sono amorevoli fino alla fine, senza fine: «In finem dilexit eos»[13]… Il Tuo amore ha voluto fare più di tutto questo per noi, benché ciò fosse già un beneficio immenso; e il Tuo Cuore ha trovato, ha inventato di inviarci come precettore il Tuo Figlio Beneamato, cioè Te stesso (M/329).
Queste forme di partecipazione all’amore sono forme di collaborazione che permettono «alla potenza e all’amore di Dio di diffondersi nella nostra vita e nel mondo, mentre il rifiuto e l’indifferenza possono impedirlo» (DN 192). La nostra stessa libertà può impedire all’amore di Dio di diffondersi, di propagarsi nel mondo, mentre atti di amore fraterno possono favorirne la diffusione.
L’umiltà del Cuore di Gesù è una via di abbassamento che ci rende umili e amanti del suo amore: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29). Cristo ha bisogno della nostra piccolezza attraverso la nostra umile dedizione ai fratelli e alle sorelle. Nel farsi piccolo di Dio, il suo Cuore mostra tutta la sua grandezza: «Un cuore umano che fa spazio all’amore di Cristo attraverso la fiducia totale […] diventa capace di amare gli altri come Cristo, facendosi piccolo e vicino a tutti» (DN 203).
Partecipare al Cuore di Cristo ci fa andare ovunque, ci dispone ad andare, perché «alla luce del Sacro Cuore, la missione diventa una questione d’amore, e il rischio più grande in questa missione è che si dicano e si facciano molte cose, ma non si riesca a provocare il felice incontro con l’amore di Cristo che abbraccia e che salva» (DN 208). Ecco perché la missione «richiede missionari innamorati» (DN 209), che non riescono a non diffondere l’amore «che ha cambiato la loro vita» (DN 209). Una persona che ama trasmette l’amore con la testimonianza o con la parola, senza che l’altro debba compiere grandi sforzi per ricevere questo amore di Dio e senza bisogno di creare proselitismo. Un amore che non si impone, che lascia libero l’altro, un amore frutto di un’amicizia profonda con Dio e di un’esperienza ecclesiale autentica (cfr. DN 210-211), compiuta prima di tutto nella propria comunità, con i propri fratelli e sorelle (cfr. Gv 13,35), che si diffonde al di fuori, con un cuore fraterno e universale, che privilegia i più poveri, che ha la forza della presenza di Gesù nel gesto d’amore compiuto (cfr. DN 212-214).
Dio chiama a diffondere il suo amore sulla terra. C’è bisogno che ci lasciamo mandare da Lui a compierequesta missione e la compiremo ciascuno a modo nostro, con o senza risultati,con «la gioia di cercare di comunicare l’amore di Cristo agli altri» (DN 216). In un mondo in cui sembra che la nostra dignità dipenda da ciò che abbiamo, da ciò che consumiamo, accecati dai nostri bisogni immediati, Papa Francesco ci incoraggia a tenerci fuori da questi ingranaggi perversi, per lasciare spazio in noi all’incontro con l’amore gratuito di Dio, che «libera, vivifica, fa gioire il cuore e nutre le comunità» (DN 219). Ci propone questo e ci invita a farlo camminando «insieme verso un mondo giusto, solidale e fraterno» (DN 220).
Il Giubileo, che è alle porte, in cui sosteremo sul pellegrinaggio e sulla speranza – pellegrini di speranza – ci aiuti a camminare con fiducia, insieme, nella speranza. Possiamo farlo dato che, come dice Paolo, «la speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5).Camminiamo insieme con la forza della speranza, che il Cuore di Gesù ci dona ogni giorno nella nostra fraterna quotidianità.
______________________
[1]Lettera a Louis de Balthasar, 14 dicembre 1894, inFonds Charles de Foucauld – Archives Diocésaines Viviers.
[2]Per le meditazioni di Charles de Foucauld numerate, in questo testo, dalla n. 151 alla n. 259, cfr.C. de Foucauld,Fammi cominciare una nuova vita. Meditazioni sui Vangeli secondo Matteo e Marco,a cura delle Discepole del Vangelo, Centro Ambrosiano, Milano 2024. Per le meditazioni dalla n. 260 alla n. 427, cfr.C. de Foucauld,Cerco i miei amici tra i piccoli. Meditazioni sul Vangelo secondo Luca, a cura delle Discepole del Vangelo, Centro Ambrosiano, Milano 2024.
[3]A. Hamon,Dictionnaire de Spiritualité, art.Cœur– col. 1044, citato inJ.F. Six,Itineraire spirituel de Charles de Foucauld, Seuil, Paris 1958,90-92.
[4]C. de Foucauld,Considérations sur les fêtes de l’année, Nouvelle cité, Paris 1987, 439.
[5]Lettera a Marie de Bondy, Beni Abbes 7 gennaio 1902, Fonds Charles de Foucauld – Archives Diocésaines Viviers.
[6]C. de Foucauld,Règlements et Directoire, Nouvelle Cité, Montrouge 1995,103 e 361.
[7]C.De Foucauld – Abbé Huvelin,Charles de Foucauld - Don Huvelin.Corrispondenza inedita, Borla, Torino 1965, 131-132.
[8]Ibid.,132-134.
[9]Ibid.,142-143.
[10]C. de Foucauld,Lettres à Mme de Bondy. De la Trappe à Tamanrasset,Desclée de Brouwer, Paris 1966, 98-99.
[11]Lettera a Gabriel Tourdes, 3 marzo 1902.C. de Foucauld,Lettere a un amico di liceo. Corrispondenza inedita con Gabriel Tourdes (1874-1915), Città Nuova, Roma 1985, 94-95.
[12]Gli uomini sono chiamati ad amare il Padre con tutto se stessi, poiché «la misura con cui si deve amare Dio, è di amarlo senza misura».L. Bouyer,La spiritualità cisterciense, ed. C. Stercal, Jaca Book, Milano 1994,37. Questa affermazione di san Bernardo è cara a C. de Foucauld. Egli vi ritorna nelle sue meditazioni, ricordando ciò che gli aveva detto il direttore spirituale, a proposito dell’amare: «Possono esserci degli eccessi in tutto, eccetto nell’amore in cui non si saprebbe mai eccedere».C. de Foucauld,Considérations sur les fêtes de l’année, Nouvelle Cité, Paris 1987,177.
[13]«Li amò fino alla fine» [Gv13,1].
[01637-IT.01] [Testo originale: Italiano]
[B0822-XX.02]