Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Lettera del Santo Padre Francesco sul ruolo della letteratura nella formazione, 04.08.2024


Testo in lingua italiana

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Testo in lingua italiana

1. Inizialmente avevo scritto un titolo riferito alla formazione sacerdotale, ma poi ho pensato che, analogamente, queste cose si possono dire circa la formazione di tutti gli agenti pastorali, come pure di qualsiasi cristiano. Mi riferisco al valore della lettura di romanzi e poesie nel cammino di maturazione personale.

2. Spesso nella noia delle vacanze, nel caldo e nella solitudine di alcuni quartieri deserti, trovare un buon libro da leggere diventa un’oasi che ci allontana da altre scelte che non ci fanno bene. Poi non mancano i momenti di stanchezza, di rabbia, di delusione, di fallimento, e quando neanche nella preghiera riusciamo a trovare ancora la quiete dell’anima, un buon libro ci aiuta almeno a passare la tempesta,finché possiamo avere un po’ più di serenità. E forse quella lettura ci apre nuovi spazi interiori che ci aiutano ad evitare una chiusura in quelle poche idee ossessive che ci intrappolano in maniera inesorabile. Prima della onnipresenza dei media, dei social, dei cellulari e di altri dispositivi, questa era un’esperienza frequente, e quanti l’hanno sperimentata sanno bene di cosa sto parlando. Non si tratta di qualcosa di superato.

3. A differenza dei media audiovisivi, dove il prodotto è più completo e il margine e il tempo per “arricchire” la narrazione o interpretarla sono solitamente ridotti, nella lettura di un libro il lettore è molto più attivo. In qualche modo riscrive l’opera, la amplifica con la sua immaginazione, crea un mondo, usa le sue capacità, la sua memoria, i suoi sogni, la sua stessa storia piena di drammi e simbolismi, e in questo modo ciò che emerge è un'opera ben diversa da quella che l'autore voleva scrivere. Un’opera letteraria è così un testo vivo e sempre fecondo, capace di parlare di nuovo in molti modi e di produrre una sintesi originale con ogni lettore che incontra. Nella lettura, il lettore si arricchisce di ciò che riceve dall'autore, ma questo allo stesso tempo gli permette di far fiorire la ricchezza della propria persona, così che ogni nuova opera che legge rinnova e amplia il proprio universo personale.

4. Questo mi porta a valutare molto positivamente il fatto che, almeno in alcuni Seminari, si superi l’ossessione per gli schermi -e per le velenose, superficiali e violentefake news- e si dedichi tempo alla letteratura, ai momenti di serena e gratuita lettura, a parlare su questi libri, nuovi o vecchi, che continuano a dirci tante cose. Ma in generale si deve, con rammarico, constatare che nel percorso formativo di chi è avviato al ministero ordinato, l’attenzione alla letteratura non trova al momento un’adeguata collocazione. Quest’ultima è spesso considerata, infatti, come una forma di intrattenimento, ovvero come un’espressione minore della cultura che non apparterrebbe al cammino di preparazione e dunque all’esperienza pastorale concreta dei futuri sacerdoti. Tranne poche eccezioni, l’attenzione alla letteratura viene considerata come qualcosa di non essenziale. Al riguardo, desidero affermare che tale impostazione non va bene. È all’origine di una forma di grave impoverimento intellettuale e spirituale dei futuri presbiteri, che vengono in tal modo privati di un accesso privilegiato, tramite appunto la letteratura, al cuore della cultura umana e più nello specifico al cuore dell’essere umano.

5. Con questo scritto, desidero proporre un radicale cambio di passo circa la grande attenzione che, nel contesto della formazione dei candidati al sacerdozio, si deve prestare alla letteratura.A tal proposito, trovo assai efficace ciò che afferma un teologo:

«La letteratura [...] scaturisce dalla persona in ciò che questa ha di più irriducibile, nel suomistero[...]. È la vita che prende coscienza di sé stessa quando raggiunge la pienezza di espressione, facendo appello a tutte le risorse del linguaggio».[1]

6. La letteratura ha così a che fare, in un modo o nell’altro, con ciò che ciascuno di noi desidera dalla vita, poiché entra in un rapporto intimo con la nostra esistenza concreta, con le sue tensioni essenziali, con i suoi desideri e i suoi significati.

7. Questo l’ho imparato da giovane con i miei studenti. Tra il 1964 e il 1965, a 28 anni, sono stato professore di Letteratura a Santa Fe presso una scuola di gesuiti. Insegnavo agli ultimi due anni del Liceo e dovevo fare in modo che i miei alunni studiassero El Cid. Ma ai ragazzi non piaceva. Chiedevano di leggere García Lorca. Allora ho deciso che avrebbero studiato El Cida casa, e durante le lezioni io avrei trattato gli autori che piacevano di più ai ragazzi. Ovviamente loro volevano leggere le opere letterarie contemporanee. Ma, leggendo queste cose che li attiravano sul momento, prendevano gusto più in generale alla letteratura, alla poesia, e poi passavano ad altri autori. Alla fine, il cuore cerca di più, ed ognuno trova la sua strada nella letteratura[2]. Io, ad esempio, amo gli artisti tragici, perché tutti potremmo sentire le loro opere come nostre, come espressione dei nostri propri drammi. Piangendo per la sorte dei personaggi, piangiamo in fondo per noi stessi ed i nostri vuoti, le nostre mancanze, la nostra solitudine. Naturalmente, non vi sto chiedendo di fare le stesse letture che ho fatto io. Ognuno troverà quei libri che parleranno alla propria vita e che diventeranno dei veri compagni di viaggio. Non c’è niente di più controproducente che leggere qualcosa per obbligo, facendo uno sforzo considerevole solo perché altri hanno detto che è essenziale. No, dobbiamo selezionare le nostre letture con apertura, sorpresa, flessibilità, lasciandoci consigliare, ma anche con sincerità, cercando di trovare ciò di cui abbiamo bisogno in ogni momento della nostra vita.

Fede e cultura

8. Inoltre, per un credente che vuole sinceramente entrare in dialogo con la cultura del suo tempo, o semplicemente con la vita delle persone concrete, la letteratura diventa indispensabile. A buona ragione, il Concilio Vaticano II sostiene che «la letteratura e le arti […] cercanodi esprimere l’indole propria dell’uomo» e «di illustrare le sue miserie e le sue gioie, i suoi bisognie le sue capacità».[3]La letteratura prende, in verità, spunto dalla quotidianità della vita, dalle sue passioni e dalle sue vicende reali come «l’azione, il lavoro, l’amore, la morte e tutte le povere cose che riempiono la vita».[4]

9. Come possiamo raggiungere il centro delle antiche e nuove culture se ignoriamo, scartiamo e/o mettiamo a tacere i lorosimboli, i messaggi, le creazioni e le narrazioni con cui hanno catturato e voluto svelare ed evocare le loro imprese e gli ideali più belli, cosìcome le loro violenze, paure e passioni più profonde? Come possiamo parlare al cuore degli uomini se ignoriamo, releghiamo o non valorizziamo “quelle parole” con cui hanno voluto manifestare e, perché no, rivelare il dramma del loro vivere e del loro sentire attraverso romanzi e poesie?

10. La missione ecclesiale ha saputo dispiegare tutta la sua bellezza, freschezza e novità nell’incontro con le diverse culture -tante volte grazie alla letteratura- in cui si è radicata senza paura di mettersi in gioco e di estrarne il meglio di ciò che ha trovato. È un atteggiamento che l’ha liberata dalla tentazione di un solipsismo assordante e fondamentalista che consistenelcredere che una certa grammatica storico-culturaleabbiala capacità di esprimere tutta la ricchezza e la profondità del Vangelo.[5]Molte delle profezie di sventura che oggi tentano di seminare disperazione sono radicate proprio in questo aspetto. Il contatto con i diversi stili letterari e grammaticali permetterà sempre di approfondire la polifonia della Rivelazione senza ridurla o impoverirla alle proprie esigenze storiche o alle proprie strutture mentali.

11. Non è così un caso che il cristianesimo delle origini, ad esempio,avessebene intuito la necessità di un serrato confronto con la cultura classica del tempo. Un Padre della Chiesa d’Oriente come Basilio di Cesarea, ad esempio, nel suoDiscorso ai giovani, composto tra il 370 e il 375, indirizzato probabilmente ai suoi nipoti, esaltava la preziosità della letteratura classica –prodotta dagliéxothen(“quelli di fuori”), come lui chiamava gli autori pagani–sia per l’argomentare, cioè per ilógoi(“discorsi”) da usare nella teologia e nell’esegesi, sia per la stessa testimonianza nella vita, ossia per lepráxeis(“gli atti, i comportamenti”) da tenere in considerazione nell’ascetica e nella morale. E concludeva spingendo i giovani cristiani a considerare i classici unephódion(“viatico”) per la loro istruzione e formazione, ricavandone “profitto per l’anima” (IV, 8-9). Ed è proprio da quell’incontro dell’evento cristiano con la cultura dell’epoca che è venuta fuori un’originale rielaborazione dell’annuncio evangelico.

12. Grazie al discernimento evangelico della cultura, è possibile riconoscere la presenza dello Spirito nella variegata realtà umana, è possibile, cioè, cogliere il semegiàpiantato della presenza dello Spirito negli avvenimenti, nelle sensibilità, nei desideri, nelle tensioni profonde dei cuori e dei contesti sociali, culturali e spirituali. Possiamo ad esempio riconoscere negliAtti degli Apostoli, lì dove si parla della presenza di Paolo all’Areopago (cfr.At17,16-34), un simile approccio. Paolo, parlando di Dio, afferma: «In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: “Poiché di lui stirpe noi siamo» (At17,28). In questo versetto sono presenti due citazioni: una indiretta nella prima parte, dove si cita il poeta Epimenide (VI sec. a. C.), ed una diretta, che cita iFenomenidel poeta Arato di Silo (III sec. a. C.), il quale canta le costellazioni e i segni del buono e cattivo tempo. Qui «Paolo si rivela “lettore” di poesia e lascia intuire il suo mododiaccostarsi al testo letterario, che non può non far riflettere in ordine a un discernimento evangelico della cultura. Egli viene definito dagli ateniesispermologos, cioè “cornacchia, chiacchierone, ciarlatano”, ma letteralmente “raccoglitore di semi”. Quella che era certamente un’ingiuria sembra, paradossalmente, una verità profonda. Paolo raccoglie i semi della poesia pagana e, uscendo da un precedente atteggiamento di profonda indignazione (cfr.At17,16), giunge a riconoscere gli ateniesi come “religiosissimi” e vede in quelle pagine della loro letteratura classica una vera e propriapreparatio evangelica»[6].

13. Che cosa ha fatto Paolo? Egli ha compreso che la “letteraturascopre gli abissi che abitano l’uomo, mentre la rivelazione, e poi la teologia, li assumono per dimostrare come Cristo giunge ad attraversarli e a illuminarli”[7]. In direzione di questi abissi, la letteratura è dunque una “via d’accesso”,[8]che aiutail pastore a entrare in un fecondo dialogo con la cultura del suo tempo.

Mai un Cristo senza carne

14. Prima di approfondire le ragioni specifiche per le quali è da promuovere l’attenzione alla letteratura nel cammino di formazione dei futuri sacerdoti, mi sia concesso richiamare qui un pensiero circa il contesto religioso attuale: «Il ritorno al sacro e la ricerca spirituale che caratterizzano la nostra epoca sono fenomeni ambigui. Ma più dell’ateismo, oggi abbiamo di fronte la sfida di rispondere adeguatamente alla sete di Dio di molta gente, perché non cerchino di spegnerla con proposte alienanti o con un Gesù Cristo senza carne».[9]L’urgente compito dell’annuncio del Vangelo nel nostro tempo richiede, dunque, ai credenti e ai sacerdoti in particolare l’impegno a che tutti possano incontrarsicon un Gesù Cristo fatto carne, fatto umano, fatto storia. Dobbiamo stare tutti attenti a non perdere mai di vista la “carne” di Gesù Cristo: quella carne fatta di passioni, emozioni, sentimenti, racconti concreti, mani che toccano e guariscono, sguardi che liberano e incoraggiano, di ospitalità, di perdono, di indignazione, di coraggio, di intrepidezza: in una parola, di amore.

15. Ed è proprio a questo livello che un’assidua frequentazione della letteratura può rendere i futuri sacerdoti e tutti gli agenti pastorali ancora più sensibili alla piena umanità del Signore Gesù, in cui si riversa pienamente la sua divinità, e annunciare il Vangelo in modo che tutti, davvero tutti, possano sperimentare quanto sia vero ciò che dice il Concilio Vaticano II: «in realtà solamentenel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo».[10]Ciò non vuol dire il mistero di un’umanità astratta, ma il mistero di quell’essere umano concreto con tutte le ferite, i desideri, i ricordi e le speranze della sua vita.

Un grande bene

16. Da un punto di vista pragmatico, molti scienziati sostengono che l’abitudinea leggere producamolti effetti positivi nella vita della persona: la aiuta ad acquisire un vocabolario più ampio e di conseguenza a sviluppare vari aspetti della sua intelligenza. Stimola anche l’immaginazione e la creatività. Allo stesso tempo, questo permette di imparare ad esprimere in modo più ricco le proprie narrazioni. Migliora anche la capacità di concentrazione, riduce i livelli di deterioramento cognitivo, calma lo stress e l’ansia.

17. Meglio ancora: ci prepara a comprendere e quindi ad affrontare le varie situazioni che possono presentarsi nella vita. Nella lettura ci tuffiamo nei personaggi, nelle preoccupazioni,neidrammi,nei pericoli, nelle paure delle persone che hanno superato alla fine le sfide dellavita, o forse durante la lettura diamo consigli ai personaggi che in seguito serviranno a noi stessi.

18. Per tentare di incoraggiare ancora alla lettura, cito volentieri alcuni testi di autori molto conosciuti, che con poche parole ci insegnano tanto:

I romanzi scatenano «in noi nello spazio di un’ora tutte le possibili gioie e sventure che, nella vita, impiegheremmo anni interi a conoscere in minima parte, e di cui le più intense non ci verrebbero mai rivelate giacché la lentezza con la quale si producono ce ne impedisce la percezione».[11]

«Leggendo le grandi opere della letteratura divento migliaia di uomini e, allo stesso tempo, rimango me stesso. Come il cielo notturno della poesia greca, vedo con una miriade di occhi, ma sono sempre io a vedere. Qui, come nella religione, nell’amore, nell’azione morale e nella conoscenza, supero me stesso, eppure, quando lo faccio, sono più me stesso che mai».[12]

19. Comunque, non è la mia intenzione soffermarmi soltanto su questo livello di utilità personale, ma riflettere sulle ragioni più decisive per risvegliare l’amore per la lettura.

Ascoltare la voce di qualcuno

20. Quando il mio pensiero si rivolge alla letteratura, mi viene in mente ciòche il grande scrittore argentino Jorge Luis Borges[13]diceva ai suoi studenti:la cosa più importante è leggere, entrare in contatto diretto con la letteratura, immergersi nel testo vivo che ci sta davanti, più che fissarsi sulle idee e i commenti critici. E Borges spiegava questa idea ai suoi studenti dicendo loro che forse all’inizio avrebbero capito poco di ciòchestavano leggendo, ma che in ogni caso essi avrebbero ascoltato “la voce di qualcuno”. Ecco una definizione di letteratura che mi piace molto:ascoltare la voce di qualcuno.E non si dimentichi quanto sia pericoloso smettere di ascoltare la voce dell’altro che ci interpella! Si cade subito nell’autoisolamento, si accede ad una sorta di sordità “spirituale”, la quale incide negativamente pure sul rapporto con noi stessi e sul rapporto con Dio, a prescindere da quanta teologia o psicologia abbiamo potuto studiare.

21. Percorrendo questa via, che cirendesensibili al mistero degli altri, la letteratura ci fa imparare a toccare il loro cuore. Come non ricordare a questo punto la parola coraggiosa che, il 7 maggio del 1964, san Paolo VI rivolse agli artisti e dunque anche ai grandi scrittori? Diceva: «Noi abbiamo bisogno di voi. Il Nostro ministero ha bisogno della vostra collaborazione. Perché, come sapete, il Nostro ministero è quello di predicare e di rendere accessibile e comprensibile, anzi commovente, il mondo dello spirito, dell’invisibile, dell’ineffabile, di Dio. E in questa operazione, che travasa il mondo invisibile in formule accessibili, intelligibili, voi siete maestri».[14]Ecco il punto: compito dei credenti, e dei sacerdoti in particolare, è proprio “toccare” il cuore dell’essere umano contemporaneo affinché si commuova e si apra dinanzi all’annuncio del Signore Gesù ed in questo loro impegno l’apporto che la letteratura e la poesia possono offrire è di ineguagliabile valore.

22. T.S. Eliot, il poeta a cui lo spirito cristiano deve opere letterarie che hanno segnato la contemporaneità, ha giustamente descritto la crisi religiosa moderna come quella di una diffusa “incapacità emotiva”.[15]Alla luce di questa lettura della realtà, oggi il problema della fede non è innanzitutto quello di credere di più o di credere di meno nelle proposizioni dottrinali. È piuttosto quello legato all’incapacità di tanti di emozionarsi davanti a Dio, davanti alla sua creazione, davanti agli altri esseri umani. C’è qui, dunque, il compito di guarire e di arricchire la nostra sensibilità. Per questo, al mio ritorno dal Viaggio Apostolico in Giappone, quando mi hanno chiesto che cosa ha da imparare l’Occidente dall’Oriente, ho risposto: «credo che all’Occidente manchi un po’ di poesia».[16]

Una sorta di palestra di discernimento

23. Che cosa, allora, guadagna il sacerdote da questo contatto con la letteratura? Perché è necessarioconsiderare e promuovere la lettura dei grandi romanzicome una componente importante dellapaideiasacerdotale? Perché è importante recuperare e implementare nel percorso formativo dei candidati al sacerdozio l’intuizione, delineata dal teologo Karl Rahner, di un’affinità spirituale profonda tra sacerdote e poeta?[17]

24. Proviamo a rispondere a questi interrogativi, ascoltando le considerazioni del teologo tedesco.[18]Le parole del poeta, scrive Rahner, sono “piene di nostalgia”, sono «porte che si aprono sull’infinito, porte che si spalancano sull’immensità. Esse evocano l’ineffabile, tendono verso l’ineffabile». Questa parola poetica «si affaccia sull’infinito, ma non può darci questo infinito, né può portare o nascondere in sé colui che è l’Infinito». Questo è proprio della Parola di Dio, infatti, e –prosegue Rahner– «la parola poetica invoca dunque la parola di Dio».[19]Per i cristiani la Parola è Dio e tutte le parole umane recano traccia di una intrinseca nostalgia di Dio, tendendo verso quella Parola. Si può dire che la parola veramente poetica partecipa analogicamente della Parola di Dio, come ce la presenta in maniera dirompente laLettera agli Ebrei(cfr.Eb4, 12-13).

25. Ed è così che Karl Rahner può stabilire un bel parallelo tra il sacerdote e il poeta: «solo la parola è intimamente capace di liberare ciò che trattiene in prigionia tutte le realtà inespresse: il mutismo della loro tendenza verso Dio».[20]

26. Nella letteratura, poi, sono in gioco questioni diforma di espressionee disenso. Essa rappresenta pertanto una sorta dipalestra di discernimento, che affina le capacità sapienziali di scrutinio interiore ed esteriore del futuro sacerdote. Il luogo nel quale si apre questa via di accesso alla propria verità èl’interiorità del lettore,implicato direttamente nel processo della lettura. Ecco dunque dispiegarsi lo scenario del discernimento spirituale personale dove non mancheranno le angosce e persino le crisi. Infatti, sono numerose le pagine letterarie che possono rispondere alla definizione ignaziana di «desolazione».

27. «Si intende per desolazione […] l’oscurità dell’anima, il turbamento interiore, lo stimolo verso le cose basse e terrene, l’inquietudine dovuta a diverse agitazioni e tentazioni: così l’anima s’inclina alla sfiducia, è senza speranza e senza amore, e si ritrova pigra, tiepida, triste e come separata dal suo Creatore e Signore».[21]

28. Il dolore o la noia che si provano leggendo certi testi non sono necessariamente brutte o inutili sensazioni. Lo stesso Ignazio di Loyola aveva notato che in «coloro che procedono di male in peggio» lo spirito buono agisce provocando inquietudine, agitazione, insoddisfazione.[22]Questa sarebbe l’applicazione letterale della prima regola ignaziana del discernimento degli spiriti riservata a coloro che «vanno di peccato mortale in peccato mortale» e cioè che in tali persone lo spirito buono si comporta «pungendole e rimordendo la loro coscienza con la sinderesi della ragione»[23]per portarli al bene e alla bellezza.

29. Si capisce così che il lettore non è il destinatario di un messaggio edificante, ma è una persona che viene attivamente sollecitata ad inoltrarsi su un terreno poco stabile dove i confini tra salvezza e perdizione non sonoa prioridefiniti e separati. L’atto della lettura è, allora, come un atto di “discernimento”, grazie al quale il lettore è implicato in prima persona come “soggetto” di lettura e, nello stesso tempo, come “oggetto” di ciò che legge. Leggendo un romanzo o un’opera poetica, in realtà il lettore vive l’esperienza di “venire letto” dalle parole che legge.[24]Così il lettore è simile ad un giocatore sul campo: egli fa il gioco ma nello stesso tempo il gioco si fa attraverso di lui, nel senso che egli è totalmente coinvolto in ciò che agisce[25].

Attenzione e digestione

30. Per quanto riguarda i contenuti, si deve riconoscere che la letteratura è come “un telescopio”–secondo la celebre immagine coniata da Proust[26]– puntato su esseri e cose, indispensabile per mettere a fuoco “la grande distanza” che il quotidiano scava tra la nostra percezione e l’insieme dell’esperienza umana. «La letteratura è come un laboratorio fotografico, nel quale è possibile elaborare le immagini della vita perché svelino i loro contorni e le loro sfumature. Ecco, dunque, a cosa “serve” la letteratura: a “sviluppare” le immagini della vita»[27], a interrogarci sul suo significato. Serve, in poche parole, a fare efficacementeesperienza della vita.

31. E, in verità, il nostro sguardo ordinario sul mondo è come “ridotto” e limitato a causa della pressione che gli scopi operativi e immediati del nostro agire esercitano su di noi. Anche il servizio – cultuale, pastorale, caritativo – può diventare un imperativo che indirizza le nostre forze e la nostra attenzione solo sugli obiettivi da raggiungere. Ma, come ricorda Gesù nella parabola del seminatore, il seme ha bisogno di cadere in un terreno profondo per maturare fecondamente nel tempo, senza essere soffocato dalla superficialità o dalle spine (Mt13,18-23). Il rischio diventa così quello di cadere in un efficientismo che banalizza il discernimento, impoverisce la sensibilità e riduce la complessità. È perciò necessario ed urgente controbilanciare questa inevitabile accelerazione e semplificazione del nostro vivere quotidiano imparando a prendere le distanze da ciò che è immediato, a rallentare, a contemplare e ad ascoltare. Questo può accadere quando una persona si ferma gratuitamente a leggere un libro.

32. È necessario recuperare modi di rapportarsi alla realtà ospitali, non strategici, non direttamente finalizzati a un risultato, in cui sia possibile lasciar emergere l’eccedenza infinita dell’essere. Distanza, lentezza, libertà sono i caratteri di un approccio al reale che trova proprio nella letteratura una forma di espressione non certo esclusiva ma privilegiata. La letteratura diventa allora una palestra dove allenare lo sguardo a cercare ed esplorare la verità delle persone e delle situazioni come mistero, come cariche di un eccesso di senso, che può essere solo parzialmente manifestata in categorie, schemi esplicativi, in dinamiche lineari di causa-effetto, mezzo-fine.

33. Un’altra bella immagine per dire il ruolo della letteratura viene dalla fisiologia dell’apparato umano ed in particolare dall’atto della digestione. Qui il suo modello è dato dallaruminatiodella mucca, come affermavano il monaco dell’XI secolo Guillaume de Saint-Thierry e il gesuita del XVII secolo Jean-Joseph Surin. Quest’ultimo a sua volta parla di “stomaco dell’anima” ed il gesuita Michel De Certeau ha indicato una vera e propria “fisiologia della lettura digestiva”.[28]Ecco: la letteratura ci aiuta a dire la nostra presenza nel mondo, a “digerirla” e assimilarla, cogliendo ciò che va oltre la superficie del vissuto; serve, dunque, a interpretare la vita, discernendone i significati e le tensioni fondamentali[29].

Vedere attraverso gli occhi degli altri

34. Per quanto riguarda la forma di discorso, accade questo: leggendo un testo letterario, siamo messi in condizione di «vedere attraverso gli occhi degli altri»,[30]acquisendo un’ampiezza di prospettiva che allarga la nostra umanità. Si attiva così in noi il potere empatico dell’immaginazione, che è veicolo fondamentale per quella capacità di identificazione con il punto di vista, la condizione, il sentire altrui, senza la quale non si dà solidarietà, condivisione, compassione, misericordia. Leggendo scopriamo che ciò che sentiamo non è soltanto nostro, è universale, e così anche la persona più abbandonata non si sente sola.

35. La meravigliosa diversità dell’essere umano e la pluralità diacronica e sincronica di culture e saperi si configurano nella letteratura in un linguaggio capace di rispettarne ed esprimerne la varietà, ma al tempo stesso vengono tradotte in una grammatica simbolica del senso che ce le rende intelligibili, non estranee, condivise. L’originalità della parola letteraria consiste nel fatto che essa esprime e trasmette la ricchezza dell’esperienza non oggettivandola nella rappresentazione descrittiva del sapere analitico o nell’esame normativo del giudizio critico, ma come contenuto di uno sforzo espressivo ed interpretativo di dare senso all’esperienza in questione.

36. Quando si legge una storia, grazie alla visione dell’autore ognuno immagina a modo suo il pianto di una ragazza abbandonata, l’anziana che copre il corpo del suo nipote addormentato, la passione di un piccolo imprenditore che tenta di andare avanti malgrado le difficoltà, l’umiliazione di chi si sente criticato da tutti, il ragazzo che sogna come unica via di uscita dal dolore di una vita miserabile e violenta. Mentre sentiamo tracce del nostro mondo interiore in mezzo a quelle storie, diventiamo più sensibili di fronte alle esperienze degli altri, usciamo da noi stessi per entrare nelle loro profondità, possiamo capire un po’ di più le loro fatiche e desideri, vediamo la realtà con i loro occhi e alla fine diventiamo compagni di cammino. Così ci immergiamo nell’esistenza concreta ed interiore del fruttivendolo, della prostituta, del bambino che cresce senza i genitori, della donna del muratore, della vecchietta che ancora crede che troverà il suo principe. E possiamo farlo con empatia e alle volte con tolleranza e comprensione.

37. Jean Cocteau scrisse a Jacques Maritain: «La letteratura è impossibile, bisogna uscirne, ed è inutile cercare di tirarsene fuori con la letteratura perché solo l’amore e la fede ci consentono di uscire da noi stessi».[31]Ma veramente usciamo da noi stessi se non ci bruciano nel cuore le sofferenze e le gioie degli altri? Preferisco ricordare che, essendo cristiani, niente che sia umano mi è indifferente.

38. Inoltre, la letteratura non è relativista, perché non ci spoglia di criteri di valore. La rappresentazione simbolicadel bene e del male, del vero e del falso, come dimensioni che nella letteratura prendono corpo di esistenze individuali e di vicende storiche collettive, non neutralizza il giudizio morale ma impedisce ad esso di diventare cieco o superficialmente condannatorio. «Perché guardi la pagliuzzache ènell’occhio di tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?» – ci chiede Gesù (Mt7, 3).

39. E nella violenza,limitatezzao fragilità altrui, abbiamo la possibilità di riflettere meglio sulla nostra. Nell’aprire al lettore un’ampia visione della ricchezza e della miseria dell’esperienza umana, la letteratura educa il suo sguardo alla lentezza della comprensione, all’umiltà della non semplificazione, alla mansuetudine del non pretendere di controllare il reale e la condizione umana attraverso il giudizio. Vi è certo bisogno del giudizio, ma non si deve mai dimenticare la sua portata limitata: mai, infatti, il giudizio deve tradursi in sentenza di morte, in cancellazione, in soppressione dell’umanità a vantaggio di un’arida totalizzazione della legge.

40. Lo sguardo della letteratura forma il lettore al decentramento, al senso del limite, alla rinuncia al dominio, cognitivo e critico, sull’esperienza, insegnandogli una povertà che è fonte di straordinaria ricchezza. Nel riconoscere l’inutilità e forse pure l’impossibilità di ridurre il mistero del mondo e dell’essere umano ad una antinomica polarità di vero/falso o giusto/ingiusto, il lettore accoglie il dovere del giudizio non come strumento di dominio ma come spinta verso un ascolto incessante e come disponibilità a mettersi in gioco in quella straordinaria ricchezza della storia dovuta alla presenza dello Spirito, che si dà anche come Grazia: ovvero come evento imprevedibile e incomprensibile che non dipende dall’azione umana, ma ridefinisce l’umano come speranza di salvezza.

La potenza spirituale della letteratura

41. Confido di aver evidenziato, in queste brevi riflessioni, il ruolo che la letteratura può svolgere nell’educare il cuore e la mente del pastore o del futuro pastore in direzione di un esercizio libero e umile della propria razionalità, di un riconoscimento fecondo del pluralismo dei linguaggi umani, di un ampliamento della propria sensibilità umana, e infine di una grande apertura spirituale per ascoltare la Voce attraverso tante voci.

42. In questo senso la letteratura aiuta il lettore ad infrangere gli idoli dei linguaggi autoreferenziali, falsamente autosufficienti, staticamente convenzionali, che a volte rischiano di inquinare anche il nostro discorso ecclesiale, imprigionando la libertà della Parola. Quella letteraria è una parola che mette in moto il linguaggio, lo libera e lo purifica: lo apre, infine, alle proprie ulteriori possibilità espressive ed esplorative, lo rende ospitale per la Parola che prende casa nella parola umana, non quando essa si auto comprende come sapere già pieno, definitivo e compiuto, ma quando essa si fa vigilia di ascolto e attesa di Colui che viene perfare nuove tutte le cose(cfr.Ap21, 5).

43. La potenza spirituale della letteratura richiama, da ultimo, il compito primario affidato da Dio all’uomo: il compito di “nominare” gli esseri e le cose (cfr.Gn2, 19-20). La missione di custode del creato, assegnata da Dio ad Adamo, passa innanzitutto proprio dalla riconoscenza della realtà propria e del senso che ha l’esistenza degli altri esseri. Il sacerdote è anche investito di questo compito originario di “nominare”, di dare senso, di farsi strumento di comunione tra il creato e la Parola fatta carne e della sua potenza di illuminazione di ogni aspetto della condizione umana.

44. L’affinità tra sacerdote e poeta si manifesta così in questa misteriosa e indissolubile unione sacramentale tra Parola divina e parola umana, dando vita ad un ministero che diviene servizio pieno di ascolto e di compassione, ad un carisma che si fa responsabilità, ad una visione del vero e del bene che si schiude come bellezza. Non possiamo fare a meno di ascoltare le parole che ci ha lasciato il poeta Paul Celan: «Chi impara realmente a vedere, si avvicina all’invisibile».[32]

Dato a Roma, presso San Giovanni in Laterano, il 17 luglio dell’anno 2024, dodicesimo del mio Pontificato.

FRANCESCO

________________________________

[1]R. Latourelle, «Letteratura», inR. Latourelle - R. Fisichella,Dizionario di Teologia Fondamentale, Assisi (PG) 1990, 631.

[2]Cfr. A. Spadaro, «J. M. Bergoglio, il “maestrillo” creativo. Intervista all’alunno Jorge Milia», inLa Civiltà Cattolica2014 I 523-534.

[3]Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneoGaudium et spes62.

[4]K. Rahner, «Il futuro del libro religioso», inNuovi saggi II, Roma 1968, 647.

[5]Cfr. Esortazione ApostolicaEvangelii gaudium117.

[6]A. Spadaro,Svolta di respiro. Spiritualità della vita contemporanea, Milano, Vita e Pensiero, 101.

[7]R. Latourelle, «Letteratura», 633.

[8]S. Giovanni Paolo II,Lettera agli artisti, n.6.

[9]Esortazione ApostolicaEvangelii gaudium89.

[10]Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneoGaudium et spes22.

[11]M. PROUST,Alla ricerca del tempo perduto.I.La strada di Swann, Milano, Mondadori, 1983, 104 s.

[12]C.S. Lewis,Lettori e letture.Un esperimento di critica, Milano 1997, 165.

[13]Cfr.J.L. Borges,Borges,Oral, Buenos Aires 1979, 22.

[14]S.PaoloVI, Omelia, «Messa degli Artisti» nella Cappella Sistina, 7 maggio 1964.

[15]T.S. Eliot,The Idea of a Christian Society, London 1946, 30.

[16]Conferenza stampa del Santo Padre durante il volo di ritorno dal Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco in Thailandia e Giappone, 26 novembre 2019.

[17]Cfr. A. Spadaro,La grazia della parola. Karl Rahner e la poesia, Milano, Jaca Book, 2006.

[18]K. Rahner, «Sacerdote e poeta» inLa fede in mezzo al mondo, Alba 1963, 131-173.

[19]Ivi 171 s.

[20]Ivi, 146.

[21]S. Ignazio di Loyola,Esercizi Spirituali, n. 317.

[22]Cfr. ivi, n. 335.

[23]Ivi, n. 314

[24]Cfr.K. Rahner, «Sacerdote e poeta» inLa Fede in mezzo al mondo, Alba 1963, 141.

[25]Cfr. A Spadaro,La pagina che illumina. Scrittura creativa come esercizio spirituale, Milano, Ares, 2023, 46-47.

[26]M. Proust,À la recherche du temps perdu. Le temps retrouvé, Paris 1954, Vol.III, 1041.

[27]A. Spadaro,La pagina che illumina…cit., 14.

[28]M. De Certeau,Il parlare angelico. Figure per una poetica della lingua (Secoli XVI e XVII), Firenze 1989, 139 s.

[29]Cfr. A. Spadaro,La pagina che illumina…cit., 16.

[30]C.S. Lewis,Lettori e letture. Un esperimento di critica, Milano 1997, 165.

[31]J. Cocteau – J. Maritain,Dialogo sulla fede, Firenze, Passigli, 1988, 56.Cfr. A.Spadaro,La pagina che illumina…cit., 11-12.

[32]P. Celan,Microliti, Milano 2020, 101.

[01218-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Lettre du Pape François

sur le rôle de la littérature dans la formation

1. J’avais initialement écrit un titre se référant à la formation sacerdotale, mais j’ai ensuite pensé que, de la même manière, ces choses peuvent être dites à propos de la formation de tous les agents pastoraux, comme de n’importe quel chrétien. Je veux parler de l’importance de la lecture de romans et de poèmes dans le parcours de maturation personnelle.

2. Souvent, dans l’ennui des vacances, dans la chaleur et la solitude de certains quartiers déserts, trouver un bon livre à lire devient une oasis qui nous éloigne d’autres choix qui ne nous feraient pas du bien. Il y a aussi les moments de fatigue, de colère, de déception, d’échec, et lorsque nous ne parvenons pas, même dans la prière, à trouver la tranquillité de l’âme, un bon livre nous aide à traverser la tempête jusqu’à ce que nous retrouvions un peu de sérénité. Et peut-être cette lecture nous ouvre-t-elle de nouveaux espaces intérieurs qui nous aident à ne pas nous enfermer dans les idées obsessionnelles qui nous tiennent inexorablement. Avant que les médias, les réseaux sociaux, les téléphones portables et autres dispositifs deviennent omniprésents, cette expérience était fréquente, et ceux qui l’ont connue savent de quoi je parle. Il ne s’agit pas d’une chose dépassée.

3. Contrairement aux médias audiovisuels où le produit est plus complet et où la marge et le temps pour“enrichir” le récit et l’interpréter sont généralement réduits, le lecteur est beaucoup plus actif dans la lecture d’un livre. Il réécrit en quelque sorte l’œuvre, l’amplifie avec son imagination, crée un monde, utilise ses capacités, sa mémoire, ses rêves, sa propre histoire pleine de drames et de symboles. Et ce qui en ressort est une œuvre bien différente de celle que l’auteur voulait écrire. Une œuvre littéraire est donc un texte vivant et toujours fécond, capable de parler à nouveau de multiples façons et de produire une synthèse originale avec chaque lecteur qu’elle rencontre. Dans la lecture, le lecteur s’enrichit de ce qu’il reçoit de l’auteur, mais cela lui permet en même temps de faire fleurir la richesse de sa propre personne, de sorte que chaque nouvelle œuvre qu’il lit renouvelle et élargit son univers personnel

4. Cela m’amène à apprécier très positivement le fait que, au moins dans certains séminaires, l’on dépasse l’obsession des écrans -et desfausses nouvellesempoisonnées, superficielles et violentes - pour consacrer du temps à la littérature, à des moments de lecture sereine et gratuite, et à parler de ces livres, nouveaux ou anciens, qui continuent de nous dire tant de choses. Mais, d’une manière générale, il faut constater avec regret que, dans la formation de ceux qui sont destinés au ministère ordonné, l’attention à la littérature ne trouve pas actuellement une place adéquate. Celle-ci est en fait souvent considérée comme une forme de divertissement, c’est-à-dire une expression mineure de la culture qui n’appartiendrait pas au chemin de préparation, et donc à l’expérience pastorale concrète, des futurs prêtres. À quelques exceptions près, l’attention portée à la littérature n’est pas considérée comme essentielle. Je voudrais affirmer que cette approche n’est pas bonne. Elle est à l’origine d’une forme grave d’appauvrissement intellectuel et spirituel des futurs prêtres qui sont ainsi privés d’un accès privilégié, par la littérature, au cœur de la culture humaine et plus précisément au cœur de l’être humain.

5. Par cette lettre, je souhaite proposer un changement radical de démarche concernant la grande attention qui doit être portée à la littérature dans le cadre de la formation des candidats au sacerdoce. À cet égard, je trouve très pertinent ce que dit un théologien :

« La littérature [...] jaillit de la personne dans ce qu’elle a de plus irréductible, dans sonmystère[...]. Elle est la vie qui prend conscience d’elle-même lorsqu’elle atteint la plénitude de l’expression, en faisant appel à toutes les ressources du langage ».[1]

6. La littérature a donc à voir, d’une manière ou d’une autre, avec ce que chacun désire de la vie, puisqu’elle entre en relation intime avec son existence concrète, avec ses tensions essentielles, ses désirs et ses significations.

7. J’ai appris cela jeune avec mes étudiants. Entre 1964 et 1965, à 28 ans, j’ai été professeur de littérature à Santa Fe dans une école de jésuites.J’enseignais les deux dernières années du lycée et je devais veiller à ce que mes élèves étudientLe Cid. Mais les jeunes n’aimaient pas ça. Ils demandaient à lireGarcía Lorca. J’ai donc décidé qu’ils étudieraientLe Cidà la maison et que, pendant les cours, je traiterais d’auteurs que les jeunes préféraient. Bien sûr, ils voulaient lire des œuvres littéraires contemporaines. Mais, au fur et à mesure qu’ils lisaient les choses qui les attiraient sur le moment, ils acquéraient un goût plus général pour la littérature, pour la poésie, et passaient ensuite à d’autres auteurs. En fin de compte, le cœur cherche davantage, et chacun trouve sa voie dans la littérature.[2]J’aime, par exemple, les artistes tragiques parce que nous pouvons tous ressentir leurs œuvres comme nôtres, comme expression de nos drames. En pleurant sur le sort des personnages, nous pleurons en réalité sur nous-mêmes et sur notre vide, sur nos défauts, sur notre solitude. Bien sûr, je ne vous demande pas de faire les mêmes lectures que moi. Chacun trouvera des livres qui parlent à sa propre vie et qui deviendront de véritables compagnons de route. Il n’y a rien de plus contre-productif que de lire par obligation, de faire un effort considérable juste parce que d’autres ont dit que c’est essentiel. Non, nous devons choisir nos lectures avec ouverture, surprise, souplesse, en nous laissant conseiller, mais aussi avec sincérité, en essayant de trouver ce dont nous avons besoin à chaque moment de notre vie.

Foi et culture

8. De plus, pour un croyant qui veut sincèrement entrer en dialogue avec la culture de son temps, ou simplement avec la vie des personnes concrètes, la littérature devient indispensable. À bon droit, le Concile Vatican II affirme que « la littérature et les arts [...] s’efforcentd’exprimer la nature propre del’homme» et « de mettre en lumière les misères et les joies, les besoins et les énergies ».[3]En vérité, la littérature s’inspire de la quotidienneté de la vie, de ses passions et de la réalité des événements tels que « l’action, le travail, l’amour, la mort et toutes les pauvres choses qui remplissent la vie ».[4]

9. Comment pouvons-nous atteindre le cœur des cultures anciennes et nouvelles si nous ignorons, rejetons et/ou réduisons au silence les symboles, messages, créations et récits avec lesquels ils ont saisi, et voulu dévoiler et évoquer, leurs entreprises et idéaux les plus beaux, ainsi que leurs violences, leurs peurs et leurs passions les plus profondes? Comment pouvons-nous parler au cœur des hommes si nous ignorons, reléguons et ne valorisons pas “ces mots” avec lesquels ils ont voulu manifester et, pourquoi pas révéler, le drame de leur vie et de leurs sentiments à travers des romans et des poèmes?

10. La mission de l’Église a su déployer toute sa beauté, sa fraîcheur et sa nouveauté dans la rencontre avec les différentes cultures - souvent grâce à la littérature - dans lesquelles elle s’est enracinée, sans avoir peur de s’impliquer et d’en extraire le meilleur de ce qu’elle a trouvé. C’est une attitude qui l’a libérée de la tentation d’un solipsisme assourdissant et fondamentaliste qui consiste à croire qu’une certaine grammaire historico-culturelle a la capacité d’exprimer toute la richesse et la profondeur de l’Évangile.[5]Beaucoup de prophéties de malheur qui tentent de semer le désespoir aujourd’hui s’enracinent précisément dans cet aspect. Le contact avec des styles littéraires et grammaticaux divers permettra toujours d’approfondir la polyphonie de la Révélation sans l’appauvrir ou la réduire à des conditions historiques ou à des structures mentales.

11. Ce n’est donc pas un hasard si le christianisme des origines, par exemple, avait bien perçu la nécessité d’une confrontation étroite avec la culture classique de l’époque. Un Père de l’Église d’Orient comme Basile de Césarée, dans sonDiscours aux jeunescomposé entre 370 et 375, probablement adressé à ses neveux, exaltait la valeur de la littérature classique - produite par leséxothen(“ceux de l’extérieur”), comme il appelait les auteurs païens - tant en raison de son argumentation, c’est-à-dire leslógoi(“discours”) à utiliser en théologie et en exégèse, qu’en raison de son témoignage de la vie, c’est-à-dire lespráxeis(“les actes, les comportements”) à prendre en compte dans l’ascèse et la morale. Et il concluait en exhortant les jeunes chrétiens à considérer les classiques comme unephódion(“viatique”) pour leur instruction et leur formation, en en tirant un « profit pour l’âme » (IV, 8-9). Et c’est précisément de cette rencontre de l’événement chrétien avec la culture de l’époque qu’est née une réélaboration originale de l’annonce de l’Évangile.

12. Grâce au discernement évangélique de la culture, il est possible de reconnaître la présence de l’Esprit dans la réalité humaine diversifiée, c’est-à-dire de saisir la semencedéjàenfouie de la présence de l’Esprit dans les événements, dans les sensibilités, dans les désirs, dans les tensions profondes des cœurs et des contextes sociaux, culturels et spirituels. Nous pouvons, par exemple, reconnaître dans lesActes des Apôtres, lors de Paul à l’Aréopage (cf.Ac17, 16-34), une approche de ce genre. Paul, parlant de Dieu, affirme : « C’est en lui que nous vivons, que nous nous mouvons, que nous existons, comme l’ont dit aussi certains de vos poètes : “Car nous sommes de sa descendance” (Ac17, 28). Il y a deux citations dans ce verset : une indirecte dans la première partie où est cité le poète Epiménide (6èmesiècle avant J.-C.), et une directe où est cité lesPhénomènesdu poète Aratus de Silo (3èmesiècle avant J.-C.) qui chante les constellations et les signes du beau et du mauvais temps. «Paul se révèle ici “lecteur” de poésie, et dévoile sa façon d’aborder le texte littéraire qui ne peut que faire réfléchir sur le discernement évangélique de la culture. Il est traité par les Athéniens despermologos, c’est-à-dire de “corbeau, bavard, charlatan” mais, littéralement, de “récolteur de semences”. Ce qui était certainement une insulte devient paradoxalement une vérité profonde. Paul recueille les semences de la poésie païenne et, sortant d’une attitude antérieure de profonde indignation (cf.Ac17, 16), il va jusqu’à reconnaître les Athéniens comme étant “très religieux” et voit dans ces pages de leur littérature classique une véritablepreparatio evangelica».[6]

13. Qu’a fait Paul ? Il a compris que la littérature «découvre les abîmes qui habitent l’homme, tandis que la révélation, puis la théologie, s’en emparent pour montrer comment le Christ vient les traverser et les illuminer».[7]La littérature est donc une « voie d’accès »,[8]vers ces abîmes, qui aide le pasteur à entrer dans un dialogue fructueux avec la culture de son temps.

Jamais de Christ sans chair

14. Avant d’approfondir les raisons spécifiques pour lesquelles l’attention à la littérature doit être encouragée dans le parcours de formation des futurs prêtres, permettez-moi de rappeler ici une réflexion sur le contexte religieux actuel : « Le retour au sacré et la recherche spirituelle qui caractérisent notre époque, sont des phénomènes ambigus. Mais, plus que l’athéisme, nous sommes aujourd’hui face au défi de répondre adéquatement à la soif de Dieu de beaucoup de personnes, afin qu’elles ne cherchent pas à l’assouvir dans des propositions aliénantes ou avec un Jésus Christ sans chair».[9]La tâche urgente de l’annonce de l’Évangile à notre époque exige donc des croyants, et des prêtres en particulier, un engagement pour que chacun puisse rencontrerun Jésus-Christ fait chair, fait homme, fait histoire. Nous devons tous veiller à ne jamais perdre de vue la “chair” de Jésus-Christ : cette chair faite de passions, d’émotions, de sentiments, de récits concrets, de mains qui touchent et guérissent, de regards qui libèrent et encouragent, d’hospitalité, de pardon, d’indignation, de courage, d’intrépidité : en un mot, d’amour.

15. Et c’est précisément à ce niveau qu’une fréquentation assidue de la littérature peut rendre les futurs prêtres et tous les agents pastoraux encore plus sensibles à la pleine humanité du Seigneur Jésus, dans laquelle se répand pleinement sa divinité, et annoncer l’Évangile de manière à ce que tous, vraiment tous, puissent expérimenter combien est vrai ce que dit le Concile Vatican II : « En réalité, le mystère de l’homme ne s’éclaire vraiment que dans le mystère du Verbe incarné ».[10]Il ne s’agit pas du mystère d’une humanité abstraite, mais du mystère de cet être humain concret avec toutes les blessures, les désirs, les souvenirs et les espérances de sa vie.

Un grand bien

16. D’un point de vue pragmatique, de nombreux scientifiques affirment que l’habitude de lire produit de nombreux effets positifs dans la vie d’une personne : elle l’aide à acquérir un vocabulaire plus large et, par conséquent, à développer divers aspects de son intelligence. Elle stimule également l’imagination et la créativité. En même temps, elle lui permet d’apprendre à exprimer ses récits d’une manière plus riche. Elle améliore également sa capacité de concentration, réduit ses niveaux de déficience cognitive et calme le stress et l’anxiété.

17. Mieux encore, elle prépare à comprendre, et donc à faire face, aux différentes situations qui peuvent se présenter dans la vie. Dans la lecture, nous nous immergeons dans les personnages, les soucis, les drames, les dangers, les peurs de personnes qui ont fini par surmonter les défis de la vie, ou bien il se peut que, pendant la lecture, nous donnions aux personnages des conseils qui nous serviront plus tard.

18. Pour tenter d’encourager à nouveau à la lecture, je cite volontiers quelques textes d’auteurs très connus, qui nous apprennent beaucoup de choses en quelques mots :

Les romans libèrent « en nous, pendant une heure, tous les bonheurs et tous les malheurs possibles dont nous mettrions dans la vie des années à connaître quelques-uns, et dont les plus intenses ne nous seraient jamais révélés parce que la lenteur avec laquelle ils se produisent nous en ôte la perception ».[11]

« En lisant les grandes œuvres de la littérature, je deviens des milliers d’hommes et, en même temps, je reste moi-même. Comme le ciel nocturne de la poésie grecque, je vois avec une myriade d’yeux, mais c’est toujours moi qui vois. Ici, comme dans la religion, l’amour, l’action morale et le savoir, je me dépasse, et pourtant, lorsque je me dépasse, je suis plus moi-même que jamais ».[12]

19. Cependant, mon intention n’est pas de m’attarder uniquement sur ce niveau d’utilité personnelle, mais de réfléchir aux raisons les plus décisives pour éveiller l’amour de la lecture.

Écouter la voix de quelqu’un

20. Lorsque je pense à la littérature, je me souviens de ce que le grand écrivain argentin Jorge Luis Borges[13]disait à ses étudiants :le plus important est de lire, d’entrer en contact direct avec la littérature, de s’immerger dans le texte vivant qui se trouve devant nous, plutôt que de s’attacher aux idées et aux commentaires critiques. Et Borges expliquait cette idée à ses étudiants en leur disant qu’au début ils ne comprendraient peut-être pas grand-chose à ce qu’ils liraient; mais, en tout cas, ils entendraient “la voix de quelqu’un”. C’est une définition de la littérature que j’aime beaucoup :écouter la voix de quelqu’un. Et n’oublions pas combien il est dangereux de ne plus écouter la voix de l’autre qui nous interpelle ! On tombe immédiatement dans l’auto-isolement, on entre dans une sorte de surdité “spirituelle” qui affecte aussi négativement notre relation avec nous-mêmes et notre relation avec Dieu, quelque soit la théologie ou la psychologie que nous avons pu étudier.

21. En parcourant cette voie qui nous rend sensibles au mystère des autres, la littérature nous apprend à toucher leur cœur. Comment ne pas rappeler ici la parole courageuse que, le 7 mai 1964, saint Paul VI adressa aux artistes et donc aussi aux grands écrivains ? Il disait : « Nous avons besoin de vous. Notre ministère a besoin de votre collaboration. Car, comme vous le savez, Notre ministère consiste à prêcher et à rendre accessible et compréhensible, voire émouvant, le monde de l’esprit, de l’invisible, de l’ineffable, de Dieu. Et dans cette opération qui transforme le monde invisible en formules accessibles et intelligibles vous êtes les maîtres ».[14]La tâche des croyants, et des prêtres en particulier, est précisément de “toucher” le cœur de l’homme contemporain pour qu’il s’émeuve et s’ouvre face à l’annonce du Seigneur Jésus, et, dans cet engagement, la contribution que la littérature et la poésie peuvent offrir est d’une valeur inestimable.

22. T.S. Eliot, le poète à qui l’esprit chrétien doit des œuvres littéraires qui ont marqué le monde contemporain, a décrit à juste titre la crise religieuse moderne comme celle d’une « incapacité émotionnelle»[15]généralisée. À la lumière de cette lecture de la réalité, le problème de la foi aujourd’hui n’est pas avant tout de croire plus ou moins aux propositions doctrinales. Il s’agit plutôt de l’incapacité de nombre de personnes de s’émouvoir devant Dieu, devant sa création, devant les autres êtres humains. La tâche est donc de guérir et d’enrichir notre sensibilité. C’est pourquoi, à mon retour du Voyage Apostolique au Japon, lorsqu’on m’a demandé ce que l’Occident avait à apprendre de l’Orient, j’ai répondu : « Je crois qu’il manque un peu de poésie à l’Occident ».[16]

Une sorte de gymnase du discernement

23. Que gagne donc le prêtre à ce contact avec la littérature ? Pourquoi est-il nécessaire de considérer et de promouvoir la lecture de grands romans comme une composante importante de lapaideiasacerdotale ? Pourquoi est-il important de retrouver et de mettre en œuvre dans la formation des candidats au sacerdoce l’intuition, esquissée par le théologien Karl Rahner, d’une profonde affinité spirituelle entre le prêtre et le poète ?[17]

24. Essayons de répondre à ces questions en écoutant les considérations du théologien allemand.[18]Les paroles du poète, écrit Rahner, sont « pleines de nostalgie », elle sont « des portes qui s’ouvrent sur l’infini, des portes qui s’ouvrent largement sur l’immensité. Elles évoquent l’ineffable, elles tendent vers l’ineffable ». Cette parole poétique « donne sur l’infini, mais elle ne peut pas nous donner cet infini, ni porter ou cacher en elle Celui qui est l’Infini ». Cela, c’est le propre de la Parole de Dieu, et - poursuit Rahner - « la parole poétique invoque la parole de Dieu ».[19]Pour les chrétiens, la Parole est Dieu, et toutes les paroles humaines, portent la trace d’une nostalgie intrinsèque de Dieu tendant vers cette Parole. On peut dire que la parole véritablement poétique participe analogiquement à la Parole de Dieu telle que laLettre aux Hébreuxnous la présente de manière bouleversante (cf.He4, 12-13).

25. Et c’est ainsi que Karl Rahner peut établir un beau parallèle entre le prêtre et le poète : « Seule la parole est intimement capable de libérer de ce qui tient en captivité toutes les réalités inexprimées: le mutisme de leur tendance vers Dieu ».[20]

26. Ensuite, dans la littérature, ce sont des questionsde forme d’expressionet desensqui sont en jeu. Elle représente donc une sorte degymnase de discernementqui aiguise les capacités sapientielles d’examen intérieur et extérieur du futur prêtre. Le lieu où s’ouvre cette voie d’accès à sa propre vérité est l’intériorité du lecteur directement impliqué dans le processus de lecture. Voici donc le déploiement du scénario du discernement spirituel personnel où se trouvent les angoisses et même les crises. En effet, nombreuses sont les pages littéraires qui peuvent répondre à la définition ignatienne de la “désolation”.

27. « J’appelle désolation [...] les obscurités de l’âme, trouble en elle, motion vers les choses basses et terrestres, absence de paix venant de diverses agitations et tentations qui poussent à un manque de confiance sans espérance, sans amour, l’âme se trouvant toute paresseuse, tiède, triste et comme séparée de son Créateur et Seigneur».[21]

28. La douleur ou l’ennui que l’on ressent en lisant certains textes ne sont pas nécessairement des sentiments mauvais ou inutiles. Ignace de Loyola lui-même avait noté que chez « ceux qui vont de mal en pis », le bon esprit agit en provoquant l’inquiétude, l’agitation, l’insatisfaction.[22]C’est l’application littérale de la première règle ignatienne du discernement des esprits, réservée à ceux qui « vont de péché mortel en péché mortel » et qui veut que, chez ces personnes, le bon esprit « les aiguillonne et morde leur conscience par le sens moral - la syndérèse - de la raison »[23]pour les amener au bien et à la beauté.

29. On comprend ainsi que le lecteur n’est pas le destinataire d’un message édifiant, mais qu’il est une personne activement sollicitée à s’aventurer sur un terrain instable où les frontières entre le salut et la perdition ne sont pasa prioridéfinies et séparées. L’acte de lecture s’apparente donc à un acte de“discernement”par lequel le lecteur est impliqué personnellement en tant que“sujet”de la lecture et en même temps“objet”de ce qu’il lit. En lisant un roman ou une œuvre poétique, le lecteur vit l’expérience d’“être lu”par les mots qu’il lit.[24]Le lecteur est ainsi semblable à un joueur sur le terrain: il joue le jeu, mais en même temps le jeu se fait à travers lui, en ce sens qu’il est totalement impliqué dans ce qu’il fait.[25]

Attention e digestion

30. En ce qui concerne les contenus, il faut reconnaître que la littérature est comme“un télescope”– selon la célèbre image inventée par Proust[26]– braqué sur les êtres et les choses, indispensable pour mettre en évidence“la grande distance”que le quotidien creuse entre notre perception et la totalité de l’expérience humaine. «La littérature est comme un laboratoire photographique dans lequel les images de la vie peuvent être traitées pour en révéler les contours et les nuances. C’est donc à cela que“sert”la littérature: à“développer”les images de la vie»,[27]à nous interroger sur son sens. Elle sert, en somme, à faire efficacementexpérience de la vie.

31. En vérité, notre vision ordinaire du monde est comme“réduite”et limitée à cause de la pression qu’exercent sur nous les objectifs opérationnels et immédiats de notre agir. Même le service – cultuel, pastoral, caritatif – peut devenir un impératif qui oriente nos forces et notre attention uniquement vers les objectifs à atteindre. Mais, comme le rappelle Jésus dans la parabole du semeur, la semence a besoin de tomber dans une terre profonde pour mûrir avec fécondité dans le temps sans être étouffée par la superficialité ou les épines (Mt13, 18-23). Autrement le risque devient celui de tomber dans une efficacité qui banalise le discernement, appauvrit la sensibilité et réduit la complexité. Il est donc nécessaire et urgent de contrebalancer cette accélération et cette simplification inévitables de notre vie quotidienne en apprenant à prendre de la distance par rapport à l’immédiat, à ralentir, à contempler et à écouter. Cela peut se produire lorsqu’une personne s’arrête librement pour lire un livre.

32. Il est nécessaire de retrouver des manières de se comporter face aux réalités accueillantes, non stratégiques, non directement finalisées à un résultat, où il est possible de laisser émerger l’infinie démesure de l’être. Distance, lenteur, liberté sont les caractéristiques d’une approche du réel trouvant précisément dans la littérature une forme d’expression qui n’est certes pas exclusive mais privilégiée. La littérature devient alors un gymnase où l’on entraîne le regard à chercher et à explorer la vérité des personnes et des situations en tant que mystère, en tant que chargées d’un excès de sens qui ne peut se manifester que partiellement dans des catégories et des schémas explicatifs, dans des dynamiques linéaires de cause à effet, de moyen à fin.

33. Une autre belle image pour dire le rôle de la littérature vient de la physiologie du corps humain et en particulier de l’acte de digestion. Ici, son modèle est laruminatiode la vache, comme l’affirmaient le moine Guillaume de Saint-Thierry au XIèmesiècle et le jésuite Jean-Joseph Surin au XVIIèmesiècle. Ce dernier parle de“l’estomac de l’âme”et le jésuite Michel De Certeau a évoqué une véritable“physiologie de la lecture digestive”.[28]La littérature nous aide à dire notre présence au monde, à la“digérer”et à l’assimiler en saisissant ce qui va au-delà de la surface du vécu; elle sert donc à interpréter la vie en discernant ses significations et tensions fondamentales.[29]

Voir à travers les yeux des autres

34. En ce qui concerne la forme du discours, voici ce qui se passe: la lecture d’un texte littéraire nous met en position de «voir à travers les yeux des autres»[30]en acquérant une largeur de perspective qui élargit notre humanité. Elle active en nous le pouvoir empathique de l’imagination qui est un véhicule fondamental pour la capacité d’identification au point de vue, à la condition, aux sentiments des autres, sans laquelle il n’y a pas de solidarité, de partage, de compassion, de miséricorde. En lisant, nous découvrons que ce que nous ressentons n’est pas seulement nôtre mais universel, de sorte que même la personne la plus abandonnée ne se sent pas seule.

35. La merveilleuse diversité de l’être humain et la pluralité diachronique et synchronique des cultures et des savoirs sont configurées dans la littérature en un langage capable d’en respecter et d’en exprimer la variété. Elles sont en même temps traduites dans une grammaire symbolique du sens qui nous les rend intelligibles, non pas étrangères, mais partagées. L’originalité de la parole littéraire réside dans le fait qu’elle exprime et transmet la richesse de l’expérience non pas en l’objectivant dans la représentation descriptive du savoir analytique ou dans l’examen normatif du jugement critique, mais comme contenu d’un effort expressif et interprétatif donnant un sens à l’expérience en question.

36. Lorsque nous lisons une histoire, grâce à la vision de l’auteur chacun imagine à sa manière les pleurs d’une fille abandonnée, la personne âgée couvrant le corps de son petit-fils endormi, la passion du petit entrepreneur essayant de s’en sortir malgré les difficultés, l’humiliation de celui qui se sent critiqué par tout le monde, le garçon qui rêve comme seul moyen d’échapper à la souffrance d’une vie misérable et violente. Alors que nous ressentons des traces de notre monde intérieur au milieu de ces histoires, nous devenons plus sensibles aux expériences des autres, nous sortons de nous-mêmes pour entrer dans leurs profondeurs, nous pouvons comprendre un peu mieux leurs efforts et leurs désirs, nous voyons la réalité à travers leurs yeux et, en fin de compte, nous devenons des compagnons de route. Nous nous immergeons ainsi dans l’existence concrète et intérieure du vendeur de fruits, de la prostituée, de l’enfant qui grandit sans ses parents, de la femme du maçon, de la vieille femme qui croit encore qu’elle trouvera son prince. Et nous pouvons le faire avec empathie et parfois avec tolérance et compréhension.

37. Jean Cocteau écrivait à Jacques Maritain: «La littérature est impossible, il faut en sortir, et il est inutile d’essayer de s’échapper par la littérature, car seuls l’amour et la foi nous permettent de sortir de nous-mêmes».[31]Mais sortons-nous vraiment de nous-mêmes si les souffrances et les joies des autres ne brûlent pas dans nos cœurs? Je préfère me rappeler qu’en tant que chrétien, rien de ce qui est humain ne m’est indifférent.

38. En outre, la littérature n’est pas relativiste parce qu’elle ne nous dépouille pas de critères de valeur. La représentation symbolique du bien et du mal, du vrai et du faux, comme dimensions qui prennent dans la littérature la forme d’existences individuelles et d’événements historiques collectifs, ne neutralise pas le jugement moral mais l’empêche de devenir aveugle ou de condamner superficiellement. Jésus nous demande: «Qu’as-tu à regarder la paille qui est dans l’œil de ton frère? Et la poutre qui est dans ton œil à toi, tu ne la remarques pas!» (Mt7, 3).

39. Et dans la violence, faiblesse ou fragilité des autres, nous avons l’occasion de mieux réfléchir sur la nôtre. En ouvrant au lecteur une large vision de la richesse et de la misère de l’expérience humaine, la littérature éduque son regard à la lenteur de la compréhension, à l’humilité de la non-simplification, à la mansuétude de ne pas prétendre maîtriser la réalité et la condition humaine par le jugement. Le jugement est certes nécessaire, mais il ne faut jamais oublier sa portée limitée: jamais, en effet, le jugement ne doit se traduire par une condamnation à mort, par un effacement, par une suppression de l’humanité au profit d’une aride totalisation de la loi.

40. Le regard de la littérature forme le lecteur au décentrement, au sens de la limite, au renoncement à la domination cognitive et critique sur l’expérience, lui apprenant une pauvreté qui est source d’une extraordinaire richesse. En reconnaissant l’inutilité et peut-être même l’impossibilité de réduire le mystère du monde et de l’être humain à une polarité antinomique vrai/faux, ou juste/injuste, le lecteur accepte le devoir de juger non pas comme un instrument de domination mais comme un élan vers une écoute incessante et comme une disponibilité à s’impliquer dans cette extraordinaire richesse de l’histoire due à la présence de l’Esprit qui se donne aussi comme Grâce: c’est-à-dire comme un événement imprévisible et incompréhensible qui ne dépend pas de l’action humaine, mais qui redéfinit l’humain comme espérance de salut.

La puissance spirituelle de la littérature

41. J’espère avoir mis en évidence, dans ces brèves réflexions, le rôle que la littérature peut jouer dans l’éducation du cœur et de l’esprit du pasteur ou du futur pasteur, dans le sens d’un exercice libre et humble de sa rationalité, d’une reconnaissance fructueuse du pluralisme des langages humains, d’un élargissement de sa sensibilité humaine et, enfin, d’une large ouverture spirituelle à l’écoute de la Voix à travers de nombreuses voix.

42. En ce sens, la littérature aide le lecteur à briser les idoles des langages autoréférentiels faussement autosuffisants, statiquement conventionnels, qui risquent parfois de polluer même notre discours ecclésial en emprisonnant la liberté de la Parole. La parole littéraire est celle qui met en mouvement, libère et purifie le langage: elle l’ouvre enfin à d’autres possibilités d’expression et d’exploration, elle le rend accueillant à la Parole qui s’installe dans le langage humain, non pas lorsqu’il se comprend comme un savoir déjà plénier, définitif et complet, mais lorsqu’il devient une veille d’écoute en attente de Celui qui vientfaire toutes choses nouvelles(cf.Ap21, 5).

43. Le pouvoir spirituel de la littérature rappelle en définitive la tâche première confiée par Dieu à l’homme: celle de“nommer”les êtres et les choses (cf.Gn2, 19-20). La mission de gardien de la création, assignée par Dieu à Adam, passe avant tout par la reconnaissance de sa propre réalité et du sens de l’existence des autres êtres. Le prêtre est lui aussi investi de cette tâche originelle de“nommer”, de donner du sens, de se faire instrument de communion entre la création et la Parole faite chair avec son pouvoir d’illuminer tous les aspects de la condition humaine.

44. L’affinité entre le prêtre et le poète se manifeste donc dans cette union sacramentelle mystérieuse et indissoluble entre la Parole divine et la parole humaine, donnant lieu à un ministère qui devient un service rempli d’écoute et de compassion, à un charisme qui devient responsabilité, à une vision du vrai et du bien qui éclot comme beauté. Nous ne pouvons qu’entendre les paroles que nous a laissées le poète Paul Celan: «Celui qui apprend vraiment à voir s’approche de l’invisible».[32]

Donné à Rome, près de Saint-Jean-du-Latran,le 17 juillet 2024,en ladouzième année de mon Pontificat.

FRANÇOIS

_________________________________

[1]R. Latourelle,Letteratura, in R. Latourelle - R. Fisichella, Dizionario di Teologia Fondamentale, Assisi (PG) 1990, p. 631.

[2]Cf.A. Spadaro, «J. M. Bergoglio, il “maestrillo” creativo. Intervista all’alunno Jorge Milia», inLa Civiltà Cattolica2014 I, pp. 523-534.

[3]Conc.Œcum. Vat. II,Gaudium et spes, n. 62.

[4]K. Rahner, «Il futuro del libro religioso», inNuovi saggi II, Roma 1968, p. 647.

[5]Cf. Exhort. ap.Evangelii Gaudium, n. 6.

[6]A.Spadaro,Svolta di respiro. Spiritualità della vita contemporanea, Milano, Vita e Pensiero, p. 101.

[7]R. Latourelle, «Letteratura», p. 633.

[8]S.Jean-Paul II,Lettre aux artistes, 4 avril 1999, n. 6.

[9]Exhort. Ap.Evangelii Gaudium, n. 89.

[10]Const. past.Gaudium et spes, n. 22§1.

[11]M. Proust,Àla recherche du temps perdu - Du côté de chez Swann, B. Grasset, Paris 1914, pp. 104-105.

[12]C.S. Lewis,Lettori e letture.Un esperimento di critica, Milano 1997, 165.

[13]Cf.Borges,Oral, Buenos Aires 1979.

[14]Homélie, «Messe des Artistes»,7 mai 1964.

[15]The Idea of a Christian Society, London 1946, p. 30.

[16]Conférence de presse du Saint Père au cours du vol du retour du Voyage apostolique en Thaïlande et au Japon, 26 novembre 2019.

[17]Cf. A.Spadaro,La grazia della parola. Karl Rahner e la poesia, Milano, Jaca Book, 2006.

[18]Cf.K. Rahner,«Sacerdote e poeta», inLa Fede in mezzo al mondo, Alba 1963, pp. 131-173.

[19]Ibid., p. 171 s.

[20]Ibid., p. 146.

[21]S.Ignace de Loyola,Exercices Spirituelles, n. 317.

[22]Cf.ibid., n. 335.

[23]ibid., n. 314.

[24]Cf. K.Rahner,«Sacerdote e poeta» inLa fede in mezzo al mondo, Alba 1963, p. 141.

[25]Cf. A.Spadaro,La pagina che illumina. Scrittura creativa come esercizio spirituale, Milano, Ares, 2023, pp. 46-47.

[26]Cf.M. Proust,À la recherche du temps perdu. Le temps retrouvé, Paris 1954, Vol.III, p. 1041.

[27]A.Spadaro,La pagina che illumina,op. cit., p. 14

[28]M.de Certeau,Il parlare angelico. Figure per una poetica della lingua (Secoli XVI e XVII), Firenze 1989, p. 139.

[29]Cf. A.Spadaro,La pagina che illumina, op.cit., p. 16.

[30]C.S.Lewis,Lettori e letture. Un esperimento di critica, Milano 1997, p. 165.

[31]J.Cocteau – J. Maritain,dialogue sur la foi, Firenze, Passigli 1988, p. 56.Cf. A.Spadaro,La pagina che illumina,op. cit., p. 11-12.

[32]Microliti, Milano 2020, p. 101.

[01218-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Letter of His Holiness Pope Francis

on the Role of Literature in Formation

1. I had originally chosen to give this Letter a title referring to priestly formation.On further reflection, however, this subject also applies to the formation of all those engaged in pastoral work, indeed of all Christians.What I would like to address here is the value of reading novels and poems as part of one’s path to personal maturity.

2. Often during periods of boredom on holiday, in the heat and quiet of some deserted neighbourhood, finding a good book to read can provide an oasis that keeps us from other choices that are less wholesome.Likewise, in moments of weariness, anger, disappointment or failure, when prayer itself does not help us find inner serenity, a good book can help us weather the storm until we find peace of mind.Time spent reading may well open up new interior spaces that help us to avoid becoming trapped by a few obsessive thoughts that can stand in the way of our personal growth.Indeed, before our present unremitting exposure to social media, mobile phones and other devices, reading was a common experience, and those who went through it know what I mean.It is not something completely outdated.

3. Unlike audio-visual media, where the product is more self-contained and the time allowed for “enriching” the narrative or exploring its significance is usually quite restricted, a book demands greater personal engagement on the part of its reader.Readers in some sense rewrite a text, enlarging its scope through their imagination, creating a whole world by bringing into play their skills, their memory, their dreams and their personal history, with all its drama and symbolism.In this way, what emerges is a text quite different from the one the author intended to write.A literary work is thus a living and ever-fruitful text, always capable of speaking in different ways and producing an original synthesis on the part of each of its readers.In our reading, we are enriched by what we receive from the author and this allows us in turn to grow inwardly, so that each new work we read will renew and expand our worldview.

4. For this reason, I very much appreciate the fact that at least some seminarieshave reacted to theobsession with “screens” and with toxic, superficial and violentfake news, by devotingtime and attention to literature.They have done this by setting aside time for tranquil reading and for discussing books, new and old, that continue to have much to say to us.Regrettably, however, a sufficient grounding in literature is not generally part of programmes of formation for the ordained ministry.Literature is often considered merely a form of entertainment, a “minor art” that need not belong to the education of future priests and their preparation for pastoral ministry.With few exceptions, literature is considered non-essential.I consider it important to insist that such an approach is unhealthy.It can lead to the serious intellectual and spiritual impoverishment of future priests, who will be deprived of that privileged access which literature grants to the very heart of human culture and, more specifically, to the heart of every individual.

5. With this Letter, I would like to propose a radical change of course.In this regard, I would agree with the observation of one theologian that, “literature… originates in the most irreducible core of the person, that mysterious level [of their being]…Literature is life, conscious of itself, that reaches its full self-expression through the use of all the conceptual resources of language”.[1]

6. Literature thus has to do, in one way or another, with our deepest desires in this life, for on a profound level literature engages our concrete existence, with its innate tensions, desires and meaningful experiences.

7. As a young teacher, I discovered this with my students.Between 1964 and 1965, at the age of 28, I taught literature at a Jesuit school in Santa Fe.I taught the last two years of high school and had to ensure that my pupils studiedEl Cid.The students were not happy; they used to ask if they could read García Lorca instead.So I decided that they could readEl Cidat home, and during the lessons I would discuss the authors the students liked best.Of course, they wanted to read contemporary literary works.Yet, as they read those works that interested them at that moment, they developed a more general taste for literature and poetry, and thus they moved on to other authors.In the end, our hearts always seek something greater, and individuals will find their own way in literature.[2]I, for my part, love the tragedians, because we can all embrace their works as our own, as expressions of our own personal drama.In weeping for the fate of their characters, we are essentially weeping for ourselves, for our own emptiness, shortcomings and loneliness.Naturally, I am not asking you to read the same things that I did.Everyone will find books that speak to their own lives and become authentic companions for their journey.There is nothing more counterproductive than reading something out of a sense of duty, making considerable effort simply because others have said it is essential.On the contrary, while always being open to guidance, we should select our reading with an open mind, a willingness to be surprised, a certain flexibility and readiness to learn, trying to discover what we need at every point of our lives.

Faith and culture

8. Literature also proves essential for believers who sincerely seek to enter into dialogue with the culture of their time, or simply with the lives and experiences of other people.With good reason, the Second Vatican Council observed that, “literature and art… seek to penetrate our nature” and “throw light on our suffering and joy, our needs and potentialities”.[3]Indeed, literature takes its cue from the realities of our daily life, its passions and events, our “actions, work, love, death and all the poor things that fill life”.[4]

9. How can we reach the core of cultures ancient and new if we are unfamiliar with, disregard or dismiss their symbols, messages, artistic expressions and the stories with which they have captured and evoked their loftiest ideals and aspirations, as well as their deepest sufferings, fears and passions?How can we speak to the hearts of men and women if we ignore, set aside or fail to appreciate the “stories” by which they sought to express and lay bare the drama of their lived experience in novels and poems?

10. The Church, in her missionary experience, has learned how to display all her beauty, freshness and novelty in her encounter – often through literature – with the different cultures in which her faith has taken root, without hesitating to engage with and draw upon the best of what she has found in each culture.This approach has freed her from the temptation to a blinkered, fundamentalist self-referentiality that would consider a particular cultural-historical “grammar” as capable of expressing the entire richness and depth of the Gospel.[5]Many of the doomsday prophecies that presently seek to sow despair are rooted precisely in such a belief.Contact with different literary and grammatical styles will always allow us to explore more deeply the polyphony of divine revelation without impoverishing it or reducing it to our own needs or ways of thinking.

11. It was thus no coincidence that Christian antiquity, for example, clearly realized the need for a serious engagement with the classical culture of the time.Basil of Caesarea, one of the Eastern Church Fathers, in hisDiscourse to the Young, composed between 370 and 375, and most likely addressed to his nieces and nephews, extolled the richness of classical literature produced byhoiéxothen(“those outside”), as he called the pagan authors.He saw this both in terms of its argumentation, that is, itslógoi(discourses), useful for theology and exegesis, and its ethical content, namely thepráxeis(acts, conduct) helpful for the ascetic and moral life.Basil concluded this work by urging young Christians to consider the classics as anephódion(“viaticum”) for their education and training, a means of “profit for the soul” (IV, 8-9).It was precisely from that encounter between Christianity and the culture of the time that a fresh presentation of the Gospel message emerged.

12. Thanks to an evangelical discernment of culture, we can recognize the presence of the Spirit in the variety of human experiences, seeing the seeds of the Spirit’s presencealreadyplanted in the events, sensibilities, desires and profound yearnings present within hearts and in social, cultural and spiritual settings.We can see this, for example, in the approach taken by Paul before the Areopagus, as related in theActs of the Apostles(17:16-34).In his address, Paul says of God: “‘In him we live and move and have our being’; and as some of your own poets have said, ‘We too are his offspring’.”(Acts17:28).This verse contains two quotations: one indirect, from the poet Epimenides (sixth century B.C.E.), and the other direct, from thePhaenomenaof the poet Aratus of Soli (third century B.C.E.), who wrote of the constellations and the signs of good and bad weather.Here, “Paul reveals that he is a ‘reader’ while also demonstrating his method of approaching the literary text, which is an evangelical discernment of culture.The Athenians dismiss him as aspermologos, a ‘babbler’, but literally ‘a gatherer of seeds’.What was surely meant to be an insult proved, ironically, to be profoundly true.Paul gathered the seeds of pagan poetry and, overcoming his first impressions (cf.Acts17:16), acknowledges the Athenians to be ‘extremely religious’ and sees in the pages of their classical literature a veritablepraeparatio evangelica[6].

13. What did Paul do?He understood that “literature brings to light the abysses within the human person, while revelation and then theology take over to show how Christ enters these depths and illumines them”.[7]In the face of thesedepths, literature is thus a “path”[8]to helping shepherds of soulsenter into a fruitful dialogue with the culture of their time.

Never a disembodied Christ

14. Before exploring the specific reasons why the study of literature should be encouraged in the training of future priests, I would first like to say something about the contemporary religious landscape.“The return to the sacred and the quest for spirituality which mark our own time are ambiguous phenomena.Today, our challenge is not so much atheism as the need to respond adequately to many people’s thirst for God, lest they try to satisfy it with alienating solutions or with a disembodied Jesus”.[9]The urgent task of proclaiming the Gospel in our time demands that believers, and priests in particular, ensure that everyone be able to encounterJesus Christ made flesh, made man, made history.We must always take care never to lose sight of the “flesh” of Jesus Christ: that flesh made of passions, emotions and feelings, words that challenge and console, hands that touch and heal, looks that liberate and encourage, flesh made of hospitality, forgiveness, indignation, courage, fearlessness; in a word, love.

15. It is precisely at this level that familiarity with literature can make future priests and all pastoral workers all the more sensitive to the full humanity of the Lord Jesus, in which his divinity is wholly present.In this way, they can proclaim the Gospel in a way that enables everyone to experience the truth of the Second Vatican Council’s teaching that, “it is only in the mystery of the Word made flesh that the mystery of man truly becomes clear”.[10]This is not the mystery of some abstract humanity, but that of all men and women, with their hurts, desires, memories and hopes that are a concrete part of their lives.

A great good

16. From a practical point of view, many scientists argue that the habit of reading has numerous positive effects on people’s lives, helping them to acquire a wider vocabulary and thus develop broader intellectual abilities.It also stimulates their imagination and creativity, enabling them to learn to tell their stories in richer and more expressive ways.It also improves their ability to concentrate, reduces levels of cognitive decline, and calms stress and anxiety.

17. Even more, reading prepares us to understand and thus deal with various situations that arise in life.In reading, we immerse ourselves in the thoughts, concerns, tragedies, dangers and fears of characters who in the end overcome life’s challenges.Perhaps too, in following a story to the end, we gain insights that will later prove helpful in our own lives.

18. In this effort to encourage reading, I would mention two texts by well-known authors, who, in a few words, have much to teach us:

Novels unleash “in us, in the space of an hour, all the possible joys and misfortunes that, in life, it would take us entire years to know even slightly, and of which the most intense would never be revealed to us because the slowness with which they occur prevents us from perceiving them”.[11]

“In reading great literature I become a thousand men and yet remain myself.Like the night sky in the Greek poem, I see with myriad eyes, but it is still I who see.Here, as in worship, in love, in moral action, and in knowing, I transcend myself; and am never more myself than when I do”.[12]

19. However, it is not my intention to focus solely on the personal advantages to be drawn from reading, but to reflect on the most important reasons for encouraging a renewed love for reading.

Listening to another person’s voice

20. When I think of literature, I am reminded of what the great Argentinean writer Jorge Luis Borges[13]used to tell his students, namely thatthe most important thing is simply to read, to enter into direct contact with literature, to immerse oneself in the living text in front of us, rather than to fixate on ideas and critical comments.Borges explained this idea to his students by saying that at first they may understand very little of what they are reading, but in any case they are hearing “another person’s voice”.This is a definition of literature that I like very much:listening to another person’s voice.We must never forget how dangerous it is to stop listening to the voice of other people when they challenge us!We immediately fall into self-isolation; we enter into a kind of “spiritual deafness”, which has a negative effect on our relationship with ourselves and our relationship with God, no matter how much theology or psychology we may have studied.

21. This approach to literature, which makes us sensitive to the mystery of other persons, teaches us how to touch their hearts.Here, I think of the courageous plea that Saint Paul VI made to artists and thus also to writers on 7 May 1964: “We need you.Our ministry needs your cooperation.For as you know, our ministry is to preach, and to ensure that the world of the spirit, of the invisible, of the ineffable, of God, is accessible and intelligible, indeed moving.And you are masters in this work of rendering the invisible world in accessible and intelligible ways”.[14]This is the point: the task of believers, and of priests in particular, is precisely to “touch” the hearts of others, so that they may be opened to the message of the Lord Jesus.In this great task, the contribution that literature and poetry can offer is of incomparable value.

22. T.S. Eliot, the poet whose poetry and essays, reflecting his Christian faith, have an outstanding place in modern literature, perceptively described today’s religious crisis as that of a widespread emotional incapacity.[15]If we are to believe this diagnosis, the problem for faith today is not primarily that of believing more or believing less with regard to particular doctrines.Rather, it is the inability of so many of our contemporaries to be profoundly moved in the face of God, his creation and other human beings.Here we see the importance of working to healing and enrich our responsiveness.On returning from my Apostolic Journey to Japan, I was asked what I thought the West has to learn from the East.My response was, “I think that the West lacks a bit of poetry”.[16]

A “training in discernment”

23. What profit, then, does a priest gain from contact with literature?Why is it necessary to consider and promote the reading of great novels as an important element in priestlypaideia?Why is it important for us, in the training of candidates for the priesthood, to recover Karl Rahner’s insight that there is a profound spiritual affinity between the priest and the poet?[17]

24. Let us try to answer these questions by listening to what the German theologian has to tell us.[18]For Rahner, the words of the poet are full of nostalgia, as it were, they are like “gates into infinity, gates into the incomprehensible.They call upon that which has no name.They stretch out to what cannot be grasped”.Poetry “does not itself give the infinite, it does not bring and containtheinfinite”.That is the task of the word of God and, as Rahner goes on to say, “the poetic word calls upon the word of God”.[19]For Christians, the Word is God, and all our human words bear traces of an intrinsic longing for God, a tending towards that Word.It can be said that the truly poetic word participates analogically in the Word of God, as theLetter to the Hebrewsclearly states (cf.Heb4:12-13).

25. In light of this, Karl Rahner can draw a striking parallel between the priest and the poet: the word “alone can redeem that which constitutes the ultimate imprisonment of all realities which are not expressed in word: the dumbness of their reference to God”.[20]

26. Literature, then, sensitizes us to the relationship betweenforms of expressionandmeaning.It offersa training in discernment, honing the capacity of the future priest to gain insight into his own interiority and into the world around him.Reading thus becomes the “path” leading him to the truth of his own being and the occasion for a process of spiritual discernment that will not be without its moments of anxiety and even crisis.Indeed, numerous pages of literature correspond to what Saint Ignatius calls spiritual “desolation”.

27. This is how Ignatius explains it: “I call desolation darkness of the soul, turmoil of spirit, inclination to what is low and earthly, restlessness rising from many disturbances and temptations which lead to want of faith, want of hope, want of love.The soul is wholly slothful, tepid, sad, and separated, as it were, from its Creator and Lord”.[21]

28. The difficulty or tedium that we feel in reading certain texts is not necessarily bad or useless.Ignatius himself observed that in “those who are going from bad to worse”, the good spirit works by provoking restlessness, agitation and dissatisfaction.[22]This would be the literal application of the first Ignatian rule for the discernment of spirits, which deals with those who “go from one mortal sin to another”.In such persons the good spirit, by “making use of the light of reason will rouse the sting of conscience and fill them with remorse”,[23]and in this way will lead them to goodness and beauty.

29. It is clear, then, that the reader is not simply the recipient of an edifying message, but a person challenged to press forward on a shifting terrain where the boundaries between salvation and perdition are nota prioriobvious and distinct. Reading, as an act of “discernment”, directly involves the reader as both the “subject” who reads and as the “object” of what is being read.In reading a novel or a work of poetry, the reader actually experiences “being read” by the words that he or she is reading.[24]Readers can thus be compared to players on a field: they play the game, but the game is also played through them, in the sense that they are totally caught up in the action.[25]

Attention and digestion

30. As far as content is concerned, we should realize that literature is like “a telescope”, to use a well-known image of Marcel Proust.[26]As such, it is pointed at beings and things, and enables us to realize “the immense distance” that separates the totality of human experience from our perception of it.“Literature can also be compared to a photo lab, where pictures of life can be processed in order to bring out their contours and nuances.This is what literature is ‘for’: it helps us to ‘develop’ the picture of life”[27], to challenge us about its meaning, and, in a word, toexperience lifeas it is.

31. Our usual view of the world, however, tends to be “telescoped” and narrowed by the pressure exerted on us by our many practical and short-term objectives.Even our commitment to service – liturgical, pastoral and charitable – can become focused only on goals to be achieved.Yet, as Jesus reminds us in the parable of the sower, the seed needs to fall on deep soil to ripen fruitfully over time, without being choked by rocky soil or thorns (Mt13:18-23).There is always the risk that an excessive concern for efficiency will dull discernment, weaken sensitivity and ignore complexity.We desperately need to counterbalance this inevitable temptation to a frenetic and uncritical lifestyle by stepping back, slowing down, taking time to look and listen.This can happen when a person simply stops to read a book.

32. We need to rediscover ways of relating to reality that are more welcoming, not merely strategic and aimed purely at results, ways that allow us to experience the infinite grandeur of being.A sense of perspective, leisure and freedom are the marks of an approach to reality that finds in literature a privileged, albeit not exclusive, form of expression.Literature thus teaches us how to look and see, to discern and explore the reality of individuals and situations as a mystery charged with a surplus of meaning that can only be partially understood through categories, explanatory schemes, linear dynamics of causes and effects, means and ends.

33. Another striking image for the role of literature comes from the activity of the human body, and specifically the act of digestion.The eleventh-century monk William of Saint-Thierry and the seventeenth-century Jesuit Jean-Joseph Surin developed the image of a cow chewing her cud –ruminatio– as an image of contemplative reading.Surin referred to the “stomach of the soul”, while the Jesuit Michel De Certeau has spoken of an authentic “physiology of digestive reading”.[28]Literature helps us to reflect on the meaning of our presence in this world, to “digest” and assimilate it, and to grasp what lies beneath the surface of our experience.Literature, in a word, serves to interpret life, to discern its deeper meaning and its essential tensions.[29]

Seeing through the eyes of others

34. In terms of the use of language,reading a literary text places us in the position of “seeing through the eyes of others”,[30]thus gaining a breadth of perspective that broadens our humanity.We develop an imaginative empathy that enables us to identify with how others see, experience and respond to reality.Without such empathy, there can be no solidarity, sharing, compassion, mercy.In reading we discover that our feelings are not simply our own, they are universal, and so even the most destitute person does not feel alone.

35. The marvellous diversity of humanity, and the diachronic and synchronic plurality of cultures and fields of learning, become, in literature, a language capable of respecting and expressing all their variety.At the same time, they translate into a symbolic grammar that makes them meaningful to us, not foreign but shared.The uniqueness of literature lies in the fact that it conveys the richness of experience not by objectifying it as in the descriptive models of the sciences or the judgements of literary criticism, but by expressing and interpreting its deeper meaning.

36. When we read a story, thanks to the descriptive powers of the author, each of us can see before our eyes the weeping of an abandoned girl, an elderly woman pulling the covers over her sleeping grandson, the struggles of a shopkeeper trying to eke out a living, the shame of one who bears the brunt of constant criticism, the boy who takes refuge in dreams as his only escape from a wretched and violent life.As these stories awaken faint echoes of our own inner experiences, we become more sensitive to the experiences of others.We step out of ourselves to enter into their lives, we sympathize with their struggles and desires, we see things through their eyes and eventually we become companions on their journey.We are caught up in the lives of the fruit seller, the prostitute, the orphaned child, the bricklayer’s wife, the old crone who still believes she will someday find her prince charming.We can do this with empathy and at times with tenderness and understanding.

37. As Jean Cocteau wrote to Jacques Maritain: “Literature is impossible.We must get out of it.No use trying to get out through literature; only love and faith enable us to go out of ourselves”.[31]Yet can we ever really go out of ourselves if the sufferings and joys of others do not burn in our hearts?Here, I would say that, for us as Christians, nothing that is human is indifferent to us.

38. Literature is not relativistic; it does not strip us of values. The symbolic representation of good and evil, of truth and falsehood, as realities that in literature take the form of individuals and collective historical events, does not dispense from moral judgement but prevents us from blind or superficial condemnation.As Jesus tells us, “Why do you see the speck in your neighbour’s eye, but do not notice the log in your own eye?” (Mt7:3).

39. In reading about violence, narrowness or frailty on the part of others, we have an opportunity to reflect on our own experiences of these realities.By opening up to the reader a broader view of the grandeur and misery of human experience, literature teaches us patience in trying to understanding others, humility in approaching complex situations, meekness in our judgement of individuals and sensitivity to our human condition.Judgement is certainly needed, but we must never forget its limited scope.Judgement must never issue in a death sentence, eliminating persons or suppressing our humanity for the sake of a soulless absolutizing of the law.

40. The wisdom born of literature instils in the reader greater perspective, a sense of limits, the ability to value experience over cognitive and critical thinking, and to embrace a poverty that brings extraordinary riches.By acknowledging the futility and perhaps even the impossibility of reducing the mystery of the world and humanity to a dualistic polarity of true vs false or right vs wrong, the reader accepts the responsibility of passing judgement, not as a means of domination, but rather as an impetus towards greater listening.And at the same time, a readiness to partake in the extraordinary richness of a history which is due to the presence of the Spirit, but is also given as a grace, an unpredictable and incomprehensible event that does not depend on human activity, but redefines our humanity in terms of hope for salvation.

The spiritual power of literature

41. I trust that, with these brief reflections, I have emphasized the role that literature can play in educating the hearts and minds of pastors and future pastors.Literature can greatly stimulate the free and humble exercise of our use of reason, a fruitful recognition of the variety of human languages, a broadening of our human sensibilities, and finally, a great spiritual openness to hearing the Voice that speaks through many voices.

42. Literature helps readers to topple the idols of a self-referential, falsely self-sufficient and statically conventional language that at times also risks polluting our ecclesial discourse, imprisoning the freedom of the Word.The literary word is a word that sets language in motion, liberates and purifies it.Ultimately, it opens that word to even greater expressive and expansive vistas.It opens our human words to welcome the Word that is already present in human speech, not when it sees itself as knowledge that is already full, definitive and complete, but when it becomes a listening and expectation of the One who comesto make all things new(cf.Rev21:5).

43. Finally, the spiritual power of literature brings us back to the primordial task entrusted by God to our human family: the task of “naming” other beings and things (cf.Gen2:19-20).The mission of being the steward of creation, assigned by God to Adam, entailed before all else the recognition of his own dignity and the meaning of the existence of other beings.Priests are likewise entrusted with this primordial task of “naming”, of bestowing meaning, of becoming instruments of communion between creation and the Word made flesh and his power to shed light on every dimension of our human condition.

44. The affinity between priest and poet thus shines forth in the mysterious and indissoluble sacramental union between the divine Word and our human words, giving rise to a ministry that becomes a service born of listening and compassion, a charism that becomes responsibility, a vision of the true and the good that discloses itself as beauty.How can we fail to reflect on the words left us by the poet Paul Celan: “Those who truly learn to see, draw close to what is unseen”.[32]

Given in Rome, at Saint John Lateran, on 17 July in the year 2024, the twelfth of my Pontificate.

FRANCIS

_______________________________

[1]R. LATOURELLE, ‘Literature’, in R. LATOURELLE & R. FISICHELLA,Dictionary of Fundamental Theology,New York 2000, 604.

[2]Cf. A. SPADARO, “J. M. Bergoglio, il ‘maestrillo’ creativo. Intervista all’alunno Jorge Milia”, inLa Civiltà Cattolica2014 I 523-534.

[3]SECOND VATICAN ECUMENICAL COUNCIL, Pastoral Constitution on the Church in the Modern WorldGaudium et Spes,62.

[4]K.Rahner, “Il futuro del libro religioso”, inNuovi saggi II, Roma 1968, 647.

[5]Cf. Apostolic ExhortationEvangelii Gaudium,117.

[6]A. SPADARO,Svolta di respiro. Spiritualità della vita contemporanea, Milano, Vita e Pensiero, 101.

[7]R. LATOURELLE, ‘Literature’, in R. LATOURELLE & R. FISICHELLA,Dictionary of Fundamental Theology,New York 2000, 603.

[8]SAINT JOHN PAUL II,Letter to Artists,4 April 1999, 6.

[9]Apostolic ExhortationEvangelii Gaudium, 89.

[10]SECOND VATICAN ECUMENICAL COUNCIL, Pastoral Constitution on the Church in the Modern WordGaudium et Spes,22.

[11]M. PROUST,Àla recherche du temps perdu - Du côté de chez Swann, B. Grasset, Paris 1914, 104-105.

[12]C.S. LEWIS,An Experiment in Criticism, 89.

[13]Cf. J.L. BORGES,Borges,Oral, Buenos Aires 1979, 22.

[14]SAINT PAUL VI,Homily, Mass with Artists, Sistine Chapel, 7 May 1964.

[15]Cf.T.S.Eliot,The Idea of a Christian Society, London 1946, 30.

[16]Press Conference on the Return Flight to Rome, Apostolic Journey to Thailand and Japan, 26 November 2019.

[17]Cf. A. SPADARO,La grazia della parola. Karl Rahner e la poesia, Milano, Jaca Book, 2006.

[18]Cf.K.Rahner,Theological Investigations, Vol. III, London 1967, 294-317.

[19]Ibid. 316-317.

[20]Ibid. 302.

[21]SAINT IGNATIUS LOYOLA,Spiritual Exercises,n. 317.

[22]Cf.ibid., n. 335.

[23]Ibid., n. 314

[24]Cf. K.Rahner,Theological Investigations, Vol.III, London 1967, 299.

[25]Cf.A SPADARO,La pagina che illumina. Scrittura creativa come esercizio spirituale, Milano, Ares, 2023, 46-47.

[26]M. PROUST,À la recherche du temps perdu.Le temps retrouvé, Vol. III, Paris 1954, 1041.

[27]A SPADARO,La pagina che illumina. Scrittura creativa come esercizio spirituale, Milano, Ares, 2023, 14.

[28]M. DE CERTEAU,Il parlare angelico. Figure per una poetica della lingua (Secoli XVI e XVII), Firenze 1989, 139 ff.

[29]A SPADARO,La pagina che illumina. Scrittura creativa come esercizio spirituale, Milano, Ares, 2023, 16.

[30]Cf.C.S. LEWIS,An Experiment in Criticism.

[31]J. COCTEAU – J. MARITAIN,Dialogo sulla fede, Firenze, Passigli, 1988, 56; Cf. A SPADARO,La pagina che illumina. Scrittura creativa come esercizio spirituale, Milano, Ares, 2023, 11-12.

[32] P. CELAN,Microliti, Milano 2020, 101.

[01218-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Brief des Heiligen Vaters Franziskus

über die Bedeutung der Literaturin der Bildung

1. Ursprünglich hatte ich einen Titel formuliert, der sich auf die Ausbildung von Priestern bezog, aber dann dachte ich, dass man diese Punkte analog auch über die Ausbildung aller pastoralen Mitarbeiterundaller Christen sagen kann. Ich beziehe mich auf den Wert der Lektüre von Romanen und Gedichten auf dem Weg der persönlichen Reifung.

2. Oft wird in der Langeweile des Urlaubs, in der Hitze und Einsamkeit verlassener Stadtviertel ein gutes Buch zu einer Oase, die uns von anderen Entscheidungen, die uns nicht guttun, abhält. Dann gibt es die Momente der Müdigkeit, des Ärgers, der Enttäuschung, des Scheiterns, und wenn es uns nicht einmal im Gebet gelingt, zur Ruhe zu kommen, dann hilft uns ein gutes Buch zumindest, den Sturm zu überstehen, bis wir ein wenig mehr Gelassenheit finden können. Und vielleicht eröffnet uns die Lektüre neue innere Räume, die uns helfen, uns nicht in jenen wenigen zwanghaften Ideen zu verschließen, die uns unerbittlich gefangen halten. Vor der Allgegenwart von Medien, sozialen Netzwerken, Mobiltelefonen und anderen Geräten war dies eine häufige Erfahrung, und diejenigen, die sie gemacht haben, wissen, wovon ich spreche. Das ist nicht etwas Überholtes.

3. Im Gegensatz zu den audiovisuellen Medien, bei denen das Produkt vollständiger ist und der Spielraum und die Zeit, die Erzählung zu „bereichern“ oder zu interpretieren, in der Regel geringer sind, ist der Leser beim Lesen eines Buches viel aktiver. Er schreibt das Werk in gewisser Weise um, erweitert es mit seiner Vorstellungskraft, erschafft eine Welt, nutzt seine Fähigkeiten, sein Gedächtnis, seine Träume, seine eigene Geschichte voller Dramatik und Symbolik, und so entsteht ein Werk, das sich von dem unterscheidet, das der Autor zu schreiben beabsichtigte. Ein literarisches Werk ist also ein lebendiger und stets fruchtbarer Text, der in der Lage ist, auf vielfältige Weise erneut zu sprechen und mit jedem Leser, dem er begegnet, eine originelle Synthese zu bilden. Bei der Lektüre wird der Leser durch das, was er vom Autor erhält, bereichert, was ihm aber gleichzeitig erlaubt, sich im Reichtum seiner eigenen Person zu entfalten, so dass jedes neue Werk, das er liest, sein persönliches Universum erneuert und erweitert.

4. Dies führt mich dazu, die Tatsache sehr positiv zu bewerten, dass wir zumindest in einigen Priesterseminarien die Besessenheit von Bildschirmen̶und von den giftigen, oberflächlichen und gewalttätigenFakeNews̶überwinden und der Literatur Zeit widmen, Momente der ruhigen und freien Lektüre, um über diese Bücher, neue oder alte, die uns weiterhin so viel sagen, zu sprechen.Generell muss manjedochmit Bedauern feststellen, dass in der Ausbildung derjenigen, die sich auf dem Weg zum geweihten Amt befinden, die Beschäftigung mit der Literatur derzeit keinen angemessenen Platz einnimmt. Letztere wird nämlich oft als eine Form der Unterhaltung betrachtet, d. h. als ein unbedeutender Ausdruck der Kultur, der nicht zum Weg der Vorbereitung und damit zur konkreten pastoralen Erfahrung der künftigen Priester gehört. Mit wenigen Ausnahmen wird die Beschäftigung mit der Literatur als etwas Unwesentliches betrachtet. Diesbezüglich möchte ich sagen, dass dieser Ansatz nicht gut ist. Er ist die Ursache für eine ernsthafte intellektuelle und spirituelle Verarmung der künftigen Priester, die so eines privilegierten Zugangs zum Herzen der menschlichen Kultur und insbesondere zum Herzen des Menschen durch die Literatur beraubt werden.

5. Mit diesem Beitrag möchte ich einen radikalen Kurswechsel hinsichtlich der großen Aufmerksamkeit anregen, die der Literatur im Rahmen der Ausbildung der Priesteramtskandidaten gewidmet werden muss.In dieser Hinsicht finde ich das, was ein Theologe sagt, sehr wirkungsvoll:

»Die Literatur [...] entspringt der Person im Unzurückführbaren, in ihremGeheimnis[...]. Es ist das Leben, das sich seiner selbst bewusst wird, wenn es die Fülle des Ausdrucks erreicht und alle Mittel der Sprache in Anspruch nimmt«[1].

6. Die Literatur hat also auf die eine oder andere Weise mit dem zu tun, was jeder von uns vom Leben wünscht, denn sie tritt in eine innige Beziehung zu unserer konkreten Existenz, mit ihren wesentlichen Spannungen, Wünschen und Bedeutungen.

7. Das habe ich als junger Mensch mit meinen Schülern gelernt. Zwischen 1964 und 1965, als ich 28 Jahre alt war, war ich Literaturlehrer in Santa Fe an einer Jesuitenschule. Ich unterrichtete die letzten beiden Jahre des Gymnasiums und musste meine Schüler dazu bringen,El Cidzustudieren. Aber den Jugendlichen gefiel es nicht. Sie wollten lieber García Lorca lesen. Also beschloss ich, dass sieEl Cidzu Hause lernen sollten, und im Unterricht würde ich die Autoren behandeln, die den Jugendlichen am meisten gefielen. Natürlich wollten sie auch zeitgenössische literarische Werke lesen. Aber während sie das lasen, was sie im Moment interessierte, fanden sie allgemeiner Gefallen an der Literatur, der Poesie, um dann zu anderen Autoren überzugehen. Letztlich sucht das Herz nach mehr, und jeder findet seinen eigenen Weg in der Literatur[2]. Ich zum Beispiel liebe tragische Künstler, weil wir alle ihre Werke als unsere eigenen empfinden können, als Ausdruck unserer eigenen Dramen. Wenn wir über das Schicksal der Figuren weinen, weinen wir auch über uns selbst und unsere eigene Leere, unsere eigenen Unzulänglichkeiten, unsere eigene Einsamkeit. Natürlich verlange ich nicht von euch, dass ihr zu den gleichen Lektüren greift wie ich. Jeder wird die Bücher finden, die sein eigenes Leben ansprechen und zu wahren Wegbegleitern werden. Nichts ist kontraproduktiver, als etwas aus Pflichtgefühl zu lesen, sich anzustrengen, nur weil andere gesagt haben, es sei wichtig. Nein, wir müssen unsere Lektüre mit Offenheit, Überraschung, Flexibilität aussuchen, uns beraten lassen, aber auch mit Aufrichtigkeit und versuchen, das zu finden, was wir in jedem Moment unseres Lebens brauchen.

Glaube und Kultur

8. Für einen Gläubigen, der aufrichtig mit der Kultur seiner Zeit oder einfach mit dem Leben konkreter Menschen in Dialog treten will, wird die Literatur darüber hinaus unverzichtbar. Mit gutem Grund stellt das Zweite Vatikanische Konzil fest, dass »die Literatur und die Künste [...] sich um das Verständnis deseigentümlichen Wesens des Menschen« bemühen und »seine Elend und seine Freude,seine Notund seine Kraft schildern«[3]. In Wahrheit schöpft die Literatur aus der Alltäglichkeit des Lebens, aus seinen Leidenschaften und aus ihren realen Ereignissen wie »bei der Tat, bei Arbeit, bei Liebe, Tod und bei all den schäbigen Dingen, die das Leben erfüllen«[4].

9. Wie können wir zum Herzen der alten und neuen Kulturen vordringen, wenn wir ihreSymbole, Botschaften, Kreationen und Erzählungennicht kennen, verwerfen und/oder zum Schweigen bringen, mit denen sie ihre schönsten Taten und Ideale, aber auchihre tiefste Heftigkeit, ihre Ängste und Leidenschaftenerfassen und zum Ausdruck bringen wollten? Wie können wir zu den Herzen der Menschen sprechen, wenn wir „die Worte“, mit denen sie die Dramatik ihres Lebens und Fühlens in Romanen und Gedichten zum Ausdruck bringen wollten, ignorieren, verwerfen oder nicht würdigen?

10. Die kirchliche Mission konnte ihre ganze Schönheit, Frische und Neuartigkeit in der Begegnung mit den verschiedenen Kulturen entfalten, in denen sie̶oft dank der Literatur̶Wurzeln geschlagen hat, ohne Angst, sich selbst aufs Spiel zu setzen und das Beste von dem herauszuholen, was sie vorgefunden hat. Diese Haltung hat sie von der Versuchungeinesohrenbetäubenden und fundamentalistischen Solipsismus befreit, der darin besteht, zu glauben, dass eine bestimmte kulturgeschichtliche Grammatik den ganzen Reichtum und die ganze Tiefe des Evangeliums auszudrücken vermag[5]. Viele der Untergangsprophezeiungen, die heute versuchen, Verzweiflung zu säen, kommen genau von diesem Aspekt her. Der Kontakt mit verschiedenen literarischen und grammatikalischen Stilen wird es immer ermöglichen, die Polyphonie der Offenbarung zu vertiefen, ohne sie auf die eigenen historischen Bedürfnisse oder Denkstrukturen zu reduzieren oder verarmen zu lassen.

11. Es ist also kein Zufall, dass beispielsweise das frühe Christentum die Notwendigkeit einer engen Auseinandersetzung mit der klassischen Kultur seiner Zeit sehr wohl erkannthatte.Ein Vater der Ostkirche wie Basilius von Cäsarea beispielsweise pries in seinemMahnwort an die Jugend,das er zwischen 370 und 375 verfasste und das er wahrscheinlich an seine Neffen richtete, die Kostbarkeit der klassischen Literatur̶die von denéxothen(„den Außenstehenden“) hervorgebracht wurde, wie er die heidnischen Autoren nannte̶sowohl für die Argumentation, d. h. für dielógoi(„Reden“), die in der Theologie und der Exegese zu verwenden sind, als auch für das Zeugnis im Leben selbst, d. h. für diepráxeis(„Handlungen, Verhalten“), die in der Askese und Moral zu berücksichtigen sind. Und er schloss mit der Aufforderung an die jungen Christen, die Klassiker alsephódion(„viaticum“) für ihre Bildung und Ausbildung zu betrachten, um aus ihnen „Gewinn für die Seele“ zu ziehen (IV, 8-9). Und gerade aus dieser Begegnung des christlichen Ereignisses mit der Kultur der Zeit entstand eine originelle Neugestaltung der Verkündigung des Evangeliums.

12. Dank der dem Evangelium gemäßen Unterscheidung der Kulturen ist es möglich, die Gegenwart des Geistes in der vielgestaltigen menschlichen Wirklichkeit zu erkennen, d. h. es ist möglich, denbereitsgepflanzten Samen der Gegenwart des Geistes in den Ereignissen, Empfindungen, Wünschen, tiefen Spannungen der Herzen und sozialen, kulturellen und geistlichen Kontexten zu erfassen. Wir können zum Beispiel in derApostelgeschichte, wo die Anwesenheit des Paulus auf dem Areopag erwähnt wird (vgl.Apg17,16-34), einen ähnlichen Ansatz erkennen. Paulus spricht von Gott und sagt: »Denn in ihm leben wir, bewegen wir uns und sind wir; wie auch einige von euren Dichtern gesagt haben: Wir sind von seinem Geschlecht« (Apg17,28). Dieser Vers enthält zwei Zitate: ein indirektes im ersten Teil, in dem der Dichter Epimenides (6. Jh. v. Chr.) zitiert wird, und ein direktes, in dem diePhenomenadesDichters Aratus von Silo (3. Jh. v. Chr.) zitiert werden, der die Sternbilder und die Zeichen des guten und schlechten Wetters besingt. »Hier erweist sich Paulus als „Leser“ der Poesie und zeigt seine Art,sich dem literarischen Text zu nähern. Er wird von den Athenern alsspermologosbezeichnet, also als „Krähe, Schwätzer, Scharlatan“, was aber wörtlich „Samensammler“ bedeutet. Was sicherlich eine Beleidigung war, scheint paradoxerweise eine tiefe Wahrheit zu sein. Paulus greift die Samen der heidnischen Dichtung auf und aus einer früheren Haltung tiefer Entrüstung heraus (vgl.Apg17,16) erkennt er die Athener als „sehr religiös“ an und sieht in diesen Seiten ihrer klassischen Literatur eine wahrepreparatio evangelica«[6].

13. Was hat Paulus getan? Er hat verstanden, dass »die Literatur die Abgründe des Menschen aufdeckt, während die Offenbarung und dann die Theologie sie aufgreift, um zu zeigen, wie Christus sie durchquert und erleuchtet«[7]. Auf dem Weg zu diesen Abgründen ist die Literatur also ein „Zugang“[8], derdemSeelsorger hilft, in einen fruchtbaren Dialog mit der Kultur seiner Zeit zu treten.

Niemals ein Christus ohne Leib

14. Bevor ich auf die konkreten Gründe eingehe, warum die Beschäftigung mit der Literatur auf dem Weg der Ausbildung künftiger Priester gefördert werden sollte, möchte ich an dieser Stelle einen Gedanken zum aktuellen religiösen Kontext in Erinnerung rufen: »Die Rückkehr zum Sakralen und die spirituelle Suche, die unsere Zeit kennzeichnen, sind doppeldeutige Erscheinungen. Mehr als im Atheismus besteht heute für uns die Herausforderung darin, in angemessener Weise auf den Durst vieler Menschen nach Gott zu antworten, damit sie nicht versuchen, ihn mit irreführenden Antworten oder mit einem Jesus Christus ohne Leib und ohne Einsatz für den anderen zu stillen«[9]. Die dringende Aufgabe, das Evangelium in unserer Zeit zu verkünden, verlangt daher von den Gläubigen und insbesondere von den Priestern die Verpflichtung, dafür zu sorgen, dass jedereinem fleischgewordenen, menschgewordenen und in die Geschichte eingetretenen Jesus Christusbegegnen kann. Wir alle müssen darauf achten, das „Fleisch“ Jesu Christi nie aus den Augen zu verlieren: dieser Leib, der aus Leidenschaften, Emotionen, Gefühlen, konkreten Geschichten, Händen, die berühren und heilen, Blicken, die befreien und ermutigen, Gastfreundschaft, Vergebung, Empörung, Mut, Unerschrockenheit besteht, mit einem Wort: aus Liebe.

15. Und gerade auf dieser Ebene kann eine eifrige Beschäftigung mit der Literatur die künftigen Priester und alle pastoralen Mitarbeiter noch sensibler für die volle Menschheit Jesu, des Herrn, werden lassen, in die sich seine Gottheit vollständig hineingibt, und das Evangelium so verkünden, dass alle, wirklich alle, erfahren können, wie wahr es ist, was das Zweite Vatikanische Konzil erklärt: »Tatsächlich klärt sich nur im Geheimnis des fleischgewordenen Wortes das Geheimnis des Menschen wahrhaft auf«[10]. Damit ist nicht das Geheimnis einer abstrakten Menschheit gemeint, sondern das Geheimnis des konkreten Menschen mit allen Wunden, Sehnsüchten, Erinnerungen und Hoffnungen seines Lebens.

Ein hohes Gut

16. Aus pragmatischer Sicht behaupten viele Wissenschaftler, dass die Gewohnheit desLesensviele positive Auswirkungen auf das Leben eines Menschen hat: Sie hilft ihm, einen größeren Wortschatz zu erwerben und folglich verschiedene Aspekte seiner Intelligenz zu entwickeln. Es regt auch die Phantasie und Kreativität an. Gleichzeitig lernt der Mensch, sich in seinen Erzählungen besser auszudrücken. Außerdem verbessert sie die Konzentrationsfähigkeit, verringert kognitive Beeinträchtigungen und baut Anspannung und Ängste ab.

17. Besser noch: Es bereitet uns darauf vor, die verschiedenen Situationen, die im Leben auftreten können, zu verstehen und damit umzugehen. Beim Lesen tauchen wir in die Charaktere,dieSorgen,dieDramen, die Gefahren, die Ängste von Menschen ein, die die Herausforderungen desLebensletztlich gemeistert haben, oder wir geben den Figuren während der Lektüre vielleicht Ratschläge, die uns später selbst dienen werden.

18. Um das Lesen wieder zu fördern, zitiere ich gerne einige Texte bekannter Autoren, die uns mit wenigen Worten so viel lehren:

Romane setzen »in einer Stunde alle möglichen Freuden und Unglücke in uns frei, für die wir im Leben ganze Jahre bräuchten, um sie auch nur im Geringsten zu kennen, und von denen sich uns die intensivsten nie offenbaren würden, weil die Langsamkeit, mit der sie auftreten, uns daran hindert, sie wahrzunehmen«[11].

»Wenn ich die großen Werke der Literatur lese, werde ich zu Tausenden von Menschen und bleibe doch gleichzeitig ich selbst. Wie der Nachthimmel der griechischen Poesie sehe ich mit unzähligen Augen, aber immer bin ich es, der sieht. Hier wie in der Religion, in der Liebe, im sittlichen Handeln und im Wissen übertreffe ich mich selbst, und doch bin ich dann mehr ich selbst als je zuvor«[12].

19. Es ist jedoch nicht meine Absicht, nur auf dieser Ebene des persönlichen Nutzens zu verweilen, sondern über die entscheidenden Gründe nachzudenken, um die Liebe zum Lesen wiedererwecken.

Der Stimme von jemandem zuhören

20. Wenn ich über Literatur nachdenke, fällt mir ein, wasder große argentinische Schriftsteller Jorge Luis Borges[13]seinen Studenten zu sagen pflegte:Das Wichtigste ist, zu lesen, in direkten Kontakt mit der Literatur zu kommen, in den lebendigen Text vor uns einzutauchen, anstatt sich auf Ideen und kritische Kommentare zu fixieren. Und Borges erklärte seinen Schülern diese Idee, indem er ihnen sagte, dass sie vielleicht zunächst wenig vondem, wassie lesen, verstehen würden, aber dass sie auf jeden Fall „die Stimme von jemandem“ hören würden. Das ist eine Definition von Literatur, die mir sehr gefällt:die Stimme von jemandemhören.Und vergessen wir nicht, wie gefährlich es ist, nicht mehr auf die Stimme des anderen zu hören, der uns befragt! Wir fallen sofort in die Selbstisolierung, wir geraten in eine Art „geistige“ Taubheit, die sich auch negativ auf unsere Beziehung zu uns selbst und auf unsere Beziehung zu Gott auswirkt, ganz gleich, wie viel Theologie oder Psychologie wir studieren konnten.

21. Auf diesem Weg, der uns für das Geheimnis der anderen sensibilisiert, können wir durch die Literatur lernen, ihre Herzen zu berühren. Wie könnte man an dieser Stelle nicht an das mutige Wort erinnern, das der heilige Paul VI. am 7. Mai 1964 an die Künstler und damit auch an die großen Schriftsteller richtete? Ersagte: »Wirbrauchen euch. Unser Dienst ist auf eure Mitarbeit angewiesen. Denn, wie ihr wisst, besteht Unser Dienst darin, die Welt des Geistes, des Unsichtbaren, des Unaussprechlichen, Gottes zu verkünden und zugänglich und verständlich, ja sie ergreifend zu machen. Und in diesem Vorgang, der die unsichtbare Welt in zugängliche, verständliche Formeln überträgt, seid ihr Meister«[14]. Das ist der springende Punkt: Die Aufgabe der Gläubigen und insbesondere der Priester besteht gerade darin, das Herz der Menschen von heute zu „berühren“, damit sie angerührt werden und sich für die Verkündigung Jesu, des Herrn, öffnen, und in diesem Bemühen ist der Beitrag, den die Literatur und die Poesie leisten können, von unschätzbarem Wert.

22. T.S. Eliot, der Dichter, dem der christliche Geist zeitgenössische literarische Werke verdankt, hat die moderne religiöse Krise zu Recht als eine weit verbreitete „emotionale Unfähigkeit“ beschrieben[15]. Im Lichte dieser Lesart der Wirklichkeit besteht das Problem des Glaubens heute nicht in erster Linie darin, mehr oder weniger an die Lehrsätze zu glauben. Es geht vielmehr um die Unfähigkeit so vieler Menschen, sich angesichts Gottes, seiner Schöpfung, der anderen Menschen anrühren zu lassen. Hier besteht also die Aufgabe, unsere Sensibilität zu heilen und zu bereichern. Deshalb habe ich nach meiner Rückkehr von der Apostolischen Reise nach Japan auf die Frage, was der Westen vom Osten zu lernen habe, geantwortet: »Ich glaube, dass es dem Westen ein wenig an Poesie fehlt«[16].

Eine Art Schule für das Unterscheidungsvermögen

23. Was also hat der Priester von diesem Kontakt mit der Literatur? Warum ist es notwendig, dieLektüre großer Romaneals einen wichtigen Bestandteil der priesterlichenPaideiazubetrachten und zu fördern? Warum ist es wichtig, die vom Theologen Karl Rahner skizzierte Intuition einer tiefen geistlichen Verwandtschaft zwischen Priester und Dichter in der Ausbildung der Priesteramtskandidaten wieder aufzunehmen und umzusetzen[17]?

24. Versuchen wir, diese Fragen zu beantworten, indem wir auf die Überlegungen des deutschen Theologen hören[18].Die Worte des Dichters, schreibt Rahner, sind »Worte der Sehnsucht«, sie sind »Tore zur Unendlichkeit, Tore ins Unübersehbare. Sie rufen das Ungenannte. Sie strecken sich aus nach dem Ungreifbaren«. Dieses dichterische Wort, »das Offenstehen ins Unendliche, das [es] ist, gibt nicht selber das Unendliche, bringt nicht und birgt nichtdenUnendlichen«. Dies ist in der Tat dem Wort Gottes eigen, und̶so Rahner weiter̶»das dichterische Wort ruft darum Gottes Wort«[19]. Für die Christen ist das Wort Gott, und alle menschlichen Worte tragen Spuren einer innewohnenden Sehnsucht nach Gott in sich, die auf dieses Wort hinzielt. Man kann sagen, dass das wahrhaft dichterische Wort in analoger Weise am Wort Gottes teilhat, so wie es uns derHebräerbrief inaufrüttelnder Weise vorstellt (vgl.Hebr4,12-13).

25. Und so kann Karl Rahner eine schöne Parallele zwischen dem Priester und dem Dichter ziehen: Das Wort »allein kann das erlösen, was die letzte Gefangenschaft aller Wirklichkeiten ausmacht, die nicht ausgesagt sind: die Stummheit ihrer Verwiesenheit auf Gott«[20].

26. In der Literatur geht es also um Fragen derAusdrucksformund desSinns. Sie stellt daher eine ArtSchule der Unterscheidungdar, die die Fähigkeiten des zukünftigen Priesters zur inneren und äußeren Prüfung schärft. Der Ort, an dem sich dieser Zugang zur eigenen Wahrheit eröffnet, istdas Innere des Lesers, derunmittelbar in den Prozess des Lesens einbezogen ist. Hier entfaltet sich also das Szenario der persönlichen geistlichen Unterscheidung, in dem es an Ängsten und sogar Krisen nicht mangeln wird. In der Tat gibt eszahlreiche literarische Seiten, die der ignatianischen Definition von „Trostlosigkeit“ entsprechen können.

27. Unter Trostlosigkeit ist alles zu verstehen »wie Finsternis der Seele, Verwirrung in ihr, Hinneigung zu niedrigen und irdischen Dingen, Unruhe infolge verschiedener Aufregungen und Versuchungen, die zum Misstrauen ohne Hoffnung, ohne Liebe hintreiben, wobei sich die Seele ganz träge, lau, traurig und gleichsam von ihrem Schöpfer und Herrn losgetrennt fühlt«[21].

28. Der Schmerz oder die Langeweile, die man beim Lesen bestimmter Texte empfindet, sind nicht unbedingt schlechte oder nutzlose Gefühle. Ignatius von Loyola selbst hatte festgestellt, dass der gute Geist in denen, »die vom Bösen zum Schlechteren voranschreiten«[22], wirkt, indem er Unruhe, Erregung und Unzufriedenheit verursacht. Dies wäre die wörtliche Anwendung der ersten ignatianischen Regel der Unterscheidung der Geister, die denen vorbehalten ist, die »von einer Todsünde zur anderen Todsünde schreiten«, und die besagt, dass in solchen Personen der gute Geist wirkt, indem er »sie ständig beunruhigt und ihnen durch die innere Stimme der Vernunft Gewissensbisse erregt«[23], um sie zum Guten und Schönen zu führen.

29. Der Leser ist also nicht der Empfänger einer erbaulichen Botschaft, sondern eine Person, die aktiv aufgefordert wird, sich auf unsicheres Terrain zu begeben, wo die Grenzen zwischen Heil und Verderben nichta priorifestgelegt und getrennt sind. Der Akt des Lesens gleicht also einem Akt der „Unterscheidung“, wobei der Leser in der ersten Person als „Subjekt“ des Lesens und gleichzeitig als „Objekt“ des Gelesenen einbezogen ist. Bei der Lektüre eines Romans oder eines poetischen Werks erfährt der Leser tatsächlich, dass er von den Worten, die er liest, „gelesen“ wird[24]. Der Leser gleicht also einem Spieler auf dem Spielfeld: Er spielt das Spiel, aber gleichzeitig wird das Spiel durch ihn gespielt, in dem Sinne, dass er völlig in das, was er tut, einbezogen ist[25].

Aufmerksamkeit und Verdauung

30.Was den Inhalt betrifft, so muss man anerkennen, dass die Literatur̶nach dem berühmten Bild von Proust[26]̶wie ein „Teleskop“ ist, das auf die Lebewesen und die Dinge gerichtet ist, unverzichtbar, um „den großen Abstand“ in den Blick zu nehmen, den das Alltägliche zwischen unserer Wahrnehmung und der Gesamtheit der menschlichen Erfahrung aufreißt. Die Literatur ist wie ein Fotolabor, in dem die Bilder des Lebens so bearbeitet werden können, dass sie ihre Konturen und Nuancen offenbaren. Dazu ist die Literatur also da: um die Bilder des Lebens zu „entwickeln“[27], um nach ihrem Sinn zu fragen. Sie dient, kurz gesagt, dazu, dasLebenwirklichzu erfahren.

31. Und in der Tat ist unser gewöhnlicher Blick auf die Welt gleichsam „reduziert“ und begrenzt durch den Druck, den die operativen und unmittelbaren Ziele unseres Handelns auf uns ausüben. Selbst der gottesdienstliche, pastorale oder karitative Dienst kann zu einem Imperativ werden, der unsere Kraft und Aufmerksamkeit nur noch auf die zu erreichenden Ziele lenkt. Doch wie Jesus im Gleichnis vom Sämann sagt, muss der Same tief in die Erde fallen, um mit der Zeit fruchtbar zu werden, ohne von der Oberflächlichkeit oder den Dornen erstickt zu werden (Mt13,18-23). Es besteht also die Gefahr, in ein Effizienzdenken zu verfallen, das die Unterscheidung trivialisiert, die Sensibilität verarmen lässt und die Komplexität reduziert. Es ist daher dringend notwendig, dieser unvermeidlichen Beschleunigung und Reduzierung unseres täglichen Lebens entgegenzuwirken, indem wir lernen, uns vom Unmittelbaren zu distanzieren, zu verlangsamen, zu betrachten und zuzuhören. Dies kann geschehen, wenn ein Mensch ohne andere Absichten innehält, um ein Buch zu lesen.

32. Es ist notwendig, zu aufnehmenden, nicht-strategischen, nicht direkt auf ein Ergebnis ausgerichteten Formen der Beziehung zur Wirklichkeit zurückzufinden, in denen es möglich ist, den unendliche Überfluss des Seins hervortreten zu lassen. Distanz, Langsamkeit, Freiheit sind die Merkmale einer Annäherung an die Wirklichkeit, die gerade in der Literatur eine vielleicht nicht exklusive, aber doch bevorzugte Ausdrucksform findet. Die Literatur wird dann zu einem Übungsort, in dem der Blick geschult wird, um die Wahrheit der Menschen und Situationen als Geheimnis zu suchen und zu erforschen, als reich an einem Übermaß an Bedeutung, das sich nur teilweise in Kategorien, Erklärungsschemata, in einer linearen Dynamik von Ursache-Wirkung, Mittel-Zweck manifestieren kann.

33. Ein anderes schönes Bild, um die Rolle der Literatur zu erklären, stammt aus der Physiologie des menschlichen Körpers und insbesondere des Verdauungsvorgangs. Ihr Vorbild ist dieruminatio(das Wiederkäuen)derKuh, wie sie der Mönch Guillaume de Saint-Thierry aus dem 11. Jahrhundert und der Jesuit Jean-Joseph Surin aus dem 17. Jahrhundert erwähnen. Letzterer sprach auch vom „Magen der Seele“, und der Jesuit Michel De Certeau wies auf eine echte »Physiologie des verdauenden Lesens« hin[28]. Die Literatur hilft uns, unsere Gegenwart in der Welt auszudrücken, sie zu „verdauen“ und zu assimilieren, indem sie das erfasst, was über die Oberfläche der Erfahrung hinausgeht; sie dient also dazu, das Leben zu interpretieren, seine Bedeutungen und grundlegenden Spannungen zu erkennen[29].

Mit den Augen der anderen sehen

34. Was die Form des Diskurses betrifft, so geschieht Folgendes: Durch die Lektüre eines literarischen Textes werden wir in die Lage versetzt, »durch die Augen anderer zu sehen«[30], und erlangen so einen Blickwinkel, der unsere Menschlichkeit weitet. Dadurch wird in uns die empathische Kraft der Vorstellungskraft aktiviert, die ein grundlegendes Vehikel für die Fähigkeit ist, sich mit dem Standpunkt, dem Zustand, dem Gefühl der anderen zu identifizieren, ohne die es keine Solidarität, kein Teilen, kein Mitgefühl, keine Barmherzigkeit gibt. Durch das Lesen entdecken wir, dass das, was wir fühlen, nicht nur uns gehört, sondern universell ist, so dass sich auch der verlassenste Mensch nicht allein fühlt.

35. Die wunderbare Vielfalt des Menschen und die diachrone und synchrone Pluralität der Kulturen und des Wissens werden in der Literatur in einer Sprache ausgedrückt, die in der Lage ist, ihre Vielfalt zu respektieren und auszudrücken, aber gleichzeitig werden sie in eine symbolische Bedeutungsgrammatik übersetzt, die sie uns verständlich macht, nichtfremd, sondern mit anderen teilen lässt. Die Originalität des literarischen Wortes besteht darin, dass es den Reichtum der Erfahrung nicht durch die Objektivierung in der beschreibenden Darstellung des analytischen Wissens oder in der normativen Prüfung des kritischen Urteils ausdrückt und weitergibt, sondern als Inhalt einer Bemühung im Ausdruck und der Interpretation, der jeweiligen Erfahrung einen Sinn zu geben.

36. Beim Lesen einer Geschichte stellt sich dank der Sicht des Autors jeder auf seine Weise das Weinen eines verlassenen Mädchens vor, die alte Frau, die ihren schlafenden Enkel zudeckt, den Einsatz eines kleinen Geschäftsmannes, der versucht, trotz aller Schwierigkeiten über die Runden zu kommen, die Demütigung eines Menschen, der sich von allen kritisiert fühlt, den Jungen, der als einzigen Ausweg aus dem Schmerz eines unglücklichen und rauen Lebens seine Träume besitzt. Wenn wir inmitten dieser Geschichten Spuren unserer inneren Welt finden, werden wir feinfühliger für die Erfahrungen der anderen, wir treten aus uns heraus, um in ihre Tiefen einzudringen, wir können ihre Kämpfe und Sehnsüchte ein wenig besser verstehen, wir sehen die Wirklichkeit mit ihren Augen und werden schließlich zu Weggefährten. So tauchen wir ein in die konkrete, innere Existenz des Obstverkäufers, der Prostituierten, des Kindes, das ohne die Eltern aufwächst, der Frau des Maurers, der alten Frau, die immer noch glaubt, ihren Prinzen zu finden. Und wir können dies mit Einfühlungsvermögen und manchmal mit Duldsamkeit und Verständnis tun.

37. Jean Cocteau schrieb an Jacques Maritain: »Literatur ist unmöglich. Man muss davon wegkommen. Und es ist unnütz zu versuchen, mit der Literatur von ihr wegzukommen, denn nur der Glaube und die Liebe erlauben uns, aus uns selbst herauszugehen«[31]. Aber gehen wir wirklich aus uns heraus, wenn die Leiden und Freuden der anderen nicht in unseren Herzen brennen? Ich möchte gerne daran erinnern, dass mir als Christ nichts Menschliches gleichgültig ist.

38. Außerdem ist Literatur nicht relativistisch, weil sie uns nicht der Wertkriterien beraubt. Die symbolische Darstellungvon Gut und Böse, von Wahr und Falschals Dimensionen, die in der Literatur die Form individueller Existenzen und kollektiver historischer Ereignisse annehmen, schaltet das moralische Urteil nicht aus, sondern verhindert, dass es blind oder oberflächlich verurteilend wird. »Warum siehst du den Splitter im Auge deines Bruders, aber den Balken in deinem Auge bemerkst du nicht?«, so fragt uns Jesus (Mt7,3).

39. Und durch die Heftigkeit,Beschränktheitoder Zerbrechlichkeit der anderen haben wir die Möglichkeit, besser über unsere eigene nachzudenken. Indem sie dem Leser einen weiten Blick auf den Reichtum und das Elend der menschlichen Erfahrung eröffnet, erzieht die Literatur den Blick zur Langsamkeit des Verstehens, zur Demut der Nicht-Vereinfachung, zur Güte, nicht so zu tun, als könne man die Wirklichkeit und die menschliche Existenz durch ein Urteil kontrollieren. Sicherlich ist ein Urteil notwendig, aber man darf nie seine begrenzte Tragweite vergessen: Niemals darf ein Urteil in ein Todesurteil, in eine Auslöschung, in die Unterdrückung der Menschlichkeit zugunsten einer unfruchtbaren Verabsolutierung des Gesetzes münden.

40. Der Blick der Literatur erzieht den Leser dazu, nicht mehr selbst im Mittelpunkt zu stehen, zum Gefühl der Begrenzung, zum Verzicht auf die kognitive und kritische Beherrschung der Erfahrung und lehrt ihn eine Armut, die eine Quelle außerordentlichen Reichtums ist. Indem der Leser die Vergeblichkeit und vielleicht sogar die Unmöglichkeit erkennt, das Geheimnis der Welt und des Menschen auf eine antinomische Polarität von wahr/falsch oder gerecht/ungerecht zu reduzieren, akzeptiert er die Pflicht zur Beurteilung nicht als Instrument der Beherrschung, sondern als Anstoß zum unablässigen Zuhören und als Bereitschaft, sich in jenen außergewöhnlichen Reichtum der Geschichte hineinzubegeben, der auf die Gegenwart des Heiligen Geistes zurückzuführen ist, der auch als Gnade gegeben ist: das heißt als unvorhersehbares und unbegreifliches Ereignis, das nicht vom menschlichen Handeln abhängt, sondern das Menschliche als Hoffnung auf Erlösung erneut definiert.

Die geistige Kraft der Literatur

41. Ich hoffe, dass ich in diesen kurzen Überlegungen die Rolle hervorgehoben habe, die die Literatur bei der Herzens- und Verstandesbildung eines Hirten oder eines zukünftigen Hirten im Sinne einer freien und demütigen Ausübung der eigenen Verstandeskraft, einer fruchtbaren Anerkennung des Pluralismus der menschlichen Ausdrucksweisen, einer Erweiterung der eigenen menschlichen Sensibilität und schließlich einer großen geistlichen Offenheit für das Hören auf die Stimme Gottes durch viele Stimmen hindurch spielen kann.

42. In diesem Sinne hilft die Literatur dem Leser, die Götzen der selbstbezogenen, fälschlich selbstgenügsamen, statisch konventionellen Sprachen zu zerstören, die manchmal sogar unseren kirchlichen Diskurs zu verunreinigen drohen und die Freiheit des Wortes einsperren. Das literarische Wort ist ein Wort, das die Sprache in Bewegung setzt, sie befreit und reinigt: Es öffnet sie schließlich für ihre eigenen weiteren Ausdrucks- und Erkundungsmöglichkeiten, es macht sie aufnahmefähig für das Wort Gottes, das sich in menschliche Sprache kleidet, nicht wenn es sich als Wissen versteht, das bereits endgültig und vollständig ist, sondern wenn es zu einer Nachtwache des Hörens und des Wartens auf denjenigen wird, der kommt, umalles neu zu machen(vgl.Offb21,5).

43. Die geistige Kraft der Literatur erinnert letztlich an die erste Aufgabe, die Gott dem Menschen anvertraut hat: die Aufgabe, den Lebewesen und Dingen einen „Namen zu geben“ (vgl.Gen2,19-20). Die Aufgabe des Hüters der Schöpfung, die Gott Adam übertragen hat, besteht in erster Linie darin, seine eigene Wirklichkeit und den Sinn der Existenz der anderen Lebewesen zu erkennen. Auch der Priester ist mit dieser ursprünglichen Aufgabe des „Namengebens“, der Sinngebung, betraut, indem er sich zum Werkzeug der Gemeinschaft zwischen der Schöpfung und dem fleischgewordenen Wort und seiner Macht, jeden Aspekt der menschlichen Existenz zu erhellen, macht.

44. Die Verwandtschaft zwischen Priester und Dichter zeigt sich also in dieser geheimnisvollen und unauflöslichen sakramentalen Verbindung zwischen göttlichem und menschlichem Wort, die zu einem Dienst führt, der zu einem Dienst voller Zuhören und Mitgefühl wird, zu einem Charisma, das zur Verantwortung wird, zu einer Sicht des Wahren und Guten, das sich als Schönheit offenbart. Wir können nicht anders, als auf die Worte zu hören, die uns der Dichter Paul Celan hinterlassen hat: »Wer wirklich sehen lernt, nähert sich dem Unsichtbaren«[32].

Gegeben zu Rom, bei Sankt Johannes im Lateran, am 17. Juli 2024, dem zwölften Jahr meines Pontifikats.

FRANZISKUS

________________________________

[1]R. Latourelle,“Letteratura”, inR. Latourelle - R. Fisichella,Dizionario di Teologia Fondamentale, Assisi 1990, 631.

[2]Vgl. A.Spadaro, “J. M. Bergoglio, il ‘maestrillo’ creativo. Intervista all’alunno Jorge Milia”, inLa Civiltà Cattolica2014/ I, 523-534.

[3]Vgl.Zweites Ökumenisches Vatikanisches Konzil, Pastoralkonstitution über die Kirche in der Welt von heuteGaudium et spes,62.

[4]K. Rahner, „Die Zukunft des religiösen Buches“, inSchriften zur Theologie, Benziger Verlag, Einsiedeln 1966, Bd. 7, 512.

[5]Vgl. Apostolisches SchreibenEvangelii gaudium, 117.

[6]A.Spadaro,Svolta di respiro. Spiritualità della vita contemporanea, Vita e Pensiero, Mailand 2010, 101.

[7]R. Latourelle, “Letteratura”, 633.

[8]Johannes Paul II.,Brief an die Künstler, Nr. 6.

[9]Apostolisches SchreibenEvangelii gaudium,89.

[10]Pastoralkonstitution über die Kirche in der Welt von heuteGaudium et spes, 22.

[11]M.Proust,Alla ricerca del tempo perduto.I.La strada di Swann, Mondadori, Mailand 1983, 104 f.

[12]C.S. Lewis,Lettori e letture. Un esperimento di critica,Mailand 1997, 165.

[13]Vgl.J.L.Borges,Borges, Oral, Buenos Aires 1979, 22.

[14]PaulVI.,Predigt,»Messe der Künstler«in der Sixtinischen Kapelle, 7.Mai 1964.

[15]T.S. Eliot,The Idea of a Christian Society, London 1946, 30.

[16]Pressekonferenz des Heiligen Vaters auf dem Rückflug von der Apostolischen Reise nach Thailand und Japan, 26.November 2019.

[17]Vgl. A.Spadaro,La grazia della parola. Karl Rahner e la poesia, Jaca Book, Mailand 2006.

[18]K. RAHNER, „Priester und Dichter“, in Schriften zur Theologie, Benziger Verlag, Einsiedeln 19625, Bd. 3, 349-375.

[19]Ebd., 374 f.

[20]Ebd., 358.

[21]Ignatius von Loyola,Geistliche Exerzitien, Nr. 317.

[22]Ebd., Nr. 335.

[23]Ebd., Nr. 314.

[24]Vgl.K. Rahner, „Priester und Dichter“.

[25]Vgl. ASpadaro,La pagina che illumina. Scrittura creativa come esercizio spirituale, Ares, Mailand 2023, 46-47.

[26]M. Proust,À la recherche du temps perdu. Le temps retrouvé, Paris 1954, Bd.III, 1041.

[27]A. SPADARO,La pagina che illumina…, a.a.O., 14.

[28]M. De Certeau,Il parlare angelico. Figure per una poetica della lingua (Secoli XVI e XVII), Florenz 1989, 139 f.

[29]Vgl. A. SPADARO,La pagina che illumina…, a.a.O., 16.

[30]C.S. Lewis,Lettori e letture. Un esperimento di critica, Mailand 1997, 165.

[31]J. Cocteau - J. Maritain,Dialogo sulla fede, Passigli, Florenz 1988, 56.

[32]P. Celan,„Mikrolithen sinds, Steinchen“: Die Prosa aus dem Nachlaß, Surkamp, Berlin 2005, Nr. 24.1: 24.

[01218-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Carta del Santo Padre Francisco

sobre el papel de la literatura en la formación

1. Al inicio había pensado escribir un título que se refiriera a la formación sacerdotal, pero luego pensé que, de manera similar, estas cosas pueden decirse de la formación de todos los agentes de pastoral, así como de cualquier cristiano. Me refiero a la importancia que tiene la lectura de novelas y poemas en el camino de la maduración personal.

2. Con frecuencia, entre el aburrimiento de las vacaciones, el calor y la soledad de los barrios desolados, encontrar un buen libro de lectura llega a ser como un oasis que nos aleja de otras actividades que no nos hacen bien. Tampoco faltan los momentos de cansancio, de rabia, de decepción, de fracaso, y cuando ni siquiera en la oración conseguimos encontrar la quietud del alma, un buen libro, al menos, nos ayuda a ir sobrellevando la tormenta, hasta que consigamos tener un poco más de serenidad. Puede ser que esa lectura consiga abrir en nosotros nuevos espacios de interiorización que eviten que nos encerremos en esas anómalas ideas obsesivas que nos acechan irremediablemente. Antes de la llegada omnipresente de los medios de comunicación, redes sociales, teléfonos móviles y otros dispositivos, la lectura era una experiencia frecuente, y quienes la han vivido saben de lo que hablo. No es algo pasado de moda.

3. A diferencia de los medios audiovisuales, donde el contenido en sí es más completo, y el margen y el tiempo para “enriquecer” la narración o interpretarla suelen ser reducidos, en la lectura de un libro, el lector es mucho más activo. En cierta forma él reescribe la obra, la amplía con su imaginación, crea su mundo, utiliza sus habilidades, su memoria, sus sueños, su propia historia llena de dramatismo y simbolismo, y de este modo lo que resulta es una obra muy distinta de la que el autor pretendía escribir. Una obra literaria es, pues, un texto vivo y siempre fecundo, capaz de volver a hablar de muchas maneras y de producir una síntesis original en cada lector que encuentra. Al leer, el lector se enriquece con lo que recibe del autor, pero esto le permite al mismo tiempo hacer brotar la riqueza de su propia persona, de modo que cada nueva obra que lee renueva y amplía su universo personal.

4. Esto me lleva a valorar de modo muy positivo el hecho de que, al menos en algunos Seminarios, se logre abandonar la obsesión por las pantallas —y por las venenosas, superficiales y violentas noticias falsas— y se dedique tiempo a la literatura, a los momentos de lectura serena y libre, a hablar de esos libros, nuevos o viejos, que tanto nos siguen contando. Pero, en general, hay que constatar con pesar que, en el proceso formativo de quienes se preparan al ministerio ordenado, la atención a la literatura no encuentra actualmente un lugar conveniente. De hecho, ésta se considera a menudo como una forma de entretenimiento, es decir, como una expresión poco relevante de la cultura que no pertenece al camino de preparación y, por tanto, a la experiencia pastoral concreta de los futuros sacerdotes. Salvo pocas excepciones, la atención a la literatura se considera como algo no esencial. A este respecto, quisiera afirmar que este enfoque no es bueno. Es el origen de una forma de grave empobrecimiento intelectual y espiritual de los futuros sacerdotes, que se ven así privados de tener un acceso privilegiado al corazón de la cultura humana y más concretamente al corazón del ser humano, a través de la literatura.

5. Con este mensaje, quisiera proponer un cambio radical acerca de la atención que debe darse a la literatura en el contexto de la formación de los candidatos al sacerdocio. A este respecto, me parece muy apropiado lo que dice un teólogo:

«La literatura [...] surge de la persona en lo que ésta tiene de más irreductible, en su misterio [...]. Es la vida, que toma conciencia de sí misma cuando alcanza la plenitud de la expresión, apelando a todos los recursos del lenguaje».[1]

6. Así pues, la literatura tiene que ver, de un modo u otro, con lo que cada uno de nosotros busca en la vida, ya que entra en íntima relación con nuestra existencia concreta, con sus tensiones esenciales, su deseos y significados.

7. Esto lo aprendí desde joven, con mis estudiantes. Entre el 1964 y 1965, con 28 años, fui profesor de literatura en Santa Fe, en un colegio jesuita. Enseñaba los dos últimos años de bachillerato y tenía que asegurarme de que mis alumnos estudiaranEl Cid. Pero a los chicos no les gustaba. Pedían leer a García Lorca. Así que decidí que estudiaríanEl Ciden casa, y durante las clases trataría a los autores que más les gustaban a los chicos. Por supuesto, ellos querían leer obras literarias contemporáneas. Pero a medida que leían esas cosas que les atraían en ese momento, fueron teniendo un gusto más general por la literatura, por la poesía, para luego pasar a otros autores. En definitiva, el corazón sigue buscando, y cada uno encuentra su propio camino en la literatura.[2]A mí, por ejemplo, me encantan los artistas trágicos, porque todos podríamos sentir sus obras como propias, como expresión de nuestros propios dramas. Llorando por el destino de los personajes, lloramos en el fondo por nosotros mismos y nuestro propio vacío, nuestras propias carencias, nuestra propia soledad. Por supuesto, no les pido que lean lo mismo que yo he leído. Cada cual encontrará aquellos libros que digan algo a su propia vida y se conviertan en verdaderos compañeros de viaje. No hay nada más contraproducente que leer algo por obligación, haciendo un esfuerzo considerable sólo porque otros han dicho que es imprescindible. No, debemos seleccionar nuestras lecturas con disponibilidad, sorpresa, flexibilidad, dejándonos aconsejar, pero también con sinceridad, tratando de encontrar lo que necesitamos en cada momento de nuestra vida.

Fe y cultura

8. Por otra parte, para un creyente que quiera sinceramente entrar en diálogo con la cultura de su tiempo, o simplemente con la vida de personas concretas, la literatura se hace indispensable. Con razón, el Concilio Vaticano II afirma que «la literatura y el arte [...] se proponenexpresar la naturaleza propia del hombre» y «presentar claramente las miserias y las alegrías de los hombres,sus necesidades y sus capacidades».[3]En efecto, la literatura se inspira en la cotidianidad de la vida, en sus pasiones y en sus propias experiencias, como «la acción, el trabajo, el amor, la muerte y todas las pequeñas grandes cosas que llenan la vida».[4]

9. ¿Cómo podemos penetrar en el corazón de las culturas, las antiguas y las nuevas, si ignoramos, desechamos y/o silenciamos sus símbolos, mensajes, creaciones y narraciones con los que plasmaron y quisieron revelar y evocar sus más bellas hazañas y los ideales más bellos, así como también sus actos violentos, miedos y pasiones más profundos? ¿Cómo hablar al corazón de los hombres si ignoramos, relegamos o no valoramos “esas palabras” con las que quisieron manifestar y, por qué no, revelar el drama de su propio vivir y sentir a través de novelas y poemas?

10. La misión de la Iglesia ha sabido desplegar toda su belleza, frescura y novedad en el encuentro con las diversas culturas —muchas veces gracias a la literatura— en las que ha echado raíces sin miedo a arriesgarse y a extraer de ellas lo mejor que ha encontrado. Es una actitud que la ha librado de la tentación de un solipsismo ensordecedor y fundamentalista que consiste en creer que sólo una específica gramática histórico-cultural tiene la capacidad de expresar toda la riqueza y profundidad del Evangelio.[5]Muchas de las profecías catastrofistas que hoy intentan sembrar la desesperanza, tienen su origen precisamente en este aspecto. El contacto con diferentes estilos literarios y gramaticales siempre nos permitirá profundizar en la polifonía de la Revelación, sin reducirla o empobrecerla a las propias necesidades históricas o a las propias estructuras mentales.

11. No es, pues, casualidad que el cristianismo primitivo, por ejemplo, haya percibido bien la necesidad de una estrecha confrontación con la cultura clásica de la época. Un padre de la Iglesia oriental como Basilio de Cesarea, por ejemplo, en suDiscurso a los jóvenes, escrito entre los años 370 y 375, que probablemente dirigió a sus sobrinos, ensalzaba la belleza de la literatura clásica —producida por loséxothen(“los de fuera”) como él llamaba a los autores paganos— tanto en la argumentación, es decir, en loslógoi(“discursos”) que se utilizaban en la teología y la exégesis, como en el propio testimonio de vida, es decir, en lospráxeis(“actos, comportamientos”) que se debían considerar en la ascética y la moral. Y concluía exhortando a los jóvenes cristianos a considerar a los clásicos como unephódion(“viático”) para la propia educación y formación, obteniendo de ellos “provecho para el alma” (IV, 8-9). Y precisamente de ese encuentro del acontecimiento cristiano con la cultura de la época surgió una original reelaboración del anuncio evangélico.

12. Gracias al discernimiento evangélico de la cultura, es posible reconocer la presencia del Espíritu en la multiforme realidad humana, es decir, es posible captar la semillayaplantada de la presencia del Espíritu en los acontecimientos, sensibilidades, deseos y tensiones profundas de los corazones y de los contextos sociales, culturales y espirituales. Por ejemplo, en losHechos de los Apóstoles, donde se menciona la presencia de Pablo en el Areópago (cf.Hch17,16-34), podemos reconocer un planteamiento similar. Pablo, hablando de Dios, afirma: «En efecto, en él vivimos, nos movemos y existimos, como muy bien lo dijeron algunos poetas de ustedes: “Nosotros somos también de su raza”» (Hch17,28). En este versículo encontramos dos citas: una indirecta en la primera parte, que cita al poeta Epiménides (s. VI a.C.), y otra directa, que cita losPhaenomenadel poeta Arato de Silo (s. III a.C.), que versa sobre las constelaciones y los signos del buen y mal tiempo. Aquí, «Pablo se revela como “lector” de poesía y deja intuir su manera de acercarse al texto literario que no puede dejarnos sin reflexionar sobre un discernimiento evangélico de la cultura. Los atenienses lo definieron comospermologos, es decir, “cuervo, parlanchín, charlatán”, pero literalmente “recolector de semillas”. Aquello que sin duda era un insulto, parece, paradójicamente, una profunda verdad. Pablo recoge las semillas de la poesía pagana y, superando una actitud anterior de profunda indignación (cf.Hch17,16), llega a reconocer a los atenienses como “muy religiosos” y ve en aquellas páginas de su literatura clásica una verdaderapreparatio evangelica».[6]

13. ¿Qué es lo que hizo Pablo? Él comprendió que «la literatura descubre los abismos que habitan en el hombre, mientras que la revelación, y luego la teología, los remontan para mostrar cómo Cristo viene a atravesarlos e iluminarlos».[7]En la dirección de estos abismos, la literatura es, pues, una «vía de acceso»[8]que ayuda al pastor a entrar en un diálogo fecundo con la cultura de su tiempo.

Jamás un Cristo sin carne

14. Antes de profundizar en las razones específicas por las cuales hay que promover la atención a la literatura en el camino de formación de los futuros sacerdotes, permítanme hacer alusión a un pensamiento sobre el contexto religioso actual: «La vuelta a lo sagrado y las búsquedas espirituales que caracterizan a nuestra época son fenómenos ambiguos. Más que el ateísmo, hoy se nos plantea el desafío de responder adecuadamente a la sed de Dios de mucha gente, para que no busquen apagarla en propuestas alienantes o en un Jesucristo sin carne».[9]Por lo tanto, la urgente tarea de anunciar el Evangelio en nuestro tiempo requiere de los creyentes y particularmente de los sacerdotes, el compromiso de que todos puedan encontrarsecon un Jesucristo hecho carne, hecho hombre, hecho historia. Debemos cuidar que nunca se pierda de vista la “carne” de Jesucristo; esa carne hecha de pasiones, emociones, sentimientos, relatos concretos, manos que tocan y sanan, miradas que liberan y animan; de hospitalidad, perdón, indignación, valor, arrojo. En una palabra, de amor.

15. Y es precisamente en este ámbito que una asidua frecuencia de la literatura puede hacer a los futuros sacerdotes y a todos los agentes pastorales más sensibles aún a la plena humanidad del Señor Jesús, en la que se expande plenamente su divinidad, y anunciar el Evangelio de tal modo que todos, realmente todos, puedan experimentar qué verdadero es lo que dice el Concilio Vaticano II: «En realidad, el misterio del hombre sólo se esclarece en el misterio del Verbo encarnado».[10]Esto no significa el misterio de una realidad abstracta, sino el misterio de ese ser humano concreto, con todas las heridas, deseos, recuerdos y esperanzas de su vida.

Un gran bien

16. Desde un punto de vista pragmático, muchos científicos sostienen que el hábito de la lectura produce efectos muy positivos en la vida de la persona; la ayuda a adquirir un vocabulario más amplio y, por consiguiente, a desarrollar diversos aspectos de su inteligencia. También estimula la imaginación y la creatividad. Al mismo tiempo, esto permite aprender a expresar los propios relatos de una manera más rica. Además, mejora la capacidad de concentración, reduce los niveles de deterioro cognitivo, calma el estrés y la ansiedad.

17. Mejor aún: nos prepara para comprender y, por tanto, para afrontar las diferentes situaciones que pueden presentarse en la vida. En la lectura nos zambullimos en los personajes, en las preocupaciones, en los dramas, en los peligros, en los miedos de las personas que finalmente han superado los desafíos de la vida, o quizás durante la lectura damos consejos a los personajes que después nos servirán a nosotros mismos.

18. En el intento de seguir animando a la lectura, cito con gusto algunos textos de autores muy conocidos, que nos enseñan mucho con pocas palabras.

Las novelas desencadenan en nosotros, «por una hora, todas las dichas y desventuras posibles, de esas que en la vida tardaríamos muchos años en conocer unas cuantas, y las más intensas de las cuales se nos escaparían, porque la lentitud con que se producen nos impide percibirlas».[11]

«Al leer buena literatura me convierto en un millar de hombres y sigo siendo yo mismo. Como el cielo nocturno del poema griego, veo con miles de ojos, pero sigo siendo yo quien ve. Entonces, como en la fe, en el amor, en acción moral y en conocimiento; me trasciendo a mí mismo, nunca realmente soy más yo que cuando lo hago».[12]

19. De todos modos, mi intención no es detenerme solamente en este nivel de utilidad personal, sino reflexionar sobre las razones más decisivas para despertar el amor por la lectura.

Escuchar la voz de alguien

20. Cuando pienso en la literatura, me viene a la mente lo que el gran escritor argentino Jorge Luis Borges[13]decía a sus estudiantes:lo más importante es leer, entrar en contacto directo con la literatura, sumergirse en el texto vivo que tenemos delante, más que fijarse en las ideas y en los comentarios críticos. Y Borges explicaba esta idea a sus estudiantes diciéndoles que quizás al comienzo iban a entender poco de lo que estaban leyendo, pero que en todo caso habrían escuchado “la voz de alguien”. Esta es una definición de literatura que me gusta mucho:escuchar la voz de alguien. Y no nos olvidemos qué peligroso es dejar de escuchar la voz de otro que nos interpela. Caemos rápidamente en el aislamiento, entramos en una especie de sordera “espiritual”, que incide negativamente también en la relación con nosotros mismos y en la relación con Dios, más allá de cuanta teología o psicología hayamos podido estudiar.

21. Recorriendo este camino, que nos vuelve sensibles al misterio de los otros, la literatura hace que aprendamos a tocar sus corazones. ¿Cómo no recordar en este tema las valientes palabras que san Pablo VI dirigió a los artistas y, por lo tanto, a los escritores, el 7 de mayo de 1964? Decía: «Tenemos necesidad de vosotros. Nuestro ministerio tiene necesidad de vuestra colaboración. Pues, como sabéis, nuestro ministerio es el de predicar y hacer accesible y comprensible, más aún, emotivo, el mundo del espíritu, de lo invisible, de lo inefable, de Dios. Y en esta operación que trasvasa el mundo invisible en fórmulas accesibles, inteligibles, vosotros sois maestros»[14]. Esta es la cuestión: la tarea de los creyentes, y en particular de los sacerdotes, es precisamente “tocar” el corazón del ser humano contemporáneo para que se conmueva y se abra ante el anuncio del Señor Jesús y, en este esfuerzo, la contribución que la literatura y la poesía pueden ofrecer es de un valor inigualable.

22. T.S. Eliot, el poeta a quien el espíritu cristiano le debe obras literarias que han marcado la contemporaneidad, ha definido justamente la crisis religiosa moderna como una crisis con una “incapacidad emotiva”[15]generalizada. A la luz de esta lectura de la realidad, hoy el problema de la fe no es en primera instancia el de creer más o creer menos en las proposiciones doctrinales. Está más bien relacionado con la incapacidad de muchos para emocionarse ante Dios, ante su creación, ante los otros seres humanos. Se plantea aquí, por tanto, la tarea de sanar y enriquecer nuestra sensibilidad. Por eso, al regresar del Viaje Apostólico en Japón, cuando me preguntaron qué ha de aprender Occidente de Oriente, respondí:«creo que Occidente carece de un poco de poesía»[16].

Una forma de ejercicio del discernimiento

23. ¿Qué obtiene entonces el sacerdote de este contacto con la literatura? ¿Por qué es necesario considerar y promover la lectura de las grandes obras literarias como un elemento importante de lapaideiasacerdotal? ¿Por qué es importante recuperar e implementar en el itinerario formativo de los candidatos al sacerdocio la intuición, delineada por el teólogo Karl Rahner, de una afinidad espiritual profunda entre sacerdote y poeta?[17]

24. Intentemos responder a estos interrogantes escuchando las consideraciones del teólogo alemán.[18]Las palabras del poeta, escribe Rahner, son “palabras de anhelo”, son«puertas abiertas a lo infinito, sin medida. Llaman lo innominado, se alargan a lo inasible. […] La abertura al infinito que es el arte no puede dar lo infinito, el Infinito». De hecho, esto es propio de la Palabra de Dios, y —prosigue Rahner— «la palabra poética llama a la Palabra de Dios».[19]Para los cristianos la Palabra de Dios y todas las palabras humanas dejan el rastro de una intrínseca nostalgia de Dios, tendiendo hacia esa Palabra. Se puede decir que la palabra verdaderamente poética participa analógicamente de la Palabra de Dios, como nos la presenta de manera sobrecogedora laCarta a los Hebreos(cf.Hb4,12-13).

25. De este modo, Karl Rahner puede establecer un hermoso paralelismo entre el sacerdote y el poeta: «Sólo ella puede redimir lo que constituye la última cárcel de las realidades no dichas, la mudez de su referencia a Dios».[20]

26. En la literatura también están en juego cuestiones deforma de expresióny desentido. Esta representa por tanto una forma deejercicio de discernimiento, que afina las capacidades sapienciales de escrutinio interior y exterior del futuro sacerdote. El lugar en el que se abre esta vía de acceso a la propia verdad es la interioridad del lector, implicado directamente en el proceso de la lectura. Así, por tanto, se despliega el escenario del discernimiento espiritual personal, donde no faltarán las angustias e incluso las crisis. Son numerosas, en efecto, las páginas literarias que pueden responder a la definición ignaciana de «desolación».

27. «Llamo desolación […] la oscuridad del ánima, turbación en ella, moción a las cosas bajas y terrenas, inquietud de varias agitaciones y tentaciones, moviendo a infidencia, sin esperanza, sin amor, hallándose toda perezosa, tibia, triste y como separada de su Criador y Señor».[21]

28. El dolor o el tedio que se experimentan al leer ciertos textos no son necesariamente malos o sensaciones inútiles. El mismo Ignacio de Loyola había notado que en «los que proceden de mal en peor» el buen espíritu actúa provocando inquietud, agitación, insatisfacción.[22]Esta sería la aplicación literal de la primera regla ignaciana del discernimiento de espíritus, reservada a los que «van de pecado mortal en pecado mortal»; en tales personas el buen espíritu se comporta «punzándoles y remordiéndoles las conciencias por el sindérese de la razón»[23]para conducirlas al bien y a la belleza.

29. Se comprende así que el lector no es el destinatario de un mensaje edificante, sino una persona que está inducida activamente a adentrarse en un terreno poco seguro, donde los confines entre salvación y perdición no están definidos y separadosa priori.El ejercicio de la lectura es, entonces, como un ejercicio de “discernimiento”, gracias al cual el lector está implicado en primera persona como “sujeto” de lectura y, al mismo tiempo, como “objeto” de lo que lee. Leyendo una novela o una obra poética, en realidad el lector vive la experiencia de “ser leído” por las palabras que lee.[24]Así el lector es semejante a un jugador en el campo; juega y al mismo tiempo el juego se hace por medio suyo, en el sentido de que él está totalmente involucrado en lo que realiza.[25]

Atención y digestión

30. En cuanto al contenido, se debe reconocer que la literatura es como “un telescopio” —según la célebre imagen acuñada por Proust[26]— enfocado en los seres y en las cosas, imprescindible para concentrarse en “la gran distancia” que lo cotidiano traza entre nuestra percepción y el conjunto de la experiencia humana. «La literatura es como un laboratorio fotográfico, en el que es posible elaborar las imágenes de la vida»,[27]a fin de que descubran sus delimitaciones y matices. Esto es para lo que “sirve” la literatura, para “desarrollar” las imágenes de la vida, para preguntarnos sobre su significado. En pocas palabras, sirve para hacer eficazmenteexperiencia de vida.

31. A decir verdad, nuestra visión ordinaria del mundo está de algún modo “reducida” y limitada por la presión que ejercen en nuestro actuar los propósitos operativos e inmediatos. Incluso el servicio —cultual, pastoral, caritativo— puede volverse un imperativo que oriente nuestra fuerza y atención sólo en los objetivos que hay que alcanzar. Sin embargo, como nos recuerda Jesús en la parábola del sembrador, la semilla necesita caer en un terreno profundo para madurar fecundamente con el tiempo, sin ser sofocada por la superficialidad o por las espinas (cf.Mt13,18-23). Así, el riesgo consiste en caer en un eficientismo que banaliza el discernimiento, empobrece la sensibilidad y reduce la complejidad. Por eso es necesario y urgente contrarrestar esta inevitable aceleración y simplificación de nuestra vida cotidiana, aprendiendo a tomar distancia de lo inmediato, a desacelerar, a contemplar y a escuchar. Esto es posible cuando una persona se detiene a leer un libro por el gusto de hacerlo.

32. Es necesario recuperar modos acogedores de relacionarnos con la realidad, no estratégicos ni orientados directamente a un resultado, en los que sea posible dejar aflorar el desbordamiento infinito del ser. Distancia, lentitud y libertad son rasgos de una aproximación a la realidad que encuentra en la literatura una forma de expresión no exclusiva, sino privilegiada. En este sentido, la literatura se vuelve un gimnasio en el que se entrena la mirada para buscar y explorar la verdad de las personas y de las situaciones como misterio, como una carga de un exceso de sentido, que sólo puede ser parcialmente manifestada en categorías, en esquemas explicativos, en dinámicas lineares de causa-efecto y medio-fin.

33. Otra hermosa imagen para hablar del rol de la literatura viene de la fisiología, del aparato humano y, en particular, del acto de la digestión. Laruminatiode la vaca es su modelo, como afirmaban el monje Guillaume de Saint-Thierry, del siglo XI, y el jesuita Jean-Joseph Surin, del siglo XVII. Este último habla también del “estómago del alma” y el jesuita Michel De Certeau señaló una verdadera “fisiología de la lectura digestiva”.[28]Efectivamente, la literatura expresa nuestra presencia en el mundo, lo asimila y lo “digiere”, captando lo que va más allá de la superficie de la experiencia; sirve entonces para interpretar la vida, discerniendo sus significados y tensiones fundamentales.[29]

Ver a través de los ojos de los demás

34. En cuanto a la forma del discurso, pasa lo siguiente: leyendo un texto literario, nos ponemos en la condición de «ver también por otros ojos»,[30]ampliando la perspectiva que expande nuestra humanidad. De este modo, se activa en nosotros el empático poder de la imaginación, que es un vehículo fundamental para esa capacidad de identificarse con el punto de vista, la condición y el sentimiento de los demás, sin la cual no existe la solidaridad ni se comparte, no hay compasión ni misericordia. Leyendo descubrimos que lo que sentimos no es sólo nuestro, es universal, y de este modo, ni siquiera la persona más abandonada se siente sola.

35. La diversidad maravillosa del ser humano y la pluralidad diacrónica y sincrónica de culturas y saberes se configuran en la literatura con un lenguaje capaz de respetarlas y expresar su variedad, pero, al mismo tiempo, se traducen en una gramática simbólica del sentido que nos las hace, no extrañas, sino inteligibles y compartidas. La originalidad de la palabra literaria está en el hecho de que expresa y transmite la riqueza de la experiencia sin objetivarla en la representación descriptiva del saber analítico o en el examen normativo del juicio crítico, sino como contenido del esfuerzo de la expresión e interpretación que buscan dar sentido a la experiencia en cuestión.

36. Cuando se lee un relato, gracias a la visión del autor, cada quien imagina a su modo el llanto de una joven abandonada, la anciana cubriendo el cuerpo de su nieto dormido, la pasión de un pequeño emprendedor que trata de salir adelante a pesar de las dificultades, la humillación de quien se siente criticado por todos, el joven que sueña en una vida miserable y violenta como única salida al dolor. A medida que identificamos rastros de nuestro mundo interior en medio de esas historias, nos volvemos más sensibles frente a las experiencias de los demás, salimos de nosotros mismos para entrar en lo profundo de su interior, podemos entender un poco más sus fatigas y deseos, vemos la realidad con sus ojos y finalmente nos volvemos sus compañeros de camino. De este modo, nos sumergimos en la existencia concreta e interior del verdulero, de la prostituta, del niño que crece sin padres, de la esposa del albañil, de la viejita que aún cree que encontrará su príncipe azul. Y esto lo podemos hacer con empatía y, a veces, con tolerancia y comprensión.

37. Jean Cocteau escribió a Jacques Maritain: «la literatura es imposible. Es necesario salir de uno a través de la literatura; sólo el amor y la fe nos permiten salir de nosotros mismos».[31]Pero, ¿en verdad salimos de nosotros mismos si no arden en el corazón los sufrimientos y alegrías de los demás? Prefiero pensar que, siendo cristianos, nada que sea humano nos es indiferente.

38. Asimismo, la literatura no es relativista, porque no nos despoja de criterios de valor. La representación simbólica del bien y del mal, de lo verdadero y lo falso, como dimensiones que en la literatura toman forma de existencias individuales y de acontecimientos históricos colectivos, no neutraliza el juicio moral, sino que le impide que se vuelva ciego o superficialmente condenatorio. Jesús nos interpela:«¿Por qué te fijas en la paja que está en el ojo de tu hermano y no adviertes la viga que está en el tuyo?»(Mt7,3).

39. Y al contemplar la violencia, limitación o fragilidad de los demás tenemos la posibilidad de reflexionar mejor sobre la nuestra. Al abrir al lector a una visión amplia de la riqueza y la miseria de la experiencia humana, la literatura educa su mirada a la lentitud de la comprensión, a la humildad de la no simplificación y a la mansedumbre de no pretender controlar la realidad y la condición humana a través del juicio. Es cierto que es necesario el juicio, pero nunca hay que olvidar su alcance limitado; en efecto, este nunca debe desembocar en una condena a muerte, en una eliminación, en la supresión de la humanidad en beneficio de una árida absolutización de la ley.

40. La mirada de la literatura forma al lector en la descentralización, en el sentido del límite, en la renuncia al dominio, cognitivo y crítico, en la experiencia, enseñándole una pobreza que es fuente de extraordinaria riqueza. Al reconocer la inutilidad y quizá también la imposibilidad de reducir el misterio del mundo y el ser humano a una antinómica polaridad de verdadero/falso o justo/injusto, el lector acoge el deber del juicio no como un instrumento de dominio sino como un impulso hacia la escucha incesante y como disponibilidad para ponerse en juego en esa extraordinaria riqueza de la historia debida a la presencia del Espíritu, que se da también como gracia; es decir, como acontecimiento imprevisible e incomprensible que no depende de la acción humana, sino que redefine al ser humano como esperanza de salvación.

El poder espiritual de la literatura

41. Confío en haber puesto de manifiesto, en estas breves reflexiones, el papel que la literatura puede desarrollar educando el corazón y la mente del pastor o del futuro pastor en la dirección de un ejercicio libre y humilde de la propia racionalidad, de un reconocimiento fecundo del pluralismo de los lenguajes humanos, de una extensión de la propia sensibilidad humana y, en conclusión, de una gran apertura espiritual para escuchar la Voz a través de tantas voces.

42. En este sentido la literatura ayuda al lector a destruir los ídolos de los lenguajes autorreferenciales, falsamente autosuficientes, estáticamente convencionales, que a veces corren el riesgo de contaminar también el discurso eclesial, aprisionando la libertad de la Palabra. La palabra literaria pone en movimiento el lenguaje, lo libera y lo purifica; en definitiva, lo abre a las propias ulteriores posibilidades expresivas y explorativas, lo hace capaz de albergar la Palabra que se instala en la palabra humana, no cuando esa se autocomprende como saber ya completo, definitivo y acabado, sino cuando se convierte en vigilante escucha y espera de Aquel que viene para “hacer nuevas todas las cosas” (cf.Ap21,5).

43. El poder espiritual de la literatura evoca, por último, la tarea primordial confiada al hombre por Dios, la labor de “dar nombre” a los seres y a las cosas (cf.Gn2,19-20). La misión de custodiar la creación, asignada por Dios a Adán, pasa en primer lugar por el reconocimiento de la realidad propia y del sentido que tiene la existencia de los otros seres. El sacerdote también está investido de este papel originario de “poner nombre”, de dar sentido, de hacerse instrumento de comunión entre la creación y la Palabra hecha carne, y del poder de iluminación de cualquier aspecto de la condición humana.

44. De esa manera, la afinidad entre el sacerdote y el poeta se manifiesta en esta misteriosa e indisoluble unión sacramental entre la Palabra divina y la palabra humana, dando vida a un ministerio que se convierte en servicio pleno de escucha y de compasión, a un carisma que se hace responsabilidad, a una visión de la verdad y del bien que se abren como belleza. No podemos renunciar a escuchar las palabras que nos ha dejado el poeta Paul Celan: «Quien realmente aprende a ver se acerca a lo invisible».[32]

Dado en Roma, junto a San Juan de Letrán, el 17 de julio del año 2024, décimo segundo de mi Pontificado.

FRANCISCO

[1]R. Latourelle, voz «Literatura», enR. Latourelle - R. Fisichella,Diccionario de Teología Fundamental, San Pablo, Madrid 1992, 830.

[2]Cf. A.Spadaro, «J. M. Bergoglio, il “maestrillo” creativo. Intervista all’alunno Jorge Milia», enLa Civiltà Cattolica2014, I, pp. 523-534.

[3]Conc. Ecum. Vat. II, Const. past.Gaudium et spes,sobre la Iglesia en el mundo actual,62.

[4]K. Rahner, «Il futuro del libro religioso», enNuovi saggi II, Roma 1968, 647.

[5]Cf. Exhort. ap.Evangelii gaudium,117.

[6]A.Spadaro,Svolta di respiro, Spiritualità della vita contemporanea, Vita e Pensiero, Milán 2010, 101.

[7]R. Latourelle, voz «Literatura», 832.

[8]Cf.S. Juan Pablo II,Carta a los artistas(4 abril 1999), 6:AAS91 (1999), 1161.

[9]Exhort. ap.Evangelii gaudium,89.

[10]Conc. Ecum. Vat.II, Const. past.Gaudium et spes,22.

[11]M. Proust,Por el camino de Swann: En busca del tiempo perdido, Verbum, Madrid 2020, 81.

[12]C. S. Lewis,Lettori e letture. Un esperimento di critica, Vita e Pensiero, Milán 1997, 165.

[13]Cf.J. L. Borges,Borges,Oral, Emecé, Buenos Aires 1979, 22.

[14]S.PabloVI,Homilía, Misa de los artistas en la Capilla Sixtina (7 mayo 1964).

[15]T. S. Eliot,The Idea of a Christian Society, Londres 1946, 30.

[16]Rueda de prensa durante el vuelo de regreso del Viaje Apostólico a Tailandia y Japón (26 noviembre 2019).

[17]Cf. A.Spadaro,La grazia della parola.Karl Rahner e la poesia, Jaca Book, Milán 2006.

[18]Cf.K. Rahner, «Sacerdote y poeta», enEscritos de teologíaIII, Taurus, Madrid 1962, 331-354.

[19]Ibíd., 353, 354.

[20]Ibíd., 338.

[21]S. Ignacio de Loyola,Ejercicios Espirituales, n. 317.

[22]Cf.ibíd., n. 335.

[23]Ibíd., n. 314.

[24]Cf.K. Rahner, «Sacerdote e poeta», 336.

[25]Cf. A.Spadaro,La pagina che illumina. Scrittura creativa come esercizio spirituale, Ares, Milán 2023, 46-47.

[26]M. Proust,En busca del tiempo perdido. El tiempo recuperado, Verbum, Madrid 2020, 331.

[27]A.Spadaro,La pagina che illumina, 14.

[28]Cf.M. De Certeau,Il parlare angelico. Figure per una poetica della lingua (Secoli XVI e XVII), Olschki, Florencia 1989, 139 ss.

[29]Cf. A.Spadaro,La pagina che illumina, 16.

[30]C. S. Lewis,Lettori e letture, 165.

[31]J. Cocteau – J. Maritain,Dialogo sulla fede, Passigli, Florencia 1988, 56. Cf. A.Spadaro,La pagina che illumina, 11-12.

[32]P. Celan, ‎Microlitos. Prosa póstuma inédita en español, enRevista occidente, 392 (2014) 139.

[01218-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Carta do Santo Padre Francisco

sobre o papel da literaturana educação

1. Inicialmente, tinha escrito um título alusivo à formação sacerdotal, mas depois pensei que o que se segue pode ser dito, de modo semelhante, em relação à formação de todos os agentes pastorais e de qualquer cristão. Refiro-me ao valor da leitura de romances e poemas no caminho do amadurecimento pessoal.

2. Muitas vezes, no tédio das férias, no calor e na solidão dos bairros desertos, encontrar um bom livro para ler torna-se um oásis, afastando-nos de outras escolhas que são nocivas. Na verdade, não faltam momentos de cansaço, irritação, desilusão, fracasso e, quando nem sequer na oração conseguimos encontrar o sossego da alma, pelo menos um bom livro ajuda-nos a enfrentar a tempestade, até que possamos ter um pouco mais de serenidade. Talvez essa leitura abra novos espaços interiores, capazes de evitar o encerramento naquelas poucas ideias obsessivas que nos enredam inexoravelmente. Antes da omnipresença dosmedia, das redes sociais, dos telemóveis e de outros dispositivos, esta era uma experiência frequente, e quem a viveu sabe bem do que estou a falar. Não se trata de algo ultrapassado.

3. Ao contrário dos meios audiovisuais, onde o produto é mais completo, e a margem e o tempo para “enriquecer” a narrativa ou para a interpretar são geralmente reduzidos, o leitor é muito mais ativo quando lê um livro. De certo modo, reescreve-o, amplia-o com a sua imaginação, cria um mundo, usa as suas capacidades, a sua memória, os seus sonhos, a sua própria história cheia de dramatismo e simbolismo; e assim surge uma obra muito diferente daquela que o autor pretendia escrever. Uma obra literária é, portanto, um texto vivo e sempre fértil, capaz de falar de novo e de muitas maneiras, capaz de produzir uma síntese original com cada leitor que encontra. Este, enquanto lê, enriquece-se com o que recebe do autor, mas isso permite-lhe, ao mesmo tempo, fazer desabrochar a riqueza da sua própria pessoa, pois cada nova obra que lê renova e expande o seu universo pessoal.

4. Isto leva-me a avaliar muito positivamente o facto de, pelo menos em alguns Seminários, se ultrapassar a obsessão dos ecrãs – e das venenosas, superficiais e violentasfake news–, dedicando-se tempo à literatura, a momentos de leitura serena e livre, a falar dos livros que, novos ou antigos, continuam a dizer-nos tanto. Mas, emgeral, é preciso constatar, com pesar, a falta de um lugar adequado da literatura na formação daqueles que se destinam ao ministério ordenado. Efetivamente, esta é, muitas vezes considerada como uma forma de passatempo, ou seja, como uma expressão menor de cultura que não faria parte do caminho de preparação e, portanto, da experiência pastoral concreta dos futuros sacerdotes. Com poucas excepções, a atenção à literatura é considerada como algo não essencial. A este respeito, gostaria de afirmar que tal perspetiva não é boa. Ela está na origem de uma forma de grave empobrecimento intelectual e espiritual dos futuros sacerdotes, que ficam assim privados de um acesso privilegiado, precisamente através da literatura, ao coração da cultura humana e, mais especificamente, ao coração do ser humano.

5. Com esta carta, desejo propor uma mudança radical de atitude em relação à grande atenção que deve ser dada à literatura no contexto da formação dos candidatos ao sacerdócio. A este respeito, considero muito eficiente o que diz um teólogo:

«A literatura [...] brota da pessoa no que tem de mais irredutível, no seumistério[...]. É a vida que se torna consciente de si mesma quando, utilizando todos os recursos da linguagem, atinge a plenitude da expressão»[1].

6. De uma forma ou de outra, a literatura tem a ver com o que cada um de nós deseja da vida, uma vez que entra numa relação íntima com a nossa existência concreta, com as suas tensões essenciais, com os seus desejos e os seus significados.

7. Aprendi isto nos tempos da juventude, com os meus alunos. Entre 1964 e 1965, quando tinha 28 anos, fui professor de literatura numa escola jesuíta, em Santa Fé. Ensinava aos dois últimos anos do liceu e tinha de fazer com que os meus alunos estudassemEl Cid. Mas eles não gostavam. Pediam para ler García Lorca. Por isso, decidi: em casa, estudariamEl Cid,e, durante as aulas, abordaria os autores de que aqueles jovens mais gostavam. Claro que eles queriam ler obras literárias contemporâneas; porém, à medida que fossem lendo o que os atraía no momento, iriam adquirindo em geral o gosto pela literatura, pela poesia, e depois passariam a outros autores. Afinal, o coração procura mais e, na literatura, cada um encontra o seu próprio caminho[2]. Por exemplo, eu gosto muito dos artistas das tragédias, porque todos podemos sentir as suas obras como nossas, como a expressão dos nossos próprios dramas. No fundo, ao chorar o destino das personagens, estamos a chorar por nós mesmos: o nosso vazio, as nossas falhas, a nossa solidão. Naturalmente, não estou a pedir para fazerdes as mesmas leituras que eu fiz. Cada um encontrará os livros que falarão à sua própria vida e que se tornarão verdadeiros companheiros de viagem. Não há nada mais contraproducente do que ler por obrigação, fazendo um esforço considerável só porque alguém disse que é essencial. Não, devemos selecionar as nossas leituras com abertura, surpresa, flexibilidade, orientação, mas também com sinceridade, tentando encontrar o que precisamos em cada momento da vida.

Fé e cultura

8. Além disso, para um crente que deseja sinceramente entrar em diálogo com a cultura do seu tempo ou, simplesmente, com a vida de pessoas concretas, a literatura torna-se indispensável. Com grande razão, o Concílio Vaticano II afirma que «a literatura e as artes […] procuram dar expressão à natureza do homem» e «dar a conhecer as suas misérias e alegrias, necessidades e energias»[3]. Na verdade, a literatura inspira-se na quotidianidade vivida, suas paixões e acontecimentos reais, como «a ação, o trabalho, o amor, a morte e todas as pobres coisas que enchem a vida»[4].

9. Perguntemo-nos: como será possível alcançar o núcleo das culturas antigas e novas se ignorarmos, descartarmos e/ou silenciarmos os símbolos, mensagens, criações e narrativas com que se captaram e se quiseram mostrar e evocar os seus feitos e ideais mais belos, tal como as suas violências, medos e paixões mais profundas? Como falar ao coração dos homens se ignorarmos, relegarmos ou não valorizarmos “essas palavras” com que quiseram manifestar e, porque não, revelar o drama do seu viver e sentir através de romances e poemas?

10. A missão eclesial soube desenvolver toda a sua beleza, frescura e novidade no encontro com diversas culturas – e muitas vezes graças à literatura – nas quais se enraizou, sem medo de arriscar e de extrair o melhor daquilo que encontrou. É uma atitude que a libertou da tentação do solipsismo ensurdecedor e fundamentalista que consiste em acreditar que uma certa gramática histórico-cultural tem a capacidade de exprimir toda a riqueza e profundidade do Evangelho[5]. Muitas das profecias de desgraça que hoje tentam semear desespero radicam precisamente neste aspecto. O contacto com diferentes estilos literários e gramaticais permitirá sempre aprofundar a polifonia da Revelação, sem a empobrecer ou reduzir quer às próprias exigências históricas quer às próprias estruturas mentais.

11. Não é por acaso que o cristianismo primitivo tenha percebido bem a necessidade de uma relação estreita com a cultura clássica da época. Um Padre da Igreja Oriental como, a título de exemplo, Basílio de Cesareia, noDiscurso aos Jovens,que escreveu entre 370 e 375, e provavelmente dirigiu aos seus sobrinhos, exaltava a preciosidade da literatura clássica – produzida peloséxothen(“os de fora”) como ele chamava aos autores pagãos – tanto para a argumentação, ou seja, para oslógoi(“discursos”) a utilizar na teologia e na exegese, como para o próprio testemunho de vida, ou seja, para ospráxeis(“atos, comportamentos”) a ter em conta na ascética e na moral. E concluía exortando os jovens cristãos a considerarem os clássicos como umephódion(“viático”) para a sua instrução e formação, obtendo deles “proveito para a alma” (IV, 8-9). É precisamente deste encontro, do acontecimento cristão com a cultura daquele tempo, que emerge uma original reelaboração do anúncio evangélico.

12. Graças ao discernimento evangélico da cultura, é possível reconhecer a presença do Espírito na variegada realidade humana, ou seja, é possível captar a semente da presença do Espíritoplantada nos acontecimentos, sensibilidades, desejos, tensões profundas dos corações e dos contextos sociais, culturais e espirituais. Podemos reconhecer uma abordagem semelhante, por exemplo, nosAtos dos Apóstolos, onde é mencionada a presença de Paulo no Areópago (cf.Act17, 16-34). Falando de Deus, Paulo diz: «É nele, realmente, que vivemos, nos movemos e existimos, como também o disseram alguns dos vossos poetas: “Pois nós somos também da sua estirpe”» (Act17, 28). Neste versículo, temos duas citações: uma indireta, na primeira parte, onde se cita o poeta Epiménides (séc. VI a.C.), e uma direta, citandoFenómenosdopoeta Arato de Silo (séc. III a.C.), que canta as constelações e os sinais do bom e do mau tempo. Aqui neste ponto, «Paulo revela-se um “leitor” de poesia e deixa intuir o modo como se aproxima ao texto literário, o que não pode deixar de levar a refletir sobre um discernimento evangélico da cultura. Ele é definido pelos atenienses comospermologos, que significa “papagaio, tagarela, charlatão”, mas literalmente quer dizer “colecionador de sementes”. Assim, paradoxalmente, o que era um insulto parece uma verdade profunda. Paulo recolhe as sementes da poesia pagã e, abandonando uma atitude anterior de profunda indignação (cf.Act17, 16), chega a reconhecer os atenienses como “os mais religiosos dos homens” e, naquelas páginas da literatura clássica deles, vê uma verdadeirapreparatio evangelica»[6].

13. O que é que Paulo fez? Entendeu que a «literatura descobre os abismos que habitam o homem, enquanto a revelação, e depois a teologia, os retoma para mostrar como Cristo vem atravessá-los e iluminá-los»[7]. Em direção a estes abismos, a literatura é um «caminho de acesso»[8], que ajuda o pastor a entrar num diálogo fecundo com a cultura do seu tempo.

Nunca um Cristo sem carne

14. Antes de entrar nas razões concretas, devido às quais se deve promover a atenção dada à literatura no percurso formativo dos futuros sacerdotes, quero recordar um pensamento sobre o atual contexto religioso: «O regresso ao sagrado e a busca espiritual, que caracterizam a nossa época, são fenómenos ambíguos. Mais do que o ateísmo, o desafio que hoje se nos apresenta é responder adequadamente à sede de Deus de muitas pessoas, para que não tenham de ir apagá-la com propostas alienantes ou com um Jesus Cristo sem carne»[9]. Portanto, a urgente tarefa de anunciar o Evangelho no nosso tempo exige, dos fiéis e dos sacerdotes em particular, o compromisso que permita a cada homem encontrar-se comum Jesus Cristo feito carne, feito homem, feito história. Todos devemos estar atentos para nunca perder de vista a “carne” de Jesus Cristo: aquela carne feita de paixões, emoções, sentimentos, histórias concretas, de mãos que tocam e curam, de olhares que libertam e encorajam, de hospitalidade, perdão, indignação, coragem, intrepidez; numa palavra, de amor.

15. E, precisamente a este nível, o recurso assíduo à literatura pode tornar os futuros sacerdotes e todos os agentes pastorais ainda mais sensíveis à plena humanidade do Senhor Jesus, na qual se derrama toda a sua divindade, e anunciar o Evangelho de tal modo que todos, realmente todos, possam experimentar como é verdadeiro o que diz o Concílio Vaticano II: «narealidade, o mistério do homem só no mistério do Verbo encarnado se esclarece verdadeiramente»[10]. Não se trata do mistério de uma humanidade abstrata, mas do mistério daquele homem concreto com as feridas, os desejos, as recordações e as esperanças da sua vida.

Um grande bem

16. De um ponto de vista pragmático, muitos cientistas afirmam que o hábito de ler produz muitos efeitos positivos na vida de uma pessoa: ajuda-a a adquirir um vocabulário mais vasto e, consequentemente, a desenvolver vários aspectos da sua inteligência; estimula também a imaginação e a criatividade; simultaneamente, permite que as pessoas aprendam a exprimir as suas narrativas de uma forma mais rica; melhora também a capacidade de concentração, reduz os níveis dedeficitcognitivo e acalma o stress e a ansiedade.

17. Mais ainda: prepara-nos para compreender e, assim, enfrentar as várias situações que podem surgir na vida. Ao ler, mergulhamos nas personagens, nas preocupações, nos dramas, nos perigos, nos medos de pessoas que acabaram por ultrapassar os desafios da vida, ou talvez, durante a leitura, demos às personagens conselhos que mais tarde nos servirão a nós mesmos.

18. Para tentar ainda encorajar à leitura, cito de bom grado alguns textos de autores conhecidos, que nos ensinam tanto em poucas palavras:

Os romances desencadeiam «em nós, no espaço de uma hora, todas as alegrias e desgraças possíveis que, durante a vida, levaríamos anos inteiros a conhecer minimamente; e, dessas, as mais intensas nunca nos seriam reveladas, porque a lentidão com que ocorrem nos impede de as perceber»[11].

«Ao ler as grandes obras da literatura, transformo-me em milhares de homens sem deixar, ao mesmo tempo, de permanecer eu mesmo. Como o céu noturno da poesia grega: vejo-o com uma miríade de olhos, mas sou sempre eu a ver. Neste ponto, como na religião, no amor, na ação moral e no conhecimento, ultrapasso-me a mim próprio e, no entanto, quando o faço, sou mais eu do que nunca»[12].

19. No entanto, não é minha intenção deter-me exclusivamente neste nível de utilidade pessoal, mas refletir sobre as razões mais decisivas para redespertar o amor pela leitura.

Ouvir a voz de alguém

20. Quando o meu pensamento se volta para a literatura, lembro-me do que o grande escritor argentino Jorge Luis Borges[13]costumava dizer aos seus alunos: omais importante é ler, entrar em contacto direto com a literatura, mergulhar no texto vivo que se tem diante de si, mais do que fixar-se em ideias e comentários críticos. E Borges explicava este pensamento aos seus alunos, dizendo-lhes que, talvez, no início compreendessem pouco do que estavam a ler, mas em todo o caso teriam escutado “a voz de alguém”. Aqui está uma definição de literatura que tanto me agrada:ouvir avoz de alguém. Não esqueçamos o quanto é perigoso deixar de ouvir a voz do outro que nos interpela! Caímos imediatamente no isolamento, entramos numa espécie de surdez “espiritual”, que também afeta negativamente a nossa relação connosco próprios e com Deus, por mais teologia ou psicologia que tenhamos conseguido estudar.

21. Neste caminho, que nos torna sensíveis ao mistério dos outros, a literatura faz-nos aprender a tocar os corações. Como não recordar aqui a palavra corajosa que, a 7 de maio de 1964, São Paulo VI dirigiu aos artistas e, portanto, também aos grandes escritores? Dizia: «Precisamosde vós. O nosso ministério precisa da vossa colaboração. Porque, como sabeis, o Nosso ministério é o de pregar e tornar acessível e compreensível, melhor, comovente, o mundo do espírito, do invisível, do inefável, de Deus. E vós sois mestres nesta operação, que transforma o mundo invisível em fórmulas acessíveis, inteligíveis»[14]. Eis o ponto: a tarefa dos fiéis, e dos sacerdotes em particular, é precisamente a de “tocar” o coração do homem contemporâneo para que se comova e se abra diante do anúncio do Senhor Jesus. Neste esforço, o contributo que a literatura e a poesia podem oferecer é de um valor inigualável.

22. T.S. Eliot, o poeta a quem o espírito cristão deve obras literárias que marcaram a contemporaneidade, descreveu corretamente a crise religiosa moderna como uma generalizada «incapacidade emocional»[15]. À luz desta leitura da realidade, o problema da fé nos dias de hoje não é, em primeiro lugar, o de acreditar mais ou acreditar menos em proposições doutrinais. Liga-se antes à incapacidade de tantos se comoverem perante Deus, a sua criação e os outros seres humanos. Por conseguinte, abre-se aqui a tarefa de curar e enriquecer a nossa sensibilidade. Por isso, no regresso da minha Viagem Apostólica ao Japão, quando me perguntaram o que é que o Ocidente tem a aprender com o Oriente, respondi: «creio que falte ao Ocidente um pouco de poesia»[16].

Uma espécie de ginásio de discernimento

23. O que é que o sacerdote ganha neste contacto com a literatura? Porque é necessário tomar em consideração e promover a leitura dos grandes romances como uma parte relevante dapaideiasacerdotal? Por que razão, na formação dos candidatos ao sacerdócio, é importante recuperar e implementar a intuição, esboçada pelo teólogo Karl Rahner, de uma profunda afinidade espiritual entre o sacerdote e o poeta?[17]

24. Tentemos responder a estas questões escutando as considerações do teólogo alemão[18]. As palavras do poeta, escreve Rahner, estão «cheias de saudade», são «portas que se abrem para o infinito, portas que se escancaram à imensidão. Evocam o inefável, tendem para o inefável». A palavra poética «olha para o infinito, mas não pode dar-nos este infinito, nem pode trazer ou esconder em si Aquele que é o Infinito». Efetivamente, isto é próprio da Palavra de Deus, e – continua Rahner – «a palavra poética invoca, portanto, a Palavra de Deus»[19]. Para o cristão, a Palavra é Deus, e todas as palavras humanas mostram traços de uma intrínseca saudade de Deus, tendendo para essa Palavra. Pode dizer-se que a palavra verdadeiramente poética participa analogicamente da Palavra de Deus, tal como aCarta aos Hebreusno-laapresenta de forma inovadora (cf.Heb4, 12-13).

25. E é assim que Karl Rahner pode estabelecer um belo paralelo entre o sacerdote e o poeta: «só a palavra é intimamente capaz de libertar tudo o que mantém encarceradas as realidades não expressas: a mudez da sua orientação para Deus»[20].

26. Na literatura entram em jogo questões deforma de expressãoe desentido. Ela representa, portanto, uma espécie deginásio de discernimento, que aguça as capacidades sapienciais de escrutínio interior e exterior do futuro sacerdote. O lugar onde se abre esta via de acesso à própria verdade é a interioridade do leitor, diretamente envolvido no processo de leitura. Aqui se descortina o cenário do discernimento espiritual pessoal, onde não faltarão angústias e até crises. Com efeito,são numerosas as páginas literárias que podem responder à definição inaciana de “desolação”.

27. «Chamo desolação a […] obscuridade da alma, perturbação, inclinação a coisas baixas e terrenas, inquietação proveniente de várias agitações e tentações que levam a falta de fé, de esperança e de amor; achando-se [a alma] toda preguiçosa, tíbia, triste, e como que separada de seu Criador e Senhor»[21].

28. A dor ou o tédio que se sentem ao ler certos textos não são necessariamente sensações más ou inúteis. O próprio Inácio de Loyola tinha observado que, «naqueles que vão de mal a pior», o bom espírito age causando inquietação, agitação, insatisfação[22]. Esta seria a aplicação literal da primeira regra inaciana do discernimento dos espíritos, reservada àqueles que «vão de pecado mortal em pecado mortal», ou seja, nessas pessoas a ação do bom espírito «punge-lhes e remorde-lhes a consciência pelo instinto da razão»[23], para as conduzir ao bem e à beleza.

29. Assim se entende que o leitor não seja o destinatário de uma mensagem edificante, mas uma pessoa que é ativamente solicitada a encaminhar-se para um terreno instável, onde as fronteiras entre salvação e perdição não estãoa prioridefinidas e separadas. O ato de ler é, pois, como um ato de “discernimento”, graças ao qual o leitor é implicado na primeira pessoa como “sujeito” da leitura e, ao mesmo tempo, como “objeto” do que lê. Ao ler um romance ou uma obra poética, o leitor experimenta efetivamente “ser lido” pelas palavras que vai lendo[24]. Deste modo, o leitor é semelhante a um jogador em campo: faz acontecer o jogo, ao mesmo tempo que o jogo acontece através dele, na medida em que está totalmente envolvido naquilo que faz[25].

Atenção e digestão

30.No que diz respeito ao conteúdo, há que reconhecer que a literatura – segundo a célebre imagem cunhada por Proust[26]– é como “um telescópio” apontado para os seres e as coisas, indispensável para medir “a enorme distância” que o quotidiano abre entre a nossa percepção e o conjunto da experiência humana. «A literatura é como um laboratório fotográfico, no qual as imagens da vida podem ser processadas de modo a revelarem os seus contornos e nuances. Eis a “utilidade” da literatura: “desenvolver” as imagens da vida»[27], levar-nos a interrogar sobre o seu significado. Serve, em suma, a fazer eficazmente aexperiência da vida.

31. Na verdade, a nossa visão ordinária do mundo é como que “reduzida” e limitada pela pressão que os objetivos operacionais e imediatos do nosso agir exercem sobre nós. O próprio serviço – cultual, pastoral, caritativo – pode tornar-se um imperativo que orienta as nossas forças e a nossa atenção apenas para os objetivos a alcançar. Mas, como nos recorda Jesus, na parábola do semeador, a semente precisa de cair em terra profunda para amadurecer frutuosamente ao longo do tempo, sem ser sufocada pela superficialidade ou pelos espinhos (cf.Mt13, 18-23). Assim, o risco passa a ser o cair na busca duma eficiência que banaliza o discernimento, empobrece a sensibilidade e reduz a complexidade. Por isso, é necessário e urgente contrabalançar esta inevitável aceleração e simplificação da nossa vida quotidiana, aprendendo a distanciarmo-nos do imediato, a reduzir a velocidade, a contemplar e a escutar. Isto pode acontecer quando, de modo desinteressado, uma pessoa se detém para ler um livro.

32. É necessário recuperar formas hospitaleiras e não estratégicas de relacionamento com a realidade, não diretamente orientadas para um resultado; formas nas quais seja possível deixar emergir o infinito excesso do ser. Distância, lentidão, liberdade são características de uma abordagem da realidade que encontra precisamente na literatura uma forma de expressão, não exclusiva, mas privilegiada. A literatura torna-se, então, um ginásio onde se treina o olhar para procurar e explorar a verdade das pessoas e das situações como mistério, carregadas de um excesso de sentido, que só parcialmente se pode manifestar em categorias, esquemas explicativos, dinâmicas lineares de causa-efeito, meio-fim.

33. Uma outra bela imagem para contar o papel da literatura vem da fisiologia do corpo humano e, em particular, do ato da digestão. Neste caso, o modelo é aruminatiobovina, como afirmavam o monge Guillaume de Saint-Thierry, do século XI, e o jesuíta Jean-Joseph Surin, do século XVII. Este último falava do “estômago da alma” e o jesuíta Michel De Certeau apontava para uma verdadeira «fisiologia da leitura digestiva»[28]. Ou seja, a literatura ajuda-nos a dizer a nossa presença no mundo, a “digeri-la” e a assimilá-la, captando o que vai para além da superfície da experiência; serve, portanto, para interpretar a vida, discernindo os seus significados e tensões fundamentais[29].

Ver através dos olhos dos outros

34. No que diz respeito à forma do discurso, acontece o seguinte: ao lermos um texto literário, colocamo-nos na condição de «ver com os olhos dos outros»[30], adquirindo uma amplitude de perspetiva que alarga a nossa humanidade. Isto ativa em nós o poder empático da imaginação, que é um veículo fundamental para essa capacidade de identificação com o ponto de vista, a condição, o sentimento dos outros, sem a qual não há solidariedade, partilha, compaixão, misericórdia. Ao ler, descobrimos que o que sentimos não é só nosso, é universal, e, por isso, até a pessoa mais abandonada não se sente só.

35. A maravilhosa diversidade do ser humano e a pluralidade diacrónica e sincrónica das culturas e dos saberes configuram-se, na literatura, numa linguagem capaz de respeitar e exprimir a sua variedade, e, ao mesmo tempo, traduzem-se numa gramática simbólica de sentido que as torna inteligíveis para nós, porque partilhadas, não estranhas. A originalidade da palavra literária consiste no facto de exprimir e transmitir a riqueza da experiência, sem a objetivar na representação descritiva do conhecimento analítico ou no exame normativo do juízo crítico, mas enquanto conteúdo de um esforço expressivo e interpretativo para dar sentido à experiência em questão.

36. Quando se lê uma história, graças à visão do autor, cada um imagina, à sua maneira, o choro de uma jovem abandonada, a idosa que cobre o corpo do neto adormecido, a paixão de um pequeno empreendedor que tenta ir para diante apesar das dificuldades, a humilhação de alguém que se sente criticado por todos, o rapaz que encontra no sonho a única saída para a dor de uma vida miserável e violenta. À medida que sentimos vestígios do nosso mundo interior no meio dessas histórias, tornamo-nos mais sensíveis às experiências dos outros, saímos de nós próprios para entrar nas suas profundezas, conseguimos compreender um pouco mais as suas lutas e desejos, vemos a realidade com os seus olhos e acabamos por nos tornar companheiros de viagem. Assim, mergulhamos na existência concreta e interior do vendedor de fruta, da prostituta, da criança que cresce sem pais, da mulher do pedreiro, da idosa que ainda acredita que vai encontrar o seu príncipe. E podemos fazê-lo com empatia e, por vezes, com tolerância e compreensão.

37. Jean Cocteau escreveu a Jacques Maritain: «A literatura é impossível, temos de sair dela, e é inútil tentar sair dela com a própria literatura, porque só o amor e a fé nos permitem sair de nós mesmos».[31]Será que saímos realmente de nós próprios se os sofrimentos e as alegrias dos outros não arderem no nosso coração? Prefiro lembrar-me que, como cristão, nada do que é humano me é indiferente.

38. Além disso, a literatura não é relativista porque não nos despoja de critérios de valor. A representação simbólica do bem e do mal, do verdadeiro e do falso, como dimensões que na literatura tomam a forma de existências individuais e de acontecimentos históricos coletivos, não neutraliza o juízo moral, mas impede-o de se tornar cego ou superficialmente condenatório. Pergunta-nos Jesus: «Porque reparas no argueiro que está na vista do teu irmão, e não vês a trave que está na tua vista?» (Mt7, 3).

39. Na violência, na limitação ou na fragilidade dos outros, temos a possibilidade de refletir melhor sobre a nossa. Ao dar ao leitor uma visão alargada da riqueza e da miséria da experiência humana, a literatura educa o seu olhar para a lentidão da compreensão, para a humildade da não simplificação, para a mansidão de não pretender controlar a realidade e a condição humana através do julgamento. Este é certamente necessário, mas nunca se deve esquecer o seu alcance limitado: com efeito, jamais deve traduzir-se na sentença de morte, no cancelamento, na supressão da humanidade em prol de uma árida totalização da lei.

40. O olhar da literatura forma o leitor para o descentramento, para o sentido do limite, para a renúncia ao domínio cognitivo e crítico da experiência, ensinando-lhe uma pobreza que é fonte de extraordinária riqueza. Ao reconhecer a inutilidade e, talvez até, a impossibilidade de reduzir o mistério do mundo e do ser humano a uma polaridade antinómica de verdadeiro/falso ou de certo/errado, o leitor aceita o dever de julgar não como instrumento de domínio, mas como impulso para uma escuta incessante e como disponibilidade para se envolver nessa extraordinária riqueza da história que se deve à presença do Espírito, e também se dá como Graça, isto é, como acontecimento imprevisível e incompreensível que não depende da ação humana, mas redefine o humano enquanto esperança de salvação.

O poder espiritual da literatura

41. Com estas breves reflexões, espero ter evidenciado o papel que a literatura pode desempenhar na educação do coração e da mente do pastor ou futuro pastor, no sentido de um exercício livre e humilde da sua racionalidade, de um reconhecimento fecundo do pluralismo das linguagens, de um alargamento da sua sensibilidade humana e, finalmente, de uma grande abertura espiritual para escutar a Voz através de muitas vozes.

42. Neste sentido, a literatura ajuda o leitor a quebrar os ídolos das linguagens autorreferenciais, falsamente autossuficientes, estaticamente convencionais, que por vezes correm o risco de contaminar até o nosso discurso eclesial, aprisionando a liberdade da Palavra. A palavra literária é uma palavra que põe a linguagem em movimento, liberta-a e purifica-a; abre-a, por fim, às suas ulteriores possibilidades expressivas e exploratórias, torna-a hospitaleira à Palavra que vem habitar na palavra humana, não quando se entende a si mesma como conhecimento já pleno, definitivo e completo, mas quando se torna vigília de escuta e de espera d’Aquele que vemrenovar todas as coisas(cf.Ap21, 5).

43. A força espiritual da literatura recorda, por último, a primeira tarefa confiada por Deus ao homem: a tarefa de “dar nome” aos seres e às coisas (cf.Gn2, 19-20). A missão de guardião da criação, atribuída por Deus a Adão, passa primeiramente pelo reconhecimento da sua própria realidade e do sentido da existência dos outros seres. Também o sacerdote está investido desta tarefa original de “dar nome”, dar sentido, fazer-se instrumento de comunhão entre a criação e a Palavra feita carne e o seu poder de iluminar todos os aspectos da condição humana.

44. A afinidade entre o sacerdote e o poeta manifesta-se assim nesta misteriosa e indissolúvel união sacramental entre a Palavra divina e a palavra humana, dando vida a um ministério que se torna serviço cheio de escuta e compaixão, a um carisma que se traduz em responsabilidade, e a uma visão do verdadeiro e do bem que se abre como beleza. Não podemos renunciar à escuta das palavras que nos deixou o poeta Paul Celan: «Quem realmente aprende a ver, aproxima-se do invisível»[32].

Dado em Roma, em São João de Latrão, no dia 17 de julho do ano 2024, décimo segundo do meu Pontificado.

FRANCISCO

____________________________

[1]R. Latourelle, «Letteratura», in R. Latourelle - R. Fisichella,Dizionario di Teologia Fondamentale(Assisi 1990), 631.

[2]Cf. A. Spadaro, «J. M. Bergoglio, il “maestrillo” creativo. Intervista all’alunno Jorge Milia», inLa Civiltà Cattolica2014 I, 523-534.

[3]Conc. Ecum. Vat. II, Const. past. sobre a Igreja no mundo contemporâneoGaudium et spes,62.

[4]K. Rahner, «Il futuro del libro religioso», inNuovi Saggi II(Roma 1968), 647.

[5]Cf.Francisco, Exort. ap.Evangelii gaudium(24 de novembro de 2013), 117.

[6]A. Spadaro,Svolta di respiro. Spiritualità della vita contemporanea(Milano), 101.

[7]R. Latourelle, «Letteratura», 633.

[8]São João Paulo II,Carta aos Artistas(4 de abril de 1999), 6.

[9]Francisco, Exort. ap.Evangelii gaudium(24 de novembro de 2013), 89.

[10]Conc. Ecum. Vat. II, Const. past. sobre a Igreja no mundo contemporâneoGaudium et spes, 22.

[11]M. Proust,À la recherche du temps perdu – Du côté de chez Swann(Paris 1914), 104-105.

[12]C.S. Lewis,Lettori e letture.Un esperimento di critica(Milano 1997), 165.

[13]Cf. J.L. Borges,Oral(Buenos Aires 1979), 22.

[14]São Paulo VI,Homilia durante a Santa Missa com os Artistas(Capela Sistina, 7 de maio de 1964).

[15]T.S. Eliot,The Idea of a Christian Society(London 1946), 30.

[16]Conferência de imprensa durante o voo de regresso da Viagem Apostólica de Sua Santidade Francisco à Tailândia e ao Japão, 26 de novembro de 2019.

[17]Cf. A. Spadaro,La grazia della parola. Karl Rahner e la poesia(Milano 2006).

[18]K. Rahner, «Sacerdote e poeta», inLa fede in mezzo al mondo(Alba 1963), 131-173.

[19]Ibid., 171 s.

[20]Ibid., 146.

[21]Santo Inácio de Loyola,Exercícios Espirituais, 317.

[22]Cf. Ibid., 335.

[23]Ibid., 314.

[24]Cf. K. Rahner, «Sacerdote e poeta», op. cit., 141.

[25]Cf. A. Spadaro,La pagina che illumina. Scrittura creativa come esercizio spirituale(Milano 2023), 46-47.

[26]M. Proust,À la recherche du temps perdu. Le temps retrouvé(Paris 1954), Vol.III, 1041.

[27]A. Spadaro,La pagina che illumina,op. cit.,14.

[28]M. De Certeau,Il parlare angelico. Figure per una poetica della lingua (Secoli XVI e XVII)(Firenze 1989), 139 s.

[29]Cf. A. Spadaro,La pagina che illumina,op. cit.,16.

[30]C.S. Lewis,Lettori e letture, op. cit., 165.

[31]J. Cocteau - J. Maritain,Dialogo sulla fede(Firenze 1988), 56. Cf. A. Spadaro,La pagina che illumina,op. cit.,11-12.

[32] P. Celan,Microliti(Milano 2020), 101.

[01218-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

List Ojca Świętego Franciszka

o roli literatury w formacji

1. Początkowo napisałem tytuł odnoszący się do formacji kapłańskiej, ale potem pomyślałem, że podobnie można powiedzieć o formacji wszystkich pracowników duszpasterskich, a także każdego chrześcijanina. Mam na myśli wartość czytania powieści i poezji na drodze osobistego dojrzewania.

2. Często w wakacyjnej nudzie, w upale i samotności niektórych opuszczonych dzielnic, znalezienie dobrej książki do czytania staje się oazą, która oddala nas od innych wyborów, które nie są dla nas dobre. Są też chwile zmęczenia, gniewu, rozczarowania, porażki i kiedy nawet w modlitwie nie udaje nam się znaleźć spokoju duszy, dobra książka przynajmniej pomaga nam przetrwać burzę, dopóki nie będziemy mogli uzyskać trochę więcej spokoju. I być może to czytanie otwiera nowe wewnętrzne przestrzenie, które pomagają nam uniknąć zamknięcia się w tych kilku obsesyjnych ideach, które nieubłaganie nas usidlają. Przed wszechobecnością środków masowego przekazu, mediów społecznościowych, telefonów komórkowych i innych urządzeń, było to częstym doświadczeniem, a ci, którzy zaznali tego, wiedzą, o czym mówię. Nie jest to coś nieaktualnego.

3. W przeciwieństwie do mediów audiowizualnych, gdzie produkt jest bardziej kompletny, a margines i czas na „wzbogacenie” narracji lub jej interpretację są zwykle ograniczone, podczas czytania książki czytelnik jest znacznie bardziej aktywny. W pewien sposób przepisuje dzieło, wzmacnia je swoją wyobraźnią, tworzy świat, wykorzystuje swoje umiejętności, pamięć, marzenia, własną historię pełną dramatyzmu i symboliki, i w ten sposób powstaje dzieło zupełnie inne niż to, które autor zamierzał napisać. Dzieło literackie jest zatem żywym i zawsze płodnym tekstem, zdolnym do przemawiania na wiele sposobów i tworzenia oryginalnej syntezy z każdym czytelnikiem, z którym się spotyka. Czytając, czytelnik wzbogaca się o to, co otrzymuje od autora, ale to jednocześnie pozwala mu rozkwitać w bogactwie własnej osoby, tak że każde nowe dzieło, które czyta, odnawia i rozszerza jego osobisty wszechświat.

4. Prowadzi mnie to do bardzo pozytywnego docenienia faktu, że przynajmniej w niektórych seminariach przezwyciężamy obsesję na punkcie ekranów – i trujących, powierzchownych i brutalnychfake newsów– i poświęcamy czas literaturze, chwilom spokojnej i swobodnej lektury, rozmowom o tych książkach, nowych lub starych, które wciąż mówią nam tak wiele. Ale ogólnie rzecz biorąc, należy z żalem zauważyć, że w kształceniu tych, którzy są na drodze do święceń kapłańskich, uwaga poświęcona literaturze nie znajduje obecnie odpowiedniego miejsca. Ta ostatnia jest często uważana za formę rozrywki, to znaczy za drobny wyraz kultury, który nie należy do ścieżki przygotowania, a zatem do konkretnego doświadczenia duszpasterskiego przyszłych kapłanów. Poza nielicznymi wyjątkami, uwaga poświęcana literaturze jest uważana za coś nieistotnego. W związku z tym chciałbym stwierdzić, że takie podejście nie jest dobre. Jest ono źródłem poważnego zubożenia intelektualnego i duchowego przyszłych kapłanów, którzy w ten sposób są pozbawieni uprzywilejowanego dostępu, poprzez literaturę, do serca ludzkiej kultury, a dokładniej do serca człowieka.

5. W niniejszym tekście pragnę zaproponować radykalną zmianę tempa w odniesieniu do wielkiej uwagi, jaką należy poświęcić literaturze w kontekście formacji kandydatów do kapłaństwa. W tym względzie uważam za bardzo skuteczne to, co stwierdza pewien teolog:

„Literatura [...] wyrasta z osoby w tym, co ta osoba ma najbardziej nieredukowalnego, w swojej tajemnicy [...]. Jest to życie, które staje się świadome samego siebie, gdy osiąga pełnię wyrazu, odwołując się do wszystkich zasobów języka”[1].

6. Literatura ma zatem do czynienia, w taki czy inny sposób, z tym, czego każdy z nas pragnie od życia, ponieważ wchodzi w intymną relację z naszą konkretną egzystencją, z jej istotnymi napięciami, pragnieniami i znaczeniami.

7. Nauczyłem się tego jako młody człowiek od moich studentów. W latach 1964-1965, w wieku 28 lat, byłem profesorem literatury w Santa Fe, w szkole jezuickiej. Uczyłem dwie ostatnie klasy liceum i musiałem upewnić się, że moi uczniowie studiowaliCyda. Ale dzieciom się to nie podobało. Chcieli czytać Garcíę Lorcę. Postanowiłem więc, że będą uczyć sięCydaw domu, a na lekcjach zajmę się autorami, których chłopcy lubili najbardziej. Oczywiście chcieli czytać współczesne dzieła literackie. Ale kiedy czytali te rzeczy, które ich w danym momencie pociągały, nabrali bardziej ogólnego smaku do literatury, do poezji, a następnie przeszli do innych autorów. W końcu serce szuka czegoś więcej i każdy znajduje swoją własną drogę w literaturze[2]. Ja na przykład uwielbiam tragicznych twórców, ponieważ wszyscy możemy odczuwać ich dzieła jako nasze własne, jako wyraz naszych własnych dramatów. Płacząc nad losem bohaterów, płaczemy w głębi duszy nad sobą i własną pustką, własnymi brakami, własną samotnością. Oczywiście nie wymagam, byście czytali to samo, co ja. Każdy znajdzie książki, które przemówią do jego życia i staną się prawdziwymi towarzyszami jego podróży. Nie ma nic bardziej szkodliwego niż czytanie czegoś z obowiązku, podejmowanie znacznego wysiłku tylko dlatego, że inni powiedzieli, że jest to niezbędne. Nie, musimy wybierać nasze lektury z otwartością, zaskoczeniem, elastycznością, pozwalając sobie doradzać, ale także ze szczerością, próbując znaleźć to, czego potrzebujemy w każdym momencie naszego życia.

Wiara i kultura

8. Co więcej, dla wierzącego, który szczerze pragnie wejść w dialog z kulturą swoich czasów lub po prostu z życiem konkretnych ludzi, literatura staje się niezbędna. Nie bez powodu Sobór Watykański II stwierdza,że„literatura i sztuka[...]starają sięgruntownie poznać właściwą naturę człowieka” oraz „przedstawić nędze i radości,potrzebyi możliwości”[3]. W rzeczywistości literatura czerpie z codzienności życia, jego namiętności i prawdziwych wydarzeń, takich jak „działanie, praca, miłość, śmierć i wszystkie biedne rzeczy, które wypełniają życie”[4].

9. Jak możemy dotrzeć do sedna starożytnych i nowych kultur, jeśli ignorujemy, odrzucamy i/lub wyciszamy ich symbole, przesłania, kreacje i narracje, za pomocą których uchwyciły i chciały ujawnić i przywołać swoje czyny i najpiękniejsze ideały, a także ich przemoc, lęki i najgłębsze namiętności? Jak możemy przemówić do ludzkich serc, jeśli ignorujemy, relegujemy lub nie doceniamy „tych słów”, za pomocą których chciały zamanifestować i, dlaczego nie, ujawnić dramat ich życia i uczuć poprzez powieści i poezję?

10. Misja kościelna była w stanie rozwinąć całe swoje piękno, świeżość i nowość w spotkaniu z różnymi kulturami – wielokrotnie dzięki literaturze – w których się zakorzeniła, bez obawy o narażanie się i wydobywanie tego, co najlepsze z tego, co znalazła. Jest to postawa, która uwolniła ją od pokusy ogłuszającego i fundamentalistycznego solipsyzmu, polegającego na przekonaniu, że pewna gramatyka kulturowo-historyczna jest w stanie wyrazić całe bogactwo i głębię Ewangelii[5]. Wiele przepowiedni zagłady, które próbują dziś siać rozpacz, jest zakorzenionych właśnie w tym aspekcie. Kontakt z różnymi stylami literackimi i gramatycznymi zawsze pozwoli pogłębić polifonię Objawienia bez redukowania lub zubożania go do własnych potrzeb historycznych lub struktur mentalnych.

11. Nie jest więc przypadkiem, że wczesne chrześcijaństwo, na przykład, dobrze dostrzegało potrzebę bliskiej konfrontacji z klasyczną kulturą tamtych czasów. Jeden z Ojców Kościoła Wschodniego, Bazyli Wielki z Cezarei, na przykład, w swojejMowie do młodych, skomponowanej między 370 a 375 r., zwracając się prawdopodobnie do swoich siostrzeńców, wychwalał wartość literatury klasycznej – wytworzonej przezéxothen(„tych z zewnątrz”) jak nazywał pogańskich autorów – zarówno dla argumentacji, tj. dlalógoi(„dyskursów”) do wykorzystania w teologii i egzegezie, jak i dla samego świadectwa w życiu, tj. dlapráxeis(„czynów, zachowań”), które należy wziąć pod uwagę w ascetyce i moralności. Na zakończenie zachęcał młodych chrześcijan, by uważali klasyków zaephódion(„viaticum”) dla swojej edukacji i formacji, czerpiąc z niej „pożytek dla duszy” (IV, 8-9). I to właśnie z tego spotkania chrześcijańskiego wydarzenia z kulturą tamtych czasów, wyłoniła się oryginalna reorganizacja przepowiadania ewangelicznego.

12. Dzięki ewangelicznemu rozeznaniu kultury, możliwe jest rozpoznanie obecności Ducha w różnorodnej rzeczywistości ludzkiej, to znaczy możliwe jest uchwyceniejużzasianego ziarna obecności Ducha w wydarzeniach, wrażliwości, pragnieniach, głębokich napięciach serc oraz kontekstach społecznych, kulturowych i duchowych. Możemy na przykład rozpoznać podobne podejście wDziejach Apostolskich, gdzie wspomniana jest obecność Pawła na Areopagu (por.Dz17, 16-34). Paweł, mówiąc o Bogu, stwierdza: „W Nim bowiem żyjemy, poruszamy się i jesteśmy, jak to powiedzieli niektórzy z waszych poetów: «Jesteśmy bowiem z jego rodu»” (Dz17, 28). W tym wersecie znajdują się dwa cytaty: pośredni w pierwszej części, gdzie cytowany jest poeta Epimenides (VI w. przed Chr.), oraz bezpośredni, cytującyFenomenypoety Aratosa z Soloj (III w. przed Chr.), który śpiewa o konstelacjach i znakach dobrej i złej pogody. Tutaj „Paweł ujawnia się jako „czytelnik” poezji i ujawnia swój sposób podejścia do tekstu literackiego, który nie może powstrzymać się od refleksji nad ewangelicznym rozeznaniem kultury. Ateńczycy określają go jakospermologos, czyli „wrona, gaduła, szarlatan”, ale dosłownie „zbieracz nasion”. To, co z pewnością było obelgą, paradoksalnie wydaje się głęboką prawdą. Paweł zbiera nasiona pogańskiej poezji i, wychodząc z wcześniejszej postawy głębokiego oburzenia (por.Dz17, 16), zaczyna uznawać Ateńczyków za „bardzo religijnych” i widzi na tych stronach ich klasycznej literatury prawdziweewangeliczne przygotowanie”[6].

13. Co zrobił Paweł? On zrozumiał, że „literatura odkrywa otchłanie, które zamieszkują człowieka, podczas gdy objawienie, a następnie teologia, podejmują je, aby pokazać, jak Chrystus przychodzi, aby je przekroczyć i oświetlić”[7]. W kierunku tych otchłani literatura jest zatem „bramą”[8], która pomaga duszpasterzowi wejść w owocny dialog z kulturą jego czasów.

Nigdy Chrystus bez ciała

14. Przed zagłębieniem się w konkretne powody, dla których należy promować zainteresowanie literaturą na drodze formacji przyszłych kapłanów, pozwolę sobie przypomnieć tutaj myśl o obecnym kontekście religijnym: „Powrót do sacrum i poszukiwania duchowe, charakteryzujące naszą epokę, są zjawiskami dwuznacznymi. Dzisiaj, bardziej niż przed wyzwaniem ateizmu, stajemy przed wyzwaniem, by odpowiedzieć właściwie na pragnienie Boga u wielu ludzi, by nie starali się ugasić go przez wyobcowane propozycje, lub przez Jezusa bez ciała”[9]. Pilne zadanie głoszenia Ewangelii w naszych czasach wymaga zatem od wierzących, a w szczególności od kapłanów, zaangażowania w to, aby każdy mógł spotkaćJezusa Chrystusa, który stał się ciałem, stał się człowiekiem, stał się historią. Wszyscy musimy uważać, aby nigdy nie stracić z oczu „ciała” Jezusa Chrystusa: ciała złożonego z pasji, emocji, uczuć, konkretnych opowieści, rąk, które dotykają i uzdrawiają, spojrzeń, które oswobadzają i dodają odwagi, gościnności, przebaczenia, oburzenia, odwagi, męstwa: jednym słowem miłości.

15. I właśnie na tym poziomie wytrwałe sięganie do literatury może uczynić przyszłych kapłanów i wszystkich duszpasterzy jeszcze bardziej wrażliwymi na pełne człowieczeństwo Pana Jezusa, w którym Jego boskość w pełni rozlewa się, i głosić Ewangelię w taki sposób, aby każdy, naprawdę każdy, mógł doświadczyć, jak prawdziwe jest to, co mówi Sobór Watykański II: „w istocie misterium człowieka wyjaśnia się prawdziwie jedynie w misterium Słowa Wcielonego”[10]. Nie oznacza to tajemnicy abstrakcyjnego człowieczeństwa, ale tajemnicę konkretnej istoty ludzkiej ze wszystkimi ranami, pragnieniami, wspomnieniami i nadziejami jej życia.

Wielkie dobro

16. Z pragmatycznego punktu widzenia wielu naukowców twierdzi, że nawyk czytania ma wiele pozytywnych skutków w życiu człowieka: pomaga mu zdobyć szersze słownictwo, a w konsekwencji rozwijać różne aspekty jego inteligencji. Stymuluje również wyobraźnię i kreatywność. Jednocześnie pozwala ludziom nauczyć się wyrażać swoje wypowiedzi w bogatszy sposób. Poprawia również zdolność koncentracji, zmniejsza poziom ubytków funkcji poznawczych oraz łagodzi stres i niepokój.

17. Co więcej, przygotowuje nas do zrozumienia, a tym samym radzenia sobie z różnymi sytuacjami, które mogą pojawić się w życiu. Czytając, zanurzamy się w postaciach, zmartwieniach, dramatach, niebezpieczeństwach, lękach ludzi, którzy ostatecznie pokonali życiowe wyzwania, a może czytając, udzielamy bohaterom rad, które później posłużą nam samym.

18. Próbując zachęcić do dalszej lektury, chętnie zacytuję kilka tekstów znanych autorów, którzy uczą nas tak wiele za pomocą zaledwie kilku słów:

Powieści wyzwalają w nas „w jednej godzinie wszystkie możliwe szczęścia i nieszczęścia. W życiu musielibyśmy je nieraz poznawać w ciągu wielu lat;–najsilniejsze nigdy by się nam nie uświadomiły, ponieważ powolność, z jaką się przejawiają odbiera nam ich poczucie”[11].

„Czytając wielkie dzieła literatury, staję się tysiącami ludzi, a jednocześnie pozostaję sobą. Podobnie jak nocne niebo greckiej poezji, widzę niezliczoną ilością oczu, ale to zawsze ja widzę. Tutaj, podobnie jak w religii, miłości, moralnym działaniu i wiedzy, przekraczam siebie, a jednak, kiedy to robię, jestem bardziej sobą niż kiedykolwiek”[12].

19. Nie zamierzam jednak rozwodzić się wyłącznie nad tym poziomem osobistej użyteczności, ale zastanowić się nad najbardziej decydującymi powodami wzbudzenia zamiłowania do czytania.

Słuchanie czyjegoś głosu

20. Kiedy moje myśli zwracają się ku literaturze, przypomina mi się to, co wielki argentyński pisarz Jorge Luis Borges[13]zwykł powtarzać swoim studentom:najważniejszą rzeczą jest czytanie, wchodzenie w bezpośredni kontakt z literaturą, zanurzanie się w żywym tekście znajdującym się przed nami, a nie skupianie się na ideach i krytycznych komentarzach. Borges wyjaśnił tę ideę swoim studentom, mówiąc im, że być może na początku niewiele zrozumieją z tego, co czytają, ale w każdym razie usłyszą „czyjś głos”. Oto definicja literatury, która bardzo mi się podoba:słuchanie czyjegoś głosu. I nie zapominajmy, jak niebezpiecznie jest przestać słuchać głosu drugiej osoby, która stawia nam pytania! Natychmiast popadamy w samoizolację, wchodzimy w rodzaj „duchowej” głuchoty, która również negatywnie wpływa na naszą relację z samym sobą i naszą relację z Bogiem, bez względu na to, jak wiele teologii czy psychologii udało nam się przestudiować.

21. Podążając tą drogą, która uwrażliwia nas na tajemnicę innych, literatura sprawia, że uczymy się dotykać ich serc. Jakże nie przypomnieć w tym miejscu odważnego słowa, które 7 maja 1964 r. św. Paweł VI skierował do artystów, a więc także do wielkich pisarzy? Powiedział: „Potrzebujemy was. Nasza posługa potrzebuje waszej współpracy. Ponieważ, jak wiecie, Naszą posługą jest głoszenie i czynienie dostępnym i zrozumiałym, a nawet poruszającym, świata ducha, niewidzialnego, niewysłowionego, Boga. I w tym działaniu, które przenosi niewidzialny świat w przystępne, zrozumiałe formuły, jesteście mistrzami”[14]. Oto sedno sprawy: zadaniem wierzących, a w szczególności kapłanów, jest właśnie „dotknięcie” serca współczesnego człowieka, aby mógł zostać poruszony i otworzył się na przepowiadanie Pana Jezusa, a w tym zaangażowaniu wkład, jaki może zaoferować literatura i poezja, ma niezrównaną wartość.

22. T. S. Eliot, poeta, któremu duch chrześcijański zawdzięcza dzieła literackie, które odcisnęły swoje piętno na współczesnym świecie, słusznie opisał współczesny kryzys religijny jako powszechną „niezdolność emocjonalną”[15]. W świetle takiego odczytania rzeczywistości, problem wiary dzisiaj nie polega przede wszystkim na tym, by wierzyć bardziej lub mniej w formuły doktrynalne. Jest nim raczej niezdolność wielu do wzruszenia się przed Bogiem, przed Jego stworzeniem, przed innymi ludźmi. Mamy zatem do czynienia z zadaniem uzdrowienia i wzbogacenia naszej wrażliwości. Dlatego po powrocie z podróży apostolskiej do Japonii, kiedy zapytano mnie, czego Zachód może nauczyć się od Wschodu, odpowiedziałem: „Myślę, że Zachodowi brakuje trochę poezji”[16].

Rodzaj ćwiczeń rozeznawania

23. Co zatem zyskuje kapłan w kontakcie z literaturą? Dlaczego konieczne jest uwzględnianie i promowanie lektury wielkich powieści jako ważnego elementu kapłańskiejpaidei? Dlaczego ważne jest odzyskanie i implementacja intuicji – nakreślonej przez teologa Karla Rahnera – głębokiego duchowego pokrewieństwa między kapłanem a poetą w kształceniu kandydatów do kapłaństwa?[17]

24. Spróbujmy odpowiedzieć na te pytania, wsłuchując się w rozważania niemieckiego teologa[18]. Słowa poety, pisze Rahner, są „pełne nostalgii”, są „drzwiami, które otwierają się na nieskończoność, drzwiami, które otwierają się szeroko na bezmiar. Przywołują niewysłowione, zmierzają ku niewysłowionemu”. To poetyckie słowo „spogląda na nieskończoność, ale nie może dać nam tej nieskończoności, ani nie może nosić lub ukrywać w sobie Tego, który jest Nieskończony”. Jest to w istocie właściwe Słowu Bożemu i – mówi dalej Rahner – „słowo poetyckie przywołuje zatem słowo Boże”[19]. Dla chrześcijan Słowo jest Bogiem, a wszystkie ludzkie słowa noszą ślady wewnętrznej tęsknoty za Bogiem, zmierzając ku temu Słowu. Można powiedzieć, że prawdziwie poetyckie słowo uczestniczy analogicznie w Słowie Bożym, tak jak przedstawia je nam w sposób radykalnyList do Hebrajczyków(por.Hbr4, 12-13).

25. W ten sposób Karl Rahner może ustanowić piękną paralelę między kapłanem a poetą: „tylko słowo jest intymnie zdolne uwolnić to, co trzyma w niewoli wszystkie niewyrażone rzeczywistości: milczenie ich tendencji ku Bogu”[20].

26. W literaturze chodzi zatem o kwestieformy wyrazuiznaczenia. Stanowi ona zatem rodzajćwiczeńrozeznawania, która wyostrza sapiencjalne zdolności wewnętrznego i zewnętrznegoscrutiniumprzyszłego kapłana. Miejscem, w którym otwiera się ta droga dostępu do własnej prawdy, jest wnętrze czytelnika, bezpośrednio zaangażowanego w proces czytania. Tutaj zatem rozwija się scenariusz osobistego rozeznawania duchowego, w którym nie zabraknie niepokojów, a nawet kryzysów. Rzeczywiście, istnieje wiele stron literackich, które mogą odpowiedzieć na ignacjańską definicję „strapienia”.

27. „Nazywam strapieniem […] ciemność w duszy, zakłócenie w niej, poruszenie do rzeczy niskich i ziemskich, niepokój z powodu różnych miotań się i pokus, skłaniający do nieufności, bez nadziei, bez miłości. Dusza stwierdza wtedy, że jest całkiem leniwa, letnia, smutna i jakby odłączona od swego Stwórcy i Pana”[21].

28. Ból lub znudzenie odczuwane podczas czytania pewnych tekstów niekoniecznie są złymi lub bezużytecznymi uczuciami. Sam Ignacy z Loyoli zauważył, że „u tych, co postępują od złego do gorszego”, dobry duch działa poprzez prowokowanie niepokoju, wzburzenia, niezadowolenia[22]. Byłoby to dosłowne zastosowanie pierwszej ignacjańskiej reguły rozeznawania duchów zarezerwowanej dla tych, którzy „przechodzą od grzechu śmiertelnego do grzechu śmiertelnego”, a mianowicie, że w takich osobach dobry duch działa„kłując ich i gryząc sumienia ich przez prawo naturalnego sumienia”[23],aby doprowadzić ich do dobra i piękna.

29. W ten sposób rozumie się, że czytelnik nie jest odbiorcą budującego przesłania, ale osobą, która jest aktywnie zachęcana do stąpania po niestabilnym gruncie, gdzie granice między zbawieniem a zatraceniem nie sąa priorizdefiniowane i oddzielone. Akt czytania jest zatem jak akt „rozeznawania”, dzięki któremu czytelnik jest zaangażowany w pierwszej osobie jako „podmiot” czytania i jednocześnie jako „przedmiot” tego, co czyta. Czytając powieść lub utwór poetycki, czytelnik faktycznie doświadcza „bycia czytanym” przez słowa, które czyta[24]. W ten sposób czytelnik jest podobny do zawodnika na boisku: gra w grę, ale jednocześnie gra jest rozgrywana przez niego, w tym sensie, że jest całkowicie zaangażowany w to, co robi[25].

Uważność i trawienie

30. Jeśli chodzi o treść, należy przyznać, że literatura jest jak „teleskop” – zgodnie ze słynnym obrazem ukutym przez Prousta[26]– skierowany na istoty i rzeczy, niezbędny do zogniskowania „wielkiego dystansu”, jaki codzienność wykopuje między naszą percepcją a całością ludzkiego doświadczenia. „Literatura jest jak laboratorium fotograficzne, w którym obrazy życia mogą być przetwarzane tak, aby ujawniały swoje kontury i niuanse. Do tego zatem ‘służy’ literatura: do ‘wywoływania’ obrazów życia”[27], do zadawania nam pytań o jego znaczenie. Służy, krótko mówiąc, do skutecznegodoświadczania życia.

31. I rzeczywiście, nasze zwykłe spojrzenie na świat jest jakby „zredukowane” i ograniczone z powodu presji, jaką wywierają na nas operatywne i bezpośrednie cele naszego działania. Nawet posługa – religijna, duszpasterska, charytatywna – może stać się imperatywem, który kieruje nasze siły i uważność wyłącznie na cele do osiągnięcia. Ale, jak przypomina nam Jezus w przypowieści o siewcy, ziarno musi wpaść w głęboką glebę, aby z czasem dojrzewało owocnie, bez zadławienia przez powierzchowność lub ciernie (Mt13, 18-23). Ryzyko staje się więc ryzykiem popadnięcia w efektywizm, który banalizuje rozeznanie, zubaża wrażliwość i redukuje złożoność. Jest zatem konieczne i pilne, aby zrównoważyć to nieuniknione przyspieszenie i uproszczenie naszego codziennego życia, ucząc się dystansu do tego, co natychmiastowe, aby zwolnić, kontemplować i słuchać. Może się to zdarzyć, gdy osoba dobrowolnie zatrzymuje się, aby przeczytać książkę.

32. Konieczne jest odzyskanie przyjaznych sposobów odnoszenia się do rzeczywistości – nie strategicznych, czy też ukierunkowanych bezpośrednio na wynik – w których byłoby możliwe wyłonienie się nieskończonego nadmiaru bytu. Dystans, powolność, wolność to cechy charakterystyczne podejścia do rzeczywistości, które właśnie w literaturze znajduje formę ekspresji, która z pewnością nie jest ekskluzywna, ale uprzywilejowana. Literatura staje się wówczas siłownią, w której można wyćwiczyć umiejętność patrzenia w poszukiwaniu i odkrywaniu prawdy o ludziach i sytuacjach jako tajemnicy, jako naładowanych nadmiarem treści, które tylko częściowo mogą się przejawiać w kategoriach, schematach wyjaśniających, w linearnej dynamice przyczyna-skutek, środek-rezultat.

33. Inny piękny obraz roli literatury pochodzi z fizjologii ludzkiego organizmu, a w szczególności z aktu trawienia. Tutaj jego modelem jestruminatiokrowy, jak stwierdził XI-wieczny mnich Guillaume de Saint-Thierry i XVII-wieczny jezuita Jean-Joseph Surin. Ten ostatni z kolei mówił o „żołądku duszy”, a jezuita Michel De Certeau wskazywał na prawdziwą „fizjologię czytania trawiennego”[28]. Oto ona: literatura pomaga nam opowiedzieć o naszej obecności w świecie, „przetrawić” ją i przyswoić, uchwycić to, co wykracza poza powierzchnię doświadczenia; służy zatem do interpretowania życia, dostrzegania jego znaczeń i podstawowych napięć[29].

Patrzenie oczami innych

34. Jeśli chodzi o formę przekazu, dzieje się to tak: czytając tekst literacki, jesteśmy w stanie „widzieć oczami innych”[30], uzyskując szeroką perspektywę, która poszerza nasze człowieczeństwo. Uaktywnia to w nas empatyczną moc wyobraźni, która jest podstawowym nośnikiem zdolności utożsamiania się z punktem widzenia, kondycją, uczuciami innych, bez których nie ma solidarności, dzielenia się, współczucia, miłosierdzia. Czytając, odkrywamy, że to, co czujemy, jest nie tylko nasze, jest uniwersalne, więc nawet najbardziej opuszczona osoba nie czuje się sama.

35. Cudowna różnorodność istoty ludzkiej oraz diachroniczna i synchroniczna wielość kultur i wiedzy, są skonfigurowane w literaturze w języku zdolnym do poszanowania i wyrażenia ich różnorodności, ale jednocześnie są tłumaczone na symboliczną gramatykę znaczenia, która czyni je zrozumiałymi dla nas, a nie obcymi, współdzielonymi. Oryginalność słowa literackiego polega na tym, że wyraża ono i przekazuje bogactwo doświadczenia nie poprzez obiektywizowanie go w opisowej prezentacji wiedzy analitycznej lub w normatywnym badaniu krytycznego osądu, ale jako treść ekspresyjnego i interpretacyjnego wysiłku nadania znaczenia danemu doświadczeniu.

36. Czytając jakąś historię, dzięki wizji autora, każdy na swój sposób wyobraża sobie płacz porzuconej dziewczynki, staruszkę przykrywającą śpiącego wnuka, determinację drobnego przedsiębiorcy starającego się przetrwać pomimo trudności, upokorzenie kogoś, kto czuje się krytykowany przez wszystkich, chłopca, który snuje marzenia będące jedyną ucieczką przed bólem nędznego i brutalnego życia. Kiedy odnajdujemy ślady naszego wewnętrznego świata pośród tych historii, stajemy się bardziej wrażliwi na doświadczenia innych, wykraczamy poza siebie, aby wejść w ich głębię, możemy nieco lepiej zrozumieć ich zmagania i pragnienia, widzimy rzeczywistość ich oczami i ostatecznie stajemy się współtowarzyszami podróży. W ten sposób zanurzamy się w konkretną, wewnętrzną egzystencję sprzedawcy owoców, prostytutki, dziecka dorastającego bez rodziców, kobiety murarza, starej kobiety, która wciąż wierzy, że znajdzie swojego księcia. I możemy to zrobić z empatią, a czasem z tolerancją i zrozumieniem.

37. Jean Cocteau pisał do Jacques'a Maritaina: „Literatura jest niemożliwa, musimy się z niej wydostać, a próba wydostania się z niej za pomocą literatury jest bezcelowa, ponieważ tylko miłość i wiara pozwalają nam wydostać się z samych siebie”[31]. Ale czy naprawdę wykraczamy poza siebie, jeśli cierpienia i radości innych nie płoną w naszych sercach? Jako chrześcijanin wolę pamiętać, że nic, co ludzkie, nie jest mi obce.

38. Co więcej, literatura nie jest relatywistyczna, ponieważ nie pozbawia nas kryteriów wartości. Symboliczne przedstawienie dobra i zła, prawdy i fałszu, jako wymiarów, które w literaturze przybierają formę indywidualnych egzystencji i zbiorowych wydarzeń historycznych, nie neutralizuje osądu moralnego, ale zapobiega sytuacji, w której staje się on ślepy lub powierzchownie potępiający. „Czemu to widzisz drzazgę w oku swego brata, a nie dostrzegasz belki we własnym oku?” – pyta nas Jezus (Mt7, 3).

39. Z kolei przemoc, ciasnota czy kruchość innych ludzi, pozwalają nam lepiej zastanowić się nad naszymi własnymi doświadczeniami. Otwierając przed czytelnikiem szerokie spojrzenie na bogactwo i nędzę ludzkiego doświadczenia, literatura wychowuje jego spojrzenie na powolność zrozumienia, na pokorę nieupraszczania, na łagodność nie pretendowania do kontrolowania rzeczywistości i ludzkiej kondycji poprzez osąd. Z pewnością istnieje potrzeba osądzania, ale nigdy nie wolno zapominać o jego ograniczonym zakresie: nigdy, w rzeczywistości, osąd nie może przekładać się na wyrok śmierci, na wymazywanie, na tłumienie człowieczeństwa na rzecz jałowej totalizacji prawa.

40. Spojrzenie literatury uczy czytelnika decentralizacji, poczucia granic, rezygnacji z poznawczego i krytycznego panowania nad doświadczeniem, uczy go ubóstwa, które jest źródłem niezwykłego bogactwa. Uznając bezużyteczność, a być może nawet niemożliwość zredukowania tajemnicy świata i człowieka do antynomicznej biegunowości prawda/fałsz czy słuszność/prawo, czytelnik przyjmuje obowiązek osądu nie jako narzędzie dominacji, ale jako dążenie do nieustannego słuchania i jako gotowość do postawienia na szali tego niezwykłego bogactwa historii, wynikającego z obecności Ducha, który dany jest także jako Łaska, to znaczy jako nieprzewidywalne i niezrozumiałe wydarzenie, które nie zależy od ludzkiego działania, ale na nowo definiuje człowieka jako nadzieję zbawienia.

Duchowa moc literatury

41. Ufam, że w tych krótkich refleksjach podkreśliłem rolę, jaką literatura może odegrać w kształceniu serca i umysłu duszpasterza lub przyszłego duszpasterza w kierunku swobodnego i pokornego korzystania z własnej racjonalności, owocnego uznania pluralizmu ludzkich języków, poszerzenia swojej ludzkiej wrażliwości, a wreszcie wielkiej duchowej otwartości na słuchanie Głosu poprzez wiele głosów.

42. W tym sensie literatura pomaga czytelnikowi przezwyciężać bożki języków autoreferencyjnych, fałszywie samowystarczalnych, statycznie konwencjonalnych, które czasami mogą zanieczyszczać nawet naszą mowę kościelną, ograniczając wolność Słowa. Słowo literackie jest słowem, które wprawia język w ruch, wyzwala go i oczyszcza: otwiera go ostatecznie na jego własne dalsze możliwości ekspresyjne i eksploracyjne, czyni go gościnnym dla Słowa, które zamieszkuje w ludzkiej mowie, nie wtedy, gdy rozumie siebie jako wiedzę już pełną, ostateczną i kompletną, ale wtedy, gdy staje się czuwaniem słuchania i oczekiwania na Tego, który przychodzi, abywszystko uczynić nowym(por.Ap21, 5).

43. Duchowa moc literatury ostatecznie przypomina podstawowe zadanie powierzone człowiekowi przez Boga: zadanie „nazywania” istot i rzeczy (por.Rdz2, 19-20). Misja opiekuna stworzenia, powierzona Adamowi przez Boga, polega przede wszystkim na rozpoznaniu własnej rzeczywistości i sensu istnienia innych istot. Kapłan jest również obdarzony tym pierwotnym zadaniem „nazywania”, nadawania znaczenia, czynienia siebie narzędziem komunii między stworzeniem a Słowem, które stało się ciałem, i jego mocą oświecania każdego aspektu ludzkiego losu.

44. Pokrewieństwo między kapłanem a poetą objawia się zatem w tej tajemniczej i nierozerwalnej sakramentalnej jedności między słowem Bożym a słowem ludzkim, dając początek posłudze, która staje się służbą pełną słuchania i współczucia, charyzmatowi, który staje się odpowiedzialnością, wizji prawdy i dobra, która otwiera się jako piękno. Nie możemy nie wsłuchiwać się w słowa pozostawione nam przez poetę Paula Celana: „Kto naprawdę uczy się widzieć, zbliża się do niewidzialnego”[32].

W Rzymie, u Świętego Jana na Lateranie, dnia 17 lipca 2024 roku, w dwunastym roku mojego Pontyfikatu.

FRANCISZEK

_________________________

[1]R. Latourelle,Letteratura, w:R. Latourelle – R. Fisichella,Dizionario di Teologia Fondamentale, Assisi (PG) 1990, s. 631.

[2]Por. A.Spadaro,J. M. Bergoglio, il “maestrillo” creativo. Intervista all’alunno Jorge Milia, w:La Civiltà Cattolica2014 I 523-534.

[3]Sobór Watykański II, Konst. duszp. o Kościele w świece współczesnymGaudium et spes,62.

[4]K. Rahner,Il futuro del libro religioso, w:Nuovi saggi II, Roma 1968, s. 647.

[5]Por. Adhort. apost.Evangelii gaudium,117.

[6]A.Spadaro,Svolta di respiro. Spiritualità della vita contemporanea, Milano, Vita e Pensiero, s. 101.

[7]R. Latourelle,Letteratura, s. 633.

[8]Św. Jan Paweł II,List do artystów, 6.

[9]Adhort. apost.Evangelii gaudium89.

[10]Sobór Watykański II, Konst. duszp. o Kościele w świece współczesnymGaudium et spes,22.

[11]M. Proust,W poszukiwaniu straconego czasu. W stronę Swanna, (tłum. T. Boy-Żeleński), Wolne Lektury, Warszawa, s. 48.

[12]C. S. Lewis,Lettori e letture. Un esperimento di critica, Milano 1997, s. 165.

[13]Por.J. L.Borges,Borges,Oral, Buenos Aires 1979, s. 22.

[14]Św.Paweł VI, Homilia, „Msza dla artystów” w Kaplicy Sykstyńskiej,7maja 1964.

[15]T. S.Eliot,The Idea of a Christian Society, London 1946, s. 30.

[16]Konferencja prasowa Ojca Świętego Franciszka podczas lotu powrotnego z podróży apostolskiej do Tajlandii i Japonii, 26 listopada 2019 r.

[17]Cfr. A.Spadaro,La grazia della parola. Karl Rahner e la poesia, Milano, Jaca Book, 2006.

[18]K. Rahner,Sacerdote e poeta, w:La fede in mezzo al mondo, Alba 1963, s. 131-173.

[19]Tamże, 171 n.

[20]Tamże, 146.

[21]Św. Ignacy Loyola,Ćwiczenia duchowne, 317.

[22]Por. tamże, 335.

[23]Tamże, 314.

[24]Por.K. Rahner,Sacerdote e poeta, w:La fede in mezzo al mondo, Alba 1963, s. 141.

[25]Por. ASpadaro,La pagina che illumina. Scrittura creativa come esercizio spirituale, Milano, Ares, 2023, s. 46-47.

[26]M. Proust, Àla recherche du temps perdu.Le temps retrouvé, Paris 1954, t. III, s. 1041.

[27]A.Spadaro,La pagina che illumina..., dz. cyt., s. 14.

[28]M. De Certeau,Il parlare angelico. Figure per una poetica della lingua (Secoli XVI e XVII), Firenze 1989, s. 139 n.

[29]Por. A.Spadaro,La pagina che illumina... dz. cyt., s. 16.

[30]C. S. Lewis,Lettori e letture. Un esperimento di critica, Milano 1997, s. 165.

[31]J. Cocteau – J. Maritain,Dialogo sulla fede, Firenze, Passigli, 1988, s. 56.Cfr. A.Spadaro,La pagina che illumina…,dz. cyt., s. 11-12.

[32]P. Celan,Microliti, Milano 2020, s. 101.

[01218-PL.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

رسالة قداسة البابا فرنسيس

في دور الآداب في التّنشئة

1. كتبت في البداية عنوانًا كان يشير إلى التّنشئة الكهنوتيّة، لكن بعد ذلك فكّرت أنّ هذه الأمور يمكن أن تقال أيضًا في تنشئة العاملين الرّعويّين كلّهم، وكلّ مسيحيّ أيضًا. أشير هنا إلى قيمة قراءة الرّوايات والقصائد في مسيرة نضجنا الشّخصيّ.

2. في ملل أيام العطلة، وحرارة الطّقس، وفي الوِحدة في بعض الأحياء المهجورة، يصبح غالبًا عثورنا على كتاب جيّد للقراءة واحة تُبعدنا عن الاختيارات الأخرى التي لا تناسبنا. ثمّ هناك لحظات التّعب الكثيرة، والغضب، والإحباط، والفشل، وأوقات لا نستطيع أن نجد فيها راحة النّفس، حتّى في الصّلاة، في هذه الحال يساعدنا كتابٌ جيّد لأن نجتاز العاصفة، حتّى نستطيع أن نحصل على شيء من الهدوء. وربّما تفتح لنا هذه القراءة مساحات داخليّة جديدة تساعدنا لأن نتجنّب انغلاقنا على أنفسنا مع بعض الأفكار المهووسة التي تحاصرنا بلا هوادة. كانت خبرة القراءة هذه تُمارس باستمرار، قبل انتشار وسائل الإعلام ووسائل التّواصل الاجتماعيّ والهواتف المحمولة وغيرها من الأجهزة، ومن اختبرها يعرف جيّدًا عمّا أتكلّم. وهي ليست شيئًا عفا عليه الزّمن.

3. على عكس الوسائل السّمعيّة والبصريّة، حيث المنتَج يكون أكثر اكتمالًا والمساحة والوقت اللازمَان ”لإغناء“ الرّواية أو تفسيرها يكونان عادة مختصرين، هناك مجال أكبر للتّفاعل بين القارئ والكتاب. إنّه يُعيد بطريقة ما كتابة الرّواية، ويوسِّعُها بخياله، ويخلق عالمًا، ويستخدم قدراته، وذاكرته، وأحلامه، وقصّته نفسها المليئة بالمآسي والرّموز، فيصير الكتاب نتيجة لذلك رواية مختلفة تمامًا عمّا أراد المؤلّف أن يكتب. وهكذا، فإنّ العمل الأدبيّ هو نصّ حيّ وخصب دائمًا، وقادر أن يتكلّم من جديد بطرق عديدة، ويؤدّي إلى نتيجة فريدة مع كلّ قارئ يلتقيه. في القراءة، القارئ يغتني بما يتلقّاه من المؤلّف، وفي الوقت نفسه يسمح له المؤلّف بأن يطوِّر ويُنَمِّي غنى شخصيته. ومن ثمَّ فإن كلّ كتاب جديد يقرأه، يجدّد ويوسّع عالمه الشّخصيّ.

4. هذا يقودني إلى أن أقيّم بصورة إيجابيّة جدًّا موقف بعض الإكليريكيّات على الأقلّ، التي يتمّ فيها التّغلّب على هوس الشّاشات - والأخبار المزيّفة السّامّة والسّطحيّة والعنيفة - بتخصيص وقت للآداب، ولأوقات للقراءة الهادئة والخالية من الدّوافع المختلفة، وللكلام على هذه الكتب، الجديدة أو القديمة، التي ما زالت تعلِّمُنا أمورًا كثيرة. لكن يجب أن نلاحظ، للأسف، أنّه في مسيرة التّنشئة للذين هُم مُتّجهون نحو الخدمة الكهنوتيّة، لا يوجد اهتمام كافٍ حاليًّا للآداب. في الواقع، يُنظر غالبًا إلى الآداب على أنّها طريقة للتّرفيه، أو تعبير بسيط عن ثقافة ليست جزءًا من مسيرة الاستعداد، ولا الخبرة الرّعويّة العمليّة لكهنة المستقبل. الاهتمام بالآداب يُعتبر شيئًا غير ضروريّ، ما عدا بعض الاستثناءات. في هذا الصّدد، أودّ أن أُوكّد أنّ هذا النّهج خطأ، وهو أساس صورة من الفقر الفكريّ والرّوحيّ الخطير لكهنة المستقبل، الذين يُحرمون بهذه الطّريقة نعمة الوصول إلى قلب الثّقافة الإنسانيّة، عن طريق الآداب، وبصورة أدقّ، إلى قلب الإنسان.

5. بهذه الرّسالة، أودّ أن أقترح تغييرًا جذريًّا في النّهج، في ما يختصّ بالاهتمام الكبير الذي يجب أن نوليه للآداب، في سياق تنشئة المتقدّمين للكهنوت. في هذا الصّدد، أجد مؤثّرًا جدًّا ما قاله أحد اللاهوتيّين:

"الآداب [...] تتدفّق من الشّخص ممَّا لا يمكن إلغاؤه فيه، في سرّه [...]. إنّها الحياة التي تدرك نفسها عندما تصل إلى مِلءِ التّعبير عن ذاتها، فتلجأ إلى موارد اللغة كلّها"[1].

6. وهكذا، تتَّصل الآداب، بطريقة أو بأخرى، مع ما يريده كلّ واحد منّا من الحياة، لأنّها تدخل في علاقة حميمة مع حياتنا العمليّة، ونزاعاتها الجوهريّة، ومع رغباتها ومفاهيمها.

7. تعلّمت ذلك عندما كنت شابًّا مع طلّابي. بين سنتَي 1964 و1965، كان عمري 28 سنة، وكنت أستاذًا للآداب في ”سانتا في“ (Santa Fe) في مدرسة لليسوعيّين. كنت أعلّم طلّاب السّنتَين الأخيرتَين في الثّانويّة، وكان عليَّ أن أجعل طلّابي يدرسون (El Cid) ”السِّيد“. لكنّ هذا الدّرس لم يعجبهم. طلبوا أن يدرسوا غارسيّا لوركا (García Lorca). فقرّرت أن يدرسوا (El Cid) في البيت، وأنا سأناقش في الصّف المؤلّفين المفضَّلين لدى الشّباب. كانوا يريدون أن يقرؤوا الأعمال الأدبيّة المعاصرة. وبقراءتهم للأمور التي كانت تجذبهم أوّلًا، ‏ كانوا ينفتحون على الآداب عمومًا والشّعر، ثمّ كانوا ينتقلون بعد ذلك إلى مؤلّفين آخرين. في النّهاية، القلب يسعى إلى المزيد، وكلّ واحد يجد طريقه في الآداب.[2] أنا، مثلًا، أحبّ كُتَّاب المآسي، لأنّه يمكننا كلّنا أن نشعر بأنّ أعمالهم كأنّها أعمالنا، وهي تعبير عن مآسينا. عندما نبكي على مصير الشّخصيّات، نحن في النّهاية نبكي على أنفسنا وعلى فراغنا وعيوبنا ووِحدتنا. بالطّبع، أنا لا أطلب منكم أن تقرأوا القراءات نفسها التي قرأتها. كلّ واحد منّا يجد الكتب التي تعبِّر عن حياته والتي ستصير رفيق سفره الحقيقيّ. أن نقرأ شيئا ونحن مُكرَهون، يؤدّي إلى نتيجة عكسيّة، وسنبذل جهدًا كبيرًا فقط لأنّ الآخرين قالوا إنّه ضروريّ. لا، علينا أن نختار قراءاتنا بانفتاح ومفاجأة ومرونة، وأن ندع الآخرين ينصحونا، ونكون صادقين أيضًا، فنحاول أن نجد ما نحن بحاجة إليه في كلّ لحظة من حياتنا.

إيمان وثقافة

8. علاوة على ذلك، للمؤمّن الذي يريد حقًّا أن يدخل في حوار مع ثقافة عصره، أو ببساطة مع حياة النّاس العاديّين، الآداب أمرٌ لا غنى عنه. أكّد المجمع الفاتيكانيّ الثانيّ، لسبب وجيه، أنّ "الآداب والفنون [...] تحاول أن تعبّر عن طبيعة الإنسان" و "تلقي الضّوء على أفراحه وويلاته، وعلى احتياجات البشر وقواهم"[3]. في الحقيقة، الآداب تستند على حياتنا اليوميّة، وعلى عواطفها وأحداثها الواقعيّة مثل "العمل والوظيفة والحبّ والموت وكلّ الأمور الصّغيرة التي تملأ الحياة"[4].

9. كيف يمكننا أن نصل إلى قلب الثّقافات القديمة والجديدة إذا تجاهلنا وأقصينا و/أو أسكتنا رموزها ورسائلها وإبداعاتها ورواياتها التي بها استحوذت وأرادت أن تكشف وتتذكّر أعمالها ومُثُلُهَا العُليا الأجمل، وكذلك عنفها ومخاوفها وأعمق عواطفها؟ كيف يمكننا أن نتكلّم إلى قلوب البشر إذا تجاهلنا أو أهملنا أو لم نقدّر ”ذلك الكلام“ الذي به أرادوا أن يُعلنوا، ولِمَ لا، ويكشفوا عن مأساة حياتهم ومشاعرهم من خلال الرّوايات والأشعار؟

10. استطاعت رسالة الكنيسة أن تبيّن كلَّ جمالها، ونضارتها وكلّ ما هو جديد فيها في لقائها مع الثّقافات المختلفة - غالبًا بفضل الآداب – وقد تجذّرت فيها ولم تخَفْ أن تجازف وأن تأخذ منها أفضل ما وجدته. هذا الموقف حرّرها من تجربة الأنانيّة الأصوليّة التي تصمّ الآذان، وتَظهَر في الاعتقاد بأنّ قواعد تاريخيّة ثقافيّة معيّنة لديها القدرة على أن تعبّر عن غِنى وعمق الإنجيل كلّه.[5] وهذا خطأ. نبوءات شؤم كثيرة تحاول اليوم أن تزرع اليأس، وهي متجذّرة في هذا الموقف. الاتصال بأساليب أدبيّة ونحويّة مختلفة، يسمح دائمًا بأن نتعمّق في أوجه الوحيّ المختلفة، ودون أن نحصرها أو نُفقرها في حدود الاحتياجات التّاريخيّة أو البُنى العقليّة.

11. ليس من قبيل الصّدفة أنّ المسيحيّة الأولى، على سبيل المثال، أدركت جيّدًا الحاجة إلى مقارنة وثيقة مع الثّقافة الكلاسيكيّة في ذلك الوقت. أحد آباء الكنيسة الشّرقيّة، مثل باسيليوس من قيصريّة، مثلًا، في خطابه للشّباب، الذي ألّفه بين السّنوات 370 و 375، والذي ربّما كان موجّهًا إلى أبناء إخوته، أشاد بقيمة الأدب الكلاسيكيّ – ”أدب الذين من الخارج“ (éxothen)، كما كان يُسمّي المؤلّفين الوثنيّين – سواء من حيث العبارات، (lógoi) التي كانت تُستخدم في اللاهوت وفي تفسير الكتاب المقدّس، وسواء من حيث شهادة الحياة نفسها، أي من حيث العمل (práxeis) (الأفعال، والسّلوكيّات) التي كان يجب أن يؤخذ بها بعين الاعتبار في الزّهد والأخلاق. واختتم خطابه وهو يَحُثُّ الشّباب المسيحيّين على اعتبار الآداب الكلاسيكيّة بمثابة ”زوادة“ (ephódion) يحملونها معهم لتعليمهم وتنشئتهم، فيستمدون منها ”منفعة لنفسهم“ (الفصل الرّابع، 8-9). ومن هذا اللقاء بالتّحديد للحدث المسيحيّ مع ثقافة العصر، ظهرت صياغة جديدة مبتكرة لإعلان الإنجيل.

12. بفضل التّمييز الإنجيليّ في الثّقافة، يمكننا أن نكتشف حضور الرّوح القدس في الواقع الإنسانيّ المتنوّع، أي يمكننا أن نرى الزّرع الذي زرعه الرّوح من قبل، وحضوره في الأحداث، والمشاعر، والرّغبات، والميول العميقة في القلوب والسّياقات الاجتماعيّة والثّقافيّة والرّوحيّة. يمكننا، مثلًا، أن نرى مقاربة مماثلة في سفر أعمال الرّسل، في الكلام على بولس في الأَرْيوباغُس (راجع أعمال الرّسل 17، 16-34). أكّد بولس وهو يتكلّم على الله: "ففيهِ حَياتُنا وحَرَكَتُنا وكِيانُنا، كما قالَ شُعَراءُ مِنكم: فنَحنُ أَيضًا مِن سُلالَتِه" (أعمال الرّسل 17، 28). في هذه الآية اقتباسان: الأوّل غير مباشر في القسم الأوّل، حيث يستشهد بالشّاعر إبيمينيدس (القرن السّادس قبل المسيح)، والثّاني مباشر، فيه يستشهد ”بالظواهر“ (Fenomeni) للشّاعر أراتوس دي سيلو (Arato di Silo) (القرن الثّالث قبل المسيح)، الذي تغَنَّى بالكواكب وحالات الطّقس الجيّد والسّيّئ. "بيَّن بولس [هنا] أنّه ”قارئ“ للشّعر وسمح لنا بأن نرى طريقته في استخدام النّصّ الأدبيّ، الذي لا يمكنه إلّا أن ينعكس في التّمييز الإنجيليّ للثّقافة. قال أهل أثينا فيه إنّه ”ثرثار“، (حرفيًّا ”جامع البذور“ - spermologos). كانت تلك بالتّأكيد إهانة، لكنّها في الوقت نفسه حقيقة عميقة. جمع بولس بذور الشّعر الوثنيّ، وخرج من موقف سابق من الازدراء العميق (راجع أعمال الرّسل 17، 16)، وتوصَّل إلى الاعتراف بأهل أثينا أنّهم ”متديّنون جدًا“ ورأى في صفحات أدبهم الكلاسيكيّ تحضيرًا حقيقيًّا للإنجيل"[6].

13. ماذا فعل بولس؟ فهِم أنّ ”الآداب تكشف الأعماق التي يسكنها الإنسان، بينما الوحي، ثمّ اللاهوت، يتبنّانهما ليبيِّنا كيف يقدر المسيح أن يجتازها وينيرها“[7]. في اتّجاه هذه الأعماق، الآداب هي إذن ”طريق للدخول“[8] تساعد الرّاعي على أن يدخل في حوار مثمر مع ثقافة عصره.

المسيح ليس بلا جسد، أبدًا

14. قبل التّعمّق في الأسباب المحدّدة التي تدعو إلى تعزيز الاهتمام بالآداب في مسيرة تنشئة كهنة المستقبل، اسمحوا لي أن أذكر هنا فكرة عن السّياق الدّيني الحالي: "العودة إلى المقدّسات والبحث الرّوحيّ اللذان يميِّزان عصرنا هما ظاهرتان فيهما بعض الالتباس. فنحن نواجه اليوم، أكثر من الإلحاد، التّحديّ في أن نروي عطش الكثيرين إلى الله، بما هو مناسب، كي لا يسعوا لإروائه بأجوبة غريبة أو بيسوع المسيح بلا جسد"[9]. المهمّة الملّحة في إعلان الإنجيل في عصرنا تطلب من المؤمنين والكهنة بشكل خاصّ الالتزام حتّى يتمكّن الجميع من لقاء يسوع المسيح الذي صار جسدًا، وإنسانًا، ودخل في التّاريخ. يجب علينا جميعًا أن نكون متنبِّهين لكي لا يغيب عن بالنا أبدًا ”جسد“ يسوع المسيح: الجسد المجبول من العواطف والمشاعر والأحاسيس والقصص الملموسة، واليدان اللتان تلمسان وتشفيان، والنّظرات التي تحرّر وتشجِّع، والضّيافة، والمغفرة، والتّسامح، والشّجاعة، والجرأة: في كلمة واحدة، المحبّة.

15. وعلى هذا المستوى بالتّحديد، يمكن لقراءة الآداب المستمرّة أن تجعل كهنة المستقبل وجميع العاملين الرّعويّين أكثر حساسيّة بإنسانيّة الرّبّ يسوع الكاملة، التي يُفيض فيها ألوهيته كاملة، فيعلنوا الإنجيل بطريقة تسمح للجميع، أقول للجميع، أن يختبروا صحّة ما يقوله المجمع الفاتيكانيّ الثّاني: "في الواقع، فقط في سرّ الكلمة المتجسِّد يجد سرّ الإنسان النّور الحقيقي"[10]. وهذا لا يعني سرّ الإنسانيّة التجريديّة، بل سرّ ذلك الإنسان المحسوس بكلّ جراحه ورغباته وذكرياته وآمال حياته.

الخير الكبير

16. من وجهة نظر عمليّة، يرى العلماء العديدون أنّ عادة القراءة تؤدّي إلى نتائج إيجابيّة عديدة في حياة الشّخص: فهي تساعده ليكتسب ويغتني بمزيد من المفردات، وتطوِّر جوانب مختلفة من ذكائه. كما أنّها تحفِّز الخيال والإبداع. وفي الوقت نفسه، تسمح له بأن يتعلّم التّعبير عن قصصه بطريقة أبلغ. كما أنّها تحسِّن القدرة على التّركيز، وتقلّل من مستويات الضّعف الإدراكي، وتهدّئ التّوتر والقلق.

17. وأكثر من ذلك: إنّها تهيّئنا لنفهم ولنواجه أيضًا المواقف المختلفة التي قد تنشأ في الحياة. في القراءة نندمج في الشّخصيّات، والهموم، والدراما، والمخاطر، ومخاوف الأشخاص الذين تغلّبوا أخيرًا على تحدّيات الحياة، أو ربما نقدّم، في أثناء القراءة، النّصائح للشّخصيّات، وقد تكون مفيدة لنا فيما بعد.

18. لمحاولة تشجيع المزيد من القراءة، أقتبس بكلّ سرور بعض النّصوص لمؤلّفين معروفين، وهم يعلِّموننا أمورًا كثيرة في كلام قليل:

تطلق الرّوايات العنان "فينا في غضون ساعة واحدة لكلّ الأفراح والمصائب المحتمّلة التي قد تستغرق في الحياة سنوات كاملة لنعرف شيئًا قليلًا منها، ولن تنكشف لنا أبدًا قِمَّتها، لأنّ البطء الذي تسير به يمنعنا من إدراكها"[11].

"بقراءة الأعمال الأدبيّة الكبيرة، أصير آلاف البشر، وفي الوقت نفسه، أبقى أنا. مثل سماء الليل في الشّعر اليونانيّ، أرى بعدد لا يُحصى من العيون، لكنّني دائمًا أنا هو الذي يرى. هنا، كما هو الحال في الدّين والحبّ والعمل الأخلاقيّ والمعرفة، أتجاوز نفسي، ومع ذلك، عندما أفعل ذلك، أكون أنا أكثر من أيّ وقت مضى"[12].

19. ومع ذلك، لا أقصد التّركيز فقط على هذا المستوى من الفائدة الشّخصيّة، بل التّفكير في أكثر الأسباب حسمًا لإيقاظ حبّ القراءة من جديد.

الإصغاء إلى صوت أحد

20. عندما يتجّه فكري إلى الآداب، تتبادر إلى ذهني ما قاله الكاتب الأرجنتينيّ الكبير خورخي لويس بورخيس[13] (Jorge Luis Borges) لطلابه: أهمّ شيء هو القراءة، وأن تكون على اتّصال مباشر بالآداب، وأن تندمج في النّص الحيّ الذي تقرأه، أكثر من أن تركّز على الأفكار والتّعليقات النّقديّة. وقد شرح بورخيس هذه الفكرة لطلابه وقال لهم إنّهم ربما لن يفهموا في البداية سوى القليل مما كانوا يقرؤونه، لكنّهم على أيّ حال سيُصغون إلى ”صوت أحد“. هذا هو تعريف الآداب التي أُحبّها كثيرًا: الإصغاء إلى صوت أحد. ولا ننسَ مدى خطورة أن نتوقّف عن الإصغاء إلى صوت الآخر الذي يخاطبنا! إذ نقع على الفور في العزلة الذّاتية، وندخل في نوع من أنواع الصّممّ ”الرّوحي“، الذي يؤثّر أيضًا سلبًا على علاقتنا بأنفسنا وعلاقتنا بالله، بغض النّظر عن مدى قدرتنا على دراسة اللاهوت أو عِلم النّفس.

21. باتّباع هذا الطّريق الذي يجعلنا حساسين لسِرّ الآخرين، تساعدنا الآداب لنتعلَّم كيف نصل إلى قلوبهم. كيف لا يمكننا أن نتذكّر في هذه المرحلة الكلام الشّجاع الذي وجّهه القدّيس بولس السّادس إلى الفنّانين، وكذلك إلى الكتّاب الكبار في 7 أيّار/مايو 1964؟ قال: "نحن بحاجة إليكم. خدمتنا بحاجة لتعاونكم. لأنّ خدمتنا، كما تعلَمون، هي التّبشير وجعل عالم الرّوح، غير المرئيّ، الذي لا يمكن وصفه، عالم الله، سهلَ الوصول إليه ومفهومًا، بل مؤثِّرًا. وفي هذه العمليّة، التي تضع العالم غير المرئيّ في صيغ يمكن الوصول إليها وفهمها، أنتم أسياد."[14] هنا بيت القصيد: مهمّة المؤمنين، والكهنة على وجه الخصّوص، هي تحديدًا ”لمس“ قلب الإنسان المعاصر حتّى يتحرّك وينفتح أمام إعلان الرّبّ يسوع، وفي التزامهم هذا فإنّ الإسهام الذي يمكن أن تقدّمه الآداب والشّعر له قيمة لا تُثمَّن.

22. توماس ستيرنز إليوت (Thomas Stearns Eliot)، الشّاعر الذي تَدينُ له الرّوح المسيحيّة بمؤلّفات أدبيّة ميَّزت الزّمن المعاصر، وصف الأزمة الدّينيّة الحديثة بأنّها أزمة ”عجز عاطفي“ منتشرة.[15] في ضوء هذه القراءة للواقع، فإنّ مشكلة الإيمان اليوم ليست أوّلًا مشكلة إيمان أكثر أو أقل بالقضايا العقائديّة، بل المشكلة مرتبطة بعدم قدرة الكثيرين على الاندهاش أمام الله، أو خليقته، أو الكائنات البشريّة الأخرى. فتقوم مهمّتنا إذن بشفاء وإغناء حساسيَّتنا. ولهذا السّبب، عند عودتي من الزّيارة الرّسوليّة إلى اليابان، وعندما سألوني ماذا يجب أن يتعلّمه الغرب من الشرّق، أجبت: "أعتقد أنّ الغرب يحتاج إلى شيء من الشّعر"[16].

نوع من قاعدة قفز للتّمييز

23. ماذا يستفيد الكاهن إذن من هذه الصّلة بالآداب؟ لماذا من الضّروريّ أن ننظر إلى قراءة الرّوايات الكبيرة ونشرها على أنها عنصرٌ مهمّ في جملة المعارف الكهنوتيّة؟ لماذا من المهمّ أن نستعيد وننشّط في مسار تنشئة المرشّحين للكهنوت، ما أوضحه اللاهوتي كارل راهنر، وهو الشّعور بالتّقارب الرّوحي العميق بين الكاهن والشّاعر؟[17]

24. لنحاول أن نجيب على هذه الأسئلة بإصغائنا إلى اعتبارات اللاهوتيّ الألمانيّ.[18] كتبَ راهنر: كلام الشّاعر ”مليء بالحنين“، وهو "أبواب مفتوحة على اللامتناهيّ، أبواب تبقى مفتوحة على مصاريعها على مساحات غير محدودة. إنّها تذكّرنا بما لا يمكن وصفه، وتتجّه نحو ما لا يمكن وصفه". هذا الكلام الشّعريّ "يطلّ على اللامتناهي، لكنّه لا يستطيع أن يعطينا هذا اللامتناهي، ولا يستطيع أن يحمل أو أن يخفي في داخله ذلك اللامتناهي". وهذا هو في الواقع نموذج لكلمة الله. ويتابع راهنر: "ومن ثَمَّ، فإنّ الكلام الشّعريّ يستدعي كلمة الله"[19]. بالنّسبة للمسيحيّين، الكلمة هي الله، وكلّ الكلام البشريّ يحمل آثار حنين جوهريّ إلى الله، ويميل نحو كلمة الله. يمكن القول إنّ الكلام الشّعريّ الحقيقيّ يشارك بشكل مشابه في كلمة الله، كما تقدّم لنا ذلك الرّسالة إلى العبرانيين بطريقة مدوّيّة (راجع العبرانيين 4، 12-13).

25. وهذه هي الطّريقة التي تمكَّن بها كارل راهنر من إقامة تشابه جميل بين الكاهن والشّاعر: "الكلام وحده هو الذي يقدر أن يحرّر كلّ الواقع المقيَّد وغير المعلَن: والذي نسميه الصَّمَمُ أمام نزعة الإنسان إلى الله"[20].

26. وفي الآداب هناك مسائل تتعلّق بالشّكل وبالمعنى، ويجب التّمييز بينها. ولذلك فهي تمثّل نوعًا ما قاعدة للتّمييز، التي تَصقل مهارات الحكمة في التّدقيق في ما هو داخليّ وما هو خارجيّ في كاهن المستقبل. المكان الذي ينفتح فيه طريق الوصول إلى الحقيقة هو ما في داخل القارئ، المندمج مباشرة في عمليّة القراءة. وهنا ينكشف سيناريو التّمييز الرّوحيّ الشّخصيّ، حيث يوجد القلق والأزمات أيضًا. في الواقع، هناك صفحات أدبيّة عديدة يمكن أن تستجيب لمفهوم الكآبة كما عرفها القدّيس أغناطيوس.

27. "نعني بالكآبة […] ظلمة في النّفس، والاضطراب الدّاخليّ، والاندفاع إلى الأمور الوضيعة والأرضيّة، والقلق النّاجم عن مختلف الاضطرابات والتّجارب: هكذا تميل النّفس إلى عدم الثّقة، فتصير بلا رجاء وبلا محبّة، وتجد نفسها كسولة، وفاترة، وحزينة، وكأنّها منفصلة عن خالقها وربّها"[21].

28. الألم أو الملل الذي تشعر به عندما تقرأ بعض النّصوص ليست بالضّرورة مشاعر سيّئة أو لا فائدة منها. لاحظ أغناطيوس دي لويولا نفسه أنّ الرّوح الصّالح يعمل في الذين يسيرون من سيئ إلى أسوأ"، فيثير فيهم القلق والاضطراب وعدم الرضى.[22] هذا هو التّطبيق الحرفي لأوّل بند في قانون القدّيس أغناطيوس، للتّمييز بين الأرواح، في الذين "يسيرون من خطيئة مميتة إلى خطيئة مميتة". فالرّوح الصّالح يدفع هؤلاء الأشخاص "بالقلق ووخز الضّمير انطلاقا من العقل"[23] ليقودهم إلى الخير والجمال.

29. نفهم من هذا أنّ القارئ ليس متلقيًّا لرسالة حسنة، بل هو شخص يُدفَعُ بصورة قوية إلى الانتقال إلى منطقة غير مستقرّة حيث الحدود بين الخلاص والهلاك ليست مبدئيًّا محدّدة ولا منفصلة. فالقراءة، هو مثل فِعلِ ”التّمييز“، حيث يصير القارئ هو ”الفاعل“ في ما يقرأ، وفي الوقت نفسه، هو ”موضوع“ ما يقرأه. عندما يقرأ القارئ رواية أو مجموعة أشعار، يعيش فعليًّا خبرة وهي أنّه هو ”المقروء“ بالكلمات التي يقرأها.[24] وهكذا فإنّ القارئ يشبه اللاعب في الملعب: فهو يلعب اللعبة، ولكن في الوقت نفسه اللعبة تَتِمُّ به، بمعنى أنّه مندمج تمامًا في ما يعمله.[25]

الاهتمام والهضم

30. أمّا فيما يختصّ بالمحتويّات، فيجب الاعتراف بأنّ الآداب هي مثل ”التّلسكوب“ - بحسب الصّورة المعروفة التي صاغها بروست[26] (Proust) - الموجَّه على الأشخاص والأشياء، لتقريب ”المسافة الكبرى“ التي تصنعها الحياة اليوميّة بين ما نشعر به، وبين الخبرة الإنسانيّة برمتها. "الآداب تشبه مختبرًا للصّوّر الفوتوغرافيّة، حيث يمكن معالجة الصّور حتّى تظهر دقائقها وتفاصيلها. هذا هو، إذن، ما ”تصنعه“ الآداب: ”تطوِّر“ صور الحياة"[27]، وتسألنا عن معناها. باختصار، إنّها تفيدنا لنختبر الحياة بمزيد من الفعّاليّة.

31. وفي الواقع، فإنّ نظرتنا العادية إلى العالم ”مقلّصة“ ومحدودة بسبب الضّغط الذي تمارسه علينا الأغراض التّشغيليّة والمباشرة لأعمالنا. وحتّى الخدمة – في العبادة والعمل الرّعويّ وأعمال المحبّة - يمكن أن تصير أوامر توجّه قوانا واهتمامنا فقط نحو الأهداف التي يجب تحقيقها. ولكن، يذكِّرنا يسوع في مثل الزّارع، بأنّه يجب أن تسقط البِذار في تربة عميقة لتنضج وتثمر مع مرور الوقت، دون أن تختنق في الأمور السّطحيّة أو بين الأشواك (متّى 13، 18-23). وهكذا يصير الخطر هو الوقوع في ”الإنتاجيّة العالية“ التي تستهين بالتّمييز، وتفتقر إلى الحساسيّة، وتقلّل من التّعقيد. لذلك من الضّروري والملِّح معارضة هذا التّسارع والتّبسيط لحياتنا اليوميّة، وذلك بأن نتعلّم بأن نقيم المسافات بيننا وبين ما هو فوري، والإبطاء في العمل، والتّأمّل والإصغاء. يمكن أن يحدث هذا عندما يتوقَّف الشّخص، فيبدأ قراءة كتاب لا لأيّ هدف آخر.

32. من الضّروريّ أن نستعيد طرقًا مرنة غير استراتيجيّة للتعامل مع الواقع، لا تهدف مباشرة إلى تحقيق نتيجة، بل تسمح لفائض الوجود اللامحدود بأن يظهر. المسافة، والبطء، والحرّيّة هي ميزات مقاربة للواقع تجد في الآداب شكلًا من أشكال التّعبير ليس حصريًا، لكنّه متميِّز. فتصير الآداب ساحة تدريب حيث يمكننا أن ندرِّب نظرنا في البحث عن حقيقة الأشخاص والمواقف واستكشافها كأنها سِرّ، كأنّها مليئًة بمعنى فائض، ولا يمكن أن يظهر إلّا جزئيًا في فئات، وأطُر تفسيريّة، وفي ديناميكيّات سطحيّة مثل ربط النّتيجة بالسّبب، والغاية بالوسيلة.

33. صورة جميلة أخرى للتّعبير عن دور الآداب تأتي من فيزيولوجيا الجهاز البشريّ، وخاصّة من عمليّة الهضم. هنا المثال يأتي من "اجترار البقرة"، كما قال الرّاهب غيوم دي سانت تييري (Guillaume de Saint-Thierry) في القرن الحادي عشر، واليسوعيّ جان جوزيف سورين (Jean-Joseph Surin) في القرن السّابع عشر. يتكلَّم هذا الأخير عن ”معدة النّفس“، وقد أشار اليسوعيّ ميشيل دي سيرتو (Michel De Certeau) إلى ”فيزيولوجيا حقيقية للقراءة الهاضمة“.[28] إذن، تساعدنا الآداب على التّعبير عن حضورنا في العالم، و”هضمه“ واستيعابه، وفهم ما هو ما بعد الذي نعيشه. تفيد إذن في تفسير الحياة، والتّمييز بين المعاني ونزعاتها الأساسيّة.[29]

الرّؤيّة بعيون الآخرين

34. فيما يتعلّق بشكل الخطاب، يحدث ما يلي: عندما نقرأ نصًا أدبيًّا، نكون في وضع يسمح لنا "بـأن نرى بعيون الآخرين"[30]، فنكتسب منظورًا واسعًا يوسِّع إنسانيتنا. وهكذا يتمّ تنشيط قدرة الخيال التّعاطفيّ فينا، وهي وسيلة أساسيّة للقدرة على التّماهي مع وجهة نظر الآخرين وحالتهم ومشاعرهم، والتي بدونها لا يوجد تضامن أو مشاركة أو شفقة أو رحمة. عندما نقرأ نكتشف أنّ ما نشعر به ليس مُلكَنا فقط، بل هو شامل الجميع، ومن ثَمَّ حتّى أكثر الأشخاص المتروكين لن يشعروا بالوِحدة.

35. التّنوّع العجيب في الكائن البشريّ والتّعدديّة في اللحظات الزّمنيّة، العامّة أو المفردة، في الثّقافات والمعارف، يُعبَّر عنها في الآداب بلغة قادرة على احترام تنوّعها والتّعبير عنها، وفي الوقت نفسه تُوضَع في قوالب نحويّة رمزيّة تمنحها مفهومًا مشتركًا، ليس غريبًا. أصالة الكلمة الأدبيّة هي في أنّها تعبِّر عن غنى الخبرة وتنقلها من دون أن تحوِّلها إلى ”موضوع“ في الوصف التّعبيري في المعرفة التّحليليّة أو في الفحص المنظِّم للحكم النّقدي، بل هي مضمون جهد يحاول أن يعبِّر ويفسّر ويعطي معنى للخبرة المعنية.

36. عند نقرأ قصة، بفضل رؤيّة المؤلِّف، كلّ واحد يتخيّل بطريقته الخاصّة بكاء فتاة متروكة، أو امرأة مسنّة تغطيّ جسد حفيدها النّائم، وحماس رجل بالانتقاد من الجميع، والشّاب الذي يحلم بالطّريق الوحيد للخروج من آلام الحياة البائسة والعنيفة. عندما نشعر بآثار عالمنا الدّاخليّ وسط تلك القصّص، تزداد حساسيّتنا أمام خبرات الآخرين، ونخرج من أنفسنا لندخل إلى أعماقهم، فنستطيع أن نفهم أتعابهم ورغباتهم أكثر بعض الشّيء، ونرى الواقع بعيونهم، وفي النّهاية نصير رفاق سفرهم. وهكذا نندمج في الحياة العمليّة والدّاخليّة لبائع الخضار، والزّانية، والطّفل الذي يكبر بدون والديه، وامرأة عامل البناء، والمرأة المسنّة التي ما زالت تحلم بأنّها ستجد أميرها. ويمكننا أن نفعل ذلك بتعاطف، وأحيانًا بتسامح وتفهُّم.

37. كتب جان كوكتو (Jean Cocteau) إلى جاك ماريتان (Jacques Maritain): "الآداب مستحيلة، يجب أن نخرج منها، ولا جدوى من محاولة الخروج منها بالآداب لأنّ الحبّ والإيمان وحدهما يسمحان لنا بأن نخرج من أنفسنا"[31]. ولكن هل نخرج حقًّا من أنفسنا إن كانت آلام الآخرين وأفراحهم لا تحترق في قلوبنا؟ أُفضِّل أن أتذكّر أنّي، لكوني مسيحيًّا، لا يوجد شيء إنسانيّ لا يهُمُّني.

38. بالإضافة إلى ذلك، فإنّ الآداب ليست نسبويّة، لأنّها لا تجرّدنا من معايير القيمة. التّمثيل الرّمزي للخير والشّرّ، للصّواب والخطأ، كأبعاد تظهر في الآداب في الحياة الفرديّة والأحداث التّاريخيّة الجماعيّة، لا تلغي الحكم الأخلاقيّ، لكنّها تمنعه من أن يصير أعمى أو حكمًا سطحيًّا. يسوع يسألنا: "لماذا تَنظُرُ إِلى القَذى الَّذي في عَينِ أَخيك؟ والخَشَبَةُ الَّتي في عَينِكَ أَفَلا تَأبَهُ لها؟" (متّى 7، 3).

39. وفي عنف الآخرين أو محدوديتهم أو ضعفهم، لنا الفرصة للتّفكّير بشكل أفضل في أنفسنا. تفتح الآداب أمام القارئ رؤيّة واسعة للغنى والشّقاء في الخبرة الإنسانيّة، فتُربّي نظرته على قبول البطء في الفهم، والتّواضع في عدم تبسيط الأمور، والوداعة في عدم ادّعاء السّيطرة والحكم على الواقع والحالة الإنسانيّة. من المؤكّد أنّ هناك حاجة للحكم، لكن يجب ألّا ننسى أبدًا حدوده: في الواقع، يجب ألّا يُفهَمَ الحكم أبدًا أنّه حكم بالإعدام، أو بالإلغاء، أو بقمع الإنسانيّة لصالح شموليّة قانون جافّ.

40. نظرة الآداب تدرِّب القارئ على اللامركزيّة، وعلى معنى حدوده، وعلى التّخلّي عن السّيطرة، المعرفيّة والنّقديّة، على الخبرة، وتعلِّمه الفقر الذي هو مصدر غنى كبير. وبالاعتراف بعدم الفائدة، بل باستحالة إخضاع سرّ العالم والكائن البشريّ لمعارضة قطبيّة بين الصّواب والخطإ والصّحيح وغير الصحيح، يجد القارئ واجب الحكم، لا كأداة للسّيطرة، بل كدافع إلى إصغاء مستمرّ، واستعداد دائم للمغامرة في هذا الغنى الخارق في التّاريخ، والنّاجم عن حضور الرّوح، الذي يعطي نفسه وهو نعمة: مثل حدث لا يمكن التّنبّؤ به ولا فهمه، ولا يعتمد على عمل الإنسان، بل يعيد تعريف الإنسان على أنّه أمل الخلاص.

القدرة الرّوحيّة للآداب

41. أرجو أن أكون بيَّنت، في هذه الأفكار الموجزة، الدّور الذي يمكن أن تلعبه الآداب في تربية قلب الرّاعي وعقله، راعي المستقبل، نحو ممارسة حرّة ومتواضعة للطّاقة العقليّة الفرديّة، ونحو اعتراف مثمر بتعدّديّة اللغات البشريّة، وتوسيع حساسيّة الإنسان الإنسانيّة، وأخيرًا نحو انفتاح روحيّ كبير للإصغاء إلى الصّوت، صوت الله، من خلال أصوات عديدة.

42. بهذا المعنى، تساعد الآداب القارئ على تحطيم أصنام اللغات التي تجد مرجعيتها في ذاتها، والمكتفية بذاتها، والتي تهدّد أحيانًا بتلويث خطابنا الكنسيّ، بسجن حرّيّة كلمة الله. الكلمة الأدبيّة هي كلمة تحرِّك اللغة، وتحرّرها وتنقّيها: وأخيرًا، تفتحها على إمكانياتها التّعبيريّة والاستكشافيّة الإضافيّة، وتجعلها قادرة على التّرحيب بكلمة الله التي تستقر في كلمة الإنسان، وليس عندما تفهم نفسها على أنّها معرفة كاملة ونهائيّة، بل عندما تسهر وتصغي وتنتظر الذي سيأتي ”ليجعَلَ كُلَّ شَيءٍ جَديدًا“ (راجع رؤيّة 21، 5).

43. القدرة الرّوحيّة للآداب تذكّر أخيرًا بالمهمّة الأساسيّة التي أوكلها الله إلى الإنسان: مهمة ”تسميّة“ الكائنات والأشياء (راجع تكوين 2، 19- 20). مهمّة حارس الخليقة، التي أوكلها الله لآدم، هي أوّلًا إدراك الإنسان لواقعه الخاصّ ولمعنى وجود الكائنات الأخرى. الكاهن مكلّف أيضًا بهذه المهمّة الأصليّة التي هي ”تسميّة“، وإعطاء المعنى، وأن يكون أداة شركة ووَحدة بين الخليقة والكلمة المتجسِّد، وقدرته على إضاءة كلّ جانب من جوانب الحالة الإنسانيّة.

44. القرب بين الكاهن والشّاعر يظهر في هذا الاتّحاد السّريّ وغير المنفصل بين الكلمة الإلهيّة والكلمة البشريّة، وهو على أساس رتبة هي خدمة مليئة بالإصغاء والرّحمة، وهي موهبة تصير مسؤوليّة، وهي رؤيّة للحقيقة والخير تفضي إلى الجمال. لا يسعنا إلّا أن نصغي إلى الكلام الذي تركه لنا الشّاعر بول سيلان (Paul Celan): "من تعلَّم حقًّا أن يرى، اقترب من غير المرئيّ"[32].

صَدَرَ في روما، في بازيليكا القدّيس يوحنّا في اللاتران، في 17 تموز/يوليو 2024، الثّاني عشر من حبريّتنا.

فرنسيس

[01218-AR.01] [Testo originale: Italiano]

[B0600-XX.01]

 

 

[1] R. Latourelle, «Letteratura», in R. Latourelle - R. Fisichella, Dizionario di Teologia Fondamentale, Assisi (PG) 1990, 631.

 

 

[2] Cfr. A. Spadaro, «J. M. Bergoglio, il “maestrillo” creativo. Intervista all’alunno Jorge Milia», in La Civiltà Cattolica 2014 I 523-534.

 

 

[3] المجمع الفاتيكانيّ الثّاني، دستور رعائي في الكنيسة في عالم اليوم، فرح ورجاء، 62.

 

 

[4] K. Rahner, «Il futuro del libro religioso», in Nuovi saggi II, Roma 1968, 647.

 

 

[5] راجع الإرشاد الرّسوليّ، فرح الإنجيل، 117.

 

 

[6] A. Spadaro, Svolta di respiro. Spiritualità della vita contemporanea, Milano, Vita e Pensiero, 101.

 

 

[7] R. Latourelle, «Letteratura», 633.

 

 

[8] القدّيس يوحنّا بولس الثّاني، رسالة إلى الفنّانين، رقم 6.

 

 

[9] الإرشاد الرّسولي، فرح الإنجيل، 89.

 

 

[10] دستور رعائي في الكنيسة في عالم اليوم، فرح ورجاء - Gaudium et spes، رقم 22.

 

 

[11] M. PROUST, Alla ricerca del tempo perduto. I. La strada di Swann, Milano, Mondadori, 1983, 104 s.

 

 

[12] C.S. Lewis, Lettori e letture. Un esperimento di critica, Milano 1997, 165.

 

 

[13] Cfr. J.L. Borges, Borges, Oral, Buenos Aires 1979, 22.

 

 

[14] القدّيس بولس السّادس، عظة، قداس الفنّانين في الكابيلا سيكستينا، 7 أيّار/مايو 1964.

 

 

[15] T.S. Eliot, The Idea of a Christian Society, London 1946, 30.

 

 

[16] مؤتمر صحفيّ لقداسة البابا فرنسيس أثناء رحلة العودة من الزيارة الرّسوليّة إلى تايلاند واليابان، 26 تشرين الأوّل/نوفمبر 2019.

 

 

[17] Cfr. A. Spadaro, La grazia della parola. Karl Rahner e la poesia, Milano, Jaca Book, 2006.

 

 

[18] K. Rahner, «Sacerdote e poeta» in La fede in mezzo al mondo, Alba 1963, 131-173.

 

 

[19] Ivi 171 s.

 

 

[20] Ivi, 146.

 

 

[21] القدّيس أغناطيوس دي لويولا، رياضات روحيّة، رقم 317.

 

 

[22] راجع المؤلّف نفسه، رقم 335.

 

 

[23] المؤلّف نفسه، رقم 314.

 

 

[24] Cfr. K. Rahner, «Sacerdote e poeta» in La Fede in mezzo al mondo, Alba 1963, 141.

 

 

[25] Cfr. A Spadaro, La pagina che illumina. Scrittura creativa come esercizio spirituale, Milano, Ares, 2023, 46-47.

 

 

[26] M. Proust, À la recherche du temps perdu. Le temps retrouvé, Paris 1954, Vol. III, 1041.

 

 

[27] A. Spadaro, La pagina che illumina…cit., 14.

 

 

[28] M. De Certeau, Il parlare angelico. Figure per una poetica della lingua (Secoli XVI e XVII), Firenze 1989, 139 s.

 

 

[29] Cfr. A. Spadaro, La pagina che illumina…cit., 16.

 

 

[30] C.S. Lewis, Lettori e letture. Un esperimento di critica, Milano 1997, 165.

 

 

[31] J. Cocteau – J. Maritain, Dialogo sulla fede, Firenze, Passigli, 1988, 56. Cfr. A. Spadaro, La pagina che illumina…cit., 11-12.

 

 

[32] P. Celan, Microliti, Milano 2020, 101.