Testo in lingua italiana
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Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Testo in lingua italiana
XVI ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA
DEL SINODO DEI VESCOVI
Come essere Chiesa sinodale missionaria
Instrumentum laboris
per la Seconda Sessione (ottobre 2024)
Sommario
Introduzione
Tre anni di cammino
Uno strumento di lavoro per la Seconda Sessione
Fondamenti
La Chiesa Popolo di Dio, sacramento di unità
Il significato condiviso di sinodalità
L’unità come armonia nelle differenze
Sorelle e fratelli in Cristo: una rinnovata reciprocità
Chiamata alla conversione e alla riforma
Parte I – Relazioni
In Cristo e nello Spirito: l’iniziazione cristiana
Per il Popolo di Dio: carismi e ministeri
Con i Ministri ordinati: a servizio dell’armonia
Tra le Chiese e nel mondo: la concretezza della comunione
Parte II – Percorsi
Una formazione integrale e condivisa
Il discernimento ecclesiale per la missione
L’articolazione dei processi decisionali
Trasparenza, rendiconto, valutazione
Parte III – Luoghi
Territori in cui camminare insieme
Le Chiese locali nell’una e unica Chiesa Cattolica
I legami che danno forma all’unità della Chiesa
Il servizio all’unità del Vescovo di Roma
Conclusione – La Chiesa sinodale nel mondo
SIGLE
AG Concilio Vaticano II, Decr. Ad gentes (7 dicembre 1965)
CD Concilio Vaticano II, Decr. Christus Dominus (28 ottobre 1965)
CIC Codex iuris canonici (25 gennaio 1983)
CTI Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa (2 marzo 2018)
DTC Segreteria Generale del Sinodo, Documento per la Tappa Continentale (27 ottobre 2022)
DV Concilio Vaticano II, Cost. Dogm. Dei Verbum (18 novembre 1965)
EG Francesco, Esort. Ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013)
GS Concilio Vaticano II, Cost. Past. Gaudium et spes (7 dicembre 1965)
LG Concilio Vaticano II, Cost. Dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964)
LS Francesco, Lett. Enc. Laudato si’ (24 maggio 2015)
PE Francesco, Cost. Ap. Praedicate Evangelium (19 marzo 2022)
RdS XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Relazione di Sintesi (28 ottobre 2023)
SC Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963)
UR Concilio Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio (21 novembre 1964)
UUS S. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint (25 maggio 1995)
Introduzione
Preparerà il Signore dell’universo per tutti i popoli, su questo monte,
un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti,
di cibi succulenti, di vini raffinati.
Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli
e la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre.
Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto,
l'ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra,
poiché il Signore ha parlato.
Is 25,6-8
Il profeta Isaia presenta l’immagine di un banchetto sovrabbondante e prelibato preparato dal Signore sulla cima del monte, simbolo di convivialità e di comunione, destinato a tutti i popoli. Al momento di tornare al Padre, il Signore Gesù affida ai suoi discepoli il compito di raggiungere tutti i popoli, per servire loro un banchetto fatto di un cibo che dona pienezza di vita e di gioia. Attraverso la sua Chiesa, guidata dal suo Spirito, il Signore vuole riaccendere la speranza nel cuore dell’umanità, restituire la gioia e salvare tutti, in particolare coloro che hanno il volto rigato di lacrime e verso di Lui gridano nell’angoscia. Le loro grida giungono alle orecchie di tutti i discepoli di Cristo, uomini e donne che camminano nelle profondità delle vicende umane. Il loro stridore è ancora più forte in questo tempo in cui il cammino sinodale è stato accompagnato dallo scoppio di nuove guerre e conflitti armati, che si sono aggiunti ai troppi che continuano a insanguinare il mondo.
Al cuore del Sinodo 2021-2024. Per una Chiesa sinodale. Comunione, partecipazione, missione c’è una chiamata alla gioia e al rinnovamento del Popolo di Dio nella sequela del Signore e nell’impegno al servizio della sua missione. La chiamata a essere discepoli missionari si fonda sulla comune identità battesimale, si radica nella diversità di contesti in cui la Chiesa[1] è presente e trova unità nell’unico Padre, nell’unico Signore e nell’unico Spirito. Essa interpella tutti i Battezzati, senza eccezioni: «Tutto il Popolo di Dio è il soggetto dell’annuncio del Vangelo. In esso, ogni Battezzato è convocato per essere protagonista della missione poiché tutti siamo discepoli missionari» (CTI, n. 53). Questo rinnovamento trova espressione in una Chiesa che, radunata dallo Spirito mediante la Parola e il Sacramento (cfr. CD 11), annuncia la salvezza che continuamente sperimenta a un mondo affamato di senso e assetato di comunione e solidarietà. È per questo mondo che il Signore prepara un banchetto sul suo monte.
Praticare la sinodalità è il modo attraverso cui rinnoviamo oggi il nostro impegno per questa missione ed è espressione della natura della Chiesa. Crescere come discepoli missionari vuol dire, innanzi tutto, rispondere alla chiamata di Gesù a seguirlo, corrispondendo al dono ricevuto quando siamo stati battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; e poi vuol dire imparare ad accompagnarci a vicenda come Popolo di pellegrini in cammino nella storia verso una destinazione comune, la Città celeste. Percorrendo questo cammino, spezzando il pane della Parola e dell’Eucarestia, veniamo trasformati in ciò che riceviamo. Comprendiamo così che la nostra identità di Popolo salvato e reso santo ha una imprescindibile dimensione comunitaria che abbraccia tutte le generazioni di credenti che ci hanno preceduto e ci seguiranno: la salvezza da ricevere e da testimoniare è relazionale, poiché nessuno si salva da solo. O meglio, usando le parole del contributo di una Conferenza Episcopale asiatica, cresciamo pian piano in questa consapevolezza: «La sinodalità non è semplicemente un obiettivo, ma un cammino di tutti i Fedeli, da compiere insieme mano nella mano. Per questo comprenderne appieno il senso richiede tempo»[2]. Sant’Agostino parla della vita cristiana come di un pellegrinaggio solidale, un camminare insieme «verso Dio non a passi, ma con gli affetti» (Discorso 306 B, 1), condividendo una vita fatta di preghiera, annuncio e amore per il prossimo.
Il Concilio Vaticano II insegna che «a questa unione con Cristo luce del mondo sono chiamati tutti gli uomini: da lui veniamo, per lui viviamo, verso di lui tendiamo» (LG 3). Al cuore del cammino sinodale sta il desiderio, antico e sempre nuovo, di comunicare a tutti la promessa e l’invito del Signore, custoditi nella tradizione viva della Chiesa, di riconoscere la presenza del Risorto in mezzo a noi e di accogliere i molti frutti dell’azione del suo Spirito. La visione della Chiesa, Popolo di pellegrini, che in ogni parte della terra è alla ricerca della conversione sinodale per amore della propria missione, ci guida mentre con gioia e speranza avanziamo nel percorso del Sinodo. Questa visione contrasta duramente con la realtà di un mondo in crisi, le cui ferite e scandalose disuguaglianze risuonano dolorosamente nel cuore di tutti i discepoli di Cristo, spingendoci a pregare per tutte le vittime della violenza e dell’ingiustizia e a rinnovare il nostro impegno a fianco delle donne e degli uomini che in ogni parte del mondo si adoperano come artigiani di giustizia e di pace.
Tre anni di cammino
Dopo l’apertura del processo sinodale il 9-10 ottobre 2021, le Chiese locali di tutto il mondo, con ritmi diversi ed espressioni multiformi, si sono impegnate in una prima fase di ascolto. Appartenere alla Chiesa significa essere inseriti nell’unico Popolo di Dio, costituito da persone e comunità che vivono in tempi e luoghi concreti: da queste comunità è partito l’ascolto sinodale, passando poi per le tappe diocesane, nazionali e continentali, in un continuo dialogo rilanciato dalla Segreteria Generale del Sinodo attraverso documenti di sintesi e di lavoro. La circolarità del processo sinodale è un modo per riconoscere e valorizzare il radicamento della Chiesa in una varietà di contesti, a servizio dei legami che li uniscono.
La novità di questa prima fase è stata l’esperienza delle Assemblee continentali, che hanno riunito le Chiese locali della medesima macroregione, invitandole a imparare ad ascoltarsi, ad accompagnarsi a vicenda nel cammino e a discernere insieme le sfide principali che il contesto in cui si trovano pone alla realizzazione della missione.
La Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (ottobre 2023) ha aperto la seconda fase, accogliendo i frutti di questo ascolto per discernere, nella preghiera e nel dialogo, i passi che lo Spirito chiede di compiere. Tale fase prosegue fino alla conclusione della Seconda Sessione (ottobre 2024), che offrirà al Santo Padre il frutto del proprio lavoro, in vista di una più intensa attuazione concreta da parte di tutte le Chiese locali.
La preparazione della Seconda Sessione si fonda necessariamente sui risultati della Prima, raccolti nella RdS. Sulla sua base, in linea con la circolarità che contraddistingue l’intero processo sinodale e in vista di una precisa focalizzazione dei lavori della Seconda Sessione, è stata avviata una ulteriore consultazione delle Chiese locali di tutto il mondo, a partire da una domanda guida: «Come essere Chiesa sinodale in missione?». Come spiega il documento Verso ottobre 2024[3], l’obiettivo della consultazione era «identificare le vie da percorrere e gli strumenti da adottare nei diversi contesti e nelle diverse circostanze, così da valorizzare l’originalità di ogni Chiesa locale e di ogni Battezzato nell’unica missione di annunciare il Signore risorto e il suo Vangelo al mondo di oggi. Non si tratta dunque di limitarsi al piano dei miglioramenti tecnici o procedurali che rendano più efficienti le strutture della Chiesa, ma di lavorare sulle forme concrete dell’impegno missionario a cui siamo chiamati, nel dinamismo tra unità e diversità proprio di una Chiesa sinodale».
Le risposte alla domanda guida inviate dalla gran parte delle Conferenze Episcopali e dai loro raggruppamenti continentali, dalle Chiese Orientali Cattoliche, dalle Diocesi che non fanno parte di una Conferenza Episcopale, dai Dicasteri della Curia Romana, dall’Unione Superiori Generali e dall’Unione Internazionale delle Superiore Generali in rappresentanza della vita consacrata, così come le testimonianze di esperienze e buone pratiche giunte da ogni parte del mondo e le osservazioni di quasi duecento realtà internazionali, facoltà universitarie, associazioni di Fedeli, comunità e singole persone, hanno costituito la base per la redazione di questo Instrumentum laboris per la Seconda Sessione, radicandolo nella vita del Popolo di Dio di tutto il mondo.
Queste voci hanno dato espressione alla gratitudine per il cammino fatto, alle fatiche che esso talvolta richiede, ma soprattutto al desiderio di muovere passi in avanti. Così si esprime una Conferenza Episcopale dell’America settentrionale: «La gratitudine per il cammino sinodale è profonda […] Rimangono anche tensioni, che richiederanno di proseguire nella riflessione e nel dialogo, traendo ispirazione dall’idea di cultura dell’incontro proposta da Papa Francesco. Ma queste tensioni non rompono la comunione della carità nella Chiesa». Ricordano anche che la strada da fare è ancora lunga.
Come già nelle fasi precedenti, vengono riaffermati i frutti dell’adozione del metodo della conversazione nello Spirito. Segnala ad esempio una federazione di Conferenze Episcopali: «Molte sintesi provenienti da tutta l’Asia esprimono un incredibile entusiasmo per la metodologia sinodale, che usa la conversazione nello Spirito come punto di partenza del cammino. Molte Diocesi e Conferenze Episcopali hanno introdotto questo metodo nelle loro strutture, con grande successo». Questo entusiasmo si è già tradotto in passi concreti di sperimentazione di un modo di procedere più sinodale. In una Conferenza Episcopale europea «si è deciso di avviare una fase di sperimentazione sinodale di cinque anni. A livello nazionale si tratta di sviluppare, valutare e perfezionare forme di consultazione sinodale, di dialogo, di discernimento, così come processi decisionali che articolino la fase dell’elaborazione (decision-making) con la presa della decisione (decision-taking). Si prenderanno in considerazione le esperienze delle Diocesi, così come gli sviluppi sinodali nelle altre parti del mondo e nella Chiesa universale. Siamo all’inizio di un percorso di apprendimento esigente ma importante». Grande è la consapevolezza del valore delle Chiese locali e del loro cammino, della ricchezza di cui sono portatrici e della necessità che le loro voci siano ascoltate. Secondo la sintesi inviata da una Conferenza Episcopale africana «non si possono più considerare e trattare le Chiese locali semplicemente come destinatarie dell’annuncio del Vangelo, che hanno poco o nulla con cui contribuire».
A questi contributi si sono aggiunti i frutti dell’Incontro internazionale “I Parroci per il Sinodo” (Sacrofano [Roma], 28 aprile – 2 maggio 2024), che ha consentito di dare ascolto ai Presbiteri impegnati nel ministero parrocchiale. Le sintesi dei gruppi di lavoro esprimono innanzi tutto «la gioia per la possibilità di ascoltarsi a vicenda: una esperienza arricchente, che ha alimentato un profondo senso di comprensione e di rispetto per le specificità del contesto di provenienza di ciascuno». Esprimono «il bisogno di una nuova comprensione del ruolo del Parroco in una Chiesa sinodale, nel rispetto della varietà delle tradizioni nella Chiesa» e la preoccupazione di non riuscire a raggiungere le periferie e coloro che vivono ai margini: «Se la Chiesa vuole essere sinodale, deve ascoltare queste persone».
Ugualmente hanno offerto materiali per la redazione di questo Instrumentum laboris i cinque Gruppi di lavoro costituiti dalla Segreteria Generale del Sinodo, composti da esperti di diversa provenienza geografica, genere e condizione ecclesiale, che hanno lavorato con metodo sinodale in vista di un approfondimento teologico e canonistico della nozione di sinodalità e delle sue implicazioni per la vita della Chiesa[4].
A un gruppo di esperti, composto da Vescovi, Presbiteri, Consacrati, Laici, uomini e donne, teologi, canonisti e biblisti, di tutti i continenti e di diversa condizione ecclesiale, è stato affidato il compito di leggere tutti i contributi e materiali pervenuti, articolando le risposte date alla domanda fondamentale in vista della redazione di questo Instrumentum laboris. Le riflessioni di questo gruppo, così come quelle dei cinque Gruppi di lavoro sopra menzionati, confluiranno anche nel sussidio che accompagnerà questo Instrumentum laboris, scandagliando il fondamento teologico di alcuni contenuti.
A fianco al lavoro di preparazione della Seconda Sessione, ha preso il via quello dei dieci Gruppi di studio[5], incaricati di approfondire altrettante tematiche[6] emergenti dalla RdS, identificate dal Santo Padre al termine di una consultazione internazionale. Questi Gruppi di studio, formati da Pastori ed esperti di tutti i continenti, seguono un metodo di lavoro sinodale, sono «costituiti di comune accordo tra i Dicasteri della Curia Romana competenti per i diversi temi e la Segreteria Generale del Sinodo, a cui è affidato il coordinamento», in base al Chirografo firmato da Papa Francesco il 16 febbraio 2024 e nello spirito della Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium (art. 33). Dovranno completare l’approfondimento entro giugno 2025, se possibile, ma offriranno all’Assemblea di ottobre 2024 una relazione sullo stato di avanzamento dei lavori. In questo modo, senza aspettare la conclusione della Seconda Sessione, Papa Francesco ha già recepito alcune indicazioni della Prima e avviato i lavori della fase di attuazione, nella forma prevista dalla Costituzione Apostolica Episcopalis Communio: «Insieme al Dicastero della Curia Romana competente, nonché, secondo il tema e le circostanze, agli altri Dicasteri in vario modo interessati, la Segreteria Generale del Sinodo promuove per la propria parte l’attuazione degli orientamenti sinodali approvati dal Romano Pontefice» (art. 20, c. 1). Inoltre, d’intesa con il Dicastero per i Testi Legislativi, al servizio del Sinodo è stata istituita una Commissione canonistica. Infine, in attuazione dell’indicazione data dalla Prima Sessione (cfr. RdS 16q), il 25 aprile 2024 il SECAM (Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar) ha annunciato la costituzione di una Commissione speciale per il discernimento delle implicazioni teologiche e pastorali della poligamia per la Chiesa in Africa.
Uno strumento di lavoro per la Seconda Sessione
Attraverso un cammino intessuto di silenzio, preghiera, ascolto della Parola di Dio, dialogo fraterno e incontri gioiosi, a volte non privi di fatiche, come Popolo di Dio abbiamo maturato una più profonda consapevolezza della nostra relazione di fratelli e sorelle in Cristo, con la comune responsabilità di essere una comunità di salvati che con la parola e con la vita annuncia al mondo intero la bellezza del Regno di Dio. Questa identità non è una idea astratta, ma una esperienza vissuta, intessuta di nomi e volti. Nella preparazione alla Seconda Sessione, e durante i suoi lavori, continuiamo ad affrontare questa domanda: come l’identità di Popolo di Dio sinodale in missione può prendere forma concreta nelle relazioni, percorsi e luoghi nel cui intreccio si svolge la vita della Chiesa?
A questo scopo deve servire il presente Instrumentum laboris, per cui vale quanto già si affermava di quello per la Prima Sessione: «non è un documento del Magistero della Chiesa, né il report di una indagine sociologica; non offre la formulazione di indicazioni operative, di traguardi e obiettivi, né la compiuta elaborazione di una visione teologica» (n. 10; cfr. DTC n. 8). Per comprenderlo è fondamentale collocarlo all’interno del processo sinodale nel suo insieme, in quanto è intessuto della circolarità del dialogo tra le Chiese, animato e sostenuto dal lavoro della Segreteria Generale del Sinodo. La Prima Sessione dell’Assemblea (2023) aveva raccolto i frutti della doppia consultazione locale e continentale alla ricerca sui «segni caratteristici di una Chiesa sinodale e sulle dinamiche di comunione, missione e partecipazione che la abitano» (RdS, Introduzione). Attraverso la preghiera, il dialogo e il discernimento ha raccolto ed espresso nella RdS le convergenze, le questioni da affrontare e le proposte emerse dal lavoro comune. Ne emerge quella che possiamo descrivere come una prima risposta alla domanda «Chiesa sinodale, che dici di te stessa?». La Seconda Sessione non ripercorre gli stessi passi, ma è chiamata ad andare oltre, focalizzandosi sulla sua domanda guida: «Come essere Chiesa sinodale in missione?». Su altre questioni emerse durante il cammino il lavoro sta proseguendo con altre modalità, a livello delle Chiese locali così come nei dieci Gruppi di studio. Le due Sessioni non possono essere separate, né tantomeno opposte: sono in continuità, e soprattutto fanno parte di un processo più ampio che, sulla base di quanto indicato dalla Costituzione Apostolica Episcopalis communio, non terminerà alla fine di ottobre 2024.
Concretamente questo Instrumentum laboris si apre con una sezione dedicata ai Fondamenti della comprensione della sinodalità, che ripropone la consapevolezza maturata lungo il percorso e sancita dalla Prima Sessione. Seguono tre Parti strettamente intrecciate, che illuminano da prospettive diverse la vita sinodale missionaria della Chiesa: I) la prospettiva delle Relazioni – con il Signore, tra i fratelli e le sorelle e tra le Chiese – che sostengono la vitalità della Chiesa ben più radicalmente delle sue strutture; II) la prospettiva dei Percorsi che sorreggono e alimentano nella concretezza il dinamismo delle relazioni; III) la prospettiva dei Luoghi che, contro la tentazione di un universalismo astratto, parlano della concretezza dei contesti in cui si incarnano le relazioni, con la loro varietà, pluralità e interconnessione, e con il loro radicamento nel fondamento sorgivo della professione di fede. Ciascuna di queste Sezioni sarà oggetto della preghiera, dello scambio e del discernimento in uno dei moduli che scandiranno i lavori della Seconda Sessione, in cui ciascuno sarà invitato a «offrire il proprio contributo come un dono per gli altri e non come una certezza assoluta» (RdS, Introduzione), in un percorso che i membri dell’Assemblea sono chiamati a scrivere insieme. Su questa base sarà elaborato un Documento Finale, relativo a tutto il processo finora compiuto, che offrirà al Santo Padre orientamenti sui passi da compiere e sulle modalità concrete per farlo.
Possiamo aspettarci un approfondimento della comprensione condivisa della sinodalità, una migliore messa a fuoco delle pratiche di una Chiesa sinodale e anche la proposta di qualche cambiamento nel diritto canonico (altri, più significativi, ce ne potranno essere dopo aver meglio assimilato e vivificato la proposta di fondo), ma certo non la risposta ad ogni domanda. Anche perché altre ne emergeranno lungo il cammino di conversione e di riforma che la Seconda Sessione inviterà la Chiesa tutta a compiere. Tra i guadagni del processo fin qui svolto possiamo certamente annoverare l’aver sperimentato e appreso un metodo con cui affrontare insieme le questioni, nel dialogo e nel discernimento. Stiamo ancora imparando come essere Chiesa sinodale missionaria, ma è un compito che abbiamo sperimentato di poter intraprendere con gioia.
Fondamenti
Questa sezione dell’Instrumentum laboris cerca di delineare i fondamenti della visione di una Chiesa sinodale missionaria, invitandoci ad approfondire la comprensione del mistero della Chiesa. Lo fa senza pretendere di offrire un trattato completo di ecclesiologia, ma ponendosi a servizio del percorso di discernimento dell’Assemblea sinodale di ottobre 2024. Rispondere alla domanda «Come essere Chiesa sinodale in missione?» richiede un orizzonte entro cui inserire le riflessioni e le proposte pastorali e teologiche, orientando un percorso che è fondamentalmente un cammino di conversione e riforma. A loro volta, i passi concreti che la Chiesa intraprenderà consentiranno di mettere meglio a fuoco l’orizzonte e approfondire la comprensione dei fondamenti, in una circolarità che segna tutta la storia della Chiesa.
In Cristo, luce di tutte le genti, siamo un unico Popolo di Dio, chiamato a essere segno e strumento dell’unione con Dio e dell’unità del genere umano. Lo facciamo camminando insieme nella storia, vivendo la comunione che si alimenta alla vita trinitaria, promovendo la partecipazione di tutti, in vista della comune missione. Questa visione è ben radicata nella tradizione viva della Chiesa. Il processo sinodale ha permesso di maturarne una rinnovata consapevolezza, che si esprime nelle convergenze emerse durante il cammino iniziato nel 2021. La Prima Sessione dell’Assemblea sinodale (ottobre 2023) le ha riconosciute e raccolte nella RdS, che le ha rilanciate alla Chiesa intera in vista del discernimento che completerà la Seconda Sessione.
La Chiesa Popolo di Dio, sacramento di unità
1. Dal Battesimo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo scaturisce l’identità mistica, dinamica e comunitaria del Popolo di Dio, orientata alla pienezza della vita in cui il Signore Gesù ci precede e alla missione di invitare ogni uomo e ogni donna ad accogliere nella libertà il dono della salvezza (cfr. Mt 28,18-19). Nel Battesimo Gesù ci riveste di sé, condivide con noi la sua identità e la sua missione (cfr. Gal 3,27).
2. «È piaciuto a Dio di santificare e salvare gli uomini non separatamente e senza alcun legame fra di loro, ma ha voluto costituirli in un Popolo che lo riconoscesse nella verità e lo servisse nella santità» (LG 9), partecipando della comunione della Trinità. Nel suo Popolo e attraverso di esso, Dio realizza e manifesta la salvezza che ci dona in Cristo. La sinodalità è radicata in questa visione dinamica di Popolo di Dio con una vocazione universale alla santità e alla missione, in pellegrinaggio verso il Padre sulle orme di Gesù Cristo e animato dallo Spirito Santo. Nei diversi contesti nei quali vive e cammina, questo Popolo di Dio sinodale e missionario annuncia e testimonia la Buona Notizia della salvezza; camminando insieme a tutti i popoli della terra, con le loro culture e le loro religioni, dialoga con loro e li accompagna.
3. Il processo sinodale ha sviluppato la consapevolezza di che cosa significa essere Popolo di Dio riunito come «Chiesa da ogni tribù, lingua, popolo e nazione» (RdS 5), che vive il suo cammino verso il Regno in contesti e culture diverse. Il Popolo di Dio è il soggetto comunitario che attraversa le tappe della storia della salvezza, in cammino verso la pienezza. Il Popolo di Dio non è mai la somma dei Battezzati, ma il “noi” della Chiesa, soggetto comunitario e storico della sinodalità e della missione, perché tutti possano ricevere la salvezza preparata da Dio. Incorporati in questo Popolo per la fede e il Battesimo, siamo accompagnati dalla Vergine Maria, «segno di sicura speranza e di consolazione per il Popolo di Dio che è in cammino fino a quando arriverà il giorno del Signore (cfr. 2Pt 3,10)» (LG 68), dagli Apostoli, da coloro che hanno testimoniato la loro fede fino a dare la vita, dai santi riconosciuti e dai santi “della porta accanto”.
4. «La luce delle genti è Cristo» (LG 1) e questa luce risplende sul volto della Chiesa, che «è, in Cristo, come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (ibid.). Come la luna, la Chiesa brilla di luce riflessa: non può quindi intendere la propria missione in senso autoreferenziale, ma riceve la responsabilità di essere il sacramento dei legami, delle relazioni e della comunione in vista dell’unità di tutto il genere umano, anche nel nostro tempo così dominato dalla crisi della partecipazione, cioè del sentirsi parte di un destino comune, e da una concezione troppo spesso individualista della felicità e quindi della salvezza. Nella missione la Chiesa comunica al mondo il progetto di Dio di unire a sé tutta l’umanità nella salvezza. Nel farlo non annuncia sé stessa, «ma Cristo Gesù Signore» (2Cor 4,5). Se così non fosse, smarrirebbe il suo essere, in Cristo, «come sacramento» (cfr. LG 1) e dunque la propria identità e ragion d’essere. Nella via verso la pienezza, la Chiesa è il sacramento del Regno di Dio nel mondo.
Il significato condiviso di sinodalità
5. I termini sinodalità e sinodale, derivati dall’antica e costante pratica ecclesiale del radunarsi in sinodo[7], grazie all’esperienza degli ultimi anni sono stati maggiormente compresi e più ancora vissuti. Sempre più essi sono stati associati al «desiderio di una Chiesa più vicina alle persone, meno burocratica e più relazionale» (RdS 1b), che sia casa e famiglia di Dio. Nel corso della sua Prima Sessione, l’Assemblea ha maturato una convergenza sul significato di “sinodalità” che sta alla base di questo Instrumentum laboris. I diversi percorsi di approfondimento attualmente in corso puntano a mettere meglio a fuoco la prospettiva cattolica su questa dimensione costitutiva della Chiesa, in un dialogo con le altre tradizioni cristiane rispettoso delle differenze e delle peculiarità di ciascuna. Nel suo senso più ampio, «la sinodalità è il camminare insieme dei cristiani con Cristo e verso il Regno, in unione a tutta l’umanità; orientata alla missione, essa comporta il riunirsi in assemblea ai diversi livelli della vita ecclesiale, l’ascolto reciproco, il dialogo, il discernimento comunitario, la creazione del consenso come espressione del rendersi presente di Cristo vivo nello Spirito e l’assunzione di una decisione in una corresponsabilità differenziata» (RdS 1h).
6. Sinodalità designa pertanto «lo stile peculiare che qualifica la vita e la missione della Chiesa» (CTI, n. 70), uno stile che parte dall’ascolto come primo atto della Chiesa. La fede, che nasce dall’ascolto dell’annuncio della Buona Notizia (cfr. Rm 10,17), dell’ascolto vive: ascolto della Parola di Dio, ascolto dello Spirito Santo, ascolto gli uni degli altri, ascolto della tradizione viva della Chiesa e del suo magistero. Nelle tappe del processo sinodale, ancora una volta la Chiesa ha sperimentato ciò che le Scritture insegnano: è possibile annunciare solo ciò che si è ascoltato.
7. La sinodalità «deve esprimersi nel modo ordinario di vivere e operare della Chiesa […e] si realizza attraverso l’ascolto comunitario della Parola e la celebrazione dell’Eucaristia, la fraternità della comunione e la corresponsabilità e partecipazione di tutto il Popolo di Dio, ai suoi vari livelli e nella distinzione dei diversi ministeri e ruoli, alla sua vita e alla sua missione» (ibid.). Il termine indica poi le strutture e i processi ecclesiali in cui la natura sinodale della Chiesa si esprime a livello istituzionale, e infine designa quegli eventi particolari in cui la Chiesa è convocata dall’autorità competente (cfr. ibid.). Nel suo riferirsi alla realtà della Chiesa, la categoria di sinodalità non si pone come alternativa a quella di comunione. Infatti, nel contesto dell’ecclesiologia del Popolo di Dio illustrata dal Concilio Vaticano II, il concetto di comunione esprime la sostanza profonda del mistero e della missione della Chiesa, che ha nella celebrazione dell’Eucaristia la sua fonte e il suo culmine, ossia l’unione con Dio Trinità e l’unità tra le persone umane che si realizza in Cristo mediante lo Spirito Santo. La sinodalità, nello stesso contesto, «indica lo specifico modo di vivere e operare della Chiesa Popolo di Dio che manifesta e realizza in concreto il suo essere comunione nel “camminare insieme”, nel radunarsi in assemblea e nel partecipare attivamente di tutti i suoi membri alla sua missione evangelizzatrice» (CTI, n. 6).
8. La sinodalità non comporta in alcun modo la svalutazione della particolare autorità e lo specifico compito che Cristo stesso affida ai Pastori: i Vescovi con i Presbiteri, loro collaboratori, e il Romano Pontefice quale «perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei Fedeli» (LG 23). Piuttosto, offre «la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico» (Francesco, Discorso in commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015), invitando tutta la Chiesa, compresi quanti esercitano un’autorità, a una vera conversione e riforma.
9. La sinodalità non è fine a sé stessa. In quanto offre la possibilità di esprimere la natura della Chiesa e in quanto permette di valorizzare tutti carismi, le vocazioni e i ministeri nella Chiesa, essa consente alla comunità di coloro che «credono e guardano a Gesù» (LG 9) di annunciare nel modo più adeguato il Vangelo alle donne e agli uomini di ogni luogo e di ogni tempo, e di essere «sacramento visibile» (ibid.) dell’unità salvifica voluta da Dio. Sinodalità e missione sono dunque intimamente congiunte. Se la Seconda Sessione mette a fuoco alcuni aspetti della vita sinodale, lo fa in vista di una maggiore efficacia nella missione. Allo stesso tempo, la sinodalità è la condizione per proseguire il cammino ecumenico verso l’unità visibile di tutti i cristiani. Della recezione dei frutti del cammino ecumenico nelle prassi ecclesiali si occupa il Gruppo di studio n. 10.
L’unità come armonia nelle differenze
10. Il dinamismo della comunione ecclesiale e quindi della vita sinodale della Chiesa trova nella liturgia eucaristica il proprio modello e il proprio compimento. In essa la comunione dei Fedeli (communio Fidelium) è al tempo stesso la comunione delle Chiese (communio Ecclesiarum), che si manifesta nella comunione dei Vescovi (communio Episcoporum), in ragione del principio antichissimo che «la Chiesa è nel Vescovo e il Vescovo è nella Chiesa» (S. Cipriano, Epistola 66, 8). Al servizio della comunione il Signore ha posto l’apostolo Pietro (cfr. Mt 16,18) e i suoi successori. In forza del ministero petrino, il Vescovo di Roma è «il perpetuo e visibile principio e il fondamento» (LG 23) dell’unità della Chiesa, espressa nella comunione di tutti i Fedeli, di tutte le Chiese, di tutti i Vescovi. Si manifesta così l’armonia che lo Spirito opera nella Chiesa, Lui che è l’armonia in persona (cfr. S. Basilio, Sul Salmo 29, 1)
11. Lungo il processo sinodale, il desiderio di unità della Chiesa è cresciuto di pari passo con la consapevolezza delle diversità di cui è portatrice. Proprio la condivisione tra le Chiese ha ricordato che non c’è missione senza contesto, ossia senza una chiara consapevolezza che il dono del Vangelo è offerto a persone e comunità che vivono in tempi e luoghi particolari, non chiusi in sé stessi ma portatori di storie che vanno riconosciute, rispettate, invitate ad aprirsi a più ampi orizzonti. Uno dei doni più grandi ricevuti lungo il cammino è stata la possibilità di incontrare e celebrare la bellezza del «volto pluriforme della Chiesa» (S. Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte, 40). Il rinnovamento sinodale favorisce la valorizzazione dei contesti come luogo in cui si rende presente e si realizza l’universale chiamata di Dio a far parte del suo Popolo, di quel Regno di Dio che è «giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Rm 14,17). In questo modo, culture diverse sono in grado di cogliere l’unità che sottende e completa la loro vibrante pluralità. La valorizzazione dei contesti, delle culture e delle diversità è una chiave per crescere come Chiesa sinodale missionaria.
12. Ugualmente è cresciuta la consapevolezza della varietà di carismi e vocazioni che lo Spirito Santo costantemente suscita nel Popolo di Dio. Nasce così il desiderio di crescere nella capacità di discernerli, di comprenderne le relazioni all’interno della vita concreta di ciascuna Chiesa e della Chiesa tutta, e soprattutto di articolarli per il bene della missione. Questo significa anche riflettere più profondamente sulla questione della partecipazione in rapporto con la comunione e la missione. In ogni fase del processo è emerso il desiderio di ampliare le possibilità di partecipazione e di esercizio della corresponsabilità di tutti i Battezzati, uomini e donne, nella varietà dei loro carismi, vocazioni e ministeri. Questo desiderio punta in tre direzioni. La prima è la necessità di “aggiornare” la capacità di annuncio e trasmissione della fede con modalità e mezzi appropriati al contesto attuale. La seconda è il rinnovamento della vita liturgica e sacramentale, a partire da celebrazioni belle, dignitose, accessibili, pienamente partecipative, ben inculturate e capaci di alimentare lo slancio verso la missione. La terza direzione muove dalla tristezza provocata dalla mancata partecipazione di tanti membri del Popolo di Dio a questo cammino di rinnovamento ecclesiale e dalla fatica della Chiesa nel vivere pienamente una sana relazionalità tra uomini e donne, tra generazioni e tra persone e gruppi di diverse identità culturali e condizioni sociali, in particolare i poveri e gli esclusi. Questa debolezza nella reciprocità, nella partecipazione e nella comunione rimane un ostacolo a un pieno rinnovamento della Chiesa in senso sinodale missionario.
Sorelle e fratelli in Cristo: una rinnovata reciprocità
13. La prima differenza che incontriamo come persone umane è quella tra uomini e donne. La nostra vocazione di cristiani è quella di onorare questa differenza donata da Dio vivendo all’interno della Chiesa una dinamica reciprocità relazionale come segno per il mondo. Nel riflettere su questa visione in chiave sinodale, i contributi raccolti in tutte le fasi hanno evidenziato la necessità di dare un riconoscimento più pieno ai carismi, alla vocazione e al ruolo delle donne in tutti gli ambiti della vita della Chiesa come passo indispensabile per promuovere questa reciprocità relazionale. La prospettiva sinodale evidenzia tre punti di riferimento teologici come guida per il discernimento: a) la partecipazione si radica nelle implicazioni ecclesiologiche del Battesimo; b) in quanto Popolo di Battezzati siamo chiamati a non sotterrare i nostri talenti, ma a riconoscere i doni che lo Spirito effonde su ciascuno per il bene della comunità e del mondo; c) nel rispetto della vocazione di ciascuno, i doni che lo Spirito concede ai Fedeli sono ordinati l’uno all’altro e la collaborazione di tutti i Battezzati va praticata nella chiave della corresponsabilità. A guidarci nella riflessione è la testimonianza delle Sacre Scritture: Dio ha scelto alcune donne come prime testimoni e annunciatrici della risurrezione. In forza del Battesimo sono in condizione di piena uguaglianza, ricevono la medesima effusione di doni da parte dello Spirito e sono chiamate al servizio della missione di Cristo.
14. In questo senso, il primo cambiamento da operare è quello della mentalità: una conversione a una visione di relazionalità, interdipendenza e reciprocità tra donne e uomini, che sono sorelle e fratelli in Cristo, in vista della comune missione. Sono la comunione, la partecipazione e la missione della Chiesa a soffrire le conseguenze di una mancata conversione delle relazioni e delle strutture. Come afferma il contributo di una Conferenza Episcopale latinoamericana: «una Chiesa in cui tutti i membri posso sentirsi corresponsabili è anche un luogo attraente e credibile».
15. I contributi delle Conferenze Episcopali riconoscono che sono numerosi gli ambiti della vita della Chiesa aperti alla partecipazione delle donne. Tuttavia notano anche che queste possibilità di partecipazione rimangono spesso inutilizzate. Per questo suggeriscono che la Seconda Sessione ne promuova la consapevolezza e ne incoraggi l’ulteriore sviluppo nell’ambito delle Parrocchie, delle Diocesi e delle altre realtà ecclesiali, compresi gli incarichi di responsabilità. Chiedono inoltre di esplorare ulteriori forme ministeriali e pastorali che dare migliore espressione ai carismi che lo Spirito effonde sulle donne in risposta alle esigenze pastorali del nostro tempo. Così si esprime una Conferenza Episcopale latinoamericana: «Nella nostra cultura permane forte la presenza del maschilismo, mentre è necessaria una partecipazione più attiva delle donne in tutti gli ambiti ecclesiali. Come afferma Papa Francesco, la loro prospettiva è indispensabile nei processi decisionali e nell’assunzione di ruoli nelle diverse forme di pastorale e di missione».
16. Dai contributi delle Conferenze Episcopali emergono richieste concrete da sottoporre all’esame della Seconda Sessione, tra cui: a) la promozione di spazi di dialogo nella Chiesa, in modo che le donne possano condividere esperienze, carismi, competenze, intuizioni spirituali, teologiche e pastorali per il bene di tutta la Chiesa; b) una più ampia partecipazione delle donne nei processi di discernimento ecclesiale e a tutte le fasi dei processi decisionali (elaborazione e presa delle decisioni); c) un più ampio accesso a posizioni di responsabilità nelle Diocesi e nelle istituzioni ecclesiastiche, in linea con le disposizioni già esistenti; d) un maggiore riconoscimento e un più deciso sostegno alla vita e ai carismi delle Consacrate e il loro impiego in posizioni di responsabilità; e) l’accesso delle donne a posizioni di responsabilità nei Seminari, negli Istituti e nelle Facoltà teologiche; f) l’aumento del numero delle donne che svolgono il ruolo di giudice nei processi canonici. I contributi continuano inoltre a chiedere attenzione all’uso del linguaggio e di una serie di immagini tratte dalle Scritture e dalla tradizione nella predicazione, nell’insegnamento, nella catechesi e nella redazione dei documenti ufficiali della Chiesa.
17. Mentre alcune Chiese locali chiedono che le donne siano ammesse al ministero diaconale, altre ribadiscono la loro contrarietà. Su questo tema, che non sarà oggetto dei lavori della Seconda Sessione, è bene che prosegua la riflessione teologica, con tempi e modalità adeguati. Alla sua maturazione contribuiranno i frutti del Gruppo di studio n. 5, il quale prenderà in considerazione i risultati delle due Commissioni che si sono occupate della questione in passato.
18. Molte delle richieste sopra espresse valgono anche per gli uomini laici, di cui si lamenta spesso la scarsa partecipazione alla vita della Chiesa. In generale, la riflessione sul ruolo delle donne spesso evidenzia il desiderio di un rafforzamento di tutti i ministeri esercitati dai Laici (uomini e donne). Si chiede inoltre che Fedeli laici, uomini e donne, adeguatamente formati possano contribuire alla predicazione della Parola di Dio anche durante la celebrazione dell’Eucaristia.
Chiamata alla conversione e alla riforma
19. Gesù iniziò il suo ministero pubblico con una chiamata alla conversione (cfr. Mc 1,15). È un invito a ripensare il modo di vivere personale e comunitario e a lasciarsi trasformare dallo Spirito. Nessuna riforma potrebbe limitarsi alle sole strutture, ma deve radicarsi in una trasformazione interiore secondo i «sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5). Per una Chiesa sinodale, la prima conversione è quella dell’ascolto, la cui riscoperta è stato uno dei frutti maggiori del percorso compiuto sino a oggi: innanzitutto l’ascolto dello Spirito Santo, che del Sinodo è il vero protagonista, e poi l’ascolto reciproco come disposizione fondamentale per la missione.
20. Lo stile sinodale della Chiesa offre molti spunti importanti per l’umanità. In un’epoca segnata da disuguaglianze sempre più marcate, da una crescente disillusione nei confronti dei modelli tradizionali di governo, dal disincanto per il funzionamento della democrazia e dal predominio del modello di mercato nelle relazioni interumane, dalla tentazione di risolvere i conflitti con la forza e non con il dialogo, la sinodalità potrebbe offrire una ispirazione per il futuro delle nostre società. La sua attrattiva deriva dal fatto che non è una strategia gestionale, ma una pratica da vivere e celebrare nella gratitudine. Il modo sinodale di vivere le relazioni è una testimonianza sociale che risponde al profondo bisogno umano di essere accolti e sentirsi riconosciuti all’interno di una comunità concreta. È una sfida al crescente isolamento delle persone e all’individualismo culturale, che anche la Chiesa ha spesso assorbito, e ci richiama alla cura reciproca, all’interdipendenza e alla corresponsabilità per il bene comune. Ma è anche una sfida a un comunitarismo sociale esagerato che soffoca le persone e non permette loro di essere soggetti liberi del proprio sviluppo. La disponibilità all’ascolto di tutti, specialmente dei poveri, che lo stile di vita sinodale promuove, si pone in netto contrasto con un mondo in cui la concentrazione del potere taglia fuori i poveri, gli emarginati e le minoranze. La concretezza del processo sinodale ha dimostrato quanto la Chiesa stessa abbia bisogno di crescere in questa dimensione: su questo tema lavora il Gruppo di studio n. 2.
21. In ogni fase del processo sinodale è risuonato con forza il bisogno di guarigione, riconciliazione e ripristino della fiducia all’interno della Chiesa e della società. Si tratta di una direttrice fondamentale dell’impegno missionario del Popolo di Dio nel nostro mondo, e al tempo stesso di un dono che dobbiamo invocare dall’alto. Il desiderio di camminare su questa strada è esso stesso un frutto del rinnovamento sinodale.
Parte I – Relazioni
Lungo tutto il processo sinodale e a tutte le latitudini è emersa la richiesta di una Chiesa non burocratica, ma capace di nutrire le relazioni: con il Signore, tra uomini e donne, nella famiglia, nella comunità, tra gruppi sociali. Solo una trama di relazioni che intrecci la molteplicità delle appartenenze è in grado di sostenere le persone e le comunità, offrendo loro punti di riferimento e di orientamento e mostrando la bellezza della vita secondo il Vangelo: è nelle relazioni – con Cristo, con gli altri, nella comunità – che si trasmette la fede.
In quanto esigenza della missione, la sinodalità non va pensata come un espediente organizzativo, ma vissuta e coltivata come l’insieme dei modi in cui i discepoli di Gesù intessono relazioni solidali, capaci di corrispondere all’amore divino che continuamente li raggiunge e che essi sono chiamati a testimoniare nei contesti concreti in cui si trovano. Capire come essere Chiesa sinodale in missione passa dunque da una conversione relazionale, che riorienti le priorità e l’azione di ciascuno, in particolare di coloro che hanno il compito di animare le relazioni a servizio dell’unità, nella concretezza di uno scambio di doni che libera e arricchisce tutti.
In Cristo e nello Spirito: l’iniziazione cristiana
22. «La Chiesa pellegrinante è missionaria per sua natura, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo secondo il progetto di Dio Padre» (AG 2). L’incontro con Gesù, l’adesione di fede alla sua persona, l’iniziazione cristiana introducono nella vita stessa della Trinità. Donando lo Spirito Santo, il Signore Gesù rende partecipi della sua relazione con il Padre coloro che ricevono il Battesimo. Lo Spirito di cui Gesù era pieno e che lo guidava (cfr. Lc 4,1), che lo ha consacrato con l’unzione e inviato a proclamare il Vangelo (cfr. Lc 4,18), che lo ha risuscitato dai morti (cfr. Rm 8,11), è lo stesso Spirito che consacra con l’unzione i membri del Popolo di Dio. Questo Spirito ci rende figli ed eredi di Dio e per mezzo suo ci rivolgiamo a Dio chiamandolo «Abbà! Padre!» (Gal 4,6; Rm 8,15).
23. Per comprendere la natura di una Chiesa sinodale in missione è indispensabile coglierne il fondamento trinitario, e in particolare il legame inestricabile tra l’opera di Cristo e l’opera dello Spirito Santo nella storia umana e nella Chiesa: «Lo Spirito Santo, che abita nei credenti e riempie e regge tutta la Chiesa, produce quella meravigliosa comunione dei Fedeli e tanto intimamente tutti unisce in Cristo, da essere il principio dell’unità della Chiesa» (UR 2). Per questo il cammino dell’iniziazione cristiana dell’adulto è un contesto privilegiato per comprendere la vita sinodale della Chiesa. Ne mette in luce l’origine e il fondamento: le relazioni che uniscono e distinguono le tre divine Persone. Con i doni battesimali lo Spirito Santo ci conforma a Cristo re, sacerdote e profeta, ci rende membra del suo corpo, che è la Chiesa, e ci fa figli dell’unico Padre. Riceviamo così la chiamata alla missione e alla corresponsabilità per ciò che ci unisce nell’una e unica Chiesa. Quei doni hanno un triplice e inscindibile orientamento: personale, comunitario e missionario. Essi abilitano e impegnano ogni Battezzato, uomo o donna: alla costruzione di relazioni fraterne nella propria comunità ecclesiale; alla ricerca di una comunione sempre più visibile e profonda con tutti coloro con cui condividono lo stesso Battesimo; all’annuncio e alla testimonianza del Vangelo.
24. Se da un lato la sinodalità missionaria si radica nell’iniziazione cristiana, dall’altro essa deve illuminare il modo in cui il Popolo di Dio vive concretamente l’itinerario dell’iniziazione e lo assume, facendolo proprio per quello che realmente significa, superando una sua visione statica e individualista, non sufficientemente legata alla sequela di Cristo e alla vita nello Spirito, per recuperarne il valore dinamico e trasformativo. Nei primi secoli, leggendo nella Genesi che al sesto giorno Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza» (Gen 1,26), i cristiani scorsero come il dinamismo relazionale fosse inscritto nell’antropologia della creazione. Videro nell’immagine quella del Figlio incarnato e nella somiglianza la possibilità graduale della conformazione, il manifestarsi dell’avventura benefica della libertà di scegliere di essere con e come Cristo. Questa avventura inizia con l’ascolto della Parola di Dio, grazie a cui il catecumeno entra progressivamente nella sequela di Cristo Gesù. Il Battesimo è a servizio del dinamismo della somiglianza, e per questo non è un atto puntuale chiuso nel momento della sua celebrazione, ma un dono che deve essere confermato, alimentato e messo a frutto attraverso l’impegno alla conversione, al servizio della missione e alla partecipazione alla vita della comunità. L’iniziazione cristiana culmina infatti nell’Eucarestia domenicale, che si ripete ogni settimana, segno del dono incessante della grazia che ci conforma a Cristo e ci rende membra del suo corpo e alimento che ci sostiene nel cammino di conversione e nella missione.
25. In questo senso, l’assemblea eucaristica manifesta e alimenta la vita sinodale missionaria della Chiesa. Nella partecipazione di tutti i cristiani, nella presenza di diversi ministeri e nella presidenza da parte del Vescovo o del Presbitero, si rende visibile la comunità cristiana, nella quale si realizza una corresponsabilità differenziata di tutti per la missione. La liturgia, come «culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme fonte da cui promana tutto il suo vigore» (SC 10), è contemporaneamente la fonte della vita sinodale della Chiesa e il prototipo di ogni evento sinodale, facendo apparire «come in uno specchio» (1Cor 13,12; cfr. DV 7) il mistero della Trinità.
26. Occorre che proposte pastorali e pratiche liturgiche custodiscano e rendano sempre più evidente il legame tra l’itinerario dell’iniziazione cristiana e la vita sinodale e missionaria della Chiesa, evitandone la riduzione a strumento meramente pedagogico o a indicatore di un’appartenenza puramente sociale, e promuovendo invece l’accoglienza del dono personale orientato alla missione e all’edificazione della comunità. Gli opportuni accorgimenti pastorali e liturgici andranno elaborati nella pluralità delle situazioni storiche e delle culture in cui sono immerse le diverse Chiese locali, anche tenendo conto della differenza fra quelle in cui l’iniziazione cristiana coinvolge soprattutto i giovani o gli adulti, e quelle in cui riguarda soprattutto, se non esclusivamente, i bambini.
Per il Popolo di Dio: carismi e ministeri
27. «Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune» (1Cor 12,4-7). All’origine della varietà dei carismi (doni di grazia) e dei ministeri (forme di servizio nella Chiesa in vista della sua missione) c’è la libertà dello Spirito Santo: li concede e opera incessantemente perché manifestino l’unità della fede e l’appartenenza alla Chiesa una e unica nella varietà delle persone, delle culture, dei luoghi. I carismi, anche i più semplici e più diffusi, sono destinati a rispondere alle necessità della Chiesa e della sua missione (cfr. LG 12). Allo stesso tempo contribuiscono efficacemente alla vita della società, nei suoi diversi aspetti. I carismi sono spesso condivisi e danno origine alle diverse forme della vita consacrata e al pluralismo delle aggregazioni ecclesiali.
28. L’ambito primario in cui i carismi di cui ciascun Battezzato è portatore sono chiamati a manifestarsi non è l’organizzazione delle attività o delle strutture ecclesiali: è nella vita quotidiana, nelle relazioni familiari e sociali, nelle più disparate situazioni in cui i cristiani, singolarmente o in forma associata, sono chiamati a far fiorire i doni di grazia ricevuti per il bene di tutti. La fecondità dei carismi, come quella dei ministeri, dipende dall’azione di Dio, dalla vocazione che Egli rivolge a ciascuno, dalla generosa e sapiente accoglienza dei Battezzati, e dal riconoscimento e accompagnamento da parte dell’autorità. In nessun modo possono quindi essere interpretati come proprietà di coloro che li ricevono e li esercitano, né destinati a loro esclusivo vantaggio.
29. Quale espressione della libertà dello Spirito nel concedere i suoi doni, e quale risposta alle necessità delle singole comunità, vi è nella Chiesa una varietà di ministeri che possono essere esercitati da qualsiasi Battezzato, uomo o donna. Si tratta di servizi non occasionali, riconosciuti dalla comunità e da chi ha il compito di guidarla. Possono essere chiamati ministeri battesimali, per indicare la loro radice comune (il Battesimo) e per distinguerli dai ministeri ordinati, radicati nel sacramento dell’Ordine. Ci sono, ad esempio, uomini e donne che esercitano il ministero del coordinamento di una piccola comunità ecclesiale, il ministero di guida di momenti di preghiera (in occasione dei Funerali o altro), il ministero straordinario della comunione, o altri servizi, non necessariamente di carattere liturgico. Gli ordinamenti canonici latino e orientale già prevedono che, in alcuni casi, anche Fedeli laici, uomini o donne, possano essere ministri straordinari del Battesimo. Nell’ordinamento latino, il Vescovo può delegare a Fedeli laici, uomini o donne, il compito di assistere ai Matrimoni. È utile continuare a riflettere su come affidare questi ministeri ai Laici in forma più stabile. Questa riflessione va accompagnata da quella sulla promozione di forme più numerose di ministerialità laicale, anche al di fuori dell’ambito liturgico.
30. In tempi recenti alcune modalità di servizio da tempo presenti nella vita della Chiesa hanno ricevuto una nuova configurazione come ministeri istituiti: il ministero dei lettori e quello degli accoliti (cfr. Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio Spiritus Domini, 10 gennaio 2021). Ha preso forma anche il ministero istituito dei catechisti (cfr. Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio Antiquum ministerium, 10 maggio 2021). I ministeri istituiti sono conferiti dal Vescovo a uomini e donne, una sola volta nella vita, con un apposito rito, dopo appropriato discernimento e adeguata formazione. I tempi e modi del loro esercizio devono essere definiti da un mandato della legittima autorità. Di alcune questioni teologiche e canonistiche intorno a specifiche forme di ministerialità ecclesiale – in particolare la questione della necessaria partecipazione delle donne alla vita e alla guida della Chiesa – è stato affidato l’approfondimento al Dicastero per la Dottrina della Fede, in dialogo con la Segreteria Generale del Sinodo (Gruppo di studio n. 5).
31. Se non tutti i carismi assumono una configurazione propriamente ministeriale, tutti i ministeri sono fondati su carismi donati ad alcuni membri del Popolo di Dio, i quali sono chiamati ad agire in modi diversi affinché ciascuno nella comunità possa partecipare all’edificazione del corpo di Cristo (cfr. Ef 4,12), nel servizio reciproco. Come i carismi, anche i ministeri vanno riconosciuti, promossi e valorizzati. Il processo sinodale ha evidenziato a più riprese come il discernimento e la promozione dei carismi e dei ministeri, così come l’individuazione dei bisogni delle comunità e della società a cui si intende rispondere, sia un aspetto su cui le Chiese locali hanno bisogno di crescere, dandosi adeguati criteri, strumenti e procedure. Il Concilio Vaticano II insegna che è compito dei Pastori riconoscere i ministeri e i carismi «in modo tale che tutti cooperino concordemente all’opera comune nel modo che è loro proprio» (LG 30). Il discernimento dei carismi e dei ministeri è un atto propriamente ecclesiale: per riconoscerli e promuoverli, il Vescovo è tenuto ad ascoltare la voce di quanti sono coinvolti: singoli Fedeli, comunità, organismi di partecipazione. A tale scopo si dovranno individuare procedure adatte ai diversi contesti, sempre però avendo cura di rendere possibile un reale consenso sui criteri e sugli esiti del discernimento. I risultati dell’Incontro “I Parroci per il Sinodo” sottolineano con forza queste esigenze.
32. Emerge inoltre l’invito a una maggiore fiducia nell’azione dello Spirito e a un maggiore coraggio e creatività nel discernere come mettere i doni ricevuti e accolti a servizio della missione della Chiesa in modo adeguato ai diversi contesti locali. È proprio la varietà dei contesti, e quindi dei bisogni delle comunità, a suggerire che le Chiese locali, sotto la guida dei loro Pastori, e i loro raggruppamenti «in ogni vasto territorio socio-culturale» (AG 22), intraprendano con umiltà e fiducia un discernimento creativo sui ministeri che devono riconoscere, affidare o istituire per rispondere alle esigenze pastorali e della società. Occorre perciò definire i criteri e i modi per portare a termine questo discernimento. Va anche avviata una riflessione su come affidare i ministeri battesimali (non istituiti e istituiti) in un tempo in cui le persone si spostano da un luogo a un altro con crescente facilità, precisando tempi e ambiti del loro esercizio.
33. Il percorso fin qui compiuto ha condotto a riconoscere che una Chiesa sinodale è una Chiesa che ascolta, capace di accogliere e accompagnare, di essere percepita come casa e famiglia. Si tratta di un bisogno che emerge in tutti i continenti e riguarda persone che, per ragioni diverse, sono o si sentono escluse o ai margini della comunità ecclesiale, o faticano a trovare al suo interno un pieno riconoscimento della loro dignità e dei loro doni. Questa mancanza di accoglienza le respinge, ostacola il loro cammino di fede e di incontro con il Signore, e priva la Chiesa del loro contributo alla missione.
34. Appare quindi sommamente opportuno dar vita a un ministero dell’ascolto e dell’accompagnamento riconosciuto ed eventualmente istituito, che renda concretamente sperimentabile un tratto così caratteristico di una Chiesa sinodale. Serve una “porta aperta” della comunità, attraverso cui le persone possano entrare senza sentirsi minacciate o giudicate. Le forme dell’esercizio di questo ministero dovranno essere adattate alle circostanze locali, in base alla diversità di esperienze, strutture, contesti sociali e risorse disponibili. Si apre quindi uno spazio di discernimento da articolare a livello locale, anche con il coinvolgimento delle Conferenze Episcopali nazionali o continentali. La presenza di uno specifico ministero non significa però riservare l’impegno dell’ascolto ai soli ministri. Anzi, esso riveste un carattere profetico. Da un lato evidenzia che ascolto e accompagnamento sono una dimensione ordinaria della vita di una Chiesa sinodale, che con modalità diverse impegna tutti i Battezzati e in cui tutte le comunità sono invitate a crescere; dall’altro ricorda che ascolto e accompagnamento sono un servizio ecclesiale, non una iniziativa personale, il cui valore viene così riconosciuto. Questa consapevolezza è un frutto maturo del processo sinodale.
Con i Ministri ordinati: a servizio dell’armonia
35. Dal processo sinodale sono emersi dati contrastanti riguardo all’esercizio del Ministero ordinato all’interno del Popolo di Dio. Da un lato è sottolineata la gioia, l’impegno e la dedizione dei Vescovi, dei Presbiteri e dei Diaconi nello svolgere il proprio servizio; dall’altro essi hanno manifestato una certa fatica, legata soprattutto a un senso di isolamento, di solitudine, di essere tagliati fuori da relazioni sane e sostenibili, e di essere sopraffatti dalla richiesta di fornire risposte a ogni necessità. Può essere uno degli effetti tossici del clericalismo. In particolare, la figura del Vescovo risulta di frequente esposta a un eccesso di attribuzioni, il che alimenta attese irrealistiche rispetto a quanto può ragionevolmente realizzare una singola persona.
36. L’incontro “I Parroci per il Sinodo” ha collegato questa fatica alla difficoltà di Vescovi e Presbiteri di camminare davvero insieme nel loro ministero condiviso. Una ricomprensione del Ministero ordinato nell’orizzonte della Chiesa sinodale missionaria rappresenta così non solo una esigenza di coerenza, ma anche una opportunità di liberazione da queste fatiche, a condizione che sia accompagnata da una effettiva conversione delle pratiche, che renda percepibile, ai Ministri ordinati e agli altri Fedeli, il cambiamento e i benefici che ne derivano. Oltre che sul livello della vita personale dei singoli Ministri, questo percorso di conversione comporterà un nuovo modo di pensare e organizzare l’azione pastorale, che tenga conto della partecipazione di tutti i Battezzati, uomini e donne, alla missione della Chiesa, puntando in particolare a far emergere, riconoscere e animare i diversi carismi e ministeri battesimali. La domanda «Come essere Chiesa sinodale in missione?» ci spinge a riflettere concretamente sulle relazioni, le strutture e i processi che possono favorire una rinnovata visione del Ministero ordinato, passando da un modo piramidale di esercitare l’autorità a un modo sinodale. Nel quadro della promozione dei carismi e ministeri battesimali, si può dare corso a una riallocazione dei compiti il cui svolgimento non richiede il sacramento dell’Ordine. Una più articolata ripartizione delle responsabilità potrà indubbiamente favorire anche processi decisionali improntati a uno stile più chiaramente sinodale.
37. Nei testi conciliari, il Ministero ordinato è concepito in termini molto precisi come servizio alla Chiesa e per l’esistenza della Chiesa. Con la sua autorità, il Concilio ha restituito la forma del Ministero ordinato usuale nella Chiesa antica, Ministero che «viene esercitato in diversi ordini da coloro che già dall’antichità sono chiamati Vescovi, Presbiteri, Diaconi» (LG 28). In questa articolazione, Episcopato e Presbiterato corrispondono a una speciale partecipazione al sacerdozio di Cristo Pastore e Capo della comunità ecclesiale, mentre il Diaconato è «non per il sacerdozio, ma per il servizio» (LG 29). I diversi ordini sono organicamente in relazione l’uno all’altro, in una interdipendenza reciproca, nella specificità di ciascuno. Nessun Ministro può pensarsi come individuo isolato a cui sono stati conferiti dei poteri; egli deve, piuttosto, concepirsi ma come partecipe dei doni (munera) di Cristo, conferiti dall’Ordinazione, insieme agli altri Ministri, in un legame organico con il Popolo di Dio di cui fa parte e che, pur in modo diverso, partecipa di quegli stessi doni di Cristo nel sacerdozio comune fondato sul Battesimo.
38. Il Vescovo ha il compito di presiedere una Chiesa, essendo principio visibile di unità al suo interno e vincolo di comunione con tutte le Chiese. La singolarità del suo ministero comporta una potestà che è propria, ordinaria e immediata, potestà che ciascun Vescovo esercita personalmente in nome di Cristo (cfr. LG 27) nell’annuncio della Parola, nella presidenza della celebrazione eucaristica e degli altri sacramenti, nella guida pastorale. Questo non comporta la sua indipendenza dalla porzione di Popolo di Dio che gli è affidata (cfr. CD 11), e che è chiamato a servire in nome di Cristo Buon Pastore. Il fatto che «con la Consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell’Ordine» (LG 21) non è la giustificazione di un ministero episcopale tendenzialmente “monarchico”, concepito come cumulo di prerogative da cui deriva ogni altro carisma e ministero. È invece l’affermazione della capacità e del dovere di raccogliere e comporre in unità ogni dono che lo Spirito effonde sui Battezzati, uomini e donne, e sulle diverse comunità. Di alcuni aspetti del ministero episcopale, tra cui i criteri di selezione dei candidati all’Episcopato, si occupa il Gruppo di studio n. 7.
39. Anche il ministero dei Presbiteri va concepito e vissuto in senso sinodale. In particolare, i Presbiteri «costituiscono insieme col loro Vescovo un unico Presbiterio» (LG 28) a servizio di quella porzione di Popolo di Dio che è la Chiesa locale (cfr. CD 11). Questo richiede di non considerare il Vescovo come esterno al Presbiterio, ma come colui che presiede una Chiesa locale anzitutto presiedendone il Presbiterio, di cui fa parte con peculiare singolarità, essendo chiamato a esercitare nei confronti dei Presbiteri una cura particolare.
40. Vescovo e Presbiteri sono coadiuvati dai Diaconi, in un legame di mutua interdipendenza dei due tipi di ministero per l’attuarsi del servizio apostolico. Vescovo e Presbiteri non sono autosufficienti rispetto ai Diaconi, e viceversa. Dal momento che le funzioni dei Diaconi sono molteplici – come mostra la tradizione, la preghiera liturgica e la prassi successiva al Vaticano II – esse vanno rintracciate nella concretezza di ogni singola Chiesa locale. Il servizio di ciascun Diacono va in ogni caso pensato in armonia e in comunione con quello di tutti gli altri Diaconi, in accordo con la natura del ministero diaconale e all’interno del quadro di riferimento della missione in una Chiesa sinodale.
41. Oltre alla promozione dell’unità nella Chiesa locale, il Vescovo diocesano o eparchiale, coadiuvato da Presbiteri e Diaconi, è responsabile anche delle relazioni con le altre Chiese locali e con la Chiesa intera attorno al Vescovo di Roma, in un reciproco scambio di doni. Sembra importante ristabilire il tradizionale legame tra essere Vescovo e presiedere una Chiesa locale, ripristinando la corrispondenza tra comunione dei Vescovi (communio Episcoporum) e comunione delle Chiese (communio Ecclesiarum).
Tra le Chiese e nel mondo: la concretezza della comunione
42. La sinodalità si attua attraverso reti di persone, comunità, organismi e un insieme di processi che consentono un effettivo scambio di doni tra le Chiese e il dialogo evangelizzatore con il mondo. Camminare insieme come Battezzati nella diversità dei carismi, delle vocazioni e dei ministeri, così come nello scambio di doni tra le Chiese, è un importante segno sacramentale per il mondo di oggi, che da una parte sperimenta forme di interconnessione sempre più intense, e dall’altra è immerso in una cultura mercantile che emargina la gratuità.
43. Secondo il Concilio, è in virtù della cattolicità della Chiesa che «le singole parti offrono i loro propri doni alle altre parti e alla Chiesa intera» (LG 13). Da essa «derivano, tra le diverse parti della Chiesa, vincoli di intima comunione circa le ricchezze spirituali, gli operai apostolici e gli aiuti materiali. I membri del Popolo di Dio sono chiamati infatti a condividere i beni, e valgono anche delle singole Chiese le parole dell’Apostolo: “Da bravi amministratori della multiforme grazia di Dio, ognuno di voi, come ha ricevuto un dono, così lo metta a servizio degli altri” (1Pt 4,10)» (ibid.).
44. Le Conferenze Episcopali auspicano che i beni siano condivisi in spirito di solidarietà tra le Chiese che costituiscono l’una e unica Chiesa Cattolica, senza alcun desiderio di dominio o pretesa di superiorità: l’esistenza di Chiese ricche e di Chiese che vivono in condizioni di grandi ristrettezze è uno scandalo. Si suggerisce pertanto di prendere accordi per promuovere legami reciproci e formare reti di sostegno anche a livello dei raggruppamenti di Chiese.
45. Tutte le Chiese locali ricevono e danno nella comunione dell’unica Chiesa. Ci sono Chiese che hanno bisogno del sostegno di risorse finanziarie e materiali; altre che sono arricchite dalla testimonianza della fede viva e dal servizio amorevole ai più poveri; altre ancora hanno bisogno, soprattutto, dell’aiuto di evangelizzatori che condividono la loro vita per comunicare il Vangelo ad altri popoli. In particolare, si riconosce e si sollecita la generosità di Presbiteri, Diaconi, Consacrate e Consacrati, Laici e Laiche impegnati nella missione ad gentes.
46. Le Chiese locali esprimono il desiderio di uno scambio di doni spirituali, liturgici e teologici, e anche di una maggiore testimonianza condivisa su questioni sociali di rilevanza globale, quali la cura della casa comune e i movimenti migratori. A questo riguardo, una Chiesa sinodale potrà testimoniare l’importanza che le soluzioni ai problemi comuni siano elaborate sulla base dell’ascolto della voce di tutti, anche e soprattutto di quei gruppi, comunità e Paesi che restano di solito ai margini dei grandi processi globali. Un orizzonte oggi particolarmente promettente in cui realizzare forme di scambio di doni e di impegno coordinato è quello dei grandi ambiti geografici sovranazionali, quali l’Amazzonia, il bacino del Congo, il Mediterraneo o altri simili.
47. In particolare, una Chiesa sinodale è invitata a leggere nella prospettiva dello scambio di doni anche la realtà della mobilità umana, che diventa occasione di incontro tra le Chiese nella concretezza della vita quotidiana delle città e dei quartieri, delle Parrocchie e delle Diocesi o Eparchie, contribuendo così a radicare il cammino sinodale nel vissuto delle comunità. Un’attenzione del tutto particolare va riservata alla possibilità d’incontro e scambio di doni tra le Chiese di tradizione latina e le Chiese Orientali Cattoliche in diaspora, tema su cui sta lavorando il Gruppo di studio n. 1.
48. Lo scambio di doni tra le Chiese avviene in contesti segnati dalla violenza, dalla persecuzione e dalla mancanza di libertà religiosa; anzi, alcune Chiese lottano per la loro stessa sopravvivenza e invocano la solidarietà delle altre Chiese, mentre continuano a condividere le proprie ricchezze, frutto del continuo misurarsi con l’opposizione al Vangelo e la persecuzione che nella storia colpisce i discepoli del Signore. Inoltre, lo scambio di doni avviene in un contesto che risente ancora del colonialismo e del neocolonialismo, che non sono finiti. Una Chiesa che cresce nella pratica della sinodalità è invitata a comprendere l’impatto di queste dinamiche sociali sullo scambio di doni, e a cercarne la trasformazione. Fa parte di questo impegno anche il riconoscimento che molte Chiese sono portatrici di una memoria ferita e che c’è bisogno di promuovere cammini concreti di riconciliazione.
49. L’espressione “scambio di doni” ha una importante valenza nei rapporti con le altre Chiese e Comunità Ecclesiali. San Giovanni Paolo II applicò questa idea al dialogo ecumenico: «Il dialogo non è soltanto uno scambio di idee. In qualche modo esso è sempre uno “scambio di doni”» (UUS 28). Oltre al dialogo teologico, lo scambio di doni avviene nella condivisione della preghiera, con cui ci apriamo a ricevere i doni di tradizioni spirituali diverse dalla nostra. Pure l’esempio di donne e uomini santi di altre Chiese e Comunità Ecclesiali è un dono che possiamo ricevere, anche inserendone la memoria nel nostro calendario liturgico, in particolare per quanto riguarda i martiri. In questo spirito dobbiamo essere generosi, offrendo agli altri cristiani la possibilità di venire in pellegrinaggio e pregare nei santuari e nei luoghi santi custoditi dalla Chiesa Cattolica.
50. Il dialogo tra le religioni e con le culture non è esterno al cammino sinodale, ma fa parte della sua chiamata a vivere relazioni più intense, in ragione del fatto che «è gradito a Dio chiunque lo teme e pratica la giustizia, a qualunque tempo e nazione egli appartenga» (LG 9; cfr. At 10,35). Perciò lo scambio di doni non si limita alle altre Chiese e Comunità Ecclesiali, perché un’autentica cattolicità allarga l’orizzonte e chiede la disponibilità di accogliere anche quei fattori di promozione della vita, della pace, della giustizia e dello sviluppo umano integrale presenti in altre culture e tradizioni religiose.
Parte II – Percorsi
Una Chiesa sinodale è una Chiesa relazionale, in cui le dinamiche interpersonali formano il tessuto della vita di una comunità in missione, in un contesto di crescente complessità. Questa prospettiva non separa, ma coglie i nessi tra le esperienze, consentendo di apprendere dalla realtà riletta alla luce della Parola, dalla tradizione, dalle testimonianze esemplari, ma anche dagli errori compiuti.
La Parte II mette in luce i processi che assicurano la cura e lo sviluppo delle relazioni, in particolare l’unione a Cristo in vista della missione e l’armonia della vita comunitaria, grazie alla capacità di affrontare insieme conflitti e difficoltà. Mette a fuoco quattro ambiti distinti, ma profondamente intrecciati nella vita della Chiesa sinodale missionaria: la formazione, in particolar modo all’ascolto (della Parola di Dio, dei fratelli e delle sorelle, e della voce dello Spirito) e al discernimento, che conduce a sviluppare modalità partecipate di decisione nel rispetto dei diversi ruoli, con una circolarità che approda alla trasparenza, al rendiconto delle responsabilità ricevute e a una valutazione che rilancia il discernimento per la missione.
Fonte e culmine di questo dinamismo è l’Eucaristia, che pone alla radice delle relazioni la gratuità dell’amore del Padre, attraverso il Figlio nello Spirito. L’alimento che sostiene una Chiesa sinodale missionaria è anche il contenuto del suo annuncio al mondo.
Una formazione integrale e condivisa
51. «Prendersi cura della propria formazione è la risposta che ogni Battezzato è chiamato a dare ai doni del Signore, per far fruttificare i talenti ricevuti e metterli a servizio di tutti» (RdS 14a). Queste parole della Relazione di Sintesi della Prima Sessione spiegano il motivo per cui il bisogno di formazione è stato uno dei temi emersi con maggiore forza e universalità in tutte le fasi del processo sinodale. Rispondere alla domanda «Come essere Chiesa sinodale in missione?» richiede dunque di dare priorità alla predisposizione di percorsi formativi coerenti, con particolare attenzione alla formazione permanente per tutti.
52. Per molti, la partecipazione agli incontri sinodali è stata una occasione di formazione alla comprensione e alla pratica della sinodalità che ha fatto emergere con forza il desiderio di una migliore comprensione del significato della dignità battesimale o di quel «senso soprannaturale della fede» (LG 12) di cui lo Spirito fa dono al Popolo di Dio. La prima necessità è dunque di una più approfondita formazione alla conoscenza del modo in cui lo Spirito agisce nella Chiesa e la guida nella storia.
53. Non c’è missione senza contesto, non c’è Chiesa senza radicamento in un luogo preciso, con le sue specificità culturali e le sue contingenze storiche. Per questo non è possibile predisporre piani formativi in astratto. La loro definizione spetta alla Chiese locali e ai loro raggruppamenti. In questa sede ci si limita perciò a indicare alcune direttrici e caratteristiche fondamentali della formazione nella prospettiva della sinodalità, che andranno poi concretizzate tenendo conto dei contesti, delle culture e delle tradizioni dei diversi luoghi.
54. Una Chiesa sinodale missionaria si fonda sulla capacità di ascolto, che richiede di riconoscere che nessuno è autosufficiente nell’esercizio della propria missione e che ciascuno ha un contributo da offrire e qualcosa da imparare dagli altri. La formazione all’ascolto è dunque una prima esigenza irrinunciabile. La pratica della conversazione nello Spirito ha consentito di sperimentare in che modo si può intrecciare l’ascolto della Parola di Dio e quello dei fratelli e delle sorelle, e come questa dinamica apra pian piano all’ascolto della voce dello Spirito: molti contributi ricevuti insistono sull’importanza di una formazione a questo metodo. Nella Chiesa esiste una gamma diversificata di metodi di ascolto, dialogo e discernimento, in funzione della diversità delle culture e delle tradizioni spirituali. Promuovere la formazione a questa pluralità di metodi e il dialogo tra di loro nei contesti locali è un obiettivo di grande rilevanza. Un punto particolarmente qualificante in questa direzione è l’ascolto delle persone che sperimentano vari tipi di povertà ed emarginazione. Molte Chiese segnalano di sentirsi impreparate a questo compito e manifestano il bisogno di una formazione specifica. È uno dei punti affidati al lavoro del Gruppo di studio n. 2.
55. Lo scopo della formazione nella prospettiva della sinodalità missionaria è che ci siano testimoni, uomini e donne capaci di assumere la missione della Chiesa in corresponsabilità e in cooperazione con la potenza dello Spirito (cfr. At 1,8). La formazione assumerà quindi come base il dinamismo dell’iniziazione cristiana, puntando a promuovere l’esperienza personale di incontro con il Signore e di conseguenza un processo di conversione continua di atteggiamenti, relazioni, mentalità e strutture. Il soggetto della missione è sempre la Chiesa, e ogni suo membro è testimone e annunciatore della salvezza in ragione di questa appartenenza. L’Eucaristia, «fonte e culmine di tutta la vita cristiana» (LG 11), è il luogo fondamentale della formazione alla sinodalità. La famiglia, in quanto comunità di vita e di amore, è un luogo privilegiato di educazione alla fede e alla pratica cristiana. Nell’intreccio delle generazioni è scuola di sinodalità, invitando ciascuno a prendersi cura degli altri, e rendendo visibile che tutti – i deboli e i forti, i bambini, i giovani e gli anziani – hanno molto da ricevere e molto da dare.
56. In una Chiesa sinodale la formazione deve essere integrale. Non punta infatti solo all’acquisizione di nozioni o di competenze, ma a promuovere la capacità di incontro, di condivisione e cooperazione, di discernimento in comune. Deve perciò interpellare tutte le dimensioni della persona: intellettuale, affettiva e spirituale. Non può essere una formazione unicamente teorica, ma comprende esperienze concrete opportunamente accompagnate. Ugualmente è importante favorire una conoscenza delle culture in cui le Chiese vivono e operano, compresa la cultura digitale, oggi così pervasiva, soprattutto in ambito giovanile. Alla cultura digitale e alla promozione di una formazione adeguata in questo campo è dedicato il lavoro del Gruppo di studio n. 3.
57. Infine, assai marcata è stata l’insistenza sulla necessità di una formazione comune e condivisa, a cui prendano parte insieme uomini e donne, Laici, Consacrati, Ministri ordinati e Candidati al Ministero ordinato, permettendo così di crescere nella conoscenza e nella stima reciproca e nella capacità di collaborare. Ugualmente, si richiede di prestare particolare attenzione alla promozione della partecipazione delle donne ai programmi di formazione, a fianco di Seminaristi, Sacerdoti, Religiosi e Laici. Di importanza cruciale è anche il loro accesso ai ruoli di docente e formatore nelle Facoltà e Istituti teologici e nei Seminari. Si suggerisce ancora di offrire a Vescovi, Presbiteri e Laici una formazione su quali compiti le donne possono già svolgere nella Chiesa e di promuovere una valutazione dell’effettivo ricorso a queste opportunità in tutti gli ambiti della vita della Chiesa: Parrocchie, Diocesi, associazioni laicali, movimenti ecclesiali, nuove comunità, vita consacrata, istituzioni ecclesiastiche, fino alla Curia Romana. Alla revisione della formazione dei Candidati al Ministero ordinato (Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis) in prospettiva sinodale missionaria è dedicato il lavoro del Gruppo di studio n. 4. Una richiesta proveniente da tutti i continenti è quella di curare la formazione alla predicazione. Infine emerge il bisogno di una formazione condivisa, teorica e pratica, al discernimento comunitario all’interno dei diversi contesti locali.
Il discernimento ecclesiale per la missione
58. L’unico Spirito, che suscita una grande varietà di carismi, guida la Chiesa verso la pienezza della vita e della verità divina (cfr. Gv 10,10; 16,13). Per la sua presenza e azione continua, la «tradizione, che viene dagli apostoli, progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo» (DV 8). Grazie alla guida dello Spirito, il Popolo di Dio, in quanto partecipe della funzione profetica di Cristo (cfr. LG 12), «cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio» (GS 11). Questo compito ecclesiale di discernimento si radica nel sensus fidei, animato dallo Spirito Santo, che può essere descritto come quel “fiuto” o capacità istintiva del Popolo di Dio, sotto la guida dei Pastori (cfr. LG 12), di «discernere le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa» (Francesco, Discorso in occasione della commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015).
59. Il discernimento impegna coloro che vi partecipano a livello personale e tutti insieme a livello comunitario, chiedendo di coltivare le disposizioni di libertà interiore, apertura alla novità e abbandono fiducioso alla volontà di Dio, e di mettersi in ascolto gli uni degli altri per ascoltare «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,7). Maria, con la sua presenza orante al cuore della comunità apostolica nel cenacolo (cfr. At 1,14), è per tutti modello vivo e guida generativa di un’autentica spiritualità sinodale: in ascolto perseverante e responsabile della Parola e nel discernimento meditativo degli eventi (cfr. Lc 1,26-38; 2,19.51), in generosa apertura all’azione dello Spirito Santo (cfr. Lc 1,35), nella condivisione del rendimento di grazie per l’opera del Signore (cfr. Lc 1,39-56) e nel servizio concreto e puntuale a ciascuna e ciascuno (cfr. Gv 2,1-12) che Gesù ha affidato alla sua cura materna (cfr. Gv 19,25-27).
60. Proprio in quanto richiede a ciascuno di condividere il proprio punto di vista nella prospettiva della missione comune, un processo di discernimento articola concretamente comunione, missione e partecipazione. In altre parole, è un modo per camminare insieme. Per questo è fondamentale promuovere un’ampia partecipazione ai processi di discernimento, con una particolare cura per il coinvolgimento di coloro che si trovano ai margini della comunità cristiana e della società.
61. Il punto di partenza e il criterio di riferimento di ogni discernimento ecclesiale è l’ascolto della Parola di Dio. Le Sacre Scritture costituiscono la testimonianza per eccellenza della comunicazione di Dio con l’umanità. Attestano che Dio ha parlato al suo Popolo e continua a farlo, e presentano diversi canali attraverso cui questa comunicazione avviene. Dio parla attraverso la meditazione personale della Scrittura, nella quale risuona “qualcosa” del testo biblico su cui si prega. Dio parla alla comunità nella liturgia, luogo ermeneutico per eccellenza di ciò che il Signore dice alla sua Chiesa. Dio parla attraverso la Chiesa, che è madre e maestra, attraverso la sua tradizione viva e le sue pratiche, comprese quelle della pietà popolare. Dio continua a parlare attraverso gli avvenimenti che hanno luogo nello spazio e nel tempo, a condizione di saperne discernere il significato. Ancora, Dio comunica con il suo Popolo attraverso gli elementi del cosmo, la cui stessa esistenza rimanda all’azione del Creatore e che è riempito dalla presenza dello Spirito Santo “che dà la vita”. Infine, Dio parla nella coscienza personale di ciascuno, che «è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria» (GS 16). Un autentico discernimento non può trascurare nessuno di questi canali di comunicazione.
62. Il discernimento comunitario non è una tecnica organizzativa, ma una pratica esigente che qualifica la vita e la missione della Chiesa vissuta in Cristo e nello Spirito Santo. Per questo va sempre realizzato con la consapevolezza e la volontà di essere radunati nel nome del Signore Gesù (cfr. Mt 18,20) in ascolto della voce dello Spirito Santo. Come ha promesso Gesù, solo lo Spirito Santo può guidare la Chiesa sulla via della pienezza della verità (cfr. Gv 16,13) e della vita, da dispensare a un mondo assetato di senso. Si radica qui il metodo con cui il Popolo di Dio vive il suo cammino di annuncio e testimonianza del Vangelo. È dunque prioritario imparare a praticare a tutti i livelli quell’arte evangelica che ha permesso alla comunità apostolica di Gerusalemme di sigillare il risultato del primo evento sinodale della storia della Chiesa con le parole: «È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi» (At 15,28). In questo spirito si deve ricomprendere e riorientare la pratica della vita sinodale missionaria della Chiesa in luoghi, organismi ed eventi concreti.
63. Le concrete opzioni procedurali, nella loro varietà, devono essere coerenti con le esigenze di metodologia teologica di fondo. Anche sulla base dell’esperienza del processo sinodale, è possibile identificare alcuni elementi chiave per il disegno di qualsiasi procedura: a) una vita di preghiera personale e comunitaria, che includa la partecipazione all’Eucaristia; b) un’adeguata preparazione personale e comunitaria, fondata sull’ascolto della Parola di Dio e della realtà; c) un ascolto rispettoso e profondo della parola di ciascuno; d) la ricerca di un consenso il più ampio possibile non per intersezione (dunque al ribasso), ma per traboccamento, puntando a evidenziare quello che più “fa ardere i cuori” (cfr. Lc 24,32); e) la formulazione del consenso da parte di chi conduce il processo e la sua restituzione a tutti i partecipanti, a cui spetta confermare o meno di sentirsi riconosciuti in quella formulazione.
64. Il discernimento si svolge sempre “con i piedi per terra”, cioè all’interno di un contesto concreto, di cui occorre conoscere il meglio possibile le complessità e le peculiarità. Non potrà quindi che giovarsi del contributo dell’analisi delle diverse scienze umane, sociali e amministrative rilevanti rispetto alla questione di cui si tratta. Alla competenza tecnica e scientifica non spetta l’ultima parola – significherebbe cadere in una deriva tecnocratica – ma «dare una base di concretezza al percorso etico e spirituale che segue» (LS 15). Occorrerà quindi garantire che possa offrire il suo apporto, di cui non si può fare a meno, senza acquisire un ruolo dominante su altre prospettive.
65. Nella Chiesa esiste una grande varietà di approcci al discernimento e di metodologie consolidate. Questa varietà è una ricchezza: con gli opportuni adattamenti ai diversi contesti, tutti gli approcci possono rivelarsi fecondi. In vista del bene comune, è importante che entrino in un dialogo cordiale, senza disperdere le specificità di ciascuna e senza arroccamenti identitari. La fecondità della conversazione nello Spirito, emersa in tutte le tappe del processo sinodale, invita a ritenere questa forma peculiare di discernimento ecclesiale come particolarmente consona all’esercizio della sinodalità.
66. Nelle Chiese locali è fondamentale offrire opportunità di formazione che diffondano e alimentino una cultura del discernimento, in particolare tra quanti ricoprono ruoli di responsabilità. Altrettanto importante è curare la formazione di figure di accompagnatori o facilitatori, il cui apporto si rivela assai spesso cruciale nello svolgimento dei processi di discernimento. In questa linea si pone anche il lavoro del Gruppo di studio n. 9, dedicato alla predisposizione di criteri teologici e metodologie sinodali per un discernimento condiviso di questioni dottrinali, pastorali ed etiche controverse.
L’articolazione dei processi decisionali
67. «Nella Chiesa sinodale tutta la comunità, nella libera e ricca diversità dei suoi membri, è convocata per pregare, ascoltare, analizzare, dialogare, discernere e consigliare nel prendere le decisioni pastorali più conformi al volere di Dio» (CTI, n. 68). Più che di un approfondimento, questa affermazione ha bisogno di essere attuata. È difficile immaginare un modo per promuovere una Chiesa sinodale più efficace della partecipazione di tutti ai processi decisionali. Questa partecipazione avviene sulla base di una responsabilità differenziata che rispetta ogni membro della comunità e ne valorizza le capacità e i doni in vista della decisione condivisa.
68. Per favorire la sua attuazione, pare opportuna una riflessione sull’articolazione dei processi decisionali. Quest’ultima d’abitudine prevede una fase di elaborazione o istruzione (decision-making, secondo la terminologia inglese usata anche in altre lingue), «attraverso un lavoro comune di discernimento, consultazione e cooperazione» (CTI, n. 69), che informa e sostiene la successiva presa di decisione (decision-taking), che spetta all’autorità competente (ad esempio, in una Diocesi o Eparchia al Vescovo). Fra le due fasi non vi è competizione o contrasto, ma con la loro articolazione concorrono a che le decisioni prese siano quanto più possibile conformi al volere di Dio: «L’elaborazione è un compito sinodale, la decisione è una responsabilità ministeriale» (ibid.).
69. In numerosi casi già il diritto vigente prescrive che, prima di prendere una decisione, l’autorità è obbligata a procedere a una consultazione. Questa consultazione ecclesiale non può non essere fatta e va ben oltre l’ascolto, perché impegna a non procedere come se essa non avesse avuto luogo. L’autorità rimane libera dal punto di vista giuridico, in quanto il parere consultivo non è vincolante, ma, se esso è concorde, non se ne discosterà senza un motivo convincente («sine praevalenti ratione; CIC, can. 127, § 2, 2°). Se lo facesse, si isolerebbe dal gruppo di coloro che sono stati consultati, configurando una lesione al legame che li unisce. Nella Chiesa l’esercizio dell’autorità non consiste nella imposizione di una volontà arbitraria, ma, in quanto ministero a servizio dell’unità del Popolo di Dio, costituisce una forza moderatrice della comune ricerca di ciò che lo Spirito richiede.
70. In una Chiesa sinodale, la competenza decisionale del Vescovo, del Collegio Episcopale e del Romano Pontefice è inalienabile, in quanto radicata nella struttura gerarchica della Chiesa stabilita da Cristo. Tuttavia, non è incondizionata: un orientamento che emerga nel processo consultivo come esito di un corretto discernimento, soprattutto se compiuto dagli organismi di partecipazione della Chiesa locale, non può essere ignorato. L’obiettivo del discernimento ecclesiale sinodale non è far obbedire i Vescovi alla voce del Popolo, subordinando i primi al secondo, né offrire ai Vescovi un espediente per rendere accettabili decisioni già prese, ma condurre a una decisione condivisa in obbedienza allo Spirito Santo. Risulta dunque inadeguata una contrapposizione tra consultazione e deliberazione: nella Chiesa la deliberazione avviene con l’aiuto di tutti, mai senza l’autorità pastorale che decide in virtù del suo ufficio. Per questa ragione la formula ricorrente nel CIC, che parla di “voto solamente consultivo” (tantum consultivum), sminuisce il valore della consultazione e va corretta.
71. Spetta alle Chiese locali dare crescente attuazione a tutte le possibilità di dare vita a processi decisionali autenticamente sinodali, appropriati alle specificità dei diversi contesti. Si tratta di un compito di grande importanza e urgenza, in quanto da esso dipende largamente il buon esito della fase attuativa del Sinodo. Senza cambiamenti concreti, la visione di una Chiesa sinodale non sarà credibile e questo allontanerà quei membri del Popolo di Dio che dal cammino sinodale hanno tratto forza e speranza. Questo vale in modo ancora più speciale per quanto riguarda l’effettiva partecipazione delle donne ai processi di elaborazione e alla presa di decisioni, come richiesto in molti dei contributi ricevuti dalle Conferenze Episcopali.
72. Infine, non bisogna dimenticare che processi di consultazione, discernimento comunitario o elaborazione sinodale delle decisioni esigono che quanti vi partecipano abbiano effettivo accesso a tutte le informazioni rilevanti, in modo da poter formulare il proprio parere a ragion veduta. È responsabilità dell’autorità che indice il processo fare in modo che questo accada. Processi decisionali sinodali sani richiedono un adeguato livello di trasparenza. Ugualmente è bene sottolineare la delicatezza del compito e la particolare responsabilità di coloro che esprimono il proprio parere in una consultazione.
Trasparenza, rendiconto, valutazione
73. Una Chiesa sinodale ha bisogno di cultura e pratica della trasparenza e del rendiconto (accountability, un termine inglese usato anche in altre lingue), che sono indispensabili per promuovere la fiducia reciproca necessaria per camminare insieme ed esercitare la corresponsabilità per la comune missione. Nella Chiesa l’esercizio del rendiconto non risponde in primo luogo a esigenze di carattere sociale e organizzativo. Il suo fondamento è piuttosto da ricercarsi nella natura della Chiesa quale mistero di comunione.
74. Nel Nuovo Testamento possiamo trovare pratiche di rendiconto nella vita della Chiesa primitiva, significativamente legate proprio alla custodia della comunione. Ce ne offre un esempio il cap. 11 degli Atti degli apostoli: quando Pietro rientra a Gerusalemme dopo aver battezzato Cornelio, un pagano, «i fedeli circoncisi lo rimproveravano dicendo: “Sei entrato in casa di uomini non circoncisi e hai mangiato insieme con loro!”» (At 11,2-3). Pietro risponde con un racconto che rende conto delle ragioni del suo operato. Il rendere conto del proprio ministero alla comunità appartiene alla tradizione più antica, risalendo alla Chiesa apostolica. La teologia cristiana del servizio (stewardship) offre un quadro di riferimento al cui interno comprendere l’esercizio dell’autorità e situare la riflessione su trasparenza e rendiconto.
75. Nel nostro tempo, la richiesta di trasparenza e rendiconto nella Chiesa e da parte della Chiesa si è imposta a seguito della perdita di credibilità dovuta agli scandali finanziari e soprattutto agli abusi sessuali e di altro genere su minori e persone vulnerabili. La mancanza di trasparenza e di forme di rendiconto alimenta il clericalismo, che si fonda sull’assunto implicito che i Ministri ordinati non debbano rendere conto a nessuno dell’esercizio dell’autorità loro conferita.
76. Se la Chiesa sinodale vuole essere accogliente, allora rendiconto e trasparenza devono essere al centro della sua azione a tutti i livelli e non solo al livello dell’autorità. Tuttavia, chi ricopre ruoli di autorità ha una responsabilità maggiore a riguardo. Trasparenza e rendiconto non si limitano all’ambito degli abusi sessuali e finanziari. Devono riguardare anche i piani pastorali, i metodi di evangelizzazione e le modalità con cui la Chiesa rispetta la dignità della persona umana, ad esempio per quanto riguarda le condizioni di lavoro all’interno delle sue istituzioni.
77. Se nel corso dei secoli si è conservata la pratica del rendere conto ai superiori, va recuperata la dimensione del rendiconto dell’autorità nei confronti della comunità. La trasparenza deve essere una caratteristica dell’esercizio dell’autorità nella Chiesa. Oggi appaiono necessarie strutture e forme di valutazione regolare del modo in cui sono esercitate le responsabilità ministeriali di ogni genere. La valutazione, intesa in senso non moralistico, permette ai Ministri di apportare tempestivamente eventuali aggiustamenti, e favorisce la loro crescita e capacità di svolgere un servizio migliore.
78. Oltre a osservare quanto già previsto dalle norme canoniche in materia di criteri e meccanismi di controllo, compete alle Chiese locali e soprattutto ai loro raggruppamenti (Conferenze Episcopali e Strutture Gerarchiche Orientali) costruire forme e procedure efficaci di trasparenza e rendiconto, appropriate alla varietà dei contesti, a partire dal quadro normativo civile, dalle attese della società e dalle effettive disponibilità di competenze in materia. Tuttavia, anche laddove le risorse siano scarse, la Chiesa opererà per una evoluzione del proprio operato e della mentalità comune nella direzione della trasparenza e della cultura del rendiconto.
79. In particolare, in forme appropriate ai diversi contesti, pare necessario garantire quanto meno: a) un effettivo funzionamento dei Consigli degli affari economici; b) il coinvolgimento effettivo del Popolo di Dio, in particolare dei membri più competenti, nella pianificazione pastorale ed economica; c) la predisposizione e la pubblicazione (effettiva accessibilità) di un rendiconto economico annuale, per quanto possibile certificato da revisori esterni, che renda trasparente la gestione dei beni e delle risorse finanziarie della Chiesa e delle sue istituzioni; d) un rendiconto annuale sullo svolgimento della missione, che comprenda una illustrazione delle iniziative intraprese in materia di safeguarding (tutela dei minori e delle persone vulnerabili) e di promozione dell’accesso delle donne a posizioni di autorità e della loro partecipazione ai processi decisionali; e) procedure di valutazione periodica dello svolgimento di tutti i ministeri e incarichi all’interno della Chiesa. Anche in questo caso, si tratta di un punto di grande importanza e urgenza per la credibilità del processo sinodale e della sua attuazione.
Parte III – Luoghi
La vita sinodale missionaria della Chiesa, le relazioni di cui è intessuta e i percorsi che ne assicurano lo sviluppo, non possono mai prescindere dalla concretezza di un “luogo”, cioè di un contesto e di una cultura. Questa Parte III ci invita a superare una visione statica dei luoghi, che li ordina per livelli o gradi successivi (Parrocchia, zona, Diocesi o Eparchia, Provincia Ecclesiastica, Conferenza Episcopale o Struttura Gerarchica Orientale, Chiesa universale) secondo un modello piramidale. In realtà non è mai stato così: la rete dei rapporti e dello scambio di doni tra le Chiese ha sempre avuto una forma reticolare più che lineare, nel vincolo dell’unità di cui il Romano Pontefice è perpetuo e visibile principio e fondamento, e la cattolicità della Chiesa non è mai coincisa con un universalismo astratto. Inoltre, nel quadro di una concezione dello spazio in rapido cambiamento, costringere l’azione della Chiesa entro confini puramente spaziali la imprigionerebbe in un fatale immobilismo e in una preoccupante ripetitività pastorale, incapace di intercettare la parte più dinamica della popolazione, in particolare i giovani. I luoghi vanno invece collocati in una prospettiva di mutua interiorità, da concretizzare anche nei rapporti tra Chiese e in loro raggruppamenti dotati di un’unità di senso. Il servizio dell’unità che compete al Vescovo di Roma e al Collegio dei Vescovi in comunione con lui deve parimenti misurarsi con questo scenario, elaborando le opportune forme istituzionali del proprio esercizio.
Territori in cui camminare insieme
80. «Alla Chiesa di Dio che è in Corinto…» (1Cor 1,2). L’annuncio del Vangelo, suscitando la fede nel cuore degli uomini e delle donne, fa sì che in un luogo si costituisca una Chiesa. La Chiesa non si può comprendere senza il radicamento in un luogo e in una cultura e senza le relazioni che si instaurano tra luoghi e culture. Sottolineare l’importanza del luogo non significa cedere al particolarismo o al relativismo, ma valorizzare la concretezza in cui, nello spazio e nel tempo, prende forma un’esperienza condivisa di adesione alla manifestazione di Dio che salva. La dimensione del luogo custodisce la sorgiva pluralità delle configurazioni di questa esperienza e il loro radicarsi in contesti culturali e storici specifici. La varietà delle tradizioni liturgiche, teologiche, spirituali e disciplinari, è la più evidente dimostrazione di quanto questa pluralità arricchisca e renda bella la Chiesa. È la comunione delle Chiese, ciascuna con la sua concretezza locale, a manifestare la comunione dei Fedeli nella Chiesa una e unica, evitandone l’evaporazione in un universalismo astratto e omogeneizzante.
81. L’esperienza del pluralismo delle culture e della fecondità dell’incontro e del dialogo tra di loro, è condizione di vita della Chiesa, non una minaccia alla sua cattolicità. Il messaggio salvifico resta uno e unico: «Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo Battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,4-6). Questo messaggio assume una forma plurale, espressa nella diversità di popoli, culture, tradizioni e lingue. Prendere sul serio questa pluralità di forme scongiura pretese egemoniche e il rischio di ridurre il messaggio salvifico a un’unica comprensione della vita ecclesiale e delle espressioni liturgiche, pastorali o morali. La trama delle relazioni all’interno di una Chiesa sinodale, resa visibile nello scambio di doni tra le Chiese e garantita dall’unità del Collegio dei Vescovi con a capo il Vescovo di Roma, è presidio dinamico di una unità che non può mai diventare uniformità.
82. Tutto questo è chiamato oggi a misurarsi con condizioni socioculturali che modificano profondamente l’esperienza vissuta del radicamento territoriale. Il luogo non può più essere inteso in termini puramente geografici e spaziali, ma richiama piuttosto l’appartenenza a una trama di relazioni e a una cultura con un ancoraggio territoriale più dinamico ed elastico che in passato. Questo non può non interrogare le forme organizzative della Chiesa che si sono strutturate sulla base di una diversa concezione di luogo e richiede anche di assumere criteri differenziati, ovviamente non contraddittori, per incarnare l’unica verità nella vita delle persone.
83. Tra i fattori di questo cambiamento vi è certamente il fenomeno dell’urbanizzazione: oggi, per la prima volta nella storia umana, la maggioranza dell’umanità vive in contesti urbani e non rurali. L’appartenenza territoriale si configura in modo diverso in contesto urbano, dove i confini tra le parti hanno un carattere più evidentemente convenzionale. Nelle grandi megalopoli bastano poche fermate di metropolitana per attraversare i confini non della Parrocchia, ma della Diocesi: uno spostamento che molte persone compiono più volte nell’arco della stessa giornata. La loro vita si svolge ordinariamente in luoghi ecclesiali diversi.
84. Un secondo fattore è l’accresciuta mobilità umana, per differenti ragioni, all’interno di un mondo globalizzato. Rifugiati e migranti costituiscono spesso comunità vivaci, anche per quanto riguarda la pratica della fede, rendendo così plurale il luogo in cui si stabiliscono. Al tempo stesso, mantengono, anche grazie ai mezzi di comunicazione digitale, legami e relazioni con il Paese di provenienza. Vivono dunque una molteplice appartenenza locale, culturale e linguistica. Anche le comunità di origine sperimentano da un lato la riduzione dei propri membri, fino al rischio di scomparire, dall’altro un ampliamento del proprio tessuto relazionale a scala globale. Come ha notato la Prima Sessione, emblematica a questo riguardo è la situazione di alcune Chiese Orientali Cattoliche: con gli attuali ritmi dei flussi migratori, i loro membri in diaspora potrebbero diventare più numerosi di quelli che vivono nei territori canonici (cfr. RdS 6c). In ogni caso, diventerà sempre più anacronistico definire il loro luogo in termini puramente geografici. Sulle sfide che questo pone nei rapporti con la Chiesa latina è chiamato a riflettere il Gruppo di studio n. 1.
85. Infine, non possiamo trascurare la diffusione della cultura dell’ambiente digitale, specialmente tra i giovani. Essa impatta in modo radicale sull’esperienza e sulla concezione dello spazio e del tempo, così come sul modo di vivere le attività di ogni genere, le comunicazioni e le relazioni, e anche la fede. Non a caso, la Prima Sessione afferma che «la cultura digitale non è tanto un’area distinta della missione, quanto una dimensione cruciale della testimonianza della Chiesa» (RdS 17b). A questa sfida è dedicato il lavoro del terzo dei dieci Gruppi di studio.
86. Queste dinamiche della società e della cultura chiedono alla Chiesa di tornare a pensare al senso della propria dimensione locale, in vista del bene della missione. Senza dimenticare che la vita si svolge sempre in contesti fisici e in culture concrete, dai quali non si può mai prescindere, occorre uscire da una interpretazione unicamente spaziale del luogo: i luoghi, anche e soprattutto quelli della Chiesa, non sono soltanto spazi, ma ambiti e reti in cui le relazioni possono svilupparsi, offrendo alle persone una opportunità di radicamento e una base per la missione, che porteranno avanti ovunque si svolga la loro vita. La conversione sinodale delle menti e dei cuori deve essere accompagnata da una riforma sinodale dei luoghi ecclesiali, chiamati a essere strade su cui camminare insieme. Questo non significa rinchiudere in appartenenze elettive l’azione pastorale, che deve poter incontrare ogni uomo e ogni donna.
87. Questa riforma va condotta sulla base della comprensione della Chiesa come Popolo santo di Dio, articolata nella comunione delle Chiese (communio Ecclesiarum). L’esperienza vissuta ci ha mostrato che avviare il processo sinodale dalle Chiese locali non compromette l’unità della Chiesa tutta, ma esprime la varietà e l’universalità del Popolo di Dio (cfr. LG 22), né pregiudica l’esercizio del ministero di unità del Vescovo di Roma, ma lo valorizza. Non bisogna pensare la Chiesa a partire dalle sue istituzioni, ma queste, anche le più importanti, vanno ripensate nella logica del servizio della missione.
88. In ragione del servizio del Vescovo di Roma come principio visibile di unità della Chiesa tutta e di ogni Vescovo come principio visibile di unità nella sua Chiesa, il Concilio ha potuto dire che la Chiesa, corpo mistico di Cristo, è anche un corpo di Chiese, nelle quali e a partire dalle quali esiste l’una e unica Chiesa Cattolica (cfr. LG 23). Questo corpo si articola: a) nelle singole Chiese come porzioni del Popolo di Dio, ciascuna affidata a un Vescovo; b) nei raggruppamenti di Chiese, dove le istanze della comunione sono rappresentate soprattutto dagli organismi gerarchici; c) nella Chiesa intera (Ecclesia tota), dove la Chiesa come comunione di Chiese è espressa dal Collegio dei Vescovi raccolto intorno al Vescovo di Roma nel vincolo della comunione episcopale (cum Petro) e gerarchica (sub Petro). La riforma delle istituzioni ecclesiali non può che seguire questa ordinata articolazione della Chiesa.
Le Chiese locali nell’una e unica Chiesa Cattolica
89. La Chiesa locale, nella sua articolazione, è il luogo in cui possiamo sperimentare più immediatamente la vita sinodale missionaria della Chiesa tutta. I contributi delle Conferenze Episcopali parlano di Parrocchie, comunità di base e piccole comunità come di ambiti di comunione e di partecipazione nella missione. Come hanno affermato i Parroci riuniti a Sacrofano, «i membri delle Parrocchie sono e diventano discepoli missionari di Gesù riuniti nel suo nome per la preghiera e il culto, il servizio e la testimonianza in tempi di gioia e di dolore, di speranza e di lotta». Dio è all’opera in queste realtà ecclesiali. Al tempo stesso, siamo consapevoli che dobbiamo fare di più per mettere a frutto la grande plasticità della Parrocchia, compresa come comunità di comunità, a servizio della creatività missionaria.
90. Oggi le Chiese locali sono composte anche da realtà associative e comunitarie che sono espressioni antiche e nuove della vita cristiana. In particolare, gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica contribuiscono molto alla vita delle Chiese locali e alla vivacità dell’azione missionaria. Lo stesso vale per le associazioni laicali, i movimenti ecclesiali e le Nuove Comunità. L’appartenenza alla Chiesa si esprime oggi con un numero crescente di forme che non fanno riferimento a una base geograficamente definita, ma a legami di tipo associativo. Questa varietà di forme va promossa, tenendo sempre presente la prospettiva missionaria e il discernimento ecclesiale di ciò che il Signore chiede in ogni particolare contesto. L’animazione di questa molteplice varietà e la cura dei legami di unità sono competenza specifica del Vescovo diocesano o eparchiale. Al Gruppo di studio n. 6 è stato affidato il compito di approfondire questi aspetti.
91. Come già nelle fasi precedenti del processo sinodale, anche in occasione della consultazione in vista della redazione del presente Instrumentum laboris, molti dei contributi pervenuti considerano i diversi tipi di Consigli (parrocchiali, zonali, diocesani o eparchiali) come strumenti essenziali per la pianificazione, l’organizzazione, l’esecuzione e la valutazione delle attività pastorali, e segnalano la necessità di valorizzarli. Si tratta infatti di strutture già previste dal vigente diritto. Con gli opportuni adattamenti potrebbero rivelarsi ancora più adatti a dare forma concreta ad alcuni aspetti di uno stile sinodale: possono diventare soggetti di processi di discernimento ecclesiale e di processi decisionali sinodali e luoghi della pratica del rendiconto e della valutazione di coloro che ricoprono ruoli di autorità, senza dimenticare che dovranno a loro volta rendere conto del modo in cui svolgono i propri compiti. Si tratta quindi di uno degli ambiti più promettenti su cui agire per una rapida attuazione degli orientamenti sinodali, che conduca a cambiamenti percepibili in modo rapido.
92. Per procedere in questa direzione, molti contributi segnalano la necessità di intervenire sul profilo e le modalità di funzionamento di questi organi. Tra gli aspetti più significativi a cui prestare attenzione si segnala la modalità di designazione dei membri, puntando a che la loro composizione rifletta quella della comunità di riferimento (Parrocchia o Diocesi/Eparchia), così da contribuire credibilmente alla promozione di una cultura della trasparenza e del rendiconto. Occorre perciò che la maggioranza dei membri non sia indicata dall’autorità (Vescovo o Parroco), ma designata in altro modo, esprimendo effettivamente la realtà della comunità o della Chiesa locale.
93. Uguale attenzione richiede la composizione di questi organismi, in modo da favorire un maggiore coinvolgimento delle donne, dei giovani e di coloro che vivono in condizioni di povertà o emarginazione. Inoltre, come ha sottolineato anche la Prima Sessione, è fondamentale che in questi organi siedano uomini e donne impegnati nella testimonianza della fede nelle ordinarie realtà della vita e nelle dinamiche sociali, con una riconosciuta disposizione apostolica e missionaria (cfr. RdS 18d), e non solo persone impegnate nell’organizzazione della vita e dei servizi interni alla comunità. In questo modo il discernimento ecclesiale realizzato da questi organismi beneficerà di una maggiore apertura, capacità di analisi della realtà e pluralità di prospettive. Infine, molti contributi segnalano l’opportunità di rendere obbligatori quei Consigli la cui istituzione è discrezionale nel diritto attualmente vigente.
94. Alcune Conferenze Episcopali condividono anche esperienze di riforma e buone pratiche già in atto, come la creazione di reti di Consigli pastorali a livello di comunità di base, Parrocchie e zone, fino al Consiglio pastorale diocesano. Come modello di consultazione e ascolto, si propone lo svolgimento di assemblee ecclesiali a tutti i livelli, cercando di non limitare la consultazione all’interno della Chiesa Cattolica, ma aprendosi al contributo di altre Chiese e Comunità Ecclesiali e di altre religioni presenti sul territorio e alla società, insieme a cui la comunità cristiana cammina.
I legami che danno forma all’unità della Chiesa
95. L’orizzonte comunionale dello scambio di doni, esplicitato nella Parte I, costituisce il criterio ispirativo della relazione tra le Chiese. Esso combina l’enfasi sui legami che danno forma all’unità della Chiesa con la valorizzazione delle peculiarità legate al contesto in cui vive ciascuna Chiesa locale, con la sua storia e la sua tradizione. Adottare uno stile sinodale permette di non pensare che su ogni questione tutte le Chiese debbano muoversi per forza con lo stesso passo. Al contrario, le differenze di ritmo possono essere valorizzate come espressione di una legittima diversità e come occasione per uno scambio di doni e mutuo arricchimento. Per potersi realizzare, questo orizzonte ha bisogno di incarnarsi in strutture e prassi concrete. Rispondere alla domanda «Come essere Chiesa sinodale in missione?» richiede di identificarle e promuoverle.
96. Strutture Gerarchiche Orientali e Conferenze Episcopali sono uno strumento fondamentale di creazione di legami e condivisione di esperienze tra le Chiese, oltre che di decentramento del governo e della pianificazione pastorale. «Il Concilio Vaticano II ha affermato che, in modo analogo alle antiche Chiese patriarcali, le Conferenze Episcopali possono “portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente” (LG 23). Ma questo auspicio non si è pienamente realizzato, perché ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle Conferenze Episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale» (EG 32). Cercare il modo per essere Chiesa sinodale in missione richiede di affrontare questa questione.
97. A partire da quanto emerso lungo il processo sinodale, si propone di: a) riconoscere le Conferenze Episcopali come soggetti ecclesiali dotati di autorità dottrinale, assumendo la diversità socioculturale nel quadro di una Chiesa poliedrica e favorendo la valorizzazione delle espressioni liturgiche, disciplinari, teologiche e spirituali appropriate ai diversi contesti socio-culturali; b) procedere a una valutazione dell’esperienza vissuta del funzionamento delle Conferenze Episcopali e delle Strutture Gerarchiche Orientali, delle relazioni tra gli Episcopati e con la Santa Sede, per identificare le riforme concrete da attuare; le visite ad limina, che rientrano nell’ambito del Gruppo di studio n. 7, potrebbero costituire una occasione propizia per questa valutazione; c) assicurare che tutte le Diocesi o Eparchie siano assegnate a una Provincia Ecclesiastica e a una Conferenza Episcopale o Struttura Gerarchica Orientale (cfr. CD 40).
98. L’esperienza delle Assemblee continentali è stata la novità della prima fase del processo sinodale, dando in modo più coerente attuazione all’indicazione conciliare di prendere sul serio la peculiarità di «di ogni vasto territorio socio-culturale» alla ricerca di «un più profondo adattamento in tutto l’ambito della vita cristiana» (AG 22). Questa esperienza, così come il cammino delle Chiese di alcune regioni, solleva la questione dell’articolazione del dinamismo sinodale e collegiale attraverso appropriate espressioni istituzionali, ad esempio assemblee ecclesiali e Conferenze Episcopali a cui affidare compiti coordinati di elaborazione e presa di decisioni in ambito continentale o regionale. Si possono anche attuare metodi di discernimento che includano una diversità di soggetti ecclesiali nella redazione dei documenti e nei processi decisionali. Inoltre, si propone che per il discernimento si possano prevedere, in forme adeguate alla diversità dei contesti, anche spazi di ascolto e dialogo con istituzioni civili, rappresentanti di altre religioni, organizzazioni non cattoliche e la società in generale.
99. Il desiderio che il dialogo sinodale locale non si concluda, ma continui nel tempo e la necessità di una effettiva inculturazione della fede in ambiti territoriali significativi spinge a una nuova valorizzazione dell’istituto dei Concili Particolari, sia Provinciali sia Plenari, la cui periodica celebrazione è stata un obbligo per larga parte della storia della Chiesa. Sulla base dell’esperienza maturata lungo il percorso sinodale, si possono pensare forme che articolino un’assemblea di soli Vescovi e un’assemblea ecclesiale composta anche da altri Fedeli (Presbiteri, Diaconi, Consacrati e Consacrate, Laici e Laiche), delegati dai Consigli pastorali delle Diocesi o Eparchie coinvolte, o designati in altro modo così da riflettere la varietà della Chiesa nella regione. In questa linea, andrebbe riformata la procedura della recognitio delle conclusioni dei Concili Particolari, in modo da favorirne una tempestiva pubblicazione.
Il servizio all’unità del Vescovo di Roma
100. Rispondere alla domanda «Come essere Chiesa sinodale in missione?» richiede anche di rivisitare la dinamica che unisce sinodalità, collegialità e primato, perché possa innervare i rapporti tra le istituzioni attraverso cui trova concreta espressione.
101. Il processo sinodale ha mostrato la verità dell’affermazione conciliare, che «nella comunione ecclesiale esistono legittimamente le Chiese particolari, che godono di tradizioni proprie, salvo restando il primato della cattedra di Pietro che presiede alla comunione universale della carità, garantisce le legittime diversità e insieme vigila perché il particolare non solo non nuoccia all’unità, ma anzi ne sia al servizio» (LG 13). In forza di questa funzione, il Vescovo di Roma, in quanto principio visibile di unità della Chiesa tutta (cfr. LG 23), è il garante della sinodalità: spetta a lui chiamare la Chiesa tutta all’azione sinodale, convocando, presiedendo e confermando i risultati dei Sinodi dei Vescovi; dovrebbe essere sua cura vigilare perché la Chiesa cresca in uno stile e in una forma sinodale.
102. La riflessione in merito alle forme di esercizio del ministero petrino va condotta anche nella prospettiva della «salutare decentralizzazione» (EG 16), sollecitata da Papa Francesco e richiesta da molte Conferenze Episcopali. Nella formulazione che ne dà la Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium, essa comporta «di lasciare alla competenza dei Pastori la facoltà di risolvere nell’esercizio del “loro proprio compito di maestri” e di Pastori le questioni che conoscono bene e che non toccano l’unità di dottrina, di disciplina e di comunione della Chiesa, sempre agendo con quella corresponsabilità che è frutto ed espressione di quello specifico mysterium communionis che è la Chiesa» (PE II, 2).
103. Per procedere in questa direzione, si potrebbe proseguire nella linea del recente Motu Proprio Competentias quasdam decernere (15 febbraio 2022), che assegna «alcune competenze, circa disposizioni codiciali volte a garantire l’unità della disciplina della Chiesa universale, alla potestà esecutiva delle Chiese e delle istituzioni ecclesiali locali» sulla base della «dinamica ecclesiale della comunione» (proemio).
104. Inoltre, anche l’elaborazione della norma canonica può essere luogo di esercizio di uno stile sinodale. L’azione normativa non è limitata all’esercizio di una potestà riconosciuta in capo all’autorità, ma va considerata come vero e proprio discernimento ecclesiale. Anche se da sola gode di tutte le prerogative per legiferare, nel farlo l’autorità potrebbe e dovrebbe agire con metodo sinodale, al fine di promulgare una norma che sia frutto di un ascolto nello Spirito di una esigenza di giustizia.
105. La citata Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium ha configurato in senso sinodale e missionario il servizio che la Curia Romana presta al Vescovo di Roma e al Collegio dei Vescovi. Nella logica della trasparenza e del rendiconto, andranno previste forme di valutazione periodica del suo operato, affidate a un organo indipendente (quale potrebbe essere il Consiglio dei Cardinali e/o un consiglio di Vescovi eletto dal Sinodo). Al ruolo dei Rappresentanti pontifici in prospettiva sinodale missionaria e alle modalità di valutazione del loro operato è dedicato il Gruppo di studio n. 8.
106. La stessa Assemblea di ottobre 2023 indicava la necessità di procedere a una valutazione dei frutti della Prima Sessione (cfr. RdS 20j), valutazione che non può prescindere dallo sviluppo impresso dalla Costituzione Apostolica Episcopalis communio, che trasforma il Sinodo da evento puntuale a processo ecclesiale che si distende nello spazio e nel tempo. Tra i luoghi per praticare la sinodalità e la collegialità a livello della Chiesa tutta spicca certamente il Sinodo dei Vescovi. Istituito da San Paolo VI come un’assemblea di Vescovi convocata per partecipare, mediante il consiglio, alla sollecitudine del Romano Pontefice per tutta la Chiesa, è ora, nella forma del processo per fasi, l’ambito in cui si realizza e può essere incentivata la relazione dinamica tra sinodalità, collegialità e primato. L’intero Popolo santo di Dio, i Vescovi a cui sono affidate le sue singole porzioni e il Vescovo di Roma in quanto principio di unità della Chiesa, partecipano a pieno titolo al processo sinodale, ciascuno secondo la propria funzione. Questa partecipazione è resa manifesta dall’Assemblea sinodale riunita intorno al Vescovo di Roma, che, nella sua composizione, mostra la varietà e l’universalità della Chiesa quale «“sacramento di unità”, cioè Popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei Vescovi» (SC 26).
107. Tra i frutti più significativi del Sinodo 2021-2024 vi è l’intensità dello slancio e della promessa ecumenica che lo contraddistingue. Può essere utile affrontare in questa luce anche la questione dell’esercizio del ministero petrino, affinché possa aprirsi «a una situazione nuova» (UUS 95). Il recente documento del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani Il Vescovo di Roma. Primato e sinodalità nei dialoghi ecumenici e nelle risposte all’enciclica “Ut unum sint” offre spunti per un ulteriore approfondimento. Il tema rientra nell’ambito del Gruppo di studio n. 10, dedicato alla recezione dei frutti del cammino ecumenico nelle prassi ecclesiali.
108. La ricchezza rappresentata dalla partecipazione alla Prima Sessione dei Delegati fraterni, provenienti da altre Chiese e Comunità Ecclesiali, ci invita a crescere nell’attenzione a come la sinodalità si realizza nei nostri partner ecumenici, tanto in Oriente come in Occidente. Il dialogo ecumenico è fondamentale per sviluppare la comprensione della sinodalità e dell’unità della Chiesa. Ma soprattutto ci spinge a immaginare pratiche sinodali autenticamente ecumeniche, fino a forme di consultazione e discernimento su questioni di interesse condiviso e urgente. Alla radice di questa possibilità vi è il fatto che siamo uniti nell’unico Battesimo, da cui scaturiscono l’identità del Popolo di Dio e il dinamismo di comunione, partecipazione e missione.
Conclusione – La Chiesa sinodale nel mondo
109. In questo mondo ogni cosa è connessa ed è segnata da un desiderio dell’altro che non viene mai meno. Tutto è un appello alla relazione e una testimonianza di non autosufficienza. Il mondo intero, quando lo si contempla con lo sguardo educato dalla Rivelazione cristiana, è segno sacramentale di una presenza che lo trascende e lo anima, conducendolo all’incontro con Dio, che si compirà definitivamente nella convivialità delle differenze, le quali troveranno piena composizione al banchetto escatologico preparato da Dio sul suo monte.
110. Trasformata dall’annuncio della Risurrezione, la Chiesa cerca di diventare un luogo dove si respira e si vive la visione di Isaia, così da essere «sostegno al misero, sostegno al povero nella sua angoscia, riparo dalla tempesta, ombra contro il caldo» (Is 25,4). In questo modo apre il suo cuore al Regno. Quando i membri della Chiesa si lasciano condurre dallo Spirito del Signore verso orizzonti che prima non avevano intravisto, sperimentano una gioia incommensurabile. Nella sua bellezza, umiltà e semplicità, è questa la conversione continua dello stile della Chiesa che il processo sinodale ci invita a intraprendere.
111. L’Enciclica Fratelli tutti ci presenta la chiamata a riconoscerci come sorelle e fratelli in Cristo risorto, proponendolo non come uno status, ma come uno stile di vita. L’Enciclica sottolinea il contrasto tra il tempo in cui viviamo e la visione di convivialità preparata da Dio. Il velo, la coltre e le lacrime dei nostri tempi sono il risultato del crescente isolamento reciproco, della crescente violenza e polarizzazione del nostro mondo e dello sradicamento dalle sorgenti della vita. Questo Instrumentum laboris si interroga e ci interroga su come essere una Chiesa sinodale missionaria; come impegnarci in un ascolto e in un dialogo profondi; come essere corresponsabili alla luce del dinamismo della nostra vocazione battesimale personale e comunitaria; come trasformare strutture e processi in modo che tutti possano partecipare e condividere i carismi che lo Spirito riversa su ciascuno per l’utilità comune; come esercitare potere e autorità come servizio. Ognuna di queste domande è un servizio alla Chiesa e, attraverso la sua azione, alla possibilità di guarire le ferite più profonde del nostro tempo.
112. Il profeta Isaia termina il suo oracolo con un inno di lode da riprendere in coro: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza» (Is 25,9). Come Popolo di Dio uniamoci a questa lode, mentre come pellegrini di speranza continuiamo ad avanzare lungo il cammino sinodale verso coloro che ancora attendono l’annuncio della Buona Notizia della salvezza!
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[1] A meno di diversa indicazione o dove risulti chiaro dal contesto che non è così, nel testo dell’Instrumentum laboris il termine “Chiesa” indica «l’una e unica Chiesa Cattolica» (LG 23), mentre il plurale “Chiese” indica le Chiese locali in cui e a partire da cui essa esiste.
[2] Qui, come di seguito, le citazioni delle Conferenze Episcopali e dei loro raggruppamenti continentali provengono dalle sintesi trasmesse alla Segreteria Generale del Sinodo al termine della consultazione delle Chiese locali che ha avuto luogo tra la fine del 2023 e la prima metà del 2024.
[3] Diffuso dalla Segreteria Generale del Sinodo l’11 dicembre 2023 e disponibile sul sito www.synod.va.
[4] A riguardo, si rinvia al documento Come essere Chiesa sinodale in missione? Cinque prospettive da approfondire teologicamente in vista della Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, diffuso dalla Segreteria Generale del Sinodo il 14 marzo 2024 e disponibile sul sito www.synod.va.
[5] A riguardo, si rinvia al documento Gruppi di studio su questioni emerse nella Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi da approfondire in collaborazione con i Dicasteri della Curia Romana. Traccia di lavoro, pure diffuso il 14 marzo 2024 e disponibile sul sito www.synod.va.
[6] Le tematiche emergenti nella Relazione di Sintesi della Prima Sessione e affidate ai dieci Gruppi di studio sono:
1. Alcuni aspetti delle relazioni tra Chiese Orientali Cattoliche e Chiesa latina (RdS 6).
2. L’ascolto del grido dei poveri (RdS 4 e 16).
3. La missione nell’ambiente digitale (RdS 17).
4. La revisione della Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis in prospettiva sinodale missionaria (RdS 11).
5. Alcune questioni teologiche e canonistiche intorno a specifiche forme ministeriali (RdS 8 e 9).
6. La revisione, in prospettiva sinodale e missionaria, dei documenti che disciplinano le relazioni fra Vescovi, Religiosi, Aggregazioni ecclesiali (RdS 10).
7. Alcuni aspetti della figura e del ministero del Vescovo (in particolare: criteri di selezione dei candidati all’Episcopato, funzione giudiziale del Vescovo, natura e svolgimento delle visite ad limina Apostolorum) in prospettiva sinodale missionaria (RdS 12 e 13).
8. Il ruolo dei Rappresentanti pontifici in prospettiva sinodale missionaria (RdS 13).
9. Criteri teologici e metodologie sinodali per un discernimento condiviso di questioni dottrinali, pastorali ed etiche controverse (RdS 15).
10. La recezione dei frutti del cammino ecumenico nel Popolo di Dio (RdS 7).
[7] Il termine “sinodo” nelle tradizioni delle Chiese d’Oriente e d’Occidente si riferisce a istituzioni ed eventi che nel tempo hanno assunto forme diverse, coinvolgendo una pluralità di soggetti. Nella loro varietà, tutte queste forme sono accomunate dal radunarsi insieme per dialogare, discernere e decidere.
[01156-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
XVI ASSEMBLÉE GÉNÉRALE ORDINAIRE
DU SYNODE DES ÉVÊQUES
Comment être une Église synodale en mission ?
Instrumentum laboris
pour la deuxième session (octobre 2024)
Table des matières
INTRODUCTION
Trois ans de cheminement
Un outil de travail pour la deuxième session
FONDEMENTS
L'Église Peuple de Dieu, sacrement de l'unité
La signification commune de la synodalité
L'unité comme harmonie des différences
Sœurs et frères en Christ : une réciprocité renouvelée
Appel à la conversion et à la réforme
PARTIE I – RELATIONS
Dans le Christ et dans l'Esprit : l'initiation chrétienne
Pour le peuple de Dieu : charismes et ministères
Avec les ministres ordonnés : au service de l'harmonie
Entre les Églises et dans le monde : le caractère concret de la communion
PARTIE II – PARCOURS
Une formation intégrale et commune
Le discernement ecclésial pour la mission
L’articulation des processus décisionnels
Transparence, rendre compte et évaluation
PARTIE III – LIEUX
Des territoires pour marcher ensemble
Les Églises locales dans l’Église catholique une et unique
Les liens qui façonnent l’unité de l’Église
Le service à l'unité de l'évêque de Rome
CONCLUSION - L'ÉGLISE SYNODALE DANS LE MONDE
SIGLE
AG Concile Vatican II, Decr. Ad gentes (7 dicembre 1965)
CD Concile Vatican II, Decr. Christus Dominus (28 ottobre 1965)
CIC Codex iuris canonici (25 gennaio 1983)
CTI Commission Theologique Internationale, La sinodalité dans la vie et la mission de l’Eglise (2 mars 2018)
DV Concile Vatican II, Const. Dogm. Dei Verbum (18 novembre 1965)
EG François, Exhort. Ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013)
GS Concile Vatican II, Const. Past. Gaudium et spes (7 décembre 1965)
LG Concile Vatican II, Const. Dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964)
LS François, Lett. Enc. Laudato si’ (24 mai 2015)
PE François, Const. Ap. Praedicate Evangelium (19 mars 2022)
RdS XVI Assemblee Générale Ordinaire du Synode des Evêques, Rapport de Synthèse (28 octobre 2023)
SC Concile Vatican II, Const. Sacrosanctum Concilium (4 décembre 1963)
UR Concile Vatican II, Decr. Unitatis redintegratio (21 novembre 1964)
UUS S. Jean-Paul II, Lett. Enc. Ut unum sint (25 maggio 1995)
Introduction
Le Seigneur de l’univers préparera pour tous les peuples, sur sa montagne,
un festin de viandes grasses et de vins capiteux, un festin de viandes succulentes et de vins décantés.
Sur cette montagne, il fera disparaître le voile de deuil qui enveloppe tous les peuples
et le linceul qui couvre toutes les nations.
Il fera disparaître la mort pour toujours.
Le Seigneur Dieu essuiera les larmes sur tous les visages,
et par toute la terre il effacera l’humiliation de son peuple.
Le Seigneur a parlé.
Is 25, 6-8
Le prophète Isaïe présente l'image d'un banquet surabondant et délicieux préparé par le Seigneur au sommet de la montagne. Celui-ci, destiné à tous les peuples est un symbole de convivialité et de communion. À l’heure de son retour vers le Père, le Seigneur Jésus confie à ses disciples la mission de rejoindre tous les peuples, pour leur servir un banquet composé d'une nourriture qui donne la plénitude de la vie et de la joie. À travers son Église, guidée par son Esprit, le Seigneur veut raviver l'espérance dans le cœur de l'humanité, restaurer la joie et sauver tout le monde, en particulier ceux dont le visage est baigné de larmes et qui crient vers lui dans l'angoisse. Leurs clameurs parviennent aux oreilles de tous les disciples du Christ, des hommes et des femmes qui marchent dans les profondeurs de l’histoire humaine. Ces cris sont encore plus forts en ce moment où le cheminement du Synode a été accompagné par l'éclatement de nouvelles guerres et de conflits armés, s'ajoutant à ceux déjà trop nombreux qui continuent à ensanglanter le monde.
Au cœur du Synode 2021-2024. Pour une Église synodale. Communion, participation, mission, se trouve un appel à la joie et au renouveau pour le Peuple de Dieu qui, à la suite du Seigneur est invité à l'engagement au service de sa mission. Cet appel à être des disciples missionnaires est fondé sur notre identité baptismale commune, appel qui s’enracine dans la diversité des contextes dans lesquels l'Église[1] est présente. Et il trouve son unité dans l’unicité du Père, du Seigneur et de l’Esprit. C’est un appel qui concerne tous les baptisés, sans exception : « Tout le Peuple de Dieu est le sujet de l’annonce de l’Évangile. En lui, chaque baptisé est appelé à être protagoniste de la mission, parce que tous, nous sommes des disciples missionnaires » (CTI, n° 53). Ce renouveau prend forme dans une Église qui, rassemblée par l'Esprit grâce à la Parole et à l’Eucharistie (cf. CD 11), proclame le salut dont elle fait continuellement l'expérience à un monde en attente de sens et assoiffé de communion et de solidarité. C'est pour ce monde que le Seigneur prépare un banquet sur sa montagne.
Pratiquer la synodalité – qui est une expression de la nature même de l’Église - est une manière pour nous aujourd’hui de renouveler notre engagement dans cette mission. Grandir en tant que disciples missionnaires signifie, avant tout, répondre à l'appel de Jésus à s’engager à sa suite, répondre à ce don que nous avons reçu lorsque nous avons été baptisés au nom du Père, du Fils et du Saint-Esprit ; cela signifie ensuite apprendre à nous accompagner les uns les autres en tant que membres d’un peuple pèlerin traversant l'histoire en chemin vers une destination commune : la cité céleste. En avançant sur ce chemin, en rompant le pain de la Parole et de l'Eucharistie, nous devenons ce que nous recevons. Nous comprenons ainsi que notre identité de peuple sauvé et sanctifié a une dimension communautaire incontournable qui englobe toutes les générations de croyants qui nous ont précédés et celles qui nous suivront : le salut à recevoir et dont nous témoignons est relationnel, car personne ne se sauve tout seul. Ou plutôt, en utilisant les mots de la contribution envoyée par une conférence épiscopale d’Asie, nous grandissons lentement dans cette prise de conscience : « La synodalité n'est pas simplement un but, mais également un cheminement à vivre par tous les croyants, un parcours à accomplir ensemble, main dans la main. C'est pourquoi il faut du temps pour en comprendre toute la signification »[2]. Saint Augustin compare la vie chrétienne à un pèlerinage solidaire, une marche ensemble « vers Dieu, non pas avec les pieds, mais avec l’amitié » (Discours 306 B, 1), en partageant une vie de prière, de proclamation et d'amour du prochain.
Le Concile Vatican II enseigne qu’ « à cette union avec le Christ, lumière du monde, de qui nous procédons, par qui nous vivons, vers qui nous tendons, tous les hommes sont appelés » (LG 3). Au cœur du chemin synodal se trouve le désir, ancien et toujours nouveau, de communiquer à tous la promesse et l'invitation du Seigneur, conservées dans la tradition vivante de l'Église, de reconnaître la présence du Seigneur ressuscité parmi nous et d'accueillir les fruits nombreux fécondés par son Esprit. Cette vision de l'Église, comme peuple de pèlerins qui, dans toutes les parties du monde, recherche la conversion synodale au service de la mission, est pour nous un guide alors que nous avançons avec joie et espérance sur le chemin du Synode. Cette vision contraste fortement avec la réalité d'un monde en crise, marqués par des blessures et des inégalités scandaleuses qui retentissent douloureusement dans le cœur de tous les disciples du Christ. Cela nous convoque à prier pour toutes les victimes de violence et d’injustice et à renouveler notre engagement aux côtés des femmes et des hommes qui, partout dans le monde, travaillent comme artisans de justice et de paix.
Trois ans de cheminement
Après l'ouverture du processus synodal les 9 et 10 octobre 2021, les Églises locales du monde entier, à des rythmes différents et avec des expressions multiformes, se sont engagées dans une première phase d'écoute. Faire partie de l'Église signifie appartenir à l'unique Peuple de Dieu, composé de personnes et de communautés existant dans des temps et des lieux concrets : la phase d’écoute synodale a démarré à partir de ces communautés, puis est passée ensuite par des étapes diocésaines, nationales et continentales, à travers un dialogue continu que le Secrétariat général du Synode a soutenu et animé par la publication de synthèses et documents de travail. La circularité de ce processus synodal est une manière de reconnaître et valoriser l'enracinement local de l'Église en des contextes variés, tout en renforçant les liens qui les unissent.
La nouveauté de cette première phase a été celle de l'expérience des Assemblées Continentales, qui ont réuni les Églises locales d'une même macro-région, en les invitant à apprendre à s'écouter et s'accompagner mutuellement en cheminant côte à côte pour discerner ensemble les principaux défis missionnaires à affronter dans le contexte géoculturel dans lequel elles se trouvent.
La première session de la XVIe Assemblée générale ordinaire du Synode des évêques (octobre 2023) a ensuite ouvert une deuxième phase. En accueillant les fruits de cette écoute elle a été une expérience de prière et dialogue, pour discerner les pas suivants à entreprendre en se laissant guidés par l'Esprit. Cette phase se poursuit jusqu'à la conclusion de la deuxième session (octobre 2024), qui offrira au Saint-Père les fruits de son travail, en vue d'une mise en œuvre plus intense à réaliser par toutes les Églises locales.
La préparation de la deuxième session est nécessairement fondée sur ce qui a émergé de la première session, et a été recueilli dans le rapport de synthèse (RdS). Sur cette base, conformément à la circularité qui caractérise l'ensemble du processus synodal et en vue d'une orientation précise des travaux de la deuxième session, une nouvelle consultation de toute les Églises locales a été lancée, à partir de cette question fondamentale : « Comment être une Église synodale en mission ? » Comme l'explique le document Vers octobre 2024[3], l'objectif de cette consultation était « d’identifier les chemins à suivre et les outils à adopter dans les différents contextes et circonstances, en valorisant l’originalité de chaque baptisé et de chaque Église dans l’annonce du Seigneur ressuscité et de son évangile au monde d’aujourd’hui. Il ne s’agit donc pas de se limiter au projet d’améliorations techniques ou procédurales qui rendent les structures de l’Église plus efficaces, mais de travailler sur les formes concrètes de l’engagement missionnaire auquel nous sommes appelés, dans le dynamisme entre unité et diversité propre à une Église synodale ».
Les réponses à cette question de réflexion - envoyées par la plupart des conférences épiscopales et des organismes continentaux de regroupements d’Églises locales, les Églises orientales catholiques, les diocèses qui ne font pas partie d'une conférence épiscopale, les Dicastères de la Curie romaine, l'Union des Supérieurs généraux et l'Union internationale des Supérieures générales représentant la vie consacrée, ainsi que des témoignages d'expériences et de bonnes pratiques reçus du monde entier et les observations de près de deux cents réalités internationales, facultés universitaires, associations de fidèles, communautés et individus - ont constitué la base pour le processus de rédaction de cet Instrumentum laboris écrit pour la deuxième session, en enracinant celui-ci dans la vie même du Peuple de Dieu à travers le monde.
Ces contributions ont exprimé la gratitude pour ce chemin parcouru, les difficultés qu'il demande parfois, mais surtout le désir d'aller de l'avant. Une conférence épiscopale d'Amérique du Nord l'exprime ainsi : « La gratitude pour le chemin synodal est profonde [...] Des tensions subsistent également, qui nécessiteront de poursuivre la réflexion et le dialogue, en s'inspirant de l'idée d'une culture de la rencontre proposée par le Pape François. Mais ces tensions ne rompent pas la communion de charité dans l'Église ». Elles nous rappellent aussi que le chemin à parcourir est encore long.
Comme dans les phases précédentes, les fruits de l'adoption de la méthode de la conversation dans l'Esprit sont réaffirmés. Par exemple, une fédération de conférences épiscopales rapporte : « De nombreuses synthèses venant de toute l'Asie expriment un enthousiasme incroyable pour la méthodologie synodale, qui mettent en place la conversation dans l'Esprit comme point de départ du cheminement. De nombreux diocèses et conférences épiscopales ont introduit cette méthode dans leurs structures existantes avec grand succès ». Cet enthousiasme s'est déjà traduit par la mise en œuvre de mesures concrètes pour expérimenter une manière de procéder plus synodale. Dans une conférence épiscopale européenne, « il a été décidé d'entamer une phase d'expérimentation synodale de cinq ans. Au niveau national, il s'agit de développer, d'évaluer et de perfectionner des formes de consultation synodale, de dialogue, de discernement, ainsi que des processus de prise de décision qui articulent la phase d'élaboration d’une décision (decision-making) avec la prise de décision (decision-taking). Les expériences des diocèses seront prises en compte, ainsi que les développements synodaux dans d'autres parties du monde et dans l'Église universelle. Nous sommes au début d'un parcours d'apprentissage exigeant mais important ». On voit une grande prise de conscience de la valeur des Églises locales et de leur cheminement, de la richesse dont elles sont porteuses et de la nécessité de faire entendre leur voix. D’après une synthèse envoyée par une conférence épiscopale africaine, « on ne peut plus considérer et traiter les Églises locales comme de simples destinataires de l'annonce de l'Évangile, qui n'ont rien ou presque rien ? à apporter ».
À ces contributions se sont ajoutés les fruits de la Rencontre internationale « Curés de paroisse pour le Synode » (Sacrofano [Rome], 28 avril - 2 mai 2024), qui a permis aux prêtres engagés dans la pastorale paroissiale de se faire entendre. Les synthèses de ces groupes d’étude expriment tout d'abord « la joie de pouvoir s'écouter les uns les autres : une expérience enrichissante, qui a nourri un sens profond de la compréhension et du respect des spécificités du contexte d'origine de chacun ». Ils expriment « la nécessité d'une nouvelle compréhension du rôle du curé dans une Église synodale, en respectant la variété des traditions dans l'Église » et la préoccupation de ne pas pouvoir assez rejoindre les périphéries et ceux qui vivent en marge : « Si l'Église veut être synodale, elle doit écouter ces personnes. »
De même, les cinq groupes d’étude constitués par la Secrétairerie Générale du Synode, composés d'experts d'origine géographique, de sexe et de condition ecclésiale diverses, ont fourni des matériaux pour la rédaction de cet Instrumentum laboris. Ces groupes ont travaillé selon une méthode synodale en vue d'un approfondissement théologique et canonique de la notion de synodalité et de ses implications pour la vie de l'Église [4].
Un groupe d'experts, composé d'évêques, de prêtres, d’hommes et de femmes consacrés et laïcs, théologiens, canonistes et biblistes, provenant de tous les continents et ayant des responsabilités ecclésiales diverses, a été chargé de lire toutes les contributions et tous les matériaux reçus et d'articuler les réponses données à la question fondamentale en vue de la rédaction de cet Instrumentum laboris. Les réflexions de ce groupe, ainsi que celles des cinq groupes d’étude mentionnés ci-dessus, alimenteront également le support qui accompagnera cet Instrumentum laboris, en approfondissant les fondements théologiques de certains contenus.
Parallèlement aux travaux de préparation de la deuxième session, les travaux des dix groupes d'étude[5] ont commencé. Ils ont la charge d'approfondir certains thèmes[6] issus de la RdS, décidés par le Saint-Père à l'issue d'une consultation internationale. Ces groupes d'étude, composés de pasteurs et d'experts de tous les continents, suivent une méthode de travail synodale. Ils sont « constitués d'un commun accord entre les Dicastères de la Curie romaine compétents pour les différents thèmes et le Secrétariat général du Synode, qui en assure la coordination », d’après le Chirographe signé par le Pape François le 16 février 2024 et dans l'esprit de la Constitution apostolique Praedicate evangelium (art. 33). Ils devront achever cette étude approfondie d'ici juin 2025, si possible, mais ils présenteront un rapport d'étape à l'Assemblée en octobre 2024. Ainsi, sans attendre la conclusion de la deuxième session, le Pape François a déjà intégré certaines des demandes de la première session et entamé le travail de mise en œuvre, sous la forme prévue par la Constitution apostolique Episcopalis Communio : « Avec le Dicastère de la Curie Romaine compétent, mais aussi avec les autres Dicastères intéressés à différents égards, selon le thème et les circonstances, le Secrétariat Général du Synode promeut pour sa part la mise en œuvre des orientations synodales approuvées par le Pontife Romain » (art. 20, c. 1). En outre, en accord avec le Dicastère pour les textes législatifs, une Commission de droit canonique au service du Synode a été créée. Enfin, afin de mettre en œuvre l'indication donnée par la première session (cf. RdS 16q), le SCEAM (Symposium des Conférences épiscopales d'Afrique et de Madagascar) a annoncé, le 25 avril 2024, la mise en place d'une Commission spéciale chargée de discerner les implications théologiques et pastorales de la polygamie pour l'Église d'Afrique.
Un outil de travail pour la deuxième session
Au cours d'un parcours tissé de silence, de prière, d'écoute de la Parole de Dieu, de dialogue fraternel et de rencontres joyeuses, parfois non sans difficultés, nous avons mûri, en tant que Peuple de Dieu, une conscience plus profonde de notre relation de frères et sœurs en Christ, avec la responsabilité commune d'être une communauté de sauvés qui proclame la beauté du Royaume de Dieu au monde entier, par la parole et par la vie. Cette identité n'est pas de l’ordre d’une idée abstraite, mais d’une expérience vécue, habitée par des noms et des visages. Dans ce temps de préparation de la deuxième session et durant les travaux de cette assemblée, nous continuons à nous poser cette question : comment l'identité de Peuple de Dieu synodal en mission peut-elle se concrétiser dans les relations, les cheminements et les lieux où se déroule la vie de l'Église ?
Le présent Instrumentum laboris doit servir cette perspective. Et l’on peut appliquer également à son compte ce qui a été dit pour l’Instrumentum laboris de la première session : « ce n'est pas un document du Magistère de l'Église, ni le rapport d'une enquête sociologique ; il ne vise ni à formuler des indications opérationnelles, de buts et d'objectifs, ni à offrir l'élaboration complète d'une vision théologique » (n. 8). Pour comprendre ce document, il est essentiel de le situer au sein de l'ensemble du processus synodal. Il est en effet le de cette circularité du dialogue entre les Églises qui caractérise ce processus animé et accompagné par le travail du Secrétariat général du Synode. La première session de l'Assemblée (2023) avait recueilli les fruits de la double consultation locale et continentale à la recherche des « signes caractéristiques d'une Église synodale et sur les dynamiques de communion, de mission et de participation qui l'habitent » (RdS, Introduction). Par la prière, le dialogue et le discernement, elle a recueilli et exprimé dans le RdS les convergences, les questions à traiter et les propositions qui ont émergé du travail commun. Il en ressort ce que l'on peut qualifier de première réponse à la question « Église synodale, que vous enseigne-t-elle de vous-mêmes ? ». La deuxième session est appelée à aller plus loin, en se concentrant sur sa question-guide : « Comment être une Église synodale en mission ? » Sur d'autres questions apparues en cours de route, le travail se poursuit sous d'autres formes, au niveau des Églises locales comme dans les dix groupes d'étude. Les deux Sessions ne peuvent être séparées, ni opposées : elles sont en continuité, et surtout elles font partie d'un processus plus large qui, sur la base de ce qui est indiqué dans la Constitution Apostolique Episcopalis communio, ne s'achèvera pas à la fin du mois d'octobre 2024.
Plus concrètement, cet Instrumentum laboris s'ouvre sur une section consacrée aux Fondements de la compréhension de la synodalité, qui repropose la prise de conscience mûrie au fil du temps et approuvée par la Première Session. Cette section est suivie de trois parties étroitement liées, qui éclairent la vie synodale missionnaire de l'Église à partir de différentes perspectives : (I) la perspective des Relations - avec le Seigneur, entre frères et sœurs et entre Églises - qui soutiennent la vitalité de l'Église bien plus radicalement que ses structures ; (II) la perspective des Cheminements qui soutiennent et nourrissent concrètement le dynamisme des relations ; (III) la perspective des Lieux qui, contre la tentation d'un universalisme abstrait, parle du caractère concret des contextes dans lesquels les relations s'incarnent, avec leur variété, leur pluralité et leur interconnexion, et avec leur enracinement dans le fondement jaillissant de la profession de foi. Chacune de ces sections fera l'objet de prière, d'échange et de discernement dans l'un des modules qui jalonneront les travaux de la deuxième session, où chacun sera invité à « offrir sa contribution comme un don pour les autres et non comme une certitude absolue » (RdS, Introduction), dans un processus que les membres de l'Assemblée sont appelés à rédiger ensemble. Sur cette base, un document final sera rédigé, concernant l'ensemble du processus jusqu'à présent, qui offrira au Saint-Père des lignes directrices sur les étapes à suivre et les moyens concrets d'y parvenir.
On peut s'attendre à un approfondissement de la compréhension commune de la synodalité, à une meilleure focalisation sur les pratiques d'une Église synodale, et même à la proposition de quelques changements dans le droit canonique (d'autres, plus significatifs, pourront être proposés après avoir mieux assimilé et vivifié la proposition de base), mais certainement pas à la réponse à toutes les questions. C'est aussi parce que d'autres émergeront sur le chemin de conversion et de réforme que la deuxième session invitera toute l'Église à entreprendre. Parmi les acquis du processus, nous pouvons certainement compter le fait que nous avons expérimenté et appris une méthode pour aborder les questions ensemble, dans le dialogue et le discernement. Nous sommes encore en train d'apprendre à être une Église synodale missionnaire, mais c'est une tâche que nous avons expérimentée et que nous pouvons entreprendre avec joie.
Fondements
Cette section de l’Instrumentum laboris cherche à esquisser les fondements de la vision d'une Église synodale missionnaire, en nous invitant à approfondir notre compréhension du mystère de l'Église. Elle le fait sans prétendre offrir un traité complet d'ecclésiologie, mais en se mettant au service du chemin de discernement de l'Assemblée synodale d'octobre 2024. Pour aborder cette question « Comment être une Église synodale en mission ? » il est nécessaire d’avoir une vision globale dans laquelle pourront s’intégrer les réflexions et propositions pastorales et théologiques, pour guider l’Eglise dans son cheminement qui se révèle être essentiellement un processus de conversion et de réforme. Les mesures concrètes que prendra ensuite l'Église permettront de mieux cibler l'horizon et approfondir la compréhension des fondements, dans une circularité qui marque toute l'histoire de l'Église.
En Christ, lumière des nations, nous formons un seul peuple de Dieu, appelé à être signe et instrument de l'union avec Dieu et de l'unité du genre humain. Nous réalisons cela en marchant ensemble dans l'histoire, en vivant la communion qui se nourrit de la vie trinitaire, en promouvant la participation de tous et toutes, pour accomplir notre mission commune. Cette vision est bien enracinée dans la tradition vivante de l'Église. Le processus synodal a permis la maturation d’une conscience renouvelée de celle-ci, par l’expression des convergences apparues au cours du voyage commencé en 2021. Lors de la première session d’octobre 2023, l’Assemblée synodale (octobre 2023) les a identifiés et recueillis ces éléments dans le RdS. Ce document a ensuite été partagé avec l'ensemble de l'Église, afin de nourrir un processus de discernement collectif qui enrichira la deuxième session.
L’Église Peuple de Dieu, sacrement de l’unité
1. Le Baptême au nom du Père, du Fils et du Saint-Esprit donne naissance à l'identité mystique, dynamique et communautaire du Peuple de Dieu. Identité orientée à la fois vers la plénitude de vie dans laquelle le Seigneur Jésus nous précède et vers la mission d'inviter tout homme et toute femme à accueillir le don du salut dans la liberté (cf. Mt 28,18-19). Par le baptême, le Christ nous enveloppe de sa présence, nous faisant participer à son identité et à sa mission (cf. Ga 3,27).
2. « Le bon vouloir de Dieu a été que les hommes ne reçoivent pas la sanctification et le salut séparément, hors de tout lien mutuel ; il a voulu en faire un peuple qui le connaîtrait selon la vérité et le servirait dans la sainteté » (LG 9), par la participation même à la communion trinitaire. Dans et par son peuple, Dieu réalise et manifeste le salut donné dans le Christ. La synodalité s'enracine dans cette vision dynamique du Peuple de Dieu, appelé universellement à la sainteté et à la mission, en pélerinage vers le Père sur les traces de Jésus-Christ et vivifié par l'Esprit Saint. Dans les différents contextes où il vit et marche, ce Peuple de Dieu synodal et missionnaire proclame et témoigne de la Bonne Nouvelle du salut. Il marche avec tous les peuples de la terre, avec leurs cultures et leurs religions, dialoguant avec eux et les accompagnant.
3. Le processus synodal a permis de prendre conscience de ce que signifie être ce Peuple de Dieu rassemblé comme « Église ‘de toute tribu, langue, peuple et nation’ » (RdS 5), vivant cette marche vers le Royaume dans des contextes variés et des cultures différentes. Le Peuple de Dieu, sujet communautaire, traverse les étapes de l'histoire du salut vers son accomplissement. Le Peuple de Dieu n'est jamais la somme des baptisés, mais le « nous » de l'Église, sujet communautaire et historique de la synodalité et de la mission, afin que tous puissent recevoir le salut préparé par Dieu. Incorporés à ce Peuple par la foi et le Baptême, nous sommes accompagnés par la Vierge Marie, « signe d’espérance assurée et de consolation », « devant le Peuple de Dieu en pèlerinage », « en attendant la venue du jour du Seigneur (cf. 2 P 3, 10) » (LG 68), par les apôtres, par ceux qui ont témoigné de leur foi jusqu'au don de leur vie, par les saints reconnus et les saints « de la porte d’à côté ».
4. « Le Christ est la lumière des peuples » (LG 1) et cette lumière brille sur le visage de l'Église, qui est, « dans le Christ, en quelque sorte le sacrement, c’est-à-dire à la fois le signe et le moyen de l’union intime avec Dieu et de l’unité de tout le genre humain » (ibid.). Telle la lune, l'Église reflète une lumière qui n'est pas la sienne : sa mission ne peut être autoréférentielle, mais consiste à être le sacrement des liens, des relations et de la communion pour l'unité du genre humain. Elle porte cette responsabilité à une époque marquée par la crise de la participation, où le sentiment d'une destinée commune s'estompe au profit d'une vision individualiste du bonheur et du salut. Sa mission est de transmettre au monde le projet divin d'unir toute l'humanité à Lui par le salut. Ce faisant, elle ne se proclame pas elle-même, mais annonce que « Jésus Christ est le Seigneur » (2 Co 4,5). Autrement, elle perdrait son essence de « sacrement » dans le Christ (cf. LG 1), son identité et sa raison d'être. En cheminant vers la plénitude, l'Église incarne le sacrement du Royaume de Dieu dans le monde.
La signification commune de la synodalité
5. Les termes synodalité et synodal, issus de l’antique et pérenne pratique ecclésiale des synodes [7], ont été mieux compris et vécus grâce à l'expérience de ces dernières années. Ils sont de plus en plus associés au « désir d'une Église plus proche des personnes, moins bureaucratique et plus relationnelle » (RdS 1b), ce qui renvoi à ces deux images de la maison et de la famille de Dieu. La première session de l'Assemblée a dégagé une convergence sur le sens de la 'synodalité', celle-ci sous-tend cet Instrumentum laboris. Les différentes pistes d'approfondissement en cours visent à mieux centrer la perspective catholique sur cette dimension constitutive de l'Église, dans un dialogue avec les autres traditions chrétiennes, respectueux des différences et des particularités de chacune. Dans son sens le plus large, « la synodalité peut être comprise comme la marche des chrétiens avec le Christ et vers le Royaume, avec l'ensemble de l'humanité ; orientée vers la mission, elle implique de se réunir en assemblée aux différents niveaux de la vie ecclésiale, de s'écouter les uns les autres, de dialoguer, de procéder à un discernement communautaire, de rechercher le consensus comme expression de la présence du Christ dans l'Esprit, et de prendre des décisions dans le cadre d'une coresponsabilité différenciée » (RdS 1h).
6. La synodalité désigne donc « le style particulier qui détermine la vie et la mission de l’Église » (CTI, n. 70), un style qui part de l'écoute comme premier acte de l'Église. La foi, qui naît de l'écoute de l'annonce de la Bonne Nouvelle (cf. Rm 10, 17), vit de l'écoute : écoute de la Parole de Dieu, écoute de l'Esprit Saint, écoute réciproque, écoute de la tradition vivante de l'Église et de son Magistère. Au cours des étapes du processus synodal, l'Église a une fois de plus fait l'expérience de ce que les Écritures enseignent : il n'est possible de proclamer que ce que l'on a entendu soi-même.
7. La synodalité « doit s’exprimer dans la façon ordinaire de vivre et d’œuvrer de l’Église. Ce modus vivendi et operandi se réalise à travers l’écoute communautaire de la Parole et de la célébration de l’Eucharistie, la fraternité de la communion et la responsabilité partagée, et la participation de tout le Peuple de Dieu, à ses différents niveaux et dans la distinction des divers ministères et rôles, à la vie et à la mission de l’Église » (ibid.). Le terme indique ensuite les structures et les processus ecclésiaux dans lesquels la nature synodale de l'Église s'exprime au niveau institutionnel. Il désigne enfin les événements particuliers dans lesquels l'Église est convoquée par l'autorité compétente (cf. ibid.). Dans sa référence à la réalité de l'Église, le concept de synodalité n'est pas une alternative à celle de communion. En effet, dans le contexte de l'ecclésiologie du Peuple de Dieu illustrée par le Concile Vatican II, le concept de communion exprime la substance profonde du mystère de l’Église et de sa mission, qui trouve dans la célébration de l'Eucharistie sa source et son sommet, à savoir l'union avec Dieu Trinité et l'unité entre les personnes humaines réalisée dans le Christ par l'Esprit Saint. Dans le même contexte, la synodalité « signifie le modus vivendi et operandi spécifique de l’Église Peuple de Dieu qui manifeste et réalise concrètement son être de communion dans le fait cheminer ensemble, de se réunir en assemblée et que tous ses membres prennent une part active à sa mission évangélisatrice » (CTI, n. 6).
8. La synodalité n'implique en aucun cas la dévaluorisation de l'autorité particulière et de la tâche spécifique des pasteurs confiée par le Christ lui-même : les évêques avec les prêtres, leurs collaborateurs, et le Pontife romain comme « principe perpétuel et visible et le fondement de l’unité qui lie entre eux soit les évêques, soit la multitude des fidèles » (LG 23). Elle offre plutôt « le cadre d’interprétation le plus adapté pour comprendre le ministère hiérarchique lui-même » (François, Discours en commémoration du 50e anniversaire de l'établissement du Synode des évêques, 17 octobre 2015), invitant toute l'Église, y compris ceux qui détiennent l'autorité, à une véritable conversion et réforme.
9. La synodalité n'est pas une fin en soi. Dans la mesure où elle offre la possibilité d'exprimer la nature même de l'Église et contribue à valoriser tous les charismes, vocations et ministères dans l'Église, elle permet à la communauté de ceux qui « regardent avec la foi vers Jésus » (LG 9) d'annoncer l'Évangile de la manière la plus appropriée aux femmes et aux hommes de tous les lieux et de tous les temps, et d'être un « sacrement visible » (ibid.) de l'unité salvifique voulue par Dieu. Synodalité et mission sont donc intimement liées. La deuxième session, en se focalisant sur des aspects spécifiques de la vie synodale, vise à renforcer l'efficacité missionnaire. Simultanément, la synodalité constitue un prérequis pour progresser sur la voie œcuménique vers l'unité visible de tous les chrétiens. L'intégration des fruits du chemin œcuménique dans les pratiques ecclésiales est traitée par le Groupe d'étude n° 10.
L'unité comme harmonie des différences
10. Le dynamisme de la communion ecclésiale et donc de la vie synodale de l'Église trouve son modèle et son accomplissement dans la liturgie eucharistique. En elle, la communion des fidèles (communio fidelium) est aussi la communion des Églises (communio ecclesiarum), manifesté dans la communion des évêques (communio episcoporum), en raison du principe très ancien selon lequel « l'Église est dans l'évêque et l'évêque est dans l'Église » (saint Cyprien, Épître 66, 8). Au service de la communion, le Seigneur a placé l'apôtre Pierre (cf. Mt 16, 18) et ses successeurs. En vertu du ministère pétrinien, l'évêque de Rome est « le principe perpétuel et visible et le fondement » (LG 23) de l'unité de l'Église, exprimée dans la communion de tous les fidèles, de toutes les Églises, de tous les évêques. Ainsi se manifeste l'harmonie que l'Esprit opère dans l'Église, lui qui est l'harmonie en personne (cf. Saint Basile, Sur le Psaume 29, 1).
11. Au fil du processus synodal, l'aspiration à l'unité de l'Église s'est intensifiée, parallèlement à une prise de conscience accrue de sa diversité. Le dialogue entre les Églises nous a rappelé que la mission est indissociable du contexte, rappelant que l'Évangile est offert à des personnes et des communautés ancrées dans des époques et lieux spécifiques. Ces dernières, loin d'être repliées sur elles-mêmes, sont porteuses d'histoires qui méritent reconnaissance et respect, tout en étant invitées à s'ouvrir à des horizons plus larges. Rencontrer et célébrer la beauté du « visage multiforme de l'Église » (Saint Jean-Paul II, Novo Millennio Ineunte, 40) fut l'un des plus grands dons reçus à travers ce chemin. Le renouveau synodal valorise les contextes comme lieux où l'appel universel de Dieu à faire partie de son peuple, de ce Royaume "de justice, de paix et de joie dans l'Esprit Saint" (Rm 14, 17), se manifeste et s'accomplit. Ainsi, les diverses cultures peuvent mieux saisir l'unité qui sous-tend et enrichit leur vibrante pluralité. Reconnaître la valeur des contextes, des cultures et de la diversité est essentiel pour l'épanouissement d'une Église synodale missionnaire.
12. De même, on a pris conscience de la variété des charismes et des vocations que l'Esprit Saint suscite constamment au sein du Peuple de Dieu. Cette prise de conscience suscite l'aspiration à développer la capacité de discerner ces charismes, de c au sein de chaque Église et de comprendre leur interrelation dans la vie concrète de chaque Église et de l'Église dans son ensemble, et surtout de les articuler pour le bien de la mission. Il est aussi nécessaire d'approfondir la question de la participation de tous en lien avec la communion et la mission. À chaque étape du processus s'est manifesté le désir d'élargir les possibilités de participation et d'exercice de la coresponsabilité de tous les baptisés, hommes et femmes, dans la diversité de leurs charismes, de leurs vocations et de leurs ministères. Ce désir s'oriente selon trois axes. Le premier est la nécessité de « mettre à jour » la capacité de proclamer et de transmettre la foi par des moyens adaptés au contexte contemporain. Le deuxième est celui du renouveau de la vie liturgique et sacramentelle, en commençant par l’appel à vivre des célébrations qui soient belles, dignes, accessibles, pleinement participatives, bien inculturées et capables de nourrir l'élan missionaire. Le troisième axe découle de la tristesse provoquée par le manque de participation de nombreux membres du Peuple de Dieu à ce chemin de renouveau ecclésial et par la difficulté de l'Église à vivre pleinement une relation juste entre hommes et femmes, entre différentes générations et entre personnes et groupes de cultures et conditions sociales différentes, en particulier les pauvres et les exclus. Le manque de réciprocité, de participation et de communion entrave le renouveau intégral de l'Église vers une synodalité missionnaire.
Sœurs et frères en Christ : une réciprocité renouvelée
13. La première différence que nous rencontrons en tant qu’êtres humains est la différence homme-femmes. Notre vocation chrétienne implique d'honorer cette différence donnée par Dieu en vivant au sein de l'Église une réciprocité relationnelle dynamique comme témoignage pour le monde. La réflexion synodale des contributions recueillies à toutes les phases a mis en évidence la nécessité de mieux valoriser les charismes, la vocation et le rôle des femmes dans tous les domaines de la vie ecclésiale comme étape indispensable pour favoriser cette réciprocité relationnelle. La perspective synodale met en évidence trois points de référence théologiques comme guide pour le discernement : a) la participation trouve ses racines au niveau des implications ecclésiologiques du baptême ; b) comme peuple de baptisés, nous sommes appelés non pas à enfouir nos talents, mais à reconnaître les dons que l'Esprit répand sur chacun pour le bien de la communauté et du monde ; c) dans le respect de la vocation de chacun et chacune, les dons de l'Esprit accordés aux fidèles sont ordonnés les uns aux autres. Et le principe de coresponsabilité doit guider la collaboration entre tous les baptisés. Pour éclairer notre réflexion, nous pouvons nous appuyer sur le témoignage des Saintes Écritures : Dieu a choisi des femmes comme premiers témoins et messagers de la résurrection. En vertu du baptême, elles sont sur un même pied d'égalité, elles reçoivent la même effusion des dons de l'Esprit et sont appelées à servir la mission du Christ.
14. pour cela, on doit en premier opérer un changement de mentalité : une conversion vers une vision relationnelle, de l'interdépendance et de la réciprocité entre femmes et hommes, des sœurs et frères dans le Christ, portant ensemble une mission commune. L'absence de cette conversion, tant dans les relations que dans les structures, affecte négativement la communion, la participation et la mission de l'Église. Comme l'indique la contribution d'une conférence épiscopale latino-américaine, « une Église dans laquelle tous les membres peuvent se sentir coresponsables est aussi un lieu attrayant et crédible ».
15. Les contributions des conférences épiscopales reconnaissent que de nombreux domaines de la vie de l'Église sont ouverts à la participation des femmes. Cependant, elles notent également que ces possibilités de participation restent souvent sous-utilisées. C'est pourquoi elles suggèrent que la deuxième session en promeuve la prise de conscience et encourage leur développement ultérieur au sein des paroisses, des diocèses et d'autres réalités ecclésiales, y compris les responsabilités pastorales. Elles appellent également à l'exploration d'autres formes ministérielles et pastorales qui donnent une meilleure expression aux charismes que l'Esprit répand sur les femmes en réponse aux besoins pastoraux de notre temps. Voici comment une conférence épiscopale latino-américaine l'a exprimé : « Dans notre culture, la présence du machisme reste forte, alors qu'une participation plus active des femmes dans tous les domaines ecclésiaux est nécessaire. Comme l'affirme le Pape François, leur perspective est indispensable dans les processus décisionnels et dans l’assomption de rôles dans les diverses formes de pastorale et de mission. »
16. Les contributions des conférences épiscopales font ressortir des demandes concrètes à prendre en considération par la Deuxième Session, notamment : (a) la promotion d'espaces de dialogue dans l'Église, afin que les femmes puissent partager leurs expériences, leurs charismes, leurs compétences, leurs connaissances spirituelles, théologiques et pastorales pour le bien de toute l'Église ; b) une plus grande participation des femmes aux processus de discernement ecclésial et à toutes les étapes des processus décisionnels (élaboration et prise de décision) ; c) un plus grand accès aux postes de responsabilité dans les diocèses et les institutions ecclésiastiques, en accord avec les règlementations existantes; d) une reconnaissance accrue et un soutien plus résolu à la vie et aux charismes des femmes consacrées, ainsi que leur emploi à des postes de responsabilité ; e) l'accès des femmes aux postes de responsabilité dans les séminaires, les instituts et les facultés de théologie ; f) l'augmentation du nombre de femmes juges dans les processus canoniques. Les contributions reçues continuent d’attirer l’attention sur l'utilisation d’un langage plus inclusif et sur les images tirées de l'Écriture et de la tradition dans la prédication, l'enseignement, la catéchèse et la rédaction des documents officiels de l'Église.
17. Alors que certaines Églises locales demandent l’admission des femmes au ministère diaconal, d'autres réaffirment leur opposition. Sur ce sujet, qui ne fera pas l'objet des travaux de la deuxième session, il est bon que la réflexion théologique se poursuive, avec les temps et les modalités appropriés. Les fruits du Groupe d'étude n°5 contribueront à sa maturation, en tenant compte les résultats des deux Commissions qui ont traité de cette question par le passé.
18. Beaucoup des demandes exprimées ci-dessus s’appliquent également aux hommes laïcs, dont on déplore souvent la faible participation à la vie de l’Église. En général, la réflexion sur le rôle des femmes met souvent en évidence le désir d’un renforcement de tous les ministères exercés par les laïcs (hommes et femmes). On demande également uel es fidèles laïcs, hommes et femmes, adéquatement formés, contribuent à la prédication de la Parole de Dieu, même lors de la célébration de l’Eucharistie.
Appel à la conversion et à la réforme
19. Jésus a commencé son ministère public par un appel à la conversion (cf. Mc 1,15). C’est une invitation à reconsidérer le mode de vie personnel et communautaire et à se laisser transformer par l'Esprit. Aucune réforme ne peut se limiter aux structures seules. Elle doit s'enraciner dans une transformation intérieure selon les "sentiments de Jésus Christ" (Ph 2,5). Pour une Église synodale, la première conversion est celle de l'écoute, dont la redécouverte a été l'un des fruits les plus importants du chemin parcouru jusqu'ici : d'abord l'écoute de l'Esprit Saint, véritable protagoniste du Synode, puis l'écoute mutuelle comme disposition fondamentale pour la mission.
20. Le style synodal de l'Église offre de nombreuses pistes importantes pour l'humanité. À une époque marquée par des inégalités de plus en plus prononcées, par une désillusion grandissante à l'égard des modèles traditionnels de gouvernance, par le désenchantement face au fonctionnement de la démocratie et par la prédominance du modèle du marché dans les relations interpersonnelles, ainsi que par la tentation de résoudre les conflits par la force plutôt que par le dialogue, la synodalité pourrait être une source d'inspiration pour l'avenir de nos sociétés. Son attrait réside dans le fait qu'elle n'est pas une stratégie de gestion, mais une pratique à vivre et à célébrer dans la gratitude. La manière synodale de vivre les relations est un témoignage social qui répond au besoin humain profond d'être accueilli et de se sentir reconnu au sein d'une communauté concrète. C'est un défi contre l'isolement croissant des personnes et l'individualisme culturel, que même l'Église a souvent absorbés, et qui nous appelle au soin mutuel, à l'interdépendance et à la coresponsabilité pour le bien commun. Mais c'est aussi un défi contre un communautarisme social exagéré qui étouffe les personnes et ne leur permet pas d'être des sujets libres de leur propre développement. La volonté d'écoute de tous, en particulier des pauvres, que promeut le mode de vie synodal, contraste fortement avec un monde où la concentration du pouvoir exclut les pauvres, les marginaux et les minorités. Le caractère concret du processus synodal a montré combien l'Église elle-même a besoin de croître dans cette dimension : le Groupe d'étude n° 2 travaille sur cette question.
21. À chaque étape du processus synodal, le besoin de guérison, de réconciliation et de restauration de la confiance au sein de l'Église et de la société a résonné avec force. Il s'agit d'une orientation fondamentale de l'engagement missionnaire du Peuple de Dieu dans notre monde, tout en étant un don que nous devons invoquer d'en haut. Le désir de cheminer sur cette voie est en soi un fruit du renouveau synodal.
Partie I – Relations
Tout au long du processus synodal et sous toutes les latitudes, l’on a demandé une Église non bureaucratique mais davantage capable de nourrir des relations : avec le Seigneur, entre hommes et femmes, dans la famille, dans la communauté, entre groupes sociaux. Seul un réseau de relations qui tisse la multiplicité des appartenances est capable de soutenir les personnes et les communautés, en leur offrant des points de référence et d'orientation, et en montrant la beauté de la vie selon l'Évangile : c'est dans les relations - avec le Christ, avec les autres, dans la communauté - que se transmet la foi.
Comme exigence de la mission, la synodalité ne doit pas être considérée comme un expédient organisationnel ; elle doit être vécue et cultivée comme l'ensemble des moyens par lesquels les disciples de Jésus tissent des relations solidaires, capables de correspondre à l'amour divin qui les rejoint continuellement et qu’ils sont appelés à témoigner dans les contextes concrets où ils se trouvent. Comprendre comment être une Église synodale en mission passe donc par une conversion relationnelle, qui réoriente les priorités et l'action de chacun, en particulier de ceux qui ont pour tâche d'animer les relations au service de l'unité, dans le concret d'un échange de dons qui libère et enrichit tout le monde.
Dans le Christ et dans l'Esprit : l'initiation chrétienne
22. L'Église pèlerine est missionnaire par nature, puisqu'elle naît de la mission du Fils et de la mission de l'Esprit Saint selon le dessein de Dieu le Père (AG 2). La rencontre avec Jésus, l'adhésion de foi à sa personne et l'initiation chrétienne introduisent dans la vie même de la Trinité. En donnant l'Esprit Saint, le Seigneur Jésus fait participer ceux qui reçoivent le Baptême à sa relation avec le Père. L'Esprit dont Jésus a été rempli et qui l'a guidé (cf. Lc 4, 1), qui l'a oint et envoyé proclamer l'Évangile (cf. Lc 4, 18), qui l'a ressuscité d'entre les morts (cf. Rm 8, 11) est le même Esprit qui a oint les membres du Peuple de Dieu. Cet Esprit fait de nous des enfants et des héritiers de Dieu et c'est par lui que nous nous adressons à Dieu en l'appelant « Abba ! Père ! » (Ga 4, 6 ; Rm 8, 15).
23. Pour comprendre la nature d'une Église synodale en mission, il est indispensable de saisir son fondement trinitaire, et en particulier le lien inextricable entre l'œuvre du Christ et l'œuvre de l'Esprit Saint dans l'histoire humaine et dans l'Église : « L’Esprit Saint qui habite dans le cœur des croyants, qui remplit et régit toute l’Église, réalise cette admirable communion des fidèles et les unit tous si intimement dans le Christ, qu’il est le principe de l’unité de l’Église » (UR 2). C'est pourquoi le chemin de l'initiation chrétienne des adultes est un contexte privilégié pour comprendre la vie synodale de l'Église. Il met en évidence son origine et son fondement : les relations qui unissent et distinguent les trois Personnes divines. Par les dons baptismaux, l'Esprit Saint nous conforme au Christ roi, prêtre et prophète, nous rend membres de son corps, qui est l'Église, et nous constitue enfants du seul et unique Père. Nous recevons ainsi l'appel à la mission et la coresponsabilité de ce qui nous unit dans la seule et unique Église. Ces dons ont une orientation triple et inséparable : personnelle, communautaire et missionnaire. Ils habilitent et engagent chaque baptisé, homme ou femme : à construire des relations fraternelles dans sa propre communauté ecclésiale ; à rechercher une communion toujours plus visible et profonde avec tous ceux avec qui l’on partage le même Baptême ; à proclamer et témoigner de l'Évangile.
24. Si la synodalité missionnaire prend racine, d'une part, dans l'initiation chrétienne, elle doit, de l'autre, éclairer la manière dont le Peuple de Dieu vit concrètement le parcours de l'initiation et l'adopte, le prenant pour ce qu’il signifie réellement, dépassant une vision statique et individualiste qui n’est pas suffisamment liée à la suite du Christ et à la vie dans l'Esprit, afin d’en récupérer la valeur dynamique et transformatrice. Aux premiers siècles, en lisant dans la Genèse que le sixième jour Dieu dit : « Faisons l'homme à notre image, selon notre ressemblance » (Gn 1, 26), les chrétiens ont discerné que le dynamisme relationnel était inscrit dans l'anthropologie de la création. Ils ont vu dans l’image celle du Fils incarné et dans la ressemblance la possibilité progressive de la conformité, manifestation de l'heureuse aventure de la liberté de choisir d'être avec et comme le Christ. Cette aventure commence par l'écoute de la Parole de Dieu, grâce à laquelle le catéchumène entre progressivement dans la suite du Christ Jésus. Le Baptême est au service du dynamisme de la ressemblance, c'est pourquoi il n'est pas un acte ponctuel clos au moment de sa célébration. Il est plutôt un don qui doit être confirmé, nourri et mis en valeur à travers l'engagement de conversion, le service de la mission et la participation à la vie de la communauté. L'initiation chrétienne culmine en effet dans l'Eucharistie dominicale, qui se répète chaque semaine, signe du don incessant de la grâce qui nous conforme au Christ, nous rend membres de son corps, et nous nourrit dans notre chemin de conversion et dans la mission.
25. L'assemblée eucharistique, en ce sens, manifeste et nourrit la vie synodale missionnaire de l'Église. À travers la participation de tous les chrétiens, la présence des différents ministères et la présidence de l'évêque ou du prêtre, la communauté chrétienne devient visible, lorsqu’en elle se réalise une coresponsabilité différenciée de tous pour la mission. La liturgie, en tant que « sommet vers lequel tend l’action de l’Église, et en même temps la source d’où découle toute sa vertu » (SC 10), est simultanément la source de la vie synodale de l'Église et le prototype de tout événement synodal, révélant « comme dans un miroir » (1 Co 13, 12 ; cf. DV 7) le mystère de la Trinité.
26. Il est nécessaire que les propositions pastorales et les pratiques liturgiques préservent et rendent toujours plus évident le lien entre l'itinéraire de l'initiation chrétienne et la vie synodale et missionnaire de l'Église, évitant de le réduire à un instrument purement pédagogique ou à un indicateur d'appartenance purement sociale. Au contraire, elles doivent promouvoir l'accueil du don personnel orienté vers la mission et l'édification de la communauté. Des ajustements pastoraux et liturgiques appropriés doivent être développés dans la diversité des situations historiques et des cultures dans lesquelles sont immergées les différentes Églises locales, en tenant également compte de la différence entre celles où l'initiation chrétienne concerne principalement les jeunes ou les adultes, et celles où elle concerne principalement, voire exclusivement, des enfants.
Pour le peuple de Dieu : charismes et ministères
27. « Les dons de la grâce sont variés, mais c’est le même Esprit. Les services sont variés, mais c’est le même Seigneur. Les activités sont variées, mais c’est le même Dieu qui agit en tout et en tous. À chacun est donnée la manifestation de l’Esprit en vue du bien » (1 Co 12, 4-7). À l'origine de la variété des charismes (dons de la grâce) et des ministères (formes de service dans l'Église en vue de sa mission) se trouve la liberté de l'Esprit Saint : il les accorde et œuvre sans cesse pour qu'ils manifestent l'unité de la foi et l'appartenance à l'Église une et unique dans la diversité des personnes, des cultures et des lieux. Les charismes, même les plus simples et les plus répandus, sont destinés à répondre aux besoins de l'Église et à sa mission (cf. LG 12). En même temps, ils contribuent efficacement à la vie de la société, dans ses différents aspects. Les charismes sont souvent partagés et donnent naissance aux différentes formes de vie consacrée et à la pluralité des agrégations ecclésiales.
28. Le domaine principal où les charismes que chaque baptisé porte sont appelés à se manifester n'est pas l'organisation d'activités ou de structures ecclésiales : c'est dans la vie quotidienne, dans les relations familiales et sociales, dans les diverses situations où les chrétiens, individuellement ou collectivement, sont appelés à faire fructifier les dons de la grâce reçue pour le bien de tous. La fécondité des charismes, tout comme celle des ministères, dépend de l'action de Dieu, de la vocation qu'Il adresse à chacun, de l'accueil généreux et sage des baptisés, ainsi que de la reconnaissance et de l'accompagnement par l'autorité. En aucun cas, ils ne peuvent donc être interprétés comme la propriété de ceux qui les reçoivent et les exercent, ni destinés à leur avantage exclusif.
29. Comme expression de la liberté de l'Esprit dans l’attribution de ses dons et en réponse aux besoins des communautés individuelles, divers ministères existent dans l'Église pouvant être exercés par tout baptisé, homme ou femme. Ce sont des services non occasionnels, reconnus par la communauté et par ceux qui sont chargés de la guider. On les appelle ministères baptismaux, pour indiquer leur racine commune (le baptême) et pour les distinguer des ministères ordonnés, enracinés dans le sacrement de l'ordre. Il y a, par exemple, des hommes et des femmes qui exercent le ministère de coordination au sein d'une petite communauté ecclésiale, le ministère d'animation de moments de prière (lors de funérailles ou autres), le ministère extraordinaire de la communion, ou d'autres services, pas nécessairement de nature liturgique. Les dispositions canoniques latine et orientale prévoient déjà que, dans certains cas, même des fidèles laïcs, hommes ou femmes, peuvent être ministres extraordinaires du baptême. Dans la règlementation latine, l'évêque peut déléguer à des fidèles laïcs, hommes ou femmes, la tâche d'assister aux mariages. Il est utile de poursuivre la réflexion sur la manière de confier ces ministères aux laïcs sous une forme plus stable. Cette réflexion devrait s'accompagner de celle sur la promotion d'autres formes de ministérialité laïque, même en dehors de la sphère liturgique.
30. Ces derniers temps, certains types de service présents depuis longtemps dans la vie de l'Église ont reçu une nouvelle configuration comme ministères institués : le ministère des lecteurs et celui des acolytes (cf. Lettre apostolique sous forme de Motu proprio Spiritus Domini, 10 janvier 2021). Le ministère institué des catéchistes a également pris forme (cf. Lettre apostolique sous forme de Motu proprio Antiquum ministerium, 10 mai 2021). Les ministères institués sont conférés par l'évêque à des hommes et femmes, une seule fois dans leur vie, avec un rite spécial, après un discernement approprié et une formation adéquate. Le temps et les modalités de leur exercice doivent être définis par un mandat de l'autorité légitime. Certaines questions théologiques et canoniques concernant des formes spécifiques de ministère ecclésial – en particulier la question de la nécessaire participation des femmes à la vie et au leadership de l'Église – ont été confiées au Dicastère pour la Doctrine de la Foi, en dialogue avec le Secrétariat générale du Synode (Groupe d'étude n° 5).
31. Si tous les charismes ne prennent pas une configuration proprement ministérielle, tous les ministères sont fondés sur des charismes donnés à certains membres du Peuple de Dieu, qui sont appelés à agir de différentes manières pour que chacun dans la communauté puisse participer à l'édification du corps du Christ (cf. Ep 4, 12), dans un service réciproque. Tout comme les charismes, les ministères doivent être reconnus, promus et valorisés. Le processus synodal a mis en évidence à plusieurs reprises que le discernement et la promotion des charismes et des ministères, ainsi que l'identification des besoins des communautés et de la société auxquels ils sont censés répondre, sont des aspects sur lesquels les Églises locales ont besoin de croître, en se donnant des critères, des outils et des procédures appropriés. Le Concile Vatican II enseigne qu'il revient aux pasteurs de reconnaître les ministères et les charismes « de telle sorte que tout le monde à sa façon et dans l’unité apporte son concours à l’œuvre commune » (LG 30). Le discernement des charismes et des ministères est un acte proprement ecclésial : pour les reconnaître et les promouvoir, l'évêque est tenu d'écouter la voix de tous les intéressés : fidèles individuels, communautés, organismes de participation. Dans ce but, il convient d'identifier des procédures adaptées aux différents contextes, tout en veillant à rendre possible un véritable consensus sur les critères et les résultats du discernement. Les résultats de la rencontre « Les curés pour le Synode » soulignent fermement ces besoins.
32. Il en ressort également une invitation à une plus grande confiance dans l'action de l'Esprit et à plus de courage ainsi qu’à une créativité accrue dans le discernement de la manière de mettre les dons reçus et accueillis au service de la mission de l'Église de manière appropriée aux différents contextes locaux. C'est précisément la diversité des contextes et donc des besoins des communautés, qui suggère que les Églises locales, sous la conduite de leurs pasteurs, et leurs regroupements « dans chaque grand territoire socioculturel » (AG 22), entreprennent avec humilité et confiance un discernement créatif sur les ministères qu'elles doivent reconnaître, confier ou instituer afin de répondre aux besoins pastoraux et sociaux. Il est donc nécessaire de définir les critères et les modalités pour mener à bien ce discernement. Une réflexion doit également être engagée sur la manière de confier les ministères baptismaux (non institués et institués) à une époque où les personnes se déplacent d’un lieu à un autre avec une facilité croissante, en précisant les périodes et les domaines de leur exercice.
33. Le chemin parcouru jusqu'ici a conduit à reconnaître qu'une Église synodale est une Église qui écoute, capable d'accueillir et d'accompagner, perçue comme une maison et une famille. Ce besoin émerge sur tous les continents et concerne les personnes qui, pour diverses raisons, sont ou se sentent exclues ou en marge de la communauté ecclésiale, ou peinent à y trouver une pleine reconnaissance de leur dignité et de leurs dons. Ce manque d'accueil les rejette, entrave leur cheminement de foi et leur rencontre avec le Seigneur, et prive l'Église de leur contribution à la mission.
34. Il semble donc extrêmement opportun de créer un ministère de l'écoute et de l'accompagnement reconnu et éventuellement institué, qui rende concrètement réalisable une caractéristique si distinctive d'une Église synodale. Il est nécessaire d’avoir une « porte ouverte » dans la communauté, par laquelle les personnes peuvent entrer sans se sentir menacés ou jugés. Les formes d'exercice de ce ministère devront être adaptées aux circonstances locales, en fonction de la diversité des expériences, des structures, des contextes sociaux et des ressources disponibles. Cela ouvre donc un espace de discernement à articuler au niveau local, avec l'implication des conférences épiscopales nationales ou continentales également. La présence d'un ministère spécifique ne signifie cependant pas réserver l'engagement de l'écoute aux seuls ministres. Au contraire, ce ministère revêt un caractère prophétique. D'une part, il souligne que l'écoute et l'accompagnement sont une dimension ordinaire de la vie d'une Église synodale, qui engage de différentes manières tous les baptisés et invitant toutes les communautés à croître ; d'autre part, il rappelle que l'écoute et l'accompagnement sont un service ecclésial, et non une initiative personnelle, dont la valeur est ainsi reconnue. Cette prise de conscience est un fruit mûr du processus synodal.
Avec les ministres ordonnés : au service de l'harmonie
35. Le processus synodal a fait émerger des données contrastées concernant l'exercice du ministère ordonné au sein du Peuple de Dieu. On souligne, d'une part, la joie, l'engagement et le dévouement des évêques, des prêtres et des diacres dans l'accomplissement de leur service ; de l’autre, on entend l’expression d’une certaine difficulté, liée principalement à un sentiment d'isolement, de solitude, d’être coupés de relations saines et durables, ainsi que d'être accablés par l'exigence de répondre à tous les besoins. Cela peut être l'un des effets toxiques du cléricalisme. La figure de l'évêque particulièrement est souvent exposée à une surcharge de responsabilités, qui nourrit des attentes irréalistes quant à ce qu'une seule personne peut raisonnablement accomplir.
36. La rencontre « Les curés pour le Synode » a mis en relation cette fatigue avec la difficulté des évêques et des prêtres à cheminer vraiment ensemble dans leur ministère commun. Une réévaluation du ministère ordonné dans le contexte de l'Église synodale missionnaire est donc non seulement une exigence de cohérence, mais aussi une occasion de libération de ces défis, à condition qu'elle s'accompagne d'une conversion effective des pratiques, capables de rendre le changement et les avantages qui en découlent perceptibles pour les ministres ordonnés et les autres fidèles. Outre le niveau de la vie personnelle des ministres, ce chemin de conversion impliquera une nouvelle manière de penser et d'organiser l'action pastorale, qui intègre la participation de tous les baptisés, hommes et femmes, à la mission de l'Église, en mettant particulièrement en valeur, en reconnaissant et en animant les différents charismes et ministères baptismaux. La question « Comment être une Église synodale en mission ? » nous invite à réfléchir concrètement sur les relations, les structures et les processus qui peuvent favoriser une vision renouvelée du ministère ordonné, en passant d'un mode pyramidal d'exercice de l'autorité à un mode synodal. Dans le cadre de la promotion des charismes et des ministères baptismaux, une redistribution des tâches dont l'accomplissement ne requiert pas le sacrement de l'ordre peut être initiée. Une répartition plus articulée des responsabilités favorisera sans doute également des processus décisionnels marqués par un style plus nettement synodal.
37. Dans les textes du Concile, le ministère ordonné est conçu en termes très précis comme un service pour l'Église et pour l'existence de l'Église. Par son autorité, le Concile a restauré la forme du ministère ordonné habituelle dans l'Église primitive, un ministère qui est « exercé dans la diversité des ordres par ceux qu’[…]on appelle évêques, prêtres, diacres » (LG 28). Dans cette articulation, l'épiscopat et la prêtrise correspondent à une participation spéciale au sacerdoce du Christ, pasteur et chef de la communauté ecclésiale, tandis que le diaconat existe « non pas en vue du sacerdoce, mais en vue du ministère » (LG 29). Les différents ordres sont organiquement liés les uns aux autres, dans une interdépendance mutuelle, dans la spécificité de chacun. Aucun ministre ne peut se concevoir comme un individu isolé auquel des pouvoirs ont été conférés ; il doit plutôt se concevoir comme participant aux dons (munera) du Christ, conférés par l'ordination, avec les autres ministres, dans un lien organique avec le Peuple de Dieu dont il fait partie et qui, bien que de manière différente, participe à ces mêmes dons du Christ dans le sacerdoce commun fondé sur le Baptême.
38. L'évêque a pour tâche de présider une Église, étant le principe visible d'unité en son sein et le lien de communion avec toutes les Églises. La singularité de son ministère comporte un pouvoir propre, ordinaire et immédiat, que chaque évêque exerce personnellement au nom du Christ (cf. LG 27) dans la proclamation de la Parole, dans la présidence de la célébration de l'Eucharistie et des autres sacrements, dans la direction pastorale. Cela n'implique pas son indépendance par rapport à la portion du Peuple de Dieu qui lui est confiée (cf. CD 11) et qu'il est appelé à servir au nom du Christ Bon Pasteur. Le fait que « par la consécration épiscopale est conférée la plénitude du sacrement de l’Ordre » (LG 21) ne justifie pas que le ministère épiscopal tende à être « monarchique », conçu comme un cumul de prérogatives d'où dérivent tous les autres charismes et ministères. C’est plutôt l'affirmation de la capacité et du devoir de rassembler et de composer dans l'unité tous les dons que l'Esprit répand sur les baptisés, hommes et femmes, et sur les différentes communautés. Certains aspects du ministère épiscopal, y compris les critères de sélection des candidats à l'épiscopat, sont pris en charge par le Groupe d'étude n° 7.
39. Le ministère des prêtres devrait également être conçu et vécu dans un sens synodal. En particulier, les prêtres « constituent avec leur évêque un seul presbyterium » (LG 28) au service de cette portion du Peuple de Dieu qu'est l'Église locale (cf. CD 11). Cela nous oblige à ne pas considérer l'évêque comme extérieur au presbyterium, mais comme celui qui préside l'Église locale en présidant avant tout le presbyterium, dont il fait partie avec une singularité particulière, étant appelé à exercer une attention spéciale à l'égard des prêtres.
40. Les évêques et les prêtres sont assistés par les diacres, dans un lien d'interdépendance mutuelle des deux types de ministère pour la mise en œuvre du service apostolique. Les évêques et les prêtres ne sont pas autosuffisants par rapport aux diacres, et vice versa. Les fonctions des diacres étant multiples - comme le montrent la tradition, la prière liturgique et la pratique post-Vatican II - elles doivent être situées dans le concret de chaque Église locale. Le service de chaque diacre doit, de toute façon, être conçu en harmonie et en communion avec celui de tous les autres diacres, conformément à la nature du ministère diaconal et dans le cadre de référence de la mission dans une Église synodale.
41. Outre la promotion de l'unité de l'Église locale, l'évêque diocésain ou éparchial, assisté des prêtres et des diacres, est également responsable des relations avec les autres Églises locales et avec l'Église tout entière autour de l'évêque de Rome, dans un échange mutuel de dons. Il semble important de rétablir le lien traditionnel entre le fait d'être évêque et de présider une Église locale, en rétablissant la correspondance entre la communion des évêques (communio episcoporum) et la communion des Églises (communio Ecclesiarum).
Entre les Églises et dans le monde : le caractère concret de la communion
42. La synodalité est mise en œuvre à travers des réseaux de personnes, de communautés, d'organismes et un ensemble de processus qui permettent un échange efficient de dons entre les Églises et un dialogue évangélisateur avec le monde. Marcher ensemble comme baptisés dans la diversité des charismes, des vocations et des ministères, ainsi que dans l'échange des dons entre les Églises, est un signe sacramentel important pour le monde d'aujourd'hui qui, d'une part, expérimente des formes d'interconnexion de plus en plus intenses et, d'autre part, est immergé dans une culture mercantile qui marginalise la gratuité.
43. Selon le Concile, c'est en vertu de la catholicité de l'Église que « chacune des parties apporte aux autres et à toute l’Église le bénéfice de ses propres dons » (LG 13). De là découlent « entre les diverses parties de l’Église, les liens de communion intime quant aux richesses spirituelles, quant au partage des ouvriers apostoliques et des ressources matérielles. Les membres du Peuple de Dieu sont appelés en effet à partager leurs biens et à chacune des Églises s’appliquent également les paroles de l’Apôtre : ‘Que chacun mette au service des autres le don qu’il a reçu, comme il sied à de bons dispensateurs de la grâce divine qui est si diverse’ (1 P 4, 10). » (ibid.).
44. Les conférences épiscopales souhaitent que le partage des biens se fasse dans un esprit de solidarité entre les Églises qui composent l'unique Église catholique, sans volonté de domination ni prétention de supériorité : l'existence d'Églises riches et d'Églises vivant dans des conditions de grande précarité est un scandale. Il est donc suggéré de favoriser les liens réciproques et de constituer des réseaux de soutien, y compris au niveau des regroupements d'Églises.
45. Toutes les Églises locales reçoivent et donnent dans la communion de l’unique Église. Certaines Églises ont besoin de soutien en ressources financières et matérielles ; d'autres sont enrichies par le témoignage d'une foi vivante et d'un service d'amour aux plus pauvres ; d'autres encore ont surtout besoin de l'aide d’évangélisateurs qui partagent leur vie pour communiquer l'Évangile à d'autres peuples. On reconnaît et on sollicite en particulier la générosité des prêtres, des diacres, des personnes consacrées, des laïcs (hommes et femmes) engagés dans la mission ad gentes.
46. Les Églises locales expriment le désir d'un échange de dons spirituels, liturgiques et théologiques, ainsi que d'un plus grand témoignage de partage sur les questions sociales d'importance mondiale, telles que l'entretien de la maison commune et les mouvements migratoires. À cet égard, une Église synodale pourra témoigner de l'importance des solutions aux problèmes communs élaborées sur la base de l'écoute de la voix de tous, y compris et surtout des groupes, des communautés et des pays qui restent habituellement en marge des grands processus mondiaux. Un horizon particulièrement prometteur aujourd'hui pour réaliser des formes d'échange de dons et d'engagement coordonné est celui des grandes zones géographiques supranationales, comme l'Amazonie, le Bassin du Congo, la Méditerranée ou d'autres zones similaires.
47. Une Église synodale est particulièrement invitée à lire aussi dans la perspective de l'échange des dons la réalité de la mobilité humaine, qui devient une occasion de rencontre entre les Églises dans le concret de la vie quotidienne des villes et des quartiers, des paroisses et des diocèses ou des éparchies, contribuant ainsi à enraciner le chemin synodal dans l'expérience vécue des communautés. Une attention particulière devrait être accordée à la possibilité de rencontre et d'échange de dons entre les Églises de tradition latine et les Églises catholiques orientales en diaspora, thème sur lequel travaille le Groupe d'étude n° 1.
48. L'échange de dons entre les Églises a lieu dans des contextes marqués par la violence, la persécution et l'absence de liberté religieuse. Certaines Églises luttent en effet pour leur survie et appellent les autres Églises à la solidarité, tout en continuant à partager leurs richesses, fruit de la confrontation constante avec l'opposition à l'Évangile et de la persécution qui frappe les disciples du Seigneur au cours de l'histoire. En outre, l'échange de dons advient dans un contexte encore marqué par le colonialisme et le néocolonialisme, qui ne sont pas terminés. Une Église qui grandit dans la pratique de la synodalité est invitée à comprendre l'impact de ces dynamiques sociales sur l'échange des dons et à chercher à les transformer. Cet engagement s'inscrit également dans la reconnaissance du fait que de nombreuses Églises portent une mémoire blessée et qu'il est nécessaire de promouvoir des chemins concrets de réconciliation.
49. L'expression « échange de dons » a une valeur importante dans les relations avec les autres Églises et Communautés ecclésiales. Saint Jean-Paul II a appliqué cette idée au dialogue œcuménique : « Le dialogue ne se limite pas à un échange d'idées. En quelque manière, il est toujours un ‘échange de dons’ » (UUS 28). Outre le dialogue théologique, l'échange de dons a lieu dans le partage de la prière, par lequel nous nous ouvrons à l'hospitalité des dons de traditions spirituelles autres que la nôtre. Même l'exemple de saintes femmes et de saints hommes d'autres Églises et Communautés ecclésiales est un don que nous pouvons recevoir, en incluant leur mémoire dans notre calendrier liturgique, en particulier en ce qui concerne les martyrs. Dans cet esprit, nous devons être généreux et offrir aux autres chrétiens la possibilité de venir en pèlerinage et de prier dans les sanctuaires et les lieux saints gardés par l'Église catholique.
50. Le dialogue entre les religions et les cultures n'est pas extérieur au chemin synodal, mais fait partie de son appel à vivre des relations plus intenses, en raison du fait qu'« à toute époque, à la vérité, et en toute nation, Dieu a tenu pour agréable quiconque le craint et pratique la justice » (LG 9 ; cf. Ac 10, 35). L'échange de dons ne se limite donc pas aux autres Églises et communautés chrétiennes, car une catholicité authentique élargit l'horizon et demande de la disponibilité dans l’accueil aussi des facteurs de promotion de vie, de paix, de justice et de développement humain intégral présents dans d'autres cultures et traditions religieuses.
Partie II – Parcours
Une Église synodale est une Église relationnelle, dans laquelle les dynamiques interpersonnelles constituent la trame de la vie d'une communauté en mission, dans des contextes de complexité croissante. Cette perspective ne sépare pas, mais permet de faire le lien entre les différentes expériences. Elle donne à apprendre de la réalité en la relisant à la lumière de la Parole, de la Tradition, des témoignages prophétiques, mais aussi des erreurs commises.
La deuxième partie met en lumière les processus qui contribuent à soigner et développer les relations, en particulier cette dimension de l'union au Christ en vue de la mission, et celle de l'harmonie de la vie communautaire qui requiert la capacité d'affronter ensemble les conflits et les difficultés. Cette partie se concentre sur quatre domaines distincts mais profondément liés de la vie de l'Église synodale missionnaire : la formation, en particulier la formation à l'écoute (de la Parole de Dieu, des frères et sœurs et de la voix de l'Esprit) et la formation au discernement. Ce dernier requiert et conduit au développement de modes participatifs de prise de décision tout en respectant la diversité des différents rôles, avec une circularité qui vise à promouvoir la transparence et le rendre compte de sa responsabilité, intégrant aussi la dimension de l’évaluation à même de relancer le discernement à opérer en vue de la mission.
La source et le sommet de ce dynamisme est l'Eucharistie, qui place à la racine des relations la gratuité de l'amour du Père, par le Fils et dans l'Esprit. La nourriture qui soutient une Église synodale missionnaire incarne également le cœur du message qu’elle veut proclamer au monde.
Une formation intégrale et commune
51. « Prendre soin de sa propre formation est la réponse que chaque baptisé est appelé à donner aux dons du Seigneur, afin de faire fructifier les talents reçus et de les mettre au service de tous » (RdS 14a). Ces mots tirés du rapport de synthèse de la première session soulignent l’importance cruciale de la formation, un des thèmes qui a émergé le plus fortement et le plus universellement tout au long du processus synodal. Pour répondre à la question « Comment être une Église synodale en mission ? », un enjeu majeur est de prioriser la mise en place de parcours de formation cohérents, en accordant une attention particulière à la formation continue pour tous.
52. Pour beaucoup, la participation aux rencontres synodales s’est révélée être une véritable expérience de formation à la compréhension et à la pratique de la synodalité, Et ceci a fait émerger un désir profond de mieux saisir la signification de la dignité baptismale ou de ce « sens surnaturel de la foi » (LG 12) ce don que l'Esprit confère au Peuple de Dieu. Il apparait donc primordial d’approfondir la formation qui permet de découvrir comment l'Esprit agit dans l'Église et reconnaître comme Il la guide à travers les âges.
53. La mission de l'Église est toujours incarnée dans un contexte, et l’Église elle-même ne peut exister sans enracinement dans un lieu précis, avec ses spécificités culturelles et ses réalités historiques. C'est pourquoi il n'est pas possible de concevoir des plans de formation de manière abstraite et décontextualisée. La responsabilité pour les définir revient aux Églises locales et à leurs groupements. Nous nous limitons donc ici à proposer des orientations générales et des principes fondamentaux pour une formation à la synodalité, qui devront ensuite être adaptées et mises en œuvre en tenant compte des contextes, des cultures et des traditions propres à chaque réalité ecclésiale.
54. Une Église synodale missionnaire repose fondamentalement sur la capacité à écouter, ce qui implique la reconnaissance que nul n'est autosuffisant dans l'exercice de sa mission et que chacun a une contribution unique à offrir tout en ayant à apprendre des autres. La formation à l'écoute s’impose donc comme un premier prérequis essentiel. La pratique de la conversation dans l'Esprit a permis d'expérimenter l’interconnexion profonde entre l’écoute de la Parole de Dieu et l’écoute des frères et sœurs. Cette dynamique ouvre progressivement à la perception de la voix de l'Esprit. De nombreuses contributions reçues insistent sur l'importance cruciale d'une formation à cette méthode. L'Église dispose d'un riche éventail de méthodes d'écoute, de dialogue et de discernement, reflétant la diversité des cultures et des traditions spirituelles. Un objectif pertinent serait de promouvoir la formation à cette pluralité de méthodes et d'encourager le dialogue entre elles dans les contextes locaux. Un point particulièrement mentionné est l'écoute des personnes en situation de pauvreté et de marginalisation. De nombreuses Églises disent ne pas se sentir préparées à cette tâche et expriment le besoin d'une formation spécifique. C'est l'un des points confiés aux travaux du groupe d'étude 2.
55. L’objectif de la formation dans la perspective de la synodalité missionnaire est de susciter des témoins authentiques, des hommes et des femmes capables d'assumer la mission de l'Église en coresponsabilité, guidés par la force de l'Esprit (cf. Ac 1, 8). La formation prendra donc appui sur le dynamisme de l'initiation chrétienne, visant à favoriser une expérience personnelle de rencontre avec le Seigneur. Elle encouragera ainsi un processus de conversion continue touchant les attitudes, les relations, les mentalités et les structures. Le sujet de la mission demeure toujours l'Église. Chacun de ses membres, en vertu de son appartenance, est appelé à être témoin et annonciateur du salut. Dans cette optique, l'Eucharistie, « source et sommet de toute la vie chrétienne » (LG 11), apparait comme le lieu fondamental de la formation à la synodalité. La famille, en tant que communauté de vie et d'amour, occupe une place privilégiée dans l’éducation à la foi et à la pratique chrétienne. Par l’interaction entre les générations, elle est une véritable école de synodalité, invitant chacun à prendre soin des autres. Elle met ainsi en lumière le fait que tous – qu’ils soient faibles ou forts, enfants, jeunes ou les personnes âgées - ont beaucoup à recevoir et beaucoup à offrir.
56. Dans une Église synodale, la formation se doit d’être intégrale. En effet, elle va plus loin que la simple acquisition de connaissances ou compétences, pour cultiver la capacité de rencontre, de partage et de coopération, de discernement en commun. Cette approche intégrale doit donc interpeller toutes les dimensions de la personne : intellectuelle, affective et spirituelle. Loin d’être purement théorique, cette formation doit inclure des expériences concrètes adéquatement accompagnées. Elle doit inclure aussi le souci de la connaissance des cultures au sein desquelles les Églises vivent et agissent, et ceci doit inclure la réalité de la culture numérique, omniprésente aujourd'hui, en particulier chez les jeunes. A cet égard, les travaux du groupe d'étude 3 sont d’ailleurs consacrés à cette question de la culture numérique et à l’enjeu d'une formation adaptée dans ce domaine.
57. Enfin, on relève une insistance forte sur la nécessité d'une formation commune et partagée, c’est-à-dire une formation qui réunit ensemble hommes et femmes, laïcs, consacrés, ministres ordonnés et candidats au ministère ordonné. L’objectif est de favoriser la connaissance mutuelle et l'estime réciproque, ainsi que la capacité à collaborer. En même temps, une attention particulière doit être accordée à la promotion de la participation des femmes aux programmes de formation, aux côtés des séminaristes, des prêtres, des religieux et des laïcs. L'accès des femmes aux fonctions d'enseignement et de formation dans les facultés et instituts de théologie et dans les séminaires revêt aussi une importance cruciale. Il est par ailleurs suggère d'offrir aux évêques, aux prêtres et aux laïcs une formation spécifique sur les missions que les femmes peuvent déjà accomplir dans l'Église. Il faudrait aussi promouvoir une évaluation de l'utilisation effective de ces possibilités dans tous les domaines de la vie ecclésiale : paroisses, diocèses, associations de laïcs, mouvements ecclésiaux, communautés nouvelles, vie consacrée, institutions ecclésiastiques, jusqu'à la Curie romaine. Le groupe d'étude 4 se consacre au travail de révision du parcours de formation des candidats au ministère ordonné (Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis) dans une perspective synodale et missionnaire. Une demande émanant de tous les continents concerne la formation à la prédication. Enfin, un besoin émergent se fait sentir d'une formation partagée, à la fois théorique et pratique, au discernement communautaire dans les différents contextes locaux.
Le discernement ecclésial pour la mission
58. Le Saint Esprit, qui suscite une grande variété de charismes, guide l'Église vers la plénitude de la vie et de la vérité divine (cf. Jn 10, 10 ; 16, 13). Par sa présence et son action continues, la « Tradition qui vient des Apôtres progresse dans l’Église, sous l’assistance du Saint-Esprit » (DV 8). Grâce à la conduite de l'Esprit, le Peuple de Dieu, en tant que participant à la fonction prophétique du Christ (cf. LG 12), « s’efforce de discerner dans les événements, les exigences et les requêtes de notre temps, auxquels il participe avec les autres hommes, quels sont les signes véritables de la présence ou du dessein de Dieu » (GS 11). Cette tâche ecclésiale de discernement s'enracine dans le sensus fidei, animé par l'Esprit Saint, qui peut être décrit comme ce « flair » ou cette capacité instinctive du peuple de Dieu, sous la conduite des pasteurs (cf. LG 12), à « discerner les nouvelles routes que le Seigneur ouvre à l’Église » (Pape François, Discours à l'occasion de la commémoration du 50e anniversaire de l'institution du Synode des évêques, 17 octobre 2015).
59. Le discernement engage ceux et celles qui y participent au niveau personnel et communautaire, en leur demandant de cultiver des dispositions de liberté intérieure, d'ouverture à la nouveauté et d'abandon confiant à la volonté de Dieu, nécessaires pour s'écouter les uns les autres dans le but d’entendre « ce que l'Esprit dit aux Églises » (Ap 2, 7). Marie, avec sa présence priante au cœur de la communauté apostolique au Cénacle (cf. Ac 1, 14), est pour tous un modèle vivant et un guide pour vivre une authentique spiritualité synodale marquée par : l'écoute persévérante et responsable de la Parole et la méditation discernante des événements (cf. Lc 1, 26-38 ; 2,19.51), l'ouverture généreuse à l'action de l'Esprit Saint (cf. Lc 1, 35), l'action de grâce partagée pour l'œuvre du Seigneur (cf. Lc 1, 39-56) et le service concret et ponctuel de chaque personne (cf. Jn 2, 1-12) que Jésus a confiée à ses soins maternels (cf. Jn 19, 25-27).
60. C'est précisément dans la mesure où il est demandé à chacun et chacune de partager son point de vue dans la perspective de la mission commune qu'un processus de discernement articule concrètement communion, mission et participation. En d'autres termes, c'est une manière de cheminer ensemble. C'est pourquoi il est crucial de promouvoir une large participation aux processus de discernement, en veillant tout particulièrement à l'implication des personnes qui se trouvent en marge de la communauté chrétienne et de la société.
61. L'écoute de la Parole de Dieu constitue le point de départ et le critère de référence de tout discernement ecclésial. Les Saintes Écritures représentent le témoignage par excellence de la communication de Dieu avec l'humanité. Elles témoignent que Dieu a parlé à son peuple et continue à lui parler, tout en donnant à voir les différents canaux par lesquels cette communication se réalise. Dieu nous parle à travers la méditation personnelle de l'Écriture, dans laquelle résonne ‘quelque chose’ du texte biblique sur lequel on prie. Dieu parle à la communauté dans la liturgie, lieu d’interprétation par excellence de ce que le Seigneur dit à son Église. Dieu parle également à travers son Église, qui est mère et maîtresse, par sa tradition vivante et ses pratiques, y compris celles de la piété populaire. Dieu continue à se manifester aussi à travers les événements qui se déroulent dans l'espace et le temps, à condition que nous sachions en discerner le sens. De plus, Dieu communique avec son peuple à travers les éléments du cosmos, dont l'existence même renvoie à l'action du Créateur car celui-ci est empreint de la présence de l'Esprit Saint « qui donne la vie ». Enfin, Dieu parle dans la conscience personnelle de chaque être humain, ce « centre le plus secret de l’homme, le sanctuaire où il est seul avec Dieu et où sa voix se fait entendre » (GS 16). Un discernement authentique ne saurait négliger aucun de ces canaux de communication divine.
62. Le discernement communautaire, loin d’être une simple technique organisationnelle, est une pratique exigeante qui façonne la vie et la mission de l'Église vécue avec le Christ et dans l'Esprit Saint. C'est pourquoi il doit toujours être réalisé avec la conscience et la volonté d'être rassemblés au nom du Seigneur Jésus (cf. Mt 18, 20), à l'écoute de la voix de l'Esprit Saint. Conformément à la promesse de Jésus, seul l'Esprit Saint peut guider l'Église vers la plénitude de la vérité (cf. Jn 16, 13) et de la vie, offrant ainsi une réponse à un monde en quête de sens. La méthode par laquelle le Peuple de Dieu vit son chemin de proclamation et de témoignage de l'Évangile trouve ici ses racines. Il est donc impératif d'apprendre à pratiquer à tous les niveaux cet art évangélique qui a permis à la communauté apostolique de Jérusalem de sceller l’aboutissement du premier événement synodal de l'histoire de l'Église par ces mots : « L’Esprit Saint et nous-mêmes avons décidé » (Ac 15, 28). Dans cet esprit, la pratique de la vie synodale missionnaire de l'Église dans les lieux, les organismes et les événements concrets doit être recomposée et réorientée.
63. Les options procédurales concrètes, dans leur diversité, doivent être cohérentes avec les principes fondamentaux de la méthodologie théologique qui les sous-tend. A partir des enseignements acquis au cours du processus synodal, on peut identifier ces quelques éléments clés à prendre en compte dans l’élaboration de toute procédure de discernement : (a) une vie de prière personnelle et communautaire, comprenant la participation à l'Eucharistie ; (b) une préparation personnelle et communautaire adéquate, basée sur l'écoute de la Parole de Dieu et de la réalité ; (c) une écoute respectueuse et profonde de la parole de chacun ; (d) la recherche d’un consensus le plus large possible, qui ne se réduise pas à la recherche du plus petit dénominateur commun, mais se reçoit d’un débordement, qui passe par la reconnaissance de ce qui « fait brûler les cœurs » (cf. Lc 24, 32) ; e) la formulation par les responsables du processus du consensus ainsi élaboré suivie de sa restitution à tous les participants. Ceux-ci ont pour tâche de valider cette formulation ou de dire s’ils ne se sentent pas reconnus dans cette formulation.
64. Le discernement se fait toujours « les pieds dans la terre », c'est-à-dire qu’il nécessite une connaissance approfondie des complexités et particularités de ce contexte. Il gagne donc à s’enrichir des éclairages apportés par les apports des différentes sciences humaines, sociales et administratives pertinentes pour la question traitée. Cependant, ce n’est pas à l'expertise technique et scientifique d'avoir le dernier mot - ce qui serait tomber dans une dérive technocratique - mais celle-ci peut utilement « donner une base concrète au parcours éthique et spirituel qui suit » (LS 15). Il est crucial d’intégrer cette contribution indispensable, sans pour autant lui accorder une prépondérance excessive par rapport aux autres perspectives.
65. Il existe dans l’Église une riche diversité d'approches et de méthodologies pour le discernement. Cette variété est un atout : moyennant des adaptations appropriées aux différents contextes, toutes ces approches peuvent s'avérer fructueuses. Dans l’intérêt du bien commun, il est important qu'elles puissent cordialement dialoguer entre elles, en préservant leurs spécificités sans pour autant figer leurs identités. La fécondité de la conversation dans l'Esprit, manifeste à toutes les étapes du processus synodal, nous invite à considérer cette forme particulière de discernement ecclésial comme réellement adaptée à l'exercice de la synodalité.
66. Au sein des Églises locales, il est fondamental d'offrir des opportunités de formation qui diffusent et nourrissent une culture du discernement, en particulier pour ceux et celles qui occupent des postes de responsabilité. Tout aussi cruciale est la formation des accompagnateurs ou des facilitateurs, dont la contribution s'avère souvent déterminante dans la mise en œuvre des processus de discernement. Le travail du groupe d'étude 9, consacré à la préparation de critères théologiques et de méthodologies synodales pour le discernement partagé de questions doctrinales, pastorales et éthiques controversées, s’inscrit également dans cette démarche.
L’articulation des processus décisionnels
67. « Dans l’Église synodale, la communauté tout entière, dans la libre et riche diversité de ses membres, est convoquée pour prier, écouter, analyser, dialoguer, discerner et conseiller afin de prendre des décisions pastorales plus conformes à la volonté de Dieu » (CTI 68). Cette déclaration nécessite une mise en œuvre concrète. La participation de tous aux processus de décision apparaît comme le moyen le plus efficace de promouvoir une Église véritablement synodale. Cette participation s’appuie sur une responsabilité différenciée qui permet à la fois de respecter chaque membre de la communauté et valoriser ses compétences et ses dons propres en vue d’une prise de décision partagée.
68. Pour faciliter cette mise en œuvre, il convient de réfléchir sur l'articulation des processus décisionnels. Ceux-ci comportent habituellement deux phases : une phase d'élaboration de la décision à prendre (decision-making selon la terminologie anglaise également utilisée dans d'autres langues). Celle-ci se déroule à travers le « moyen d’un travail commun de discernement, consultation et coopération » (CTI 69), qui informe et soutient la deuxième phase de prise de décision ultérieure (decision-taking), relevant de l'autorité compétente (par exemple, dans un diocèse ou une éparchie, l'évêque). Ces deux phases ne s’opposent pas mais s’articulent pour contribuer à ce que les décisions prises soient le plus possible conformes à la volonté de Dieu : « L’élaboration est une tâche synodale; la décision est une responsabilité ministérielle » (ibid.).
69. Dans de nombreux cas, le droit en vigueur prescrit déjà que l’autorité est tenu de procéder à une consultation avant de prendre une décision. Cette consultation ecclésiale va bien au-delà de la simple écoute, elle engage l'autorité à ne pas agir comme si cette consultation n'avait pas eu lieu. Bien que l'autorité reste libre au point de vue juridique, puisque l'avis consultatif n'est pas contraignant, elle ne devrait s'en écarter sans raison convaincante (sine praevalenti ratione ; CIC, can. 127, §2, 2°). Agir autrement risquerait d’isoler l’autorité du groupe des personnes consultées, compromettant ainsi le lien qui les unit. Dans l'Église, l'exercice de l'autorité ne consiste pas à imposer une volonté personnelle arbitraire, mais, à exercer un ministère au service de l'unité du peuple de Dieu, en facilitant la recherche commune de ce que l'Esprit demande.
70. Dans une Église synodale, la compétence décisionnelle de l'évêque, du Collège des évêques et du Pontife romain est inaliénable, car elle est enracinée dans la structure hiérarchique de l'Église établie par le Christ. Cependant, elle n'est pas inconditionnelle : une orientation émergeant du processus consultatif, fruit d'un discernement approprié, en particulier si elle émane des organes participatifs de l'Église locale, ne peut être ignorée. L’objectif du discernement ecclésial synodal n'est ni de soumettre les évêques à la voix du Peuple, ni de légitimer des décisions préétablies, mais de parvenir à une décision partagée par l'obéissance à l'Esprit Saint. Ainsi, l'opposition entre consultation et délibération s’avère inadéquate : dans l'Église, la délibération doit impliquer l'aide de tous, sans pour autant retirer à l'autorité pastorale sa responsabilité décisionnelle. par conséquent la formule récurrente du CIC, qui parle d'un « vote uniquement consultatif » (tantum consultivum), sous-estime la valeur de la consultation et devrait être modifiée.
71. Il incombe aux Églises locales de mettre en œuvre des processus décisionnels authentiquement synodaux, adaptés aux spécificités des différents contextes. Cette tâche est cruciale et urgente, car le succès de la mise en œuvre du Synode en dépend largement. Sans changements concrets, la vision d'une Église synodale ne sera pas crédible et cela détournera les membres du Peuple de Dieu qui ont puisé force et espérance dans le cheminement synodal. Cela s’applique particulièrement à l’enjeu de la participation effective des femmes aux processus de rédaction et de décision, comme le demandent de nombreuses contributions des conférences épiscopales.
72. Enfin, c’est essentiel de garantir que les participants aux processus de consultation, de discernement communautaire ou de prise de décision synodale aient un accès réel à toutes les informations pertinentes pour qu’ils soient en mesure de formuler une opinion éclairée. Il revient à l'autorité qui initie le processus la responsabilité d’assurer cette information transparente. Des processus décisionnels synodaux véritables requièrent un niveau approprié de transparence. De même, il est bon de rappeler la délicatesse de la tâche et la responsabilité particulière de ceux et celles qui expriment leur opinion lors d'une consultation.
Transparence, rendre compte et évaluation
73. Une Église synodale nécessite une culture et une pratique de la transparence et de l’accountability (terme anglais également utilisé dans d'autres langues que l’on peut traduire en français par rendre compte ou redevabilité), essentielles pour favoriser la confiance mutuelle nécessaire au marcher ensemble et à l’exercice de la coresponsabilité au service de la mission commune. Dans l'Église, l'exercice de l’accountability ne répond pas prioritairement à des besoins sociaux et organisationnels, mais trouve son fondement dans la nature même de l'Église en tant que mystère de communion.
74. Le Nouveau Testament offre des exemples de pratiques de l’accountability dans l'Église primitive, liées précisément à la préservation de la communion. Les Actes des Apôtres au chapitre 11 en fournissent une illustration : lorsque Pierre revient à Jérusalem après avoir baptisé Corneille, un païen, les fidèles circoncis le questionnent ainsi : « Tu es entré chez des hommes qui ne sont pas circoncis, et tu as mangé avec eux ! » (Ac 11, 2-3). Pierre répond en expliquant les raisons de ses actes. Rendre compte de son ministère à la communauté appartient à la tradition la plus ancienne, remontant à l'Église apostolique. La théologie chrétienne du service (stewardship) offre un cadre d’interprétation pour comprendre l'exercice de l'autorité et situer la réflexion sur la transparence et la redevabilité.
75. De nos jours, la demande de transparence et d’accountability au sein et de la part de l'Église découle de la perte de crédibilité due aux scandales financiers et surtout aux abus sexuels et autres abus perpétrés sur des mineurs et des personnes vulnérables. Le manque de transparence et d’obligation de rendre des comptes alimente le cléricalisme, reposant sur l'hypothèse implicite que les ministres ordonnés ne sont redevables à personne dans l'exercice de l'autorité qui leur est conférée.
76. Pour que l'Église synodale soit véritablement accueillante, l’accountability et la transparence doivent être au cœur de son action à tous les niveaux et pas uniquement au niveau de l'autorité. Néanmoins, les personnes en position d'autorité portent une plus grande responsabilité à cet égard. La transparence et l’accountability ne se limitent pas au domaine des abus sexuels et malversations financières. Elles doivent également concerner les plans pastoraux, les méthodes d'évangélisation et la manière dont l'Église respecte la dignité de la personne humaine, par exemple en ce qui concerne les conditions de travail au sein de ses institutions.
77. Si la pratique de la redevabilité envers les supérieurs a été préservée au cours des siècles, la dimension du rendre compte envers la communauté de la part de l’autorité doit être retrouvée. La transparence doit être une caractéristique de l'exercice de l'autorité dans l'Église. Aujourd'hui, des structures et des formes d'évaluation régulière de l'exercice des responsabilités ministérielles de toute nature s’avèrent nécessaires. L'évaluation, comprise dans un sens non moraliste, permet aux ministres d’effectuer des ajustements opportuns, et favorise leur développement et leur capacité à rendre un meilleur service.
78. Outre le respect des normes canoniques existantes concernant les critères et les mécanismes de contrôle, il incombe aux Églises locales et surtout à leurs regroupements (conférences épiscopales et structures hiérarchiques orientales) d'élaborer des formes et des procédures efficaces de transparence et de rendre-compte. Ces dernières doivent être adaptées selon les contextes, en tenant compte du cadre réglementaire civil, des attentes de la société et de l'expertise disponible dans ce domaine. Toutefois, même lorsque les ressources sont limitées, l'Église s'efforcera de faire évoluer son travail et sa mentalité collective vers davantage de transparence et une culture de l’accountability.
79. En particulier, sous des formes adaptées aux différents contextes, il paraît nécessaire de garantir au minimum : (a) un fonctionnement effectif des Conseils pour les affaires économiques ; (b) l'implication réelle du Peuple de Dieu, en particulier des membres les plus compétents, dans la planification pastorale et économique ; (c) la préparation et la publication (accessibilité effective) d'un bilan financier annuel, autant que possible certifié par des auditeurs externes, afin de rendre transparente la gestion des biens et des ressources financières de l'Église et de ses institutions ; (d) un rapport annuel sur l’accomplissement de la mission, incluant une illustration des initiatives entreprises dans le domaine de la protection des mineurs et des personnes vulnérables, ainsi que de la promotion de l'accès des femmes aux postes d'autorité et de leur participation aux processus décisionnels ; (e) des procédures d'évaluation périodique de la réalisation de la mission de tous ceux et celles qui exercent un ministère et une responsabilité dans l’Église telle qu’elle soit. Il s'agit là encore d'un point d’importance cruciale et urgente pour la crédibilité du processus synodal et sa mise en œuvre effective.
Partie III – Lieux
La vie synodale missionnaire de l'Église, les relations dont elle est tissée et les chemins qui assurent son développement ne peuvent jamais faire abstraction de la concrétude d'un « lieu », c'est-à-dire d'un contexte et d'une culture spécifiques. Cette partie III nous invite à dépasser une vision statique des lieux, qui les ordonnerait par niveaux ou degrés successifs (paroisse, doyenné, diocèse ou éparchie, province ecclésiastique, conférence épiscopale ou structure hiérarchique orientale, Église universelle) selon un modèle pyramidal. En réalité, il n'en a jamais été ainsi : le réseau de relations et d'échanges de dons entre les Églises a toujours revêtu une forme réticulaire plutôt que linéaire. Cette interconnexion s’inscrit, dans le lien de l'unité dont le Pontife romain est le principe et le fondement perpétuel et visible. De plus, la catholicité de l'Église ne s’est jamais confondue avec un universalisme abstrait. En outre, dans le contexte actuel d'une conception de l'espace en rapide évolution, confiner l'action de l'Église dans des limites purement spatiales risquerait de l’enfermer dans un immobilisme fatal et une répétitivité pastorale préoccupante. Une telle approche serait incapable d'interpeller la partie la plus dynamique de la population, en particulier les jeunes. Au contraire, les lieux doivent être envisagés dans une perspective d'intériorité réciproque, qui se concrétise également dans les rapports entre les Églises et dans leurs regroupements dotés d'une unité de sens. Le service de l'unité qui incombe à l'évêque de Rome et au Collège des évêques en communion avec lui doit également prendre en compte cette nouvelle configuration, en élaborant les formes institutionnelles appropriées pour son exercice.
Des territoires pour marcher ensemble
80. « À l'Église de Dieu qui est à Corinthe... » (1 Co 1, 2). L'annonce de l'Évangile, en éveillant la foi dans le cœur des hommes et des femmes, provoque l'établissement d'une Église dans un lieu. L'Église ne peut se comprendre ni sans son enracinement dans un lieu et une culture, ni sans les relations qui s'établissent entre les lieux et les cultures. Souligner l'importance du lieu ne signifie pas céder au particularisme ou au relativisme, mais valoriser le concret dans lequel prend forme, dans l'espace et dans le temps, une expérience partagée d'adhésion à la manifestation du Dieu qui sauve. La dimension du lieu préserve la riche diversité des expressions de la foi de parleur enracinement dans des contextes culturels et historiques spécifiques. Cette pluralité se manifeste de manière éclatante dans la variété des traditions liturgiques, théologiques, spirituelles et disciplinaires, démontrant ainsi comment elle enrichit l'Église et en rehausse la beauté. C'est précisément la communion des Églises, chacune avec sa réalité locale propre, qui manifeste la communion des fidèles au sein de l’unique Église, l’empêchant ainsi de sombrer dans un universalisme abstrait et homogénéisant.
81. L'expérience du pluralisme des cultures et la fécondité de la rencontre et du dialogue entre elles sont des conditions de la vitalité de l'Église, et non une menace pour sa catholicité. Le message du salut reste unique : « Comme votre vocation vous a tous appelés à une seule espérance, de même il y a un seul Corps et un seul Esprit. Il y a un seul Seigneur, une seule foi, un seul baptême, un seul Dieu et Père de tous, au-dessus de tous, par tous, et en tous » (Eph 4, 4-6). Ce message est pluriel et s'exprime dans la diversité des peuples, des cultures, des traditions et des langues. Prendre au sérieux cette pluralité de formes permet d'éviter les prétentions hégémoniques et le risque de réduire le message de Salut à une interprétation monolithique de la vie ecclésiale, des pratiques liturgiques, pastorales ou morales. Au sein d’une Église synodale, un réseau dynamique de relations se tisse, rendu visible par l'échange mutuel de dons entre les Églises. Cette interconnexion, garantie par l'unité du Collège épiscopal sous la direction de l'évêque de Rome, agit comme le gardien vigilant d'une unité qui ne peut jamais dire uniformité.
82. L’expérience de l’enracinement territorial doit aujourd’hui se confronter à des conditions socioculturelles qui la modifient profondément. Le concept de lieu ne peut plus être appréhendé uniquement en termes purement géographiques et spatiaux ; il évoque désormais l'appartenance à un réseau de relations et à une culture dont l'ancrage territorial est plus dynamique et flexible qu’auparavant. Cette évolution ne peut manquer de remettre en question les formes d'organisation de l'Église qui se sont structurées sur la base d'une conception alors différente du lieu, et exige l’adoption de critères différenciés, mais non contradictoires, pour incarner l'unique vérité dans la vie des personnes.
83. L'urbanisation figure parmi les principaux facteurs de ce changement: aujourd'hui, pour la première fois dans l'histoire de l'humanité, la majorité de la population mondiale vit dans des contextes urbains plutôt que ruraux. Dès lors, l'appartenance territoriale se configure différemment dans un contexte urbain, les frontières entre les zones devenant plus manifestement conventionnelles. Dans les grandes mégapoles, il suffit de quelques stations de métro pour franchir non seulement les limites d’une paroisse, mais aussi d’un diocèse : un trajet que de nombreuses personnes peuvent effectuer plusieurs fois par jour. Ainsi, leur vie quotidienne se déroule au sein de différents lieux ecclésiaux.
84. Un second facteur crucial est celui de l'augmentation de la mobilité humaine dans un monde désormais globalisé, motivés par différentes raisons. Les réfugiés et les migrants forment souvent des communautés dynamiques, y compris dans leur pratique religieuse, rendant ainsi le lieu où ils s'installent pluriculturel. En parallèle, ils maintiennent, notamment grâce aux médias numériques, des liens étroits avec leur pays d'origine. Ils font ainsi l’expérience d'une pluri-appartenance géographique, culturelle et linguistique. Les communautés d'origine connaissent, quant à elles, une réduction de leurs effectifs, parfois jusqu’à la disparition, et, d'autre part, une expansion de leur tissu relationnel à l'échelle mondiale. Comme cela a été évoqué lors de la première session, la situation de certaines Églises catholiques orientales est emblématique de ce phénomène : compte-tenu des taux de migration actuels, leurs membres en diaspora pourraient bientôt surpasser en nombre ceux qui sont restés vivre dans les territoires canoniques (cf. RdS 6c). Il deviendra de plus en plus anachronique de définir leur cadre d’action en termes purement géographiques. Le groupe d’étude 1 est appelé à réfléchir sur les défis que cette nouvelle réalité pose dans les relations de ces Églises Sui Iuris avec l'Église latine.
85. Enfin, nous ne pouvons pas ignorer la diffusion de la culture de l'environnement numérique, particulièrement marquée chez les jeunes. Elle exerce une influence profonde sur leur perception de l'espace et du temps, ainsi que sur la manière de vivre toutes leurs activités quotidiennes, les communications et les relations interpersonnelles, et même la foi. Ce n'est pas un hasard si la première session a souligné que « la culture numérique n’est donc pas tant un lieu spécifique de la mission qu’une dimension capitale du témoignage de l’Église dans la culture contemporaine » (RdS 17b). Le travail du groupe d'étude 3 est consacré spécifiquement à ce défi.
86. Ces évolutions sociétales et culturelles exigent de l'Église de repenser le sens de sa dimension locale, en vue de mieux servir sa mission. Tout en reconnaissant l’ancrage indéniable de la vie dans des contextes physiques et dans des cultures concrètes, il est impératif de dépasser une interprétation purement spatiale du concept de lieu : les lieux pour la vie de l’Église ne sont pas seulement des espaces, mais aussi des sphères et des réseaux propices au développement des relations, à même d’offrir aux personnes un enracinement et une base pour leur mission, partout où leur vie se déroule. La conversion synodale des esprits et des cœurs doit s'accompagner d'une réforme synodale des lieux ecclésiaux, appelés à être des routes sur lesquelles marcher ensemble. Il ne s'agit pas d'enfermer l'action pastorale dans des appartenances électives, mais de permettre la rencontre avec chaque homme et chaque femme.
87. Cette réforme doit se baser sur une conception de l'Église comme Peuple saint de Dieu, articulée dans la communion des Églises (communio Ecclesiarum). L'expérience a démontré que le lancement du processus synodal au niveau des Églises locales, loin de compromettre l'unité de toute l'Église, exprime la variété et l'universalité du Peuple de Dieu (cf. LG 22). De plus, ce processus ne nuit pas à l'exercice du ministère d'unité de l'évêque de Rome, mais au contraire le renforce. Il est essentiel de repenser l'Église à partir de ses institutions, mais en orientant celles-ci, y compris les plus importantes, vers une logique du service missionnaire.
88. Le Concile, reconnaissant le rôle de l'évêque de Rome comme principe visible d'unité de toute l'Église et de chaque évêque comme principe visible d'unité dans son Église particulière, a affirmé que l’Église, corps mystique du Christ, est aussi un corps d'Églises, dans lequel et à partir duquel existe la seule et unique Église catholique (cf. LG 23). Ce corps s'articule en trois niveaux : a) les Églises individuelles portions du Peuple de Dieu, confiées chacune à un évêque ; b) les groupements d'Églises, où les instances de communion sont principalement représentées par les organismes hiérarchiques ; c) l’Église entière (Ecclesia tota) en tant que communion d'Églises s’exprime par le Collège des Évêques uni à l'Évêque de Rome dans la communion épiscopale (cum Petro) et hiérarchique (sub Petro). La réforme des institutions ecclésiales doit nécessairement suivre cette articulation ordonnée de l'Église.
Les Églises locales dans l’Église catholique une et unique
89. L'Église locale, par sa nature même, est le lieu privilégié où nous pouvons faire l'expérience la plus immédiate de la vie missionnaire synodale de toute l'Église. Les contributions des conférences épiscopales parlent des paroisses et des petites communautés de base comme des espaces de communion et de participation à la mission. Les curés réunis à Sacrofano ont affirmé, « les membres des paroisses sont et deviennent des disciples missionnaires de Jésus rassemblés en son nom pour la prière et le culte, le service et le témoignage dans les moments de joie et de peine, d'espérance et de lutte ». Dieu est à l'œuvre dans ces réalités ecclésiales. Néanmoins, il reste à exploiter plus pleinement la grande flexibilité de la paroisse, conçue comme une communauté de communautés, au service de la créativité missionnaire.
90. Aujourd'hui, les Églises locales englobent aussi diverses réalités associatives et communautaires qui peuvent être à la fois des expressions anciennes ou nouvelles de la vie chrétienne. En particulier, les Instituts de vie consacrée et les Sociétés de vie apostolique, mais aussi les associations de laïcs, les mouvements ecclésiaux et les communautés nouvelles enrichissent considérablement la vie des Églises locales et leur vitalité missionnaire. L'appartenance ecclésiale prend aujourd'hui des formes de plus en plus variées, dépassant une base définie uniquement géographiquement pour s’étendre à des liens de type associatif. Il convient d’encourager cette diversité de type d’appartenance tout en maintenant toujours la perspective missionnaire et un discernement ecclésial attentif aux appels adressés par le Seigneur dans chaque contexte particulier. L'animation de cette variété multiple et le soin des liens d'unité relèvent de la compétence spécifique de l'évêque diocésain ou éparchial. Le groupe d'étude 6 a été mandaté pour approfondir ces aspects.
91. Tout au long des phases précédentes du processus synodal, y compris lors de la consultation pour la rédaction de cet Instrumentum laboris, de nombreuses contributions reçues ont souligné l’importance des divers conseils (paroissiaux, doyenné, diocésains ou éparchiaux) comme étant des instruments essentiels pour la planification, l'organisation, l'exécution et l'évaluation des activités pastorales. Il est jugé nécessaire de les renforcer. En effet, ces structures déjà prévues par le droit en vigueur pourraient, moyennant des adaptations appropriées, permettre de concrétiser davantage certains aspects du style synodal. Elles ont le potentiel de devenir des instances de discernement ecclésial et de processus de décision synodale, des lieux de pratique de l’accountability et de l'évaluation des personnes en position d'autorité. Ces dernières devront à leur tour rendre compte de l’exercice de leurs fonctions. Ce domaine apparait donc comme l’un des plus prometteurs pour une mise en œuvre rapide des orientations synodales, conduisant à des changements concrets rapidement perceptibles.
92. Pour aller dans ce sens, de nombreuses contributions soulignent la nécessité de revoir le profil et le mode de fonctionnement de ces organismes. Un aspect crucial concerne le mode de désignation des membres, qui doit viser à refléter fidèlement la composition de la communauté de référence (paroisse ou diocèse/éparchie), afin de contribuer de manière crédible à la promotion d'une culture de la transparence et de l’accountability. Il est préconisé que la majorité des membres ne soit pas nommée par l'autorité (évêque ou curé), mais soit choisie d'une autre manière permettant de représenter la réalité de la communauté ou de l'Église locale.
93. Une attention égale doit être portée à la composition de ces organismes, pour favoriser une plus grande participation des femmes, des jeunes et des personnes marginalisées ou en situation de pauvreté. La Première Session a souligné l’importance d’inclure dans ces organismes des laïcs, hommes et des femmes qui témoignent de la foi dans les réalités ordinaires de la vie quotidiennes au cœurs des dynamiques de la société, et dotés d’un esprit apostolique et missionnaire reconnu (cf. RdS 18d), et pas uniquement des personnes impliquées dans l'organisation interne de la communauté chrétienne. De cette manière, le discernement ecclésial dans ces organismes sera enrichi car il bénéficiera d'une plus grande ouverture, d'une meilleure capacité d'analyse de la réalité et d'une pluralité de perspectives. De nombreuses contributions recommandent également de rendre obligatoires les Conseils actuellement facultatifs selon le droit en vigueur.
94. Certaines conférences épiscopales partagent également des expériences de réforme et de bonnes pratiques déjà en place, telles que la création de réseaux de Conseils pastoraux allant des communautés de base aux paroisses et doyennés, jusqu'au Conseil pastoral diocésain. Comme modèle de consultation et d'écoute, il est proposé de tenir des assemblées ecclésiales à tous les niveaux, en cherchant à ne pas limiter la consultation à l'Église catholique, en intégrant également la contribution des autres Églises et Communautés ecclésiales, et des autres religions présentes sur le territoire et dans la société, avec lesquelles la communauté chrétienne chemine.
Les liens qui façonnent l’unité de l’Église
95. L'échange des dons dans une perspective communautaire, explicité dans la première partie, guide les relations entre les Églises. Ce principe conjugue l'accent mis sur les liens forgeant l'unité ecclésiale avec la reconnaissance des particularités propres à chaque Église locale, façonnée par son contexte, son histoire et sa tradition. L'adoption d'un style synodal permet de reconnaître que, en chaque domaine, toutes les Églises n’ont pas nécessairement à avancer au même rythme. Au contraire, ces différences de rythme peuvent être valorisées comme l'expression même d'une diversité légitime et une opportunité d'enrichissement mutuel par l’échange de dons. Pour concrétiser cette vision, il est essentiel d’incarner celle-ci dans des structures et des pratiques tangibles. Répondre à la question « Comment être une Église synodale en mission ? », nécessite d’identifier et de promouvoir ces éléments concrets.
96. Les structures hiérarchiques orientales et les conférences épiscopales sont un instrument fondamental pour la création de liens et le partage d’expériences entre les Églises. Elles sont également essentielles pour la décentralisation de la gouvernance et la planification pastorale. « Le Concile Vatican II a affirmé que, à l’instar des anciennes Églises patriarcales, les conférences épiscopales peuvent « contribuer de façons multiples et fécondes à ce que le sentiment collégial se réalise concrètement » (LG 23). Cependant, cette aspiration ne s’est pas pleinement réalisée, parce que comme le souligne le Pape François « On n’a pas encore été suffisamment explicité un statut des conférences épiscopales qui les conçoive comme sujet d’attributions concrètes, y compris une certaine autorité doctrinale authentique » (EG 32). Chercher les chemins pour devenir une Église synodale en mission exige d'aborder cette question.
97. Sur la base de ce qui est apparu au cours du processus synodal, il est proposé de : (a) reconnaître les conférences épiscopales comme des entités ecclésiales dotés d'une autorité doctrinale, une manière d’assumer la diversité socioculturelle au sein d'une Église multiforme qui valorise les expressions liturgiques, disciplinaires, théologiques et spirituelles adaptées aux différents contextes socioculturels ; (b) entreprendre une évaluation de l'expérience vécue concernant le fonctionnement des conférences épiscopales et des structures hiérarchiques orientales, les relations entre les épiscopats et les relations avec le Saint-Siège, afin d'identifier les réformes concrètes à mettre en œuvre ; les visites ad limina, qui font partie du travail du groupe d’étude 7, pourraient être propices à cette évaluation du fonctionnement actuel des conférences épiscopales et des structures hiérarchiques orientales ; (c) veiller à ce que tous les diocèses ou éparchies soient rattachés à une Province ecclésiastique et à une conférence épiscopale ou à une structure hiérarchique orientale (cf. CD 40).
98. L'expérience des Assemblées continentales a marqué une nouveauté dans le processus synodal actuel, concrétisant davantage l’orientation conciliaire de prendre au sérieux la spécificité de « chaque grand territoire socioculturel » en vue d'« une plus profonde adaptation dans toute l’étendue de la vie chrétienne » (AG 22). Cette expérience, ainsi que l’évolution des Églises dans certaines régions, soulève la question de l'articulation entre dynamisme synodal et collégial à travers des expressions institutionnelles adaptées, comme par exemple des assemblées ecclésiales et des conférences épiscopales auxquelles peuvent être confiées des tâches coordonnées d'élaboration et de prise de décision au niveau continental ou régional. On peut également envisager la mise en œuvre de méthodes de discernement impliquant une diversité d'acteurs ecclésiaux dans les processus de rédaction des documents et de prise de décision. De plus, il est proposé que le discernement puisse également inclure, sous des formes adaptées à la diversité des contextes, des espaces d'écoute et de dialogue avec les institutions civiles, les représentants d'autres religions, les organisations non catholiques et la société dans son ensemble.
99. Le désir de voir le dialogue synodal local ne pas s’arrêter, mais se poursuive dans le temps, conjugué à la nécessité d'une inculturation effective de la foi dans des zones territoriales significatives, conduit à une revalorisation de l'institution des Conciles particuliers, provinciaux et pléniers. Leurs célébration périodique a été une obligation pendant une grande partie de l'histoire de l'Église. S’appuyant sur l'expérience du chemin synodal, on peut envisager des formes articulant une assemblée composée uniquement d'évêques et une assemblée ecclésiale incluant également d'autres fidèles (prêtres, diacres, consacrés, laïcs), délégués par les conseils pastoraux des diocèses ou des éparchies concernées, ou désignés autrement, pour refléter la diversité de l'Église dans la région. Dans cette optique, la procédure de recognitio des conclusions des Conseils particuliers devrait être réformée, afin de favoriser leur publication en temps opportun.
Le service à l'unité de l'évêque de Rome
100. Répondre à la question « Comment être une Église synodale en mission ? » demande aussi un réexamen de la manière d’articuler synodalité, collégialité et primauté, afin de nourrir les relations institutionnelles par lesquelles elle s'exprime concrètement.
101. Le processus synodal a confirmé la validité de l'affirmation conciliaire selon laquelle « il existe légitimement, au sein de la communion de l’Église, des Églises particulières jouissant de leurs traditions propres – sans préjudice du primat de la Chaire de Pierre qui préside à l’assemblée universelle de la charité, garantit les légitimes diversités et veille à ce que, loin de porter préjudice à l’unité, les particularités, au contraire, lui soient profitables » (LG 13). En vertu de cette fonction, l'évêque de Rome, en tant que principe visible de l'unité de toute l'Église (cf. LG 23), est le garant de la synodalité. Il lui incombe d'appeler toute l'Église à l'action synodale, en convoquant, en présidant et en entérinant les résultats des synodes des évêques ; tout en veillant à ce que l'Église grandisse dans un style et une forme synodale.
102. La réflexion sur les modalités d'exercice du ministère pétrinien doit également être menée dans la perspective d’une « décentralisation salutaire » (EG 16), préconisée par le Pape François et demandée par de nombreuses conférences épiscopales. Selon la Constitution apostolique Praedicate Evangelium, cela implique de « laisser à la compétence des pasteurs la faculté de résoudre, dans l'exercice de leur propre fonction d’enseignement et de pasteurs, les questions qu’ils connaissent bien et qui ne touchent pas l’unité de doctrine, de discipline et de communion de l’Église, en agissant toujours avec cette coresponsabilité qui est fruit et expression de ce mysterium communionis spécifique qu'est l’Église » (EP II, 2).
103. Dans cette optique, on pourrait s’inspirer du récent Motu Proprio Competentias quasdam decernere (15 février 2022), qui attribue « des compétences, qui concernent des dispositions du code visant à garantir l'unité de la discipline de l'Église universelle, au pouvoir exécutif des Églises et des institutions ecclésiastiques locales » sur la base de la « dynamique de communion ecclésiale » (préambule).
104. Par ailleurs, l’élaboration de la norme canonique peut aussi intégrer le style synodal. L'action normative ne se limite pas à l'exercice d'un pouvoir reconnu à l'autorité, mais doit être considérée comme un véritable discernement ecclésial. Même si l’autorité détient seule les prérogatives pour légiférer, elle peut et doit adopter une méthode synodale, afin de promulguer des normes qui soient le fruit d’une écoute, dans l'Esprit, d’une requête de justice.
105. La constitution apostolique Praedicate Evangelium a reconfiguré le service de la Curie romaine auprès de l'Évêque de Rome et du Collège des Évêques dans une perspective synodal et missionnaire. Dans un souci de transparence et d’accountability, il serait judicieux d'envisager des modes d'évaluation périodique de son travail, confiées à un organisme indépendant (tel que le Conseil des cardinaux et/ou un conseil d'évêques élus par le Synode). Le groupe d'étude 8 se penche sur le rôle des Représentants pontificaux dans cette perspective missionnaire synodale et sur les modalités d'évaluation de leur travail.
106. L’Assemblée d'octobre 2023 a souligné la nécessité d’évaluer les fruits de la première session (cf. RdS 20j), en tenant compte de l’évolution apportée par la Constitution apostolique Episcopalis communio, qui transforme le Synode d'un événement ponctuel en un processus ecclésial continu. Le Synode des évêques a un rôle particulier à jouer parmi les lieux de pratique de la synodalité et de la collégialité au niveau de toute l'Église. Institué par Saint Paul VI comme une assemblée d'évêques convoquée pour participer, par le biais de son conseil, à la sollicitude du Pontife romain pour toute l'Église, il est désormais, en prenant la forme d’un processus qui se déroule par étapes, le creuset où se forge et s’encourage à relation dynamique entre synodalité, collégialité et primauté. Le peuple saint de Dieu dans son ensemble, les évêques responsables de ses différentes parties et l'évêque de Rome comme principe d'unité de l'Église, participent pleinement au processus synodal, chacun selon sa fonction propre. Cette participation est rendue manifeste par l'Assemblée synodale réunie autour de l'Évêque de Rome, reflétant dans sa composition, la diversité et l'universalité de l'Église en tant que « sacrement de l’unité, c’est-à-dire le peuple saint réuni et organisé sous l’autorité des évêques » (SC 26).
107. L'un des fruits les plus significatifs du Synode 2021-2024 est l'intensité de son élan et de sa promesse œcuménique. Il peut être pertinent d'aborder sous cet angle la question de l'exercice du ministère pétrinien, afin qu'il s'adapte « à une situation nouvelle » (UUS 95). Le récent document du Dicastère pour la promotion de l'unité des chrétiens, intitulé L'évêque de Rome. Primauté et synodalité dans les dialogues œcuméniques et les réponses à l'encyclique "Ut unum sint", offre des pistes de réflexion précieuses. Cette thématique est celle du groupe d'étude 10, consacré à l'accueil des fruits du cheminement œcuménique dans les pratiques ecclésiales.
108. La richesse apportée représentée par la participation des délégués fraternels venant d'autres Églises et Communautés ecclésiales à la première session, nous incite à porter une attention croissante aux pratiques synodales de nos partenaires œcuméniques, tant en Orient qu'en Occident. Le dialogue œcuménique est fondamental pour approfondir notre compréhension de la synodalité et de l'unité de l'Église. Il nous pousse à imaginer des pratiques synodales authentiquement œcuméniques, allant jusqu'à des formes de consultation et de discernement sur des questions d'intérêt commun et urgent. Cette possibilité repose fondamentalement sur notre unité donnée par un unique baptême, d'où découle l'identité du peuple de Dieu et le dynamisme de la communion, de la participation et de la mission.
Conclusion - L'Église synodale dans le monde
109. Dans ce monde tout est lié et marqué par un désir inextinguible de l'autre. Tout en lui est appel à la relation et témoignage du refus de l’autosuffisance. Le monde entier, contemplé avec un regard éduqué par la Révélation chrétienne, est le signe sacramentel d'une présence transcendante qui l'anime et le guide vers la rencontre de Dieu. Cette rencontre avec Dieu trouvera son accomplissement définitif dans la convivialité des différences, laquelle trouvera sa pleine réalisation dans le banquet eschatologique préparé par Dieu sur sa montagne.
110. Transformée par l'annonce de la Résurrection, l'Église aspire à incarner la vision d'Isaïe, et ainsi devenir « une forteresse pour le faible, forteresse pour le malheureux en sa détresse, un abri contre l’orage, une ombre contre la chaleur » (Is 25,4). C'est ainsi qu'elle ouvre son cœur au Royaume. Lorsque les membres de l'Église se laissent guider par l'Esprit du Seigneur vers des horizons inexplorés, ils éprouvent une joie incommensurable. Cette transformation continue du style ecclésial, dans sa beauté, son humilité et sa simplicité, est la conversion permanente à laquelle nous invite le processus synodal.
111. L'encyclique Fratelli tutti nous exhorte à nous reconnaître comme sœurs et frères dans le Christ ressuscité, en proposant cela non pas comme un statut figé, mais comme un mode de vie dynamique. L'encyclique met en lumière le contraste entre l’époque dans laquelle nous vivons et la vision de la convivialité préparée par Dieu. Les voiles, les obscurités et les larmes de notre temps sont le résultat de l'isolement croissant des uns et des autres, de la violence exacerbée, de la polarisation croissante de la société, et de la rupture avec les sources de la vie. Cet Instrumentum laboris nous interpelle sur notre façon d'être une Église synodale missionnaire, de nous engager dans une écoute et un dialogue profonds, de vivre la coresponsabilité à la lumière du dynamisme de notre vocation baptismale, tant personnelle que communautaire, de transformer les structures et les processus pour permettre à tous de participer et partager les charismes que l'Esprit répand sur chacun pour le bien commun, et à exercer le pouvoir et l'autorité comme un service. Chacun de ces aspects constitue un service rendu à l'Église et, par son action, une opportunité de guérir les blessures les plus profondes de notre temps.
112. Le prophète Isaïe conclut son oracle par un hymne de louange à reprendre en chœur : « Voici notre Dieu, en lui nous espérions, et il nous a sauvés ; c’est lui le Seigneur, en lui nous espérions ; exultons, réjouissons-nous : il nous a sauvés ! » (Is 25, 9). En tant que Peuple de Dieu, unissons nos voix à cette louange. Pèlerins de l'espérance, continuons à avancer sur le chemin synodal vers ceux qui attendent encore l'annonce de la Bonne Nouvelle du salut !
_____________________________
[1] Sauf indication contraire ou lorsqu'il ressort clairement du contexte que ce n'est pas le cas, dans le texte de l'Instrumentum laboris, le terme « Église » indique « l’Église Catholique une et unique » (LG 23), tandis que le pluriel « Églises » indique les Églises locales dans lesquelles et à partir desquelles elle existe.
[2] Ici, comme ci-dessous, les citations des conférences épiscopales et de leurs regroupements continentaux proviennent des synthèses envoyées au Secrétariat général du Synode à l'issue de la consultation des Églises locales qui s'est déroulée entre la fin de l'année 2023 et la première moitié de l'année 2024.
[3] Diffusé par le Secrétariat général du Synode le 11 décembre 2023 et disponible sur www.synod.va
[4] À cet égard, veuillez-vous référer au document Comment être l'Église synodale en mission ? Cinq perspectives à approfondir théologiquement en vue de la deuxième session de la XVIe Assemblée générale. Ordinaire du Synode des évêques, publié par le Secrétariat général du Synode le 14 mars 2024 et disponible à l'adresse www.synod.va
[5] À cet égard, veuillez vous référer au document Groupes d'étude sur les questions apparues lors de la première session de la XVIe Assemblée générale ordinaire du Synode des évêques, à approfondir en collaboration avec les Dicastères de la Curie romaine. Schéma de travail, également diffusé le 14 mars 2024 et disponible à l'adresse www.synod.va
[6] Les thèmes qui ressortent du Rapport de synthèse de la première session et qui ont été confiés aux dix groupes d'étude sont les suivants :
1. Quelques aspects des relations entre les Églises orientales catholiques et l'Église latine (RdS 6).
2. L’écoute du cri des pauvres (RdS 4 et 16).
3. La mission dans l'environnement numérique (RdS 17).
4. La révision de la Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis dans une perspective synodale missionnaire (RdS 11).
5. Quelques questions théologiques et canoniques autour de certaines formes spécifiques de ministère (RdS 8 et 9).
6. La révision, dans une perspective synodale et missionnaire, des documents qui règlent les relations entre les évêques, les religieux et les agrégations ecclésiales (RdS 10).
7. Certains aspects de la figure et du ministère de l'Évêque (en particulier : les critères de sélection des candidats à l'épiscopat, la fonction judiciaire de l'évêque, la nature et le déroulement des visites ad limina Apostolorum) dans une perspective synodale et missionnaire (RdS 12 et 13).
8. Le rôle des Représentants pontificaux dans une perspective missionnaire synodale (RdS 13).
9. Critères théologiques et méthodologies synodales pour un discernement partagé des questions doctrinales, pastorales et éthiques controversées (RdS 15).
10. La réception des fruits du cheminement œcuménique dans le Peuple de Dieu (RdS 7).
[7] Dans les traditions des Églises orientales et occidentales, le terme « synode » désigne des institutions et des événements qui ont pris différentes formes au fil du temps, impliquant une pluralité de sujets. Dans leur diversité, toutes ces formes sont unies par le fait de se réunir pour dialoguer, discerner et décider.
[01156-FR.01] [Texte original: Italien - version de travail]
Traduzione in lingua inglese
XVI ORDINARY GENERAL ASSEMBLY
OF THE SYNOD OF BISHOPS
How to be a missionary synodal Church
Instrumentum laboris
for the Second Session (October 2024)
Table of Contents
Introduction. I
Three years on the road.
A working tool for the Second Session.
Foundations
The Church, People of God, sacrament of unity.
The shared meaning of synodality.
Unity as harmony in diversity.
Sisters and brothers in Christ: a renewed reciprocity.
Call to conversion and reform.
Part I - Relations
In Christ and in the Spirit: Christian initiation.
For the People of God: charisms and ministries.
With ordained ministers: at the service of harmony.
Between the Churches and in the world: the concreteness of communion.
Part II – Pathways
An integral and shared formation.
Ecclesial discernment for mission.
Decision-making processes.
Part III – Places
Areas of shared journeying.
Local Churches in the one and unique Catholic Church.
The bonds that shape the unity of the Church.
The service to unity of the Bishop of Rome.
Conclusion – The Synodal Church in the World
Abbreviations
AG VATICAN COUNCIL II, Decr. Ad Gentes (7 December 1965)
CD VATICAN COUNCIL II, Decr. Christus Dominus (28 October 1965)
CIC Codex iuris canonici (25 January 1983)
ITC INTERNATIONAL THEOLOGICAL COMMISSION, Synodality in the Life and Mission of the Church (2 March 2018)
DCS GENERAL SECRETARIAT OF THE SYNOD, Document for the Continental Stage (27 October 2022)
DV VATICAN COUNCIL II, Const. Dogm. Dei Verbum (18 November 1965)
EG FRANCIS, Ap. Exhort. Evangelii Gaudium (24 November 2013)
GS VATICAN COUNCIL II, Past. Const. Gaudium et spes (7 December 1965)
LG VATICAN COUNCIL II, Dogm. Const. Lumen Gentium (21 November 1964)
LS FRANCIS, Enc. Lett. Laudato si' (24 May 2015)
PE FRANCIS, Ap. Const. Praedicate Evangelium (19 March 2022)
SR XVI ORDINARY GENERAL ASSEMBLY OF THE BISHOPS SYNODOX, Synthesis Report (28 October 2023)
SC VATICAN COUNCIL II, Const. Sacrosanctum Concilium (4 December 1963)
UR VATICAN COUNCIL II, Decr. Unitatis redintegratio (21 November 1964)
UUS JOHN PAUL II, Encyclical Letter Ut unum sint (25 May 1995)
Introduction
On this mountain the Lord of the universe will make for all peoples
a feast of rich food, a feast of well-aged wines,
of rich food filled with marrow, of well-aged wines strained clear.
And he will destroy on this mountain the shroud that is cast over all peoples,
the sheet that is spread over all nations; he will swallow up death forever.
Then the Lord God will wipe away the tears from all faces,
and the disgrace of his people he will take away from all the earth,
for the Lord has spoken
Is 25:6-8
The prophet Isaiah presents the image of a superabundant and sumptuous banquet prepared by the Lord on the mountaintop, a symbol of conviviality and communion intended for all peoples. At the moment of returning to the Father, the Lord Jesus entrusts his disciples with the task of reaching out to all peoples to serve them a banquet of food that gives them the fullness of life and joy. Through his Church, guided by his Spirit, the Lord wants to rekindle hope in the hearts of humanity, restore joy and save all, especially those whose faces are stained with tears and who cry out to Him in anguish. Their cries reach the ears of all Christ’s disciples, men and women who walk in the depths of human affairs. Their cries are amplified at a time when the Synod's journey has been accompanied by the outbreak of new wars, adding to the too many that continue to stain the world with blood.
At the heart of Synod 2021-2024, "For a Synodal Church. Communion, participation, mission" is a call to joy and to the renewal of the People of God in following the Lord and in their commitment to serving His mission. The call to be missionary disciples is based on our common baptismal identity and is rooted in the diversity of the contexts in which the Church[1] is present and finds its unity in the one Father, the one Lord, and the one Spirit. It is a call to all the baptised, without exception: “The whole People of God is an agent of the proclamation of the Gospel. Every baptised person is called to be a protagonist of mission since we are all missionary disciples” (ITC, no. 53). This renewal is expressed in a Church that, gathered by the Spirit through Word and Sacrament (cf. CD 11), proclaims the salvation it continually experiences to a world hungry for meaning and thirsting for communion and solidarity. For this world, the Lord prepares a banquet on his mountain.
We renew our commitment to this mission today by practising synodality, which is an expression of the Church’s nature. Growing as missionary disciples means answering Jesus' call to follow Him, responding to the gift we received when we were baptised in the name of the Father, the Son and the Holy Spirit. It means learning to accompany each other as a pilgrim people journeying through history towards a common destination, the heavenly city. By walking this path, nourished by the Word of God and the Eucharist, we are transformed into what we receive. Thus, we understand that our identity as a people saved and made holy has an inescapably communal dimension, fashioning us into a community that embraces the generations of believers who have preceded us and those who will follow us. The salvation to be received and borne witness to is relational since no one is saved alone. Or rather, using the words offered by an Asian Episcopal Conference, we grow gradually in our awareness that “Synodality is not simply a goal, but a journey of all the faithful, to be accomplished together hand in hand. This is why understanding its full meaning takes time" (CE Bangladesh).[2] St Augustine speaks of the Christian life as a pilgrimage in solidarity, a walking together "towards God not in steps, but with the affections" (Augustine, Discourse 306 B, 1), sharing a life of prayer, proclamation and love of neighbour.
The Second Vatican Council teaches that "All people are called to this union with Christ, who is the light of the world; from him we come, through him we live, and towards him we direct our lives" (LG, no. 3). At the heart of the synodal journey lies the desire, ancient and ever new, to communicate to all the promise and the invitation of the Lord kept in the living tradition of the Church, to recognise the Risen Lord’s presence in our midst and to welcome the many fruits of the Spirit’s action. This vision of the Church - a pilgrim people in every part of the world seeking synodal conversion for the sake of mission - guides us as we move forward on this path with joy and hope. It is a vision that contrasts starkly with the reality of a world in crisis, whose wounds and scandalous inequalities resonate deeply in the hearts of all Christ's disciples. It prompts us to pray for all victims of violence and injustice and to renew our commitment to work alongside the women and men who are artisans of justice and peace in every part of the world.
Three years on the road
After the opening of the synodal process on 9-10 October 2021, the local Churches worldwide, at different paces and in diverse ways, embarked on an initial listening phase. Belonging to the Church means being part of the one People of God, composed of people and communities living in concrete times and places. Synodal listening started from these communities, moving through diocesan, national and continental stages as part of a continuous dialogue the General Secretariat of the Synod helped foster by publishing synthesis and working documents. The circularity of the synodal process recognises and enhances the Church’s rootedness in various contexts, serving the bonds that unite them.
An innovation of the first stage was the convening of Continental Assemblies. These brought together the local Churches of the same region, inviting them to learn to listen to each other, to accompany each other on the journey, and to discern together the main challenges to fulfilling the mission present in their contexts.
The First Session of the XVI Ordinary General Assembly of the Synod of Bishops (October 2023) opened the second phase, which welcomes the fruits of this listening in order to discern in prayer and dialogue the steps that the Spirit is asking us to take. This phase will continue until the end of the Second Session (October 2024), when the Holy Father will be offered these fruits in preparation for further implementation by the local Churches.
The preparation of the Second Session is necessarily based on the results of the First Session presented in the Synthesis Report (SR). Consistent with the circularity characterising the whole synodal process and in order to provide a clear focus for the work of the Second Session, a further consultation of the local Churches was launched, guided by the question: "How to be a synodal Church in mission?" As the document Towards October 2024[3] explains, the objective of the consultation was " to identify the paths we can follow and the tools we might adopt in our different contexts and circumstances in order to enhance the unique contribution of each baptised person and of each Church in the one mission of proclaiming the Risen Lord and his Gospel to the world today. This is not, therefore, a request that limits you to a plan of technical or procedural improvements to make the Church's structures more efficient, but rather an invitation for reflection on the concrete forms of the missionary commitment to which we are called, that express the dynamism between unity and diversity proper to a synodal Church."
The drafting of this Instrumentum laboris for the Second Session has been done in the light of the answers to the guiding question sent in by most of the Episcopal Conferences (EC) and their continental groupings, the Eastern Catholic Churches, the Dioceses that are not part of an Episcopal Conference, the Dicasteries of the Roman Curia, the Union of Superiors General and the International Union of Superiors General representing consecrated life, as well as the testimonies of experiences and good practices received from all over the world and the observations of almost two hundred groups: university faculties, associations of the faithful, communities and individuals from all over the world. In this way, it is rooted in the life of the People of God present throughout the world.
These voices expressed gratitude for the journey made and witnessed to the hardships it sometimes requires, but above all, they spoke of the desire to move forward. As a North American Episcopal Conference says, “gratitude for this synodal journey is profound. Much has been done to move along the synodal path as companions in the U.S. Church. Mindful of Pope Francis’ notion of a culture of encounter, tensions remain that will require continued reflection and dialogue. These tensions need not disrupt the communion of charity in the Church.” (EC USA). They also remind us that there is still a long way to go.
As in previous phases, the benefits of adopting the method of conversation in the Spirit have once again been reaffirmed. Note, for example, the words of one federation of Episcopal Conferences: “Many of the reports across Asia show tremendous enthusiasm for the synod methodology, which uses conversation in the Spirit as the starting point for the synodal journey. Many dioceses and conferences have introduced this method into their existing structures with great success.” This enthusiasm has already translated into steps taken to experiment with a more synodal way of proceeding. In one European Episcopal Conference: “it was decided [in the light of this] to implement a five-year synodal trial phase. The forms of synodal consultation, dialogue, discernment, decision-making and decision-making are to be developed, evaluated and refined at the national level. Diocesan experience and synodal developments in the universal Church will be taken into account. We are at the beginning of a challenging but important learning journey”. There is great awareness in the reports of the value of the local Churches and their journeys, of the richness of which they are bearers and of the need for their voices to be heard. According to one report received from an African Episcopal Conference: “Local Churches are not to be viewed and treated any more simply as recipients of the Gospel with nothing or very little to contribute”.
To these contributions were added the fruits of the International Meeting "Parish Priests for the Synod" (Sacrofano [Rome], 28 April - 2 May 2024), which enabled priests engaged in Parish ministry to be heard. The syntheses of the working groups express, above all, “their joy for the opportunity to truly listen to one another. It was an enriching experience in fostering a deep sense of understanding and appreciation for one another's unique backgrounds.” They also express “a need to understand the role of Parish priest in the context of synodality acknowledging the various traditions in the Church” and the concern about not being able to reach the peripheries and those who live on the margins: "If the Church wants to be synodal, it must listen to these people".
Similarly, this Instrumentum laboris has drawn from material produced by the five Working Groups set up by the General Secretariat of the Synod. These groups were composed of experts from different parts of the world, women and men, and those with different ecclesial roles. Using a synodal method, they have deepened theological and canonical reflection on the meaning of synodality and its implications for the life of the Church.[4]
A group of experts, comprised of bishops, priests, consecrated and lay men and women, theologians, canonists and biblical scholars from all continents and with different ecclesial roles, was entrusted with reading and interpreting the contributions and materials received and compiling answers to the guiding question. Their work contributed to the drafting of this Instrumentum laboris. Their reflections, as well as those of the five Working Groups, mentioned above, will also feed into further material that will accompany this Instrumentum laboris, providing the theological foundations for some of its contents.
Alongside the preparatory work for the Second Session, the work of the ten Study Groups[5] has begun. They are entrusted with the task of delving into ten themes[6] emerging from the SR and identified by the Pope at the end of an international consultation. These Study Groups, made up of pastors and experts from all continents, use a synodal working method and are "constituted by common agreement between the Dicasteries of the Roman Curia responsible for the various themes and the General Secretariat of the Synod, which is entrusted with the coordination", according to the Chirograph signed by Pope Francis on 16 February 2024 and in the spirit of the Apostolic Constitution Praedicate evangelium (art. 33). They will complete their in-depth study by June 2025, if possible, but will offer a progress report to the Synod Assembly in October 2024. Ahead of the conclusion of the Second Session, Pope Francis has already accepted some of the requests of the First Session and begun the work of implementation in the form envisaged by the Apostolic Constitution Episcopalis Communio: "Together with the competent dicastery of the Roman Curia, as well as other dicasteries interested in various ways according to the theme and the circumstances, the General Secretariat of the Synod for its part promotes the implementation of the synodal recommendations approved by the Roman Pontiff." (art. 20, c. 1). In agreement with the Dicastery for Legislative Texts, a Canon Law Commission has been set up to serve the Synod. Finally, following the request of the First Session (cf. SR 16q), on 25 April 2024, SECAM (Symposium of Episcopal Conferences of Africa and Madagascar) announced the establishment of a special Commission to discern the theological and pastoral implications of polygamy for the Church in Africa.
A working tool for the Second Session
Our journey has been characterised by silence, prayer, listening to the Word of God, dialogue and joyful encounters. It has not been without difficulties. Yet through this, as the People of God, we have matured into a deeper awareness of our relationship with each other as brothers and sisters in Christ, with a common responsibility to be a community of the redeemed that proclaims the beauty of the Kingdom of God to the whole world in word and life. This identity is not an abstraction but a lived experience imprinted with names and faces. In preparation for the Second Session, and during its work, we continue to address this question: how can the identity of the synodal People of God in mission take concrete form in the relationships, paths and places where the everyday life of the Church takes place?
This Instrumentum laboris serves that purpose, cohering also with what was said about the Instrumentum laboris prepared for the First Session: "it is not a document of the Magisterium of the Church, nor the report of a sociological survey; it does not offer the formulation of operative indications, of goals and objectives, nor the complete elaboration of a theological vision" (n. 10, cf. DCS n. 8). To understand this document, it is essential to place it within the synodal process as a whole. It is shaped by the circularity of dialogue between the Churches, supported by the work of the General Secretariat of the Synod. The First Session of the Assembly (2023) gathered the fruits of the local and continental consultations in search of the "characteristic signs of a synodal Church and the dynamics of communion, mission and participation that inhabit it" (SR, Introduction). Through prayer, dialogue and discernment, the First Assembly drew forth and expressed in the Synthesis Report the convergences, the matters that require consideration and the proposals. What emerged can be understood as an initial response to the question, "How does a Synodal Church describe itself?”. The Second Session does not retrace these steps but is called to go further, focusing on its guiding question: "How to be a synodal Church in mission?". Other questions that emerged during the journey are the subject of work that continues in other ways, at the level of the local Churches as well as in the ten Study Groups. The two Sessions cannot be separated, nor can they be opposed. They are in continuity, and above all, they are part of a broader process which, as the Apostolic Constitution Episcopalis communio states, will not cease at the end of October 2024.
In practical terms, this Instrumentum laboris opens with a section dedicated to foundational understandings of synodality, presenting the awareness of synodality that has matured along the way and was approved by the First Session. This is followed by three closely interwoven sections, which illuminate the missionary synodal life of the Church from different perspectives: I) from the perspective of the Relationships - with the Lord, between brothers and sisters and between Churches - which sustain the vitality of the Church in ways more profound than the merely structural; II) from the perspective of the pathways that support the dynamism of our ecclesial relationships; III) from the perspective of the places that are the tangible contexts for our embodied relationships, marked by their variety, plurality and interconnection, and rooted in the foundation of the profession of faith, resisting human temptations to abstract universalism. Each of these Sections will be the object of prayer, exchange and discernment in one of the modules that will structure the work of the Second Session. Each participant will be invited to "offer one’s contribution as a gift for others and not as something absolute or certain" (SR, Introduction) on a path that the members of the Assembly are called to walk together. On this basis, a final document relating to the whole process will be drafted and will offer the Pope proposals on steps that could be taken.
We can expect a further deepening of the shared understanding of synodality, a better focus on the practices of a synodal Church, and the proposal of some changes in canon law (there may be yet more significant and profound developments as the basic proposal is further assimilated and lived.). Nonetheless, we cannot expect the answer to every question. In addition, other proposals will emerge along the way, on the path of conversion and reform that the Second Session will invite the whole Church to undertake. Among the gains of the process so far, we can include having experienced and learned a method for addressing questions together, in dialogue and discernment. We are still learning how to be a missionary synodal Church, but it is a task we have learned that we can undertake with joy.
Foundations
This section of the Instrumentum laboris seeks to outline the foundations of the vision of a missionary synodal Church, inviting us to deepen our understanding of the mystery of the Church. It does not offer a complete treatise on ecclesiology but is placed at the service of the particular work of discernment to be undertaken by the Synodal Assembly of October 2024. Responding to the question "How to be a synodal Church in mission?" requires a horizon within which to place pastoral and theological reflections and proposals, helping to orient us on a path of conversion and reform. In turn, the concrete measures implemented by the Church will allow the horizon to be brought into sharper focus and a deeper understanding of foundations to be gained in generative reciprocity between theological reflection and pastoral practice that marks the entire history of the Church.
In Christ, light of all the nations, we are one People of God, called to be a sign and instrument of union with God and of the unity of all humanity. We do this by walking together in history, living the communion that is a partaking in the life of the Trinity, and promoting the participation of all in view of our common mission. This vision has deep and strong roots in the Church's living tradition. The synodal process has simply allowed a renewed awareness of this vision to mature. This renewal is expressed in the convergences that have emerged during the journey since 2021 and have been collated by the First Session of the Synodal Assembly (October 2023). Its Synthesis Report presented them to the whole Church to aid the discernment that will complete the Second Session.
The Church, People of God, sacrament of unity
1. Baptism in the name of the Father, the Son and the Holy Spirit gives rise to the mystical, dynamic and communitarian identity of the People of God. It orients us to the fullness of life in which the Lord Jesus precedes us and to the mission of inviting every man and woman to accept the gift of salvation in freedom (cf. Mt 28:18-19). In Baptism, Jesus clothes us with Himself and shares His identity and mission with us (cf. Gal 3:27).
2. It has pleased God “to sanctify and save men and women not individually and without regard for what binds them together, but to set them up as a people who would acknowledge him in truth and serve him in holiness” (LG 9), sharing in the communion of the Trinity. In and through His people, God realises and manifests the salvation He gives us in Christ. Synodality is rooted in this dynamic vision of the People of God with a universal vocation to holiness and mission while being on a pilgrimage to the Father in the footsteps of Jesus Christ and animated by the Holy Spirit. This synodal and missionary People of God proclaims and bears witness to the Good News of salvation in the different contexts in which it lives and walks. Walking together with all the peoples of the earth, shaped by their cultures and religions, it dialogues with them and accompanies them.
3. The synodal process has developed a deeper awareness in us of what it means to be the People of God gathered as "the Church from every tribe, tongue, people and nation" (SR 5), living its journey towards the Kingdom in different contexts and cultures. The People of God is the communal subject that goes through the stages of salvation history on its way to fulfilment. The People of God is never simply the sum of the baptised; rather, it is the 'we' of the Church, the communitarian and historical subject of synodality and mission, so that all may receive the salvation prepared by God. Incorporated into this people through faith and Baptism, we are accompanied by the Virgin Mary, "a sign of sure hope and comfort for the pilgrim people of God " (LG 68), by the apostles, by those who have borne witness to their faith to the point of giving their lives, and with the saints who have gone before us.
4. "Christ is the light of the nations" (LG 1), and this light shines on the face of the Church, which "is in Christ as a sacrament or instrumental sign of intimate union with God and of the unity of all humanity" (ibid.). Like the moon, the Church shines with reflected light: it cannot, therefore, understand its mission self-referentially but receives the responsibility of being the sacrament of bonds, relationships and communion in service to the unity of all humanity. We bear this responsibility in times now dominated by the crisis of participation, the absence of a sense that we have a common destiny, and a too-often individualistic conception of happiness and, therefore, of salvation. In living out this mission, the Church communicates God's plan to unite all humanity to Himself in salvation. In doing so, it does not proclaim itself "but Christ Jesus the Lord" (2 Cor 4:5). If this were not so, it would lose its being in Christ "as a sacrament" (cf. LG 1) and therefore, its own identity and raison d'être. On the way to fullness, the Church is the sacrament of the Kingdom of God in the world.
The shared meaning of synodality
5. The terms synodality and synodal, derived from the ancient and constant ecclesial practice of gathering in synod[7], have been better understood and, above all, lived thanks to the experience of recent years. They have been increasingly associated with the "desire for the Church as God's home and family, a Church that is closer to the lives of Her people, less bureaucratic and more relational" (SR 1b), the home and family of God. During its First Session, the Assembly converged in understanding the meaning of 'synodality', an understanding that underlies this Instrumentum laboris. The in-depth study groups now underway aim to better focus the Catholic perspective on this constitutive dimension of the Church in a dialogue with other Christian traditions that respect the differences and particularities of each one. In its broadest sense, "synodality can be understood as Christians walking in communion with Christ toward the Kingdom along with the whole of humanity. Its orientation is towards mission, and its practice involves gathering in assembly at each level of ecclesial life. It involves reciprocal listening, dialogue, community discernment, and creation of consensus as an expression that renders Christ present in the Holy Spirit, each taking decisions in accordance with their responsibilities. " (SR 1h).
6. Synodality, therefore, designates "the particular style that qualifies the life and mission of the Church" (ITC, n. 70a), a style that starts from listening as the first act of the Church. Faith, which is born from listening to the proclamation of the Good News (cf. Rom 10:17), lives from listening: listening to the Word of God, listening to the Holy Spirit, listening to one another, listening to the living tradition of the Church and its Magisterium. In the stages of the synodal process, the Church once again has experienced what the Scriptures teach: it is only possible to proclaim what one has heard.
7. Synodality "ought to be expressed in the Church’s ordinary way of living and working. This modus vivendi et operandi works through the community listening to the Word and celebrating the Eucharist, the brotherhood [and sisterhood] of communion and the co-responsibility and participation of the whole People of God in its life and mission, on all levels and distinguishing between various ministries and roles" (ibid.). The term then indicates the ecclesial structures and processes in which the synodal nature of the Church is expressed at the institutional level, and finally designates those particular events in which the Church is convoked by the competent authority (cf. ibid). In describing the Church, the notion of synodality is not an alternative to that of communion. In fact, in the context of the ecclesiology of the People of God illustrated by the Second Vatican Council, the concept of communion expresses the profound substance of the mystery and mission of the Church, which has its source and culmination in the celebration of the Eucharist, that is, in communion with the Triune God and the unity among human persons that is realised in Christ through the Holy Spirit. In that same context, Synodality "is the specific modus vivendi et operandi of the Church, the People of God, which reveals and gives substance to her being as communion when all her members journey together, gather in assembly and take an active part in her evangelising mission." (ITC, n.6)
8. Synodality in no way entails the devaluation of the particular authority and specific task that Christ entrusts to the pastors: the bishops with the presbyters, their collaborators, and the Roman Pontiff as " the perpetual and visible principle and foundation of unity both of the bishops and of the multitude of the faithful" (LG 23). Rather, it offers "the most appropriate interpretative framework for understanding the hierarchical ministry itself" (Francis, Address in commemoration of the 50th anniversary of the institution of the Synod of Bishops, 17 October 2015), inviting the whole Church, including those who exercise authority, to true conversion and reform.
9. Synodality is not an end in itself. Insofar as it offers the possibility of expressing the nature of the Church and insofar as it allows all the charisms, vocations and ministries in the Church to be valued, it enables the community of those who "look to Jesus in faith" (LG 9) to proclaim the Gospel in the most appropriate way to women and men of every place and time, and to be a "visible sacrament" (ibid.) of the salvific unity willed by God. Synodality and mission are thus intimately linked. If the Second Session is to focus on certain aspects of synodal life, it does so with a view to greater effectiveness in mission. At the same time, synodality is the condition for continuing the ecumenical journey towards the visible unity of all Christians. The reception of the fruits of the ecumenical journey in ecclesial practices is the title and theme of Study Group 10.
Unity as harmony in diversity
10. The dynamism of ecclesial communion and, therefore, of the synodal life of the Church finds its own model and fulfilment in the Eucharistic liturgy. In it, the communion of the faithful (communio fidelium) is at the same time the communion of the Churches (communio Ecclesiarum), which is manifested in the communion of the bishops (communio episcoporum), because of the very ancient principle that "the Church is in the Bishop and the Bishop is in the Church" (St Cyprian, Ep. 66.8). At the service of communion, the Lord placed the Apostle Peter (cf. Mt 16:18) and his successors. By virtue of the Petrine ministry, the Bishop of Rome is "the perpetual and visible principle and foundation" (LG, n. 23) of the unity of the Church, expressed in the communion of all the faithful, of all the Churches, of all the bishops. Thus, is manifested the harmony that the Spirit works in the Church, the Spirit who is harmony in person (cf. S. Basil, In Ps 29:1).
11. Throughout the synod process, the Church's desire for unity has grown hand in hand with an awareness of its diversity. It was precisely the sharing among the Churches that reminded us that there is no mission without context, that is, without a clear awareness that the gift of the Gospel is offered to people and communities living in particular times and places, not closed in on themselves but bearers of stories that must be recognised, respected, and opened to broader horizons. One of the greatest gifts received along the way has been the opportunity to encounter and celebrate the beauty of the "pluriform face of the Church" (John Paul II, Novo Millennio Ineunte, 40). Synodal renewal favours the appreciation of contexts as a place where God's universal call to be part of his people, of that Kingdom of God, which is "justice, peace and joy in the Holy Spirit" (Rom 14:17), is made present and realised. In this way, different cultures can grasp the unity that underlies and completes their vibrant plurality. Appreciating contexts, cultures, and diversity is key to growing as a missionary synodal Church.
12. Similarly, awareness has grown of the variety of charisms and vocations that the Holy Spirit constantly awakens in the People of God. This gives rise to the desire to grow in the ability to discern them, understand their relationships within the concrete life of each Church and the Church as a whole, and articulate them for the good of mission. This also means reflecting more deeply on the question of participation in relation to communion and mission. At every stage of the process, the desire emerged to broaden the possibilities of participation and the exercise of co-responsibility by all the baptised, men and women, in the variety of their charisms, vocations and ministries. This desire points in three directions. The first is the need to renew the proclamation and transmission of the faith in ways and means appropriate to the current context. The second is the renewal of liturgical and sacramental life, starting with liturgical celebrations that are beautiful, dignified, accessible, fully participative, well-inculturated and capable of nourishing the impulse towards mission. The third is to recognise and transform the sorrow evoked by the non-participation of so many members of the People of God in this journey of ecclesial renewal and the Church’s struggle to live well the relationships between men and women, between the generations, and between people and groups of different cultural identities and social conditions, especially those made poor and the excluded. This weakness in reciprocity, participation and communion remains an obstacle to a full renewal of the Church in a missionary synodal sense.
Sisters and brothers in Christ: a renewed reciprocity
13. The first difference we encounter as human persons is between men and women. Our vocation as Christians is to honour this God-given difference by living within the Church a dynamic relational reciprocity as a sign for the world. In reflecting on this vision from a synodal perspective, the contributions received at all stages highlighted the need to give fuller recognition to the charisms, vocation and role of women, to better honour this reciprocity of relations in all spheres of the Church's life. The synodal perspective highlights three theological reference points as a guide for discernment: a) participation is rooted in the ecclesiological implications of Baptism; b) we are a communion of baptized persons, called not to bury talents but to discern and call forth the gifts that the Spirit pours out on each for the good of the community and the world; c) while respecting and acknowledging the diverse vocations and gifts of each, the gifts that the Spirit bestows on the faithful are ordered to each other in a complementary manner and the collaboration of all the baptised is to be practised as an act of co-responsibility. Guiding us in our reflection is the testimony of the Holy Scriptures: God chose women as the first witnesses and heralds of the Resurrection. By virtue of Baptism, they enjoy full equality, receive the same outpouring of gifts from the Spirit, and are called to the service of Christ's mission.
14. In this sense, the first change to be made is one of mentality: a conversion to a vision of relationality, interdependence and reciprocity between women and men, who are sisters and brothers in Christ, oriented to a common mission. The communion, participation and mission of the Church suffer the consequences of a failure to transform relationships and structures. As a contribution of a Latin American Episcopal Conference notes: "a Church in which all members can feel co-responsible is also an attractive and credible place".
15. The contributions of the Episcopal Conferences recognise that women can participate in many areas of Church life. However, they also note that these possibilities for participation often remain untapped. That is why they suggest that the Second Session promote awareness of and encourage the full use and further development of these possibilities within Parishes, Dioceses and other ecclesial realities, including positions of responsibility. They also call for further exploration of ministerial and pastoral modalities that better express the charisms and gifts the Spirit pours out on women in response to the pastoral needs of our time. As a Latin American Episcopal Conference says: "In our culture the presence of machismo remains strong, while a more active participation of women in all ecclesial spheres is needed. As Pope Francis states, their perspective is indispensable in decision-making processes and in the assumption of roles in the different forms of pastoral care and mission".
16. Concrete requests emerge from the contributions of the Episcopal Conferences for consideration at the Second Session, including: (a) the promotion of domains for dialogue in the Church so that women can share their experiences, charisms, skills, and spiritual, theological and pastoral insights for the good of the whole Church; (b) a wider participation of women in the processes of ecclesial discernment and all stages of decision-making processes (drafting and decision-making); c) wider access to positions of responsibility in Dioceses and ecclesiastical institutions, in line with existing provisions; d) greater recognition and support for the life and charisms of consecrated women and their employment in positions of responsibility; e) access for women to positions of responsibility in seminaries, institutes and theological faculties; f) an increase in the number of women judges in all canonical processes. The reports received also continue to call for greater attention to be paid to the use of language that is more inclusive and to a range of images from Scripture and Tradition in preaching, teaching, catechesis and the drafting of official Church documents.
17. While some local Churches call for women to be admitted to the diaconal ministry, others reiterate their opposition. On this issue, which will not be the subject of the work of the Second Session, it is good that theological reflection should continue, on an appropriate timescale and in the appropriate ways. The fruits of Study Group 5, which will take into consideration the results of the two Commissions that have dealt with the question in the past, will contribute to its maturation.
18. Many of the demands expressed above also apply to laymen, whose lack of participation in the life of the Church is often lamented. In general, reflection on the role of women often highlights the desire to strengthen all the ministries exercised by the laity (men and women). There is also a call for adequately trained lay men and women to contribute to preaching the Word of God, including during the celebration of the Eucharist.
Call to conversion and reform
19. Jesus began his public ministry with a call to conversion (cf. Mk 1:15). This call represents an invitation to rethink personal and communal ways of living and to let oneself be transformed by the Spirit. No reform could be limited to structures alone but must be rooted in an inner transformation according to the “mind of Christ” (Phil 2:5). For a synodal Church, the first conversion is to listening, the rediscovery of which has been one of the greatest fruits of the journey to date. This is, first of all, listening to the Holy Spirit, the real protagonist of the Synod, and then listening to each other as a fundamental disposition for mission.
20. The Church's synodal style offers humanity many important insights. In an age marked by increasing inequalities, growing disillusionment with traditional models of governance, democratic disenchantment and the dominance of the market model in human interactions, and the temptation to resolve conflicts by force rather than dialogue, synodality could offer inspiration for the future of our societies. Its attractiveness stems from the fact that it is not a management strategy but a practice to be lived and celebrated in a spirit of gratitude. The synodal way of living relationships is a social witness responding to the deep human need to be welcomed and recognised within a concrete community. Synodal practice challenges the growing isolation of people and cultural individualism, which even the Church has often absorbed, and calls us to mutual care, interdependence and co-responsibility for the common good. Equally, it is also a challenge to an exaggerated social communitarianism that suffocates people and does not allow them to be free subjects of their own development. The willingness to listen to all, especially those made poor, a willingness that the synodal way of life promotes, stands in stark contrast to a world in which the concentration of power shuts out the voices of the poorest, the marginalised and minorities. The concreteness of the synodal process has shown how much the Church itself needs to grow in this dimension. Study Group 2 is also working on this issue.
21. At every stage of the synodal process, the need for healing, reconciliation, and restoration of trust within the Church and society resonated strongly. Walking this path of healing and restoration is a missionary commitment of the People of God in our world and a gift we must invoke from above. The desire to walk further on this path is a fruit of synodal renewal.
Part I - Relations
Throughout the synodal process and from all regions of the globe, the request emerged for a Church less focused on bureaucracy and more capable of nurturing relationships with the Lord, between men and women, in the family, in the community, and between social groups. Only a web of relationships that weaves together the multiplicity of belongings can sustain individuals and communities, offering them points of reference and orientation and showing them the beauty of life according to the Gospel. It is in relationships - with Christ, with others, in the community - that faith is transmitted.
As it exists in service to mission, synodality should not be thought of as an organisational expedient but lived and cultivated as the way the disciples of Jesus weave relationships in solidarity, capable of corresponding to the divine love that continually reaches them and that they are called to bear witness to in the concrete contexts in which they live. Understanding how to be a synodal Church in mission thus passes through a relational conversion, which reorients the priorities and the action of each person, especially of those whose task it is to animate relationships in the service of unity, in the concreteness of an exchange of gifts that liberates and enriches all.
In Christ and in the Spirit: Christian initiation
22. "The pilgrim Church is missionary by her very nature, since it is from the mission of the Son and the mission of the Holy Spirit that she draws her origin, in accordance with the decree of God the Father" (AG 2). The encounter with Jesus, the adherence in faith to his person, and the celebration of the sacraments of Christian initiation lead us into the very life of the Trinity. Through the gift of the Holy Spirit, the Lord Jesus enables those who receive Baptism to participate in his relationship with the Father. The Spirit with whom Jesus was filled and who led him (Lk 4:1), who anointed him and sent him out to proclaim the Gospel (Lk 4:18), who raised him from the dead (Rom 8:11) is the same Spirit who now anoints the members of the People of God. This Spirit makes us children and heirs of God, and it is through the Spirit that we cry out to God, calling him "Abbà! Father!".
23. To understand the nature of a synodal Church in mission, it is indispensable to grasp this Trinitarian foundation, and in particular, the inextricable link between the work of Christ and the work of the Holy Spirit in human history and the Church: "It is the Holy Spirit, dwelling in those who believe and filling and ruling over the Church as a whole, who brings about that wonderful communion of the faithful. He brings them all into intimate union with Christ, so that he is the principle of the Church’s unity" (UR 2). This is why the process of Christian initiation of adults is a privileged context for understanding the synodal life of the Church. It highlights its origin and foundation: the relationships that unite and distinguish the three divine Persons. With the baptismal gifts, the Holy Spirit conforms us to Christ, priest, prophet, and king, makes us members of His Body, which is the Church, and makes us children of the one Father. Thus, we receive the call to mission and co-responsibility for what unites us in the one Church. Those gifts have a threefold and inseparable orientation: personal, communal and missionary. They empower and commit every baptised man or woman to building cordial relationships, as sisters and brothers, in their own ecclesial community, to the search for an ever more visible and profound communion with all those with whom they share the same Baptism, and to the proclamation and witness of the Gospel.
24. If, on the one hand, missionary synodality is rooted in Christian initiation, on the other hand, it must illuminate how the People of God lives the journey of initiation, making it its own for what it really means. This includes overcoming a static and individualistic vision of initiation that is insufficiently linked to the following of Christ and life in the Spirit and so recovering the dynamic and transformative value of Christian initiation. In the early Church, Christians reading the words of the Book of Genesis “on the sixth day”, God said: "Let us make humankind in our image, according to our likeness" (Gen 1:26), saw how relational dynamism was inscribed in the anthropology of creation. They saw in the image that of the incarnate Son and in the likeness the gradual possibility of conformation, the manifestation of the beneficial adventure of the freedom to choose to be with and like Christ. This adventure begins with listening to the Word of God, through which the catechumen gradually enters into the following of Christ Jesus. Baptism is at the service of the dynamism of the likeness, and for this reason, it is not a punctual act closed at the moment of its celebration but a gift that must be confirmed, nourished and put to good use through the commitment to conversion, service to mission and participation in the life of the community. Christian initiation culminates, in fact, in the Sunday Eucharist, which is celebrated every week, a sign of the unceasing gift of grace that conforms us to Christ and makes us members of his Body and nourishment that sustains us on the path of conversion and mission.
25. In this sense, the Eucharistic assembly manifests and nourishes the missionary synodal life of the Church. In the participation of all Christians, in the presence of different ministries and the presidency of the bishop or priest, the Christian community is made visible, in which a differentiated co-responsibility of all for the mission is realised. The liturgy, as "the high point towards which the activity of the Church is directed, and, simultaneously, the source from which all its power flows out" (SC 10) is at the same time the source of the synodal life of the Church and the prototype of every synodal event, making the mystery of the Trinity appear "as in a mirror" (1 Cor 13:12; cf. DV 7).
26. It is necessary that the pastoral proposals and liturgical practices preserve and make ever more evident the link between the journey of Christian initiation and the synodal and missionary life of the Church. In this way, we avoid reducing this journey to a solely pedagogical instrument or an indicator of a mere social belonging and promote instead the acceptance of this personal gift oriented towards mission and community building. The appropriate pastoral and liturgical arrangements must be developed in the plurality of situations and cultures in which the local Churches are immersed, also attentive to the difference between those in which Christian initiation involves mainly young people or adults and those in which it concerns mainly, if not exclusively, children.
For the People of God: charisms and ministries
27. “Now there are varieties of gifts, but the same Spirit; and there are varieties of services, but the same Lord; and there are varieties of activities, but it is the same God who activates all of them in everyone. To each is given the manifestation of the Spirit for the common good” (1 Cor 12:4, 7). The freedom of the Holy Spirit is at the origin of the variety of charisms (gifts of grace) and ministries (forms of service in the Church in view of her mission). The Spirit grants them and works unceasingly so that they manifest the unity of the faith and belonging to the one and unique Catholic Church in the variety of persons, cultures and places. Charisms, even the simplest and most widespread, are bestowed in response to the needs of the Church and for its mission (cf. LG 12). At the same time, they contribute effectively to the life of society, in its different aspects. Charisms are often shared, giving rise to the different forms of consecrated life and the pluralism of ecclesial associations, groups and movements.
28. The primary sphere in which the charisms borne by each baptised person are called to manifest themselves is not the organisation of ecclesial activities or structures but in daily life, family and social relationships. In the most diverse situations, Christians - individually and communally - are called to make the gifts of grace they have received flourish for the good of all. Like that of ministries, the fruitfulness of charisms depends on God's action, the vocation God addresses to each one, the generous and wise acceptance of the baptised, and recognition and accompaniment by authority. Therefore, they cannot be interpreted as the property of those who receive and exercise them, nor as intended for their exclusive benefit.
29. As an expression of the Spirit's freedom in bestowing gifts and as a response to the needs of individual communities, there is in the Church a variety of ministries that can be exercised by any baptised man or woman. These take the form of a regular service offered to and recognised by the community and those who guide it. They can be called baptismal ministries to indicate their common root (baptism) and to distinguish them from ordained ministries rooted in the sacrament of Order. There are, for example, men and women who exercise the ministry of coordinating a small church community, the ministry of leading moments of prayer (at funerals or otherwise), the extraordinary ministry of communion, or other services not necessarily liturgical. The Latin and Eastern canonical norms already provide that, in some cases, lay faithful, men or women, may also be extraordinary ministers of baptism. According to the Latin norms, the bishop may delegate to lay faithful, men or women, to assist at weddings. It is useful to continue reflecting on how to entrust these ministries to the laity in a more stable form. This reflection should be accompanied by further consideration of how we can promote more forms of lay ministry, including outside the liturgical sphere.
30. In recent times, certain modes of service that have long been present in the life of the Church have received a new configuration as instituted ministries, including the ministry of lectors and that of acolytes (cf. Apostolic Letter in the form of motu proprio Spiritus Domini, 10 January 2021). The instituted ministry of catechists has also developed (cf. Apostolic Letter in the form of motu proprio Antiquum ministerium, 10 May 2021). Instituted ministries are conferred by the bishop on men and women once in a lifetime via a special rite after appropriate discernment and adequate formation. The time and manner of their exercise must be defined by a mandate from the legitimate authority. Some theological and canonical questions concerning specific forms of ecclesial ministry - in particular, the question of the necessary participation of women in the life and leadership of the Church - have been entrusted to the Dicastery for the Doctrine of the Faith, in dialogue with the General Secretariat of the Synod (Study Group No. 5).
31. While not all charisms take on properly ministerial forms, all ministries are founded on charisms given to certain members of the People of God, who are called to act in different ways so that each one in the community can participate in the building up of the body of Christ (cf. Eph 4:12), in mutual service. Like charisms, ministries must also be recognised, promoted and valued. The synodal process has repeatedly highlighted how the discernment and promotion of charisms and ministries, as well as the identification of the needs of communities and society to which they are intended to respond, is an aspect in which the local Churches need to grow, giving themselves adequate criteria, tools and procedures. The Second Vatican Council teaches that it is the task of pastors "to acknowledge their [the faithful’s] ministries and their charisms, so that all may cooperate unanimously, each in her or his own way, in the common task" (LG 30). The discernment of charisms and ministries is a properly ecclesial act: in order to recognise and promote them, the bishop is obliged to listen to the voice of all those involved: individual faithful, communities, and participative bodies. To this end, procedures suitable to the different contexts must be identified, always taking care to make possible a real consensus on the criteria and outcomes of discernment. The results of the "Parish Priests for the Synod" meeting strongly emphasise these needs.
32. Also emphasised is the call to grow in a deeper trust in the action of the Spirit and greater courage and creativity in discerning how to put the gifts received and welcomed at the service of the Church's mission in a way that is appropriate to different local contexts. It is precisely the variety of contexts, and therefore of the needs of communities, that suggests that the local Churches, under the guidance of their pastors, and their groupings "in every great socio-cultural region" (AG 22), undertake with humility and confidence a creative discernment on which ministries that they must recognise, entrust or institute to respond to pastoral and societal needs. Therefore, criteria and ways to carry out this discernment must be defined. Reflection must also consider how to entrust baptismal ministries (non-instituted and instituted) at a time when people move from one place to another with increasing ease, specifying the times and areas of their exercise.
33. The journey so far has led to the recognition that a synodal Church is a Church that listens, is capable of welcoming and accompanying, and is perceived as home and family. A need emerges in all continents concerning people who, for different reasons, are or feel excluded or on the margins of the ecclesial community or who struggle to find full recognition of their dignity and gifts within it. This lack of welcome leaves them feeling rejected, hinders their journey of faith and encounter with the Lord, and deprives the Church of their contribution to mission.
34. It seems appropriate to create a recognised and properly instituted ministry of listening and accompaniment, which would make this characteristic feature of a synodal Church an enduring and tangible reality. An 'open door' of the community is needed, allowing people to enter without feeling threatened or judged. The forms of exercising this ministry will need to adapt to local circumstances according to the diversity of experiences, structures, social contexts and available resources. This opens up a space for discernment to take place at the local level, with the involvement of national or continental Episcopal Conferences. However, the presence of a specific ministry does not mean reserving the commitment to listening to these ministers alone. On the contrary, it has a prophetic character. On the one hand, it emphasises that listening and accompaniment are an ordinary dimension of the life of a synodal Church, which in different ways engages all the baptised and in which all communities are invited to grow; on the other hand, it reminds us that listening and accompaniment is an ecclesial service, not a personal initiative, the value of which is thus recognised. This awareness is a mature fruit of the synodal process.
With ordained ministers: at the service of harmony
35. Contrasting data emerged from the synodal process concerning the exercise of the ordained ministry within the People of God. On the one hand, the joy, commitment and dedication of bishops, priests and deacons in carrying out their service were emphasised; on the other hand, they have spoken of a certain fatigue, linked above all to a sense of isolation, loneliness, being cut off from healthy and sustainable relationships, and of being overwhelmed by the demand to provide answers to every need. This can be one of the toxic effects of clericalism. In particular, the figure of the bishop is frequently overloaded with unrealistic expectations of what a single person can reasonably achieve.
36. The meeting "Parish Priests for the Synod" linked this fatigue to the difficulty of bishops and priests in truly walking together in their shared ministry. A reimagining of the ordained ministry within the horizon of the missionary synodal Church is thus not only a demand for coherence but also an opportunity for release from these burdens, provided it is accompanied by an effective conversion of practices, which makes the change and the benefits deriving from it evident to ordained ministers and the other faithful. In addition to the journey of conversion of ordained ministers, this path will entail a new way of thinking about and organising pastoral action, which takes into account the participation of all baptised men and women in the mission of the Church, aiming, in particular, to bring out, recognise and animate the different baptismal charisms and ministries. The question "How to be a synodal Church in mission?" prompts us to reflect concretely on the relationships, structures and processes that can foster a renewed vision of ordained ministry, moving from a pyramidal way of exercising authority to a synodal way. Within the framework of promoting baptismal charisms and ministries, a reallocation of tasks whose performance does not require the sacrament of Orders can be initiated. A more detailed distribution of responsibilities will favour decision-making and taking processes marked by a more clearly synodal style.
37. In the conciliar texts, the ordained ministry is conceived primarily as service in the Church for the very existence of the Church. By its authority, the Council has restored the form of the ordained ministry of the early Church, a ministry which "is exercised in different orders by those who right from ancient times are called bishops, priests and deacons" (LG 28). In this articulation, episcopate and presbyterate correspond to a special participation in the priesthood of Christ the shepherd and head of the ecclesial community, while the diaconate is "not for the priesthood, but for the ministry " (LG 29). The different orders are organically related one to the other, in mutual interdependence, in the specificity of each. The ordained cannot think of themselves as isolated individuals on whom powers have been conferred but as sharers in the gifts (munera) conferred by ordination, which are Christ’s, in collegiality with other ordained ministers and in an organic bond with the People of God of which he is a part and which, albeit in a different way, shares in those same gifts of Christ in the common priesthood founded on Baptism.
38. The bishop has the task of presiding over a Church, being a visible principle of unity within it and a bond of communion with all the Churches. The singularity of his ministry entails a power that is proper, ordinary and immediate, powers that each bishop exercises personally in the name of Christ (cf. LG 27) of the proclamation of the Word, presiding over the celebration of the Eucharist and the other sacraments, and pastoral guidance. This does not imply his separation from the portion of the People of God entrusted to him (cf. CD 11), and which he is called to serve in the name of Christ the Good Shepherd. The fact that “the fullness of the sacrament of order is conferred by episcopal consecration” (LG 21) is not the justification for an episcopal ministry that is 'monarchical', conceived as an accumulation of prerogatives from which every other charism and ministry derives. Instead, it affirms the capacity and duty to gather and compose in unity every gift that the Spirit pours out on baptised men and women and on the various communities. Certain aspects of episcopal ministry, including the criteria for selecting candidates for the episcopate, are being addressed by Study Group 7.
39. The ministry of priests should also be conceived and lived in a synodal sense. In particular, priests "constitute along with their bishop one presbyterium" (LG 28) at the service of that portion of the People of God, which is the local Church (cf. CD 11). This requires that we do not consider the bishop as external to the presbyterate but as the one who presides over a local Church, first of all presiding over its presbyterate, of which he is a part with a particular singularity, being called to exercise special care towards priests.
40. Bishops and priests are assisted by deacons in a bond of mutual interdependence of the two types of ministry for the implementation of the apostolic service. Bishops and presbyters are not self-sufficient with respect to deacons and vice versa. Since the functions of deacons are many - as tradition, liturgical prayer and post-Vatican II praxis show - they must be related to the particularity and specificity of each individual local Church. The service of each deacon must, in any case, be conceived in harmony and communion with that of all other deacons, in accordance with the nature of the diaconal ministry and within the framework of mission in a synodal Church.
41. Besides promoting unity in the local Church, the Diocesan or Eparchial bishop, assisted by priests and deacons, is also responsible for relations with the other local Churches and the whole Church around the Bishop of Rome in a mutual exchange of gifts. Re-establishing the traditional link between being a bishop and presiding over a local Church is important, restoring the correspondence between the communion of bishops (communio episcoporum) and the communion of Churches (communio Ecclesiarum).
Between the Churches and in the world: the concreteness of communion
42. Synodality is implemented through networks of people, communities, bodies and a set of processes that enable an effective exchange of gifts between the Churches and an evangelising dialogue with the world. Walking together as baptised persons in the diversity of charisms, vocations and ministries, as well as in the exchange of gifts between Churches, is an important sacramental sign for today's world, which, on the one hand, experiences increasingly intense forms of interconnectedness, and on the other is immersed in a mercantile culture that marginalises gratuitousness.
43. According to the Council, it is by virtue of the catholicity of the Church that "the individual parts bring their own gifts to the other parts and to the whole" (LG 13). "Between the different parts of the Church there are bonds of intimate communion with regard to spiritual riches, apostolic workers and temporal resources. For the members of the people of God are called to share their goods, and the words of the apostle are applicable also to the individual churches: 'As each has received a gift, employ it for one another, as good stewards of God’s varied grace' (1 Pet 4: 10)" (ibid.).
44. The Episcopal Conferences hope that goods will be shared in a spirit of solidarity between the Churches that make up the one and unique Catholic Church, without any desire for domination or claim to superiority. The existence of rich Churches and Churches that live in great hardship is a scandal. It is therefore suggested that arrangements be made to promote mutual ties and form support networks, including in the context of groupings of Churches.
45. All the local Churches receive and give in the communion of the one Church. There are Churches that need the support of financial and material resources; others that are enriched by the witness of living faith and loving service to the poorest; still others need, above all, the help of evangelisers who devote their lives to communicating the Gospel to other peoples. In particular, the generosity of priests, deacons, consecrated men and women, lay men and women engaged in the mission ad gentes is recognised and solicited.
46. The local Churches express a desire for an exchange of spiritual, liturgical and theological gifts and also for a greater shared witness on social issues of global importance, such as the care of the common home and migratory movements. In this regard, a synodal Church will be able to testify to the importance of solutions to common problems being worked out based on listening to the voices of all, especially those groups, communities and countries that usually remain on the margins of major global processes. Today, large supranational geographical areas, such as the Amazon, the Congo Basin, the Mediterranean, or similar regions, are particularly promising areas in which to implement forms of exchange of gifts and coordinate efforts.
47. In particular, a synodal Church is invited to approach the reality of human mobility from the perspective of the exchange of gifts. This can be an opportunity for encounters between the Churches in the concreteness of the daily life of cities and neighbourhoods, of Parishes and Dioceses or Eparchies. In this way, the synodal path is rooted in the experience of the communities. Particular attention should be paid to the possibility of encounter and exchange of gifts between the Churches of Latin tradition and the Eastern Catholic Churches in the diaspora. Study Group 1 is working on this theme.
48. The exchange of gifts between Churches takes place in contexts marked by violence, persecution and lack of religious freedom; indeed, some Churches struggle for their very survival and invoke the solidarity of other Churches while they continue to share their riches, the fruit of the constant encounter with opposition to the Gospel and the persecution faced by Lord's disciples throughout history. Moreover, the exchange of gifts takes place in a context still overshadowed by continuing forms of colonialism and neo-colonialism. A Church growing in the practice of synodality is invited to understand the impact of these social dynamics on the exchange of gifts and to seek their transformation. Also, part of this commitment is the recognition that many Churches carry a wounded memory and that there is a need to promote paths of reconciliation.
49. The concept of the 'exchange of gifts’ has particular significance in relations with other Churches and ecclesial Communities. St John Paul II applied this idea to ecumenical dialogue: "Dialogue is not only an exchange of ideas. In some way it is always an 'exchange of gifts'" (UUS 28). Besides theological dialogue, the exchange of gifts takes place in the sharing of prayer, whereby we open ourselves to receive the gifts of spiritual traditions other than our own. For example, the lives and spiritual insights of holy women and men from other Churches and ecclesial Communities are also gifts we can receive, inserting their memories in our liturgical calendar, especially the martyrs. In this spirit, we must also be generous, offering other Christians the opportunity to come on pilgrimage and pray at the shrines and holy places of which the Catholic Church is a custodian.
50. Dialogue between religions and with cultures is not external to the synodal journey but is part of its call to live closer relations, given that "At all times and in every nation whoever fears God and does what is right is acceptable to God" (LG 9). Therefore, the exchange of gifts is not limited to the Christian Churches because an authentic Catholicity broadens the horizon and calls for the willingness to embrace those factors that promote life, peace, justice, and integral human development present in other cultures and religious traditions.
Part II – Pathways
A synodal Church is a relational Church in which interpersonal dynamics form the fabric of the life of a mission-oriented community, whose life unfolds within increasingly complex contexts. The approach proposed here does not separate but grasps the links between experiences, allowing us to learn from reality, which is reread in the light of the Word of God, from Tradition, from prophetic witnesses, and also reflects on mistakes made.
Part II highlights the processes that ensure the care and development of relationships, especially union with Christ, oriented towards mission and the harmony of community life through the ability to face conflicts and difficulties together. This part focuses on four distinct but profoundly intertwined areas in the life of the missionary synodal Church: formation, especially to listening (to the Word of God, to the brothers and sisters, and the voice of the Holy Spirit) and discernment, which leads to the development of participatory decision-making and taking that respects the different roles involved, in a mutual relationship that promotes transparency, accountability, and opens the space again to enable discernment for mission.
The source and culmination of this dynamism is the Eucharist, which places at the heart of all relationships the gratuitousness of the Father's love through the Son in the Spirit. This daily bread that nourishes a missionary synodal Church is also the content of its proclamation to the world.
An integral and shared formation
51. "Each baptised person is called to take care of their own formation as a response to the gifts of the Lord, making use of the talents they have received in order that they bear fruit and put them at the service of all" (SR 14a). These words from the Synthesis Report of the First Session explain why the need for formation was one of the themes that emerged universally and most strongly throughout the Synodal Process. Therefore, responding to the question of "How to be a synodal Church in mission?” requires prioritising effective formation pathways, with particular attention to ongoing formation for everyone.
52. For many, participating in synodal gatherings has been an opportunity for being formed in the understanding and practice of synodality. This has drawn forth the strong desire for a better understanding of the meaning of baptismal dignity or that "supernatural sense of faith" (LG 12) that the Spirit bestows as a gift to the People of God. The first need is, therefore, for a deeper formation in the knowledge of how the Spirit acts in the Church and guides it through history.
53. Just as there is no mission without context, there is no Church which is not rooted in a given place, with its particular culture and unique history. This is why it is impossible to envisage abstract formation initiatives. These should be defined by local Churches, and their groupings, Episcopal Conferences, and equivalent Eastern hierarchical structures. This document, therefore, will limit itself to indicating some guidelines and fundamental characteristics of formation with regard to synodality, which should then be put into practice, taking into consideration the specific contexts, cultures, and traditions of a given place.
54. A synodal Church in mission is grounded in the ability to listen, which requires recognising that no one is self-sufficient in the Church’s mission and that everyone has a contribution to offer and something to learn from others. Formation in listening is, therefore, an essential initial requirement. The practice of conversation in the Spirit has made it possible to experience how listening to the Word of God and our brothers and sisters can be woven together and how this dynamic gradually opens one up to listening to the voice of the Spirit. Many contributions have been received that insist on the importance of formation in this method. The Church has a diverse range of methods for listening, dialogue, and discernment, arising from diverse cultures and spiritual traditions. It is important to promote formation in this plurality of methods as well as dialogue between them in local contexts. A key point in this regard is listening to people who experience various types of poverty and marginalisation. Many local Churches report that they feel unprepared for this task and express the need for specific formation. This is one of the points entrusted to the work of Study Group 2.
55. The purpose of formation in the perspective of missionary synodality is to form witnesses, that is: men and women capable of assuming the mission of the Church in co-responsibility and cooperation with the power of the Spirit (Acts 1:8). Formation is therefore based on the dynamism of Christian initiation, aiming to promote the personal experience of encounter with the Lord that entails a process of continuously converting our attitudes, relationships, mentality, and structures. The subject of mission is always the Church, and each of its members is a witness and herald of salvation by virtue of Baptism. The Eucharist, "the source and culmination of all Christian life" (LG 11), is the fundamental context of our formation in synodality. As a community of life and love, the family is a privileged place of education for faith and Christian practice. In the interweaving of generations, it is a school of synodality, inviting everyone to care for others and making visible that everyone - the weak and the strong, children, young and old - have much to receive and much to give.
56. In a synodal Church, formation must be integral. Indeed, it not only aims at acquiring various ideas, beliefs or skills but also at promoting the capacity for encounter, sharing, cooperation, and discernment in common. Formation must, therefore, engage all the dimensions of the human person: intellectual, affective, and spiritual. It cannot remain a purely theoretical formation but must include concrete experiences and meaningful accompaniment. It is equally important to foster knowledge of the cultures in which local Churches live and work, including the digital culture, which has become widespread, especially among young people. The work of Study Group 3 is devoted to the digital culture and the promotion of relevant formation in this field.
57. Finally, there has been a clear insistence on the need for a formation that is communal and shared, in which lay men and women, consecrated men and women, ordained ministers and candidates for ordained ministry participate together, thus enabling them to grow in their mutual knowledge and esteem for one another, and in their ability to co-operate. To this end, special attention is required to promote the participation of women in formation programmes alongside seminarians, priests, religious, and lay people. It is crucially important that women have access to teaching and formation roles in theological faculties, institutes, and seminaries. It is also suggested that priests, bishops, and the laity be offered formation to make them aware of the roles and tasks women can already perform in the Church and that an evaluation of the effective use of these opportunities be promoted in all areas of Church life: Parishes, Dioceses, lay associations, ecclesial movements, new communities, consecrated life, ecclesiastical institutions, and the Roman Curia. The work of Study Group 4 is dedicated to revising the formation of candidates for ordained ministry (Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis) from a missionary synodal perspective. A request coming from all continents is to improve formation for preaching. Finally, there is a need for a shared formation that is both theoretical and practical in communal discernment within and appropriate to various local contexts.
Ecclesial discernment for mission
58. The one Spirit, who gives rise to a great variety of charisms, guides the Church towards the fullness of life and divine truth (cf. Jn 10:10; 16:13). By the continuous presence and action of Spirit, the “tradition which comes from the apostles progresses in the Church” (DV 8). Thanks to the guidance of the Spirit, the People of God, as sharers in the prophetic function of Christ (cf. LG 12), “discern the true signs of God's presence and purpose in the events, needs and desires which it shares with the rest of modern humanity” (GS 11). For this ecclesial task of discernment, the Holy Spirit bestows the sensus fidei, which can be described as “the instinctive capacity to discern the new ways that the Lord is revealing to the Church” (Francis, Address for the 50th Anniversary of the Institution of the Synod of Bishops, 17 October 2015).
59. Discernment commits those who participate in it at a personal level and all participating together at a community level to cultivate dispositions of inner freedom, being open to newness and trusting surrender to God’s will in order to listen to one another so as to hear “what the Spirit is saying to the Churches” (Rev. 2:7). Mary, with her prayerful presence at the heart of the apostolic community in the cenacle (cf. Acts 1:14), is for all a living model and generative guide for an authentic synodal spirituality: in persevering and responsible listening to the Word and in meditative discernment of events (cf. Lk 1:26-38; 2:19. 51), in generous openness to the action of the Holy Spirit (cf. Lk 1:35), in sharing thanksgiving for the Lord's work (cf. Lk 1:39-56), and in concrete and timely service to each and every person (cf. Jn 2:1-12) whom Jesus entrusted to her maternal care (cf. Jn 19:25-27).
60. Precisely insofar as it requires each person to share his or her point of view on the common mission we share, a process of discernment articulates in a concrete way communion, mission, and participation. In other words, it is a way of walking together. This is why it is crucial to promote broad participation in processes of discernment, taking special care to involve those on the margins of the community and society.
61. The starting point of all ecclesial discernment is listening to the Word of God. Sacred Scripture constitutes the witness par excellence of God’s communication with humanity. They testify that God has spoken to his People and continues to do so, and they present the different channels through which this communication occurs. God speaks through personal meditation on Scripture, which resonates in the hearts of those who pray with it. God speaks to the community in the liturgy, the pre-eminent place of interpreting what the Lord says to his Church. God speaks through the Church, both Mother and Teacher, through its living Tradition and practices, including those of popular piety. God continues to speak through the events in space and time, provided we know how to discern their meaning. Moreover, God communicates with his People through the natural world, whose very existence points us to the Creator's handiwork, filled with the presence of the Holy Spirit, who gives life. Finally, God speaks in each person’s own conscience, which “is the most intimate centre and sanctuary of a person, in which he or she is alone with God whose voice echoes within them” (GS 16). An authentic discernment cannot neglect any of these channels of divine communication.
62. Communal discernment is not a mere organisational technique but a demanding practice that qualifies the life and mission of the Church lived out in Christ and the Holy Spirit. For this reason, it must always be carried out with the awareness and the will to be gathered in the name of the Lord Jesus (cf. Mt 18:20), listening to the voice of the Holy Spirit. As Jesus promised, only the Holy Spirit can lead the Church towards the fullness of life and truth (cf. Jn 16:13), that these may be made available to a world thirsting for meaning. The means by which the People of God lives out its mission of proclaiming and bearing witness to the Gospel is rooted here. It is, therefore, a priority to learn to practise at all levels that evangelical art that enabled the community of the apostles in Jerusalem to characterise the first synodal event in the history of the Church with these words: "For it has seemed good to the Holy Spirit and to us" (Acts 15:28). It is in this spirit that the practice of the Church’s missionary synodal life taking place in specific places, structures, and events must be understood and oriented.
63. Concrete procedural options, in their variety, must be consistent with the requirements of an underlying synodal theological methodology. Based on the experience of the synodal process, it is possible to identify some key elements, including the need for (a) a personal and communal prayer life, including participation in the Eucharist; (b) an adequate personal and communal preparation, based on listening to the Word of God and reality; (c) respectful and profound listening to the word of each person; (d) the search for the widest possible consensus not by finding the lowest common denominator, but by overflow, aiming at what most “makes hearts burn” (cf. Lk 24:32); and (e) while the consensus is to be formulated by those conducting the process, it must be given back to all those who participated, so that they can verify their representation in that formulation.
64. Discernment always takes place ‘with one's feet on the ground,’ meaning within a concrete context, aware of its particularities and complexities. Discernment, therefore, can only benefit from the analytical contribution of the various human, social, and administrative sciences relevant to the issue at hand. This does not mean that technical and scientific expertise has the last word – such an approach would constitute a technocratic drift. Rather, the aim is to “provide a concrete foundation for the ethical and spiritual itinerary that follows” (LS 15). Therefore, these forms of expertise must be given a chance to offer their important contribution without dominating other perspectives.
65. In the Church, there is a great variety of approaches to discernment and various well-established methodologies. This diversity is a richness. With appropriate adaptations to different contexts, utilising these diverse approaches can prove fruitful. With a view to the common good, they should enter into a fruitful dialogue without diluting their respective traits or identitarian entrenchments. The fruitfulness of Conversation in the Spirit, evident at all stages of the synodal process, invites us to consider this particular form of ecclesial discernment as particularly well suited to the exercise of synodality.
66. In the local Churches, it is essential to offer formation opportunities that spread and nurture a culture of discernment, particularly among those in positions of responsibility. Equally important is the formation of accompaniers or facilitators, whose contribution often proves crucial in carrying out discernment processes. The work of Study Group 9, dedicated to the preparation of theological criteria and synodal methodologies for a shared discernment of controversial doctrinal, pastoral, and ethical issues, unfolds along these lines.
Decision-making processes
67. “In the synodal Church the whole community, in the free and rich diversity of its members, is called together to pray, listen, analyse, dialogue, discern and offer advice on taking pastoral decisions which correspond as closely as possible to God’s will” (ITC 68). This statement needs to be decisively implemented. It is difficult to imagine a more effective way to promote a synodal Church than the participation of all in decision-making and taking processes. This participation takes place based on a differentiated responsibility that respects each community member and values their respective skills and gifts in view of a shared decision.
68. To facilitate the implementation of such a vision, it is helpful to reflect on how such decision-making processes take form. The latter usually involves a phase of engagement and elaboration (decision-making, according to English terminology that is also used in other languages) “through a joint exercise of discernment, consultation and co-operation” (ITC 69), which informs and supports the decision that is subsequently made, which is ultimately the responsibility of the competent authority (for example, in a Diocese or Eparchy, the bishop). There is no competition or conflict between the two phases, but by their combination, they contribute to ensuring that the decisions made are in conformity with God's will as much as possible: “Working things out is a synodal task; the decision is a ministerial responsibility” (ibid.).
69. In many cases, existing law already prescribes that, before deciding, the authority is obliged to conduct a consultation. This ecclesial consultation cannot be omitted and goes far beyond listening because it obliges the authority not to proceed as if it had not taken place. The authority remains free from a juridical point of view since the consultative opinion is not binding, but if a general agreement emerges, the authority will not depart from it without a convincing reason (sine praevalenti ratione; CIC, Canon 127, §2, 2°). If the competent authority were to do so, it would isolate itself from those consulted, injuring the bond that unites them. In the Church, the exercise of authority does not consist in the imposition of an arbitrary will but rather constitutes a moderating force in the common search for what the Spirit requires, as a ministry at the service of the unity of the People of God.
70. In a synodal Church, the responsibility of the bishop, the College of bishops and the Roman Pontiff to make decisions is inalienable since it is rooted in the hierarchical structure of the Church established by Christ. However, it is not unconditional. An orientation that emerges in the consultative process as the outcome of proper discernment, especially if carried out by the participatory bodies of the local Church, cannot be ignored. The aim of synodal ecclesial discernment is not to make the bishops obey the voice of the people, subordinating the former to the latter, nor to offer the bishops an expedient to make decisions that have already been taken seem more acceptable, but rather to lead to a shared decision in obedience to the Holy Spirit. Any opposition between consultation and deliberation is therefore inadequate: in the Church, deliberation takes place with the help of all, never without the pastoral authority that takes decisions by virtue of its office. For this reason, the recurring formula in the Code of Canon Law, which speaks of a ‘consultative vote only’ (tantum consultivum), diminishes the value of consultation and should be corrected.
71. It is up to the local Churches to increasingly implement all the possibilities of giving life to authentically synodal decision-making processes that suit the context's specificities. This is a task of great importance and urgency since the successful implementation of the Synod largely depends on it. Without tangible changes, the vision of a synodal Church will not be credible. This will alienate those members of the People of God who have drawn strength and hope from the synodal journey. This applies most especially to the effective participation of women in drafting and decision-making and taking processes, as called for in many of the contributions received from the Episcopal Conferences.
72. Finally, it should not be forgotten that processes of consultation, communal discernment and synodal decision-making require those who take part in them to have effective access to all relevant information so that they can formulate their own reasoned opinion. The authority initiating the process is responsible for ensuring that this happens. Sound synodal decision-making processes require an appropriate level of transparency. Likewise, it is important to recognise the delicacy of the task and the special responsibility borne by those who express their opinion in a consultation.
Transparency, accountability, and evaluation
73. A synodal Church requires both a culture and practice of transparency and accountability, which are essential to fostering the mutual trust necessary for walking together and exercising co-responsibility for the sake of the common mission. In the Church, the exercise of accountability does not primarily respond to social and organisational needs. Rather, its foundation is found in the very nature of the Church as a mystery of communion.
74. In the New Testament, we find accountability practices in the early Church's life that are significantly related to protecting the communion of the Church. Chapter 11 of the Acts of the Apostles offers us an example of this. When Peter returns to Jerusalem after having baptised Cornelius, a pagan, the circumcised believers rebuked him, saying, “Why did you go to uncircumcised men and eat with them?” (Acts 11:2-3). Peter responds by expressing the reasons behind his actions. Thus, accountability of one's ministry before the community belongs to the oldest of the Church’s traditions, dating back to the time of the apostles. The Christian theology of stewardship offers a framework within which to understand the exercise of authority and situate reflection on transparency and accountability.
75. In our time, the demand for transparency and accountability in and by the Church has come about as a result of the loss of credibility due to financial scandals and, even more so, sexual abuse and other abuses of minors and vulnerable persons. The lack of transparency and accountability fuels clericalism, which is based on the implicit assumption that ordained ministers are accountable to no one for the exercise of the authority vested in them.
76. If the synodal Church wants to be welcoming, then accountability and transparency must be at the core of its action at all levels, not only at the level of authority. However, those in positions of authority have a greater responsibility in this regard. Transparency and accountability are not limited to sexual and financial abuse. They must also be concerned with pastoral plans, methods of evangelisation, and how the Church respects the dignity of the human person, for example, regarding the working conditions within its institutions.
77. While the practice of accountability to superiors has been preserved over the centuries, the dimension of accountability of authority to the community must be recovered. Transparency must be a feature of the exercise of authority in the Church. Today, structures and forms of regular evaluation of how ministerial responsibilities of all kinds are exercised emerge as necessary. Evaluation, understood in a non-moralistic sense, enables ministers to adjust quickly and fosters their growth and ability to perform their service better.
78. In addition to observing what is already provided for in the canonical norms regarding control criteria and mechanisms, it is up to the local Churches and, above all, their groupings (i.e. ecclesiastical provinces, Episcopal Conferences, and Eastern hierarchical structures) to construct effective forms and procedures of transparency and accountability, appropriate to the variety of contexts, based on the civil regulatory framework, the expectations of society, and the actual availability of expertise in the field. However, even where resources are scarce, the Church will work for an evolution of its work, ethos, and mentality in the direction of transparency and a culture of accountability.
79. In particular, in forms appropriate to each context, it seems necessary to guarantee at least a) an effective functioning of the Councils for Economic Affairs; b) the effective involvement of the People of God, especially the most competent members, in pastoral and economic planning; c) the preparation and publication (with real accessibility) of an annual financial statement, as much as possible certified by external auditors, which makes transparent the management of the goods and financial resources of the Church and its institutions; d) an annual statement on the performance of the mission, including an illustration of the initiatives undertaken in the area of safeguarding (protection of minors and vulnerable persons) and promoting women's access to positions of authority and their participation in decision-making and taking processes; and e) periodic evaluation procedures on the performance of those exercising any form of ministry and holding any position within the Church. These are points of great importance and urgency for the credibility of the synodal process and its implementation.
Part III – Places
The missionary synodal life of the Church, the vital relationships of which it is composed, and the pathways that enable its development should not overlook the concreteness and specificity of “place”, that is, the Church placed within a given context and culture. Part III invites us to overcome a static vision of places that orders them by successive levels or degrees according to a pyramidal model (i.e. Parish, deanery, Diocese or Eparchy, ecclesiastical province, Episcopal Conference or Eastern hierarchical structure, and universal Church). This has never been our vision. The network of relationships and the exchange of gifts between the Churches have always been interwoven as a web of relations rather than conceived as linear in form. They are gathered in the bond of unity of which the Roman Pontiff is the perpetual and visible principle and foundation. In this sense, the catholicity of the Church has never coincided with an abstract universalism. Moreover, in the context of a rapidly changing conception of space, constricting the Church's action within purely spatial boundaries would imprison it in a fatal immobilism and produce a worrying pastoral redundancy, rendering it incapable of reaching the most dynamic parts of the population, especially the young. Instead, places must be understood from a perspective of mutual interdependency, which becomes concrete in the relationships between Churches and the groupings they form, endowed with a unity of meaning. The service of unity, which is incumbent upon the Bishop of Rome and the College of bishops in communion with him, must take this perspective into account and find the appropriate institutional forms necessary for its exercise.
Areas of shared journeying
80. "To the Church of God that is in Corinth..." (1 Cor 1:2). The proclamation of the Gospel, by awakening faith in the hearts of men and women, causes a Church to be established in a place. The Church cannot be understood without being rooted in a place and a culture and without the relationships established between places and cultures. Emphasising the importance of place does not mean giving in to particularism or relativism but enhancing the concreteness in which, in space and time, a shared experience of adherence to the manifestation of the Triune God who saves takes shape. The dimension of place preserves the generative plurality of the forms of this experience and their rootedness in specific cultural and historical contexts. The variety of liturgical, theological, spiritual, and disciplinary traditions demonstrate how much this plurality enriches the Church and makes it beautiful. The communion of the Churches, each with its local concreteness, manifests the communion of the faithful in the one and unique Church, avoiding its evaporation into an abstract and homogenising universalism.
81. The pluralism of cultures and the fruitfulness of the encounter and dialogue between them are a condition of the Church's life, an expression of and not a threat to its catholicity. The salvific message remains one and the same: “There is one body and one Spirit, just as you were called to the one hope of your calling, one Lord, one faith, one baptism, one God and Father of all, who is above all and through all and in all” (Eph. 4:4-6). This message is pluriform and expressed in diverse peoples, cultures, traditions, and languages. Taking this plurality of forms seriously avoids hegemonic tendencies and mitigates the risk of reducing the message of salvation to a single understanding of ecclesial life and its liturgical, pastoral, or moral expression. The web of relations within a synodal Church, made visible in the exchange of gifts between the Churches and guaranteed by the unity of the College of bishops headed by the bishop of Rome, is a dynamic guardian of a unity that can never become uniformity.
82. Today, this vision of a Church rooted in concrete contexts encounters the socio-cultural conditions of our times, which have profoundly altered our experience of being rooted in a given territory. A place can no longer be understood in purely geographical and spatial terms; rather, it points to our belonging to a web of relations and a culture that is more dynamic and mobile than in the past. This reality challenges the Church’s organisational forms, which are structured based on a different concept of place. This also requires adopting differentiated criteria appropriate to different contexts, which do not contradict each other, in order to incarnate the one truth in people's lives.
83. Urbanisation is one factor in this shift. Today, for the first time in human history, most of humanity lives in urban rather than rural areas. The sense of belonging to a place takes different forms in an urban context, where the boundaries that structure a locality are forged in a different way. In large megacities, it takes only a few underground or subway stops to cross the boundaries not only of the Parish but of the Diocese: a journey many people make several times a day. Many lives routinely take place moving between different church localities.
84. A second factor is increased human mobility within a globalised world. Refugees and migrants often form vibrant communities, enlarging the practice of faith and thus making the place where they settle more diverse. At the same time, they maintain connections and relationships with their country of origin, often thanks to digital media. They frequently experience simultaneous belonging to multiple local, cultural, and linguistic groups. Communities of origin experience, on the one hand, a reduction in their membership, sometimes to the point of struggling for survival. On the other hand, their relational and cultural fabric is expanded globally. As the First Session noted, emblematic in this respect is the situation of some Eastern Catholic Churches: with current migration rates, their diaspora members could become more numerous than those living in their canonical territories (cf. SR 6c). In any case, defining place in purely geographical terms will become increasingly anachronistic. Study Group 1 is called to reflect upon the challenges this poses for relations between the Eastern Catholic Churches and the Latin Church.
85. Finally, we cannot overlook the spread of digital culture, especially among young people. It radically impacts the experience and conception of space and time and reshapes all kinds of human activities, including communication, relationships, and faith. It is no coincidence that the First Session states that "digital culture, then, is not so much a distinct area of mission as a crucial dimension of the Church's witness in contemporary society" (SR 17b). Study Group 3 is dedicated to studying this challenge.
86. These dynamics of society and culture invite the Church to think anew about the meaning of its own local dimension for the sake of mission. Without forgetting that life always takes place in physical contexts and concrete cultures, it is necessary to move away from a purely spatial interpretation of place: places, even and especially those of the Church, are not just spaces but environments and networks in which relationships can develop, offering people rootedness and a basis for mission, which they will carry out wherever their lives unfold. The synodal conversion of minds and hearts must be accompanied by a synodal reform of ecclesial realities, called to be roads on which to journey together. However, this does not mean consigning pastoral action to elective affiliations. The aim is to encounter every man and woman.
87. This reform must be conducted based on an understanding of the Church as the holy People of God, articulated in the communion of Churches (communio Ecclesiarum). Experience has shown us that launching the synodal process in the local Churches does not compromise the unity of the whole Church but rather expresses the variety and universality of the People of God (cf. LG 22). Nor does it jeopardise but instead enhances the exercise of the Bishop of Rome's ministry of unity. We do not start thinking about the Church from its institutions. Indeed, these must be rethought in the logic of missionary service, including those at the highest level.
88. Given the ministry of the Bishop of Rome as the visible principle of unity of the whole Church and of each Bishop as visible principle of unity in his local Church, the Council was able to say that the Church, the mystical Body of Christ, is also a body of Churches, in and from which exists the one unique Catholic Church (cf. LG 23). This body comprises: (a) the individual Churches as portions of the People of God, each entrusted to a bishop; (b) the groupings of Churches, where the instances of communion are represented above all by the hierarchical bodies; and (c) the whole Church (Ecclesia tota), where the Church as a communion of Churches is expressed by the College of bishops gathered around the Bishop of Rome in the bond of episcopal (cum Petro) and hierarchical (sub Petro) communion. The reform of ecclesial institutions cannot but follow this ordered articulation of the Church.
Local Churches in the one and unique Catholic Church
89. By its very nature, the local Church is where we most immediately experience the missionary synodal life of the whole Church. The contributions submitted by the Episcopal Conferences speak of Parishes, base and small Christian communities as contexts of communion and participation in mission. As the parish priests gathered in Sacrofano stated: “The members of parishes are and become missionary disciples of Jesus gathered in his name for prayer and worship, service and witness in times of joy and sorrow, hope and struggle.” God is at work in these ecclesial realities. At the same time, we are aware that we must do more to harness the great flexibility of the Parish, which is understood as a community of communities in the service of missionary creativity.
90. Today, the local Churches are also made up of associations and communities that are old and new expressions of Christian life. In particular, Institutes of consecrated life and Societies of apostolic life contribute much to the life of the local Churches and the vitality of missionary action. The same applies to lay associations, ecclesial movements and new communities. Today, belonging to the Church is expressed in an increasing number of forms not formally attached to a geographically defined base but related to bonds of association. This variety of forms must be promoted in the light of the missionary orientation and the ecclesial discernment of what the Lord asks in each context. Animating this manifold variety and caring for the bonds of unity are the specific competencies of the diocesan or eparchial bishop. Study Group 6 has been entrusted with reflecting upon these aspects.
91. As in the previous phases of the synodal process, so too in the consultation that preceded the drafting of this Instrumentum Laboris: many of the contributions received consider the different types of Councils Parish, deanery, Diocesan, or Eparchial as essential instruments for the planning, organisation, execution, and evaluation of pastoral activities, and point to the need to enhance them. These structures are envisaged by existing canon law already in force. With the appropriate adaptations, they could prove to be even more suitable for giving a synodal approach a concrete form. These Councils can become subjects of ecclesial discernment and synodal decision-making and places for the practice of accountability and the evaluation of those in positions of authority, without forgetting that they, in turn, will have to account for how they perform their duties. Therefore, this is one of the most promising areas on which to act for a swift implementation of the synodal proposals and orientations, leading to changes with an effective and rapid impact.
92. Many contributions point to the need to reshape the profile of these bodies and their modus operandi in order to move in this direction. Significantly, this will require attention to how members are appointed, aiming to ensure that their composition reflects that of the community they serve (Parish or Diocese/Eparchy) in order to promote a culture of transparency and accountability credibly. It is, therefore, necessary that the majority of members are not chosen by the authority (parish priest or bishop) but designated in another way, effectively expressing the reality of the community or local Church.
93. In a similar vein, attention must be paid to the composition of these bodies to encourage greater involvement of women, young people, and those living in conditions of poverty or marginalisation in the composition of these bodies. Moreover, as the First Session emphasised, it is fundamental that these bodies include men and women committed to witnessing to the faith in the ordinary realities of life and in their social contexts, with a recognised apostolic and missionary disposition (cf. SR 18d), and not only those involved in organising the life and services of the community. In this way, the ecclesial discernment carried out by these bodies will benefit from greater openness and ability to analyse reality and a diversity of perspectives. Finally, many contributions point to the desire to make mandatory those Councils whose establishment is discretionary under current law.
94. Some Episcopal Conferences have shared experiences of reform and have identified good practices already in place. These include creating networks of pastoral Councils at the level of small and base Christian communities, Parishes and deaneries, right up to the Diocesan pastoral Council. As a model of consultation and listening, it is proposed that Church assemblies be held at all levels, trying to widen consultation to include the contribution of other Churches and ecclesial Communities, of other religions present in the local context and of society, with which the Christian community journeys.
The bonds that shape the unity of the Church
95. The communal horizon of the exchange of gifts, outlined in Part I, inspires the relationship between the Churches. It combines an emphasis on the bonds that shape the unity of the Church with an appreciation of the particularities linked to the context in which each local Church lives, with its history and tradition. Adopting a synodal style enables us to overcome the idea that all Churches must necessarily move at the same pace on every issue. On the contrary, differences in pace can be valued as an expression of legitimate diversity and an opportunity for the exchange of gifts and for mutual enrichment. In order to be realised, this horizon needs to be embodied in concrete structures and practices. Answering the question "How to be a synodal Church in mission?" requires identifying and promoting such structures and practices.
96. Eastern hierarchical structures and Episcopal Conferences are fundamental instruments for creating links and sharing experiences between the Churches and for decentralising governance and pastoral planning. "The Second Vatican Council stated that, like the ancient patriarchal Churches, episcopal conferences are in a position ‘to contribute in many and fruitful ways to the concrete realization of the collegial spirit’ (LG 23). Yet this desire has not been fully realized, since a juridical status of Episcopal Conferences which would see them as subjects of specific attributions, including genuine doctrinal authority, has not yet been sufficiently elaborated" (EG 32). Seeking how to be a synodal Church in mission requires addressing this question.
97. From all that has been gathered so far, during this synodal process, the following proposals emerge: (a) recognition of Episcopal Conferences as ecclesial subjects endowed with doctrinal authority, assuming socio-cultural diversity within the framework of a multifaceted Church, and favouring the appreciation of liturgical, disciplinary, theological, and spiritual expressions appropriate to different socio-cultural contexts; (b) evaluating the real experience of the functioning of the Episcopal Conferences and the Eastern hierarchical structures, and of the relations between Episcopates and the Holy See, to identify the concrete reforms to be implemented; the ad limina visits, which fall under Study Group 7, could be a fitting context for this evaluation; and (c) ensuring that all Dioceses or Eparchies are assigned to an ecclesiastical Province and an Episcopal Conference or Eastern hierarchical Structure (cf. CD 40).
98. Convening Continental Assemblies across all regions was an innovation of the current synodal process and a way of more coherently implementing the conciliar instruction to honour the particularity “of every great socio-cultural area” in search of “a more profound adaptation in the entire area of Christian life” (AG 22). This experience, as well as the journey of the Churches in some regions, raises the question of how we might give synodal and collegial dynamism more appropriate institutional expression, for example, through ecclesial assemblies and Episcopal Conferences. These bodies can be entrusted with the coordinated tasks of continental or regional consultation and decision-making. Discernment methods can also be developed to include diverse ecclesial actors in drafting documents and conducting decision-making and taking processes. Furthermore, it is proposed that discernment should also include spaces for listening and dialogue with civil institutions, representatives of other religions, non-Catholic organisations and society at large, in forms adapted to the diversity of contexts.
99. The desire that local synodal dialogue should continue and not come to an end and the need for effective inculturation of the faith in specific regions drives us towards a new appreciation of the institution of particular Councils, be they provincial or plenary, whose periodic celebration has been an obligation for a large part of the Church’s history. Based on the experience of walking the synodal path, one can think of forms that bring together an assembly of bishops and an ecclesial assembly composed of members of the faithful (priests, deacons, consecrated men and women, laymen and laywomen), delegated by the pastoral Councils of the Dioceses or Eparchies involved, or designated in some other way to reflect the variety of the Church in the region. To aid this, the procedure of recognitio of the conclusions of particular Councils should be reformed to favour their timely publication.
The service to unity of the Bishop of Rome
100. Answering the question "How to be a synodal Church in mission?" also requires revisiting the dynamic that unites synodality, collegiality, and primacy, so that it can innervate the relationships between the institutions through which it finds concrete expression.
101. The current Synodal Process has shown the truth of the conciliar affirmation that "within the ecclesiastical communion, there are lawfully particular churches which enjoy their own proper traditions, while the primacy of the see of Peter remains intact, which presides over the universal communion of charity and safeguards legitimate differences while taking care that what is particular not only does no harm to unity but rather is conducive to it" (cf. LG 13). By virtue of this function, the Bishop of Rome, as visible principle of the unity of the whole Church (cf. LG 23), is the guarantor of synodality. He calls the whole Church to synodal action by convoking, presiding over and confirming the results of the Synods of Bishops; it should be his care to ensure that the Church grows in a synodal style and form.
102. Reflection on the forms of exercise of the Petrine ministry should also be conducted from the perspective of "sound decentralisation" (EG 16), as urged by Pope Francis and requested by many Episcopal Conferences. According to the formulation provided by the Apostolic Constitution Praedicate Evangelium (19 March 2022), this entails leaving “to the competence of Bishops the authority to resolve, in the exercise of "their proper task as teachers” and pastors, those issues with which they are familiar and that do not affect the Church’s unity of doctrine, discipline and communion, always acting with that spirit of co-responsibility which is the fruit and expression of the specific mysterium communionis that is the Church. " (PE II, 2).
103. To proceed, we could follow the line of the recent Motu Proprio Competentias quasdam decernere (15 February 2022), which assigns "certain areas of competence with regard to the provisions of the Codes intended to safeguard unity of discipline in the universal Church, and executive power in the local Churches and ecclesial institutions on the basis of “the ecclesial dynamic of communion" (Prologue).
104. Moreover, the drafting of canonical norms can also be a place to exercise a synodal style. The generation of rules does not imply merely the exercise of a power endowed by authority but should be considered true ecclesial discernment. Even if it alone enjoys all the prerogatives to legislate, in doing so, the authority could and should act with a synodal method to promulgate a norm that is the fruit of listening in the Spirit to a need for justice.
105. The already mentioned Apostolic Constitution Praedicate Evangelium has shaped the Roman Curia's service to the Bishop of Rome and the College of Bishops in a synodal and missionary way. To support transparency and accountability, periodic evaluation of its work should be undertaken and entrusted to an independent body (such as the Council of Cardinals and/or a council of bishops elected by the Synod). Study Group 8 is dedicated to examining the role of the Pontifical Representatives from a synodal missionary perspective and exploring ways of evaluating their work.
106. The synodal Assembly of October 2023 indicated the need to proceed to an evaluation of the fruits of the First Session (cf. SR 20j). This evaluation cannot ignore the development enacted by the Apostolic Constitution Episcopalis Communio, which transforms the Synod from an occasional event to an ecclesial process that extends in space and time. Among the places to practise synodality and collegiality at the level of the whole Church, the Synod of Bishops certainly stands out. Instituted by Paul VI as an Assembly of Bishops convoked to participate, in a conciliar manner, in the care of the Roman Pontiff for the whole Church, it is now, in the form of the process by stages, the sphere where the dynamic relationship between synodality, collegiality, and primacy is realised and can be fostered. The entire holy People of God, the bishops who have been entrusted with its individual portions, and the Bishop of Rome as the principle of unity of the Church participate fully in the Synodal Process, each according to their own function. This participation is made manifest by the synodal Assembly gathered around the Bishop of Rome, which, in its composition, shows forth the variety and universality of the Church as "the sacrament of unity, the holy people drawn into an ordered whole under the bishops" (SC 26).
107. Among the most significant fruits of the 2021-2024 Synod is the intensity of the ecumenical impulse and the promise that marks it. It may also be useful to address the question of the exercise of the Petrine ministry in this light, opening it up "to a new situation" (UUS 95). The recent document The Bishop of Rome: Primacy and Synodality in Ecumenical Dialogues and Responses to the Encyclical Ut Unum Sint, issued by the Dicastery for the Promotion of Christian Unity, offers insights for further study. This theme is part of the work of Study Group 10, which is dedicated to the reception of the fruits of the ecumenical journey in ecclesial practices.
108. The richness offered by the participation of fraternal delegates from other Churches and Ecclesial Communities in the First Session invites us to deepen our understanding and appreciation of how synodality is practised by our ecumenical partners, both in the East and the West. Ecumenical dialogue is fundamental to fostering an understanding of synodality and the unity of the Church. Above all, it drives us to imagine authentically ecumenical synodal practices, including forms of consultation and discernment on shared and urgent concerns. At the root of this possibility is the fact that we are united in the one Baptism, from which flow the identity of the People of God and the dynamism of communion, participation, and mission.
Conclusion – The Synodal Church in the World
109. Everything in this world is connected and is marked by a restless longing for the other. Everything is a call to a relationship and a witness to the fact that, ultimately, no-one and no thing is self-sufficient. The whole world, when contemplated in the light of Christian Revelation, is a sacramental sign of a presence that both transcends and animates it, leading to encounter with God, which will ultimately be fulfilled in the convivial sociality of differences, fully realized at the eschatological banquet prepared by God on his holy mountain.
110. Transformed by the proclamation of the Resurrection, the Church seeks to become a place where Isaiah's vision is breathed and lived so as to be "refuge to the poor, a refuge to the needy in their distress, a shelter from the rainstorm and a shade from the heat" (Is. 25:4). In this way, the Church opens its heart to the Kingdom. When the members of the Church allow themselves to be led by the Spirit of the Lord to horizons that they had not previously glimpsed, they experience immeasurable joy. In its beauty, humility, and simplicity, this is the ongoing conversion of the way of being the Church that the synodal process invites us to undertake.
111. The Encyclical Fratelli Tutti presents us with the call to recognise ourselves as sisters and brothers in the Risen Christ, proposing this less as a status and more as a way of life. The Encyclical emphasises the contrast between the time in which we live and the vision of conviviality prepared by God. The veil of mourning, the shroud and tears named by Isaiah are present, too, in our own times. They are often the result of our increasing isolation from one another, the growing violence and polarisation of our world, and our uprootedness from the sources of life. The questions that the Instrumentum Laboris asks are: how to be a synodal Church in mission; how to engage in deep listening and dialogue; how to be co-responsible in the light of the dynamism of our personal and communal baptismal vocation; how to transform structures and processes so that all may participate and share the charisms that the Spirit pours out on each for the common good; how to exercise power and authority as service. Each of these questions is a service to the Church and, through its action, to the possibility of healing the deepest wounds of our time.
112. The prophet Isaiah ends his oracle with a hymn of praise to be taken up in chorus: “this is our God; we have waited for him, so that he might save us. This is the Lord for whom we have waited; let us be glad and rejoice in his salvation” (Is. 25:9). As the People of God let us join in this praise, as pilgrims of hope let us continue to advance along the synodal path towards those who still await the proclamation of the Good News of salvation!
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[1] Unless otherwise indicated, or where it is clear from the context that this is not the case, in the text of the Instrumentum laboris the term "Church" indicates "the one and unique Catholic Church" (LG 23), while the plural "Churches" indicates the local Churches in which and from which it exists.
[2] Here, as below, the quotations from the Episcopal Conferences and their continental groupings come from the summaries sent to the General Secretariat of the Synod after the consultation of the local Churches that took place between the end of 2023 and mid-2024.
[3] Circulated by the General Secretariat of the Synod on 11 December 2023 and available at www.synod.va .
[4] In this regard, please refer to the document How to be Synodal Church in Mission? Five Perspectives to Deepen Theologically in view of the Second Session of the XVI Ordinary General Assembly of the Synod of Bishops, released by the General Secretariat of the Synod on 14 March 2024 and available at www.synod.va .
[5] In this regard, please refer to the document Study Groups on issues that emerged in the First Session of the XVI Ordinary General Assembly of the Synod of Bishops to be studied in depth in collaboration with the Dicasteries of the Roman Curia. Outline of Work, also circulated on 14 March 2024 and available at www.synod.va .
[6] The themes emerging in the Summary Report of the First Session and assigned to the ten Study Groups are:
1. Some aspects of relations between the Eastern Catholic Churches and the Latin Church (SR 6).
2. Listening to the cry of the poor (SR 4 and 16).
3. Mission in the digital environment (SR 17).
4. The revision of the Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis in a missionary synodal perspective (SR 11).
5. Some theological and canonical matters regarding specific ministerial forms (SR 8 and 9).
6. The revision, in a synodal and missionary perspective, of the documents governing the relations between Bishops, Religious and Groupings of Churches (SR 10).
7. Some aspects of the figure and ministry of the Bishop (criteria for selecting candidates to the episcopate, judicial function of the Bishop, nature and conduct of ad limina Apostolorum visits) from a missionary synodal perspective (SR 12 and 13).
8. The Role of the Pontifical Representatives in a missionary synodal perspective (SR 13).
9. Theological criteria and synodal methodologies for a shared discernment of controversial doctrinal, pastoral and ethical issues (SR 15).
10. The reception of the fruits of the ecumenical journey in ecclesial practices (SR 7).
[7] The term 'synod' in the traditions of the Eastern and Western Churches refers to institutions and events that have taken different forms over time, involving a plurality of subjects. In their variety, what all these forms have in common is the fact of gathering together to dialogue, discern and decide.
[01156-EN.01] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua spagnola
XVI ASAMBLEA GENERAL ORDINARIA DEL
SÍNODO DE LOS OBISPOS
Cómo ser una Iglesia sinodal misionera
Instrumentum laboris
para la segunda sesión (octubre de 2024)
Índice
Introducción
Tres años de camino
Una herramienta de trabajo para la segunda sesión
Fundamentos
La Iglesia Pueblo de Dios, Sacramento de Unidad
El significado compartido de sinodalidad
La unidad como armonía en las diferencias
Hermanas y hermanos en Cristo: una reciprocidad renovada
Llamada a la conversión y a la reforma
Parte I - Relaciones
En Cristo y en el Espíritu: la iniciación cristiana
Para el Pueblo de Dios: carismas y ministerios
Con los ministros ordenados: al servicio de la armonía
Entre las Iglesias y en el mundo: la concreción de la comunión
Parte II - Itinerarios
Una formación integral y compartida
Discernimiento eclesial para la misión
La articulación de los procesos de toma de decisiones
Transparencia, rendición de cuentas, evaluación
Parte III - Lugares
Territorios que recorrer juntos
Iglesias locales en la Iglesia católica, una y única
Los vínculos que conforman la unidad de la Iglesia
El servicio a la unidad del Obispo de Roma
Conclusión - La Iglesia sinodal en el mundo
SIGLAS
AG CONCILIO VATICANO II, Decreto Ad Gentes (7 de diciembre de 1965)
CD CONCILIO VATICANO II, Decreto Christus Dominus (28 de octubre de 1965)
CIC Codex iuris canonici (25 de enero de 1983)
CTI COMISIÓN TEOLÓGICA INTERNACIONAL, La sinodalidad en la vida y en la misión de la Iglesia (2 de marzo de 2018)
DEC SECRETARÍA GENERAL DEL SINODO, Documento para la Etapa Continental (27 de octubre de 2022)
DV CONCILIO VATICANO II, Const. dogmática Dei Verbum (18 de noviembre de 1965)
EG FRANCISCO, Exh. Evangelii gaudium (24 de noviembre de 2013)
GS CONCILIO VATICANO II, Const. past. Gaudium et Spes (7 de diciembre de 1965)
LG CONCILIO VATICANO II, Const. dogm. Lumen Gentium (21 de noviembre de 1964)
LS FRANCISCO, Carta encíclica Laudato si' (24 de mayo de 2015)
EP FRANCISCO, Constitución Apostólica Praedicate Evangelium (19 de marzo de 2022)
RdS XVI ASAMBLEA GENERAL ORDINARIA DEL SINODO DE OBISPOS, Informe de Síntesis (28 de octubre de 2023)
SC CONCILIO VATICANO II, Constitución Sacrosanctum Concilium (4 de diciembre de 1963)
UR CONCILIO VATICANO II, Decreto Unitatis Redintegratio (21 de noviembre de 1964)
UUS SAN JUAN PABLO II, Carta Encíclica Ut unum sint (25 de mayo de 1995)
Introducción
Preparará el Señor del universo para todos los pueblos, en este monte,
un festín de manjares suculentos, un festín de vinos de solera;
manjares exquisitos, vinos refinados.
Y arrancará en este monte el velo que cubre a todos los pueblos,
el lienzo extendido sobre todas las naciones. Aniquilará la muerte para siempre.
Dios, el Señor, enjugará las lágrimas de todos los rostros,
y alejará del país el oprobio de su pueblo
—lo ha dicho el Señor—.
Is 25:6-8
El profeta Isaías presenta la imagen de un banquete superabundante y exquisito preparado por el Señor en la cima del monte, símbolo de convivencia y comunión, destinado a todos los pueblos. En el momento de volver al Padre, el Señor Jesús confía a sus discípulos la tarea de llegar a todos los pueblos, para servirles un banquete compuesto por un alimento que da plenitud de vida y de alegría. A través de su Iglesia, guiada por su Espíritu, el Señor quiere reavivar la esperanza en el corazón de la humanidad, devolver la alegría y salvar a todos, especialmente a aquellos cuyos rostros están surcados por las lágrimas y que claman a Él en la angustia. Sus gritos llegan a oídos de todos los discípulos de Cristo, hombres y mujeres que caminan por las profundidades de las vicisitudes humanas. Sus gritos son aún más fuertes en este tiempo en que el camino del Sínodo se ha visto acompañado por el estallido de nuevas guerras y conflictos armados, que se suman a los ya de por sí numerosos conflictos que siguen tiñendo de sangre el mundo.
En el corazón del Sínodo 2021-2024. Para una Iglesia sinodal. Comunión, participación, misión hay una llamada a la alegría y a la renovación del Pueblo de Dios en el seguimiento del Señor y en el compromiso al servicio de su misión[1]. La llamada a ser discípulos misioneros se funda en la identidad bautismal común, se arraiga en la diversidad de contextos en los que la Iglesia está presente y encuentra unidad en el único Padre, en el único Señor y en el único Espíritu. Interpela a todos los bautizados, sin excepción: «Todo el Pueblo de Dios es el sujeto del anuncio del Evangelio. En él, todo bautizado es convocado para ser protagonista de la misión porque todos somos discípulos misioneros» (CTI, n. 53). Esta renovación encuentra su expresión en una Iglesia que, reunida por el Espíritu mediante la Palabra y el Sacramento (cf. CD 11), anuncia la salvación que experimenta continuamente, a un mundo hambriento de sentido y sediento de comunión y solidaridad. Es para este mundo para el que el Señor prepara un banquete en su monte.
Practicar la sinodalidad es la forma mediante la cual renovamos hoy nuestro compromiso con esta misión y es una expresión de la naturaleza de la Iglesia. Crecer como discípulos misioneros significa, ante todo, responder a la llamada de Jesús a seguirle, correspondiendo al don que recibimos cuando fuimos bautizados en el nombre del Padre, del Hijo y del Espíritu Santo. Significa también aprender a acompañarnos mutuamente, como Pueblo de peregrinos en camino a través de la historia hacia un destino común, la Ciudad celestial. Al recorrer este camino, al partir el pan de la Palabra y de la Eucaristía, nos transformamos en lo que recibimos. Comprendemos así que nuestra identidad de Pueblo salvado y santificado posee una dimensión comunitaria ineludible que abarca a todas las generaciones de creyentes que nos han precedido y nos seguirán: la salvación que hay que recibir y testimoniar es relacional, ya que nadie se salva solo. O más bien, empleando las palabras aportadas por una Conferencia Episcopal asiática, vamos tomando conciencia poco a poco de que: «La sinodalidad no es simplemente un objetivo, sino un camino de todos los fieles, que debemos recorrer juntos de la mano[2]. Por eso, comprender su pleno significado requiere tiempo». San Agustín habla de la vida cristiana como una peregrinación solidaria, un caminar juntos «hacia Dios no corremos con pasos, sino con el afecto» (Sermón 306 B, 1), compartiendo una vida hecha de oración, de anuncio y de amor al prójimo.
El Concilio Vaticano II enseña que «todos los hombres están llamados a esta unión con Cristo, luz del mundo, de quien procedemos, por quien vivimos y hacia quien caminamos» (LG, n. 3). En el corazón del camino sinodal se encuentra el deseo, antiguo y siempre nuevo, de comunicar a todos la promesa y la invitación del Señor, custodiadas en la tradición viva de la Iglesia, a reconocer la presencia del Señor resucitado entre nosotros y a acoger los múltiples frutos de la acción de su Espíritu. La visión de la Iglesia, Pueblo de peregrinos que, en todos los lugares de la tierra, busca la conversión sinodal por amor a su misión, nos guía mientras avanzamos con alegría y esperanza por el camino del Sínodo. Esta visión contrasta crudamente con la realidad de un mundo en crisis, cuyas heridas y desigualdades escandalosas resuenan dolorosamente en el corazón de todos los discípulos de Cristo, impulsándonos a rezar por todas las víctimas de la violencia y de la injusticia y a renovar nuestro compromiso junto a las mujeres y los hombres que, en todas las partes del mundo, se esfuerzan por ser artesanos de la justicia y la paz.
Tres años de camino
Después de la apertura del proceso sinodal los días 9 y 10 de octubre de 2021, las Iglesias locales de todo el mundo, con ritmos diferentes y expresiones multiformes, emprendieron una primera fase de escucha. Pertenecer a la Iglesia significa formar parte del único Pueblo de Dios, constituido por personas y comunidades que viven en tiempos y lugares concretos: la escucha sinodal partió de estas comunidades, pasando después por etapas diocesanas, nacionales y continentales, en un diálogo constante, impulsado por la Secretaría General del Sínodo a través de documentos de síntesis y de trabajo. La circularidad del proceso sinodal es una forma de reconocer y valorizar el arraigo de la Iglesia en una variedad de contextos, al servicio de los vínculos que los unen.
La novedad de esta primera fase fue la experiencia de las Asambleas continentales, que reunieron a las Iglesias locales de una misma área geográfica, invitándolas a aprender a escucharse, a acompañarse en el camino y a discernir juntas los principales retos que plantea, a la realización de la misión, el contexto en el que se encuentran.
La Primera Sesión de la XVI Asamblea General Ordinaria del Sínodo de los Obispos (octubre de 2023) inauguró la segunda fase, acogiendo los frutos de esta escucha para discernir, en la oración y el diálogo, los pasos que el Espíritu nos pide dar. Esta fase continuará hasta la conclusión de la segunda sesión (octubre de 2024), que ofrecerá al Santo Padre el fruto de su trabajo, con vistas a una aplicación concreta más intensa por parte de todas las Iglesias locales
La preparación de la segunda sesión se basa necesariamente en los resultados de la Primera, recogidos en el IdS. Basándose en esto, en consonancia con la circularidad que caracteriza todo el proceso sinodal y de cara a un enfoque preciso para los trabajos de la segunda sesión, se puso en marcha una nueva consulta a las Iglesias locales de todo el mundo, partiendo de una pregunta orientadora: «¿Cómo ser una Iglesia sinodal en misión?». Tal y como explica el documento Hacia octubre de 2024[3], el objetivo de la consulta era «identificar los caminos a seguir y los instrumentos a adoptar en los diferentes contextos y circunstancias, para potenciar la originalidad de cada bautizado y de cada Iglesia en la misión única de anunciar al Señor Resucitado y su Evangelio al mundo de hoy. No se trata, por tanto, de limitarse a un plan de mejoras técnicas o de procedimientos que hagan más eficaces las estructuras de la Iglesia, sino de trabajar en las formas concretas del compromiso misionero al que estamos llamados, en el dinamismo entre unidad y diversidad propio de una Iglesia sinodal».
Las respuestas a la pregunta orientadora, enviadas por la mayoría de las Conferencias Episcopales y sus agrupaciones continentales, por las Iglesias Orientales Católicas, por las diócesis que no forman parte de una Conferencia Episcopal, por los dicasterios de la Curia Romana, por la Unión de Superiores Generales y la Unión Internacional de las Superioras Generales en representación de la vida consagrada, así como los testimonios de experiencias y buenas prácticas recibidos de todo el mundo y las observaciones de casi doscientas realidades internacionales, facultades universitarias, asociaciones de fieles, comunidades e individuos, constituyen la base para la redacción de este Instrumentum laboris de la segunda sesión, enraizándolo en la vida del Pueblo de Dios en todo el mundo.
Estas voces han expresado la gratitud por el camino recorrido, por los esfuerzos que a veces requiere, pero sobre todo al deseo de avanzar. Así se expresa una Conferencia Episcopal de América del Norte: «La gratitud por el camino sinodal es profunda [...]. Siguen existiendo tensiones, que requerirán seguir una línea de reflexión y diálogo, inspirándose en la idea de cultura del encuentro propuesta por el Papa Francisco. Pero estas tensiones no rompen la comunión de la caridad en la Iglesia». También nos recuerdan que aún queda mucho camino por recorrer.
Como en las fases anteriores, se reafirman los frutos de la adopción del método de la conversación en el Espíritu. Por ejemplo, una federación de Conferencias Episcopales señala: «Muchas síntesis procedentes de toda Asia expresan un entusiasmo increíble por la metodología sinodal, que emplea la conversación en el Espíritu como punto de partida del camino. Muchas diócesis y Conferencias Episcopales han introducido este método en sus estructuras, con gran éxito». Este entusiasmo ya se ha traducido en pasos concretos de experimentación de un modo de proceder más sinodal. En una conferencia episcopal europea «se decidió iniciar una fase de experimentación sinodal de cinco años. A nivel nacional, se trata de desarrollar, evaluar y perfeccionar formas de consulta sinodal, de diálogo, de discernimiento, así como procesos de toma de decisiones que articulen la fase de elaboración (decision-making) con la de toma de decisiones (decision-taking). Se tendrán en cuenta las experiencias de las diócesis, así como los desarrollos sinodales en otras partes del mundo y en la Iglesia universal. Nos encontramos al comienzo de un exigente, pero importante camino de aprendizaje». Existe una mayor conciencia sobre el valor de las Iglesias locales y de su camino, de la riqueza de la que son portadoras y de la necesidad de escuchar sus voces. Según la síntesis enviada por una Conferencia Episcopal africana, «ya no se pueden considerar y tratar a las Iglesias locales simplemente como destinatarias del anuncio del Evangelio, que tienen poco o nada que aportar».
A estas aportaciones se sumaron los frutos del Encuentro Internacional “Párrocos para el Sínodo” (Sacrofano, Roma, 28 de abril - 2 de mayo de 2024), que permitió escuchar a los presbíteros comprometidos en la pastoral parroquial. Las síntesis de los grupos de trabajo expresan en primer lugar «la alegría por la posibilidad de escucharse mutuamente: una experiencia enriquecedora, que ha alimentado un profundo sentimiento de comprensión y de respeto hacia las especificidades del contexto de origen de cada uno». Expresan «la necesidad de una nueva comprensión del papel del párroco en una Iglesia sinodal, respetando la variedad de tradiciones en la Iglesia» y la preocupación por no poder llegar a las periferias y a los que viven en los márgenes: «Si la Iglesia quiere ser sinodal, debe escuchar a estas personas»[4].
Del mismo modo, los cinco Grupos de Trabajo constituidos por la Secretaría General del Sínodo e integrados por expertos de diferente procedencia geográfica, género y condición eclesial, ofrecieron materiales para la redacción de este Instrumentum laboris. Ellos trabajaron con un método sinodal orientado a una profundización teológica y canónica de la noción de sinodalidad y de sus implicaciones para la vida de la Iglesia.
A un grupo de expertos, compuesto por obispos, presbíteros, consagrados y consagradas, laicos, hombres y mujeres, teólogos, canonistas y biblistas, procedentes de todos los continentes y de diferentes condiciones eclesiales, se le encomendó la tarea de leer todas las aportaciones y materiales recibidos, articulando las respuestas dadas a la pregunta fundamental, para la redacción de este Instrumentum laboris. Las reflexiones de este grupo, así como las de los cinco grupos de trabajo antes mencionados, confluirán también en el subsidio que acompañará a este Instrumentum laboris, explorando el fundamento teológico de algunos contenidos.
Junto al trabajo emprendido para la preparación de la segunda sesión, dio comienzo también el trabajo de los diez grupos de estudio[5], encargados de profundizar otros temas que surgieron del IdS[6], identificados por el Santo Padre al término de una consulta internacional. Estos grupos de estudio, integrados por pastores y expertos de todos los continentes, siguiendo un método de trabajo sinodal, están constituidos «de común acuerdo entre los Dicasterios competentes de la Curia Romana y la Secretaría General del Sínodo, a la que se confía la coordinación», según el Quirógrafo firmado por el Papa Francisco el 16 de febrero de 2024 y en el espíritu de la Constitución Apostólica Praedicate Evangelium (art. 33). Deberán completar su estudio antes de junio de 2025, siempre que sea posible, pero deberán presentar un informe de situación a la Asamblea en octubre de 2024. De este modo, sin esperar a la conclusión de la segunda sesión, el Papa Francisco ha incorporado ya algunas de las indicaciones de la Primera Sesión y ha iniciado los trabajos de la fase de implementación, en la forma prevista por la Constitución Apostólica Episcopalis Communio: «Junto al Dicasterio de la Curia Romana competente y, según el tema y las circunstancias, junto a los demás Dicasterios implicados de diversos modos, la Secretaría General del Sínodo promueve por su propia parte la implementación de las orientaciones sinodales aprobadas por el Romano Pontífice» (art. 20, c. 1). Además, de acuerdo con el Dicasterio para los Textos Legislativos, se ha instituido una Comisión de Derecho Canónico al servicio del Sínodo. Por último, aplicando la indicación dada por la Primera Sesión (cf. IdS 16q), el 25 de abril de 2024, el SECAM (Simposio de las Conferencias Episcopales de África y Madagascar) anunció la creación de una Comisión especial para discernir las implicaciones teológicas y pastorales de la poligamia para la Iglesia en África.
Una herramienta de trabajo para la segunda sesión
A través de un camino entretejido de silencio, oración, escucha de la Palabra de Dios, diálogo fraterno y encuentros gozosos, a veces no exentos de dificultades, como Pueblo de Dios hemos madurado una conciencia más profunda de nuestra relación como hermanos y hermanas en Cristo, con la responsabilidad común de ser una comunidad de salvados que proclama al mundo entero, con la palabra y la vida, la belleza del Reino de Dios. Esta identidad no es una idea abstracta, sino una experiencia vivida, entretejida con nombres y rostros. En la preparación de la segunda sesión, y durante sus trabajos, seguimos enfrentándonos a esta pregunta: ¿cómo puede tomar forma concreta la identidad del Pueblo de Dios sinodal en misión en las relaciones, los caminos y los lugares en los que se desarrolla la vida de la Iglesia?
El presente Instrumentum laboris debe servir a este propósito, por eso se aplica también lo que ya se afirmó a este respecto en la Primera Sesión: «no es un documento del Magisterio de la Iglesia, ni el informe de una encuesta sociológica; no ofrece la formulación de indicaciones operativas, de metas y objetivos, ni la elaboración completa de una visión teológica» (n. 10: cf. DEC n. 8). Para comprenderlo, es esencial situarlo en el conjunto del proceso sinodal, ya que está inmerso en la circularidad del diálogo entre las Iglesias, animado y apoyado por el trabajo de la Secretaría General del Sínodo. La Primera Sesión de la Asamblea (2023) recogió los frutos de la doble consulta, local y continental, centrada en la búsqueda de los «signos característicos de una Iglesia Sinodal y sobre las dinámicas de comunión, misión y participación que la caracterizan» (IdS, Introducción). A través de la oración, el diálogo y el discernimiento, ha recogido y plasmado en la IdS las convergencias, los temas a tratar y las propuestas que han surgido del trabajo común. Lo que se desprende es lo que podemos describir como una primera respuesta a la pregunta “Iglesia sinodal, ¿qué dices de ti misma?”. La segunda sesión no retoma dicha cuestión, sino que está llamada a ir más allá, centrándose en su pregunta orientadora: “¿Cómo ser una Iglesia sinodal en misión?”. Sobre otras cuestiones que surgieron durante el camino, el trabajo continúa con otras modalidades, tanto a nivel de las Iglesias locales como en los diez grupos de estudio. Las dos sesiones no pueden separarse, como tampoco pueden oponerse: están en continuidad y, sobre todo, forman parte de un proceso más amplio que, como quedó indicado en la Constitución Apostólica Episcopalis communio, no terminará a finales de octubre de 2024.
Concretamente, este Instrumentum laboris se abre con una sección dedicada a los Fundamentos de la comprensión de la sinodalidad, que vuelve a proponer la conciencia madurada a lo largo del camino y establecida por la Primera Sesión. Le siguen tres Partes estrechamente relacionadas, que iluminan la vida sinodal misionera de la Iglesia desde diferentes perspectivas: I) la perspectiva de las relaciones -con el Señor, entre los hermanos y hermanas y entre las Iglesias-, que sostienen la vitalidad de la Iglesia mucho más radicalmente que sus estructuras; (II) la perspectiva de los caminos que sostienen y alimentan en lo concreto el dinamismo de las relaciones; (III) la perspectiva de los lugares que, contra la tentación de un universalismo abstracto, hablan de la realidad de los contextos en los que se encarnan las relaciones, con su variedad, pluralidad e interconexión, y con su arraigo en el fundamento del que nace la profesión de fe. Cada una de estas secciones será objeto de oración, de intercambio y de discernimiento en uno de los módulos que marcarán los trabajos de la segunda sesión, en la que se invitará a cada uno a «ofrecer la propia aportación como un don para los otros y no como una certeza absoluta» (IdS, Introducción), en un camino que los miembros de la Asamblea están llamados a escribir juntos. Sobre esta base, se redactará un Documento Final, que abarcará todo el proceso realizado hasta ahora, ofreciendo al Santo Padre orientaciones sobre los pasos a seguir y las formas concretas de llevarlo a cabo.
Podemos esperar una profundización de la comprensión compartida de la sinodalidad, un enfoque más amplio sobre las prácticas de una Iglesia sinodal e incluso la propuesta de algunos cambios en el derecho canónico (otros más significativos pueden llegar tras haber asimilado y vivificado mejor la propuesta de fondo), pero ciertamente no la respuesta a todas las preguntas. También porque surgirán otras a lo largo del camino de conversión y de reforma, que la segunda sesión invitará a emprender a toda la Iglesia. Entre los beneficios del proceso desarrollado hasta ahora, cabe destacar sin duda el hecho de que hemos experimentado y aprendido un método con el que abordar las cuestiones juntos, en el diálogo y en el discernimiento. Aún estamos aprendiendo a ser una Iglesia sinodal misionera, pero es una tarea que ya hemos experimentado poder emprender con alegría.
Fundamentos
Esta sección del Instrumentum laboris pretende delinear los fundamentos de la visión de una Iglesia sinodal misionera, invitándonos a profundizar en nuestra comprensión del misterio de la Iglesia. Lo hace sin pretender ofrecer un tratado completo de eclesiología, sino poniéndose al servicio del camino de discernimiento de la asamblea sinodal de octubre de 2024. Responder a la pregunta «¿Cómo ser Iglesia sinodal en misión?» requiere un horizonte en el que situar las reflexiones y las propuestas pastorales y teológicas, orientando un camino que es fundamentalmente un camino de conversión y de reforma. A su vez, los pasos concretos que emprenda la Iglesia permitirán enfocar mejor el horizonte y profundizar en la comprensión de los fundamentos, en una circularidad que caracteriza toda la historia de la Iglesia.
En Cristo, luz de todas las gentes, somos un único Pueblo de Dios, llamado a ser signo e instrumento de la unión con Dios y de la unidad del género humano. Lo hacemos caminando juntos en la historia, viviendo la comunión que se alimenta de la vida trinitaria, promoviendo la participación de todos, con vistas a la misión común. Esta visión está muy arraigada en la tradición viva de la Iglesia. El proceso sinodal ha permitido madurar una conciencia renovada de la misma, que se expresa en las convergencias surgidas durante el camino emprendido en 2021. La primera sesión de la asamblea sinodal (octubre de 2023) las reconoció y las recogió en el IdS, que las relanzó a toda la Iglesia para el proceso de discernimiento que completará la segunda sesión.
La Iglesia Pueblo de Dios, sacramento de unidad
1. Del bautismo en el nombre del Padre, del Hijo y del Espíritu Santo surge la identidad mística, dinámica y comunitaria del Pueblo de Dios, orientada hacia la plenitud de la vida en la que nos precede el Señor Jesús y hacia la misión de invitar a todos los hombres y mujeres a acoger, con libertad, el don de la salvación (cf. Mt 28,18-19). En el bautismo, Jesús nos reviste de sí mismo, comparte con nosotros su identidad y su misión (cf. Ga 3,27).
2. «Fue voluntad de Dios el santificar y salvar a los hombres, no aisladamente, sin conexión alguna de unos con otros, sino constituyendo un pueblo, que le confesara en verdad y le sirviera santamente» (LG 9), participando en la comunión trinitaria. En su pueblo y a través de él, Dios realiza y manifiesta la salvación que nos da en Cristo. La sinodalidad está arraigada en esta visión dinámica del Pueblo de Dios con vocación universal a la santidad y a la misión, en peregrinación hacia el Padre, siguiendo las huellas de Jesucristo y animado por el Espíritu Santo. En los diferentes contextos en los que vive y camina, este Pueblo de Dios sinodal y misionero proclama y da testimonio de la Buena Nueva de la salvación; caminando junto a todos los pueblos de la tierra, con sus culturas y sus religiones, dialoga con ellos y los acompaña.
3. El proceso sinodal ha desarrollado una conciencia de lo que significa ser el Pueblo de Dios reunido como «Iglesia de toda raza, lengua, pueblo y nación» (IdS 5), que vive su camino hacia el Reino en contextos y culturas diferentes. El Pueblo de Dios es el sujeto comunitario que atraviesa las etapas de la historia de la salvación, en su camino hacia la plenitud. El Pueblo de Dios no es la suma de los bautizados, sino el “nosotros” de la Iglesia, sujeto comunitario e histórico de la sinodalidad y de la misión, para que todos puedan recibir la salvación preparada por Dios. Integrados en este Pueblo mediante la fe y el bautismo, nos acompañan la Virgen María, «signo de esperanza cierta y de consuelo [para el peregrinante Pueblo de Dios] hasta que llegue el día del Señor (cf. 2 P 3,10)» (LG 68), los apóstoles, los que han dado la vida por testimoniar su fe, los santos reconocidos y los santos “de la puerta de al lado”.
4. «Cristo es la luz de los pueblos» (LG 1) y esta luz resplandece en el rostro de la Iglesia, que es «en Cristo como un sacramento, o sea signo e instrumento de la unión íntima con Dios y de la unidad de todo el género humano» (LG 1). Como la luna, la Iglesia brilla con luz reflejada: no puede, por tanto, entender su propia misión en un sentido autorreferencial, sino que recibe la responsabilidad de ser el sacramento de los vínculos, de las relaciones y de la comunión con vistas a la unidad de todo el género humano, incluso en nuestra época tan dominada por la crisis de la participación, de sentirse parte de un destino común, y por una concepción a menudo demasiado individualista de la felicidad y, por tanto, de la salvación. En su misión, la Iglesia comunica al mundo el designio de Dios de unir en sí mismo, mediante la salvación, a toda la humanidad. Al hacerlo, no se proclama a sí misma, «sino a Jesucristo como Señor» (2 Cor 4,5). Si no fuera así, perdería su ser, en Cristo, «como sacramento» (cf. LG 1) y, por tanto, su propia identidad y razón de ser. En el camino hacia la plenitud, la Iglesia es el sacramento del Reino de Dios en el mundo.
El significado compartido de sinodalidad
5. Los términos sinodalidad y sinodal, derivados de la antigua y constante práctica eclesial de reunirse en sínodo [7], se han comprendido mejor y se han vivido más plenamente gracias a la experiencia de los últimos años. Se han asociado cada vez más al «deseo de una Iglesia más cercana a las personas, menos burocrática, más relacional» (IdS 1b), que sea hogar y familia de Dios. En el transcurso de su primera sesión, la Asamblea alcanzó una convergencia sobre el significado de “sinodalidad”, que está a la base de este Instrumentum laboris. Los diferentes itinerarios, propuestos actualmente y orientados a una mayor profundización, pretenden identificar con mayor claridad la perspectiva católica con respecto a esta dimensión constitutiva de la Iglesia, en un diálogo con las demás tradiciones cristianas que respete las diferencias y peculiaridades de cada una. En su sentido más amplio, «la sinodalidad puede entenderse como el caminar de los cristianos con Cristo y hacia el Reino, junto con toda la humanidad; orientada a la misión, la sinodalidad comporta reunirse en asamblea en los diversos niveles de la vida eclesial, la escucha recíproca, el diálogo, el discernimiento comunitario, la creación del consenso como expresión del hacerse presente el Cristo vivo en el Espíritu y el asumir una corresponsabilidad diferenciada» (IdS 1h).
6. Por tanto, sinodalidad designa «el estilo peculiar que caracteriza la vida y la misión de la Iglesia» (CTI, n. 70), un estilo que parte de la escucha como primera acción de la Iglesia. La fe, que nace de la escucha de la proclamación de la Buena Nueva (cf. Rom 10,17), vive de la escucha: escucha de la Palabra de Dios, escucha del Espíritu Santo, escucha los unos de los otros, escucha de la tradición viva de la Iglesia y de su Magisterio. En las fases del proceso sinodal, la Iglesia experimentó una vez más lo que enseñan las Escrituras: sólo es posible proclamar lo que se ha escuchado.
7. La sinodalidad «debe expresarse en el modo ordinario de vivir y obrar de la Iglesia [...y] se realiza mediante la escucha comunitaria de la Palabra y la celebración de la Eucaristía, la fraternidad de la comunión y la corresponsabilidad y participación de todo el Pueblo de Dios, en sus diferentes niveles y en la distinción de los diversos ministerios y roles, en su vida y en su misión» (ibíd.). El término indica también las estructuras y los procesos eclesiales en los que se expresa la naturaleza sinodal de la Iglesia a nivel institucional y, por último, designa aquellos acontecimientos particulares en los que la Iglesia es convocada por la autoridad competente (cf. ibíd.). Al referirse a la realidad de la Iglesia, la categoría de sinodalidad no se presenta como alternativa a la de comunión. De hecho, en el contexto de la eclesiología del Pueblo de Dios ilustrada por el Concilio Vaticano II, el concepto de comunión expresa la sustancia profunda del misterio y de la misión de la Iglesia, que halla en la celebración de la Eucaristía su fuente y su culminación, es decir, la unión con Dios Trinidad y la unidad entre las personas humanas que se realiza en Cristo mediante el Espíritu Santo. La sinodalidad, en el mismo contexto, «indica la específica forma de vivir y obrar de la Iglesia Pueblo de Dios que manifiesta y realiza en concreto su ser comunión en el caminar juntos, en el reunirse en asamblea y en el participar activamente de todos sus miembros en su misión evangelizadora» (CTI, n. 6).
8. La sinodalidad no supone en modo alguno la devaluación de la autoridad particular y de la tarea específica que Cristo mismo confía a los pastores: los obispos con los presbíteros, sus colaboradores, y el Romano Pontífice como «principio y fundamento perpetuo y visible de unidad así de los Obispos como de la multitud de los fieles» (LG 23). Por el contrario, ofrece «el marco interpretativo más adecuado para comprender el mismo ministerio jerárquico» (Francisco, Discurso en la Conmemoración del 50 aniversario de la institución del Sínodo de los Obispos, 17 de octubre de 2015), invitando a toda la Iglesia, incluidos los que ejercen una autoridad, a una auténtica conversión y reforma.
9. La sinodalidad no es un fin en sí misma, puesto que, al ofrecer la posibilidad de expresar la naturaleza de la Iglesia y valorizar todos los carismas, las vocaciones y los ministerios en la Iglesia, permite a la comunidad de los que «creen y ven a Jesús» (LG 9) anunciar el Evangelio de la manera más adecuada a las mujeres y a los hombres, de cualquier época y lugar, y ser «sacramento visible» (ibíd.) de la unidad salvífica querida por Dios. Sinodalidad y misión están, pues, íntimamente ligadas. Si la segunda sesión se centra en ciertos aspectos de la vida sinodal, lo hace con vistas a una mayor eficacia en la misión. Al mismo tiempo, la sinodalidad es la condición para proseguir el camino ecuménico hacia la unidad visible de todos los cristianos. El grupo de estudio n. 10 se ocupa de la recepción de los frutos del camino ecuménico en las prácticas eclesiales.
La unidad como armonía en las diferencias
10. El dinamismo de la comunión eclesial y, por tanto, de la vida sinodal de la Iglesia encuentra su propio modelo y realización en la liturgia eucarística. En ella, la comunión de los fieles (communio fidelium) es al mismo tiempo la comunión de las Iglesias (communio Ecclesiarum), que se manifiesta en la comunión de los obispos (communio episcoporum), en razón del antiquísimo principio según el cual «la Iglesia está en el obispo y el obispo está en la Iglesia» (San Cipriano, Carta 66.8). El Señor puso al apóstol Pedro (cf. Mt 16,18) y a sus sucesores al servicio de la comunión. En virtud del ministerio petrino, el Obispo de Roma es «el principio y fundamento perpetuo y visible» (LG 23) de la unidad de la Iglesia, expresada en la comunión de todos los fieles, de todas las Iglesias, de todos los obispos. Se manifiesta así la armonía que el Espíritu obra en la Iglesia, Él que es la armonía en persona (cf. San Basilio, Homilía sobre el Salmo 29, 1)
11. A lo largo del proceso sinodal, el deseo de unidad de la Iglesia ha crecido a la par que la conciencia de su diversidad, de la que es portadora. Ha sido precisamente el compartir entre las Iglesias lo que nos ha recordado que no hay misión sin contexto, es decir, sin una conciencia clara de que el don del Evangelio se ofrece a personas y comunidades que viven en tiempos y en lugares concretos, que no están encerradas en sí mismas, sino más bien son portadoras de historias que deben ser reconocidas, respetadas e invitadas a abrirse a horizontes más amplios. Uno de los mayores dones recibidos a lo largo del camino ha sido la oportunidad de encontrar y celebrar la belleza del «rostro pluriforme de la Iglesia» (San Juan Pablo II, Novo Millennio Ineunte, 40). La renovación sinodal favorece la valorización de los contextos como lugar en los que se hace presente y se realiza la llamada universal de Dios a formar parte de su pueblo, de ese Reino de Dios que es «justicia, paz y alegría en el Espíritu Santo» (Rom 14,17). De este modo, las diferentes culturas son capaces de captar la unidad que subyace y completa su vibrante pluralidad. La valorización de los contextos, de las culturas y de la diversidad es una clave para crecer como Iglesia sinodal misionera.
12. Del mismo modo, ha crecido la conciencia de la variedad de carismas y vocaciones que el Espíritu Santo suscita constantemente en el Pueblo de Dios. Nace así el deseo de crecer en la capacidad de discernirlos, de comprender sus relaciones dentro de la vida concreta de cada Iglesia y de la Iglesia en su conjunto y, sobre todo, de articularlos para el bien de la misión. Esto significa también reflexionar más profundamente sobre la cuestión de la participación en relación con la comunión y la misión. En todas las fases del proceso surgió el deseo de ampliar las posibilidades de participación y de ejercicio de la corresponsabilidad de todos los bautizados, hombres y mujeres, en la variedad de sus carismas, vocaciones y ministerios. Este deseo apunta en tres direcciones. La primera es la necesidad de “actualizar” la capacidad de anunciar y transmitir la fe con modalidades y medios adecuados al contexto actual. La segunda es la renovación de la vida litúrgica y sacramental, a partir de celebraciones bellas, dignas, accesibles, plenamente participativas, bien inculturadas y capaces de alimentar el impulso hacia la misión. La tercera dirección nace de la tristeza provocada por la falta de participación de tantos miembros del Pueblo de Dios en este camino de renovación eclesial y la fatiga de la Iglesia a la hora de vivir plenamente una sana relacionalidad entre hombres y mujeres, entre generaciones y entre personas y grupos de diferentes identidades culturales y condiciones sociales, en particular, los pobres y excluidos. Esta debilidad en la reciprocidad, en la participación y en la comunión sigue siendo un obstáculo para la plena renovación de la Iglesia en un sentido sinodal misionero.
Hermanas y hermanos en Cristo: una reciprocidad renovada
13. La primera diferencia que encontramos como personas humanas es la que existe entre hombres y mujeres. Nuestra vocación como cristianos es la de honrar esta diferencia donada por Dios viviendo, en el seno de la Iglesia, una reciprocidad relacional dinámica como signo para el mundo. Al reflexionar sobre esta visión en clave sinodal, las aportaciones recogidas en todas las fases evidenciaron la necesidad de dar un reconocimiento más pleno a los carismas, a la vocación y al papel de las mujeres en todos los ámbitos de la vida de la Iglesia como un paso indispensable para promover esta reciprocidad relacional. La perspectiva sinodal evidencia tres puntos de referencia teológicos como guía para el discernimiento: a) la participación se basa en las implicaciones eclesiológicas del bautismo; b) como Pueblo de bautizados, estamos llamados a no enterrar nuestros talentos, sino a reconocer los dones que el Espíritu derrama sobre cada uno para el bien de la comunidad y del mundo; c) respetando la vocación de cada uno, los dones que el Espíritu concede a los fieles se ordenan el uno al otro y la colaboración de todos los bautizados debe practicarse en clave de corresponsabilidad. Nos guía en nuestra reflexión el testimonio de las Sagradas Escrituras: Dios eligió a algunas mujeres para que fueran las primeras en ser testigos y en anunciar la resurrección. En virtud del bautismo, están en condición de plena igualdad, reciben la misma efusión de dones del Espíritu y están llamadas al servicio de la misión de Cristo.
14. En este sentido, el primer cambio que debe realizarse es un cambio de mentalidad: una conversión a una visión de relacionalidad, interdependencia y reciprocidad entre mujeres y hombres, que son hermanas y hermanos en Cristo, con vistas a la misión común. Son la comunión, la participación y la misión de la Iglesia las que sufren las consecuencias de una falta de conversión de las relaciones y de las estructuras. Como afirma la aportación de una Conferencia Episcopal latinoamericana «una Iglesia en la que todos los miembros pueden sentirse corresponsables es también un lugar atractivo y creíble».
15. Las aportaciones de las Conferencias Episcopales reconocen que son numerosos los ámbitos de la vida eclesial abiertos a la participación de las mujeres. Sin embargo, también señalan que estas posibilidades de participación a menudo no se utilizan. Por ello, sugieren que la segunda sesión promueva el conocimiento de estas posibilidades y fomente su posterior desarrollo en el ámbito parroquial, diocesano y de las demás realidades eclesiales, incluidos los puestos de responsabilidad. Piden también que se exploren otras formas ministeriales y pastorales, para expresar mejor los carismas que el Espíritu derrama sobre las mujeres en respuesta a las necesidades pastorales de nuestro tiempo. Como insiste una Conferencia Episcopal latinoamericana: «En nuestra cultura, la presencia del machismo sigue siendo fuerte, mientras que se necesita una participación más activa de la mujer en todos los ámbitos eclesiales. Como afirma el Papa Francisco, su perspectiva es indispensable en los procesos de toma de decisiones y a la hora de asumir roles en las distintas formas de pastoral y misión».
16. De las aportaciones de las Conferencias Episcopales se desprenden solicitudes concretas que deben someterse al examen de la segunda sesión, entre ellas: a) la promoción de espacios de diálogo en la Iglesia, para que las mujeres puedan compartir experiencias, carismas, competencias, intuiciones espirituales, teológicas y pastorales para el bien de toda la Iglesia; b) una participación más amplia de las mujeres en los procesos de discernimiento eclesial y en todas las etapas de los procesos de toma de decisiones (elaboración y toma de decisiones); c) un mayor acceso a cargos de responsabilidad en las diócesis y en las instituciones eclesiásticas, de conformidad con las disposiciones ya existentes; d) un mayor reconocimiento y un firme apoyo a la vida y a los carismas de las mujeres consagradas y a su empleo en puestos de responsabilidad; e) el acceso de las mujeres a cargos de responsabilidad en seminarios, institutos y facultades de teología; f) un incremento en el número de mujeres que desempeñan el papel de juez en los procesos canónicos. En las aportaciones se recoge también el deseo de que se preste atención al uso del lenguaje y de una serie de imágenes tomadas de las Escrituras y de la tradición en la predicación, en la enseñanza, en la catequesis y en la redacción de los documentos oficiales de la Iglesia.
17. Mientras que algunas Iglesias locales piden la admisión de las mujeres al ministerio diaconal, otras reiteran su oposición. Sobre esta cuestión, que no será objeto de los trabajos de la segunda sesión, es bueno que continúe la reflexión teológica, con los tiempos y modalidades adecuados. A su maduración contribuirán los frutos del grupo de estudio n. 5, que tendrá en cuenta los resultados de las dos Comisiones que se han ocupado del tema en el pasado.
18. Muchas de las reivindicaciones expresadas anteriormente se aplican también a los hombres laicos, cuya escasa participación en la vida eclesial es a menudo objeto de quejas. En general, la reflexión sobre el papel de la mujer pone de manifiesto el deseo de un fortalecimiento de todos los ministerios ejercidos por los laicos (hombres y mujeres). También se hace un llamamiento para que los fieles laicos, hombres y mujeres, adecuadamente formados, contribuyan a la predicación de la Palabra de Dios, también durante la celebración de la Eucaristía.
Llamada a la conversión y a la reforma
19. Jesús inició su ministerio público con una llamada a la conversión (cf. Mc 1,15). Es una invitación a reconsiderar la forma de vida personal y comunitaria y a dejarse transformar por el Espíritu. Ninguna reforma puede limitarse únicamente a las estructuras, sino que debe arraigarse en una transformación interior según los «sentimientos propios de Cristo Jesús» (Flp 2,5). Para una Iglesia sinodal, la primera conversión es la de la escucha, cuyo redescubrimiento ha sido uno de los mayores frutos del camino recorrido hasta la fecha: en primer lugar, la escucha del Espíritu Santo, que es el verdadero protagonista del Sínodo, y después la escucha recíproca como disposición fundamental para la misión.
20. El estilo sinodal de la Iglesia ofrece muchas sugerencias importantes para la humanidad. En una época caracterizada por desigualdades cada vez mayores, por la creciente desilusión con los modelos tradicionales de gobierno, por el desencanto con respecto al funcionamiento de la democracia y el predominio del modelo de mercado en las relaciones interhumanas y por la tentación de resolver los conflictos recurriendo a la fuerza en lugar del diálogo, la sinodalidad puede ser de inspiración para el futuro de nuestras sociedades. Su atractivo radica en el hecho de que no se trata de una estrategia de gestión, sino de una práctica que hay que vivir y celebrar con gratitud. La forma sinodal de vivir las relaciones es un testimonio social que responde a la profunda necesidad humana de ser acogidos y sentirse reconocidos dentro de una comunidad concreta. Es un reto para el creciente aislamiento de las personas y el individualismo cultural, que incluso la Iglesia ha absorbido a menudo, y nos llama al cuidado mutuo, a la interdependencia y a la corresponsabilidad en favor del bien común. Pero también plantea un reto a un comunitarismo social exagerado que asfixia a las personas y no les permite ser sujetos libres de su propio desarrollo. La voluntad de escuchar a todos, especialmente a los pobres, que promueve el estilo de vida sinodal, contrasta fuertemente con un mundo en el que la concentración de poder excluye a los pobres, a los marginados y a las minorías. La concreción del proceso sinodal ha mostrado hasta qué punto la Iglesia misma necesita crecer en esta dimensión, éste es el objeto del trabajo del grupo de estudio n. 2.
21. En todas las etapas del proceso sinodal resonó con fuerza la necesidad de sanación, reconciliación y restablecimiento de la confianza en el seno de la Iglesia y de la sociedad. Se trata de una directriz fundamental del compromiso misionero del Pueblo de Dios en nuestro mundo, y al mismo tiempo un don que debemos invocar desde lo alto. El deseo de recorrer este camino es en sí mismo un fruto de la renovación sinodal.
Parte I - Relaciones
A lo largo del proceso sinodal y en todas las latitudes surgió la exigencia de una Iglesia que no fuera burocrática, sino capaz de alimentar las relaciones: con el Señor, entre hombres y mujeres, en la familia, en la comunidad, entre los grupos sociales. Sólo una red de relaciones que teja la multiplicidad de las pertenencias es capaz de sostener a los individuos y a las comunidades, de ofrecerles puntos de referencia y orientación y de mostrarles la belleza de la vida según el Evangelio; es en las relaciones, con Cristo, con los demás, en la comunidad, que se transmite la fe.
Como exigencia de la misión, la sinodalidad no debe concebirse como un expediente organizativo, sino que debe vivirse y cultivarse como el conjunto de modalidades mediante las cuales los discípulos de Jesús tejen relaciones solidarias, capaces de corresponder al amor divino que les alcanza continuamente y que están llamados a testimoniar en los contextos concretos en los que se encuentran. Para comprender cómo ser una Iglesia sinodal en misión, es necesario pasar por una conversión relacional, que reoriente las prioridades y la acción de cada uno, especialmente de aquellos cuya tarea es animar las relaciones al servicio de la unidad, en la concreción de un intercambio de dones que libera y enriquece a todos.
En Cristo y en el Espíritu: la iniciación cristiana
22. «La Iglesia peregrina es misionera por su misma naturaleza, puesto que toma su origen de la misión del Hijo y del Espíritu Santo, según el designio salvífico de Dios Padre» (AG 2). El encuentro con Jesús, la adhesión de fe a su persona y la iniciación cristiana introducen en la vida misma de la Trinidad. Al donar el Espíritu Santo, el Señor Jesús hace partícipes de su relación con el Padre a quienes reciben el bautismo. El Espíritu del que Jesús estaba lleno y que le guiaba (cf. Lc 4,1), que le ungió y le envió a proclamar el Evangelio (cf. Lc 4,18), que le resucitó de entre los muertos (cf. Rom 8,11) es el mismo que ungió a los miembros del Pueblo de Dios. Este Espíritu nos hace hijos y herederos de Dios y por él nos dirigimos a Dios llamándole «¡Abba, Padre!» (Gal 4,6; Rom 8,15).
23. Para comprender la naturaleza de una Iglesia sinodal en misión, es indispensable comprender su fundamento trinitario y, en particular, el vínculo inextricable entre la obra de Cristo y la del Espíritu Santo en la historia humana y en la Iglesia: «El Espíritu Santo que habita en los creyentes y llena y gobierna toda la Iglesia efectúa esa admirable unión de los fieles y los congrega tan íntimamente a todos en Cristo» (UR 2). Por ello, el itinerario de iniciación cristiana de adultos es un contexto privilegiado para comprender la vida sinodal de la Iglesia. Pone de relieve su origen y su fundamento: las relaciones que unen y distinguen a las tres Personas divinas. Con los dones bautismales, el Espíritu Santo nos conforma a imagen de Cristo, sacerdote, profeta y rey, nos hace miembros de su cuerpo, que es la Iglesia, y nos convierte en hijos del único Padre. Recibimos así la llamada a la misión y a la corresponsabilidad de lo que nos une en la Iglesia, una y única. Esos dones tienen una orientación triple e indivisible: personal, comunitaria y misionera. Permiten y comprometen a cada bautizado, hombre o mujer, en la construcción de relaciones fraternas en su propia comunidad eclesial, en la búsqueda de una comunión cada vez más visible y profunda con todos los que comparten el mismo Bautismo y en la proclamación y testimonio del Evangelio.
24. Si la sinodalidad misionera está, por una parte, enraizada en la iniciación cristiana, por otra, debe iluminar el modo en que el Pueblo de Dios vive concretamente el itinerario de iniciación y lo asume, haciéndolo suyo por lo que realmente significa, superando una visión estática e individualista del mismo, no suficientemente vinculada al seguimiento de Cristo y a la vida en el Espíritu, para poder recuperar así su valor dinámico y transformador. En los primeros siglos, al leer en el Génesis que el sexto día Dios dijo: «Hagamos al hombre a nuestra imagen y semejanza» (Gen 1,26), los cristianos comprendieron que el dinamismo relacional estaba inscrito en la antropología de la creación. Vieron en la imagen del Hijo encarnado y en la semejanza, la posibilidad gradual de conformación, la manifestación de la aventura benéfica de la libertad de elegir estar con y ser como Cristo. Esta aventura comienza con la escucha de la Palabra de Dios, gracias a la cual el catecúmeno entra progresivamente en el seguimiento de Cristo Jesús. El bautismo está al servicio del dinamismo de la semejanza, razón por la cual no es una acción puntual, encerrada en el momento de su celebración, sino un don que debe ser confirmado, alimentado y puesto en práctica mediante el compromiso de conversión, el servicio a la misión y la participación en la vida comunitaria. De hecho, la iniciación cristiana culmina en la eucaristía dominical, que se repite cada semana, signo del don incesante de la gracia que nos conforma a Cristo y nos hace miembros de su cuerpo y alimento que nos sostiene en el camino de conversión y en la misión.
25. En este sentido, la asamblea eucarística manifiesta y alimenta la vida sinodal misionera de la Iglesia. En la participación de todos los cristianos, en la presencia de los diferentes ministerios y en la presidencia del obispo o del presbítero, se hace visible la comunidad cristiana, en la que se realiza una corresponsabilidad diferenciada de todos por la misión. La liturgia, como «cumbre a la cual tiende la actividad de la Iglesia y al mismo tiempo la fuente de donde mana toda su fuerza» (SC 10), es al mismo tiempo la fuente de la vida sinodal de la Iglesia y el prototipo de todo acontecimiento sinodal, haciendo aparecer «como en un espejo» el misterio de la Trinidad (1 Cor 13,12; cf. DV 7).
26. Es necesario que las propuestas pastorales y las prácticas litúrgicas preserven y hagan cada vez más evidente el vínculo entre el itinerario de iniciación cristiana y la vida sinodal y misionera de la Iglesia, evitando su reducción a instrumento meramente pedagógico o a indicador de una pertenencia puramente social. Deben, en cambio, promover la aceptación del don personal orientado a la misión y a la edificación de la comunidad. Es necesario elaborar las oportunas disposiciones pastorales y litúrgicas en la pluralidad de las situaciones históricas y de las culturas en las que están inmersas las distintas Iglesias locales, teniendo en cuenta también la diferencia entre aquellas en las que la iniciación cristiana implica sobre todo a jóvenes o adultos, y aquellas en las que concierne, sobre todo, si no exclusivamente, a los niños.
Para el Pueblo de Dios: carismas y ministerios
27. «Y hay diversidad de carismas, pero un mismo Espíritu; hay diversidad de ministerios, pero un mismo Señor; y hay diversidad de actuaciones, pero un mismo Dios que obra todo en todos. Pero a cada cual se le otorga la manifestación del Espíritu para el bien común» (1 Cor 12,4-7). En el origen de la variedad de los carismas (dones de gracia) y de los ministerios (formas de servicio en la Iglesia con vistas a su misión) se halla la libertad del Espíritu Santo: los concede y trabaja incesantemente para que manifiesten la unidad de la fe y la pertenencia a la Iglesia, una y única, en la variedad de personas, culturas y lugares. Los carismas, incluso los más comunes y difundidos, están destinados a responder a las necesidades de la Iglesia y de su misión (cf. LG 12). Al mismo tiempo, contribuyen eficazmente a la vida de la sociedad, en sus diferentes aspectos. Los carismas son a menudo compartidos y dan lugar a las diferentes formas de vida consagrada y al pluralismo de las agregaciones eclesiales.
28. El ámbito principal en el que están llamados a manifestarse los carismas, de los que es portador cada bautizado, no es la organización de las actividades o de las estructuras eclesiales si no que es en la vida cotidiana, en las relaciones familiares y sociales, en las situaciones más diversas en las que los cristianos, individualmente o de forma asociada, están llamados a hacer florecer los dones de gracia recibidos para el bien de todos. La fecundidad de los carismas, como la de los ministerios, depende de la acción de Dios, de la vocación que Él dirige a cada uno, de la acogida generosa y sabia de los bautizados y del reconocimiento y acompañamiento por parte de la autoridad. Por tanto, en ningún caso pueden interpretarse como propiedad de quienes los reciben y ejercen, ni destinados a su beneficio exclusivo.
29. Como expresión de la libertad del Espíritu a la hora de otorgar sus dones y como respuesta a las necesidades de las comunidades individuales, existe en la Iglesia una variedad de ministerios que pueden ser ejercidos por cualquier bautizado, hombre o mujer. Se trata de servicios no ocasionales, reconocidos por la comunidad y por quienes tienen la responsabilidad de dirigirla. Pueden denominarse ministerios bautismales, para indicar su raíz común (el bautismo) y distinguirlos de los ministerios ordenados, arraigados en el sacramento del orden. Encontramos, por ejemplo, hombres y mujeres que ejercen el ministerio de coordinar una pequeña comunidad eclesial, el ministerio de dirigir momentos de oración (en funerales o de otro tipo), el ministerio extraordinario de la comunión u otros servicios, no necesariamente de naturaleza litúrgica. El ordenamiento canónico latino y el oriental ya prevén que, en determinados casos, los fieles laicos, hombres o mujeres, puedan ser también ministros extraordinarios del bautismo. En el ordenamiento latino, el obispo puede delegar a fieles laicos, hombres o mujeres, la asistencia a los matrimonios. Es útil seguir reflexionando sobre cómo confiar estos ministerios a los laicos de forma más estable. Ésta, debe ir acompañada de la reflexión sobre la promoción de formas más numerosas de ministerialidad laical, también fuera del ámbito litúrgico.
30. En los últimos tiempos, algunas modalidades de servicio, presentes desde hace tiempo en la vida de la Iglesia, han recibido una nueva configuración como ministerios instituidos: el ministerio del lectorado y del acolitado (cf. Carta apostólica en forma de Motu proprio Spiritus Domini, 10 de enero de 2021), que no se limitan al ámbito litúrgico. Ha tomado forma también el ministerio instituido de catequista (cf. Carta apostólica en forma de Motu proprio Antiquum ministerium, 10 de mayo de 2021). Los ministerios instituidos son conferidos por el obispo a hombres y mujeres, una vez en la vida, con un rito específico, tras un discernimiento apropiado y una formación adecuada. Los plazos y las modalidades de su ejercicio deben definirse mediante un mandato de la autoridad legítima. La profundización en algunas cuestiones teológicas y canónicas en torno a formas específicas de ministerialidad eclesial – en particular la cuestión de la necesaria participación de las mujeres en la vida y la dirección de la Iglesia – ha sido encomendada al Dicasterio para la Doctrina de la Fe, en diálogo con la Secretaría General del Sínodo (Grupo de estudio n. 5).
31. Aunque no todos los carismas adoptan una configuración propiamente ministerial, todos los ministerios se basan en carismas otorgados a determinados miembros del Pueblo de Dios, que están llamados a actuar de diferentes maneras para que cada uno en la comunidad pueda participar en la edificación del cuerpo de Cristo (cf. Ef 4,12), en un servicio recíproco. Al igual que los carismas, los ministerios también deben ser reconocidos, promovidos y valorados. El proceso sinodal ha evidenciado en reiteradas ocasiones cómo el discernimiento y la promoción de los carismas y de los ministerios, así como la identificación de las necesidades de las comunidades y de las sociedades a las que están llamadas a responder, debe ser un aspecto sobre el que las Iglesias locales necesitan crecer, dotándose de criterios, herramientas y procedimientos adecuados. El Concilio Vaticano II enseña que es tarea de los pastores reconocer los ministerios y los carismas «de tal suerte que todos, a su modo, cooperen unánimemente en la obra común» (LG 30). El discernimiento de los carismas y ministerios es una acción propiamente eclesial: para reconocerlos y promoverlos, el obispo está obligado a escuchar la voz de cuantos están implicados: fieles, comunidades, órganos de participación. Para ello, deberán identificarse procedimientos adecuados para los diferentes contextos, procurando siempre alcanzar un consenso real sobre los criterios y los resultados del discernimiento. Las conclusiones del encuentro “Párrocos para el Sínodo” subrayan con fuerza estas necesidades.
32. Nace también la invitación a una mayor confianza en la acción del Espíritu y a un mayor coraje y creatividad a la hora de discernir cómo poner, al servicio de la misión de la Iglesia, los dones recibidos y acogidos, de modo que se ajusten a los diferentes contextos locales. Es precisamente la variedad de los contextos, y por tanto de las necesidades de las comunidades, lo que sugiere que las Iglesias locales, bajo la guía de sus pastores, y sus agrupaciones «en cada gran territorio sociocultural» (AG 22), emprendan con humildad y confianza un discernimiento creativo de los ministerios que deben reconocer, confiar o instituir para responder a las necesidades pastorales y de la sociedad. Por lo tanto, deben definirse los criterios y los medios para llevar a cabo este discernimiento. También debe iniciarse una reflexión sobre la manera de confiar los ministerios bautismales (no instituidos e instituidos), precisando los tiempos y los ámbitos de su ejercicio, en una época en la que las personas se desplazan de un lugar a otro con mayor facilidad.
33. El camino recorrido hasta ahora ha llevado a reconocer que una Iglesia sinodal es una Iglesia que escucha, capaz de acoger y acompañar, de ser percibida como hogar y familia. Se trata de una necesidad que se expresa en todos los continentes y afecta a las personas que, por diferentes razones, están o se sienten excluidas o al margen de la comunidad eclesial, o luchan por encontrar en ella el pleno reconocimiento de su dignidad y de sus dones. Esta falta de acogida les aleja, dificulta su camino de fe y de encuentro con el Señor y priva a la Iglesia de su contribución a la misión.
34. Por tanto, parece sumamente oportuno dar vida a un ministerio de escucha y de acompañamiento reconocido y posiblemente instituido, gracias al cual este rasgo característico de una Iglesia sinodal se pueda experimentar concretamente. Se necesita una “puerta abierta” de la comunidad, por la que pueda entrar la gente sin sentirse amenazada o juzgada. Las formas de ejercer este ministerio deberán adaptarse a las circunstancias locales, según la diversidad de experiencias, estructuras, contextos sociales y recursos disponibles. Esto abre un espacio de discernimiento que deberá articularse a nivel local, también con la participación de las Conferencias Episcopales nacionales o continentales. Sin embargo, la presencia de un ministerio específico no significa reservar el compromiso de la escucha únicamente a los ministros. Al contrario, reviste un carácter profético. Por un lado, pone de relieve el hecho de que la escucha y el acompañamiento son una dimensión ordinaria de la vida de una Iglesia sinodal, que implica de diferentes maneras a todos los bautizados y en la que todas las comunidades están invitadas a crecer; por otro, recuerda que la escucha y el acompañamiento son un servicio eclesial, no una iniciativa personal, cuyo valor se reconoce así. Esta toma de conciencia es un fruto maduro del proceso sinodal.
Con los ministros ordenados: al servicio de la armonía
35. Del proceso sinodal han surgido datos contradictorios sobre el ejercicio del ministerio ordenado en el seno del Pueblo de Dios. Por un lado, se destaca la alegría, el compromiso y la dedicación de los obispos, de los presbíteros y de los diáconos en el desempeño de su servicio; por otro, han manifestado cierto cansancio, vinculado sobre todo a una sensación de aislamiento, de soledad, de sentirse excluidos de relaciones sanas y duraderas y de sentirse abrumados por la exigencia de dar respuesta a todas las necesidades. Este puede ser uno de los efectos tóxicos del clericalismo. En particular, la figura del obispo suele estar expuesta a un exceso de atribuciones, lo que alimenta expectativas poco realistas con respecto a lo que una persona puede lograr por sí sola.
36. El encuentro “Párrocos para el Sínodo” vinculó este cansancio a la dificultad de obispos y presbíteros a la hora de avanzar verdaderamente juntos en su ministerio compartido. Una comprensión nueva del ministerio ordenado en el horizonte de la Iglesia sinodal misionera representa, por tanto, no sólo una exigencia de coherencia, sino también una oportunidad de liberación de estas fatigas, a condición de que vaya acompañada de una conversión efectiva de las prácticas, que haga perceptible el cambio y los beneficios que de él se derivan a los ministros ordenados y a los demás fieles. Además de afectar a la vida personal de cada uno de los ministros, este camino de conversión implicará una nueva manera de pensar y de organizar la acción pastoral, que tenga en cuenta la participación de todos los bautizados, hombres y mujeres, en la misión de la Iglesia, centrándose sobre todo en la necesidad de hacer emerger, reconocer y animar los diferentes carismas y ministerios bautismales. La pregunta «¿Cómo ser una Iglesia sinodal en misión?» nos impulsa a reflexionar concretamente sobre las relaciones, las estructuras y los procesos que pueden favorecer una visión renovada del ministerio ordenado, pasando de una modalidad piramidal de ejercer la autoridad a una sinodal. En el marco de la promoción de los carismas y ministerios bautismales, puede iniciarse una reasignación de tareas cuyo desempeño no requiera el sacramento del Orden. Un reparto más articulado de las responsabilidades favorecerá también los procesos de toma de decisiones marcados por un estilo más claramente sinodal.
37. En los textos conciliares, el ministerio ordenado se concibe en términos muy precisos como servicio a la Iglesia y para la existencia de la Iglesia. Con su autoridad, el Concilio ha restablecido la forma habitual del ministerio ordenado en la Iglesia antigua, un ministerio que «es ejercido en diversos órdenes por aquellos que ya desde antiguo vienen llamándose obispos, presbíteros y diáconos» (LG 28). En esta articulación, episcopado y presbiterado corresponden a una participación especial en el sacerdocio de Cristo, pastor y cabeza de la comunidad eclesial, mientras que el diaconado no es «en orden al sacerdocio, sino en orden al ministerio» (LG 29). Los distintos órdenes están orgánicamente relacionados entre sí, en una interdependencia recíproca, en la especificidad de cada uno. Ningún ministro puede considerarse a sí mismo como un individuo aislado al que se le han conferido ciertos poderes; más bien, debe concebirse como partícipe de los dones (munera) de Cristo, conferidos por la ordenación, junto con los demás ministros, en un vínculo orgánico con el Pueblo de Dios del que forma parte. Este pueblo, aunque de manera diferente, participa de esos mismos dones de Cristo en el sacerdocio común fundamentado en el bautismo.
38. El obispo tiene la tarea de presidir una Iglesia, siendo principio visible de unidad en ella y vínculo de comunión con todas las Iglesias. La singularidad de su ministerio conlleva una potestad que es propia, ordinaria e inmediata, potestad que cada obispo ejerce personalmente en nombre de Cristo (cf. LG 27) en la proclamación de la Palabra, en la presidencia de la celebración eucarística y de los demás sacramentos, y en la guía pastoral. Esto no implica su independencia de la porción del Pueblo de Dios que le ha sido encomendada (cf. CD 11), y a la que está llamado a servir en nombre de Cristo Buen Pastor. El hecho de que «en la consagración episcopal se confiere la plenitud del sacramento del orden» (LG 21) no es la justificación de un ministerio episcopal que tiende a ser “monárquico”, concebido como una acumulación de prerrogativas de las que deriva cualquier otro carisma y ministerio. Por el contrario, se trata de afirmar la capacidad y el deber de reunir y componer en unidad todo don que el Espíritu derrama sobre los bautizados, hombres y mujeres, y sobre las diversas comunidades. De algunos aspectos del ministerio episcopal, entre ellos los criterios de selección de los candidatos al episcopado se ocupa el grupo de estudio n. 7.
39. El ministerio de los presbíteros también debe concebirse y vivirse en un sentido sinodal. En particular, los presbíteros «forman, junto con su Obispo, un solo presbiterio» (LG 28) al servicio de esa porción del Pueblo de Dios que es la Iglesia local (cf. CD 11). Esto requiere que no se considere al obispo como externo al presbiterio, sino como aquel que preside una Iglesia local principalmente guiando al presbiterio, del que forma parte de manera singular, y estando llamado a ejercer un cuidado especial hacia los presbíteros.
40. Obispo y presbíteros son asistidos por los diáconos, en un vínculo de mutua interdependencia de los dos tipos de ministerio para la realización del servicio apostólico. Obispo y presbíteros no son autosuficientes con respecto a los diáconos, y viceversa. Puesto que las funciones de los diáconos son múltiples, como demuestran la tradición, la oración litúrgica y la praxis posterior al Vaticano II, estas han de identificarse en la especificidad de cada Iglesia local. En todo caso, el servicio de cada diácono debe concebirse en armonía y comunión con el de todos los demás diáconos, de acuerdo con la naturaleza del ministerio diaconal y en el marco de referencia de la misión en una Iglesia sinodal.
41. Además de promover la unidad en la Iglesia local, el obispo diocesano o eparquial, asistido por presbíteros y diáconos, es también responsable de las relaciones con las demás Iglesias locales y con toda la Iglesia en torno al Obispo de Roma, en un intercambio recíproco de dones. Parece importante restablecer el vínculo tradicional entre ser obispo y presidir una Iglesia local, restableciendo la correspondencia entre la comunión de los obispos (communio episcoporum) y la comunión de las Iglesias (communio Ecclesiarum).
Entre las Iglesias y en el mundo: la concreción de la comunión
42. La sinodalidad se realiza a través de redes de personas, comunidades, organismos y un conjunto de procesos que permiten un intercambio eficaz de dones entre las Iglesias y un diálogo evangelizador con el mundo. Caminar juntos como bautizados en la diversidad de los carismas, de las vocaciones y de los ministerios, así como en el intercambio de dones entre las Iglesias, es un signo sacramental importante para el mundo actual, que, por una parte, experimenta formas cada vez más intensas de interconexión y, por otra, está inmerso en una cultura mercantil que margina la gratuidad.
43. Según el Concilio, es en virtud de la catolicidad de la Iglesia que «cada una de las partes colabora con sus dones propios con las restantes partes y con toda la Iglesia» (LG 13). De ella «se derivan finalmente, entre las diversas partes de la Iglesia, unos vínculos de íntima comunión en lo que respecta a riquezas espirituales, obreros apostólicos y ayudas temporales. Los miembros del Pueblo de Dios son llamados a una comunicación de bienes, y las siguientes palabras del apóstol pueden aplicarse a cada una de las Iglesias: “El don que cada uno ha recibido, póngalo al servicio de los otros, como buenos administradores de la multiforme gracia de Dios” (1 P 4,10)» (ibíd.).
44. Las Conferencias Episcopales desean que los bienes se compartan en un espíritu de solidaridad entre las Iglesias que constituyen la Iglesia católica, una y única, sin ningún afán de dominación ni pretensión de superioridad: la existencia de Iglesias ricas y de Iglesias que viven en condiciones de gran penuria es un escándalo. Por ello, se sugiere que se tomen disposiciones para promover los lazos mutuos y formar redes de apoyo también a nivel de las agrupaciones de Iglesias.
45. Todas las Iglesias locales reciben y dan en la comunión de la única Iglesia. Hay Iglesias que necesitan el apoyo de recursos financieros y materiales; otras que se enriquecen con el testimonio de la fe viva y del servicio amoroso a los más pobres; otras necesitan, sobre todo, la ayuda de los evangelizadores que comparten su vida para comunicar el Evangelio a otros pueblos. En particular, se reconoce y solicita la generosidad de presbíteros, diáconos, consagradas y consagrados, laicos y laicas comprometidos en la misión ad gentes.
46. Las Iglesias locales expresan el deseo de un intercambio de dones espirituales, litúrgicos y teológicos, y también de un mayor testimonio compartido sobre cuestiones sociales de importancia mundial, como el cuidado de la casa común y los movimientos migratorios. A este respecto, una Iglesia sinodal podrá dar testimonio de la importancia de que las soluciones a los problemas comunes se elaboren sobre la base de la escucha de las voces de todos, incluidos especialmente aquellos grupos, comunidades y países que suelen permanecer al margen de los grandes procesos mundiales. Un horizonte especialmente prometedor hoy en día para realizar formas de intercambio de dones y de compromiso coordinado es el de los grandes ámbitos geográficos supranacionales, como la Amazonia, la cuenca del Congo, el Mediterráneo u otros similares.
47. En particular, una Iglesia sinodal está invitada a leer en la perspectiva del intercambio de dones también la realidad de la movilidad humana, que se convierte en una oportunidad de encuentro entre las Iglesias en la concreción de la vida cotidiana de las ciudades y de los barrios, de las parroquias y de las diócesis o eparquías, contribuyendo así a enraizar el camino sinodal en la experiencia vivida por las comunidades. Deberá prestarse especial atención a la posibilidad de encuentro e intercambio de dones entre las Iglesias de tradición latina y las Iglesias católicas orientales de la diáspora, tema sobre el que trabaja el grupo de estudio n. 1.
48. El intercambio de dones entre las Iglesias tiene lugar en contextos marcados por la violencia, la persecución y la falta de libertad religiosa; más aún, algunas Iglesias luchan por su propia supervivencia e invocan la solidaridad de las otras Iglesias, mientras continúan compartiendo sus riquezas, fruto del enfrentamiento constante con la oposición al Evangelio y la persecución que a lo largo de la historia afecta a los discípulos del Señor. Además, el intercambio de dones tiene lugar en un contexto que aún siente los efectos del colonialismo y del neocolonialismo, que no han terminado. Una Iglesia que crece en la práctica de la sinodalidad está invitada a comprender el impacto de estas dinámicas sociales en el intercambio de dones y a buscar su transformación. También forma parte de este compromiso el reconocimiento de que muchas Iglesias son portadoras de una memoria herida y de que es necesario promover vías concretas de reconciliación.
49. La expresión “intercambio de dones” posee un valor importante en las relaciones con otras Iglesias y comunidades eclesiales. San Juan Pablo II aplicó esta idea al diálogo ecuménico: «El diálogo no es sólo un intercambio de ideas. Es siempre de algún modo un “intercambio de dones”» (UUS 28). Además del diálogo teológico, el intercambio de dones tiene lugar en la puesta en común de la oración, por la cual nos abrimos a recibir los dones de tradiciones espirituales distintas de la nuestra. El ejemplo de mujeres y hombres santos de otras Iglesias y comunidades eclesiales es también un don que podemos recibir, incluyendo por ejemplo su memoria en nuestro calendario litúrgico, especialmente la de los mártires. En este espíritu debemos ser generosos, ofreciendo a otros cristianos la oportunidad de peregrinar y rezar en los santuarios y lugares santos custodiados por la Iglesia católica.
50. El diálogo entre las religiones y con las culturas no es ajeno al camino del Sínodo, sino que forma parte de su llamada a vivir relaciones más intensas, por el hecho de que «en todo tiempo y en todo pueblo es grato a Dios quien le teme y practica la justicia» (LG 9; cf. Hch 10,35). Por tanto, el intercambio de dones no se limita a las Iglesias y comunidades eclesiales, porque una auténtica catolicidad amplía el horizonte y pide la voluntad de acoger también aquellos factores de promoción de la vida, de la paz, de la justicia y del desarrollo humano integral presentes en otras culturas y tradiciones religiosas.
Parte II – Itinerarios
Una Iglesia sinodal es una Iglesia relacional, en la que las dinámicas interpersonales forman el tejido de la vida de una comunidad en misión, en un contexto cada vez más complejo. Esta perspectiva no separa, sino que capta los vínculos entre las experiencias, permitiendo aprender de la realidad releída a la luz de la Palabra, de la Tradición, de los testimonios ejemplares, pero también de los errores cometidos.
La Parte II destaca los procesos que garantizan el cuidado y el desarrollo de las relaciones, en particular, la unión con Cristo en vista de la misión, y la armonía de la vida comunitaria, gracias a la capacidad de afrontar juntos los conflictos y las dificultades. Se centra en cuatro ámbitos distintos, pero profundamente entrelazados en la vida de la Iglesia sinodal misionera: la formación, especialmente a la escucha (de la Palabra de Dios, de los hermanos y hermanas y de la voz del Espíritu) y al discernimiento, que lleva al desarrollo de modalidades participativas de toma de decisiones, respetando los diferentes roles, con una circularidad que llega a la transparencia, a rendir cuentas de las responsabilidades recibidas y a una evaluación que relanza el discernimiento para la misión.
Fuente y culmen de este dinamismo es la Eucaristía, que pone en la raíz de las relaciones la gratuidad del amor del Padre, a través del Hijo en el Espíritu. El alimento que sostiene a una Iglesia sinodal misionera es también el contenido de su anuncio al mundo.
Una formación integral y compartida
51. «Preocuparse de la propia formación es la respuesta que todo bautizado está llamado a dar a los dones del Señor, para hacer fructificar los talentos recibidos y ponerlos al servicio de todos» (IdS 14a). Estas palabras del Informe de Síntesis de la Primera Sesión explican por qué la necesidad de formación fue uno de los temas que surgieron con mayor fuerza y universalidad a lo largo del proceso sinodal. Responder a la pregunta «¿Cómo ser una Iglesia sinodal en misión?» requiere, por tanto, dar prioridad a la elaboración de itinerarios de formación coherentes, con especial atención a la formación permanente para todos.
52. Para muchos, la participación en las reuniones sinodales ha sido una oportunidad de formación en la comprensión y la práctica de la sinodalidad, que ha hecho aflorar con fuerza el deseo de comprender mejor el significado de la dignidad bautismal o ese «sentido sobrenatural de la fe» (LG 12) del que el Espíritu hace don al Pueblo de Dios. La primera necesidad es, pues, una formación más profunda en el conocimiento del modo en que el Espíritu actúa en la Iglesia y la guía a lo largo de la historia.
53. No hay misión sin contexto, no hay Iglesia sin arraigo en un lugar preciso, con sus especificidades culturales y sus contingencias históricas. Por eso no es posible elaborar planes de formación en abstracto. Su definición corresponde a las Iglesias locales y a sus agrupaciones. Aquí, por tanto, nos limitamos a indicar algunas orientaciones y características fundamentales de la formación en la perspectiva de la sinodalidad, que han de concretarse, teniendo en cuenta los contextos, las culturas y las tradiciones de los diferentes lugares.
54. Una Iglesia sinodal misionera se funda en la capacidad de escucha, lo que exige reconocer que nadie es autosuficiente en el ejercicio de su misión y que todos tienen algo que ofrecer y algo que aprender de los demás. La formación en la escucha es, por tanto, un primer requisito esencial. La práctica de la conversación en el Espíritu ha permitido experimentar cómo pueden entrelazarse la escucha de la Palabra de Dios y la de los hermanos y hermanas, y cómo esta dinámica abre progresivamente a la escucha de la voz del Espíritu: muchas aportaciones recibidas insisten en la importancia de formarse en este método. En la Iglesia existe una gama diversa de métodos de escucha, diálogo y discernimiento, en función de la diversidad de culturas y tradiciones espirituales. Promover la formación en esta pluralidad de métodos y el diálogo entre ellos en los contextos locales es un objetivo de gran relevancia. Un punto especialmente significativo en esta dirección es la escucha de las personas que experimentan diversos tipos de pobreza y marginación. Muchas Iglesias señalan que no se sienten preparadas para esta tarea y expresan la necesidad de una formación específica. Este es uno de los puntos encomendados a los trabajos del Grupo de Estudio n. 2.
55. El objetivo de la formación en la perspectiva de la sinodalidad misionera es que haya testigos, hombres y mujeres, capaces de asumir la misión de la Iglesia en corresponsabilidad y en cooperación con la fuerza del Espíritu (cf. Hch 1,8). Por tanto, la formación tomará como base el dinamismo de la iniciación cristiana, con el fin de promover la experiencia personal del encuentro con el Señor y, en consecuencia, un proceso de conversión continua de actitudes, relaciones, mentalidad y estructuras. El sujeto de la misión es siempre la Iglesia y cada uno de sus miembros es testigo y anunciador de la salvación debido a esta pertenencia. La Eucaristía, «fuente y cumbre de toda la vida cristiana» (LG 11), es el lugar fundamental de formación a la sinodalidad. La familia, como comunidad de vida y amor, es un lugar privilegiado de educación a la fe y a la práctica cristiana. En el entrelazamiento de generaciones, es una escuela de sinodalidad, que invita a cada uno a cuidar de los demás y hace visible que todos, los débiles y los fuertes, los niños, los jóvenes y los ancianos, tienen mucho que recibir y mucho que dar.
56. En una Iglesia sinodal, la formación debe ser integral. De hecho, no pretende únicamente adquirir nociones o competencias, sino promover la capacidad de encuentro, de compartir y de cooperar, de discernir en común. Por tanto, debe interpelar a todas las dimensiones de la persona: intelectual, afectiva y espiritual. No puede ser una formación puramente teórica, sino que incluye experiencias concretas convenientemente acompañadas. Es igualmente importante promover el conocimiento de las culturas en las que viven y trabajan las Iglesias, incluida la cultura digital, tan omnipresente hoy en día, sobre todo entre los jóvenes. El trabajo del Grupo de Estudio n. 3 está dedicado a la cultura digital y a la promoción de una formación adecuada en este campo.
57. Por último, se hizo especial hincapié en la necesidad de una formación común y compartida, en la que participen juntos hombres y mujeres, laicos, consagrados y consagradas, ministros ordenados y candidatos al ministerio ordenado, que les permita crecer en el conocimiento y la estima recíproca y en la capacidad de colaborar. Del mismo modo, se requiere una atención especial a la promoción de la participación de las mujeres en los programas de formación, junto a seminaristas, sacerdotes, religiosos y laicos. También es de crucial importancia su acceso a los roles de docente y formador en las facultades e institutos teológicos y en los seminarios. También se sugiere ofrecer a los obispos, presbíteros y laicos una formación sobre las tareas que las mujeres ya pueden desempeñar en la Iglesia y promover una evaluación del uso real que se hace de estas oportunidades en todos los ámbitos de la vida eclesial: parroquias, diócesis, asociaciones de laicos, movimientos eclesiales, nuevas comunidades, vida consagrada, instituciones eclesiásticas, hasta la Curia Romana. Los trabajos del Grupo de Estudio n. 4 están dedicados a la revisión de la formación de los candidatos al ministerio ordenado (Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis) en una perspectiva sinodal misionera. Una petición procedente de todos los continentes es la de ocuparse de la formación en la predicación. Por último, surge la necesidad de una formación compartida, tanto teórica como práctica, en el discernimiento comunitario dentro de los diferentes contextos locales.
El discernimiento eclesial para la misión
58. El Espíritu único, que suscita una gran variedad de carismas, guía a la Iglesia hacia la plenitud de la vida y de la verdad divina (cf. Jn 10,10; 16,13). Por su presencia y acción continuas, la «Tradición, que deriva de los Apóstoles, progresa en la Iglesia con la asistencia del Espíritu Santo» (DV 8). Gracias a la guía del Espíritu, el Pueblo de Dios, en cuanto partícipe de la función profética de Cristo (cf. LG 12), «procura discernir en los acontecimientos, exigencias y deseos, de los cuales participa juntamente con sus contemporáneos, los signos verdaderos de la presencia o de los planes de Dios» (GS 11). Esta tarea eclesial de discernimiento se arraiga en el sensus fidei, animado por el Espíritu Santo, que puede describirse como ese “olfato” o capacidad instintiva del Pueblo de Dios, bajo la guía de los pastores (cf. LG 12), para «encontrar nuevos caminos que el Señor abre a la Iglesia» (Francisco, Discurso con ocasión de la conmemoración del 50 aniversario de la institución del Sínodo de los Obispos, 17 de octubre de 2015).
59. El discernimiento compromete a quienes participan en él, a nivel personal y todos juntos a nivel comunitario, pidiéndoles que cultiven las disposiciones de libertad interior, de apertura a la novedad y de abandono confiado a la voluntad de Dios, y que se escuchen unos a otros para oír «lo que el Espíritu dice a las Iglesias» (Ap 2,7). María, con su presencia orante en el corazón de la comunidad apostólica en el Cenáculo (cf. Hch 1,14), es para todos un modelo vivo y una guía generadora de una auténtica espiritualidad sinodal: en la escucha perseverante y responsable de la Palabra y en el discernimiento meditativo de los acontecimientos (cf. Lc 1,26-38; 2,19.51), en la apertura generosa a la acción del Espíritu Santo (cf. Lc 1,35), en el compartir la acción de gracias por la obra del Señor (cf. Lc 1,39-56) y en el servicio concreto y puntual a todas y cada una de las personas (cf. Jn 2,1-12) que Jesús encomendó a sus cuidados maternales (cf. Jn 19,25-27).
60. Precisamente dado que requiere que cada uno comparta su punto de vista en la perspectiva de la misión común, un proceso de discernimiento articula concretamente comunión, misión y participación. En otras palabras, es una forma de caminar juntos. Por eso es fundamental promover una amplia participación en los procesos de discernimiento, cuidando especialmente la implicación de quienes se encuentran en los márgenes de la comunidad cristiana y de la sociedad.
61. El punto de partida y el criterio de referencia de todo discernimiento eclesial es la escucha de la Palabra de Dios. Las Sagradas Escrituras constituyen el testimonio por excelencia de la comunicación de Dios con la humanidad. Atestiguan que Dios ha hablado a su pueblo y sigue haciéndolo, y presentan distintos canales a través de los cuales se produce esta comunicación. Dios habla a través de la meditación personal de las Escrituras, en la que resuena “algo” del texto bíblico sobre el que se reza. Dios habla a la comunidad en la liturgia, lugar hermenéutico por excelencia de lo que el Señor dice a su Iglesia. Dios habla a través de la Iglesia, que es madre y maestra, a través de su tradición viva y sus prácticas, incluidas las de la piedad popular. Dios sigue hablando a través de los acontecimientos que tienen lugar en el espacio y en el tiempo, siempre que sepamos discernir su significado. De nuevo, Dios se comunica con su Pueblo a través de los elementos del cosmos, cuya existencia misma remite a la acción del Creador y que está lleno de la presencia del Espíritu Santo “que da la vida”. Por último, Dios habla en la conciencia personal de cada uno, que «es el núcleo más secreto y el sagrario del hombre, en el que éste se siente a solas con Dios, cuya voz resuena en el recinto más íntimo de aquélla» (GS 16). Un auténtico discernimiento no puede descuidar ninguno de estos canales de comunicación.
62. El discernimiento comunitario no es una técnica organizativa, sino una práctica exigente que cualifica la vida y la misión de la Iglesia vivida en Cristo y en el Espíritu Santo. Por eso debe realizarse siempre con la conciencia y la voluntad de estar reunidos en el nombre del Señor Jesús (cf. Mt 18,20), escuchando la voz del Espíritu Santo. Como prometió Jesús, sólo el Espíritu Santo puede conducir a la Iglesia por el camino de la plenitud de la verdad (cf. Jn 16,13) y de la vida, para dispensarlas a un mundo sediento de sentido. El método con el que el Pueblo de Dios vive su camino de anuncio y testimonio del Evangelio tiene aquí sus raíces. Por tanto, es prioritario aprender a practicar a todos los niveles ese arte evangélico que permitió a la comunidad apostólica de Jerusalén sellar el resultado del primer acontecimiento sinodal de la historia de la Iglesia con las palabras: «Hemos decidido, el Espíritu Santo y nosotros» (Hch 15,28). En este espíritu, la práctica de la vida sinodal misionera de la Iglesia en lugares, organismos y acontecimientos concretos, debe recomponerse y reorientarse.
63. Las opciones procesales concretas, en su variedad, deben ser coherentes con las exigencias de la metodología teológica subyacente. También sobre la base de la experiencia del proceso sinodal, es posible identificar algunos elementos clave para el diseño de cualquier procedimiento: a) una vida de oración personal y comunitaria, que incluya la participación en la Eucaristía; b) una preparación personal y comunitaria adecuada, fundada en la escucha de la Palabra de Dios y de la realidad; c) una escucha respetuosa y profunda de la palabra de cada uno; d) la búsqueda de un consenso lo más amplio posible no por intersección (por tanto, a la baja), sino por desbordamiento, tratando de poner de relieve lo que más hace “arder nuestro corazón” (cf. Lc 24,32); e) la formulación del consenso, por parte de quien conduce el proceso y su devolución a todos los participantes, quienes deben confirmar o no si se sienten reconocidos en esa formulación.
64. El discernimiento siempre tiene lugar “con los pies en la tierra”, es decir, dentro de un contexto concreto, cuyas complejidades y peculiaridades deben conocerse lo mejor posible. Por lo tanto, no podrá más que beneficiarse de la aportación que brota del análisis de las distintas ciencias humanas, sociales y administrativas pertinentes para el asunto en cuestión. A la competencia técnica y científica no le corresponde la última palabra –lo que significaría caer en una deriva tecnocrática– sino «dar una base de concreción al camino ético y espiritual que sigue» (LS 15). Será por tanto necesario garantizar que pueda ofrecer su aportación, de la cual no se puede prescindir, sin adquirir un papel dominante sobre las demás perspectivas.
65. En la Iglesia existe una gran variedad de enfoques para el discernimiento y de metodologías consolidadas. Esta variedad es una riqueza: con las adaptaciones adecuadas a los diferentes contextos, todos los enfoques pueden resultar fecundos. Con vistas al bien común, es importante que entablen un diálogo cordial, sin dispersar las especificidades de cada uno y sin un atrincheramiento identitario. La fecundidad de la conversación en el Espíritu, que surgió en todas las etapas del proceso sinodal, nos invita a considerar esta forma peculiar de discernimiento eclesial como particularmente adecuada para el ejercicio de la sinodalidad.
66. En las Iglesias locales es esencial ofrecer oportunidades de formación que difundan y alimenten una cultura del discernimiento, especialmente entre quienes ocupan puestos de responsabilidad. Es igualmente importante cuidar la formación de acompañantes o facilitadores, cuya aportación resulta a menudo crucial para llevar a cabo los procesos de discernimiento. En esta línea se inscribe también el trabajo del grupo de estudio n. 9, dedicado a la preparación de criterios teológicos y metodologías sinodales para un discernimiento compartido de cuestiones doctrinales, pastorales y éticas controvertidas.
La articulación de los procesos de toma de decisiones
67. «En la Iglesia sinodal toda la comunidad, en la libre y rica diversidad de sus miembros, es convocada para orar, escuchar, analizar, dialogar, discernir y aconsejar para que se tomen las decisiones pastorales más conformes con la voluntad de Dios» (CTI, n. 68). Más que una profundización, esta afirmación debe ponerse en práctica. Es difícil imaginar una manera más eficaz de promover una Iglesia sinodal que la participación de todos en los procesos de toma de decisiones. Esta participación tiene lugar sobre la base de una responsabilidad diferenciada que respeta a cada miembro de la comunidad y valora sus capacidades y dones con vistas a la decisión compartida.
68. Para favorecer su aplicación, parece oportuno reflexionar sobre la articulación de los procesos de toma de decisiones. Éste suele incluir una fase de elaboración o instrucción (decision-making, según la terminología inglesa utilizada también en otros idiomas), «mediante un trabajo común de discernimiento, consulta y cooperación» (CTI, n. 69), que informa y apoya la posterior toma de decisiones (decision-taking), que corresponde a la autoridad competente (por ejemplo, en una diócesis o eparquía, al obispo). No hay competencia ni contraste entre las dos fases, sino que, por su articulación, contribuyen a que las decisiones tomadas sean lo más conformes posible con la voluntad de Dios: «La elaboración es una competencia sinodal, la decisión es una responsabilidad ministerial» (ibíd.).
69. En muchos casos, la legislación vigente ya prescribe que, antes de tomar una decisión, la autoridad está obligada a realizar una consulta. Esta consulta eclesial no puede dejar de hacerse y va mucho más allá de la escucha, ya que compromete a la autoridad a no proceder como si no hubiera tenido lugar. La autoridad sigue siendo libre desde el punto de vista jurídico, ya que el dictamen consultivo no es vinculante, pero, si está de acuerdo, no se apartará de él sin una razón convincente (sine praevalenti ratione; CIC, c. 127, § 2, 2°). Si lo hiciera, se aislaría del grupo de los consultados, constituyendo una lesión al vínculo que los une. En la Iglesia, el ejercicio de la autoridad no consiste en la imposición de una voluntad arbitraria, sino que, como ministerio al servicio de la unidad del Pueblo de Dios, constituye una fuerza moderadora de la búsqueda común de lo que el Espíritu requiere.
70. En una Iglesia sinodal, la competencia decisoria del obispo, del Colegio Episcopal y del Romano Pontífice es inalienable, ya que está arraigada en la estructura jerárquica de la Iglesia establecida por Cristo. Sin embargo, no es incondicional: no se puede ignorar una directriz que surja en el proceso consultivo como resultado de un discernimiento correcto, especialmente si lo llevan a cabo los organismos de participación de la Iglesia local. El objetivo del discernimiento eclesial sinodal no es hacer que los obispos obedezcan a la voz del Pueblo, subordinando los primeros al segundo, ni ofrecer a los obispos un expediente para hacer aceptables decisiones ya tomadas, sino conducir a una decisión compartida en obediencia al Espíritu Santo. Una oposición entre consulta y deliberación es, por tanto, inadecuada: en la Iglesia la deliberación tiene lugar con la ayuda de todos, nunca sin que la autoridad pastoral decida en virtud de su cargo. Por esta razón, la fórmula recurrente en el CIC, que habla de un “voto sólo consultivo” (tantum consultivum), disminuye el valor de la consulta y debe corregirse.
71. Corresponde a las Iglesias locales aplicar cada vez más todas las posibilidades de dar vida a procesos de decisión auténticamente sinodales, adecuados a las especificidades de los diferentes contextos. Se trata de una tarea de gran importancia y urgencia, ya que de ella depende en gran medida el éxito de la realización de la fase de implementación del Sínodo. Sin cambios concretos, la visión de una Iglesia sinodal no será creíble y esto alejará a los miembros del Pueblo de Dios que han sacado fuerza y esperanza del camino sinodal. Esto se aplica aún más especialmente a la participación efectiva de las mujeres en los procesos de elaboración y de toma de decisiones, como se pide en muchas de las aportaciones recibidas de las Conferencias Episcopales.
72. Por último, no hay que olvidar que los procesos de consulta, discernimiento comunitario o toma de decisiones sinodales requieren que cuantos participan en éstos, tengan acceso efectivo a toda la información relevante, para que puedan formular su propia opinión con conocimiento de causa. Es responsabilidad de la autoridad que inicia el proceso garantizar que así sea. Unos procesos de toma de decisiones sinodales sólidos requieren un nivel adecuado de transparencia. Del mismo modo, conviene subrayar la delicadeza de la tarea y la especial responsabilidad de quienes expresan su opinión en una consulta.
Transparencia, rendición de cuentas, evaluación
73. Una Iglesia sinodal necesita una cultura y una práctica de la transparencia y la rendición de cuentas (accountability, término inglés utilizado también en otras lenguas), indispensables para promover la confianza mutua necesaria para caminar juntos y ejercer la corresponsabilidad en la misión común. En la Iglesia, el ejercicio de la rendición de cuentas no responde en primer lugar a exigencias de carácter social y organizativo. Su fundamento se encuentra más bien en la naturaleza de la Iglesia como misterio de comunión.
74. En el Nuevo Testamento podemos encontrar prácticas de rendición de cuentas en la vida de la Iglesia primitiva, significativamente relacionadas precisamente con la custodia de la comunión. Un ejemplo es el cap. 11 de los Hechos de los Apóstoles: cuando Pedro regresa a Jerusalén tras haber bautizado a Cornelio, un pagano, «los de la circuncisión le dijeron en son de reproche: “Has entrado en casa de incircuncisos y has comido con ellos”» (Hch 11, 2-3). Pedro responde con un relato que da cuenta de las razones de sus acciones. Dar cuenta del propio ministerio a la comunidad pertenece a la tradición más antigua, que se remonta a la Iglesia apostólica. La teología cristiana del servicio (stewardship) ofrece un marco en el que comprender el ejercicio de la autoridad y situar la reflexión sobre la transparencia y la rendición de cuentas.
75. En nuestra época, la exigencia de transparencia y rendición de cuentas en la Iglesia y por parte de la Iglesia, se ha impuesto a raíz de la pérdida de credibilidad debida a los escándalos financieros y, sobre todo, a los abusos sexuales y de otro tipo a menores y personas vulnerables. La falta de transparencia y de rendición de cuentas alimenta el clericalismo, que se basa en el supuesto implícito de que los ministros ordenados no tienen que rendir cuentas a nadie por el ejercicio de la autoridad que se les ha conferido.
76. Si la Iglesia sinodal quiere ser acogedora, la rendición de cuentas y la transparencia deben estar en el centro de su acción a todos los niveles y no sólo a nivel de autoridad. Sin embargo, quienes ocupan puestos de autoridad tienen una mayor responsabilidad a este respecto. La transparencia y la rendición de cuentas no se limitan al ámbito de los abusos sexuales y financieros. También deben referirse a los planes pastorales, a los métodos de evangelización y a las modalidades con que la Iglesia respeta la dignidad de la persona humana, por ejemplo, en lo que respecta a las condiciones de trabajo en sus instituciones.
77. Si bien la práctica de la rendición de cuentas a los superiores se ha conservado a lo largo de los siglos, debe recuperarse la dimensión de la rendición de cuentas de la autoridad ante la comunidad. La transparencia debe ser una característica del ejercicio de la autoridad en la Iglesia. Hoy en día, parecen necesarias estructuras y formas de evaluar periódicamente el modo en que se ejercen las responsabilidades ministeriales de todo tipo. La evaluación, entendida en un sentido no moralista, permite a los ministros realizar los ajustes oportunos y favorece su crecimiento y su capacidad de prestar un mejor servicio.
78. Además de observar lo ya previsto en las normas canónicas en materia de criterios y mecanismos de control, corresponde a las Iglesias locales y especialmente a sus agrupaciones (Conferencias Episcopales y Estructuras Jerárquicas Orientales) construir formas y procedimientos eficaces de transparencia y rendición de cuentas, adecuados a la variedad de contextos, partiendo del marco normativo civil, de las expectativas de la sociedad y de la disponibilidad real de competencias en la materia. Sin embargo, incluso allí donde los recursos sean escasos, la Iglesia trabajará por una evolución de su trabajo y de su mentalidad común en la dirección de la transparencia y de una cultura de rendición de cuentas.
79. En particular, en formas adecuadas a los diferentes contextos, parece necesario garantizar al menos: a) un funcionamiento eficaz de los Consejos de Asuntos Económicos; b) la participación efectiva del Pueblo de Dios, en particular de los miembros más competentes, en la planificación pastoral y económica; c) la elaboración y publicación (accesibilidad efectiva) de un balance financiero anual, en la medida de lo posible certificado por auditores externos, que haga transparente la gestión de los bienes y de los recursos financieros de la Iglesia y de sus instituciones; d) un informe anual sobre el rendimiento y desarrollo de la misión, que incluya una ilustración de las iniciativas emprendidas en materia de safeguarding (protección de menores y personas vulnerables) y la promoción del acceso de las mujeres a puestos de autoridad y su participación en los procesos de toma de decisiones; e) procedimientos de evaluación periódica del rendimiento y desarrollo de todos los ministerios y cargos de la Iglesia. Una vez más, se trata de un punto de gran importancia y urgencia para la credibilidad del proceso sinodal y su puesta en práctica.
Parte III - Lugares
La vida sinodal misionera de la Iglesia, las relaciones que la estructuran y los caminos que aseguran su desarrollo, nunca pueden prescindir de la concreción de un “lugar”, es decir, de un contexto y de una cultura. Esta Parte III nos invita a superar una visión estática de los lugares, que los ordena por niveles o grados sucesivos (Parroquia, Zona, Diócesis o Eparquía, Provincia Eclesiástica, Conferencia Episcopal o Estructura Jerárquica Oriental, Iglesia Universal) según un modelo piramidal. En realidad, esto nunca ha sido así: la red de relaciones e intercambio de dones entre las Iglesias siempre ha tenido una forma reticular y no lineal, en el vínculo de unidad del que el Romano Pontífice es el principio y fundamento perpetuo y visible, y la catolicidad de la Iglesia nunca ha coincidido con un universalismo abstracto. Además, en el contexto de una concepción del espacio en constante evolución, restringir la acción de la Iglesia a límites puramente espaciales la aprisionaría en un inmovilismo fatal y en una preocupante repetición pastoral, incapaz de captar a la parte más dinámica de la población, especialmente a los jóvenes. En cambio, los lugares deben situarse en una perspectiva de interioridad mutua, concretarse también en las relaciones entre las Iglesias y en sus agrupaciones dotadas de una unidad de sentido. El servicio de la unidad que compete al Obispo de Roma y al Colegio de los Obispos en comunión con él, debe ajustarse también a este escenario, elaborando las formas institucionales adecuadas para su ejercicio.
Territorios que recorrer juntos
80. «A la Iglesia de Dios que está en Corinto...» (1 Cor 1,2). La proclamación del Evangelio, suscitando la fe en el corazón de los hombres y de las mujeres, hace que se constituya una Iglesia en un determinado lugar. La Iglesia no puede entenderse sin estar arraigada en un lugar y en una cultura y sin las relaciones que se establecen entre lugares y culturas. Destacar la importancia del lugar no significa ceder al particularismo o al relativismo, sino valorar la concreción en la que, en el espacio y en el tiempo, toma forma una experiencia compartida de adhesión a la manifestación del Dios que salva. La dimensión del lugar custodia la pluralidad originaria de las configuraciones de esta experiencia y su arraigo en contextos culturales e históricos específicos. La variedad de las tradiciones litúrgicas, teológicas, espirituales y disciplinarias es la demostración más evidente de cómo esta pluralidad enriquece a la Iglesia y la hace bella. Es la comunión de las Iglesias, cada una con su concreción local, la que manifiesta la comunión de los fieles en la Iglesia, una y única, evitando su disolución en un universalismo abstracto y uniformador.
81. La experiencia del pluralismo de las culturas y de la fecundidad del encuentro y del diálogo entre ellas, es condición de vida de la Iglesia, no una amenaza para su catolicidad. El mensaje de salvación sigue siendo uno y el mismo: «Un solo cuerpo y un solo Espíritu, como una sola es la esperanza de la vocación a la que habéis sido convocados. Un Señor, una fe, un bautismo. Un Dios, Padre de todos, que está sobre todos, actúa por medio de todos y está en todos». (Ef 4,4-6). Este mensaje adopta una forma plural, expresada en la diversidad de pueblos, culturas, tradiciones y lenguas. Tomarse en serio esta pluralidad de formas evita las pretensiones hegemónicas y el riesgo de reducir el mensaje salvífico a una única comprensión de la vida eclesial y de las expresiones litúrgicas, pastorales o morales. El entramado de relaciones en el seno de una Iglesia sinodal, hecho visible en el intercambio de dones entre las Iglesias y garantizado por la unidad del Colegio Episcopal, con el Obispo de Roma a la cabeza, es un baluarte dinámico de una unidad que nunca puede convertirse en uniformidad.
82. Todo ello está llamado hoy a medirse en unas condiciones socioculturales que alteran profundamente la experiencia vivida del arraigo territorial. El lugar ya no puede entenderse en términos puramente geográficos y espaciales, sino que se refiere a la pertenencia a una red de relaciones y a una cultura con un anclaje territorial más dinámico y elástico que en el pasado. Esto no puede dejar de cuestionar las formas organizativas de la Iglesia que se han estructurado sobre la base de una concepción diferente del lugar, y también requiere asumir criterios diferentes, si bien no contradictorios, para encarnar la verdad única en la vida de las personas.
83. Entre los factores de este cambio se encuentra sin duda el fenómeno de la urbanización: hoy, por primera vez en la historia de la humanidad, la mayor parte de la humanidad vive en contextos urbanos y no rurales. La pertenencia territorial se configura de forma diferente en un contexto urbano, donde los límites entre unos lugares y otros tienen un carácter más evidentemente convencional. En las grandes ciudades, bastan unas pocas paradas de metro para cruzar, no sólo los límites de la parroquia, sino también los de la diócesis: un trayecto que muchas personas realizan varias veces en un mismo día. Su vida transcurre habitualmente en diferentes lugares eclesiales.
84. Un segundo factor es el aumento de la movilidad humana, por diferentes motivos, dentro de un mundo globalizado. Refugiados y migrantes constituyen a menudo comunidades vibrantes, incluso en la práctica de la fe, dotando así de una naturaleza plural el lugar en el que se asientan. Al mismo tiempo, mantienen, también gracias a los medios digitales, vínculos y relaciones con su país de origen. Experimentan así una pertenencia local, cultural y lingüística múltiple. Las comunidades de origen por su parte experimentan una reducción de sus miembros, hasta el punto de desaparecer, y al mismo tiempo, una expansión de su tejido relacional a escala mundial. Como señaló la primera sesión del Sínodo, es llamativa a este respecto la situación de algunas Iglesias católicas orientales: con los actuales ritmos de los flujos migratorios, sus miembros en la diáspora podrían llegar a ser más numerosos que los que viven en los territorios canónicos (cf. IdS 6c). En cualquier caso, cada vez será más anacrónico definir su lugar en términos puramente geográficos. Sobre los retos que esto plantea en las relaciones con la Iglesia latina, el Grupo de Estudio n.1 está llamado a reflexionar.
85. Por último, no podemos pasar por alto la difusión de la cultura del entorno digital, especialmente entre los jóvenes. Afecta radicalmente a su experiencia y concepción del espacio y del tiempo, así como a su forma de vivir las actividades de todo tipo, las comunicaciones y las relaciones, e incluso la fe. No es casualidad que la Primera Sesión afirme que «la cultura digital no es tanto un área distinta de la misión, cuanto una dimensión crucial del testimonio de la Iglesia» (IdS 17b). El trabajo del tercero de los diez grupos de estudio está dedicado a este reto.
86. Estas dinámicas de la sociedad y de la cultura piden a la Iglesia que vuelva a reflexionar sobre el sentido de su propia dimensión local, con vistas al bien de la misión. Sin olvidar que la vida se desarrolla siempre en contextos físicos y en culturas concretas, de las que nunca se puede prescindir, es necesario alejarse de una interpretación puramente espacial del lugar: los lugares, también y sobre todo los de la Iglesia, no son sólo espacios, sino ámbitos y redes en los que pueden desarrollarse relaciones, que ofrecen a las personas una oportunidad de arraigo y un apoyo para la misión, que llevarán a cabo dondequiera que se desarrolle su vida. La conversión sinodal de las mentes y de los corazones debe ir acompañada de una reforma sinodal de los lugares eclesiales, llamados a ser caminos por los que avanzar juntos. Esto no significa encerrar la acción pastoral en pertenencias electivas, ya que debe poder encontrar a cada hombre y a cada mujer.
87. Esta reforma debe realizarse sobre la base de la comprensión de la Iglesia como Pueblo santo de Dios, articulada en la comunión de las Iglesias (communio Ecclesiarum). La experiencia vivida nos ha demostrado que poner en marcha el proceso sinodal desde las Iglesias locales no compromete la unidad de toda la Iglesia, sino que expresa la variedad y la universalidad del Pueblo de Dios (cf. LG 22), ni perjudica el ejercicio del ministerio de unidad del Obispo de Roma, sino que lo valora. La Iglesia no se puede concebir partiendo de sus instituciones, sino que éstas, incluso las más importantes, deben repensarse en la lógica del servicio misionero.
88. En razón del servicio del Obispo de Roma como principio visible de unidad de toda la Iglesia y de cada obispo como principio visible de unidad en su Iglesia, el Concilio pudo afirmar que la Iglesia, cuerpo místico de Cristo, es también un cuerpo de Iglesias, en las cuales y a partir de las cuales existe una Iglesia católica, una y única (cf. LG 23). Este cuerpo se articula: a) en las Iglesias individuales como porciones del Pueblo de Dios, cada una confiada a un obispo; b) en las agrupaciones de Iglesias, en las que las instancias de comunión están representadas sobre todo por los organismos jerárquicos; c) en la Iglesia entera (Ecclesia tota), donde la Iglesia como comunión de Iglesias se expresa por el Colegio de los Obispos reunidos en torno al Obispo de Roma en el vínculo de la comunión episcopal (cum Petro) y jerárquica (sub Petro). La reforma de las instituciones eclesiales debe seguir esta articulación ordenada de la Iglesia.
Iglesias locales en la Iglesia católica, una y única
89. La Iglesia local, en su articulación, es el lugar en el que podemos experimentar más inmediatamente la vida sinodal misionera de toda la Iglesia. Las aportaciones de las Conferencias Episcopales hablan de las parroquias, las comunidades de base y las pequeñas comunidades como ámbitos de comunión y participación en la misión. Como afirmaron los párrocos reunidos en Sacrofano, «los miembros de las parroquias son y se convierten en discípulos misioneros de Jesús, reunidos en su nombre para la oración y el culto, el servicio y el testimonio en tiempos de alegría y de dolor, de esperanza y de lucha». Dios actúa en estas realidades eclesiales. Al mismo tiempo, somos conscientes de que debemos hacer más para aprovechar la gran plasticidad de la parroquia, entendida como comunidad de comunidades, al servicio de la creatividad misionera.
90. Hoy en día, las Iglesias locales se componen también de realidades asociativas y comunitarias que son a la vez expresiones antiguas y nuevas de la vida cristiana. En particular, los Institutos de Vida Consagrada y las Sociedades de Vida Apostólica contribuyen mucho a la vida de las Iglesias locales y a la vivacidad de la acción misionera. Lo mismo ocurre con las asociaciones laicales, los movimientos eclesiales y las Nuevas Comunidades. La pertenencia a la Iglesia se expresa hoy con un número cada vez mayor de formas que no se refieren a una base geográficamente definida, sino a vínculos de tipo asociativo. Esta variedad de formas debe promoverse, teniendo siempre presente la perspectiva misionera y el discernimiento eclesial de lo que el Señor pide en cada contexto particular. La animación de esta múltiple variedad y el cuidado de los vínculos de unidad son competencia específica del obispo diocesano o eparquial. Al Grupo de Estudio n. 6 se le encomendó la tarea de profundizar en estos aspectos.
91. Al igual que en las fases anteriores del proceso sinodal, también durante la consulta para la redacción de este Instrumentum laboris, muchas de las aportaciones recibidas consideran los distintos tipos de Consejos (parroquiales, zonales, diocesanos o eparquiales) como instrumentos esenciales para la planificación, organización, ejecución y evaluación de las actividades pastorales, y señalan la necesidad de valorizarlas. De hecho, se trata de estructuras previstas por la legislación vigente. Con las adaptaciones oportunas, podrían resultar aún más adecuadas para concretar ciertos aspectos de un estilo sinodal, dado que pueden convertirse en sujetos de procesos de discernimiento eclesial y de procesos de toma de decisiones sinodales, así como en lugares para la práctica de la rendición de cuentas y la evaluación de quienes ocupan cargos de autoridad, sin olvidar que éstos, a su vez, deberán rendir cuentas del modo en que desempeñan sus funciones. Se trata, por tanto, de uno de los ámbitos más prometedores sobre los que actuar para alcanzar una rápida aplicación de las orientaciones sinodales y generar así cambios que se podrán percibir rápidamente.
92. Para avanzar en esta dirección, muchas aportaciones señalan la necesidad de intervenir sobre el perfil y el modus operandi de estos órganos. Entre los aspectos más significativos a los que hay que prestar atención se encuentra el modo en que se nombra a los miembros, con el objetivo de garantizar que su composición refleje la de la comunidad de referencia (parroquia o diócesis/parroquia), para contribuir de forma creíble a la promoción de una cultura de transparencia y responsabilidad. Por lo tanto, es necesario que la mayoría de los miembros no sean elegidos por la autoridad (obispo o párroco), sino designados de otra manera, expresando efectivamente la realidad de la comunidad o de la Iglesia local.
93. Debe prestarse la misma atención a la composición de estos órganos, a fin de favorecer una mayor participación de las mujeres, de los jóvenes y de las personas que viven en condiciones de pobreza o marginación. Además, como también se evidenció en la Primera Sesión, es fundamental que estos órganos incluyan a hombres y mujeres comprometidos con el testimonio de la fe en las realidades ordinarias de la vida y de las dinámicas sociales, con una reconocida disposición apostólica y misionera (cf. IdS 18d) y no sólo a personas comprometidas con la organización de la vida y los servicios en el seno de la comunidad. De esta manera, el discernimiento eclesial llevado a cabo por estos órganos se beneficiará de una mayor apertura, capacidad de análisis de la realidad y pluralidad de perspectivas. Por último, muchas aportaciones señalan la conveniencia de que tengan carácter obligatorio aquellos consejos cuya creación, según el derecho actualmente vigente, sea discrecional.
94. Algunas Conferencias Episcopales comparten también experiencias de reforma y buenas prácticas ya existentes, como la creación de redes de consejos pastorales a nivel de comunidades de base, zonas y parroquias, hasta llegar al Consejo Pastoral Diocesano. Como modelo de consulta y de escucha, se propone la celebración de asambleas eclesiales a todos los niveles, sin por ello limitar la consulta únicamente a la Iglesia católica, sino abriéndose a la aportación de otras Iglesias y Comunidades eclesiales y de otras religiones presentes en el territorio y en la sociedad, junto a las cuales camina la comunidad cristiana.
Los vínculos que conforman la unidad de la Iglesia
95. El horizonte de comunión del intercambio de dones, evidenciado en la Parte I, constituye el criterio inspirador de la relación entre las Iglesias. Combina el énfasis en los vínculos que conforman la unidad de la Iglesia con la valoración de las particularidades ligadas al contexto en el que vive cada Iglesia local, con su historia y su tradición. Adoptar un estilo sinodal significa que las Iglesias no deben avanzar necesariamente al mismo ritmo, a la hora de afrontar cualquier cuestión. Al contrario, las diferencias de ritmo pueden valorarse como expresión de una diversidad legítima y como oportunidad para un intercambio de dones y un enriquecimiento recíproco. Para su realización, este horizonte debe encarnarse en estructuras y prácticas concretas. Responder a la pregunta «¿Cómo ser una Iglesia sinodal en misión?» requiere identificarlas y promoverlas.
96. Las estructuras jerárquicas orientales y las Conferencias Episcopales son un instrumento fundamental para crear vínculos y compartir experiencias entre las Iglesias, así como para descentralizar el gobierno y la planificación pastoral. «El Concilio Vaticano II expresó que, de modo análogo a las antiguas Iglesias patriarcales, las Conferencias Episcopales pueden “desarrollar una obra múltiple y fecunda, a fin de que el afecto colegial tenga una aplicación concreta” (LG 23). Pero este deseo no se realizó plenamente, por cuanto todavía no se ha explicitado suficientemente un estatuto de las Conferencias Episcopales que las conciba como sujetos de atribuciones concretas, incluyendo también alguna auténtica autoridad doctrinal» (EG 32). Para ser una Iglesia sinodal en misión, es necesario afrontar esta cuestión.
97. Sobre la base de lo que surgió durante el proceso sinodal, se propone a) reconocer a las Conferencias Episcopales como sujetos eclesiales dotados de autoridad doctrinal, asumiendo la diversidad sociocultural en el marco de una Iglesia polifacética y favoreciendo la valoración de las expresiones litúrgicas, disciplinares, teológicas y espirituales adecuadas a los diferentes contextos socioculturales b) proceder a una evaluación de la experiencia vivida del funcionamiento de las Conferencias Episcopales y de las Estructuras Jerárquicas Orientales, de las relaciones entre los Episcopados y con la Santa Sede, con el fin de identificar las reformas concretas que deben aplicarse; las visitas ad limina, que forman parte del Grupo de Estudio núm. 7, podrían constituir una ocasión propicia para esta evaluación; c) garantizar que todas las diócesis o eparquías estén adscritas a una Provincia Eclesiástica y a una Conferencia Episcopal o Estructura Jerárquica Oriental (cf. CD 40).
98. La experiencia de las Asambleas continentales fue la novedad de la primera fase del proceso sinodal, dando una aplicación más coherente a la indicación conciliar de tomar en serio la peculiaridad «en cada gran territorio sociocultural” en busca de «una acomodación más profunda en todo el ámbito de la vida cristiana» (AG 22). Esta experiencia, así como el camino de las Iglesias en algunas regiones, plantea la cuestión de articular el dinamismo sinodal y colegial mediante expresiones institucionales apropiadas, por ejemplo, asambleas eclesiales y Conferencias Episcopales, a quienes poder encomendar tareas coordinadas de elaboración y toma de decisiones, en un contexto continental o regional. También pueden adoptarse métodos de discernimiento que incluyan a una diversidad de actores eclesiales en los procesos de elaboración de documentos y de toma de decisiones. Además, se propone que el discernimiento pueda incluir también, bajo formas adaptadas a la diversidad de los contextos, espacios de escucha y de diálogo con las instituciones civiles, los representantes de otras religiones, las organizaciones no católicas y la sociedad en general.
99. El deseo de que el diálogo sinodal local no se agote, sino que se prolongue en el tiempo, y la necesidad de una inculturación efectiva de la fe en ámbitos territoriales significativos, conducen a una nueva valoración de la institución de los Concilios Particulares, tanto provinciales como plenarios, cuya celebración periódica ha sido una obligación durante gran parte de la historia de la Iglesia. A partir de la experiencia adquirida en la vía sinodal, se pueden prever formas que articulen una asamblea sólo de obispos y una asamblea eclesial compuesta también por otros fieles (presbíteros, diáconos, consagrados y consagradas, laicos y laicas), delegados por los consejos pastorales de las diócesis o eparquías implicadas, o designados de otro modo para reflejar la variedad de la Iglesia en la región. Por ello, debería reformarse el procedimiento de la recognitio de las conclusiones de los Concilios particulares, a fin de favorecer su oportuna publicación.
El servicio a la unidad del Obispo de Roma
100. Responder a la pregunta «¿Cómo ser una Iglesia sinodal en misión?» exige también revisar la dinámica que une sinodalidad, colegialidad y primacía, para que pueda fortalecer las relaciones entre las instituciones a través de las cuales encuentra una expresión concreta.
101. El proceso sinodal ha demostrado la verdad de la afirmación conciliar de que «dentro de la comunión eclesiástica, existen legítimamente Iglesias particulares, que gozan de tradiciones propias, permaneciendo inmutable el primado de la cátedra de Pedro, que preside la asamblea universal de la caridad, protege las diferencias legítimas y simultáneamente vela para que las divergencias sirvan a la unidad en vez de dañarla» (LG 13). En virtud de esta función, el Obispo de Roma, como principio visible de unidad de toda la Iglesia (cf. LG 23), es el garante de la sinodalidad. A él le corresponde llamar a toda la Iglesia a la acción sinodal, convocando, presidiendo y confirmando los resultados de los Sínodos de los Obispos. Asimismo, debe velar por que la Iglesia crezca en un estilo y en un forma sinodal.
102. La reflexión sobre las formas de ejercicio del ministerio petrino debe realizarse también en la perspectiva de la «saludable descentralización» (EG 16), urgida por el Papa Francisco y solicitada por muchas Conferencias Episcopales. En la formulación que le da la Constitución Apostólica Praedicate Evangelium, supone «dejar a la competencia de los pastores la facultad de resolver en el ejercicio de “su propio cargo del magisterio” y como pastores las cuestiones que conocen bien y que no afectan a la unidad de doctrina, disciplina y comunión de la Iglesia, actuando siempre con esa corresponsabilidad que es fruto y expresión de ese mysterium communionis específico que es la Iglesia» (PE II, 2).
103. Para proceder en esta dirección, se podría continuar la línea del reciente Motu proprio Competentias quasdam decernere (15 de febrero de 2022), que asigna «algunas competencias, sobre disposiciones del código destinadas a garantizar la unidad de la disciplina de la Iglesia universal, a la potestad ejecutiva de las Iglesias y de las instituciones eclesiales locales, corresponde a la dinámica eclesial de la comunión y valoriza la proximidad» (proemio).
104. Además, la elaboración de la norma canónica también puede ser un lugar para el ejercicio de un estilo sinodal. La acción normativa no se limita al ejercicio de una potestad reconocida a la autoridad, sino que debe considerarse como un verdadero discernimiento eclesial. Aunque por sí sola goza de todas las prerrogativas para legislar, al hacerlo la autoridad podría y debería actuar con método sinodal, a fin de promulgar una norma que sea fruto de una escucha en el Espíritu de una exigencia de justicia.
105. La citada Constitución Apostólica Praedicate Evangelium (ha configurado, en un sentido sinodal y misionero, el servicio que la Curia Romana presta al Obispo de Roma y al Colegio Episcopal. En la lógica de la transparencia y de la rendición de cuentas, deberían preverse formas de evaluación periódica de su trabajo, confiadas a un órgano independiente (como el Consejo de Cardenales y/o un consejo de obispos elegidos por el Sínodo). El Grupo de Estudio n. 8 está dedicado al papel de los representantes pontificios en la perspectiva misionera sinodal y a las modalidades de evaluación de su trabajo.
106. La misma Asamblea de octubre de 2023 indicó la necesidad de proceder a una evaluación de los frutos de la Primera Sesión (cf. IdS 20j), evaluación que no puede prescindir del desarrollo marcado por la Constitución Apostólica Episcopalis communio, que transforma el Sínodo, como acontecimiento puntual, en un proceso eclesial que se extiende en el espacio y en el tiempo. Entre los lugares para practicar la sinodalidad y la colegialidad a nivel de toda la Iglesia, destaca sin duda el Sínodo de los Obispos. Instituido por San Pablo VI como asamblea de obispos convocada para participar, por medio de consejos, en la solicitud del Romano Pontífice por toda la Iglesia, es ahora, bajo la forma del proceso por fases, el ámbito en el que se realiza y puede incentivarse la relación dinámica entre sinodalidad, colegialidad y primacía. Todo el santo Pueblo de Dios, los obispos a quienes se confían sus porciones individuales y el Obispo de Roma como principio de unidad de la Iglesia, participan plenamente en el proceso sinodal, cada uno según su propia función. Esta participación se hace patente en la Asamblea sinodal congregada en torno al Obispo de Roma, que, en su composición, muestra la variedad y universalidad de la Iglesia como «“sacramento de unidad”, es decir, pueblo santo congregado y ordenado bajo la dirección de los obispos» (SC 26).
107. Entre los frutos más significativos del Sínodo 2021-2024 cabe destacar la intensidad del impetu y de la promesa ecuménica que lo caracteriza. Puede ser útil abordar también, bajo esta perspectiva, la cuestión del ejercicio del ministerio petrino, para que se abra «a una situación nueva» (UUS 95). El reciente documento del Dicasterio para la Promoción de la Unidad de los Cristianos, El Obispo de Roma. Primacía y sinodalidad en los diálogos ecuménicos y en las respuestas a la Encíclica “Ut unum sint” ofrece elementos para una mayor profundización. El tema forma parte del Grupo de Estudio n. 10, dedicado a la recepción de los frutos del camino ecuménico en las prácticas eclesiales.
108. La riqueza que representa la participación en la Primera Sesión de los Delegados Fraternos, procedentes de otras Iglesias y Comunidades Eclesiales, nos invita prestar mayor atención a cómo se realiza la sinodalidad en nuestros socios ecuménicos, tanto en Oriente como en Occidente. El diálogo ecuménico es fundamental para desarrollar una comprensión de la sinodalidad y de la unidad de la Iglesia. Sobre todo, nos impulsa a imaginar prácticas sinodales auténticamente ecuménicas, hasta formas de consulta y discernimiento sobre cuestiones de interés compartido y urgente. Lo que fundamenta esta posibilidad es el hecho de que estemos unidos en el único Bautismo, del que brotan la identidad del Pueblo de Dios y el dinamismo de la comunión, la participación y la misión.
Conclusión - La Iglesia sinodal en el mundo
109. En este mundo, cada cosa está conectada y determinada por una búsqueda del otro que nunca desaparece. Todo es una llamada a la relación y un testimonio de que nos somos autosuficientes. El mundo entero, cuando se contempla con una mirada educada por la Revelación cristiana, es signo sacramental de una presencia, que le trasciende y anima, conduciéndole al encuentro con Dios, que se realizará definitivamente en la convivencia de las diferencias, que hallará su plena composición en el banquete escatológico preparado por Dios en su monte.
110. Transformada por el anuncio de la Resurrección, la Iglesia quiere convertirse en un lugar donde se respire y se viva la visión de Isaías, para ser «fortaleza para el débil, fortaleza para el pobre en su aflicción, refugio en la tempestad, sombra contra el calor» (Is 25,4). De este modo abre su corazón al Reino. Cuando los miembros de la Iglesia se dejan guiar por el Espíritu del Señor hacia horizontes que antes no habían vislumbrado, experimentan una alegría inconmensurable. En su belleza, humildad y sencillez, ésta es la conversión permanente del estilo de la Iglesia que el proceso sinodal nos invita a emprender.
111. La encíclica Fratelli tutti nos presenta la llamada a reconocernos como hermanas y hermanos en Cristo resucitado, proponiéndonos esto no como un estatus, sino como un estilo de vida. La encíclica subraya el contraste entre el tiempo en que vivimos y la visión de la convivencia preparada por Dios. El velo, el humor sombrío y las lágrimas de nuestro tiempo son el resultado de un aislamiento cada vez mayor, de la creciente violencia y polarización de nuestro mundo y del desarraigo de las fuentes de la vida. Este Instrumentum laboris se interroga y nos interroga sobre cómo ser una Iglesia sinodal misionera, cómo comprometernos en una escucha y un diálogo profundos, cómo ser corresponsables a la luz del dinamismo de nuestra vocación bautismal personal y comunitaria, cómo transformar las estructuras y los procesos para que todos puedan participar y compartir los carismas que el Espíritu derrama sobre cada uno para el bien común y cómo ejercer el poder y la autoridad como servicio. Cada una de estas preguntas es un servicio a la Iglesia y, a través de su acción, a la posibilidad de curar las heridas más profundas de nuestro tiempo.
112. El profeta Isaías termina su oráculo con un himno de alabanza que debemos retomar a una voz: «Aquí está nuestro Dios. Esperábamos en él y nos ha salvado. Este es el Señor en quien esperamos. Celebremos y gocemos con su salvación» (Is 25,9). Como Pueblo de Dios, ¡unámonos a esta alabanza, como peregrinos de la esperanza, sigamos avanzando por el camino sinodal hacia los que aún esperan el anuncio de la Buena Nueva de la salvación!
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[1] A menos que se especifique lo contrario o si se deduce claramente del contexto claramente que no es así, en el texto del Instrumentum laboris el término “Iglesia” indica “la Iglesia católica, una y única” (LG 23), mientras que el plural “Iglesias” indica las Iglesias locales en las que existe y por las que existe.
[2] Aquí, y en todas las que siguen, las citas de las Conferencias Episcopales y de sus agrupaciones continentales proceden de las síntesis enviadas a la Secretaría General del Sínodo al término de la consulta a las Iglesias locales, que tuvo lugar entre finales de 2023 y la primera mitad de 2024.
[3] Difundido por la Secretaría General del Sínodo el 11 de diciembre de 2023 y disponible en www.synod.va.
[4] A este respecto, véase el documento ¿Cómo ser una Iglesia sinodal en misión? Cinco perspectivas para profundizar teológicamente con vistas a la segunda sesión de la XVI Asamblea General Ordinaria del Sínodo de los Obispos, publicado por la Secretaría General del Sínodo el 14 de marzo de 2024 y disponible en www.synod.va.
[5] A este respecto, se puede consultar al documento Grupos de Estudio sobre las cuestiones surgidas en la Primera Sesión de la XVI Asamblea General Ordinaria del Sínodo de los Obispos, a profundizar en colaboración con los Dicasterios de la Curia Romana. Pistas de trabajo, difundido también el 14 de marzo de 2024 y disponible en www.synod.va.
[6] Los temas que se desprenden del Informe de Síntesis de la Primera Sesión y que se asignaron a los diez Grupos de Estudio son:
1. Algunos aspectos referentes a las relaciones entre las Iglesias católicas orientales y la Iglesia latina (IdS 6).
2. La escucha del grito de los pobres (IdS 4 y 16).
3. La misión en el espacio digital (IdS 17).
4. La revisión de la Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis en perspectiva sinodal misionera (IdS 11).
5. Algunas cuestiones teológicas y canónicas en torno a formas ministeriales específicas (RdS 8 y 9).
6. La revisión, en perspectiva sinodal y misionera, de los documentos sobre las relaciones entre Obispos, Vida Consagrada, Agregaciones eclesiales (IdS 10).
7. Algunos aspectos de la figura y del ministerio del Obispo (en particular: los criterios de selección de los candidatos al episcopado, la función judicial del Obispo, la naturaleza y el desarrollo de las visitas ad limina Apostolorum) en una perspectiva sinodal misionera (IdS 12 y 13).
8. El rol de los Representantes Pontificios desde una perspectiva sinodal misionera (IdS 13).
9. Criterios teológicos y metodologías sinodales para un discernimiento compartido de cuestiones doctrinales, pastorales y éticas controvertidas (IdS 15).
10. La recepción de los frutos del camino ecuménico en la praxis eclesial (IdS7).
[7] El término “sínodo” en las tradiciones de las Iglesias orientales y occidentales se refiere a instituciones y acontecimientos que, a lo largo del tiempo, han adoptado diferentes formas, implicando una pluralidad de sujetos. En su variedad, todas estas formas están unidas por el hecho de reunirse para dialogar, discernir y decidir.
[01156-ES.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
XVI ASSEMBLEIA GERAL ORDINÁRIA
DO SÍNODO DOS BISPOS
Como ser Igreja sinodal missionária
Instrumentum laboris
para a Segunda Sessão (outubro de 2024)
Sumário
Introdução
Três anos de caminho
Um intrumento de trabalho para a Segunda Sessão
Fundamentos
A Igreja Povo de Deus, sacramento de unidade
O significado partilhado de sinodalidade
A unidade como harmonia nas diferenças
Irmãs e irmãos em Cristo: uma reciprocidade renovada
Chamada à conversão e à reforma
Parte I – Relações
Em Cristo e no Espírito: a iniciação cristã
Para o Povo de Deus: carismas e ministérios
Com os Ministros ordenados: ao serviço da harmonia
Entre as Igrejas e no mundo: o concreto da comunhão
Parte II – Percursos
Uma formação integral e partilhada
O discernimento eclesial para missão
A articulação dos processos decisórios
Transparência, prestação de contas, avaliação
Parte III – Lugares
Territórios para caminhar juntos
As Igrejas locais na Igreja Católica única e una
Os laços que dão forma à unidade da Igreja
O serviço do Bispo de Roma em prol da unidade
Conclusão – A Igreja sinodal no mundo
SIGLAS
AG Concílio Vaticano II, Decr. Ad gentes (7 de dezembro de 1965)
CD Concílio Vaticano II, Decr. Christus Dominus (28 de outubro de 1965)
CIC Codex iuris canonici (25 de janeiro de 1983)
CTI Comissão Teológica Internacional, A sinodalidade na vida e na missão da Igreja (2 de março de 2018)
DEC Secretaria Geral do Sínodo, Documento para a Etapa Continental (27 de outubro de 2022)
DV Concílio Vaticano II, Const. Dogm. Dei Verbum (18 de novembro de 1965)
EG Francisco, Exort. Ap. Evangelii gaudium (24 de novembro de 2013)
GS Concílio Vaticano II, Const. Past. Gaudium et spes (7 de dezembro de 1965)
LG Concílio Vaticano II, Const. Dogm. Lumen gentium (21 de novembro de 1964)
LS Francisco, Carta Enc. Laudato si’ (24 de maio de 2015)
PE Francisco, Const. Ap. Praedicate Evangelium (19 de março de 2022)
RdS XVI Assembleia Geral Ordinária do Sínodo dos Bispos, Relatório de Síntese (28 de outubro de 2023)
SC Concílio Vaticano II, Const. Sacrosanctum Concilium (4 de dezembro de 1963)
UR Concílio Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio (21 de novembro de 1964)
UUS S. João Paulo II, Carta Enc. Ut unum sint (25 de maio de 1995)
Introdução
Neste monte o Eterno, o Senhor dos Exércitos,
preparará um banquete de carnes gordas para todos os povos,
uma grande mesa de vinhos velhos, com carnes saborosas,
suculentas e muitos vinhos finos.
Neste monte ele destruirá o véu que envolve todos os povos,
a cortina que cobre todas as nações O Senhor Deus acabará para sempre com a morte.
Ele enxugará as lágrimas dos olhos de todos e fará desaparecer do mundo inteiro a vergonha que o seu povo está passando. O Senhor falou.
Is 25,6-8
O profeta Isaías apresenta a imagem de um banquete superabundante e delicioso preparado pelo Senhor no cimo do monte, símbolo de convivialidade e de comunhão, destinado a todos os povos. No momento de voltar para o Pai, o Senhor Jesus confia aos seus discípulos a missão de reunir todos os povos, para lhes servir um banquete feito de um alimento que é penhor de vida e alegria plenas. Através da sua Igreja, guiada pelo seu Espírito, o Senhor quer reacender a esperança no coração da humanidade, restituir a alegria e salvar a todos, em particular os que choram e que, na sua angústia, clamam por Ele. Os seus gritos chegam aos ouvidos de todos os discípulos de Cristo, homens e mulheres que caminham nas profundezas das vicissitudes humanas. Os seus gritos são ainda mais fortes neste tempo em que o caminho sinodal é acompanhado pela explosão de novas guerras e conflitos armados, que vieram a juntar-se aos muitos que continuam a ensanguentar o mundo.
No coração do Sínodo 2021-2024. Para uma Igreja sinodal: comunhão, participação, missão existe uma chamada à alegria e ao renovamento do Povo de Deus no seguimento do Senhor e no compromisso ao serviço da sua missão. A chamada a ser discípulos missionários assenta na identidade batismal comum, radica-se na diversidade de contextos em que a Igreja[1] está presente e encontra unidade no único Pai, no único Senhor e no único Espírito. Esta interpela todos os Batizados, sem exceção: «Todo o Povo de Deus é destinatário do anúncio do Evangelho. Assim, todo o Batizado é convocado a ser protagonista da missão, uma vez que todos somos discípulos missionários» (CTI, n. 53). Este renovamento manifesta-se numa Igreja que, congregada pelo Espírito mediante a Palavra e o Sacramento (cf. CD 11), anuncia a salvação, que continuamente experimenta, a um mundo carente de sentido e sedento de comunhão e solidariedade. É para este mundo que o Senhor prepara um banquete no cimo do seu monte.
Praticar a sinodalidade é o modo através do qual todos renovamos o nosso empenhamento nesta missão e constitui expressão da natureza da Igreja. Crescer como discípulos missionários significa, antes de tudo, responder ao chamamento de Jesus a segui-Lo, correspondendo ao dom recebido quando fomos batizados em nome do Pai, do Filho e do Espírito Santo; e significa ainda aprendermos a acompanhar a história como Povo de peregrinos a caminho rumo a um destino comum: a Cidade celeste. Percorrendo este caminho, repartindo o pão da Palavra e da Eucaristia, transformamo-nos naquilo que recebemos. Saibamos compreender assim que a nossa identidade de Povo salvo e santificado tem uma imprescindível dimensão comunitária que envolve todas as gerações de crentes que nos precederam e que nos seguirão: a salvação a receber e a testemunhar é relacional, uma vez que ninguém se salva da sozinho. Ou melhor, utilizando as palavras do contributo de uma Conferência Episcopal asiática, saibamos crescer gradualmente nesta consciência: «A sinodalidade não é simplesmente um objetivo, mas um caminho de todos os Fiéis, a percorrer em conjunto, de mãos dadas. Compreendermos plenamente este sentido requer tempo»[2]. Santo Agostinho fala da vida cristão como de uma peregrinação solidária, um caminhar em conjunto «para Deus não com passos, mas com os afetos» (Sermão 306 B, 1), partilhando uma vida feita de oração, anúncio e amor ao próximo.
O Concílio Vaticano II ensina que «todos os homens são chamados a esta união com Cristo, luz do mundo, do qual vimos, por quem vivemos, e para o qual caminhamos» (LG 3). No coração do caminho sinodal está o desejo, antigo e sempre novo, de comunicar a todos a promessa e o convite do Senhor, guardados na tradição viva da Igreja, de reconhecer a presença do Ressuscitado no meio de nós e de acolher os múltiplos frutos da ação do seu Espírito. A visão da Igreja, Povo de peregrinos, que em cada parte da terra busca a conversão sinodal por amor da própria missão, guia-nos, enquanto avançamos, com alegria e esperança, no percurso do Sínodo. Esta visão contrasta duramente com a realidade de um mundo em crise, cujas feridas e desigualdades escandalosas ressoam dolorosamente no coração de todos os discípulos de Cristo, levando-nos a rezar por todas as vítimas da violência e da injustiça e a renovar o nosso compromisso ao lado das mulheres e dos homens que em toda as partes do mundo se empenham como obreiros de justiça e de paz.
Três anos de caminho
Após a abertura do processo sinodal, a 9-10 de outubro de 2021, as Igrejas locais de todo o mundo, com ritmos diferentes e expressões multiformes, empenharam-se numa primeira fase de escuta. Pertencer à Igreja significa estar inserido no único Povo de Deus, constituído por pessoas e comunidades que vivem em tempos e locais concretos: a escuta sinodal teve início a partir destas comunidades, passando em seguida pelas etapas diocesanas, nacionais e continentais, num diálogo contínuo impulsionado pela Secretaria Geral do Sínodo através de documentos de síntese e de trabalho. A circularidade do processo sinodal é uma maneira de reconhecer e valorizar o enraizamento da Igreja numa variedade de contextos, ao serviço dos laços que a unem.
A novidade desta primeira fase foi a experiência das Assembleias continentais, que reuniram as Igrejas locais da mesma macrorregião, convidando-as a aprender a escutar-se, acompanhar-se ao longo do caminho e a discernir em conjunto os principais desafios que o contexto em que se encontram coloca à realização da missão.
A Primeira Sessão da XVI Assembleia Geral Ordinária do Sínodo dos Bispos (outubro de 2023) deu início à segunda fase, acolhendo os frutos desta escuta para discernir, na oração e no diálogo, as medidas que o Espírito exorta a realizar. Esta fase prossegue até à conclusão da Segunda Sessão (outubro de 2024), que oferecerá ao Santo Padre o fruto do próprio trabalho, com vista a uma intensa atuação concreta por parte de todas as Igrejas locais.
A preparação da Segunda Sessão baseia-se necessariamente nos resultados da Primeira, recolhidos no Relatório de Síntese (RdS). Com base nestes resultados, em linha com a circularidade que caracteriza todo o processo sinodal e com vista a uma focalização precisa dos trabalhos da Segunda Sessão, foi iniciada uma consulta posterior às Igrejas locais de todo o mundo, a partir de uma questão orientadora: «Como ser Igreja sinodal em missão?». Como especifica o documento Rumo a outubro de 2024[3], o objetivo da consulta consistia em «identificar os caminhos a percorrer e os instrumentos a adotar nos diversos contextos e nas diversas circunstâncias, de modo a valorizar a originalidade de cada Igreja local e de cada Batizado na missão única de anunciar o Senhor ressuscitado e o seu Evangelho ao mundo de hoje. Não se trata, portanto, de nos limitarmos ao projeto de melhorias técnicas ou processuais que tornem mais eficientes as estruturas da Igreja, mas de trabalhar sobre as formas concretas do empenho missionário a que somos chamados, no dinamismo entre unidade e diversidade próprio de uma Igreja sinodal».
As respostas à questão orientadora enviadas pela maioria das Conferências Episcopais e pelos seus agrupamentos continentais, pelas Igrejas Orientais Católicas, pelas Dioceses que não fazem parte de uma Conferência Episcopal, pelos Dicastérios da Cúria Romana, pelas Uniões de Superiores Gerais e pela União Internacional de Superiores Gerais em representação da vida consagrada, assim como os testemunhos de experiências e boas práticas de todas as partes do mundo e as observações de quase duzentas realidades internacionais, de faculdades universitárias, associações de Fiéis, comunidades e pessoas individuais, constituíram a base para a redação do presente Instrumentum laboris para a Segunda Sessão, fundamentando-o na vida do Povo de Deus de todo o mundo.
Estas vozes manifestaram gratidão pelo caminho percorrido e pelo cansaço que por vezes isso acarreta, mas sobretudo pelo desejo de avançar. Eis a expressão de uma Conferência Episcopal da América do Norte: «A gratidão pelo caminho sinodal é profunda […] Permanecem também tensões que exigem prosseguir na via da reflexão e do diálogo, retirando inspiração da ideia de encontro proposta pelo Papa Francisco. Mas estas tensões não quebram a comunhão da caridade na Igreja». Recorda igualmente que a estrada a percorrer é ainda longa.
Tal como nas fases precedentes, são reafirmados os frutos da adoção do método da conversação no Espírito. Refere, por exemplo, uma federação das Conferências Episcopais: «Muitas sínteses provenientes de toda a Ásia exprimem um entusiasmo incrível pela metodologia sinodal, que utiliza a conversação no Espírito como ponto de partida do caminho. Muitas Dioceses e Conferências Episcopais introduziram este método nas suas estruturas, com grande sucesso». Este entusiasmo já se traduziu em passos concretos de experimentação de um modo de proceder mais sinodal. Numa Conferência episcopal europeia «foi decidido iniciar uma fase de experimentação sinodal de cinco anos. A nível nacional, trata-se de desenvolver, valorizar e aperfeiçoar formas de consulta sinodal, de diálogo, de discernimento, bem como processos de decisão que articulam a fase de elaboração (decision-making) com a tomada de decisões (decision-taking). Foram tidas em consideração as experiências das Dioceses, tal como as iniciativas sinodais em outras partes do mundo e na Igreja universal. Estamos no início de um percurso de aprendizagem exigente, mas importante». É grande a consciência do valor das Igrejas locais e do seu caminho, da riqueza de que são portadoras e da necessidade de fazer ouvir as suas vozes. Uma Conferência Episcopal africana refere o seguinte: «não é possível considerar e tratar as Igrejas locais simplesmente como destinatárias do anúncio do Evangelho, cujo contributo é pouco ou nulo».
A estes contributos vêm juntar-se os frutos do Encontro internacional “Os Párocos pelo Sínodo” (Sacrofano [Roma], 28 de abril – 2 de maio de 2024), que permitiu escutar os Sacerdotes envolvidos no ministério paroquial. As sínteses dos grupos de trabalho exprimem em primeiro lugar «a alegria pela possibilidade de escutar a vivência: uma experiência enriquecedora, que alimentou um profundo sentido de compreensão e respeito pela especificidade do contexto de cada um». Exprimem «a necessidade de uma nova compreensão do papel do Pároco numa Igreja sinodal, no respeito pela diversidade de tradições na Igreja» e a preocupação de não conseguir congregar as periferias e os que vivem nas margens: «Se a Igreja quer ser sinodal, deve escutar estas pessoas».
Ofereceram igualmente material para a redação do presente Instrumentum laboris os cinco grupos constituídos pela Secretaria Geral do Sínodo e compostos por peritos de diferentes proveniências geográficas, géneros e condições eclesiais, que trabalharam com o método sinodal, tendo em vista um aprofundamento teológico e canónico da noção de sinodalidade e das suas implicações para a vida da Igreja[4].
Foi confiada a um grupo de peritos, composto por Bispos, Presbíteros, Consagrados, Leigos, homens e mulheres, teólogos, canonistas e biblistas de todos os continentes e de diferentes condições eclesiais, a tarefa de ler todos os contributos e materiais recebidos, articulando as respostas dadas à questão fundamental, com vista à redação do presente Instrumentum laboris. As reflexões deste grupo, assim como as dos cinco Grupos de trabalho acima referidos, serão igualmente tidas em conta no material que irá acompanhar este Instrumentum laboris, verificando o fundamento teológico de alguns conteúdos.
Paralelamente ao trabalho de preparação da Segunda Sessão, arrancou a tarefa dos dez Grupos de estudo[5], encarregado de aprofundar outras tantas temáticas[6] emergentes do RdS, e identificadas pelo Santo Padre no final de uma consulta internacional. Estes Grupos de estudo, compostos por Pastores e peritos de todos os continentes, seguem um método de trabalho sinodal, são «constituídos de comum acordo entre os Dicastérios da Cúria Romana competentes para tratar dos diversos temas e a Secretaria Geral do Sínodo, à qual é confiada a coordenação», com base no Quirógrafo assinado pelo Papa Francisco a 16 de fevereiro de 2024 e no espírito da Constituição Apostólica Praedicate Evangelium (art. 33). Deverão concluir o aprofundamento até junho de 2025, se possível, mas irão entregar à Assembleia de outubro de 2024 um relatório sobre o andamento dos trabalhos. Deste modo, sem aguardar a conclusão da Segunda Sessão, o Papa Francisco já recebeu algumas indicações da Primeira e iniciou os trabalhos da fase de implementação, na forma prevista pela Constituição Apostólica Episcopalis Communio: «Juntamente com o Dicastério competente da Cúria Romana, bem como, segundo o tema e as circunstâncias, com os outros Dicastérios de vários modos interessados, a Secretaria Geral do Sínodo promove, na parte que lhe cabe, a implementação das orientações sinodais aprovadas pelo Romano Pontífice» (art. 20, c. 1). Por outro lado, de acordo com o Dicastério para os Textos Legislativos, foi instituída ao serviço do Sínodo uma Comissão canónica. Por último, em aplicação das indicações fornecidas pela Primeira Sessão (cf. RdS 16q), a 25 de abril de 2024 o SECAM (Simpósio das Conferências Episcopais de África e Madagáscar) anunciou a constituição de uma Comissão especial para o discernimento das implicações teológicas e pastorais da poligamia para a Igreja em África.
Um instrumento de trabalho para a Segunda Sessão
Através de um caminho tecido de silêncio, oração, escuta da Palavra de Deus, diálogo fraterno e encontros jubilosos, por vezes não isentos de fadiga, como Povo de Deus amadurecemos uma consciência mais profunda da nossa relação de irmãos e irmãs em Cristo, com a responsabilidade comum de ser uma comunidade de salvos, que com a palavra e com a vida anuncia ao mundo inteiro a beleza do Reino de Deus. Esta identidade não é uma ideia abstrata, mas uma experiência vivida, feita de nomes e rostos. Na preparação para a Segunda Sessão, e durante os seus trabalhos, vamos continuar a depararmo-nos com esta pergunta: de que modo a identidade de Povo de Deus sinodal em missão pode assumir uma forma concreta nas relações, percursos e lugares em que decorre a vida da Igreja?
Esta é a finalidade que se pretende atingir com o presente Instrumentum laboris, ao qual se aplica tudo quanto já foi afirmado em relação ao da Primeira Sessão: «não é um documento do Magistério da Igreja, nem o relatório de um inquérito sociológico; não oferece a formulação de indicações operativas, de metas e objetivos, nem a completa elaboração de uma visão teológica» (n. 10; cf. DEC n. 8). Para o compreender é fundamental colocá-lo no âmbito do processo sinodal no seu conjunto, na medida em que é formado pela circularidade do diálogo entre as Igrejas e animado e apoiado pelo trabalho da Secretaria Geral do Sínodo. A Primeira Sessão da Assembleia (2023) tinha recolhido os frutos da dupla consulta local e continental em busca «dos sinais caraterísticos de uma Igreja sinodal e sobre as dinâmicas de comunhão, missão e participação que a habitam» (RdS, Introdução). Através da oração, do diálogo e do discernimento recolheu e expressou no RdS as convergências, as questões a enfrentar e as propostas resultantes do trabalho comum. Daqui surge aquela que poderíamos descrever como uma primeira resposta à pergunta «Igreja sinodal, o que dizes de ti mesma?». A Segunda Sessão não percorre os mesmos passos, mas é chamada a ir mais além, focando-se na sua questão orientadora: «Como ser Igreja sinodal em missão?». Em relação a outras questões surgidas durante o caminho, prossegue o trabalho com outras modalidades, a nível das Igrejas locais, bem como nos dez Grupos de estudo. As duas Sessões não podem ser separadas e muito menos opostas: decorrem em continuidade e sobretudo fazem parte de um processo mais amplo que, de acordo com as indicações da Constituição Apostólica Episcopalis communio, não terminará no final de outubro de 2024.
Concretamente, o presente Instrumentum laboris principia com uma sessão dedicada aos Fundamentos da compreensão da sinodalidade, que reitera a consciência amadurecida ao longo do percurso e consagrada pela Primeira Sessão. Seguem-se três Partes estreitamente ligadas, que ilustram com perspetivas diferentes a vida sinodal missionária da Igreja: I) a perspetiva das Relações – com o Senhor, entre irmãos e irmãs e entre as Igrejas – que sustentam a vitalidade da Igreja muito mais radicalmente que as suas estruturas; II) a perspetiva dos Percursos que suportam e alimentam de modo concreto o dinamismo das relações; III) a perspetiva dos Lugares que, contra a tentação de um universalismo abstrato, falam do concreto dos contextos em que se encarnam as relações, com a sua variedade, pluralidade e interconexão, e com o seu enraizamento no fundamento nascido da profissão de fé. Cada uma destas Sessões será objeto da oração, da partilha e do discernimento num dos módulos que marcarão os trabalhos da Segunda Sessão, em que cada um será convidado a «oferecer o seu próprio contributo como um dom para os outros e não como uma certeza absoluta» (RdS, Introdução), num percurso que os membros da Assembleia são chamados a redigir em conjunto. Nesta base será elaborado um Documento Final, relativo a todo o processo até então realizado, que oferecerá ao Santo Padre orientações sobre as medidas a adotar e as modalidades concretas para as concretizar.
Podemos esperar um aprofundamento da compreensão partilhada da sinodalidade, um maior enfoque das práticas de uma Igreja sinodal e também a proposta de algumas alterações no direito canónico (outras, mais significativas, que poderão ser implementadas após uma melhor assimilação e vivência da proposta de fundo), mas seguramente não a resposta a todas as questões. Até porque outras irão surgir ao longo do caminho de conversão e de reforma que a Segunda Sessão convidará toda a Igreja a realizar. Entre os ganhos do processo até à data implementado podemos certamente incluir o facto de ter experimentado e aprendido um método que nos permite abordar em conjunto as questões no diálogo e no discernimento. Estamos ainda a aprender como ser Igreja sinodal missionária, mas é uma missão que experienciámos poder empreender com alegria.
Fundamentos
Esta secção do Instrumentum laboris procura definir os fundamentos da visão de uma Igreja sinodal missionária, convidando-nos a aprofundar a compreensão do mistério da Igreja. Fá-lo sem pretender oferecer um tratado completo de eclesiologia, mas colocando-se ao serviço do percurso de discernimento da Assembleia sinodal de outubro de 2024. Responder à pergunta «Como ser Igreja sinodal em missão?» requer um horizonte que permita inserir as reflexões e as propostas pastorais e teológicas, orientando um percurso que é fundamentalmente um caminho de conversão e reforma. Por sua vez, as medidas concretas implementadas pela Igreja permitirão definir melhor o horizonte e aprofundar a compreensão dos fundamentos, numa circularidade que marca toda a história da Igreja.
Em Cristo, luz de todos os povos, somos um único Povo de Deus, chamado a ser sinal e instrumento da união com Deus e da unidade do género humano. Fazemo-lo caminhando unidos na história, vivendo a comunhão que se alimenta da vida trinitária, promovendo a participação de todos, com vista a uma missão comum. Esta visão está bem enraizada na tradição viva da Igreja. O processo sinodal permitiu amadurecer uma consciência renovada, que se exprime nas convergências verificada durante o caminho iniciado em 2021. A Primeira Sessão da Assembleia sinodal (outubro de 2023) reconheceu-as e recolheu-as no RdS, que as lançou a toda a Igreja com vista ao discernimento que completará a Segunda Sessão.
A Igreja Povo de Deus, sacramento de unidade
1. Do Batismo em nome do Pai, do Filho e do Espírito Santo resulta a identidade mística, dinâmica e comunitária do Povo de Deus, orientada para a plenitude da vida na qual o Senhor Jesus nos precede e para a missão de convidar cada homem e cada mulher a acolher em liberdade o dom da salvação (cf. Mt 28,18-19). No Batismo, Jesus reveste-nos da sua natureza, partilha connosco a sua identidade e a sua missão (cf. Gal 3,27).
2. «Aprouve a Deus salvar e santificar os homens, não individualmente, excluída qualquer ligação entre eles, mas constituindo-os em povo que O conhecesse na verdade e O servisse santamente» (LG 9), participando na comunhão da Trindade. No seu Povo e através dele, Deus realiza e manifesta a salvação que nos oferece em Cristo. A sinodalidade assenta nesta visão dinâmica do Povo de Deus com uma vocação universal para a santidade e para a missão, em peregrinação para o Pai seguindo os passos de Jesus Cristo e animado pelo Espírito Santo. Nos diversos contextos em que vive e caminha, este Povo de Deus sinodal e missionário anuncia e testemunha a Boa Nova da salvação; caminhando juntamente com todos os povos da terra, com as suas culturas e religiões, dialoga com eles e acompanha-os.
3. O processo sinodal desenvolveu a consciência do que significa ser Povo de Deus reunido como «Igreja de toda a tribo, língua, povo e nação» (RdS 5), que vive o seu caminho em direção ao Reino em contextos e culturas diversos. O Povo de Deus é o sujeito comunitário que percorre as etapas da história da salvação, em marcha para a plenitude. O Povo de Deus não é a soma dos Batizados, mas o “nós” da Igreja, sujeito comunitário e histórico da sinodalidade e da missão, dado que todos podem receber a salvação preparada por Deus. Incorporados neste Povo pela fé e o Batismo, somos acompanhados pela Virgem Maria, «sinal de esperança segura e de consolação, para o Povo de Deus ainda peregrinante, até que chegue o dia do Senhor (cf. 2 Pd 3,10)» (LG 68), pelos Apóstolos, por todos os que testemunharam a sua fé mesmo com a própria vida, pelos santos reconhecidos e pelos santos “da porta do lado”.
4. «A luz dos povos é Cristo» (LG 1) e esta luz resplandece sobre o rosto da Igreja, que «em Cristo, é como que o sacramento, ou sinal, e o instrumento da íntima união com Deus e da unidade de todo o género humano» (ibid.). Como a lua, a Igreja brilha com luz reflexa: não pode, portanto, entender a sua missão em sentido autorreferencial, mas detém a responsabilidade de ser o sacramento da união, das relações e da comunhão com vista à unidade de todo o género humano, também no nosso tempo tão dominado pela crise da participação, ou seja, de sentir-se parte de um destino comum, e por uma conceção muitas vezes individualista da felicidade e assim da salvação. Na sua missão, a Igreja comunica ao mundo o projeto de Deus de unir a si toda a humanidade na salvação. Ao fazê-lo não se anuncia a si mesma, «mas Cristo Jesus Senhor» (2 Cor 4,5). Se assim não fosse, perderia o seu ser, em Cristo, «como sacramento» (cf. LG 1) e, portanto, a sua própria identidade e razão de ser. Na via para a plenitude, a Igreja é o sacramento do Reino de Deus no mundo.
O significado partilhado de sinodalidade
5. Os termos sinodalidade e sinodal derivam da antiga e constante prática eclesial da reunião em Sínodo[7] e, graças à experiência dos últimos anos, foram amplamente compreendidos e mais ainda vividos. Estão cada vez mais associados ao «desejo de uma Igreja mais próxima das pessoas, menos burocrática e mais relacional» (RdS 1b), que seja casa e família de Deus. No decurso da sua Primeira Sessão, a Assembleia amadureceu uma convergência sobre o significado de “sinodalidade” que está na base deste Instrumentum laboris. Os diversos percursos de aprofundamento atualmente em curso apontam para um maior enfoque da perspetiva católica nesta dimensão constitutiva da Igreja, num diálogo com as outras tradições cristãs respeitador das diferenças e especificidades de cada uma. No seu sentido mais amplo, «a sinodalidade pode ser entendida como os cristãos a caminhar com Cristo, em direção ao Reino, juntamente com toda a humanidade; orientada para a missão, ela engloba os momentos de reunir-se em assembleia aos diferentes níveis da vida eclesial, a escuta recíproca, o diálogo, o discernimento comunitário, a criação de consensos como expressão de tornar presente Cristo vivo no Espírito e a assunção de uma decisão numa corresponsabilidade diferenciada» (RdS 1h).
6. Sinodalidade designa, portanto «o estilo peculiar que qualifica a vida e a missão da Igreja» (CTI, n. 70), um estilo que parte da escuta como primeiro ato da Igreja. A fé, que nasce da escuta do anúncio da Boa Nova (cf. Rm 10,17), vive pela escuta: escuta da Palavra de Deus, escuta do Espírito Santo, escuta uns dos outros, escuta da tradição viva da Igreja e do seu magistério. Nas etapas do processo sinodal, a Igreja experimentou mais uma vez aquilo que as Escrituras ensinam: apenas é possível anunciar o que se escutou.
7. A sinodalidade «deve exprimir-se no modo normal de viver e atuar da Igreja […] e realiza-se através da escuta comunitária da Palavra e da celebração da Eucaristia, da fraternidade da comunhão e da corresponsabilidade e participação de todo o Povo de Deus, aos seus vários níveis e na distinção dos diversos ministérios e funções, na sua vida e na sua missão» (ibid.). O termo indica assim as estruturas e os processos eclesiais nos quais a natureza sinodal da Igreja se exprime a nível institucional e designa, por último, os eventos particulares para os quais a Igreja é convocada pela autoridade competente (cf. ibid.). Na sua referência à realidade da Igreja, a categoria de sinodalidade não se coloca como alternativa à da comunhão. Com efeito, no contexto da eclesiologia do Povo de Deus ilustrada pelo Concílio Vaticano II, o conceito de comunhão exprime a substância profunda do mistério e da missão da Igreja, que tem na celebração da Eucaristia a sua fonte e o seu cume, ou seja, a união com Deus Trinitário e a unidade entre as pessoas humanas, que se realiza em Cristo mediante o Espírito Santo. A sinodalidade, no mesmo contexto, «indica o modo de viver e atuar específico da Igreja Povo de Deus que manifesta e realiza em concreto o seu ser comunhão no “caminhar juntos”, na reunião em assembleia e na participação ativa de todos os seus membros na sua missão evangelizadora» (CTI, n. 6).
8. A sinodalidade não implica, de modo algum, a desvalorização da autoridade e da missão específica que o próprio Cristo confiou aos Pastores: os Bispos com os Presbíteros, seus colaboradores, e o Romano Pontífice como «perpétuo e visível fundamento da unidade, não só dos Bispos mas também da multidão dos fiéis» (LG 23). Antes, oferece «o quadro interpretativo mais apropriado para compreender o próprio ministério hierárquico» (Francisco, Discurso na comemoração do 50.º aniversário da instituição do Sínodo dos Bispos, 17 de outubro de 2015), convidando toda a Igreja, incluindo os que exercem uma autoridade, a uma verdadeira conversão e reforma.
9. A sinodalidade não é um fim em si mesma. Na medida em que oferece a possibilidade de exprimir a natureza da Igreja e permite valorizar todos os carismas, vocações e ministérios eclesiais, permite à comunidade dos que «creem e olham para Jesus» (LG 9) anunciar da forma mais adequada o Evangelho às mulheres e aos homens de todos os lugares e de todos os tempos, e de ser «sacramento visível» (ibid.) da unidade salvífica querida por Deus. Sinodalidade e missão estão assim intimamente ligadas. Se a Segunda Sessão destaca alguns aspetos da vida sinodal, fá-lo tendo em vista uma maior eficácia da missão. Ao mesmo tempo, a sinodalidade é condição necessária para prosseguir o caminho ecuménico rumo à unidade visível de todos os cristãos. O Grupo de estudo n. 10 ocupa-se da recolha dos frutos do caminho ecuménico nas práticas eclesiais.
A unidade como harmonia nas diferenças
10. O dinamismo da comunhão eclesial e assim da vida sinodal da Igreja encontra na liturgia eucarística o seu modelo e a sua concretização. Nela a comunhão dos Fiéis (communio Fidelium) é simultaneamente a comunhão das Igrejas (communio Ecclesiarum), que si manifesta na comunhão dos Bispos (communio Episcoporum), em razão do princípio antiquíssimo que «a Igreja está no Bispo e o Bispo está na Igreja» (S. Cipriano, Carta 66, 8). O Senhor colocou o apóstolo Pedro (cf. Mt 16,18) e os seus sucessores ao serviço da comunhão. Por força do ministério petrino, o Bispo de Roma é «o perpétuo e visível fundamento» (LG 23) da unidade da Igreja, expressa na comunhão de todos os Fiéis, de todas as Igrejas, de todos os Bispos. Manifesta-se assim a harmonia que o Espírito opera na Igreja, Ele que é a harmonia em pessoa (cf. S. Basílio, Sobre o Salmo 29, 1)
11. Ao longo do processo sinodal, o desejo de unidade da Igreja foi crescendo ao mesmo tempo com a consciência das diversidades que nela coexistem. A partilha entre as Igrejas recordou precisamente que não existe missão sem contexto, isto é, sem um claro reconhecimento de que o dom do Evangelho é oferecido a pessoas e comunidades que vivem em tempos e lugares específicos, não fechadas em si, mas portadoras de histórias que são reconhecidas, respeitadas e convidadas a abrirem-se a horizontes mais vastos. Um dos maiores dons recebidos ao longo do caminho foi a possibilidade de encontrar e celebrar a beleza do «rosto pluriforme da Igreja» (S. João Paulo II, Novo Millennio Ineunte, 40). A renovação sinodal favorece a valorização dos contextos como lugar em que se torna presente e se realiza o chamamento universal de Deus a fazer parte do seu Povo, do Reino de Deus que é «justiça, paz e alegria no Espírito Santo» (Rm 14,17). Deste modo, culturas diferentes podem receber a unidade que está subjacente e completa a sua vibrante pluralidade. A valorização dos contextos, das culturas e da diversidade é um ponto chave para crescer como Igreja sinodal missionária.
12. Cresceu igualmente o reconhecimento da variedade de carismas e vocações que o Espírito Santo constantemente suscita no Povo de Deus. Nasce assim o desejo de crescer na capacidade de os discernir, de compreender as relações existentes na vida concreta de cada Igreja e de toda a Igreja e, principalmente, de as articular para o bem da missão. Isto significa também refletir mais profundamente sobre a questão da participação em relação com a comunhão e a missão. Em cada fase do processo ficou patente o desejo de ampliar as possibilidades de participação e de exercício da corresponsabilidade de todos os Batizados, homens e mulheres, na variedade dos seus carismas, vocações e ministérios. Este desejo aponta em três direções. A primeira é a necessidade de “atualizar” a capacidade de anúncio e transmissão da fé com modalidades e meios apropriados ao contexto atual. A segunda é a renovação da vida litúrgica e sacramental, a partir de celebrações belas, dignas, acessíveis, plenamente participativas, bem inculturadas e capazes de fomentar o entusiasmo para a missão. A terceira direção visa combater a tristeza provocada pela falta de participação de tantos membros do Povo de Deus neste caminho de renovação eclesial e pela fadiga da Igreja em viver plenamente um relacionamento saudável entre homens e mulheres, entre gerações e entre pessoas e grupos de diferentes identidades culturais e condições sociais, em especial os pobres e os excluídos. Esta debilidade na reciprocidade, na participação e na comunhão continua a ser um obstáculo a uma plena renovação da Igreja em sentido sinodal missionário.
Irmãs e irmãos em Cristo: uma reciprocidade renovada
13. A primeira diferença que encontramos como pessoas humanas é a existente entre homens e mulheres. A nossa vocação de cristãos consiste em honrar esta diferença dada por Deus, vivendo no seio da Igreja uma reciprocidade relacional dinâmica como sinal para o mundo. Na reflexão realizada sobre esta visão em chave sinodal, os contributos recolhidos em todas as fases evidenciaram a necessidade de conferir um maior reconhecimento aos carismas, às vocações e ao papel das mulheres em todos os aspetos da vida da Igreja como passo indispensável para promover esta reciprocidade relacional. A perspetiva sinodal evidencia três pontos teológicos de referência como orientação para o discernimento: a) a participação está alicerçada nas implicações eclesiológicas do Batismo; b) na qualidade de Povo de Batizados, somos chamados a não enterrar os nossos talentos, mas a reconhecer os dons que o Espírito infunde em cada um para bem da comunidade e do mundo ; c) no respeito pela vocação de cada um, os dons que o Espírito concede aos Fiéis estão ordenados entre si e a colaboração de todos os Batizados é praticada na base da corresponsabilidade. O testemunho da Sagrada Escritura orienta-nos nesta reflexão: Deus escolheu algumas mulheres como primeiras testemunhas e anunciadoras da ressurreição. Por força do Batismo, estão em condições de perfeita igualdade, recebem a mesma efusão de dons por parte do Espírito e são chamadas ao serviço da missão de Cristo.
14. Neste sentido, a primeira mudança a efetuar é a da mentalidade: uma conversão a uma visão de relacionalidade, interdependência e reciprocidade entre mulheres e homens, que são irmãs e irmãos em Cristo, com vista à missão comum. A comunhão, a participação e a missão da Igreja são as primeiras a sofrer as consequências de uma falta de conversão das relações e das estruturas. Como afirma o contributo de uma Conferência Episcopal latino-americana: «uma Igreja em que todos os membros possam sentir-se corresponsáveis é também um lugar atrativo e credível».
15. Os contributos das Conferências Episcopais reconhecem que são numerosos os aspetos da vida da Igreja abertos à participação das mulheres. No entanto, referem também que estas possibilidades de participação frequentemente não são utilizadas. Sugerem por isso que a Segunda Sessão promova a consciencialização das mesmas e fomente o seu desenvolvimento posterior no âmbito das Paróquias, das Dioceses e das restantes realidades eclesiais, incluindo os cargos de responsabilidade. Por outro lado, é necessário explorar outras formas ministeriais e pastorais, a fim de conferir uma expressão mais apropriada aos carismas que o Espírito infunde nas mulheres em resposta às exigências pastorais do nosso tempo. Assim se exprime uma Conferência episcopal latino-americana: «Na nossa cultura permanece forte a presença do machismo, sendo necessária uma participação mais ativa das mulheres em todos os setores eclesiais. Como afirma o Papa Francisco, a sua perspetiva é indispensável nos processos decisórios e na assunção de funções nas diversas formas de pastoral e de missão».
16. Dos contributos das Conferências episcopais resultam exigências concretas a submeter à apreciação da Segunda Sessão, entre as quais: a) a promoção de espaços de diálogo na Igreja, que permitam às mulheres partilhar experiências, carismas, competências, intuições espirituais, teológicas e pastorais para benefício de toda a Igreja; b) uma participação mais alargada das mulheres nos processos de discernimento eclesial e em todas as fases dos processos decisórios (proposta e tomada de decisões); c) um acesso mais alargado a posições de responsabilidade nas Dioceses e nas instituições eclesiásticas, na linha das disposições já existentes; d) um maior reconhecimento e um apoio mais firme à vida e aos carismas das Consagradas e o seu envolvimento em posições de responsabilidade; e) o acesso das mulheres a cargos de responsabilidade nos seminários, nos institutos e nas faculdades de teologia; f) o aumento do número de mulheres que exercem as funções de juiz nos processos canónicos. Os contributos continuam ainda a chamar a atenção para o uso de linguagem e de uma série de imagens extraídas das Escrituras e da tradição na pregação, no ensino, na catequese e na redação dos documentos oficiais da Igreja.
17. Enquanto que algumas Igrejas locais requerem que as mulheres sejam admitidas ao ministério diaconal, outras reafirmam o contrário. Em relação a este tema, que não será objeto dos trabalhos da Segunda Sessão, é conveniente que prossiga a reflexão teológica, com tempos e modalidades adequados. Contribuirão para o seu amadurecimento os frutos do Grupo de estudo n. 5, o qual tomará em consideração os resultados das Comissões que se dedicaram a este tema no passado.
18. Muitos dos pedidos e exigências acima referidos são igualmente aplicáveis aos leigos do sexo masculino, cuja escassa participação na vida da Igreja é lamentada. Em geral, a reflexão sobre o papel das mulheres evidencia frequentemente o desejo de um reforço de todos os ministérios exercidos pelos Leigos (homens e mulheres). Solicita-se ainda que Fiéis leigos de ambos os sexos, devidamente formados, possam contribuir para a pregação da Palavra de Deus inclusivamente durante a celebração da Eucaristia.
Chamada à conversão e à reforma
19. Jesus iniciou o seu ministério público com uma chamada à conversão (cf. Mc 1,15). É um convite a repensar o modo de vida pessoal e comunitário e a deixar-se transformar pelo Espírito. Nenhuma reforma poderá limitar-se exclusivamente às estruturas, devendo assentar numa transformação interior segundo os «sentimentos de Cristo Jesus» (Fil 2,5). Para uma Igreja sinodal, a primeira conversão é a da escuta, cuja descoberta constituiu um dos principais frutos do percurso realizado até agora: em primeiro lugar, a escuta do Espírito Santo, que é o verdadeiro protagonista do Sínodo e, em seguida, a escuta recíproca como disposição essencial para a missão
20. O estilo sinodal da Igreja oferece muitas pistas importantes para a humanidade. Numa época marcada por desigualdades cada vez mais acentuadas, por uma crescente desilusão face aos modelos tradicionais de governo, pelo desencanto em relação ao funcionamento da democracia, pelo predomínio do modelo de mercado nas relações interpessoais e pela tentação de resolver os conflitos pela força e não pelo diálogo, a sinodalidade poderá oferecer uma inspiração para o futuro da nossa sociedade. O seu poder de atração deriva do facto de não ser uma estratégia de gestão, mas sim uma prática de viver e celebrar na gratidão. O modo sinodal de viver as relações é um testemunho social que responde à profunda necessidade humana de ser acolhido e sentir-se reconhecido no seio de uma comunidade concreta. É um desafio ao crescente isolamento das pessoas e ao individualismo cultural, que também a Igreja muitas vezes absorveu, e que nos chama a um cuidado recíproco, a uma interdependência e à corresponsabilidade pelo bem comum. É também um desafio a um comunitarismo social exagerado que sufoca as pessoas e não lhes permite ser sujeitos livres do próprio desenvolvimento. A disponibilidade para a escuta de todos, especialmente dos pobres, promovida pelo estilo de vida sinodal está em nítido contraste com um mundo em que a concentração do poder exclui os pobres, os marginalizados e as minorias. A concretização do processo sinodal veio demonstrar quanto a própria Igreja tinha necessidade de crescer nesta dimensão: o Grupo de estudo n. 2 trabalha este tema.
21. Em todas as fases do processo sinodal ecoou com força a necessidade de cura, reconciliação e recuperação da confiança no seio da Igreja e da sociedade. Trata-se de uma diretiva fundamental do empenhamento missionário do Povo de Deus no nosso mundo e, ao mesmo tempo, de um dom que devemos invocar do alto. O desejo de caminhar nesta estrada é em si mesmo um fruto da renovação sinodal.
Parte I – Relações
Ao longo de todo o processo sinodal e em todas as latitudes emergiu a exigência de uma Igreja não burocrática, mas capaz de nutrir as relações: com o Senhor, entre homens e mulheres, na família, na comunidade, entre grupos sociais. Somente uma trama de relações entretecida pela multiplicidade das pertenças está em condições de apoiar as pessoas e as comunidades, oferecendo-lhes pontos de referência e de orientação e revelando a beleza da vida segundo o Evangelho: é nas relações - com Cristo, com os outros, na comunidade – que se transmite a fé.
A sinodalidade, enquanto exigência da missão, não é entendida como um expediente organizativo, mas sim vivida e cultivada como o conjunto das formas segundo as quais os discípulos de Jesus tecem relações solidárias, capazes de corresponder ao amor divino que continuamente os reúne e que são chamados a testemunhar nos contextos concretos em que se encontram. Compreender como ser Igreja sinodal em missão passa, portanto, por uma conversão relacional, que reoriente as prioridades e as ações de cada um, nomeadamente daqueles que têm a missão de animar as relações ao serviço da unidade, no concreto de uma partilha de dons que liberta e enriquece todos.
Em Cristo e no Espírito: a iniciação cristã
22. «A Igreja peregrina é, por sua natureza, missionária, visto que tem a sua origem, segundo o desígnio de Deus Pai, na “missão” do Filho e do Espírito Santo» (AG 2). O encontro com Jesus, a adesão de fé à sua pessoa e a iniciação cristã introduzem-nos na própria vida da Trindade. Com a doação do Espírito Santo, o Senhor Jesus torna participantes da sua relação com o Pai todos os que recebem o Batismo. O Espírito que preenchia plenamente Jesus e que o guiava (cf. Lc 4,1), que o consagrou com a unção e o enviou a proclamar o Evangelho (cf. Lc 4,18) e que o ressuscitou dos mortos (cf. Rm 8,11), é o mesmo Espírito que consagra com a unção os membros do Povo de Deus. Este Espírito torna-nos filhos e herdeiros de Deus e por seu intermédio dirigimo-nos a Deus chamando-lhe «Abbà! Pai!» (Gal 4,6; Rm 8,15).
23. Para compreender a natureza de uma Igreja sinodal em missão é indispensável captar o fundamento trinitário e, em particular, a ligação indissociável entre a ação de Cristo e a ação do Espírito Santo na história humana e na Igreja: «O Espírito Santo habita nos crentes, enche e rege toda a Igreja, realiza aquela maravilhosa comunhão dos Fiéis e une a todos tão intimamente em Cristo, que é o princípio da unidade da Igreja» (UR 2). Por isso, o caminho da iniciação cristã do adulto é um contexto privilegiado para compreender a vida sinodal da Igreja, pondo em destaque a sua origem e fundamento: as relações que unem e distinguem as três Pessoas divinas. Mediante os dons batismais, o Espírito Santo conforma-nos com Cristo rei, sacerdote e profeta, torna-nos membros do seu corpo, que é a Igreja, e faz-nos filhos do único Pai. Somos assim chamados à missão e à corresponsabilidade por tudo o que nos une numa única Igreja. Esses dons têm uma tríplice e inseparável orientação: pessoal, comunitária e missionária. Eles capacitam e envolvem todos os Batizados, homens e mulheres: na construção de relações fraternas na própria comunidade eclesial; na busca de uma comunhão cada vez mais visível e profunda com todos aqueles com quem partilhamos o mesmo Batismo; no anúncio e no testemunho do Evangelho.
24. Se, por um lado, a sinodalidade missionária assenta na iniciação cristã, por outro, deve iluminar o modo como o Povo de Deus vive concretamente o itinerário da iniciação e o assume, fazendo-o precisamente por aquilo que de facto significa, superando uma visão estática e individualista, não suficientemente ligada ao seguimento de Cristo e à vida no Espírito, a fim de recuperar o seu valor dinâmico e transformador. Nos primeiros séculos, lendo no Génesis que ao sexto dia Deus disse: «Façamos o homem à nossa imagem, à nossa semelhança» (Gen 1,26), os cristãos constataram como o dinamismo relacional se encontrava inscrito na antropologia da criação. Viram na imagem o Filho encarnado e na semelhança a possibilidade gradual da conformação, a manifestação da aventura benéfica da liberdade de optar por ser com e como Cristo. Esta aventura principia com a escuta da Palavra de Deus, graças à qual o catecúmeno entra progressivamente no seguimento de Cristo Jesus. O Batismo está ao serviço do dinamismo da semelhança, e por essa razão não é um ato pontual encerrado no momento da sua celebração, mas um dom que deve ser confirmado, alimentado e posto a render mediante o empenhamento na conversão, no serviço da missão e na participação na vida comunitária. Com efeito, a iniciação cristã culmina na Eucaristia dominical, que se repete todas as semanas, sinal do dom incessante da graça que nos conforma a Cristo e nos torna membros do seu corpo e alimento que nos sustenta no caminho de conversão e na missão.
25. Neste sentido, a assembleia eucarística manifesta e alimenta a vida sinodal missionária da Igreja. Na participação de todos os cristãos, na presença de diferentes ministérios e na presidência por parte do Bispo ou do Presbítero, torna-se visível a comunidade cristã, na qual se verifica uma corresponsabilidade diferenciada de todos para a missão. A liturgia, como «cume para o qual se encaminha a ação da Igreja e a fonte de onde dimana toda a sua energia» (SC 10), é simultaneamente a fonte da vida sinodal da Igreja e o protótipo de cada evento sinodal, fazendo aparecer «como num espelho» (1 Cor 13,12; cf. DV 7) o mistério da Trindade.
26. Convém que propostas pastorais e práticas litúrgicas conservem e tornem sempre mais evidente a ligação entre o itinerário da iniciação cristã e a vida sinodal e missionária da Igreja, evitando reduzi-la a um instrumento meramente pedagógico ou indicador de uma pertença puramente social, e promovendo pelo contrário o acolhimento do dom pessoal orientado para a missão e a edificação da comunidade. As medidas pastorais e litúrgicas apropriadas serão elaboradas na pluralidade das situações históricas e das culturas em que se inserem as diversas Igrejas locais, tendo igualmente em conta as diferenças entre aquelas em que a iniciação cristã envolve sobretudo os jovens ou os adultos e as que são principal ou exclusivamente direcionadas para as crianças.
Para o Povo de Deus: carismas e ministérios
27. «Há diversidade de carismas, mas o Espírito é o mesmo; há diversidade de serviços, mas o Senhor é o mesmo; há diversidade de atividades, mas é o mesmo Deus que realiza tudo em todos. A cada um é dada a manifestação do Espírito para o bem comum» (1Cor 12,4-7). Na origem da diversidade de carismas (dons gratuitos) e dos ministérios (formas de serviço na Igreja com vista à sua missão) está a liberdade do Espírito Santo: ele concede e atua incessantemente para que se manifestem a unidade da fé e a pertença à Igreja una e única na variedade das pessoas, das culturas e dos lugares. Os carismas, mesmo os mais simples e mais comuns, destinam-se a dar resposta às necessidades da Igreja e da sua missão (cf. LG 12). Ao mesmo tempo, contribuem eficazmente para a vida da sociedade, nos seus vários aspetos. Os carismas são frequentemente partilhados e dão origem às diversas formas da vida consagrada e ao pluralismo das agregações eclesiais.
28. O contexto primário em que são chamados a manifestar-se os carismas de que cada Batizado é portador não é a organização das atividades ou das estruturas eclesiais: é na vida quotidiana, nas relações familiares e sociais, nas mais díspares situações em que os cristãos, individualmente ou em associação, são chamados a fazer frutificar os dons gratuitos recebidos para o bem de todos. Tanto a fecundidade dos carismas, como a dos ministérios depende da ação de Deus, da vocação a que Ele chama cada pessoa, do generoso e consciente acolhimento pelos Batizados, e do reconhecimento e acompanhamento por parte da autoridade. Por conseguinte, não podem de modo algum ser interpretados como propriedade de quem os recebe e os exerce, nem destinados a seu benefício exclusivo.
29. Enquanto expressão da liberdade do Espírito na concessão dos seus dons, e enquanto resposta às necessidades das comunidades individuais, existe na Igreja uma variedade de ministérios que podem ser exercidos por qualquer Batizado, homem ou mulher. Trata-se de serviços não ocasionais, reconhecidos pela comunidade e por quem tem a missão de a guiar. Podem ser designados ministérios batismais, para indicar a sua origem comum (o Batismo) e para os distinguir dos ministérios ordenados, radicados no sacramento da Ordem. Existem, por exemplo, homens e mulheres que exercem o ministério de coordenação de uma pequena comunidade eclesial, o ministério de orientação de momentos de oração (em funerais ou outras ocasiões), o ministério extraordinário da comunhão ou outros serviços não necessariamente de carácter litúrgico. Os ordenamentos canónicos latinos e orientais já preveem que, em alguns casos, também os Fiéis leigos, homens ou mulheres, possam ser ministros extraordinários do Batismo. No ordenamento latino, o Bispo pode delegar em Fiéis leigos, homens ou mulheres, a função de assistir aos Matrimónios. É útil continuar a refletir no modo de confiar estes ministérios aos Leigos de uma maneira mais estável. Esta reflexão é acompanhada pela referente à promoção de formas mais numerosas de ministerialidade laical, também fora do âmbito litúrgico.
30. Recentemente, algumas modalidades de serviço há muito presentes na vida da Chiesa receberam uma nova configuração como ministérios instituídos: o ministério dos leitores e dos acólitos (cf. Carta Apostólica sob forma de «Motu Proprio» Spiritus Domini, 10 de janeiro de 2021). Foi igualmente criado o ministério instituído dos catequistas (cf. Carta Apostólica sob forma de «Motu Proprio» Antiquum ministerium, 10 de maio de 2021). Os ministérios são conferidos pelo Bispo a homens e mulheres, uma única vez na vida, segundo um rito próprio, após um discernimento apropriado e uma formação adequada. Os tempos e modos do seu exercício devem ser definidos por um mandato da autoridade competente. O aprofundamento de algumas questões teológicas e canônicas referentes a formas específicas de ministerialidade eclesial – em particular a questão da necessária participação das mulheres na vida e orientação da Igreja – foi confiado ao Dicastério para a Doutrina da Fé, em diálogo com a Secretaria Geral do Sínodo (Grupo de estudo n. 5).
31. Muito embora nem todos os carismas assumam uma configuração propriamente ministerial, todos os ministérios se baseiam em carismas concedidos a alguns membros do Povo de Deus que são chamados a agir de diversas formas, para que cada membro da comunidade possa participar na edificação do corpo de Cristo (cf. Ef 4,12), no serviço recíproco. Tal como os carismas, também os ministérios são reconhecidos, promovidos e valorizados. O processo sinodal evidenciou por diversas vezes que o discernimento e a promoção dos carismas e dos ministérios, assim como a individualização das necessidades das comunidades e da sociedade às quais se pretende responder, constituem um aspeto em que as Igrejas locais precisam de crescer, com o auxílio de critérios, instrumentos e procedimentos adequados. O Concilio Vaticano II ensina que compete aos Pastores reconhecer os ministérios e os carismas «de tal modo que todos, cada um segundo o seu modo próprio, cooperem na obra comum» (LG 30). O discernimento dos carismas e dos ministérios é um ato especificamente eclesial: para os reconhecer e promover, o Bispo tem de escutar as vozes de todos os envolvidos: Fiéis individuais, comunidades, organismos de participação. Para esse efeito, deverão ser identificados procedimentos adaptados aos diversos contextos, tendo sempre, porém, a preocupação de permitir um consenso real sobre critérios e sobre os resultados do discernimento. Os resultados do Encontro “Os Párocos pelo Sínodo” sublinham fortemente estas exigências.
32. É ainda patente o convite a uma maior confiança na ação do Espírito e a uma coragem e criatividade fortalecidas no discernimento da forma como colocar os dons recebidos e acolhidos ao serviço da missão da Igreja, de um modo adequado aos diferentes contextos locais. É a própria variedade dos contextos e, portanto, das necessidades das comunidades, a sugerir que as Igrejas locais, sob a orientação dos seus Pastores, e os seus agrupamentos «em cada vasto território sociocultural» (AG 22), procedam com humildade e confiança a um discernimento criativo sobre os ministérios que devem reconhecer, confiar ou instituir para dar resposta às exigências pastorais e da sociedade. É, pois, necessário definir os critérios e modos necessários para levar a cabo este discernimento. Foi também iniciada uma reflexão sobre a delegação dos ministérios batismais (não instituídos e instituídos) numa época em que as pessoas se deslocam de um lugar para outro com crescente facilidade, especificando tempos e âmbitos do seu exercício.
33. O percurso realizado até à data conduziu ao reconhecimento de que uma Igreja sinodal é uma Igreja que escuta, capaz de acolher e de acompanhar, de ser considerada casa e família. Trata-se de uma necessidade que se manifesta em todos os continentes e abrange pessoas que, por diversas razões, são ou se sentem excluídas ou à margem da comunidade eclesial ou têm dificuldade em encontrar no seio da mesma um reconhecimento pleno da sua dignidade e dos seus dons. Esta falta de acolhimento rejeita-os, dificulta o seu percurso de fé e de encontro com o Senhor, e priva a Igreja do seu contributo para a missão.
34. Parece assim sumamente oportuno criar um ministério de escuta e acompanhamento reconhecido e eventualmente instituído, que torne concretamente palpável um aspeto tão característico de uma Igreja sinodal. Representa, portanto, uma “porta aberta” da comunidade, através da qual as pessoas podem entrar sem se sentirem ameaçadas ou julgadas. As formas de exercício deste ministério deverão ser adaptadas às circunstâncias locais, com base na diversidade de experiências, estruturas, contextos sociais e recursos disponíveis. Abre-se assim um espaço de discernimento para articular a nível local, também com a participação das Conferências Episcopais nacionais ou continentais. A existência de um ministério específico não significa, contudo, reservar a tarefa de escuta exclusivamente aos ministros. Este reveste-se assim de um carácter profético. Por um lado, demonstra que escuta e acompanhamento constituem uma dimensão normal da vida de uma Igreja sinodal, que com modalidades diversificadas envolve todos os Batizados e na qual todas as comunidades são convidadas a crescer e, por outro, recorda que escuta e acompanhamento são um serviço eclesial e não uma iniciativa pessoal, cujo valor é assim reconhecido. Estas consciência é um fruto maduro do processo sinodal.
Com os Ministros ordenados: ao serviço da harmonia
35. O processo sinodal revelou dados contrastantes no que se refere ao exercício do Ministério ordenado no âmbito do Povo de Deus. Por um lado, é sublinhada a alegria, o empenho e a dedicação dos Bispos, Presbíteros e Diáconos no desenvolvimento do próprio serviço, ao passo que, por outro, ficou patente um certo cansaço, relacionado sobretudo com um sentimento de isolamento, de solidão, de afastamento de relações saudáveis e sustentáveis, e de serem subjugados pela exigência de responder a todas as necessidades. Este pode ser um dos efeitos tóxicos do clericalismo. A figura do Bispo, em particular, encontra-se frequentemente exposta a um excesso de atribuições, o que alimenta expetativas irrealistas sobre o que uma pessoa individual pode razoavelmente realizar.
36. O encontro “Os Párocos pelo Sínodo” relacionou este cansaço com a dificuldade por parte de Bispos e Presbíteros de caminharem verdadeiramente em conjunto no seu ministério partilhado. Assim sendo, uma compreensão renovada do Ministério ordenado no horizonte da Igreja sinodal missionária representa não só uma exigência de coerência, mas também uma oportunidade de libertação deste cansaço, desde que seja acompanhada por uma conversão efetiva das práticas, que torne percetíveis aos Ministros ordenados e aos restantes Fiéis, a alteração e os benefícios que dela decorrem. Para além do aspeto da vida pessoal dos Ministros individuais, este percurso de conversão comportará um novo modo de pensar e organizar a ação pastoral, que tenha em conta a participação de todos os Batizados, homens e mulheres, na missão da Igreja, procurando nomeadamente fazer despontar, reconhecer e animar os diferentes carismas e ministérios batismais. A pergunta «Como ser Igreja sinodal em missão?» leva-nos a refletir concretamente sobre as relações, estruturas e processos que podem favorecer uma visão renovada do Ministério ordenado, passando de um modo piramidal de exercitar a autoridade para um modo sinodal. No âmbito da promoção dos carismas e ministérios batismais, é possível implementar uma reativação das funções cuja execução não exige o sacramento da Ordem. Uma distribuição mais articulada das responsabilidades poderá indubitavelmente favorecer também processos decisórios caracterizados por um estilo mais claramente sinodal.
37. Nos textos conciliares, o Ministério ordenado é concebido em termos muito precisos como serviço à Igreja e para a existência da Igreja. Com a sua autoridade, o Concilio restituiu a forma do Ministério ordenado habitual na Igreja antiga, um ministério que «é exercido em ordens diversas por aqueles que desde a antiguidade são chamados Bispos, Presbíteros e Diáconos» (LG 28). Nesta articulação, Episcopado e Presbiterado correspondem a uma participação especial no sacerdócio de Cristo Pastor e Chefe da comunidade eclesial, ao passo que o Diaconado é «não em ordem ao sacerdócio, mas ao ministério» (LG 29). As várias ordens estão organicamente relacionadas entre si, numa interdependência recíproca, tendo em conta a especificidade de cada uma. Nenhum Ministro pode considerar-se como um individuo isolado ao qual foram conferidos poderes, mas sim como participante nos dons (munera) de Cristo, conferidos pela Ordenação, em conjunto com os outros Ministros, em ligação orgânica com o Povo de Deus de que faz parte e o qual, embora de modo diferente, participa nos mesmos dons de Cristo no sacerdócio comum instituído pelo Batismo.
38. O Bispo tem a missão de presidir a uma Igreja, sendo princípio visível de unidade no seio desta e vínculo de comunhão com todas as Igrejas. A singularidade do seu ministério comporta uma autoridade que é própria, ordinária e imediata, e que cada Bispo exerce pessoalmente em nome de Cristo (cf. LG 27) no anúncio da Palavra, na presidência da celebração da Eucaristia e dos outros sacramentos e na orientação pastoral. Isto não implica a sua independência em relação à parcela do Povo de Deus que lhe foi confiada (cf. CD 11) e que é chamado a servir em nome de Cristo Bom Pastor. O facto de que «pela Consagração episcopal, se confere a plenitude do sacramento da Ordem» (LG 21) não constitui justificação para um ministério episcopal tendencialmente “monárquico”, concebido como cúmulo de prerrogativas de que derivam todos os outros carismas e ministérios. É antes a afirmação da capacidade e do dever de recolher e congregar os dons infundidos pelo Espírito nos Batizados, homens e mulheres, e nas várias comunidades. O Grupo de estudo n. 7 ocupa-se de alguns aspetos do ministério episcopal, entre os quais os critérios de seleção dos candidatos ao Episcopado.
39. Também o ministério dos Presbíteros é concebido e vivido em sentido sinodal. Os Presbíteros, em particular, «constituem com o seu Bispo um Presbitério» (LG 28) ao serviço da parcela de Povo de Deus que é a Igreja local (cf. CD 11). Tal facto implica não considerar o Bispo como exterior ao Presbitério, mas como aquele que preside a uma Igreja local, e sobretudo ao Presbitério, de que faz parte com especial singularidade, sendo chamado a exercer particular solicitude e cuidado nas relações com os Presbíteros.
40. Bispo e Presbíteros são coadjuvados por Diáconos, numa relação de mútua interdependência dos dois tipos de ministério para o exercício do serviço apostólico. Bispo e Presbíteros não são autossuficientes em relação aos Diáconos, e vice-versa. Uma vez que as funções dos Diáconos são múltiplas – como mostra a tradição, a oração litúrgica e a prática posterior ao Vaticano II – as mesmas inserem-se no concreto de cada Igreja local individual. O serviço de cada Diácono é sempre pensado em harmonia e em comunhão com o de todos os outros diáconos, de acordo com a natureza do ministério diaconal e no quadro de referência da missão numa Igreja sinodal.
41. Para além da promoção da unidade na Igreja local, o Bispo diocesano ou eparquial, coadjuvado por Presbíteros e Diáconos, é também responsável pelas relações com as outras Igrejas locais e com toda a Igreja ao redor do Bispo de Roma, numa partilha recíproca de dons. Parece importante restabelecer a ligação tradicional entre ser Bispo e presidir a uma Igreja local, recuperando a correspondência entre comunhão dos Bispos (communio episcoporum) e comunhão das Igrejas (communio Ecclesiarum).
Entre as Igrejas e no mundo: o concreto da comunhão
42. A sinodalidade atua através de redes de pessoas, comunidades, organismos e um conjunto de processos que permitem um intercâmbio real de dons entre as Igrejas e um diálogo evangelizador com o mundo. Caminhar juntos como Batizados na diversidade dos carismas, das vocações e dos ministérios e no intercâmbio de dons entre as Igrejas, é um importante sinal sacramental para o mundo de hoje que, por um lado, experimenta formas de interconexão cada vez mais intensas e, por outro, está mergulhado numa cultura mercantil que marginaliza a gratuidade.
43. Segundo o Concílio, é em virtude da catolicidade da Igreja que «cada uma das partes traz às outras e a toda a Igreja os seus dons particulares» (LG 13). Daí «derivam, finalmente, os laços de íntima união entre as diversas partes da Igreja, quanto às riquezas espirituais, obreiros apostólicos e ajudas materiais. Pois os membros do Povo de Deus são chamados a repartir entre si os bens, estando em vigor para cada igreja as palavras do Apóstolo: “cada um ponha ao serviço dos outros o dom que recebeu, como bons administradores da multiforme graça de Deus” (1 Pd 4,10)» (ibid.).
44. As Conferências episcopais desejam a partilha dos bens em espírito de solidariedade entre as Igrejas que constituem a Igreja Católica, una e única, sem qualquer desejo de domínio ou pretensão de superioridade: a existência de Igrejas ricas e de Igrejas que vivem em condições de grande privação é um escândalo. Sugere-se, portanto, a celebração de acordos para promover ligações recíprocas e a formação de redes de apoio, inclusivamente a nível de agrupamentos de Igrejas.
45. Todas as Igrejas locais recebem e dão na comunhão da única Igreja. Existem Igrejas que necessitam do apoio de recursos financeiros e materiais; outras que são enriquecidas pelo testemunho da fé viva e pelo serviço amoroso aos mais pobres; outras ainda que precisam sobretudo da ajuda de evangelizadores, que dedicam a sua vida a levar o Evangelho a outros povos. Reconhece-se e solicita-se, nomeadamente, a generosidade de Presbíteros, Diáconos, Consagrados e Consagradas, Leigos e Leigas empenhados na missão ad gentes.
46. As Igrejas locais manifestam o desejo de um intercâmbio de dons espirituais, litúrgicos e teológicos, e também de um maior testemunho partilhado sobre questões sociais de relevância global, como o cuidado da casa comum e os movimentos migratórios. A este respeito, uma Igreja sinodal poderá testemunhar a importância de que as soluções dos problemas comuns sejam elaboradas com base na escuta das vozes de todos, principalmente dos grupos, comunidades e países que habitualmente ficam à margem dos grandes processos globais. As grandes áreas geográficas supranacionais, como a Amazónia, a bacia do Congo, o Mediterrâneo ou outras similares, constituem hoje em dia um horizonte particularmente promissor para a realização de formas de intercâmbio de dons e de participação coordenada.
47. Em particular, uma Igreja sinodal é também convidada a ler, na perspetiva do intercâmbio de dons, a realidade da mobilidade humana, que se torna ocasião de encontro entre as Igrejas no concreto da vida quotidiana das cidades e dos subúrbios, das Paróquias e das Dioceses ou Eparquias, contribuindo assim para enraizar o caminho sinodal na vida da comunidade. É reservada uma atenção muito particular à possibilidade de encontro e partilha de dons entre as Igrejas de tradição latina e as Igrejas Orientais Católicas em diáspora, um tema em que está a trabalhar o Grupo de estudo n. 1.
48. O intercâmbio de dons entre as Igrejas ocorre em contextos marcados pela violência, a perseguição e a ausência de liberdade religiosa; assim, algumas Igrejas lutam pela sua própria sobrevivência e invocam a solidariedade das outras Igrejas, enquanto continuam a partilhar as suas riquezas, fruto de um confronto permanente com o Evangelho e as perseguições que na história atingem os discípulos do Senhor. Por outro lado, o intercâmbio de dons processa-se num contexto que se ressente ainda do colonialismo e do neocolonialismo, que não terminaram. Uma Igreja que cresce na prática da sinodalidade é convidada a compreender o impacto destas dinâmicas sociais na partilha de dons e a procurar uma transformação. Este esforço inclui também o reconhecimento de que muitas Igrejas são portadoras de uma memória ferida, sendo necessário promover caminhos concretos de reconciliação.
49. A expressão “intercâmbio de dons” possui um valor importante nas relações com as outras Igrejas e Comunidade Eclesiais. São João Paulo II aplicou esta ideia ao diálogo ecuménico: «O diálogo não é apenas uma troca de ideias; de algum modo, é sempre um “intercâmbio de dons”» (UUS 28). Além do diálogo teológico, o intercâmbio de dons tem lugar na partilha da oração, com a qual nos dispomos a receber os dons de tradições espirituais distintas da nossa. Também o exemplo de mulheres e homens santos de outras Igrejas e Comunidades Eclesiais é um dom que podemos receber, inserindo a sua memória no nosso calendário litúrgico, em particular no que se refere aos mártires. Neste espírito, devemos ser generosos, oferecendo aos outros cristãos a possibilidade de vir em peregrinação e rezar nos santuários e nos lugares santos de que a Igreja Católica é guardiã.
50. O diálogo entre as religiões e com as culturas não é alheio ao caminho sinodal, fazendo parte do seu chamamento a viver relações mais intensas, pelo facto de ser «agradável a Deus aquele que O teme e pratica a justiça» (LG 9; cf. At 10,35). Por isso, o intercâmbio dons não se limita a outras Igrejas e Comunidades Eclesiais, visto que uma catolicidade autêntica alarga o horizonte e exige a disponibilidade para acolher também os que promovem a vida, a paz, a justiça e o desenvolvimento humano integral existentes noutras culturas e tradições religiosas.
Parte II – Percursos
Uma Igreja sinodal é uma Igreja relacional, na qual as dinâmicas interpessoais formam o tecido da vida de uma comunidade em missão, num contexto de crescente complexidade. Esta perspetiva não separa, mas aproveita os pontos de ligação entre as experiências, permitindo aprender com a realidade, reinterpretada à luz da Palavra, da tradição, dos testemunhos exemplares, mas também dos erros cometidos.
A Parte II põe em evidência os processos que asseguram o cuidado e desenvolvimento das relações, em particular a união a Cristo com vista à missão e à harmonia da vida comunitária, graças à capacidade de enfrentar em conjunto conflitos e dificuldades. Destaca quatro aspetos distintos, mas profundamente inseridos na vida da Igreja sinodal missionária: a formação, em particular a escuta (da Palavra de Deus, dos irmãos e das irmãs e da voz do Espírito) e o discernimento, que conduz ao desenvolvimento de modalidades participadas de decisão no respeito pelas diversas funções, com uma circularidade que também ela conduz à transparência, à prestação de contas relativamente às responsabilidades recebidas e a uma avaliação que relança o discernimento para a missão.
A fonte e o ponto culminante deste dinamismo é a Eucaristia, que coloca na origem das relações a gratuidade do amor do Pai, mediante o Filho no Espírito. O alimento que sustenta uma Igreja sinodal missionária é também o conteúdo do seu anúncio ao mundo.
Uma formação integral e partilhada
51. «Cuidar da sua própria formação é a resposta que cada Batizado é chamado a dar aos dons do Senhor, para fazer frutificar os talentos recebidos e colocá-los ao serviço de todos» (RdS 14a). Estas palavras do Relatório de Síntese da Primeira Sessão explicam o motivo pelo qual a necessidade de formação foi um dos temas mais suscitados e generalizados em todas as fases do processo sinodal. Responder à pergunta «Como ser Igreja sinodal em missão?» exige, portanto, dar prioridade à elaboração de percursos formativos coerentes, prestando especial atenção à formação contínua para todos
52. Para muitos, a participação nos encontros sinodais constituiu uma ocasião de formação sobre o conhecimento e a prática da sinodalidade, que suscitou o desejo intenso de uma melhor compreensão do significado da dignidade batismal ou do «sentido sobrenatural da fé» (LG 12), que é dom do Espírito ao Povo de Deus. Por conseguinte, a primeira necessidade consiste numa formação mais aprofundada do modo como o Espírito atua na Igreja e a guia ao longo da história.
53. Não existe missão sem contexto, não existe Igreja sem implantação num determinado lugar, com as suas especificidades culturais e as suas contingências históricas. Por este motivo, não é possível preparar planos formativos em abstrato. A sua definição compete às Igrejas locais e aos seus agrupamentos. Assim, o presente documento limita-se a indicar algumas diretrizes e características fundamentais da formação na perspetiva da sinodalidade, que serão posteriormente concretizadas, tendo em conta os contextos, as culturas e as tradições dos diversos lugares.
54. Uma Igreja sinodal missionária assenta na capacidade de escuta, que implica reconhecer que ninguém é autossuficiente no exercício da sua missão e que cada um tem um contributo a oferecer e qualquer coisa a aprender dos outros. A formação na escuta é, portanto, uma primeira exigência irrenunciável. A prática da conversação no Espírito permitiu experienciar como é possível interligar a escuta da Palavra de Deus e a dos irmãos e das irmãs, e como esta dinâmica nos abre gradualmente à escuta da voz do Espírito: muitos contributos recebidos insistem na importância de uma formação sobre este método. Na Igreja, existe uma gama diversificada de métodos de escuta, diálogo e discernimento, em função da diversidade das culturas e das tradições espirituais. Promover a formação sobre esta pluralidade de métodos e o diálogo entre eles nos contextos locais constitui um objetivo de grande relevância. Um ponto particularmente significativo neste âmbito é a escuta das pessoas que vivenciam vários tipos de pobreza e marginalidade. Muitas Igrejas referiram sentir-se impreparadas para esta tarefa e manifestaram a necessidade de uma formação específica. É um dos pontos confiados ao trabalho do Grupo de estudo n. 2.
55. O objetivo da formação na perspetiva da sinodalidade missionária consiste em fazer de nós, homens e mulheres, testemunhas capazes de assumir a missão da Igreja em corresponsabilidade e em cooperação com o poder do Espírito (cf. At 1,8). A formação terá assim por base o dinamismo da iniciação cristã, procurando promover a experiência pessoal de encontro com o Senhor e, consequentemente, um processo de conversão permanente de comportamentos, relações, mentalidades e estruturas. O sujeito da missão é sempre a Igreja, e cada um dos seus membros é testemunha e mensageiro da salvação em virtude desta pertença. A Eucaristia, «fonte e centro de toda a vida cristã» (LG 11), é o lugar fundamental da formação sobre sinodalidade. A família, enquanto comunidade de vida e de amor, é um lugar privilegiado de educação para a fé e a prática cristã. É escola de sinodalidade no relacionamento intergeracional, convidando cada um a cuidar dos outros, e demonstrando que todos – fracos e fortes, crianças, jovens e idosos – têm muito a receber e muito a dar.
56. Numa Igreja sinodal, a formação deve ser integral. Com efeito, não visa apenas a aquisição de noções ou competências, mas sim a promoção da capacidade de encontro, de partilha, de colaboração e de discernimento em comum. Deve por isso interpelar todas as dimensões da pessoa: intelectual, afetiva e espiritual. Não pode ser uma formação exclusivamente teórica, mas compreende experiências concretas devidamente acompanhadas. É igualmente importante favorecer um conhecimento das culturas em que as Igrejas vivem e atuam, incluindo a cultura digital, hoje tão difundida, sobretudo no âmbito dos jovens. O trabalho do Grupo de estudo n. 3 está precisamente dedicado à cultura digital e à promoção de uma formação adequada neste campo.
57. Por último, foi bastante acentuada a insistência sobre a necessidade de uma formação comum e partilhada, na qual tomem parte homens e mulheres, Leigos, Consagrados, Ministros ordenados e Candidatos ao Ministério ordenado, permitindo assim aumentar o conhecimento e a estima recíprocos, bem como a capacidade de colaboração. Solicita-se igualmente que seja prestada especial atenção à promoção da participação das mulheres nos programas de formação, ao lado de Seminaristas, Sacerdotes, Religiosos e Leigos. Reveste-se também de crucial importância o seu acesso ao cargo de docentes e formadoras nas Faculdades e Institutos de teologia e nos Seminários. Sugere-se ainda oferecer a Presbíteros, Bispos e Leigos uma formação sobre as tarefas que as mulheres já podem desempenhar na Igreja e promover uma avaliação do recurso efetivo a esta oportunidade em todos os quadrantes da vida da Igreja: Paróquias, Dioceses, associações laicais, movimentos eclesiais, comunidades novas, vida consagrada, instituições eclesiásticas, até à Curia Romana. O trabalho do Grupo de estudo n. 4 incide na revisão da formação dos Candidatos ao Ministério ordenado (Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis) em perspetiva sinodal missionária. Um pedido proveniente de todos os continentes é a promoção da formação sobre a pregação. Por fim, emerge a necessidade de uma formação partilhada, teórica e prática, sobre o discernimento comunitário no âmbito dos diversos contextos locais.
O discernimento eclesial para a missão
58. O único Espírito, que suscita uma grande variedade de carismas, guia a Igreja para a plenitude da vida e da verdade divina (cf. Jo 10,10; 16,13). Mediante a sua presença e ação contínua, a «tradição apostólica progride na Igreja sob a assistência do Espírito Santo» (DV 8). Graças à orientação do Espírito, o Povo de Deus, enquanto participante da função profética de Cristo (cf. LG 12), «esforça-se por discernir nos acontecimentos, nas exigências e aspirações, em que participa juntamente com os homens de hoje, quais são os verdadeiros sinais da presença ou da vontade de Deus» (GS 11). Esta tarefa eclesial de discernimento assenta no sensus fidei, animado pelo Espírito Santo, que pode ser descrito como a “intuição” ou capacidade instintiva do Povo de Deus, sob a condução dos Pastores (cf. LG 12), de «discernir as novas estradas que o Senhor revela à Igreja» (Francisco, Discurso por ocasião da comemoração do 50° aniversário da instituição do Sínodo dos Bispos, 17 de outubro de 2015).
59. O discernimento envolve todos, tanto os que participam a nível pessoal como comunitário, exigindo cultivar disposições de liberdade interior, abertura à novidade e abandono confiante à vontade de Deus, e permanecer à escuta uns dos outros, a fim de escutar «o que o Espírito diz às Igrejas» (Ap 2,7). Maria, com a sua presença orante no seio da comunidade apostólica reunida no cenáculo (cf. At 1,14), é para todos modelo vivo e guia criativa de uma autêntica espiritualidade sinodal: na escuta perseverante e responsável da Palavra e no discernimento meditativo dos acontecimentos (cf. Lc 1,26-38; 2,19.51), na generosa abertura à ação do Espírito Santo (cf. Lc 1,35), na partilha de ação de graças pela obra do Senhor (cf. Lc 1,39-56) e no serviço concreto e pontual a cada uma e a cada um (cf. Jo 2, 1-12) que Jesus confiou ao seu cuidado maternal (cf. Jo 19, 25-27).
60. Precisamente enquanto pede a cada um que partilhe o seu ponto de vista na perspetiva da missão comum, um processo de discernimento articula concretamente comunhão, missão e participação. Por outras palavras, é um modo de caminhar juntos. Para isso, é fundamental promover uma ampla participação nos processos de discernimento, prestando especial atenção ao envolvimento dos que se encontram nas margens da comunidade cristã e da sociedade.
61. O ponto de partida e o critério de referência de todo o discernimento eclesial é a escuta da Palavra de Deus. As Sagradas Escrituras constituem o testemunho por excelência da comunicação de Deus à humanidade. Elas atestam que Deus falou ao seu Povo e continua a fazê-lo, e apresentam diversos canais mediante os quais esta comunicação se processa. Deus fala através da meditação pessoal da Escritura, em que ecoa “qualquer coisa” do texto bíblico que se reza. Deus fala à comunidade na liturgia, lugar hermenêutico por excelência daquilo que o Senhor diz à sua Igreja. Deus fala através da Igreja, que é mãe e mestra, por meio da sua tradição viva e das suas práticas, incluindo as da piedade popular. Deus continua a falar através dos acontecimentos que ocorrem no espaço e no tempo, desde que saibamos discernir o seu significado. Deus comunica ainda com o seu Povo através dos elementos cósmicos, cuja própria existência remete para a ação do Criador e que estão repletos da presença do Espírito Santo “que dá a vida”. Deus fala enfim na consciência pessoal de cada um, que «é o centro mais secreto e o santuário do homem, no qual se encontra a sós com Deus, cuja voz se faz ouvir na intimidade do seu ser» (GS 16). Um discernimento autêntico não pode descurar nenhum destes canais de comunicação.
62. O discernimento comunitário não é uma técnica organizativa, mas antes uma prática exigente que qualifica a vida e a missão da Igreja vivida em Cristo e no Espírito Santo. Por esta razão, é sempre realizado com a consciência e a vontade de sermos reunidos em nome do Senhor Jesus (cf. Mt 18,20) à escuta da voz do Espírito Santo. Como prometeu Jesus, apenas o Espírito Santo pode guiar a Igreja na via da plenitude da verdade (cf. Jo 16,13) e da vida, para a dar a um mundo sequioso de sentido. É aqui que se fundamenta o método com o qual o Povo de Deus vive o seu caminho de anúncio e testemunho do Evangelho. Por conseguinte, é prioritário aprender a praticar a todos os níveis a arte evangélica que permitiu à comunidade apostólica de Jerusalém selar o resultado do primeiro evento sinodal da história da Igreja com as palavras: «Na verdade, pareceu bem ao Espírito Santo e a nós» (At 15,28). É neste espírito que a prática da vida sinodal missionária da Igreja em lugares, organismos e eventos concretos deve ser reinterpretada e reorientada.
63. As opões processuais concretas, na sua variedade, devem ser coerentes com as exigências de metodologia teológica de fundo. Com base na experiência do processo sinodal, é também possível identificar alguns elementos chave para a conceção de qualquer procedimento: a) uma vida de oração pessoal e comunitária, que inclua a participação na Eucaristia; b) uma preparação pessoal e comunitária, adequada assente na escuta da Palavra de Deus e da realidade; c) uma escuta respeitosa e profunda da palavra de cada um; d) a procura de um consenso o mais alargado possível, não por interseção (portanto no sentido de um corte), mas por conjugação, visando evidenciar o que mais “faz arder os corações” (cf. Lc 24,32); e) a formulação do consenso por parte dos orientadores do processo e a sua restituição a todos os participantes, a quem compete confirmar ou, pelo menos, sentir-se reconhecidos nessa formulação.
64. O discernimento realiza-se sempre “com os pés na terra”, ou seja, no âmbito de um contexto concreto, cuja complexidade e especificidade é necessário conhecer o melhor possível. Assim sendo, não poderá senão tirar partido do contributo da análise de várias ciências humanas, sociais e administrativas relevantes para a questão em apreço. A competência técnica e científica não tem a última palavra – isso significaria cair numa deriva tecnocrática – cabendo-lhe «dar uma base concreta ao percurso ético e espiritual seguido» (LS 15). Deverá assim garantir-se que possa oferecer o seu apoio, do qual não é possível prescindir, sem assumir um papel dominante em relação a outras perspetivas.
65. Na Igreja existe uma grande variedade de abordagens ao discernimento e de metodologias consolidadas. Esta variedade é uma riqueza: com a devida adaptação aos diversos contextos, todas as abordagens podem revelar-se fecundas. Com vista ao bem comum, é importante que entrem num diálogo cordial, sem perderem a sua especificidade própria e sem entrincheiramentos identitários. A fecundidade da conversação no Espírito, revelada em todas as etapas do processo sinodal, convida a manter esta forma peculiar de discernimento eclesial como sendo particularmente adequada ao exercício da sinodalidade.
66. Nas Igrejas locais, é fundamental oferecer oportunidades de formação que divulguem e promovam uma cultura do discernimento, em particular entre os que desempenham funções de responsabilidade. É igualmente importante cuidar da formação de figuras de acompanhantes ou facilitadores, cujo contributo se revela frequentemente crucial para o decorrer dos processos de discernimento. É nesta linha que se desenvolve também o trabalho do Grupo de estudo n. 9, dedicado à elaboração de critérios teológicos e metodologias sinodais para um discernimento partilhado de questões doutrinais, pastorais e éticas controversas.
A articulação dos processos decisórios
67. «Na Igreja sinodal toda a comunidade, na livre e rica diversidade dos seus membros, é convocada para rezar, escutar, analisar, dialogar, discernir e aconselhar na tomada de decisões pastorais mais conformes à vontade de Deus» (CTI, n. 68). Esta afirmação, mais do que ser aprofundada, necessita de ser implementada. É difícil imaginar uma forma de promover uma Igreja sinodal mais eficaz do que a participação de todos nos processos decisórios. Esta participação assenta numa responsabilidade diferenciada que diz respeito a cada membro da comunidade, valorizando a sua capacidade e dons com vista à decisão partilhada.
68. Para favorecer a sua implementação, parece apropriada uma reflexão sobre a articulação dos processos decisórios. Esta prevê habitualmente uma fase de elaboração ou instrução (decision-making, de acordo com a terminologia inglesa também utilizada noutras línguas), «através de um trabalho comum de discernimento, consulta e cooperação» (CTI, n. 69), que informa e apoia a tomada de decisão (decision-taking), a qual cabe à autoridade competente (por exemplo, numa Diocese ou Eparquia ao Bispo). Entre as duas fases não existe competição ou contradição, mas a sua articulação contribui para que as decisões tomadas sejam o mais possível conformes à vontade de Deus: «A elaboração é uma tarefa sinodal, a decisão é uma responsabilidade ministerial» (ibid.).
69. Em numerosos casos o direito vigente prescreve já que, antes de tomar uma decisão, a autoridade é obrigada a proceder a uma consulta. Esta consulta eclesial não pode ser excluída e vai muito além da escuta, porque obriga a não proceder como se a mesma não tivesse lugar. A autoridade mantém-se livre em termos jurídicos, na medida em que o parecer consultivo não é vinculativo, mas, caso seja concordante, não será objeto de discussão sem um motivo convincente («sine praevalenti ratione» CIC, can. 127, § 2, 2°). Se o fizesse, ficaria isolada do grupo de pessoas que foram consultadas, configurando uma quebra da ligação que os une. Na Igreja o exercício da autoridade não consiste na imposição de uma vontade arbitrária, mas, enquanto ministério ao serviço da unidade do Povo de Deus, constitui uma força moderadora da busca comum das exigências do Espírito.
70. Numa Igreja sinodal, a competência decisória do Bispo, do Colégio Episcopal e do Romano Pontífice é inalienável, na medida em que está fundada na estrutura hierárquica da Igreja estabelecida por Cristo. No entanto, não é incondicional: uma orientação que se manifeste no processo consultivo como resultado de um correto discernimento, sobretudo quando realizado por organismos de participação da Igreja local, não pode ser ignorada. O objetivo do discernimento eclesial sinodal não consiste em forçar os Bispos a obedecer à voz do Povo, subordinando aqueles a este, nem oferecer aos Bispos um expediente para tornar aceitáveis decisões já tomadas, mas conduzir a uma decisão partilhada em obediência ao Espírito Santo. É, portanto, inadequada uma contraposição entre consulta e deliberação: na Igreja a deliberação realiza-se com a ajuda de todos, nunca sem a autoridade pastoral que decide por inerência de cargo. Por esta razão, a fórmula recorrente no CIC, que fala de “voto apenas consultivo” (tantum consultivum), reduz o valor da consulta e está correta.
71. Compete às Igrejas locais promover insistentemente todas as possibilidades de dar vida a processos decisórios autenticamente sinodais, adequados às especificidades dos diferentes contextos. Trata-se de uma tarefa de grande importância e urgência, na medida em que dela depende substancialmente o bom resultado da fase de implementação do Sínodo. Sem alterações concretas, a visão de uma Igreja sinodal não será credível e afastará os membros do Povo de Deus que retiraram alento e esperança do caminho sinodal. Esta constatação é aplicável ainda com maior rigor no que se refere à participação efetiva das mulheres nos processos de elaboração e na tomada de decisões, como exigido em muitos dos contributos recebidos pelas Conferências Episcopais.
72. Por último, não é necessário referir que processos de consulta, discernimento comunitário ou elaboração sinodal das decisões exigem que todos os participantes tenham acesso efetivo à totalidade das informações relevantes, de modo a poderem formular o seu parecer com conhecimento de causa. É da responsabilidade da autoridade que realiza o processo assegurar que isso acontece. Processos decisórios sinodais corretos exigem um nível adequado de transparência. Deve igualmente salientar-se a delicadeza da tarefa e a responsabilidade particular dos que exprimem o seu parecer numa consulta.
Transparência, prestação de contas, avaliação
73. Uma Igreja sinodal necessita da cultura e prática da transparência e prestação de contas (accountability, um termo inglês também utilizada noutras línguas), que são indispensáveis a fim de promover a confiança recíproca necessária para caminhar juntos e exercer a corresponsabilidade pela missão comum. Na Igreja, o exercício da prestação de contas não responde em primeiro lugar a exigências de carácter social e organizativa. O seu fundamento consiste essencialmente em encontrar na natureza da Igreja o mistério da comunhão.
74. No Novo Testamento é possível encontrar práticas de prestação de contas na vida da Igreja primitiva, significativamente ligadas à preservação da comunhão. O cap. 11 dos Atos dos apóstolos oferece um exemplo desta prática: quando Pedro regressa a Jerusalém depois de ter batizado Cornélio, um pagão, «os fiéis de origem judaica começaram a discutir com ele dizendo: “Tu entraste na casa de pagãos e comeste com eles!”» (At 11,2-3). Pedro responde com uma narrativa que presta contas da sua atuação. A prestação de contas do ministério à comunidade faz parte da tradição mais antiga, remontando à Igreja apostólica. A teologia cristã do serviço (stewardship) oferece um quadro de referência que permite compreender o exercício da autoridade e situar a reflexão sobre transparência e prestação de contas.
75. No nosso tempo, impôs-se a exigência de transparência e prestação de contas na Igreja e por parte da Igreja, após a perda de credibilidade resultante dos escândalos financeiros e principalmente dos abusos sexuais e de outro tipo de menores e pessoas vulneráveis. A falta de transparência e de formas de prestação de contas alimenta o clericalismo, que assenta no pressuposto implícito de que os Ministros ordenados não devem prestar contas a ninguém no exercício da autoridade que lhes foi conferida.
76. Se a Igreja sinodal quer ser acolhedora, então prestação de contas e transparência devem situar-se no centro da sua ação a todos os níveis e não apenas a nível da autoridade. No entanto, quem desempenha cargos de autoridade tem maior responsabilidade neste campo. Transparência e prestação de contas não se limitam aos abusos sexuais e financeiros. Devem incidir igualmente nos planos pastorais, métodos de evangelização e modalidades com que a Igreja respeita a dignidade da pessoa humana, no que se refere, por exemplo, às condições de trabalho no seio das suas instituições.
77. Se, ao longo dos séculos, se manteve a prática da prestação de contas aos superiores, esta dimensão da prestação de contas das autoridades à comunidade foi agora recuperada. A transparência deve ser uma característica do exercício da autoridade na Igreja. Hoje em dia, são necessárias estruturas e formas de avaliação regular do modo como são exercidas todas as responsabilidades ministeriais. A avaliação, entendida em sentido não moralista, permite aos Ministros introduzir tempestivamente eventuais ajustamentos e favorece o seu crescimento e a capacidade de prestarem um serviço melhor.
78. Além de observar todas as disposições já previstas nas normas canónicas em matéria de critérios e mecanismos de controlo, compete às Igrejas locais e sobretudo aos seus agrupamentos (Conferências Episcopais e Estruturas Hierárquicas Orientais) organizar formas e procedimentos eficazes de transparência e prestação de contas, apropriados à diversidade dos contextos, a partir do quadro normativo civil, das expetativas da sociedade e da disponibilidade efetiva de competências na matéria. Contudo, nos casos em que os recursos sejam escassos, a Igreja deve trabalhar com vista a uma evolução do seu próprio trabalho e da mentalidade comum no sentido da transparência e da cultura da prestação de contas.
79. Em particular, parece necessário garantir, em formas apropriadas aos diversos contextos, pelo menos: a) um funcionamento eficaz dos Conselhos dos assuntos económicos; b) o envolvimento efetivo do Povo de Deus, nomeadamente dos membros mais competentes, no planeamento pastoral e económico; c) a elaboração e publicação (acessibilidade efetiva) de um relatório de contas anual, se possível certificado por revisores externos, que torne transparente a gestão dos bens e dos recursos financeiros da Igreja e das suas instituições; d) uma prestação de contas anual sobre a evolução da missão, que compreenda uma ilustração das iniciativas empreendidas em matéria de safeguarding (tutela de menores e pessoas vulneráveis) e de promoção do acesso das mulheres a posições de autoridade, bem como da sua participação nos processos decisórios; e) procedimentos de avaliação periódica do desempenho de todos os ministérios e atribuições no seio da Igreja. Também este aspeto se reveste de grande importância e urgência para a credibilidade do processo sinodal e da sua implementação.
Parte III – Lugares
A vida sinodal missionária da Igreja, as relações que a integram e os percursos que asseguram o seu desenvolvimento, nunca podem prescindir do concreto de um “lugar”, ou seja, de um contexto e de uma cultura. Esta Parte III convida-nos a superar uma visão estática dos lugares, que os ordena por níveis ou graus sucessivos (Paróquia, zona, Diocese ou Eparquia, Província Eclesiástica, Conferência Episcopal ou Estrutura Hierárquica Oriental, Igreja universal) segundo um modelo piramidal. Na realidade, nunca foi assim: a teia das relações e do intercâmbio de dons entre as Igrejas sempre teve uma forma reticular e não linear, no vínculo da unidade, da qual o Romano Pontífice é princípio e fundamento com carácter perpétuo e visível, e a catolicidade da Igreja nunca coincidiu com um universalismo abstrato. Por outro lado, no âmbito de uma conceção do espaço em rápida mutação, restringir a ação da Igreja a limites puramente espaciais iria aprisioná-la num imobilismo fatal e numa preocupante repetibilidade pastoral, incapaz de atingir a parte mais dinâmica da população, em particular os jovens. Em vez disso, os lugares são colocados numa perspetiva de interioridade mútua, a concretizar também nas relações entre Igrejas nos seus agrupamentos dotados de uma unidade de sentido. O serviço da unidade, que compete ao Bispo de Roma e ao Colégio Episcopal em comunhão com ele, deve igualmente confrontar-se com este cenário, elaborando as modalidades institucionais adequadas do seu exercício.
Territórios onde caminhar juntos
80. «À Igreja de Deus que está em Corinto…» (1 Cor 1,2). O anúncio do Evangelho, suscitando a fé no coração dos homens e das mulheres, permite que num lugar se constitua uma Igreja. A Igreja não pode ser compreendida sem implementação num lugar e numa cultura e sem as relações que se estabelecem entre lugares e culturas. Destacar a importância do lugar não significa ceder ao particularismo ou ao relativismo, mas sim valorizar a realidade concreta em que, no espaço e no tempo, se constrói uma experiência partilhada de adesão à manifestação de Deus salvador. A dimensão do lugar preserva a pluralidade das configurações desta experiência e o seu enraizamento em contextos culturais e históricos específicos. A variedade das tradições litúrgicas, teológicas, espirituais e disciplinares constitui a demonstração mais evidente do enriquecimento e beleza que esta pluralidade confere à Igreja. É a comunhão das Igrejas, cada uma com a sua realidade local, a manifestar a comunhão dos Fiéis na Igreja única e una, evitando a sua dispersão num universalismo abstrato e homogeneizante.
81. A experiência do pluralismo das culturas e da fecundidade do encontro e do diálogo entre elas, é condição de vida da Igreja e não uma ameaça à sua catolicidade. A mensagem salvífica permanece una e única: «Há um só corpo e um só Espírito, do mesmo modo que a esperança para a qual fostes chamados é uma só. Existe um único Senhor, uma só fé e um só Batismo. Há um só Deus, Pai de todos, que está acima de todos e que atua através de todos e em todos» (Ef 4,4-6). Esta mensagem assume uma forma plural, expressa na diversidade de povos, culturas, tradições e línguas. Tomar a sério esta pluralidade de formas afasta pretensões hegemónicas e o risco de reduzir a mensagem salvífica a uma única compreensão da vida eclesial e das expressões litúrgicas, pastorais ou morais. A trama das relações no seio de uma Igreja sinodal torna-se visível no intercâmbio de dons entre as Igrejas e, garantida pela unidade do Colégio Episcopal guiada pelo Bispo de Roma, constitui a defesa dinâmica de uma unidade que nunca se pode transformar em uniformidade.
82. Tudo isto se confronta atualmente com condições socioculturais que alteram profundamente a experiência vivida da implantação territorial. O lugar já não pode ser entendido em termos puramente geográficos e espaciais, reclamando antes a pertença a uma trama de relações e a uma cultura com uma ancoragem territorial mais dinâmica e elástica do que no passado. Tal facto não pode deixar de interrogar as formas organizativas da Igreja, que se estruturaram com base numa outra conceção de lugar e exige também a assunção de critérios diferenciados, obviamente não contraditórios, para encarnar a única verdade na vida das pessoas.
83. Entre os fatores desta mudança conta-se certamente o fenómeno da urbanização: atualmente, pela primeira vez na história humana, a maioria da humanidade vive em contextos urbanos e não rurais. A pertença territorial assume uma configuração diferente em contexto urbano, no qual os limites entre as partes têm um carácter evidentemente mais convencional. Nas grandes metrópoles, bastam algumas paragens de metropolitano para ultrapassar os limites não da Paróquia, mas da Diocese: uma deslocação que muitas pessoas efetuam várias vezes ao longo do mesmo dia. A sua vida decorre normalmente em lugares eclesiais diferentes.
84. Um segundo fator é o acréscimo da mobilidade humana, por diferentes razões, num mundo globalizado. Refugiados e migrantes constituem frequentemente comunidades vivas, também no que se refere à prática da fé, tornando assim plural o lugar em que se estabelecem. Ao mesmo tempo, e graças também aos meios de comunicação digital, mantêm ligações e relações com o seu país de origem. Vivem, portanto, uma múltipla pertença local, cultural e linguística. Por sua vez, as comunidades de origem registam, por um lado, a redução dos seus membros, correndo até o risco de desaparecer e, por outro, uma expansão do próprio tecido relacional à escala global. Como sublinhou a Primeira Sessão, é emblemática a este respeito, a situação de certas Igrejas Orientais Católicas: com os atuais ritmos dos fluxos migratórios, os seus membros na diáspora poderão exceder o número dos que vivem nos territórios canónicos (cf. RdS 6c). Em qualquer caso, tornar-se-á cada vez mais anacrónico definir o seu lugar em termos puramente geográficos. O Grupo de estudo n. 1 é chamado a refletir sobre os desafios que esta realidade coloca nas relações com a Igreja latina.
85. Por último, não podemos ignorar a difusão da cultura digital, especialmente entre os jovens. Esta tem um impacto radical na experiência e na conceção do espaço e do tempo, assim como no modo de viver todos os tipos de atividades, as comunicações, as relações e inclusivamente a fé. Não é por acaso que a Primeira Sessão afirma que «a cultura digital não é tanto uma área distinta da missão, mas uma dimensão crucial do testemunho da Igreja» (RdS 17b). Esta temática constitui o objeto do trabalho do terceiro dos dez Grupos de estudo.
86. Esta dinâmica da sociedade e da cultura obrigam a Igreja a repensar o sentido da própria dimensão local, com vista ao bem da missão. Sem ignorar que a vida se exerce sempre em contextos físicos e em culturas concretas, de que nunca é possível prescindir, convém afastarmo-nos de uma interpretação unicamente espacial do lugar: os lugares, também e sobretudo os da Igreja, não são apenas espaços, mas também áreas e redes que permitem o desenvolvimento das relações, oferecendo às pessoas uma oportunidade de enraizamento e uma base para a missão, que poderão realizar nos locais onde vivem. A conversão sinodal das mentalidades e dos corações deve ser acompanhada de uma reforma sinodal dos lugares eclesiais, chamada a ser estrada para caminhar juntos. Isto não significa confinar a ação pastoral a pertenças eletivas, porquanto a mesma deve poder encontrar cada homem e cada mulher.
87. Esta reforma é conduzida com base na compreensão da Igreja como Povo santo de Deus, articulada na comunhão das Igrejas (communio Ecclesiarum). A experiência vivida demonstrou-nos que iniciar o processo sinodal das Igrejas locais não compromete a unidade de toda a Igreja, mas exprime a variedade e a universalidade do Povo de Deus (cf. LG 22), nem prejudica o exercício do ministério de unidade do Bispo de Roma, antes o valoriza. Não é necessário pensar a Igreja a partir das suas instituições, mas estas, incluindo as mais importantes, são repensadas na lógica do serviço da missão.
88. Em virtude do serviço do Bispo de Roma como princípio visível da unidade de toda a Igreja e de cada Bispo como princípio visível da unidade na sua Igreja, o Concílio pôde afirmar que a Igreja, corpo místico de Cristo, é também um corpo de Igrejas, nas quais e a partir das quais existe a Igreja Católica, única e una (cf. LG 23). Este corpo articula-se: a) nas Igrejas individuais como porções do Povo de Deus, cada uma confiada a um Bispo; b) nos agrupamentos de Igrejas, nos quais as instâncias da comunhão são sobretudo representadas pelos organismos hierárquicos; c) na Igreja inteira (Ecclesia tota), em que a Igreja como comunhão de Igrejas é expressa pelo Colégio dos Bispos reunido ao redor do Bispo de Roma, no vínculo da comunhão episcopal (cum Petro) e hierárquica (sub Petro). A reforma das instituições eclesiais só pode seguir esta articulação ordenada da Igreja.
As Igrejas locais na Igreja Católica única e una
89. A Igreja local, na sua articulação, é o lugar em que podemos vivenciar com carácter mais imediato a vida sinodal missionária de toda a Igreja. Os contributos das Conferências Episcopais falam de Paróquias, comunidades de base e pequenas comunidades como núcleos de comunhão e de participação na missão. Tal como afirmaram os Párocos reunidos em Sacrofano, «os membros das Paróquias são e tornam-se discípulos missionários de Jesus reunidos em seu nome pela oração e o culto, o serviço e o testemunho em tempos de alegria e de dor, de esperança e de luta». Deus atua nestas realidades eclesiais. Ao mesmo tempo, estamos conscientes de que devemos fazer mais para desenvolver e tirar partido da grande plasticidade da Paróquia, entendida como comunidade de comunidades, ao serviço da criatividade missionária.
90. Hoje em dia, as Igrejas locais integram também realidades associativas e comunitárias que são expressões antigas e novas da vida cristã. Os Institutos de vida consagrada e as Sociedades de vida apostólica, em particular, contribuem em larga medida para a vida das Igrejas locais e o dinamismo da ação missionária. O mesmo é válido para as associações laicais, os movimentos eclesiais e as Novas Comunidades. A pertença à Igreja manifesta-se atualmente com um número crescente de formas que não remetem para uma base geograficamente definida, mas para ligações de tipo associativo. Esta variedade de formas é promovida, tendo sempre presente a perspetiva missionária e o discernimento eclesial daquilo que o Senhor pede em cada contexto particular. A animação desta variedade multiforme e o cuidado dos laços de unidade constituem competências específicas do Bispo diocesano o eparquial. Foi confiada ao Grupo de estudo n. 6 a tarefa de aprofundar estes aspetos.
91. Tal como já sucedera nas fases anteriores do processo sinodal, também por ocasião da consulta para a redação do presente Instrumentum laboris, muitos dos contributos recolhidos consideram os diversos tipos de Conselhos (paroquiais, de zona, diocesanos ou eparquiais) instrumentos essenciais para o planeamento, a organização, a execução e a avaliação das atividades pastorais, e referem a necessidade da sua valorização. Trata-se, com efeito, de estruturas já previstas no direito vigente. Mediante uma adaptação apropriada, poderão revelar-se ainda mais adequadas para dar forma concreta a alguns aspetos de um estilo sinodal: podem ser alvo de processos de discernimento eclesial e de processos decisórios sinodais e lugares da prática da prestação de contas e da avaliação de quem exerce cargos de autoridade, sem esquecer que, por sua vez, estas pessoas devem dar conta do modo como desempenham as suas funções. Trata-se, pois, de um dos campos de ação mais promissores para uma aplicação expedita das orientações sinodais, que conduza a alterações rapidamente percetíveis.
92. Para avançar nesta direção, muitos contributos salientam a necessidade de intervir sobre o perfil e as modalidades de funcionamento destes órgãos. Entre os aspetos mais significativos a considerar, destaca-se a modalidade de nomeação dos membros, procurando que a sua composição reflita a da comunidade de referência (Paróquia ou Diocese/Eparquia), a fim de contribuir credivelmente para a promoção de uma cultura de transparência e prestação de contas. Por conseguinte, é importante que a maioria dos membros não seja indicada pela autoridade (Bispo ou Pároco), mas designada de uma outra forma que traduza efetivamente a realidade da comunidade ou da Igreja local.
93. A composição destes organismos requer também uma atenção similar, de modo a favorecer uma maior participação das mulheres, dos jovens e dos que vivem em condições de pobreza ou marginalização. Por outro lado, como salientado também na Primeira Sessão, é fundamental que estes órgãos integrem homens e mulheres empenhados no testemunho da fé na realidade comum da vida e nas dinâmicas sociais, com uma disposição apostólica e missionária reconhecida (cf. RdS 18d), e não só pessoas empenhadas na organização da vida e dos serviços internos da comunidade. Deste modo, o discernimento eclesial realizado por estes organismos poderá beneficiar de uma maior abertura, capacidade de analise da realidade e pluralidade de perspetivas. Por último, muitos contributos assinalam a oportunidade de tornar obrigatórios os Conselhos cuja instituição é discricional no direito atualmente vigente.
94. Algumas Conferências Episcopais partilharam também experiências de reforma e boas práticas já implementadas, como a criação de redes de Conselhos pastorais a nível das comunidades de base, Paróquias e zonas, até ao Conselho pastoral diocesano. Como modelo de consulta e escuta, propõe-se a criação de assembleias eclesiais a todos os níveis, procurando não limitar a consulta ao interior da Igreja Católica, mas beneficiando do contributo de outras Igrejas e Comunidades Eclesiais, de outras religiões presentes no território e da sociedade, no “caminhar juntos” da comunidade cristã.
Os laços que dão forma à unidade da Igreja
95. O horizonte de comunhão do intercâmbio de dons, explicitado na Parte I, constitui o critério inspirador da relação entre as Igrejas. Combina o ênfase colocado nos laços que dão forma à unidade da Igreja com a valorização das peculiaridades associadas ao contexto em que vive cada Igreja local, com a sua história e a sua tradição. A adoção de um estilo sinodal permite deixar de pensar que todas as Igrejas devam forçosamente mover-se ao mesmo ritmo relativamente a cada questão. As diferenças de ritmo devem, pelo contrário, ser valorizadas como expressão de uma legítima diversidade e como ocasião para um intercâmbio de dons e enriquecimento mútuo. Para poder realizar-se, este horizonte necessita de se inserir em estruturas e práticas concretas. Responder à pergunta «Como ser Igreja sinodal em missão?» exige, portanto, a sua identificação e promoção.
96. As Estruturas Hierárquicas Orientais e as Conferências Episcopais constituem um instrumento fundamental para a criação de laços e partilha de experiências entre as Igrejas, além de promoverem o descentramento do governo e da planificação pastoral. «O Concílio Vaticano II afirmou que, à semelhança das antigas Igrejas patriarcais, as conferências Episcopais podem “aportar uma contribuição múltipla e fecunda, para que o sentimento colegial leve a aplicações concretas” (LG 23). Mas este desejo não se realizou plenamente, porque ainda não foi suficientemente explicitado um estatuto das conferências Episcopais que as considere como sujeitos de atribuições concretas, incluindo alguma autêntica autoridade doutrinal» (EG 32). Procurar o modo de ser Igreja sinodal em missão exige dar resposta a esta questão.
97. A partir do que emergiu no decurso do processo sinodal, propõe-se: a) reconhecer as Conferências Episcopais como sujeitos eclesiais dotados de autoridade doutrinal, assumindo a diversidade sociocultural no quadro de uma Igreja poliédrica e favorecendo a valorização das expressões litúrgicas, disciplinares, teológicas e espirituais apropriadas aos diferentes contextos socioculturais; b) proceder a uma avaliação da experiência vivida do funcionamento das Conferências Episcopais e das Estruturas Hierárquicas Orientais, das relações entre os Episcopados e com a Santa Sé, para identificar as reformas concretas a implementar; as visitas ad limina, que se inserem no âmbito de trabalho do Grupo de estudo n. 7, poderiam constituir uma ocasião propícia para esta avaliação; c) assegurar que todas as Dioceses ou Eparquias sejam afetas a uma Província Eclesiástica e a uma Conferência Episcopal ou Estrutura Hierárquica Oriental (cf. CD 40).
98. A experiência das Assembleias continentais foi a novidade da primeira fase do processo sinodal, implementando de modo mais coerente as indicações conciliares de considerar seriamente as especificidades «de cada vasto território sociocultural» em busca de «uma mais profunda adaptação em toda a extensão da vida cristã» (AG 22). Esta experiência, assim como o caminho das Igrejas de certas regiões, coloca a questão da articulação do dinamismo sinodal e colegial através de expressões institucionais apropriadas, como por exemplo assembleias eclesiais e Conferências Episcopais, às quais atribuir funções coordenadas de elaboração e tomada de decisões de âmbito continental ou regional. É possível também implementar métodos de discernimento que incluam uma diversidade de sujeitos eclesiais na redação de documentos e nos processos decisórios. Propõe-se ainda que em relação ao discernimento possam prever-se, de forma adequada à diversidade dos contextos, espaços de escuta e diálogo com instituições civis, representantes de outras religiões, organizações não católicas e a sociedade em geral.
99. O desejo de que o diálogo sinodal local não termine, mas continue no tempo, e a necessidade de uma efetiva inculturação da fé em extensões territoriais significativas leva a uma nova valorização do instituto dos Conselhos particulares, tanto provinciais como plenários, cuja celebração periódica constituiu uma obrigação durante larga parte da história da Igreja. Com base na experiência amadurecida ao longo do percurso sinodal, é possível pensar formas que articulem uma assembleia apenas de Bispos e uma assembleia eclesial constituída também por outros Fiéis (Presbíteros, Diáconos, Consagrados e Consagradas, Leigos e Leigas), delegados aos Conselhos pastorais das Dioceses ou Eparquias participantes, ou nomeados de outro modo, por forma a refletir a variedade da Igreja na região. Nesta linha, seria possível reformar o procedimento de recognitio das conclusões dos Conselhos particulares, a fim de favorecer uma publicação atempada.
O serviço do Bispo de Roma em prol da unidade
100. Responder à pergunta «Como ser Igreja sinodal em missão?» exige também revisitar a dinâmica que une sinodalidade, colegialidade e primado, para que possa alimentar as relações entre as instituições através das quais encontra uma expressão concreta.
101. O processo sinodal demonstrou a verdade das afirmações conciliares, que «na comunhão eclesial existem legitimamente igrejas particulares com tradições próprias, sem detrimento do primado da cátedra de Pedro, que preside à universal assembleia da caridade (25), protege as legítimas diversidades e vigia para que as particularidades ajudem a unidade e de forma alguma a prejudiquem» (LG 13). Em virtude desta função, o Bispo de Roma, enquanto princípio visível de unidade da Igreja inteira (cf. LG 23), é o garante da sinodalidade: compete-lhe chamar toda a Igreja à ação sinodal, convocando, presidindo e confirmando os resultados dos Sínodos dos Bispos; deverá exercer um cuidado vigilante para que a Igreja cresça num estilo e numa forma sinodal.
102. A reflexão sobre as formas de exercício do ministério petrino é também conduzida na perspetiva da «descentralização salutar» (EG 16) solicitada pelo Papa Francisco e requerida por muitas Conferências Episcopais. Na formulação dada pela Constituição Apostólica Praedicate Evangelium, a mesma implica «deixar à competência dos Pastores a faculdade de resolver, no exercício da «sua própria tarefa de mestres» e Pastores, as questões que conhecem bem e que não afetam a unidade de doutrina, de disciplina e de comunhão da Igreja, agindo sempre com aquela corresponsabilidade que é fruto e expressão deste específico mysterium communionis que é a Igreja» (PE II, 2).
103. Para proceder neste rumo poderia adotar-se a orientação do recente Motu Proprio Competentias quasdam decernere (15 de fevereiro de 2022), que atribui «algumas competências, relativas a disposições do Código que visam garantir a unidade da disciplina da Igreja universal, o poder executivo das Igrejas e das instituições eclesiais locais» com base na «dinâmica eclesial da comunhão» (introdução).
104. Por outro lado, também a elaboração da norma canónica pode prestar-se à aplicação de um estilo sinodal. A ação normativa não está limitada ao exercício de um poder reconhecido por parte da autoridade, sendo considerada como um verdadeiro discernimento eclesial. Embora goze de todas as prerrogativas para legislar, ao fazê-lo a autoridade pode e deve agir de acordo com o método sinodal, a fim de promulgar uma norma que seja fruto de uma exigência de justiça decorrente da escuta no Espírito.
105. A referida Constituição Apostólica Praedicate Evangelium configurou em sentido sinodal e missionário o serviço que a Cúria Romana presta ao Bispo de Roma e ao Colégio dos Bispos. Na lógica da transparência e da prestação de contas, estão previstas formas de avaliação periódica do seu trabalho, confiadas a um órgão independente (que poderá ser o Conselho dos Cardeais e/ou um conselho de Bispos eleito pelo Sínodo). O Grupo de estudo n. 8 tem a seu cargo o papel dos Representantes pontifícios em perspetiva sinodal missionária e as modalidades de avaliação do seu desempenho.
106. A Assembleia de outubro de 2023 indicava a necessidade de proceder a uma avaliação dos frutos da Primeira Sessão (cf. RdS 20j), a qual não pode prescindir do desenvolvimento conferido pela Constituição Apostólica Episcopalis communio, que transforma o Sínodo de evento pontual em processo eclesial que se prolonga no espaço e no tempo. Entre os lugares para praticar a sinodalidade e a colegialidade a nível de toda a Igreja, destaca-se certamente o Sínodo dos Bispos. Instituído por São Paulo Paolo VI como uma assembleia de Bispos convocada para participar, através do conselho, no cuidado do Romano Pontífice por toda a Igreja, é agora, na forma do processo faseado, o espaço em que se realiza e pode ser incentivada a relação dinâmica entre sinodalidade, colegialidade e primado. Todo o Povo santo de Deus, os Bispos a quem são confiadas as porções individuais do mesmo e o Bispo de Roma, enquanto princípio de unidade da Igreja, participam de pleno direito no processo sinodal, cada um segundo as suas próprias funções. Esta participação é expressa na Assembleia sinodal reunida em torno do Bispo de Roma, cuja composição demonstra a variedade e a universalidade da Igreja como «“sacramento de unidade”, isto é, Povo santo reunido e ordenado sob a direção dos Bispos» (SC 26).
107. Entre os frutos mais significativos do Sínodo 2021-2024 conta-se a intensidade do momentum e da promessa ecuménica que o caracteriza. Pode também ser útil debater a esta luz a questão do exercício do ministério petrino, por forma a que possa abrir-se «a uma situação nova» (UUS 95). O recente documento do Dicastério para a Promoção da Unidade dos Cristãos Il Vescovo di Roma. Primato e sinodalità nei dialoghi ecumenici e nelle risposte all’enciclica “Ut unum sint” oferece pistas para um aprofundamento posterior. O tema insere-se no âmbito do Grupo de estudo n. 10, dedicado à receção dos frutos do caminho ecuménico nas práticas eclesiais.
108. A riqueza representada pela participação na Primeira Sessão dos Delegados fraternos, provenientes de outras Igrejas e Comunidade Eclesiais, convida-nos a prestar maior atenção ao modo como a sinodalidade se realiza nos nossos companheiros ecuménicos, tanto no Oriente como no Ocidente. O diálogo ecuménico é fundamental para desenvolver a compreensão da sinodalidade e da unidade da Igreja. Mas sobretudo incentiva-nos a imaginar práticas sinodais verdadeiramente ecuménicas, incluindo formas de consulta e discernimento sobre questões de interesse mútuo e urgente. O fundamento desta possibilidade está no facto de estarmos unidos num único Batismo, do qual provém a identidade do Povo de Deus e o dinamismo de comunhão, participação e missão.
Conclusão – A Igreja sinodal no mundo
109. Neste mundo todas as coisas estão ligadas e comportam em si um desejo do outro que nunca passa. Tudo é um apelo à relação e um testemunho de ausência de autossuficiência. O mundo inteiro, quando contemplado com o olhar educado pela Revelação cristã, é sinal sacramental de uma presença que o transcende e o anima, conduzindo-o ao encontro com Deus, que se cumprirá definitivamente na convivialidade das diferenças, as quais encontrarão a sua plenitude no banquete escatológico preparado por Deus no seu monte.
110. Transformada pelo anúncio da Ressurreição, a Igreja procura tornar-se um lugar onde se respira e se vive a visão de Isaías para ser «a fortaleza do pobre e a fortaleza do necessitado na sua angústia; refúgio contra a tempestade e sombra contra o calor» (Is 25,4). Deste modo abre o seu coração ao Reino. Quando os membros da Igreja se deixam conduzir pelo Espírito do Senhor para horizontes que inicialmente não tinham vislumbrado, sentem uma alegria incomensurável. Na sua beleza, humildade e simplicidade, é esta a conversão contínua do estilo da Igreja que o processo sinodal nos convida a realizar.
111. A Encíclica Fratelli tutti chama-nos a reconhecer-nos como irmãs e irmãos em Cristo ressuscitado, propondo esse reconhecimento não como um estatuto, mas como uno estilo de vida. A Encíclica sublinha o contraste entre o tempo em que vivemos e a visão de convivialidade preparada por Deus. O véu, o manto e as lágrimas dos nossos tempos são o resultado do crescente isolamento recíproco, da crescente violência e polarização do nosso mundo e do desaparecimento das fontes da vida. O presente Instrumentum laboris interroga-se e interroga-nos sobre como ser uma Igreja sinodal missionária; como nos empenharmos numa escuta e num diálogo profundos; como sermos corresponsáveis à luz do dinamismo da nossa vocação batismal pessoal e comunitária; como transformarmos estruturas e processos de modo a que todos possam participar e partilhar os carismas que o Espírito infunde em cada um para benefício comum; como exercer poder e autoridade como serviço. Cada uma destas perguntas é um serviço à Igreja e, através da sua ação, a possibilidade de curar as feridas mais profundas do nosso tempo.
112. O profeta Isaías termina o seu oráculo com um hino de louvor a retomar em coro: «Eis que este é o nosso Deus, em quem esperávamos, e ele nos salvará; este é o Senhor, a quem aguardávamos; na sua salvação exultaremos» (Is 25,9). Como Povo de Deus unamo-nos a este louvor, enquanto como peregrinos de esperança continuamos a avançar ao longo do caminho sinodal rumo àqueles que ainda aguardam o anúncio da Boa Nova da salvação!
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[1] Salvo indicação em contrário ou quando do contexto resultar algo diferente, no texto do Instrumentum laboris o termo “Igreja” indica «una e única Igreja Católica» (LG 23), ao passo que o plural “Igrejas” indica as Igrejas locais nas quais e a partir das quais a mesma existe.
[2] Neste ponto e nos que se seguem, as citações das Conferências Episcopais e dos seus agrupamentos continentais são extraídas das sínteses transmitidas à Secretaria Geral do Sínodo após a consulta às Igrejas locais, que teve lugar entre o final de 2023 e a primeira metade de 2024.
[3] Divulgado pela Secretaria Geral do Sínodo a 11 de dezembro de 2023 e disponível no site www.synod.va.
[4] A este respeito remete-se para o documento: Come essere Chiesa sinodale in missione? Cinque prospettive da approfondire teologicamente in vista della Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, divulgado pela Secretaria Geral do Sínodo a 14 de março de 2024 e disponível no site www.synod.va.
[5] A este respeito remete-se para o documento Gruppi di studio su questioni emerse nella Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, da approfondire in collaborazione con i Dicasteri della Curia Romana. Traccia di lavoro, igualmente divulgado a 14 de março de 2024 e disponível no site www.synod.va.
[6] As temáticas identificadas no Relatório de Síntese da Primeira Sessão e confiadas aos dez grupos de estudo são:
1. Alguns aspetos das relações entre Igrejas Orientais Católicas e a Igreja latina (RdS 6).
2. A escuta do grito dos pobres (RdS 4 e 16).
3. A missão no ambiente digital (RdS 17).
4. A revisão da Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis numa perspetiva sinodal missionária (RdS 11).
5. Algumas questões teológicas e canônicas em torno a formas ministeriais específicas (RdS 8 e 9).
6. A revisão, numa perspetiva sinodal e missionária, dos documentos que regem as relações entre Bispos, Vida Consagrada, Agregações Eclesiais (RdS 10).
7. Alguns aspetos da figura e do ministério do Bispo (em particular: critérios para a seleção dos candidatos ao episcopado, função judicial do Bispo, natureza e realização das visitas ad limina Apostolorum) numa perspetiva sinodal missionária (RdS 12 e 13).
8. O papel dos Representantes Pontifícios numa perspetiva sinodal missionária (RdS 13).
9. Critérios teológicos e metodologias sinodais para um discernimento partilhado de questões doutrinais, pastorais e éticas controversas (RdS 15).
10. A receção dos frutos do caminho ecuménico nas práticas eclesiais (RdS 7).
[7] O termo “sínodo” na tradição das Igrejas Orientais e Ocidentais refere-se a instituições e eventos que, ao longo do tempo, assumiram formas diversas, envolvendo uma pluralidade de sujeitos. Na sua variedade, todas estas formas são irmanadas e reunidas em conjunto para dialogar, discernir e decidir.
[01156-PO.01] [Texto original: Italiano]
[B0560-XX.02]