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Udienza ai partecipanti all’Incontro annuale con i moderatori delle associazioni di fedeli, dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità promosso dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, 13.06.2024


Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua spagnola

Questa mattina, nell’Aula del Sinodo in Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i partecipanti all’Incontro annuale con i Moderatori delle associazioni di fedeli, dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, promosso dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita sul tema “La sfida della sinodalità per la missione”:

Riportiamo di seguito il discorso che il Santo Padre ha rivolto ai presenti all’incontro:

Discorso del Santo Padre

Eminenza, cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti tutti!

Sono contento di incontrarvi, e colgo l’occasione per riflettere con voi sulla sinodalità, che avete scelto come tema della vostra giornata di incontro. Più volte ho ripetuto che il cammino sinodale richiede una conversione spirituale, perché senza un cambiamento interiore non si raggiungono risultati duraturi. Il mio desiderio, infatti, è che, dopo questo Sinodo, la sinodalità rimanga come modo di agire permanente nella Chiesa, a tutti i livelli, entrando nel cuore di tutti, pastori e fedeli, fino a diventare uno “stile ecclesiale” condiviso. Tutto ciò, però, richiede un cambiamento che deve avvenire in ognuno di noi, una vera e propria “conversione”.

È stato un cammino lungo. Pensate che il primo che ha visto che c’era bisogno della sinodalità nella Chiesa latina è stato San Paolo VI, quando dopo il Concilio ha creato il Segretariato per il Sinodo dei Vescovi. La Chiesa orientale aveva conservato la sinodalità, invece la Chiesa latina l’aveva persa. È stato San Paolo VI ad aprire questa via. E oggi, a quasi 60 anni, possiamo dire che la sinodalità è entrata nel modo di agire della Chiesa. La cosa più importante di questo Sinodo sulla sinodalità non è tanto trattare questo problema o quell’altro. La cosa più importante è il cammino parrocchiale, diocesano e universale nella sinodalità.

E nell’ottica di questa conversione spirituale provo ora a indicare alcuni atteggiamenti, alcune “virtù sinodali”, che possiamo desumere dai tre annunci della Passione nel Vangelo di Marco (cfr 8,31; 9,31; 10,32-34): pensare secondo Dio, superare ogni chiusura e coltivare l’umiltà.

Primo: pensare secondo Dio. Dopo il primo annuncio della Passione, l’Evangelista ci riferisce che Pietro rimprovera Gesù. Proprio lui, che doveva essere di esempio e aiutare gli altri discepoli ad essere pienamente a servizio dell’opera del Maestro, si oppone ai piani di Dio, rifiutandone la passione e la morte. E Gesù gli dice: «Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,32).

Ecco il primo grande cambiamento interiore che ci viene chiesto: passare da un “pensiero solo umano” al “pensiero di Dio”. Nella Chiesa, prima di prendere ogni decisione, prima di iniziare ogni programma, ogni apostolato, ogni missione, dovremmo sempre chiederci: cosa vuole Dio da me, cosa vuole Dio da noi, in questo momento, in questa situazione? Quello che io ho in mente, quello che noi come gruppo abbiamo in mente, è veramente il “pensiero di Dio”? Ricordiamoci che il protagonista del cammino sinodale è lo Spirito Santo, non noi. Lui solo ci insegna ad ascoltare la voce di Dio, individualmente e come Chiesa.

Dio è sempre più grande delle nostre idee, è più grande della mentalità dominante, delle “mode ecclesiali” del momento, anche del carisma del nostro particolare gruppo o movimento. Perciò, non diamo mai per scontato di essere “sintonizzati” con Dio: cerchiamo piuttosto sempre di elevarci al di sopra di noi stessi per convertirci a pensare secondo Dio e non secondo gli uomini. Questa è la prima grande sfida. Pensare secondo Dio. Pensiamo a quel passo del Vangelo quando il Signore annuncia la Passione e Pietro si oppone. Cosa dice il Signore? “Tu non sei secondo Dio, tu non pensi secondo Dio”.

Secondo: superare ogni chiusura. Dopo il secondo annuncio della Passione, Giovanni si oppone a un uomo che praticava un esorcismo nel nome di Gesù, ma non era della cerchia dei discepoli: «Volevamo impedirglielo – afferma – perché non ci seguiva!» (Mc 9,38). Gesù non approva questo suo atteggiamento e gli dice: «Chi non è contro di noi è per noi» (Mc 9,40); poi invita tutti gli Apostoli a vigilare piuttosto su sé stessi, per non essere occasione di scandalo per gli altri (cfr Mc 9,42-50).

Stiamo attenti per favore alla tentazione del “cerchio chiuso”. I Dodici erano stati scelti per essere il fondamento del nuovo popolo di Dio, aperto a tutte le nazioni della terra, ma gli Apostoli non colgono questo orizzonte grande: si ripiegano su sé stessi e sembrano voler difendere i doni ricevuti dal Maestro – guarire i malati, cacciare i demoni, annunciare il Regno (cfr Mc 2,14) – come se fossero dei privilegi.

E questa è una sfida anche per noi: non andare al di là di quello che pensa la nostra “cerchia”, essere convinti che quello che facciamo noi vada bene per tutti, difendere, magari senza rendersene conto, posizioni, prerogative o prestigio “del gruppo”. Oppure lasciarsi bloccare dalla paura di perdere il proprio senso di appartenenza e la propria identità, per il fatto di aprirsi ad altre persone e ad altri modi di pensare, senza riconoscere la diversità come una opportunità, e non una minaccia. Sono, questi, “recinti” nei quali tutti rischiamo di rimanere prigionieri. State attenti: il proprio gruppo, la propria spiritualità, sono realtà per aiutare a camminare con il Popolo di Dio, ma non sono privilegi, perché c’è il pericolo di finire imprigionati in questi recinti.

La sinodalità ci chiede invece di guardare oltre gli steccati con grandezza d’animo, per vedere la presenza di Dio e la sua azione anche in persone che non conosciamo, in modalità pastorali nuove, in ambiti di missione in cui non ci eravamo mai impegnati prima; ci chiede di lasciarci colpire, anche “ferire” dalla voce, dall’esperienza e dalla sofferenza degli altri: dei fratelli nella fede e di tutte le persone che ci stanno accanto. Aperti, cuore aperto.

Infine, terzo: coltivare l’umiltà. Dopo il terzo annuncio della Passione, Giacomo e Giovanni chiedono posti di onore accanto a Gesù, che invece risponde loro invitando tutti a considerare vera grandezza non l’essere servito, ma il servire, l’essere servitore di tutti, perché Lui stesso è venuto a fare così (cfr Mc 10,44-45).

Comprendiamo qui che la conversione spirituale deve partire dall’umiltà, che è la porta d’ingresso di tutte le virtù. A me fa tristezza quando trovo cristiani che si vantano: perché io sono prete da qui, o perché sono laici da là, perché io sono di questa istituzione… Questa è una cosa brutta. L’umiltà è la porta, è l’inizio. E anche questo ci spinge a interrogarci: ma io cosa cerco davvero nei rapporti con i miei fratelli di fede? Perché porto avanti certe iniziative nella Chiesa? E se ci accorgiamo che in qualche modo ha fatto breccia in noi un po’ di orgoglio, o di superbia, allora domandiamo la grazia di tornare a convertirci all’umiltà. Solo gli umili, infatti, compiono cose grandi nella Chiesa, perché chi è umile ha basi solide, fondate sull’amore di Dio, che non viene mai meno, e perciò non cerca altri riconoscimenti.

E anche questa tappa della conversione spirituale è fondamentale per edificare una Chiesa sinodale: solo la persona umile infatti valorizza gli altri, e ne accoglie il contributo, i consigli, la ricchezza interiore, facendo emergere non il proprio “io”, ma il “noi” della comunità. A me fa dolore quando troviamo cristiani…, in spagnolo diciamo “yo me mí conmigo para mí ”, “io me mi con me per me”. Questi cristiani “al centro”. È triste. È l’umile che difende la comunione nella Chiesa, evitando le spaccature, superando le tensioni, sapendo mettere da parte anche le proprie iniziative per contribuire a progetti condivisi, e questo perchè nel servire trova gioia e non frustrazione o rancore. Vivere la sinodalità, ad ogni livello, è davvero impossibile senza umiltà.

E voglio dire un’altra volta, sottolineare il ruolo dei movimenti ecclesiali. I movimenti ecclesiali sono per il servizio, non per noi stessi. È triste quando si sente che “io appartengo a questo, all’altro, all’altro”, come se fosse una cosa superiore. I movimenti ecclesiali sono per servire la Chiesa, non sono in sé stessi un messaggio, una centralità ecclesiale. Sono per servire.

Spero che questi pensieri vi siano utili per il vostro cammino, nelle vostre associazioni e movimenti, nelle relazioni con i Pastori e con tutte le realtà ecclesiali; e mi auguro che questo incontro e altri momenti simili vi aiutino a valorizzare i rispettivi carismi in una prospettiva ecclesiale, per dare il vostro generoso e prezioso contributo all’evangelizzazione, alla quale tutti noi siamo chiamati.

Sempre guardate questo: la mia appartenenza è al movimento ecclesiale, è all’associazione o è alla Chiesa? È nel mio movimento, nella mia associazione per la Chiesa, come uno “stadio” per aiutare la Chiesa. Ma i movimenti chiusi vanno cancellati, non sono ecclesiali.

Vi benedico, andate avanti! E, per favore, pregate per me. A favore!

Adesso vi do la benedizione. Preghiamo prima insieme la Madonna.

Recita Ave Maria

Benedizione

E questo di pregare a favore lo dico pensando una cosa che mi è successa una volta. Stavo finendo l’udienza generale e c’era vecchietta piccolina, si vedeva che era contadina, una donna umile, ma aveva gli occhi bellissimi. E mi faceva segno, era a venti metri. Io sono andato. “Quanti anni ha?” - “87”, mi dice. “Ma cosa mangia che sta così bene?” – “Io mangio i ravioli, li faccio io”, e mi spiegava anche la ricetta dei ravioli. E alla fine le dico: “Preghi per me”. E lei: “Lo faccio tutti i giorni” – “Ma mi dica signora, lei prega a favore o contro?”. La risposta di un’ignorante: “Santità, si capisce! Contro pregano lì dentro!”. Per questo io chiedo di pregare a favore. Mi ha fatto ridere quella signora.

[01024-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua inglese

Your Eminence,

Dear brothers and sisters, good morning and welcome to everyone!

I am pleased to meet with you and take this opportunity to reflect with you on synodality, which you have chosen as the theme for your meeting. I have often emphasized that the synodal journey requires a spiritual conversion because without an interior transformation, lasting results cannot be achieved. My hope is that following this Synod, synodality may endure as a permanent mode of working within the Church, at all levels, permeating the hearts of all, pastors and faithful alike, until it becomes a shared “ecclesial style”. However, achieving this demands that a change must occur within each of us, a true “conversion”.

This has been a long journey. Think about the fact that the first person who saw the need for synodality in the Latin Church was Saint Paul VI when, following the Second Vatican Council, he established the Secretariat for the Synod of Bishops. The Eastern Churches had preserved synodality, yet the Latin Church had lost it. Saint Paul VI opened this path. Today, almost sixty years later, we can say that synodality has entered into the Church’s way of acting. The most important element of the Synod on synodality is not so much the treatment of this or that problem. The most important element is the parochial, diocesan and universal journey we make together in synodality.

In the light of this spiritual conversion, I wish to highlight some attitudes, some “synodal virtues,” which we can derive from the three announcements of the Passion in the Gospel of Mark (cf. Mk 8:31; 9:31; 10:32-34): thinking as God thinks, overcoming exclusiveness, and cultivating humility.

First: thinking as God thinks. Following the initial announcement of the Passion, the evangelist recounts how Peter rebukes Jesus. He, who should have been an example by helping the other disciples to be fully at the service of the Master’s work, opposes God’s plans by rejecting his passion and death. Jesus tells him, “For you are setting your mind not on divine things but on human things” (Mk 8:33).

This is the primary interior change that is asked of us: to move beyond “merely human thought” to embrace the “thought of God.” Before making any decision, before starting any programme, any apostolate, any mission within the Church, we should ask ourselves: what does God want from me, what does God want from us, at this moment, in this situation? Is what I envision, what we as a group have in mind, truly aligned with the “thought of God”? Let us remember that the Holy Spirit is the protagonist of the synodal journey, not we ourselves: he alone teaches us to listen to the voice of God, individually and as a Church.

God is always greater than our ideas, greater than prevailing mindsets and the “ecclesial fashions” of the day, even the charism of our particular group or movement. Therefore, let us never presume that we are “in tune” with God: rather, let us continually strive to rise above ourselves and embrace God’s perspective, not that of men and women. This is the first great challenge. Thinking as God thinks. Let us recall that Gospel passage when the Lord announced his Passion and Peter opposed him. What did the Lord say? “You are not acting according to God, you are not thinking as God thinks”.

Second: overcoming exclusiveness. Following the second announcement of the Passion, John objects to a man who was casting out demons in Jesus’ name but was not of their group of disciples: “Teacher”, he said, “we saw a man casting out demons in your name, and we forbade him, because he was not following us” (Mk 9:38). Jesus disapproves of this attitude and tells him, “Whoever is not against us is for us” (Mk 9:40); then he invites all the apostles to be attentive so as not to be a stumbling block to others (cf. Mk 9:42-50).

Please, let us be wary of the temptation of the “closed circle”. Though chosen to be the foundation of the new people of God, open to all nations of the earth, the apostles fail to grasp this expansive vision. They withdraw into themselves, seemingly intent on safeguarding the gifts bestowed on them by the Master, such as healing the sick, casting out demons, proclaiming the Kingdom (cf. Mk 2:14), as if they were privileges.

The following are also challenges for us: limiting ourselves to what our “circle” thinks, being convinced that what we do is right for everyone, and defending, perhaps inadvertently, positions, prerogatives, or the prestige of the “group”. Alternatively, we could also be impeded by the fear of losing our sense of belonging and identity by opening up to other people and differing viewpoints, which stems from failing to recognize diversity as an opportunity rather than a threat. These are “enclosures” in which we all risk imprisonment. Let us be attentive: our own group, our own spirituality are realities that help us journey with the People of God, but they are not privileges, for there is the danger of ending up imprisoned in these enclosures.

Synodality instead asks us to look beyond the barriers with magnanimity, to see the presence of God and his actions even in people we do not know, in new pastoral approaches, in uncharted mission territories. It asks us to let ourselves be moved, even “hurt”, by the voice, the experience, and suffering of others: of our fellow believers and all those around us. Be open, with an open heart.

Thirdly and finally: cultivating humility. Following the third announcement of the Passion, James and John ask for positions of honour next to Jesus, who instead responds by inviting everyone to consider true greatness as not in being served, but in serving, in being a servant of all, for that is what he himself came to do (cf. Mk 10:44-45).

Here we understand that the starting point of spiritual conversion must be humility, the gateway to all virtues. It saddens me when I encounter Christians who boast: because I am priest from this place, or because they are lay people from that place, because I am from this institution... This is a bad thing. Humility is the door, the beginning. It compels us to scrutinize our intentions: what do I really seek in my relationships with my brothers and sisters in faith? Why do I pursue certain initiatives within the Church? If we detect a hint of pride or arrogance within us, then let us ask for the grace to rediscover humility. Indeed, only the humble accomplish great things in the Church for they have a solid foundation in the love of God, which never fails, and therefore they do not seek further recognition.

This phase of spiritual conversion is also fundamental for building a synodal Church: only the humble person esteems others and welcomes their contribution, advice, inner richness, bringing out not their own “I”, but the “we” of the community. It pains me when we meet Christians…, in Spanish we say “yo me mí conmigo para mí”, that is, “I, me, with me, for me”. These Christians put themselves “at the centre”. It is sad. It is the humble who safeguard communion in the Church, avoiding divisions, overcoming tensions, knowing how to set aside their own initiatives in order to contribute to joint projects. In serving, they find joy and not frustration or resentment. Living synodality, at every level, is truly impossible without humility.

I want to say once again, in order to emphasize the role of ecclesial movements: ecclesial movements are for service, not for ourselves. It is sad when we feel that “I belong to this one, to another, to another”, as if this had to do with superiority. Ecclesial movements are meant to serve the Church, they are not a message in themselves, an ecclesial centrality. They are for service.

I hope these reflections assist you on your journey, within your associations and movements, in your relationships with pastors and with all aspects of ecclesial life. I hope that this meeting along with similar gatherings will help you to appreciate your respective charisms through an ecclesial lens, enabling you to make a generous and invaluable contribution to the mission of evangelization, to which we are all called.

Always think about this: my membership in an ecclesial movement, is it in the association or is it in the Church? It is in my movement, in my association for the Church, as a “step” to help the Church. Movements closed in on themselves, however, should be eliminated, they are not ecclesial.

I bless you, go forward! And I ask you to pray for me. Please!

Now I will impart the blessing. First, though, let us pray together to Our Lady.

Recitation of the Hail Mary

Blessing

About praying for me: I say this thinking about something that happened to me once. I was concluding the General Audience and there was little elderly lady, you could tell she was from the countryside, a humble woman, but she had beautiful eyes. And she was signalling me, she was twenty metres away. I went over to her. “How old are you?” “Eighty-seven”, she told me. “But what do you eat that keeps you so well?” “I eat ravioli, I make them”, and she explained her recipe for ravioli. And at the end I told her, “Pray for me”. She said, “I do, every day”. “But tell me, madam, do you pray for me or against me?” The answer of a simple person, “Your Holiness, you understand! In there, they pray against you!” That is why I asked you to pray for me. That lady made me laugh.

[01024-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua spagnola

Eminencia, queridos hermanos y hermanas, ¡buenos días y bienvenidos!

Me alegro de encontrarme con ustedes, y aprovecho esta oportunidad para reflexionar con ustedes sobre la sinodalidad, que han elegido como tema de su reunión de hoy. He dicho en repetidas ocasiones que el camino sinodal requiere una conversión espiritual, porque sin un cambio interior no se alcanzan resultados duraderos. En efecto, mi deseo es que, después de este Sínodo, la sinodalidad permanezca como un modo permanente de actuar en la Iglesia, a todos los niveles, entrando en el corazón de todos, pastores y fieles, hasta convertirse en un “estilo eclesial” compartido. Todo esto, sin embargo, requiere un cambio que debe producirse en cada uno de nosotros, una verdadera “conversión”.

Ha sido un largo camino. Pensemos que el primero que vio la necesidad de la sinodalidad en la Iglesia latina fue san Pablo VI, cuando creó la Secretaría para el Sínodo de los Obispos después del Concilio. La Iglesia de Oriente había conservado la sinodalidad, mientras que la Iglesia latina la había perdido. Fue san Pablo VI quien abrió este camino. Y hoy, casi sesenta años después, podemos decir que la sinodalidad ha entrado en el modo de actuar de la Iglesia. Lo más importante de este Sínodo sobre la sinodalidad no es tanto tratar este tema o aquel otro. Lo más importante es el camino parroquial, diocesano y universal en la sinodalidad.

Y con vistas a esta conversión espiritual, intento ahora señalar algunas actitudes, algunas “virtudes sinodales”, que podemos deducir de los tres anuncios de la Pasión en el Evangelio de Marcos (cf. 8, 31; 9, 31; 10, 32-34): pensar según Dios, vencer toda cerrazón y cultivar la humildad.

Primero: pensar según Dios. Tras el primer anuncio de la Pasión, el evangelista nos dice que Pedro reprende a Jesús. Él, que debía ser un ejemplo y ayudar a los demás discípulos a ponerse plenamente al servicio de la obra del Maestro, se opone a los planes de Dios, rechazando la pasión y la muerte. Y Jesús le dice: «tus pensamientos no son los de Dios, sino los de los hombres» (Mc 8,32).

He aquí el primer gran cambio interior que se nos pide: pasar de un “pensamiento meramente humano” al “pensamiento de Dios”. En la Iglesia, antes de tomar cualquier decisión, antes de iniciar cualquier programa, cualquier apostolado, cualquier misión, deberíamos preguntarnos siempre: ¿qué quiere Dios de mí, qué quiere Dios de nosotros, en este momento, en esta situación? Lo que yo tengo en mente, lo que tenemos en mente como grupo, ¿es realmente el “pensamiento de Dios”? Recordemos que el protagonista del camino sinodal es el Espíritu Santo, no nosotros. Sólo Él nos enseña a escuchar la voz de Dios, individualmente y como Iglesia.

Dios es siempre más grande que nuestras ideas, más grande que la mentalidad dominante, que las “modas eclesiales” del momento, incluso que el carisma de nuestro particular grupo o movimiento. Por eso, nunca demos por supuesto que estamos “en sintonía” con Dios: más bien, tratemos siempre de elevarnos por encima de nosotros mismos para convertirnos a pensar según Dios y no según los hombres. Este es el primer gran desafío. Pensar según Dios. Pensemos en aquel pasaje del Evangelio en el que el Señor anuncia la Pasión y Pedro se opone. ¿Qué dice el Señor? “No actúas según Dios, no piensas según Dios”.

Segundo: vencer toda cerrazón. Después del segundo anuncio de la Pasión, Juan se opone a un hombre que practicaba un exorcismo en nombre de Jesús, pero que no pertenecía al círculo de los discípulos: «tratamos de impedírselo porque no es de los nuestros» (Mc 9, 38). Jesús no aprueba su actitud y le dice: «el que no está contra nosotros, está con nosotros» (Mc 9, 40); luego invita a todos los Apóstoles a vigilar más bien sobre sí mismos, para no ser ocasión de escándalo para los demás (cf. Mc 9,42-50).

Guardémonos, por favor, de la tentación del “círculo cerrado”. Los Doce habían sido elegidos para ser el fundamento del nuevo pueblo de Dios, abierto a todas las naciones de la tierra, pero los Apóstoles no captan este gran horizonte: se encierran en sí mismos y parecen querer defender los dones recibidos del Maestro ―curar enfermos, expulsar demonios, anunciar el Reino (cf. Mc 2,14)― como si fueran privilegios.

Y esto es también un reto para nosotros: no ir más allá de lo que piensa nuestro “círculo”, estar convencidos de que lo que hacemos les va bien a todos, defender, quizá sin darnos cuenta, posiciones, prerrogativas o el prestigio “del grupo”. O dejarse bloquear por el miedo a perder el propio sentido de pertenencia y la propia identidad, por el hecho de abrirse a otras personas y otras formas de pensar, sin reconocer la diversidad como una oportunidad, y no como una amenaza. Estos son “recintos cerrados” en los que todos corremos el riesgo de quedar prisioneros. Estén atentos; el propio grupo, la propia espiritualidad, son realidades que ayudan a caminar con el pueblo de Dios, pero no son privilegios, porque existe el peligro de acabar encarcelados en esos recintos cerrados.

En cambio, la sinodalidad nos pide que miremos más allá de las vallas, con grandeza de espíritu, para ver la presencia de Dios y su acción también en personas que no conocemos, en nuevas modalidades pastorales, en ámbitos de misión en los que nunca antes nos habíamos comprometido; nos pide que nos dejemos impresionar, incluso “herir” por la voz, la experiencia y el sufrimiento de los demás; de los hermanos y hermanas en la fe y de todas las personas que nos rodean. Abiertos, con el corazón abierto.

Finalmente, en tercer lugar, cultivar la humildad. Tras el tercer anuncio de la Pasión, Santiago y Juan piden puestos de honor junto a Jesús, quien, en cambio, les responde invitando a todos a considerar verdadera grandeza no el ser servido, sino el servir, el ser servidor de todos, porque Él mismo vino para hacer eso (cf. Mc 10, 44-45).

Entendemos aquí que la conversión espiritual debe partir de la humildad, que es la puerta de entrada a todas las virtudes. Me entristece cuando encuentro cristianos que se jactan porque “soy sacerdote de aquí, o porque soy laico de allá, porque pertenezco a esta institución”. Esto es algo malo. La humildad es la puerta, es el comienzo. Y esto nos lleva también a preguntarnos: pero ¿qué busco realmente en las relaciones con mis hermanos en la fe? ¿Por qué llevo adelante determinadas iniciativas en la Iglesia? Y si nos damos cuenta de que de alguna manera se ha abierto paso en nosotros un poco de orgullo o de soberbia, pidamos entonces la gracia de convertirnos de nuevo a la humildad. De hecho, sólo los humildes logran grandes cosas en la Iglesia, porque quien es humilde tiene bases sólidas, fundadas en el amor de Dios, que nunca falla y, por eso, no busca otros reconocimientos.

Y esta etapa de conversión espiritual es también fundamental para construir una Iglesia sinodal: sólo la persona humilde valora de hecho a los demás, y acoge su aportación, su consejo, su riqueza interior, haciendo surgir no su propio “yo”, sino el “nosotros” de la comunidad. Me duele cuando encontramos cristianos ―en español decimos “yo, me, mí, conmigo, para mí, cristianos “centrados en sí mismos”. Es triste. Es el humilde quien defiende la comunión en la Iglesia, evitando escisiones, superando tensiones, sabiendo dejar de lado incluso sus propias iniciativas para contribuir a proyectos compartidos, y ello porque en el servicio encuentra alegría y no frustración o rencor. Sin humildad, realmente es imposible vivir la sinodalidad, a todos los niveles.

Y quiero decirlo una vez más, subrayar el papel de los movimientos eclesiales. Los movimientos eclesiales son para servir, no para nosotros mismos. Es triste cuando se oye decir “yo pertenezco a esto, a aquello o a lo otro”, como si se tratara de algo superior. Los movimientos eclesiales están para servir a la Iglesia, no son en sí mismos un mensaje, una centralidad eclesial. Están para servir.

Espero que estas reflexiones les sean útiles en su camino, en sus asociaciones y movimientos, en sus relaciones con los Pastores y con todas las realidades eclesiales; y espero que este encuentro y otros momentos similares los ayuden a valorizar sus respectivos carismas en perspectiva eclesial, para dar su generosa y preciosa contribución a la evangelización, a la que todos estamos llamados.

Consideren siempre esto: ¿mi pertenencia es al movimiento eclesial, a la asociación, o es a la Iglesia? Es mi movimiento, mi asociación para la Iglesia, como un “estadio” para ayudar a la Iglesia. Los movimientos cerrados deben suprimirse, no son eclesiales.

Los bendigo. Sigan adelante. Y por favor, recen por mí. ¡A favor!

Y digo esto de rezar “a favor” pensando en algo que me pasó una vez. Estaba terminando la audiencia general y había una viejecita, se notaba que era campesina, una mujer humilde, que tenía unos ojos preciosos. Y me llamaba, estaba como a veinte metros. Y fui. “¿Cuántos años tiene?” ―“Ochenta y siete”, me dijo. “Pero ¿qué come para estar tan bien?”. “Como ravioles, los hago yo”, y me explicaba también la receta de los ravioles. Y al final le dije “Rece por mí”. Y ella me contestó “Lo hago todos los días” ―“Pero dígame señora, ¿usted reza a favor o en contra?”. La respuesta de una mujer inocente fue: “¡Santidad, usted entiende! ¡En contra rezan ahí adentro!”

Por eso pido que recen a favor. Esa señora me hizo reír.

[01024-EN.02] [Original text: Italian]

[B0497-XX.02]


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