Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Santa Messa e Processione Eucaristica nella Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, 02.06.2024


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Questo pomeriggio, il Santo Padre Francesco ha lasciato in auto il Vaticano per recarsi a San Giovanni in Laterano, dove ha presieduto i riti del Corpus Domini, Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, secondo il calendario liturgico.

Alle 17.00, il Papa ha presieduto la Celebrazione Eucaristica nella Basilica di San Giovanni in Laterano.

Di seguito si è svolta la Processione Eucaristica che, percorrendo via Merulana, ha raggiunto la Basilica di Santa Maria Maggiore, dove il Papa ha impartito la Benedizione Solenne con il Santissimo Sacramento.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Santo Padre ha rivolto ai fedeli nel corso della Celebrazione Eucaristica:

Omelia del Santo Padre

Prese il pane e recitò la benedizione» (Mc 14,22). È il gesto con cui si apre il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia nel Vangelo di San Marco. E noi potremmo partire da questo gesto di Gesù – benedire il pane – per riflettere sulle tre dimensioni del Mistero che stiamo celebrando: il ringraziamento, la memoria e la presenza.

Primo: il ringraziamento. La parola “Eucaristia” vuole proprio dire “grazie”: “ringraziare” Dio per i suoi doni, e in questo senso il segno del pane è importante. È l’alimento di ogni giorno, con cui portiamo all’Altare tutto ciò che siamo e che abbiamo: vita, opere, successi, e anche fallimenti, come simboleggia la bella usanza di alcune culture di raccogliere e baciare il pane quando cade a terra: per ricordarsi che è troppo prezioso per essere buttato, anche dopo che è caduto. L’Eucaristia, allora, ci insegna a benedire, ad accogliere e baciare, sempre, in rendimento di grazie, i doni di Dio, e questo non solo nella celebrazione: anche nella vita.

Ad esempio non sprecando le cose e i talenti che il Signore ci ha dato. Ma anche perdonando e risollevando chi sbaglia e cade per debolezza o per errore: perché tutto è dono e nulla può andare perduto, perchè nessuno può rimanere a terra, e tutti devono avere la possibilità di rialzarsi e di riprendere il cammino. E noi possiamo fare questo anche nella vita quotidiana, svolgendo il nostro lavoro con amore, con precisione, con cura, con precisione, come un dono e una missione. E sempre aiutare chi è caduto: una volta soltanto nella vita si può guardare una persona dall’alto in basso: per aiutarla a risollevarsi. E questa è la nostra missione. Per rendere grazie certamente potremmo aggiungere tante altre cose. Sono atteggiamenti “eucaristici” importanti, perché ci insegnano a cogliere il valore di ciò che facciamo, e di ciò che offriamo. Primo, rendere grazie. Secondo: “benedire il pane” vuol dire fare memoria. Di cosa? Per l’antico Israele si trattava di ricordare la liberazione dalla schiavitù d’Egitto e l’inizio dell’esodo verso la terra promessa. Per noi è rivivere la Pasqua di Cristo, la sua Passione e Risurrezione, con cui ci ha liberato dal peccato e dalla morte. Fare memoria della nostra vita, fare memoria dei nostri successi, fare memoria dei nostri sbagli, fare memoria di quella mano tesa del Signore che sempre ci aiuta a sollevarci, fare memoria della presenza del Signore nella nostra vita.

C’è chi dice che è libero chi pensa solo a sé stesso, chi si gode la vita e chi, con menefreghismo e magari con prepotenza, fa tutto quello che vuole a dispetto degli altri. Questa non è libertà: questa è una schiavitù nascosta, una schiavitù che ci rende più schiavi ancora. La libertà non si incontra nelle casseforti di chi accumula per sé, né sui divani di chi pigramente si adagia nel disimpegno e nell’individualismo: la libertà si incontra nel cenacolo dove, senza alcun altro motivo che l’amore, ci si china davanti ai fratelli per offrire loro il proprio servizio, la propria vita, come “salvati”.

Infine, il pane Eucaristico è presenza reale. E con questo ci parla di un Dio che non è lontano, che non è geloso, ma vicino e solidale con l’uomo; che non ci abbandona, ma ci cerca, ci aspetta e ci accompagna, sempre, al punto da mettersi, indifeso, nelle nostre mani.

E questa sua presenza invita anche noi a farci prossimi ai fratelli là dove l’amore ci chiama.

Cari fratelli e sorelle, quanto bisogno c’è nel nostro mondo di questo pane, della sua fragranza e del suo profumo, una fragranza che sa di gratitudine, che sa di libertà, sa di prossimità! Vediamo ogni giorno troppe strade, forse una volta odorose di pane sfornato, ridursi a cumuli di macerie a causa della guerra, dell’egoismo e dell’indifferenza! È urgente riportare nel mondo l’aroma buono e fresco del pane dell’amore, per continuare a sperare e ricostruire senza mai stancarsi quello che l’odio distrugge.

È questo anche il significato del gesto che faremo tra poco, con la Processione Eucaristica: partendo dall’Altare, porteremo tra le case della nostra città il Signore. Non lo facciamo per metterci in mostra, e neanche per ostentare la nostra fede, ma per invitare tutti a partecipare, nel Pane dell’Eucaristia, alla vita nuova che Gesù ci ha donato. Facciamo la processione con questo spirito. Grazie.

[00948-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

« Ayant pris du pain et prononcé la bénédiction » (Mc 14, 22). C’est par ce geste que s’ouvre le récit de l’institution de l’Eucharistie dans l’Évangile de saint Marc. Et nous pourrions partir de ce geste de Jésus – bénir le pain – pour réfléchir aux trois dimensions du Mystère que nous célébrons : l’action de grâce, la mémoire et la présence.

Premièrement : l’action de grâce. Le mot “Eucharistie” signifie en réalité “merci” : “remercier” Dieu pour ses dons, et dans ce sens, le signe du pain est important. C’est la nourriture de tous les jours, par laquelle nous apportons à l’autel tout ce que nous sommes et ce que nous avons : la vie, les œuvres, les succès, et même les échecs, comme le symbolise la belle coutume dans certaines cultures de recueillir et d’embrasser le pain lorsqu’il tombe par terre : pour nous rappeler qu’il est trop précieux pour être jeté, même après qu’il est tombé. L’Eucharistie nous apprend donc à bénir, à accueillir et à embrasser, toujours, en action de grâce, les dons de Dieu, et cela non seulement dans la célébration, mais aussi dans la vie.

Par exemple, en ne gaspillant pas les choses et les talents que le Seigneur nous a donnés. Mais aussi en pardonnant et en relevant ceux qui se trompent et qui tombent par faiblesse ou par erreur : parce que tout est don et rien ne peut être perdu, parce que personne ne peut rester à terre, et tous doivent avoir la possibilité de se relever et de se remettre en route. Et nous pouvons faire cela aussi dans la vie quotidienne, encore en accomplissant notre travail avec amour, avec précision, avec soin, avec précision, comme un don et une mission. Et toujours aider ceux qui sont tombés : ce n'est qu'une fois dans la vie que l'on peut regarder quelqu'un de haut : pour l'aider à se relever. Et c’est notre mission.

Pour rendre grâce nous pourrions certainement ajouter beaucoup d’autres choses. Ce sont des attitudes “eucharistiques” importantes, parce qu’elles nous apprennent à saisir la valeur de ce que nous faisons et de ce que nous offrons.

Premièrement, rendre grâce. Deuxièmement : “bénir le pain” veut dire faire mémoire. De quoi ? Pour l’ancien Israël, il s’agissait de se souvenir de la libération de l’esclavage en Égypte et du début de l’exode vers la Terre promise. Pour nous, c’est revivre la Pâque du Christ, sa Passion et sa Résurrection, par lesquelles il nous a libérés du péché et de la mort. Faire mémoire de notre vie, faire mémoire de nos succès, faire mémoire de nos erreurs, faire mémoire de cette main tendue du Seigneur qui nous aide toujours à nous relever, faire mémoire de la présence du Seigneur dans notre vie.

Certains disent qu’est libre celui qui ne pense qu’à lui, qui jouit de la vie et qui, avec indifférence et peut-être arrogance, fait tout ce qu’il veut au mépris des autres. Cela ce n’est pas la liberté : c'est un esclavage caché, un esclavage qui nous asservit encore plus.

La liberté ne se trouve pas dans les coffres-forts de ceux qui accumulent pour eux-mêmes, ni sur les divans de ceux qui se complaisent avec paresse dans le désengagement et l’individualisme : la liberté se trouve dans le cénacle où, sans autre motif que l’amour, on se penche devant les frères et sœurs pour leur offrir son service, sa vie, comme des “sauvés”.

Enfin, le pain eucharistique est la présence réelle. Et avec cela, il nous parle d’un Dieu qui n’est pas distant, qui n’est pas jaloux, mais proche et solidaire de l’homme ; qui ne nous abandonne pas, mais qui nous cherche, qui nous attend et qui nous accompagne, toujours jusqu’à se mettre, sans défense, entre nos mains.

Et cette présence nous invite aussi à être proches de nos frères et sœurs là où l’amour nous appelle.

Chers frères et sœurs, combien notre monde a besoin de ce pain, de son parfum et de sa senteur, une senteur qui dégage la gratitude, qui dégage la liberté, qui dégage la proximité ! Chaque jour, nous voyons trop de rues, qui sentaient autrefois le pain sorti du four, être réduites à des tas de décombres à cause de la guerre, de l’égoïsme et de l’indifférence ! Il est urgent de rendre au monde la bonne et fraîche odeur du pain de l’amour, de continuer à espérer et à reconstruire sans jamais se lasser de ce que la haine détruit.

C’est aussi le sens du geste que nous ferons bientôt, avec la Procession Eucharistique : partant de l’autel, nous le Seigneur au milieu des maisons de notre ville. Nous ne faisons pas cela pour nous exhiber, ni même pour faire étalage de notre foi, mais pour inviter tout le monde à participer, dans le Pain de l’Eucharistie, à la vie nouvelle que Jésus nous a donnée. Faisons la procession avec cet esprit. Merci.

[00948-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

“He took bread and blessed it” (Mk 14:22).  In this way, Saint Mark’s Gospel begins the account of the institution of the Eucharist.  Starting, then, from this gesture of Jesus blessing bread, we can reflect on three aspects of the mystery we are celebrating: thanksgiving, remembrance and presence.

First, thanksgiving.  Indeed, the word “Eucharist” means “thanks”:  “giving thanks” to God for his gifts.  Thus, the sign of bread is important, for it is the food of daily life, and with it we bring to the altar all that we are and all that we have:  our lives, work, successes, and failures too.  This is symbolized in some cultures by the beautiful custom of picking up and kissing bread if it falls to the ground, in order to remind us that it is too precious to be thrown away, even after it has fallen.  The Eucharist, then, teaches us always to bless, welcome and cherish God’s gifts as an act of thanksgiving; not only in celebration, but also in daily life.

An example would be not squandering the possessions and talents the Lord has given us.  Likewise, we should forgive and support those who make mistakes and fall because of weakness or lapses, acknowledging that everything is a gift and nothing should be lost, that no one should be left behind, and that everyone deserves a chance to get back on their feet.  We can do this in daily life, performing our work with love, precision, and care, recognizing it as a gift and mission.  And always helping those who have fallen: the only time we can look down on someone is when we help him or her to rise again.  This is our mission.

To be sure, we could add many other things for which to give thanks.  These are important “Eucharistic” attitudes since they teach us to appreciate the value of what we are doing and offering.

First, then, thanksgiving.  Second, “to bless bread” means to remember.  What do we remember?  For ancient Israel, this meant recalling the liberation from slavery in Egypt and the beginning of the exodus to the Promised Land.  For us, it means remembering Christ’s Passover, his Passion and Resurrection, by which he freed us from sin and death.  It means remembering our lives, successes, mistakes, the outstretched hand of the Lord who always helps us get back on our feet, the Lord’s presence in our lives.

There are some who say that true freedom means thinking only about ourselves, enjoying life doing whatever we want without regard for others.  This is not freedom, but a hidden form of slavery, a slavery that enslaves us still more.

Yet freedom is not found in the security vaults of those who hoard wealth for themselves, nor on the couches of those who lazily indulge in disengagement and individualism.  Freedom is found in the Upper Room where, motivated solely by love, we bend down to serve others, offering our lives as “saved” people.

Finally, the Eucharistic bread is the real presence.  This speaks to us of a God who is not distant, who is not jealous, but close and in solidarity with humanity; a God who does not abandon us but always seeks, waits for, and accompanies us, even to the point of placing himself, helpless, into our hands.  And his real presence also invites us to be close to our brothers and sisters wherever love calls us.

Brothers and sisters, our world desperately needs this bread, with its fragrance and aroma, which knows about gratitude, freedom and closeness!  Every day we see too many streets that were once filled with the smell of freshly baked bread, but are now reduced to rubble by war, selfishness and indifference!  We urgently need to bring back to our world the good, fresh aroma of the bread of love, to continue tirelessly to hope and rebuild what hatred destroys.

This is also the meaning of the gesture we will soon make with the Eucharistic Procession.  Beginning from the altar, we will carry the Lord among the homes of our city.  We are not doing this to show off, or to flaunt our faith but to invite everyone to participate, in the Bread of the Eucharist, in the new life that Jesus has given us.  Let us process in this spirit.  Thank you.

[00948-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Er nahm »das Brot und sprach den Lobpreis« (Mk 14,22). Mit dieser Geste beginnt der Bericht über die Einsetzung der Eucharistie im Markusevangelium. Und wir könnten ausgehend von dieser Handlung Jesu – dem Lobpreis über das Brot – über die drei Dimensionen des Geheimnisses nachdenken, das wir feiern: Danksagung, Erinnerung und Gegenwart.

Erstens: die Danksagung. Das Wort „Eucharistie“ bedeutet genau „Danke“: Gott für seine Gaben „danken“, und in diesem Sinne ist das Zeichen des Brotes wichtig. Es ist die tägliche Nahrung, mit der wir alles, was wir sind und haben, zum Altar bringen: Leben, Wirken, Erfolge und auch Misserfolge. Einige Kulturen bringen dies in einem schönen Brauch symbolisch zum Ausdruck: Heruntergefallenes Brot hebt man auf und küsst es, um sich daran zu erinnern, dass es zu wertvoll ist, um weggeworfen zu werden, auch wenn es heruntergefallen ist. Die Eucharistie lehrt uns also, Gott für seine Gaben zu preisen und sie dankbar anzunehmen und zu „küssen“, und das nicht nur im Gottesdienst, sondern auch im Leben.

Zum Beispiel, indem wir die Dinge und Talente, die der Herr uns gegeben hat, nicht verschwenden. Aber auch, indem wir denen, die aus Schwäche oder Irrtum Fehler machen und fallen, vergeben und sie aufrichten. Denn alles ist Geschenk und nichts darf verloren gehen, weil niemand auf der Strecke bleiben darf und jeder die Chance haben muss, wieder aufzustehen und wieder in die Spur zu kommen. Und dies können wir auch im Alltag tun, indem wir unsere Arbeit mit Liebe, mit Präzision, mit Sorgfalt, mit Präzision als eine Gabe und eine Sendung verrichten. Und immer denen helfen, die gefallen sind: Nur in einem einzigen Fall darf man auf einen Menschen herabblicken: um ihm wieder auf die Beine zu helfen. Und das ist unsere Mission.

Um Dank zu sagen könnten wir sicherlich noch viele weitere Dinge hinzufügen. Das sind wichtige „eucharistische“ Haltungen, denn sie lehren uns, den Wert dessen zu begreifen, was wir tun und darbringen.

Erstens, die Danksagung. Zweitens: Den „Lobpreis über das Brot“ zu sprechen, bedeutet, sich zu erinnern. Woran? Für das alte Volk Israel war es die Erinnerung an die Befreiung aus der Sklaverei in Ägypten und den Beginn des Exodus hin zum Gelobten Land. Für uns bedeutet es, das Pascha Christi, sein Leiden und seine Auferstehung wieder zu erleben, durch die er uns von Sünde und Tod befreit hat. Unser Leben in Erinnerung behalten, unsere Erfolge in Erinnerung behalten, unsere Fehler in Erinnerung behalten, die ausgestreckte Hand des Herrn in Erinnerung behalten, die uns immer hilft, wieder aufzustehen, die Gegenwart des Herrn in unserem Leben in Erinnerung behalten.

Es gibt Leute, die sagen, dass derjenige frei ist, der nur an sich selbst denkt, der das Leben genießt und der mit Gleichgültigkeit und vielleicht Überheblichkeit tut, was er will, ohne Rücksicht auf andere. Das ist keine Freiheit: das ist versteckte Sklaverei, eine Sklaverei, die uns noch mehr zu Sklaven macht.

Freiheit findet man nicht in den Tresoren derer, die möglichst viel für sich selbst anhäufen, und auch nicht auf den Sofas derer, die sich bequem zurücklehnen und dem Individualismus frönen. Freiheit findet man im Abendmahlssaal, dort, wo man sich als „Geretteter“ ohne ein anderes Motiv als das der Liebe vor seinen Brüdern und Schwestern niederbeugt, um ihnen einen Dienst, das eigene Leben anzubieten.

Schließlich ist das eucharistische Brot Realpräsenz. Und damit spricht es zu uns von einem Gott, der nicht fern ist, der nicht eifersüchtig ist, sondern nahe und solidarisch mit uns Menschen ist; der uns nicht verlässt, sondern uns sucht, auf uns wartet und uns begleitet, und zwar immer, und dabei so weit geht, dass er sich wehrlos in unsere Hände gibt. Und diese seine Gegenwart lädt uns auch ein, unseren Brüdern und Schwestern beizustehen, dort, wohin die Liebe uns ruft.

Liebe Brüder und Schwestern, wie sehr braucht unsere Welt dieses Brot, seinen Duft und seinen Wohlgeruch, der nach Dankbarkeit, Freiheit und Nähe riecht! Jeden Tag erleben wir, wie zu viele Straßen, die vielleicht einmal nach gebackenem Brot geduftet haben, durch Krieg, Egoismus und Gleichgültigkeit zu Trümmerhaufen verkommen! Es ist dringend notwendig, der Welt das gute und frische Aroma des Brotes der Liebe zurückzugeben, um weiter zu hoffen und unermüdlich das wieder aufzubauen, was der Hass zerstört.

In diesem Sinne ist auch die Geste zu verstehen, die wir bald mit der eucharistischen Prozession vollziehen: Vom Altar aus werden wir den Herrn durch die Straßen unserer Stadt tragen. Wir tun dies nicht, um uns zu präsentieren und auch nicht, um unseren Glauben zur Schau zu stellen, sondern um alle einzuladen, im Brot der Eucharistie an dem neuen Leben teilzunehmen, das Jesus uns geschenkt hat. Machen wir die Prozession mit dieser Gesinnung. Danke.

[00948-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

«Tomó el pan, pronunció la bendición» (Mc 14,22). Este es el gesto con el que comienza el relato de la institución de la Eucaristía en el evangelio según san Marcos. Y nosotros podemos partir de este gesto de Jesús —bendecir el pan— para reflexionar sobre las tres dimensiones del Misterio que estamos celebrando: la acción de gracias, la memoria y la presencia.

Primero la acción de gracias. La palabra “Eucaristía” significa precisamente decir “gracias”, “agradecer” a Dios por sus dones, y en este sentido el signo del pan es importante. Es el alimento de cada día, con el que llevamos al altar todo lo que somos y lo que tenemos: la vida, las acciones, los éxitos, y también los fracasos, como lo simboliza la buena costumbre en algunas culturas al recoger y al besar el pan cuando cae al piso, para recordar que este es demasiado valioso como para ser desechado, aun después de haber caído al suelo. La Eucaristía, precisamente, nos enseña a bendecir, a recibir y a besar, siempre, en acción de gracias, los dones de Dios, y esto no sólo en la celebración, sino también en la vida.

Por ejemplo, no desperdiciando las cosas y los talentos que el Señor nos ha dado. Pero también perdonando y levantando al que se equivoca y cae por debilidad o por error; porque todo es don y nada se puede perder, porque nadie puede quedarse tirado, y todos deben tener la posibilidad de volver a levantarse y retomar el camino. Nosotros podemos hacer esto en la vida cotidiana, haciendo nuestro trabajo con amor, con precisión, con cuidado, como un don y una misión. Y siempre ayudar a quien ha caído, una vez sólo en la vida se puede mirar a una persona de arriba a abajo, para ayudarla a levantarse. Esta es nuestra misión.

Para dar gracias, ciertamente podríamos agregar otras tantas cosas. Son actitudes “eucarísticas” importantes, porque nos enseñan a comprender el valor de lo que hacemos, de lo que ofrecemos.

Primero, dar gracias. Segundo, “bendecir el pan” quiere decir hacer memoria. ¿De qué? Para el antiguo Israel se trataba de recordar la liberación de la esclavitud de Egipto y el comienzo del éxodo hacia la tierra prometida. Para nosotros es rememorar la Pascua de Cristo, su Pasión y su Resurrección, con la que nos ha liberado del pecado y de la muerte. Hacer memoria de nuestra vida, hacer memoria de nuestros éxitos, hacer memoria de nuestros errores, hacer memoria de aquella mano tendida del Señor que siempre nos ayuda a levantarnos, hacer memoria de la presencia del Señor en nuestra vida.

Hay quien dice que es libre aquel que sólo piensa en sí mismo, que goza de la vida y que, con indiferencia y quizás con prepotencia, hace todo lo que quiere, sin importarle los demás. Esta no es libertad, es una esclavitud escondida, una esclavitud que nos hace más esclavos aún.

La libertad no se encuentra en las cajas fuertes de los que acumulan para sí mismos, ni en los sofás de los que perezosamente se acomodan en el desinterés y el individualismo. La libertad se encuentra en el cenáculo donde, sin otro motivo más que el amor, nos inclinamos ante los hermanos para ofrecerles nuestro servicio, nuestra vida, como “salvados”.

Por último, el Pan eucarístico es presencia real. Y con esto nos habla de un Dios que no es lejano, que no es celoso, sino cercano y solidario con el hombre; que no nos abandona, sino que nos busca, nos espera y nos acompaña; siempre, hasta el extremo de ponerse, indefenso, en nuestras manos.

Y esta presencia suya nos invita también a nosotros a hacernos próximos a nuestros hermanos allí donde el amor nos llama.

Queridos hermanos y hermanas, cuánta necesidad hay en nuestro mundo de este pan, de su aroma y de su esencia, de una fragancia que sabe a gratitud, a libertad y a proximidad. Vemos cada día demasiadas calles, que quizás alguna vez estuvieron perfumadas por el olor a pan horneado, ser reducidas a montones de escombros a causa de la guerra, del egoísmo y de la indiferencia. Es urgente que el mundo recupere la fragancia buena y fresca del pan del amor, para seguir esperando y continuar reconstruyendo, sin cansarse nunca, aquello que el odio destruye.

Y este también es el significado del gesto que haremos dentro de poco con la procesión eucarística. Partiendo del altar, llevaremos a través de los hogares de nuestra ciudad al Señor. No lo hacemos para exhibirnos, ni tampoco para ostentar nuestra fe, sino para invitar a todos a participar en el Pan de la Eucaristía, en la vida nueva que Jesús nos ha donado. Hagamos la procesión con este espíritu. Gracias.

[00948-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

«Tomou o pão e pronunciou a bênção» (Mc 14, 22). Com este gesto tem início, no Evangelho de São Marcos, a narração da instituição da Eucaristia. E poderíamos partir deste gesto de Jesus – abençoar o pão – para refletir sobre as três dimensões do Mistério que estamos a celebrar: o agradecimento, a memória e a presença.

Primeiro: o agradecimento. A palavra «Eucaristia» quer precisamente dizer «obrigado»: «agradecer» a Deus pelos seus dons, e neste sentido o sinal do pão é importante. É o alimento de cada dia, com o qual levamos ao Altar quanto somos e temos: vida, obras, sucessos e também fracassos, como simboliza o gracioso costume existente nalgumas culturas de apanhar o pão, quando cai por terra, e beijá-lo: quer lembrar que o mesmo é precioso de mais para ser lançado fora, mesmo depois de ter caído. E assim a Eucaristia ensina-nos a abençoar, recolher e beijar – sempre em ação de graças – os dons de Deus. E isto, tanto na celebração como na vida diária.

Por exemplo, não desperdiçando as coisas e talentos que o Senhor nos deu; mas também perdoando e levantando quem escorrega e cai por fraqueza ou por erro, porque tudo é dom e nada se pode perder. Pois ninguém pode ficar no chão, mas todos devem ter a possibilidade de se levantar e retomar o caminho. E nós, podemos fazer isto na nossa vida quotidiana, realizando o nosso trabalho com amor, perfeição e cuidado, com precisão, como um dom e uma missão. E, ajudando sempre quem caiu. Só uma vez na vida é permitido olhar uma pessoa de cima para baixo: para a ajudar a reerguer-se. E esta é a nossa missão.

Para dar graças poder-se-ia certamente ajuntar muitas outras coisas. São comportamentos «eucarísticos» importantes, porque nos ensinam a compreender o valor daquilo que realizamos e oferecemos.

Primeiro, dar graças. Segundo: «abençoar o pão», ou seja, fazer memória. De quê? Para o antigo Israel, tratava-se de recordar a libertação da escravidão do Egito e o início do êxodo rumo à Terra Prometida. Para nós, é reviver a Páscoa de Cristo, a sua Paixão e Ressurreição, com que nos libertou do pecado e da morte. Fazer memória da nossa vida, fazer memória dos nossos sucessos, fazer memória dos nossos erros, fazer memória daquela mão estendida do Senhor que nos ajuda sempre a levantar de novo, fazer memória da presença do Senhor na nossa vida.

Há quem diga que é livre aquele que pensa apenas em si mesmo, que goza a vida e que, com indiferença e talvez com arrogância, faz tudo o que lhe apetece sem respeitar os outros. Isto não é liberdade: é uma escravidão encoberta, uma escravidão que nos torna ainda mais escravos.

A liberdade não se encontra nos cofres de quem acumula para si, nem nos sofás de quem se acomoda preguiçosamente no desinteresse e individualismo: a liberdade encontra-se no Cenáculo onde uma pessoa, sem outro motivo para além do amor, se ajoelha diante dos irmãos oferecendo-lhes os próprios serviços, a própria vida como «salvados».

Por fim, o Pão eucarístico é presença real. E assim nos fala dum Deus que não está distante nem é ciumento, mas próximo e solidário com o homem; que não nos abandona, antes pelo contrário procura-nos, espera-nos e acompanha-nos sempre, até ao ponto de Se colocar, indefeso, nas nossas mãos.

E esta sua presença convida, também a nós, a aproximar-nos dos nossos irmãos nas situações onde o amor nos reclama.

Queridos irmãos e irmãs, como é grande a necessidade, que há no nosso mundo, deste pão, da sua fragrância e do seu aroma, uma fragrância que sabe de gratidão, que sabe de liberdade, sabe de proximidade! Dia a dia vemos cada vez mais estradas, que outrora cheiravam a pão fresco, e hoje estão reduzidas a montões de escombros por causa da guerra, do egoísmo e da indiferença. Urge devolver ao mundo o aroma bom e fresco do pão do amor, para continuar a esperar, sem nunca se cansar, e a reconstruir o que o ódio destrói.

Este é também o significado do gesto que faremos daqui a pouco com a Procissão Eucarística: partindo do Altar, levaremos o Senhor por entre as casas da nossa cidade. Não o fazemos para nos exibir, nem para alardear a nossa fé, mas para convidar a todos a participarem, no Pão da Eucaristia, na vida nova que Jesus nos deu. Façamos a procissão com este estado de espírito. Obrigado.

[00948-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

„Wziął chleb, odmówił błogosławieństwo” (Mk 14, 22). Tym gestem rozpoczyna się opis ustanowienia Eucharystii w Ewangelii św. Marka. I możemy zacząć od tego gestu Jezusa – błogosławieństwa chleba – by zastanowić się nad trzema wymiarami Tajemnicy, którą celebrujemy: dziękczynieniem, czynieniem pamiątki i obecnością.

Po pierwsze: dziękczynienie. Słowo „Eucharystia” oznacza właśnie „dziękczynienie”: „dziękowanie” Bogu za Jego dary, i w tym sensie ważny jest znak chleba. Jest to pokarm dnia powszedniego, wraz z którym przynosimy na ołtarz wszystko, czym jesteśmy i co mamy: życie, prace, sukcesy, a także porażki, jak to symbolizuje piękny zwyczaj w niektórych kulturach podnoszenia i całowania chleba, jeśli upadnie na ziemię: aby sobie przypomnieć, że jest zbyt cenny, żeby go wyrzucić, nawet jeśli spadł. Eucharystia uczy nas zatem błogosławienia, przyjmowania i całowania Bożych darów, zawsze z wdzięcznością, i to nie tylko podczas celebracji, ale także w życiu.

Na przykład nie marnotrawiąc rzeczy i talentów, jakie dał nam Pan. Ale także przebaczając i podnosząc tych, którzy popełniają błędy i upadają z powodu słabości lub błędu. Wszystko bowiem jest darem i nic nie może zaginąć, ponieważ nikt nie może trwać w upadku, a wszyscy muszą mieć szansę, by powstać i zacząć od nowa. A możemy to również robić w naszym codziennym życiu, wykonując naszą pracę z miłością, z troską, z precyzją, jako dar i misję. I zawsze pomagać tym, którzy upadli; tylko raz w życiu można spojrzeć na kogoś z góry: aby pomóc mu się podnieść. I to jest nasza misja.

Do dziękczynienia z pewnością moglibyśmy dodać jeszcze wiele innych rzeczy. Są to ważne postawy „eucharystyczne”, ponieważ uczą nas dostrzegania wartości tego, co robimy i tego, co ofiarujemy.

Po pierwsze, dziękczynienie. Po drugie, „błogosławić chleb” to znaczy czynić pamiątkę. Czego? Dla starożytnego Izraela chodziło o przypomnienie wyzwolenia z niewoli egipskiej i początku wyjścia do Ziemi Obiecanej. Dla nas jest to ponowne przeżywanie Paschy Chrystusa, Jego Męki i Zmartwychwstania, poprzez które wyzwolił nas od grzechu i śmierci. Wspomnienie naszego życia, pamięć o naszych sukcesach, pamięć o naszych błędach, pamięć o wyciągniętej ręce Pana, która zawsze pomaga nam się podnieść, pamięć o obecności Pana w naszym życiu.

Są ludzie, którzy mówią, że wolny jest ten, kto myśli tylko o sobie, kto cieszy się życiem i kto z obojętnością, a może nawet z arogancją, robi to, co chce, nie zważając na innych. To nie jest wolność: to jest to niewola ukryta, niewola, która czyni nas jeszcze bardziej niewolnikami.

Wolności nie można znaleźć w sejfach ludzi gromadzących dla samych siebie, ani na kanapach tych, którzy leniwie oddają się niezaangażowaniu i indywidualizmowi. Wolność spotykamy w Wieczerniku, gdzie, jedynie z miłości, pochylamy się przed braćmi i siostrami, aby ofiarować im swoją posługę, swoje życie, jako „zbawieni”.

Wreszcie chleb eucharystyczny jest realną obecnością. W ten sposób mówi nam o Bogu, który nie jest daleki, nie jest zazdrosny, lecz bliski i solidarny z człowiekiem; który nas nie opuszcza, lecz nas szuka, oczekuje i towarzyszy nam, zawsze, aż oddania się, będąc bezbronnym, w nasze ręce.

I ta Jego obecność zaprasza nas również do bycia blisko naszych braci i sióstr tam, gdzie wzywa nas miłość.

Drodzy bracia i siostry, jak bardzo potrzeba w naszym świecie tego chleba, jego aromatu i woni, który pachnie wdzięcznością, wolnością, bliskością! Każdego dnia widzimy zbyt wiele dróg, być może kiedyś pachnących pieczonym chlebem, sprowadzonych do stert gruzu z powodu wojny, egoizmu i obojętności! Pilnie trzeba przywrócić światu dobry i świeży aromat chleba miłości, by nadal żywić nadzieję i niestrudzenie odbudowywać to, co niszczy nienawiść.

Takie jest również znaczenie gestu, który wykonamy za chwilę podczas procesji eucharystycznej: wyruszając od Ołtarza zaniesiemy Pana między domy naszego miasta. Nie czynimy tego, aby się pokazać ani obnosić z naszą wiarą, lecz aby zaprosić wszystkich do uczestnictwa, w Chlebie Eucharystii, do nowego życia, które dał nam Jezus. Pójdźmy w procesji w tym duchu. Dziękuję.

[00948-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

عظة قداسة البابا فرنسيس

في القدّاس الإلهيّ

في عيد جسد الرّبّ ودمه الأقدسَين

يوم الأحد 2 حزيران/يونيو 2024

بازيليكا القدّيس يوحنّا في اللاتران

"أخذَ خُبزًا وبارَكَ" (مرقس 14، 22). إنّها العلامة التي تَفتَتِحُ حادثة تأسيس سرّ الإفخارستيا في إنجيل القدّيس مرقس. ويمكننا أن نبدأ من علامة يسوع هذه - مباركة الخبز - للتأمّل في الأبعاد الثّلاثة للسّرّ الذي نحتفل به: الشّكر والذكرى والحضور.

أوّلًا: الشّكر. كلمة ”إفخارستيا“ تعني ”شكر“: ”أن نشكر“ الله على عطاياه، وبهذا المعنى فإنّ علامة الخبز مهمّة. إنّه طعام كلّ يوم، وبه نحمل إلى المذبح كلّ ما نحن وما لنا: الحياة، والأعمال، والنّجاحات، وحتّى الفشل، كما ترمز إليه العادة الجميلة لبعض الثّقافات المتمثّلة في جمع الخبز وتقبيله عندما يقع على الأرض: لكي نتذكّر أنّه أثمن من أن يُرمى، حتّى بعد وقوعه. الإفخارستيا تعلِّمنا إذًا أن نبارك عطايا الله ونقبلها ونعانقها دائمًا، كشكر، وهذا ليس فقط في الاحتفال، بل في الحياة أيضًا.

مثلًا، بألّا نبذِّر الأشياء والمواهب التي يعطينا إياها الله. وأيضًا أن نغفر ونقيم الذين يخطئون ويسقطون بسبب ضعفهم أو أخطائهم: لأنّ كلّ شيء هو عطيّة ولا شيء يمكن أن يضيع، ولأنّه لا يمكن لأحد أن يبقى واقعًا على الأرض، ويجب أن يُعطى للجميع فرصة للنّهوض واستئناف المسيرة. ويمكننا أيضًا أن نقوم بذلك في الحياة اليومية، فنقوم بعملنا بمحبّة، وبدقّة، وباهتمام، ونقوم به على أنّه عطيّة ورسالة. وأن نساعد دائمًا الذين سقطوا: مرّة واحدة فقط في الحياة يمكن أن ننظر إلى شخص من أعلى إلى أسفل: لمساعدته على النّهوض من جديد. وهذه هي رسالتنا.

لنقدّم الشّكر يمكننا بالتّأكيد إضافة طرق أخرى. إنّها مواقف ”إفخارستيّا" مهمّة، لأنّها تعلِّمنا أن نفهم قيمة ما نقوم به، وما نقدّمه.

ثانيًا: ”مباركة الخبز“ تعني أن نتذكّر. ماذا نتذكّر؟ بالنّسبة لشعب إسرائيل القديم، أن يتذكّر تحرّره من العبوديّة في مصر وبداية خروجه نحو أرض الميعاد. وبالنّسبة لنا هو أن نعيش من جديد فصح المسيح، وآلامه وقيامته من بين الأموات، التي بها حرّرنا من الخطيئة والموت. أن نتذكّر حياتنا، ونتذكّر نجاحاتنا، ونتذكّر أخطاءنا، ونتذكّر يدّ الرّبّ يسوع الممدودة التي تساعدنا دائمًا لننهض، ونتذكّر حضوره في حياتنا.

قد يقول البعض إنّ الإنسان الحرّ هو الذي يفكّر في نفسه فقط، والذي يستمتع بالحياة والذي يصنع، بلا مبالاة وربما بغطرسة، كلّ ما يريد من غير أن يهتمّ للآخرين. هذه ليست حرّيّة: إنّها عبوديّة مخفية، عبوديّة تجعلنا أكثر عبيدًا.

لا توجد الحرّيّة في الخزائن التي نكدّس فيها المال لأنفسنا، ولا على الكنبات التي نسترخي عليها كسالى أفرادًا منعزلين عن النّاس: الحرّيّة توجد في العليّة حيث ينحني الإنسان، دون أيّ سبّب آخر غير الحبّ، أمام الإخوة ليقدّم لهم خدمته وحياته، لأنّهم ”مخلَّصُون“.

وأخيرًا، الخبز الإفخارستيّ هو حضور المسيح الحقيقيّ. الخبز الإفخارستيّ يكلّمنا على إله ليس بعيدًا وغيّورًا، بل على إله قريب ومتضامن مع الإنسان؛ والذي لا يتركنا، بل يبحث عنا، وينتظرنا ويرافقنا دائمًا، إلى حدّ أن يضع نفسه بين أيدينا، بلا حمى.

وحضوره يدعونا أيضًا إلى أن نكون قريبين من إخوتنا حيث تدعونا المحبّة.

أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء، كم يحتاج عالمنا إلى هذا الخبز، إلى شذاه وعطره التي تفوح منه رائحة الشّكر والحرّيّة والقرب! كلّ يوم نرى الشّوارع الكثيرة، التي ربما كانت تفوح منها رائحة الخبز المخبوز، لكنّها تحوّلت إلى أكوام من الرّكام بسبب الحرب والأنانيّة واللامبالاة! من الملِّح أن نعيد إلى العالم رائحة خبز المحبّة الطّيبّة والطّازجة، لكي نستمرّ في الرّجاء وإعادة البناء دون كلل لما تدمّره الكراهية.

وهذا أيضًا هو معنى العلامة التي سنقوم بها قريبًا، مع دورة القربان: سنبدأ من المذبح، وسنحمل الرّبّ يسوع الموجود في القربان المقدس بين بيوت مدينتنا. نحن لا نقوم بذلك لإظهارِ أنفسنا ولا لنفتخر بإيماننا، بل لندعو الجميع إلى المشاركة، في خبز الإفخارستيّا، وفي الحياة الجديدة التي أعطانا إياها يسوع. فلنقم بدورة القربان بهذه الرّوح.

[00948-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0463-XX.02]