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Messaggio del Santo Padre Francesco per la IV Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani (28 luglio 2024), 14.05.2024


Messaggio del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre Francesco per la IV Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani che si celebra la quarta domenica di luglio – quest’anno il 28 luglio - sul tema “Nella vecchiaia non abbandonarmi” (cfr. Sal 71,9):

Messaggio del Santo Padre

“Nella vecchiaia non abbandonarmi” (cfr Sal 71,9)

Cari fratelli e sorelle!

Dio non abbandona i suoi figli, mai. Nemmeno quando l’età avanza e le forze declinano, quando i capelli imbiancano e il ruolo sociale viene meno, quando la vita diventa meno produttiva e rischia di sembrare inutile. Egli non guarda le apparenze (cfr 1 Sam 16,7) e non disdegna di scegliere coloro che a molti appaiono irrilevanti. Non scarta alcuna pietra, anzi, le più “vecchie” sono la base sicura sulla quale le pietre “nuove” possono appoggiarsi per costruire tutte insieme l’edificio spirituale (cfr 1 Pt 2,5).

La Sacra Scrittura, tutta intera, è una narrazione dell’amore fedele del Signore, dalla quale emerge una consolante certezza: Dio continua a mostrarci la sua misericordia, sempre, in ogni fase della vita, e in qualsiasi condizione ci troviamo, anche nei nostri tradimenti. I salmi sono colmi della meraviglia del cuore umano di fronte a Dio che si prende cura di noi, nonostante la nostra pochezza (cfr Sal 144,3-4); ci assicurano che Dio ha tessuto ognuno di noi fin dal seno materno (cfr Sal 139,13) e che nemmeno negli inferi abbandonerà la nostra vita (cfr Sal 16,10). Dunque, possiamo essere certi che ci starà vicino anche nella vecchiaia, tanto più perché nella Bibbia invecchiare è segno di benedizione.

Eppure, nei salmi troviamo anche quest’accorata invocazione al Signore: «Non gettarmi via nel tempo della vecchiaia» (Sal 71,9). Un’espressione forte, molto cruda. Fa pensare alla sofferenza estrema di Gesù che sulla croce gridò: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46).

Nella Bibbia, dunque, troviamo la certezza della vicinanza di Dio in ogni stagione della vita e, al tempo stesso, il timore dell’abbandono, particolarmente nella vecchiaia e nel momento del dolore. Non si tratta di una contraddizione. Guardandoci attorno, non facciamo fatica a verificare come tali espressioni rispecchino una realtà più che evidente. Troppo spesso la solitudine è l’amara compagna della vita di noi, anziani e nonni. Tante volte, da vescovo di Buenos Aires, mi è capitato di visitare case di riposo e di rendermi conto di quanto raramente quelle persone ricevessero visite: alcune non vedevano i loro cari da molti mesi.

Sono tante le cause di questa solitudine: in molti Paesi, soprattutto i più poveri, gli anziani si ritrovano soli perché i figli sono costretti a emigrare. Oppure, penso alle numerose situazioni di conflitto: quanti anziani rimangono soli perché gli uomini – giovani e adulti – sono chiamati a combattere e le donne, soprattutto le mamme con bambini piccoli, lasciano il Paese per dare sicurezza ai figli. Nelle città e nei villaggi devastati dalla guerra rimangono tanti vecchi e anziani soli, unici segni di vita in zone dove sembrano regnare l’abbandono e la morte. In altre parti del mondo, poi, esiste una falsa convinzione, molto radicata in alcune culture locali, che genera ostilità nei confronti degli anziani, sospettati di fare ricorso alla stregoneria per togliere energie vitali ai giovani; così che, in caso di morte prematura o di malattia o di sorte avversa che colpiscono un giovane, la colpa viene fatta ricadere su qualche anziano. Questa mentalità va combattuta ed estirpata. È uno di quegli infondati pregiudizi, dai quali la fede cristiana ci ha liberato, che alimenta una persistente conflittualità generazionale fra giovani e anziani.

Se ci pensiamo bene, quest’accusa rivolta ai vecchi di “rubare il futuro ai giovani” è molto presente oggi ovunque. Essa si riscontra, sotto altre forme, anche nelle società più avanzate e moderne. Ad esempio, si è ormai diffusa la convinzione che gli anziani fanno pesare sui giovani il costo dell’assistenza di cui hanno bisogno, e in questo modo sottraggono risorse allo sviluppo del Paese e dunque ai giovani. Si tratta di una percezione distorta della realtà. È come se la sopravvivenza degli anziani mettesse a rischio quella dei giovani. Come se per favorire i giovani fosse necessario trascurare gli anziani o addirittura sopprimerli. La contrapposizione tra le generazioni è un inganno ed è un frutto avvelenato della cultura dello scontro. Mettere i giovani contro gli anziani è una manipolazione inaccettabile: «È in gioco l’unità delle età della vita: ossia, il reale punto di riferimento per la comprensione e l’apprezzamento della vita umana nella sua interezza» (Catechesi 23 febbraio 2022).

Il salmo citato in precedenza – dove si supplica di non essere abbandonati nella vecchiaia – parla di una congiura che si stringe attorno alla vita degli anziani. Sembrano parole eccessive, ma le si comprende se si considera che la solitudine e lo scarto degli anziani non sono casuali né ineluttabili, bensì frutto di scelte – politiche, economiche, sociali e personali – che non riconoscono la dignità infinita di ogni persona «al di là di ogni circostanza e in qualunque stato o situazione si trovi» (Dich. Dignitas infinita, 1). Ciò avviene quando si smarrisce il valore di ciascuno e le persone diventano solo un costo, in alcuni casi troppo elevato da pagare. Ciò che è peggio è che, spesso, gli anziani stessi finiscono per essere succubi di questa mentalità e giungono a considerarsi come un peso, desiderando essi stessi per primi di farsi da parte.

D’altro canto, oggi sono molte le donne e gli uomini che cercano la propria realizzazione personale in un’esistenza il più possibile autonoma e slegata dagli altri. Le appartenenze comuni sono in crisi e si affermano le individualità; il passaggio dal “noi” all’“io” appare uno dei più evidenti segni dei nostri tempi. La famiglia, che è la prima e più radicale contestazione dell’idea che ci si possa salvare da soli, è una delle vittime di questa cultura individualista. Quando si invecchia, però, a mano a mano che le forze declinano, il miraggio dell’individualismo, l’illusione di non aver bisogno di nessuno e di poter vivere senza legami si rivela per quello che è; ci si trova invece ad aver bisogno di tutto, ma oramai soli, senza più aiuto, senza qualcuno su cui poter fare affidamento. È una triste scoperta che molti fanno quando è troppo tardi.

La solitudine e lo scarto sono diventati elementi ricorrenti nel contesto in cui siamo immersi. Essi hanno radici molteplici: in alcuni casi sono il frutto di una esclusione programmata, una sorta di triste “congiura sociale”; in altri casi si tratta purtroppo di una decisione propria. Altre volte ancora si subiscono fingendo che si tratti di una scelta autonoma. Sempre di più «abbiamo perso il gusto della fraternità» (Lett. enc. Fratelli tutti,33) e facciamo fatica anche solo a immaginare qualcosa di differente.

Possiamo notare in molti anziani quel sentimento di rassegnazione di cui parla il libro di Rut quando narra della vecchia Noemi che, dopo la morte del marito e dei figli, invita le due nuore, Orpa e Rut, a far ritorno al loro paese di origine e alla loro casa (cfr Rut 1,8). Noemi – come tanti anziani di oggi – teme di rimanere da sola, eppure non riesce a immaginare qualcosa di diverso. Da vedova, è consapevole di valere poco agli occhi della società ed è convinta di essere un peso per quelle due giovani che, al contrario di lei, hanno tutta la vita davanti. Per questo pensa che sia meglio farsi da parte e lei stessa invita le giovani nuore a lasciarla e a costruire il loro futuro in altri luoghi (cfr Rut 1,11-13). Le sue parole sono un concentrato di convenzioni sociali e religiose che sembrano immutabili e che segnano il suo destino.

Il racconto biblico ci presenta a questo punto due diverse opzioni di fronte all’invito di Noemi e dunque di fronte alla vecchiaia. Una delle due nuore, Orpa, che pure vuol bene a Noemi, con un gesto affettuoso la bacia, ma accetta quella che anche a lei sembra l’unica soluzione possibile e se ne va per la sua strada. Rut, invece, non si stacca da Noemi e le rivolge parole sorprendenti: «Non insistere con me che ti abbandoni» (Rut 1,16). Non ha paura di sfidare le consuetudini e il sentire comune, sente che quell’anziana donna ha bisogno di lei e, con coraggio, le rimane accanto in quello che sarà l’inizio di un nuovo viaggio per entrambe. A tutti noi – assuefatti all’idea che la solitudine sia un destino ineluttabile – Rut insegna che all’invocazione “non abbandonarmi!” è possibile rispondere “non ti abbandonerò!”. Non esita a sovvertire quella che sembra una realtà immutabile: vivere da soli non può essere l’unica alternativa! Non a caso Rut – colei che rimane vicina all’anziana Noemi – è un’antenata del Messia (cfr Mt 1,5), di Gesù, l’Emmanuele, Colui che è il “Dio con noi”, Colui che porta la vicinanza e la prossimità di Dio a tutti gli uomini, di tutte le condizioni, di tutte le età.

La libertà e il coraggio di Rut ci invitano a percorrere una strada nuova: seguiamo i suoi passi, mettiamoci in viaggio con questa giovane donna straniera e con l’anziana Noemi, non abbiamo paura di cambiare le nostre abitudini e di immaginare un futuro diverso per i nostri anziani. La nostra gratitudine va a tutte quelle persone che, pur con tanti sacrifici, hanno seguito di fatto l’esempio di Rut e si stanno prendendo cura di un anziano o semplicemente mostrano quotidianamente la loro vicinanza a parenti o conoscenti che non hanno più nessuno. Rut ha scelto di stare vicina a Noemi ed è stata benedetta: con un matrimonio felice, una discendenza, una terra. Questo vale sempre e per tutti: stando vicino agli anziani, riconoscendo il ruolo insostituibile che essi hanno nella famiglia, nella società e nella Chiesa, riceveremo anche noi tanti doni, tante grazie, tante benedizioni!

In questa IV Giornata Mondiale dedicata a loro, non facciamo mancare la nostra tenerezza ai nonni e agli anziani delle nostre famiglie, visitiamo coloro che sono sfiduciati e non sperano più che un futuro diverso sia possibile. All’atteggiamento egoistico che porta allo scarto e alla solitudine contrapponiamo il cuore aperto e il volto lieto di chi ha il coraggio di dire “non ti abbandonerò!” e di intraprendere un cammino differente.

A tutti voi, carissimi nonni e anziani, e a quanti vi sono vicini giunga la mia benedizione accompagnata dalla preghiera. Anche voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

Roma, San Giovanni in Laterano, 25 aprile 2024.

FRANCESCO

[00809-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Dans ma vieillesse, ne m'abandonne pas” (cf. Ps 70, 9)

Chers frères et sœurs!

Dieu n’abandonne pas ses enfants, jamais. Même lorsque l’âge avance et que les forces diminuent, lorsque les cheveux blanchissent et que le rôle social disparaît, lorsque la vie devient moins productive et risque de paraître inutile. Il ne regarde pas les apparences (1 S 16, 7) et n’hésite pas à choisir ceux qui, aux yeux d’un grand nombre, semblent insignifiants. Il n’écarte aucune pierre. Au contraire, les plus “anciennes” sont la base solide sur laquelle les pierres “nouvelles” peuvent s’appuyer pour construire ensemble l’édifice spirituel (cf. 1 P 2, 5).

Toute l’Écriture Sainte est un récit de l’amour fidèle du Seigneur d’où émerge une certitude réconfortante: Dieu continue à nous montrer sa miséricorde, toujours, dans toutes les phases de la vie et dans n’importe quelle condition où nous sommes, même dans nos trahisons. Les psaumes sont remplis de l’émerveillement du cœur humain devant Dieu qui prend soin de nous, malgré notre petitesse (cf. Ps 143, 3-4). Ils nous assurent que Dieu nous a tous tissés dès le sein maternel (cf. Ps 138,13) et qu’il n’abandonnera pas notre vie (cf. Ps 15,10), même dans les enfers. Nous pouvons donc être sûrs que, même dans la vieillesse, Il sera proche de nous d’autant plus que, dans la Bible, vieillir est signe de bénédiction.

Et pourtant nous trouvons aussi dans les psaumes cette invocation pressante faite au Seigneur: «Ne me rejette pas maintenant que j’ai vieilli» (Ps 70, 9). Une expression forte, très crue. Elle fait penser à la souffrance extrême de Jésus qui cria sur la croix: «Mon Dieu, mon Dieu, pourquoi m’as-tu abandonné?» (Mt 27, 46).

Nous trouvons donc dans la Bible la certitude de la proximité de Dieu en toute saison de la vie et, en même temps, la crainte de l’abandon, en particulier dans la vieillesse et dans les moments de souffrance. Ce n’est pas contradictoire. En regardant autour de nous, nous n’avons pas de mal à voir comment ces expressions reflètent une réalité plus qu’évidente. Trop souvent, la solitude est la compagne amère de notre vie, nous qui sommes des personnes âgées et des grands-parents. En tant qu’évêque de Buenos Aires, il m’est souvent arrivé de visiter des maisons de retraite et de me rendre compte à quel point ces personnes recevaient rarement des visites: certaines n’avaient pas vu leurs proches depuis de nombreux mois.

Les causes de cette solitude sont nombreuses. Dans de nombreux pays, surtout les plus pauvres, les personnes âgées se retrouvent seules parce que les enfants sont contraints d’émigrer. Ou encore, je pense aux nombreuses situations de conflit: combien de personnes âgées sont seules parce que les hommes – jeunes et adultes – sont appelés à combattre et les femmes, surtout les mères avec des enfants en bas âge, quittent le pays pour mettre leurs enfants en sécurité. Dans les villes et les villages ravagés par la guerre, beaucoup de vieillards et de personnes âgées restent seuls, uniques signes de vie dans des lieux où règnent l’abandon et la mort. En d’autres parties du monde, il y a une fausse conviction, très enracinée dans certaines cultures locales, qui engendre l’hostilité envers les personnes âgées soupçonnées de recourir à la sorcellerie pour ôter des énergies vitales aux jeunes. C’est pourquoi, en cas de mort prématurée, de maladie ou de sort malheureux touchant un jeune, la faute est rejetée sur une personne âgée. Cette mentalité doit être combattue et éradiquée. Elle est l’un de ces préjugés infondés, dont la foi chrétienne nous a libérés, qui alimente un conflit générationnel entre jeunes et personnes âgées.

Si nous y réfléchissons bien, cette accusation adressée aux personnes âgées de “voler l’avenir aux jeunes” est très présente aujourd’hui partout. Elle se retrouve aussi, sous d’autres formes, dans les sociétés les plus avancées et les plus modernes. Par exemple, la conviction que les personnes âgées font peser sur les jeunes le coût de l’assistance dont elles ont besoin s’est désormais répandue, soustrayant ainsi des ressources au développement du pays, et donc aux jeunes. Il s’agit d’une perception déformée de la réalité. C’est comme si la survie des personnes âgées mettait en danger celle des jeunes; comme si, pour favoriser les jeunes, il fallait négliger les personnes âgées ou même les supprimer. L’opposition entre les générations est une duperie et un fruit empoisonné de la culture de l’affrontement. Monter les jeunes contre les personnes âgées est une manipulation inacceptable: «Ce qui est en jeu est l’unité des âges de la vie: c’est-à-dire le point de référence réel pour la compréhension et l’appréciation de la vie humaine dans son intégralité» (Catéchèse, 23 février 2022).

Le psaume cité précédemment – où l’on supplie de ne pas être abandonné dans la vieillesse – parle d’une conjuration qui se resserre autour de la vie des personnes âgées. Ces paroles semblent excessives, mais on les comprend si l’on considère que la solitude et le rejet des personnes âgées ne sont ni fortuites ni inéluctables, mais le fruit de choix – politiques, économiques, sociaux et personnels – qui ne reconnaissent pas la dignité infinie de toute personne, «en toutes circonstances et dans quelque état ou situation qu’elle se trouve» (Décl. Dignitas infinita, n. 1). Cela se produit lorsque l’on perd le sens de la valeur de chacun et que les personnes deviennent seulement un coût, trop élevé à payer dans certains cas. Le pire est que, souvent, les personnes âgées elles-mêmes finissent par être sous l’emprise de cette mentalité et en viennent à se considérer comme un poids, voulant elles-mêmes s’effacer.

D’autre part, nombreuses sont les femmes et les hommes aujourd’hui qui cherchent leur épanouissement personnel dans une existence aussi autonome et indépendante que possible des autres. Les appartenances communes sont en crise et les individualités s’affirment; le passage du “nous” au “je” apparaît comme l’un des signes les plus évidents de notre époque. La famille, qui est la première et la plus radicale contestation de l’idée que l’on peut se sauver tout seul, est l’une des victimes de cette culture individualiste. Mais lorsqu’on vieillit, au fur et à mesure que les forces diminuent, le mirage de l’individualisme, l’illusion de n’avoir besoin de personne et de pouvoir vivre sans liens se révèle pour ce qu’elle est. On se retrouve au contraire à avoir besoin de tout, mais désormais seul, sans aide, sans personne sur qui compter. C’est une triste découverte que beaucoup font quand il est trop tard.

La solitude et le rejet sont devenus des éléments récurrents dans le contexte où nous sommes immergés. Ils ont des racines multiples: dans certains cas, ils sont le fruit d’une exclusion programmée, une sorte de triste “conjuration sociale”. Dans d’autres cas, il s’agit malheureusement d’une décision personnelle. D’autres fois encore, on les subit en prétendant qu’il s’agit d’un choix autonome. «Nous avons perdu le goût de la fraternité» (Lett. enc. Fratelli tutti, n. 33) et nous avons de plus en plus de mal à imaginer quelque chose de différent.

Nous pouvons noter chez de nombreuses personnes âgées ce sentiment de résignation dont parle le livre de Ruth lorsqu’il raconte comment Noémi, âgée, après la mort de son mari et de ses enfants, invite ses deux belles-filles, Orpa et Ruth, à retourner chez elles dans leur pays d’origine (cf. Rt 1, 8). Noémi – comme tant de personnes âgées aujourd’hui – craint de rester seule mais elle ne peut imaginer autre chose. Elle est consciente que, veuve, elle a peu d’importance aux yeux de la société et elle est convaincue d’être un fardeau pour ces deux jeunes qui, contrairement à elle, ont toute la vie devant elles. C’est pourquoi elle pense qu’il vaut mieux se retirer et elle-même invite les jeunes belles-filles à la quitter et à construire leur avenir en d’autres lieux (cf. Rt 1, 11-13). Ses paroles sont un concentré de conventions sociales et religieuses qui semblent immuables et qui marquent son destin.

À ce moment le récit biblique nous présente deux options différentes face à l’invitation de Noémi et donc face à la vieillesse. L’une des deux belles-filles, Orpa, qui aime aussi Noémi, l’embrasse avec affection mais accepte ce qui lui semble être la seule solution possible, et elle s’en va. Ruth, par contre, ne se détache pas de Noémi et lui adresse des mots surprenants: «Ne me force pas à t’abandonner» (Rt 1, 16). Elle n’a pas peur de défier les coutumes et le sentiment commun, elle sent que cette femme âgée a besoin d’elle et, avec courage, reste à ses côtés dans ce qui sera le début d’un nouveau voyage pour toutes les deux. Ruth nous enseigne, à nous qui sommes habitués à l’idée que la solitude est un destin inéluctable, qu’à l’invocation “ne m’abandonne pas!” il est possible de répondre “je ne t’abandonnerai pas!”. Elle n’hésite pas à renverser ce qui semble être une réalité immuable: vivre seul ne peut être l’unique alternative! Ce n’est pas par hasard si Ruth – celle qui reste proche de Noémi âgée – est une ancêtre du Messie (cf. Mt 1, 5), de Jésus, l’Emmanuel, celui qui est le “Dieu avec nous”, celui qui apporte la proximité de Dieu à tous les hommes, de toutes conditions, de tous âges.

La liberté et le courage de Ruth nous invitent à prendre une nouvelle voie: suivons ses pas, mettons-nous en route avec cette jeune femme étrangère et avec la vieille Noémi, n’ayons pas peur de changer nos habitudes et d’imaginer un avenir différent pour nos personnes âgées. Notre gratitude va à toutes les personnes qui, malgré de nombreux sacrifices, ont suivi l’exemple de Ruth et prennent soin d’une personne âgée ou montrent simplement leur proximité quotidienne à des parents ou des connaissances qui n’ont plus personne. Ruth a choisi de rester près de Noémi et a été bénie: par un mariage heureux, une descendance, une terre. Cela vaut toujours et pour tous: en étant proches des personnes âgées, en reconnaissant le rôle irremplaçable qu’elles ont dans la famille, dans la société et dans l’Église, nous recevrons nous aussi de nombreux dons, de nombreuses grâces, de nombreuses bénédictions!

En cette 4ème Journée Mondiale qui leur est dédiée, ne privons pas de notre tendresse les grands-parents et les personnes âgées de nos familles, visitons ceux qui sont découragés et qui n’espèrent plus qu’un avenir différent est possible. À l’attitude égoïste qui conduit au rejet et à la solitude, opposons le cœur ouvert et le visage heureux de celui qui a le courage de dire “je ne t’abandonnerai pas!” et de prendre un chemin différent.

Que ma bénédiction, accompagnée par la prière, vous parvienne à tous, très chers grands-parents et personnes âgées, et à tous ceux qui vous sont proches. Et vous aussi, s’il vous plaît, n’oubliez pas de prier pour moi.

Rome, Saint-Jean-de-Latran, 25 avril 2024

FRANÇOIS

[00809-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

“Do not cast me off in my old age” (cf. Ps 71:9)

Dear brothers and sisters,

God never abandons his children, never. Even when our age advances and our powers decline, when our hair grows white and our role in society lessens, when our lives become less productive and can risk appearing useless. God does not regard appearances (cf. 1 Sam 16:7); he does not disdain to choose those who, to many people, may seem irrelevant. God discards no stone; indeed, the “oldest” are the firm foundation on which “new” stones can rest, in order to join in erecting a spiritual edifice (cf. 1 Peter 2:5).

Sacred Scripture as a whole is a story of the Lord’s faithful love. It offers us the comforting certainty that God constantly shows us his mercy, always, at every stage of life, in whatever situation we find ourselves, even in our betrayals. The Psalms are filled with the wonder of the human heart before God who cares for us despite our insignificance (cf. Ps 144:3-4); they assure us that God has fashioned each one of us from our mother’s womb (cf. Ps 139:13) and that even in hell he will not abandon our life (cf. Ps 16:10). We can be certain, then, that he will be close to us also in old age, all the more because, in the Bible, growing old is a sign of blessing.

At the same time, in the Psalms we also find this heartfelt plea to the Lord: “In my old age do not abandon me” (cf. Ps 71:9). Words that are strong, even crude. They make us think of the extreme suffering of Jesus, who cried out on the cross: “My God, my God, why have you forsaken me?” (Mt 27:46).

In the Bible, then, we find both the certainty of God’s closeness at every stage of life and the fear of abandonment, particularly in old age and in times of pain. There is no contradiction here. If we look around, we have no difficulty seeing that its words reflect an utterly evident reality. All too often, loneliness is the bleak companion of our lives as elderly persons and grandparents. Often, when I was Bishop of Buenos Aires, I would visit rest homes and realize how rarely those people received visits. Some had not seen their family members for many months.

There are many reasons for this loneliness: in many places, above all in the poorer countries, the elderly find themselves alone because their children are forced to emigrate. I think too of the many situations of conflict. How many of the elderly are left alone because men – youths and adults – have been called to battle, and women, above all women with small children, have left the country in order to ensure safety for their children. In cities and villages devastated by war, many elderly people are left alone; they are the only signs of life in areas where abandonment and death seem to reign supreme. In other parts of the world, we encounter a false belief, deeply rooted in certain local cultures, that causes hostility towards the elderly, who are suspected of using witchcraft to sap the vital energies of the young; when premature death or sickness, or any other misfortune strike the young, the guilt is laid at the door of some elderly person. This mentality must be combatted and eliminated. It is one of those groundless prejudices from which the Christian faith has set us free, yet which continues to fuel generational conflict between the young and the elderly.

Yet if we think about it, this accusation that the elderly “rob the young of their future” is nowadays present everywhere. It appears under other guises even in the most advanced and modern societies. For example, there is now a widespread conviction that the elderly are burdening the young with the high cost of the social services that they require, and in this way are diverting resources from the development of the community and thus from the young. This is a distorted perception of reality. It assumes that the survival of the elderly puts that of the young at risk, that to favour the young, it is necessary to neglect or even suppress the elderly. Intergenerational conflict is a fallacy and the poisoned fruit of a culture of conflict. To set the young against the old is an unacceptable form of manipulation: “What is important is the unity of the different ages of life, which is the real point of reference for understanding and valuing human life in its entirety” (Catechesis, 23 February 2022).

The Psalm cited above – with its plea not to be abandoned in old age – speaks to a conspiracy surrounding the life of the elderly. This may seem an exaggeration, but not if we consider that the loneliness and abandonment of the elderly is not by chance or inevitable, but the fruit of decisions – political, economic, social and personal decisions – that fail to acknowledge the infinite dignity of each person, “beyond every circumstance, state or situation the person may ever encounter” (Declaration Dignitas Infinita, 1). This happens once we lose sight of the value of each individual and people are then judged in terms of their cost, which is in some cases considered too high to pay. Even worse, often the elderly themselves fall victim to this mindset; they are made to consider themselves a burden and to feel that they should be the first to step aside.

Then too nowadays many women and men seek personal fulfilment in a life as independent as possible and detached from other people. Group memberships are in crisis and individualism is celebrated: the passage from “us” to “me” is one of the most evident signs of our times. The family, which is the first and most radical argument against the notion that we can save ourselves by ourselves, has been one of the victims of this individualistic culture. Yet once we grow old and our powers begin to decline, the illusion of individualism, that we need no one and can live without social bonds, is revealed for what it is. Indeed, we find ourselves needing everything, but at a point in life when we are alone, no longer with others to help, with no one whom we can count on. It is a grim discovery that many people make only when it is too late.

Solitude and abandonment have become recurrent elements in today’s social landscape. They have multiple roots. In some cases, they are the result of calculated exclusion, a sort of deplorable “social conspiracy”; in others, tragically, a matter of an individual’s personal decision. In still other cases, the elderly submit to this reality, pretending that it is their free choice. Increasingly, we have lost “the taste of fraternity” (Fratelli Tutti, 33); we find it difficult even to think of an alternative.

In many older persons we can observe the sense of resignation described in the Book of Ruth, which tells the story of the elderly Naomi who, after the death of her husband and children, encourages her two daughters-in-law, Orpah and Ruth, to return to their native towns and their homes (cf. Ruth 1:8). Naomi – like many elderly people today – is afraid of remaining alone, yet she cannot imagine anything different. As a widow, she knows that she is of little value in the eyes of society; she sees herself as a burden for those two young woman who, unlike herself, have their whole lives before them. For this reason, she considers it best to step aside, and so she tells her young daughters-in-law to leave her and to build a future in other places (cf. Ruth 1:11-13). Her words reflect the rigid social and religious conventions of her day, which apparently seal her own fate.

The biblical narrative then presents us with two different responses to Naomi’s words and to old age itself. One of the two daughters-in-law, Orpah, who loves Naomi, kisses her and, accepting what seemed the only solution possible, goes her way. Ruth, however, does not leave Naomi’s side and, to her surprise, tells her: “Do not press me to leave you” (Ruth 1:16). Ruth is not afraid to challenge customs and inbred patterns of thought. She senses that the elderly woman needs her and she courageously remains at her side in what will be the start of a new journey for both. To all of us, who are accustomed to the idea that solitude is our unavoidable lot, Ruth teaches that in response to the plea “Do not abandon me”, it is possible to say, “I will not abandon you”. Ruth does not hesitate to subvert what seemed to be an irreversible situation: living alone need not be the only alternative! Not by chance, Ruth – who remained at the side of the elderly Naomi – was an ancestor of the Messiah (cf. Mt 1:5), of Jesus, Immanuel, “God with us”, the one who brings God’s own closeness and proximity to all people, of all ages and states of life.

Ruth’s freedom and courage invite us to take a new path. Let us follow in her footsteps. Let us set out with this young foreign woman and the elderly Naomi, and not be afraid to change our habits and imagine a different kind of future for our elderly. May we express our gratitude to all those people who, often at great sacrifice, follow in practice the example of Ruth, as they care for an older person or simply demonstrate daily closeness to relatives or acquaintances who no longer have anyone else. Ruth, who chose to remain close to Naomi, was then blessed with a happy marriage, a family, a new home. This is always the case: by remaining close to the elderly and acknowledging their unique role in the family, in society and in the Church, we will ourselves receive many gifts, many graces, many blessings!

On this Fourth World Day devoted to them, let us show our tender love for the grandparents and the elderly members of our families. Let us spend time with those who are disheartened and no longer hope in the possibility of a different future. In place of the self-centred attitude that leads to loneliness and abandonment, let us instead show the open heart and the joyful face of men and women who have the courage to say “I will not abandon you”, and to set out on a different path.

To all of you, dear grandparents and elderly persons, and to all those who are close to you I send my blessing, accompanied by my prayers. And I ask you, please, not to forget to pray for me.

Rome, Saint John Lateran, 25 April 2024

FRANCIS

[00809-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

„Verlass mich nicht, wenn ich alt bin“ (vgl. Ps 71,9)

Liebe Brüder und Schwestern!

Gott lässt seine Kinder nicht im Stich, niemals. Auch dann nicht, wenn das Alter fortschreitet und die Kraft nachlässt, wenn das Haar weißer wird und die soziale Stellung abnimmt, wenn das Leben weniger produktiv wird und droht, als nutzlos zu erscheinen. Er achtet nicht auf Äußerlichkeiten (vgl. 1 Sam 16,7) und scheut sich nicht, diejenigen auszuwählen, die vielen unbedeutend erscheinen. Er wirft keinen Stein weg; im Gegenteil, die „ältesten“ sind das sichere Fundament, auf das sich die „neuen“ Steine stützen können, um gemeinsam das geistige Haus zu bilden (vgl. 1 Petr 2,5).

Die Heilige Schrift ist in ihrer Gesamtheit eine Erzählung von der treuen Liebe des Herrn, aus der sich eine tröstliche Gewissheit ergibt: Gott zeigt uns weiterhin sein Erbarmen, immer, in jeder Lebensphase und in jeder Lage, in der wir uns befinden, auch in unserer Untreue. Die Psalmen sind voll vom Staunen des menschlichen Herzens über Gott, der sich trotz unserer Dürftigkeit um uns kümmert (vgl. Ps 144,3-4); sie versichern uns, dass Gott jeden von uns bereits im Mutterschoß gewoben hat (vgl. Ps 139,13) und dass er uns auch in der Totenwelt nicht im Stich lassen wird (vgl. Ps 16,10). Deshalb können wir gewiss sein, dass er uns auch im Alter nahe sein wird, zumal in der Bibel das Älterwerden ein Zeichen des Segens ist.

Doch in den Psalmen finden wir auch diese inständige Bitte an den Herrn: »Verwirf mich nicht, wenn ich alt bin« (Ps 71,9). Ein starker, sehr harter Ausdruck. Er erinnert an das extreme Leiden Jesu, der am Kreuz schrie: »Mein Gott, mein Gott, warum hast du mich verlassen?« (Mt 27,46).

In der Bibel finden wir also die Gewissheit, dass Gott uns in jedem Lebensalter nahe ist, und gleichzeitig die Furcht vor dem Verlassenwerden, besonders im Alter und in Zeiten des Leids. Dies ist kein Widerspruch. Wenn wir uns umschauen, können wir leicht erkennen, dass solche Äußerungen eine mehr als offensichtliche Realität widerspiegeln. Nur allzu oft ist die Einsamkeit die bittere Begleiterin im Leben von uns älteren Menschen und Großeltern. Als Bischof von Buenos Aires besuchte ich häufig Altenheime und musste feststellen, wie selten diese Menschen Besuch bekamen: Manche hatten ihre Lieben seit vielen Monaten nicht mehr gesehen.

Die Ursachen für diese Einsamkeit sind vielfältig: In vielen Ländern, vor allem in den ärmsten, sind die älteren Menschen allein, weil ihre Kinder zum Auswandern gezwungen sind. Oder wenn ich an die vielen Krisengebiete denke: Wie viele ältere Menschen bleiben allein zurück, weil die Männer – junge und alte – in den Kampf ziehen müssen und die Frauen, vor allem die Mütter mit kleinen Kindern, das Land verlassen, um für die Sicherheit ihrer Kinder zu sorgen. In den vom Krieg verwüsteten Städten und Dörfern bleiben viele alte und ältere Menschen allein zurück, als einzige Zeichen des Lebens in Gebieten, in denen Verlassenheit und Tod zu herrschen scheinen. In anderen Teilen der Welt gibt es einen in manchen lokalen Kulturen tiefsitzenden Irrglauben, der Feindseligkeit gegenüber älteren Menschen hervorruft. Sie werden verdächtigt, sich der Hexerei zu bedienen, um den jungen Menschen ihre Lebenskraft zu entziehen, so dass im Falle eines vorzeitigen Todes, einer Krankheit oder eines widrigen Schicksals, das einem jungen Menschen widerfährt, die Schuld auf irgendeinen alten Menschen geschoben wird. Diese Mentalität muss bekämpft und ausgemerzt werden. Sie gehört zu den grundlosen Vorurteilen, von denen uns der christliche Glaube befreit hat, und schürt einen anhaltenden Generationenkonflikt zwischen Jung und Alt.

Wenn wir genauer darüber nachdenken, ist dieser Vorwurf an die Alten, sie würden „der Jugend die Zukunft stehlen“, heute überall zu hören. Auch in den modernsten und fortschrittlichsten Gesellschaften findet er sich in anderer Form wieder. So ist es zum Beispiel eine weit verbreitete Überzeugung, dass die Älteren den Jungen die Kosten für ihre Pflege aufbürden und auf diese Weise Ressourcen von der Entwicklung des Landes und damit von den Jungen abziehen. Dies ist eine verzerrte Wahrnehmung der Realität. Es ist, als würde das Überleben der Älteren das der Jungen gefährden. So als ob man, um die Jungen zu fördern, die Älteren vernachlässigen oder sogar beseitigen müsste. Die Entgegensetzung der Generationen ist eine Irreführung und eine vergiftete Frucht der Kultur der Konfrontation. Die Jungen gegen die Alten auszuspielen ist eine inakzeptable Manipulation: »Die Einheit der Lebensabschnitte steht auf dem Spiel, also der wahre Bezugspunkt für das Verständnis und die Wertschätzung des menschlichen Lebens insgesamt« (Katechese am 23. Februar 2022).

Der oben zitierte Psalm – wo einer fleht, im Alter nicht verlassen zu werden – spricht von einer Verschwörung in Bezug auf das Leben der älteren Menschen. Das scheinen übertriebene Worte zu sein, aber man versteht sie, wenn man bedenkt, dass die Einsamkeit und die Ausrangierung älterer Menschen weder zufällig noch unausweichlich sind, sondern das Ergebnis von Entscheidungen – politischer, wirtschaftlicher, sozialer und persönlicher Art – , die die unendliche Würde eines jeden Menschen »unabhängig von allen Umständen und in welchem Zustand oder in welcher Situation sie sich auch immer befinden mag« (Erklärung Dignitas infinita, 1), nicht anerkennen. Das geschieht, wenn die Wertschätzung für jeden Menschen verloren geht und Menschen nur noch als Kostenfaktor betrachtet werden, der in manchen Fällen zu hoch ist, um ihn zu bezahlen. Noch schlimmer ist, dass die älteren Menschen oft selbst dieser Mentalität verfallen und sich nur noch als Last empfinden, und am liebsten selber verschwinden möchten.

Auf der anderen Seite gibt es heute viele Frauen und Männer, die versuchen, sich in einem möglichst autonomen und von anderen unabhängigen Leben selbst zu verwirklichen. Gemeinsame Zugehörigkeiten stecken in der Krise und die Individualität setzt sich durch; die Verschiebung vom „Wir“ zum „Ich“ scheint eines der deutlichsten Zeichen unserer Zeit zu sein. Die Familie, die als erste und am radikalsten die Vorstellung in Frage stellt, dass wir uns selbst retten können, ist eines der Opfer dieser individualistischen Kultur. Doch wenn man älter wird und die Kräfte nachlassen, entpuppt sich das Trugbild des Individualismus, die Illusion, niemanden zu brauchen und ohne Bindungen leben zu können, als das, was es ist; man stellt fest, dass man alles braucht, aber jetzt allein ist, ohne Hilfe, ohne jemanden, auf den man sich verlassen kann. Das ist eine traurige Entdeckung, die viele erst machen, wenn es zu spät ist.

Einsamkeit und Ausgrenzung gehören mittlerweile zu den geläufigen Phänomenen in unserer Lebenswelt. Ihre Ursachen sind vielfältig: In einigen Fällen sind sie das Ergebnis eines geplanten Ausschlusses, einer Art trauriger „sozialer Verschwörung“; in anderen Fällen handelt es sich leider um die eigene Entscheidung. Wieder andere Male werden sie in Kauf genommen, indem man so tut, als sei es eine autonome Entscheidung. Mehr und mehr haben wir »den Geschmack an der Geschwisterlichkeit verloren« (Enzyklika Fratelli tutti, 33) und es fällt uns schwer, uns überhaupt etwas anderes vorzustellen.

Wir können bei vielen älteren Menschen jenes Gefühl der Resignation beobachten, von dem das Buch Rut spricht, wenn es von der alten Noemi erzählt, die nach dem Tod ihres Mannes und ihrer Kinder ihre beiden Schwiegertöchter Orpa und Rut ermuntert, in ihr Herkunftsland und ihre Heimat zurückzukehren (vgl. Rut 1,8). Noemi hat – wie viele ältere Menschen heute – Angst davor, allein zu bleiben, doch sie kann sich nichts anderes vorstellen. Als Witwe ist sie sich bewusst, dass sie in den Augen der Gesellschaft wenig wert ist und sie ist überzeugt, dass sie den beiden jungen Frauen, die im Gegensatz zu ihr ihr ganzes Leben noch vor sich haben, zur Last fällt. Deshalb hält sie es für besser, zur Seite zu treten, und sie selbst fordert ihre jungen Schwiegertöchter auf, sie zu verlassen und sich woanders eine Zukunft aufzubauen (vgl. Rut 1,11-13). Ihre Worte sind eine Zusammenfassung gesellschaftlicher und religiöser Konventionen, die unveränderlich zu sein scheinen und die ihr Schicksal prägen.

Die biblische Erzählung stellt uns an dieser Stelle zwei verschiedene Optionen in Bezug auf die Einladung von Noemi und damit in Bezug auf das Alter vor. Eine der beiden Schwiegertöchter, Orpa, die Noemi ebenfalls gernhat, küsst sie liebevoll, akzeptiert aber das, was auch ihr als die einzig mögliche Lösung erscheint, und geht ihres Weges. Rut hingegen trennt sich nicht von Noemi und sagt überraschende Worte zu ihr: »Dränge mich nicht, dich zu verlassen« (Rut 1,16). Sie scheut sich nicht, die Sitten und das allgemeine Empfinden infrage zu stellen, sie spürt, dass die alte Frau sie braucht, und bleibt mutig an ihrer Seite auf dem neuen Weg, der für sie beide beginnt. Uns allen, die wir an die Vorstellung gewöhnt sind, dass Einsamkeit ein unausweichliches Schicksal ist, lehrt Rut, dass man auf die Aufforderung „Verlass mich nicht!“ mit „Ich werde dich nicht verlassen!“ antworten kann. Sie zögert nicht, etwas scheinbar Unabänderliches zu ändern: Allein zu leben kann nicht die einzige Alternative sein! Es ist kein Zufall, dass Rut – diejenige, die der alten Noemi nahe bleibt – eine Vorfahrin des Messias ist (vgl. Mt 1,5), von Jesus, dem Emmanuel, dem „Gott mit uns“, der Gottes Nähe und Gegenwart allen – egal in welchen Umständen und in welchem Alter – zu Teil werden lässt.

Die Freiheit und der Mut von Rut laden uns ein, einen neuen Weg zu gehen: Treten wir in ihre Fußstapfen, machen wir uns mit dieser jungen Ausländerin und der alten Noemi auf den Weg, haben wir keine Angst, unsere Gewohnheiten zu ändern und uns eine andere Zukunft für unsere älteren Menschen vorzustellen. Unser Dank gilt all den Menschen, die trotz vieler Opfer dem Beispiel von Rut gefolgt sind und sich um einen älteren Menschen kümmern oder einfach täglich Verwandten oder Bekannten, die niemanden mehr haben, ihre Nähe zeigen. Rut hat sich dafür entschieden, bei Noemi zu bleiben und Segen wurde ihr zuteil: eine glückliche Ehe, Nachkommen, Land. Das gilt immer und für alle: Wenn wir älteren Menschen beistehen und die unverzichtbare Rolle anerkennen, die ihnen in der Familie, in der Gesellschaft und in der Kirche zukommt, werden auch wir viele Geschenke, viele Gnaden und reichen Segen empfangen!

Lasst uns an diesem vierten Welttag, der den Großeltern und den älteren Menschen in unseren Familien gewidmet ist, nicht versäumen, ihnen unsere Liebe zu zeigen, lasst uns die besuchen, die entmutigt sind und nicht mehr hoffen, dass eine andere Zukunft möglich ist. Entgegnen wir der egoistischen Haltung, die zu Ausgrenzung und Einsamkeit führt, mit dem offenen Herzen und dem fröhlichen Gesicht derer, die den Mut haben zu sagen: „Ich verlasse dich nicht!“ und einen neuen Weg einschlagen.

Ich segne euch alle, liebe Großeltern und ältere Menschen, und all jene, die euch nahestehen, und bete für euch. Vergesst bitte auch ihr nicht, für mich zu beten.

Rom, Sankt Johannes im Lateran, am 25. April 2024.

FRANZISKUS

[00809-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

“En la vejez no me abandones” (cf. Sal 71,9)

Queridos hermanos y hermanas:

Dios nunca abandona a sus hijos. Ni siquiera cuando la edad avanza y las fuerzas flaquean, cuando aparecen las canas y el estatus social decae, cuando la vida se vuelve menos productiva y corre el peligro de parecernos inútil. Él no se fija en las apariencias (cf. 1 S 16,7) y no desdeña elegir a aquellos que para muchos resultan irrelevantes. No descarta ninguna piedra, al contrario, las más “viejas” son la base segura sobre las que se pueden apoyar las piedras “nuevas” para construir todas juntas el edificio espiritual (cf. 1 P 2,5).

La Sagrada Escritura, en su conjunto, es una narración del amor fiel del Señor, del que emerge una certeza consoladora: Dios sigue mostrándonos su misericordia, siempre, en cada etapa de la vida, y en cualquier condición en la que nos encontremos, incluso en nuestras traiciones. Los salmos están llenos del asombro del corazón humano frente a Dios, que nos cuida a pesar de nuestra pequeñez (cf. Sal 144,3-4); nos aseguran que Dios nos ha plasmado en el seno materno (cf. Sal 139,13) y que no entregará nuestra vida a la muerte (cf. Sal 16,10). Por tanto, podemos tener la certeza de que también estará cerca de nosotros durante la ancianidad, tanto más porque en la Biblia envejecer es signo de bendición.

Y, sin embargo, en los salmos encontramos además esta sentida súplica al Señor: «No me rechaces en el tiempo de mi vejez» (Sal 71,9). Una expresión fuerte, muy cruda. Nos lleva a pensar en el sufrimiento extremo de Jesús que exclamó en la cruz: «Dios mío, Dios mío, ¿por qué me has abandonado?» (Mt 27,46).

En la Biblia, pues, hallamos la certeza de la cercanía de Dios en cada etapa de la vida y, al mismo tiempo, encontramos el miedo al abandono, particularmente en la vejez y en el momento del dolor. No se trata de una contradicción. Mirando a nuestro alrededor no nos resulta difícil comprobar cómo esas expresiones reflejan una realidad más que evidente. Con mucha frecuencia la soledad es la amarga compañera de la vida de los que como nosotros son mayores y abuelos. Siendo obispo de Buenos Aires, muchas veces tuve ocasión de visitar residencias de ancianos y me di cuenta de las pocas visitas que recibían esas personas; algunos no veían a sus seres queridos desde hacía muchos meses.

Las causas de esa soledad son múltiples. En muchos países, sobre todo en los más pobres, los ancianos están solos porque sus hijos se han visto obligados a emigrar. Pienso también en las numerosas situaciones de conflicto; cuántos ancianos se quedan solos porque los hombres —jóvenes y adultos— han sido llamados a combatir y las mujeres, sobre todo las madres con niños pequeños, dejan el país para dar seguridad a los hijos. En las ciudades y en los pueblos devastados por la guerra, muchas personas mayores se quedan solas, como únicos signos de vida en zonas donde parece reinar el abandono y la muerte. En otras partes del mundo, además, existe una falsa creencia, muy enraizada en algunas culturas locales, que genera hostilidad respecto a los ancianos, acusados de recurrir a la brujería para quitar energías vitales a los jóvenes; de modo que, en caso de que una muerte prematura, una enfermedad o una suerte adversa afecte a un joven, la culpa recae sobre algún anciano. Esta mentalidad se debe combatir y erradicar. Es uno de esos prejuicios infundados, de los que la fe cristiana nos ha liberado, que alimenta persistentes conflictos generacionales entre jóvenes y ancianos.

Si lo pensamos bien, esta acusación dirigida a los mayores de “robar el futuro a los jóvenes” está muy presente hoy en todas partes. Esta también se encuentra, bajo otras formas, en las sociedades más avanzadas y modernas. Por ejemplo, hoy en día está muy extendida la creencia de que los ancianos hacen pesar sobre los jóvenes el costo de la asistencia que ellos requieren, y de esta manera quitan recursos al desarrollo del país y, por ende, a los jóvenes. Se trata de una percepción distorsionada de la realidad. Es como si la supervivencia de los ancianos pusiera en peligro la de los jóvenes. Como si para favorecer a los jóvenes fuera necesario descuidar a los ancianos o, incluso, eliminarlos. La contraposición entre las generaciones es un engaño y un fruto envenenado de la cultura de la confrontación. Poner a los jóvenes en contra de los ancianos es una manipulación inaceptable; «está en juego la unidad de las edades de la vida, es decir, el real punto de referencia para la comprensión y el aprecio de la vida humana en su totalidad» (Catequesis 23 febrero 2022).

El salmo citado anteriormente —en el que se suplica no ser abandonados en la vejez— habla de una conspiración que ciñe la vida de los ancianos. Parecen palabras excesivas, pero comprensibles si se considera que la soledad y el descarte de los mayores no son casuales ni inevitables, son más bien fruto de decisiones —políticas, económicas, sociales y personales— que no reconocen la dignidad infinita de toda persona «más allá de toda circunstancia y en cualquier estado o situación en que se encuentre» (Decl. Dignitas infinita, 1). Esto sucede cuando se pierde el valor de cada uno y las personas se convierten en una mera carga onerosa, en algunos casos demasiado elevada. Lo peor es que, a menudo, los mismos ancianos terminan por someterse a esta mentalidad y llegan a considerarse como un peso, deseando ser los primeros en hacerse a un lado.

Por otra parte, hoy son muchas las mujeres y los hombres que buscan la propia realización personal llevando una existencia lo más autónoma y desligada de los demás que sea posible. Las pertenencias comunes están en crisis y se afirman las individualidades; el pasaje del “nosotros” al “yo” se muestra como uno de los signos más evidentes de nuestro tiempo. La familia, que es la primera y la más radical oposición a la idea de que podemos salvarnos solos, es una de las víctimas de esta cultura individualista. Pero cuando se envejece, a medida que las fuerzas disminuyen, el espejismo del individualismo, la ilusión de no necesitar a nadie y de poder vivir sin vínculos se revela tal cual es: uno se encuentra en cambio teniendo necesidad de todo, pero ya solo, sin ninguna ayuda, sin tener a alguien con quien poder contar. Es un triste descubrimiento que muchos hacen cuando ya es demasiado tarde.

La soledad y el descarte se han vuelto elementos recurrentes en el contexto en el que estamos inmersos. Estos tienen múltiples raíces: en algunos casos son el fruto de una exclusión programada, una especie de triste “complot social”; en otros casos se trata lamentablemente de una decisión propia. Otras veces también se los sufre fingiendo que se trate de una elección autónoma. Estamos perdiendo cada vez más «el sabor de la fraternidad» (Carta enc. Fratelli tutti, 33) e incluso nos cuesta imaginar algo diferente.

En muchos ancianos podemos advertir ese sentimiento de resignación del que habla el libro de Rut, cuando relata que la anciana Noemí —después de la muerte del marido y de los hijos— invitó a sus nueras, Orpá y Rut, a regresar a sus países de origen y a sus casas (cf. Rut 1,8). Noemí —como tantos ancianos de hoy— teme quedarse sola, pero no consigue imaginar algo distinto. Como viuda, es consciente de valer poco ante la sociedad y está convencida de ser un peso para esas dos jóvenes que, al contrario de ella, tienen toda la vida por delante. Por eso piensa que sea mejor hacerse a un lado y ella misma invita a las jóvenes nueras a dejarla y a construir su futuro en otros lugares (cf. Rut 1,11-13). Sus palabras son un concentrado de convenciones sociales y religiosas que parecen inmutables y que marcan su destino.

El relato bíblico nos presenta en este momento dos opiniones diferentes frente a la invitación de Noemí y, por tanto, frente a la vejez. Una de las dos nueras, Orpá, que le tiene cariño a Noemí, con un gesto afectuoso la besa, pero acepta lo que ella también cree que es la única solución posible y sigue su propio camino. Rut, en cambio, no se separa de Noemí y le dirige palabras sorprendentes: «No insistas en que te abandone» (Rut 1,16). No tiene miedo de desafiar las costumbres y la opinión común, siente que esa mujer anciana la necesita y, con valentía, permanece a su lado, dando inicio a una nueva travesía para ambas. A todos nosotros —acostumbrados a la idea de que la soledad es un destino inevitable— Rut nos enseña que a la súplica “¡no me abandones!” es posible responder “¡no te abandonaré!”. No duda en trastocar lo que parece una realidad inmutable, ¡vivir solos no puede ser la única alternativa! No es casualidad que Rut —la que se quedó acompañando a la anciana Noemí— sea un antepasado del Mesías (cf. Mt 1,5), de Jesús, el Emanuel, Aquel que es “Dios con nosotros”, Aquel que lleva la cercanía y la proximidad de Dios a todos los hombres, de todas las condiciones y de todas las edades.

La libertad y la valentía de Rut nos invitan a recorrer un camino nuevo. Sigamos sus pasos, hagamos el viaje junto a esta joven mujer extranjera y a la anciana Noemí, no tengamos miedo de cambiar nuestras costumbres y de imaginar un futuro distinto para nuestros ancianos. Nuestro agradecimiento se dirige a todas esas personas que, aun con muchos sacrificios, han seguido efectivamente el ejemplo de Rut y se están ocupando de un anciano, o sencillamente muestran cada día su cercanía a parientes o conocidos que no tienen a nadie. Rut eligió estar cerca de Noemí y fue bendecida con un matrimonio feliz, una descendencia y una tierra. Esto vale siempre y para todos: estando cerca de los ancianos, reconociendo el papel insustituible que estos tienen en la familia, en la sociedad y en la Iglesia, también nosotros recibiremos muchos dones, muchas gracias, muchas bendiciones.

En esta IV Jornada Mundial dedicada a ellos, no dejemos de mostrar nuestra ternura a los abuelos y a los mayores de nuestras familias, visitemos a los que están desanimados o que ya no esperan que un futuro distinto sea posible. A la actitud egoísta que lleva al descarte y a la soledad contrapongamos el corazón abierto y el rostro alegre de quien tiene la valentía de decir “¡no te abandonaré!” y de emprender un camino diferente.

A todos ustedes, queridos abuelos y mayores, y a cuantos los acompañan, llegue mi bendición junto con mi oración. También a ustedes les pido, por favor, que no se olviden de rezar por mí.

Roma, San Juan de Letrán, 25 de abril de 2024

FRANCISCO

[00809-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

«Na velhice, não me abandones» (cf. Sal 71, 9)

Queridos irmãos e irmãs!

Deus nunca abandona os seus filhos; nem sequer quando a idade vai avançada e as forças já declinam, quando os cabelos ficam brancos e a função social diminui, quando a vida se torna menos produtiva e corre o risco de parecer inútil. O Senhor não olha para as aparências (cf. 1 Sam 16, 7), nem desdenha escolher aqueles que, aos olhos de muitos, parecem irrelevantes. Não descarta pedra alguma; antes, as mais «velhas» são a base segura sobre a qual se podem apoiar as pedras «novas» para, todas juntas, construírem o edifício espiritual (cf. 1 Ped 2, 5).

A Sagrada Escritura é, toda ela, uma narração do amor fiel do Senhor, da qual emerge uma certeza consoladora: em todas as fases da vida e em qualquer condição que nos encontremos, inclusive nas nossas traições, Deus continua sempre a mostrar-nos a sua misericórdia. Os salmos estão repletos da maravilha do coração humano à vista do modo como Deus cuida de nós, apesar da nossa insignificância (cf. Sal 144, 3-4); asseguram-nos que Deus teceu cada um de nós desde o seio materno (cf. Sal 139, 13) e nunca abandonará a nossa vida, nem mesmo na morada dos mortos (cf. Sal 16, 10). Podemos, portanto, estar certos de que estará ao nosso lado também na velhice; aliás, segundo a Bíblia, é sinal de bênção poder envelhecer.

E contudo, nos salmos, encontramos também esta sentida invocação ao Senhor: «Não me rejeites no tempo da velhice» (Sal 71, 9). Uma frase forte, crua. Faz pensar no sofrimento extremo de Jesus, quando gritou na cruz: «Meu Deus, meu Deus, porque me abandonaste?» (Mt 27, 46).

Assim, na Bíblia, encontramos a certeza da proximidade de Deus em todas as estações da vida e, simultaneamente, o temor do abandono, especialmente na velhice e nos períodos de sofrimento. Não se trata duma contradição. Se olharmos em redor, não teremos dificuldade em constatar como tais expressões espelham uma realidade bem evidente. A molesta companheira da nossa vida de idosos e avós é, com frequência, a solidão. Muitas vezes me sucedeu, como bispo de Buenos Aires, ir visitar lares de terceira idade, dando-me conta de como raramente recebiam visitas aquelas pessoas: algumas, há muitos meses, não viam os seus familiares.

Muitas são as causas desta solidão. Em tantos países, sobretudo nos mais pobres, os idosos vivem sozinhos porque os filhos foram obrigados a emigrar. Depois, nas numerosas situações de conflito, quantos idosos ficam sozinhos, porque os homens – jovens e adultos – tiveram de ir combater, e as mulheres, sobretudo as mães com crianças pequenas, deixam o país para dar segurança aos filhos. Nas cidades e aldeias devastadas pela guerra, permanecem sozinhos muitos idosos e anciãos, únicos sinais de vida em áreas onde parecem reinar o abandono e a morte. Além disso, noutras partes do mundo, existe uma convicção falsa, mas profundamente enraizada nalgumas culturas locais, que gera hostilidade contra os idosos, suspeitados de recorrer à feitiçaria para se apoderarem das energias vitais dos jovens; e assim, em caso de morte prematura, doença ou sorte desfavorável que recaiam sobre um jovem, a culpa é atribuída a algum idoso. Esta mentalidade deve ser combatida e erradicada. É um daqueles preconceitos sem fundamento do qual já nos libertou a fé cristã, mas ainda alimenta uma certa conflitualidade geracional que persiste entre jovens e idosos.

Se pensarmos bem, está hoje muito presente por todo o lado esta acusação, lançada contra os velhos, de «roubar o futuro aos jovens»; sob forma diversa, aparece mesmo nas sociedades mais avançadas e modernas. Por exemplo, está já muito espalhada a convicção de que os idosos fazem pesar sobre os jovens os custos da assistência de que necessitam, subtraindo assim recursos ao desenvolvimento do país e, consequentemente, aos jovens. Trata-se duma visão distorcida da realidade: é como se a sobrevivência dos idosos colocasse em risco a dos jovens, ou como se, para favorecer os jovens, fosse necessário negligenciar os idosos ou mesmo eliminá-los. O contraste entre as gerações é um equívoco, um fruto envenenado da cultura do conflito. Opor os jovens aos idosos é uma manipulação inaceitável: «O que está em jogo é a unidade das idades da vida: ou seja, o verdadeiro ponto de referência para a compreensão e a apreciação da vida humana na sua totalidade» (Francisco, Catequese, 23.02.2022).

O salmo já citado, em que se pede para não ser rejeitado na velhice, menciona uma conjura que cresce contra a vida dos idosos. As suas palavras parecem excessivas, mas podem-se compreender quando se considera que a solidão e o descarte dos idosos não são casuais nem inevitáveis, mas fruto de opções – políticas, económicas, sociais e pessoais – que não reconhecem a dignidade infinita de cada pessoa, «para além de toda a circunstância e em qualquer estado ou situação se encontre» (Dicastério para a Doutrina da Fé, Declaração Dignitas infinita, 08.04.2024, n. 1). Isto acontece quando se perde vista o valor de cada pessoa, tornando-se ela apenas uma despesa que, em alguns casos, aparece demasiado elevada para pagar. O pior é que, muitas vezes, acabam dominados por esta mentalidade os próprios idosos que chegam a considerar-se como um fardo, sendo os primeiros a quererem desaparecer.

Aliás, há hoje muitas mulheres e homens que procuram a própria realização pessoal numa existência tão autónoma e desligada dos outros quanto possível. A recíproca pertença está em crise, acentua-se o individualismo; a passagem do «nós» ao «eu» constitui um dos sinais mais evidentes dos nossos tempos. A família, que é a primeira e a mais radical contestação da ideia de nos podermos salvar sozinhos, é uma das vítimas desta cultura individualista. Mas, quando se envelhece, à medida que as forças diminuem, a miragem do individualismo, a ilusão de não precisar de ninguém e de poder viver sem vínculos, revela-se o que verdadeiramente é: em vez disso, encontramo-nos a precisar de tudo, mas agora sozinhos, sem ajuda, sem ninguém com quem possamos contar. É uma triste descoberta, que muitos fazem quando já é demasiado tarde.

A solidão e o descarte tornaram-se elementos frequentes no contexto em que estamos imersos. Têm múltiplas raízes: nalguns casos, são o resultado duma exclusão planeada, uma espécie de triste «conjura social»; noutros, trata-se infelizmente duma decisão própria; noutros ainda, suportam-se fingindo que se trata duma opção autónoma. Cada vez mais «perdemos o gosto da fraternidade» (Francisco, Carta enc. Fratelli tutti, 33) e sentimos dificuldade até para imaginar algo diferente.

Em muitos idosos, é possível notar aquele sentimento de resignação de que fala o livro de Rute quando narra como a anciã Noemi, após a morte do marido e dos filhos, convida as duas noras, Orpa e Rute, a regressarem ao seu país natal e à sua casa (cf. Rt 1, 8). Noemi – como muitos idosos de hoje – tem receio de ficar sozinha, mas não consegue imaginar nada diferente. Como viúva, tem consciência de valer pouco aos olhos da sociedade e está convencida de que é um peso para aquelas duas jovens que, ao contrário dela, têm toda a vida pela frente. Por isso, acha melhor afastar-se; e ela mesma convida as suas noras jovens a deixá-la para ir construir o futuro delas noutros lugares (cf. Rt 1, 11-13). As suas palavras são um concentrado de convenções sociais e religiosas que parecem imutáveis e que marcam o próprio destino.

Chegada aqui, a narração bíblica apresenta-nos duas opções diferentes face ao convite de Noemi e, consequentemente, face à velhice. Uma das duas noras, Orpa, que também ama Noemi, beija-a com um gesto carinhoso, mas aceita a solução que também lhe parece ser a única possível e segue o seu caminho. Rute, porém, não se separa de Noemi, dirigindo-se-lhe com palavras surpreendentes: «Não insistas para que te deixe» (Rt 1, 16). Não tem medo de desafiar os costumes e o sentimento comum; acha que aquela mulher idosa precisa dela e, com coragem, permanece ao seu lado naquela que será, para ambas, o início duma nova viagem. A todos nós – rendidos à ideia de que a solidão seja um destino inevitável –, Rute ensina que, à imploração «não me abandones», é possível responder «não te abandonarei!» Não hesita em subverter o que parece ser uma realidade imutável: viver sozinhos não pode ser a única alternativa. Não é por acaso que Rute – aquela que fica junto da idosa Noemi – foi uma antepassada do Messias (cf. Mt 1, 5), de Jesus, o Emanuel, Aquele que é «Deus connosco», Aquele que aconchega e aproxima a Deus todos os homens, de todas as condições, de todas as idades.

A liberdade e a coragem de Rute convidam-nos a percorrer uma nova estrada: sigamos os seus passos, ponhamo-nos a caminho com esta jovem mulher estrangeira e com a idosa Noemi, não tenhamos medo de mudar os nossos hábitos e imaginar um futuro diferente para os nossos anciãos. A nossa gratidão estende-se a todas as pessoas que, mesmo à custa de muitos sacrifícios, realmente seguiram o exemplo de Rute e estão a cuidar dum idoso ou simplesmente a demonstrar diariamente solidariedade a parentes ou conhecidos que não têm mais ninguém. Rute escolheu permanecer junto de Noemi e foi abençoada: com um casamento feliz, uma descendência, uma terra. Isto é válido sempre e para todos: mantendo-se junto dos idosos, reconhecendo o papel insubstituível que eles têm na família, na sociedade e na Igreja, também nós receberemos muitos dons, tantas graças, inúmeras bênçãos!

Neste IV Dia Mundial a eles dedicado, não deixemos de mostrar a nossa ternura aos avós e aos idosos das nossas famílias, visitemos aqueles que estão desanimados e já não esperam que seja possível um futuro diferente. À atitude egoísta que leva ao descarte e à solidão, contraponhamos o coração aberto e o rosto radioso de quem tem a coragem de dizer «não te abandonarei!» e de seguir um caminho diferente.

A todos vós, queridos avós e idosos, e às pessoas que vos acompanham, chegue a minha bênção acompanhada pela oração. E também vós, por favor, não vos esqueçais de rezar por mim.

Roma, São João de Latrão, 25 de abril de 2024.

FRANCISCO

[00809-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

„W czasie starości nie opuszczaj mnie” (por. Ps 71, 9)

Drodzy bracia i siostry!

Bóg nigdy nie opuszcza swoich dzieci. Nawet wtedy, gdy wiek postępuje, a siły słabną, gdy włosy siwieją, a rola społeczna maleje, gdy życie staje się mniej produktywne i może się wydawać bezużyteczne. Bóg nie patrzy na pozory (por. 1 Sm 16, 7) i nie waha się wybierać tych, którzy dla wielu zdają się nieistotni. Nie odrzuca żadnego kamienia; wręcz przeciwnie, te „starsze” są bezpiecznym fundamentem, na którym mogą spoczywać „nowsze” kamienie, by razem budować duchowy gmach (por. 1 P 2, 5).

Całe Pismo Święte jest opowieścią o wiernej miłości Pana, z której wyłania się pocieszająca pewność: Bóg nieustannie okazuje nam swoje miłosierdzie, zawsze, na każdym etapie życia i w każdym stanie, w jakim się znajdujemy, nawet w naszych niewiernościach. Psalmy są przepełnione zdumieniem ludzkiego serca wobec Boga, który troszczy się o nas pomimo naszej małości (por. Ps 144, 3-4); zapewniają, że Bóg utkał każdego z nas w łonie matki (por. Ps 139, 13) i że nawet w krainie umarłych nie opuści naszego życia (por. Ps 16, 10). Dlatego możemy być pewni, że będzie blisko nas także w starości, tym bardziej, że w Biblii starzenie się jest znakiem błogosławieństwa.

Jednak w Psalmach znajdujemy również tę serdeczną prośbę skierowaną do Pana: „Nie odtrącaj mnie w czasie starości” (Ps 71, 9). Jest to wyrażenie mocne, bardzo surowe. Przywodzi na myśl skrajne cierpienie Jezusa, który wołał na krzyżu: „Boże mój, Boże mój, czemuś mnie opuścił?” (Mt 27, 46).

W Biblii znajdujemy zatem pewność Bożej bliskości w każdym okresie życia, a jednocześnie lęk przed opuszczeniem, szczególnie w starości i w chwilach cierpienia. Nie jest to sprzeczność. Rozglądając się wokół, nie trudno sprawdzić jak takie wyrażenia odzwierciedlają rzeczywistość, więcej niż ewidentną. Zbyt często samotność jest gorzkim towarzyszem życia dla nas, osób starszych i dziadków. Wiele razy, jako biskup Buenos Aires odwiedzałem domy starców i zdawałem sobie sprawę, jak rzadko ludzie ci byli odwiedzani: niektórzy nie widzieli swoich bliskich od wielu miesięcy.

Jest wiele przyczyn tej samotności: w wielu krajach, zwłaszcza tych najuboższych, osoby starsze są samotne, ponieważ ich dzieci zostały zmuszone do emigracji. Myślę też o wielu sytuacjach konfliktowych: jakże wiele osób starszych jest samotnych, ponieważ mężczyźni, zarówno młodzi jak i starzy, są wzywani do walki, a kobiety, zwłaszcza matki z małymi dziećmi, opuszczają kraj, aby zapewnić bezpieczeństwo swoim dzieciom. W miastach i wioskach zniszczonych przez wojnę, wiele osób starszych pozostaje samotnych, będąc jedynymi oznakami życia na obszarach, gdzie zdają się panować porzucenie i śmierć. Ponadto, w innych częściach świata istnieje fałszywe przekonanie, głęboko zakorzenione w niektórych kulturach lokalnych, rodzące wrogość wobec osób starszych, podejrzewanych o uciekanie się do czarów w celu odebrania energii życiowej młodym. Tak więc w przypadku przedwczesnej śmierci, choroby lub nieszczęścia, jakie spotykają osobę młodą, winą obarcza się osobę starszą. Ta mentalność musi być zwalczana i wykorzeniana. Jest to jedno z tych bezpodstawnych uprzedzeń, od których uwolniła nas wiara chrześcijańska, a które podsycają uporczywy konflikt pokoleniowy między młodymi a starszymi.

Jeśli się dobrze nad tym zastanowić, to oskarżenie starszych o „kradzież młodym przyszłości” jest dziś obecne wszędzie. Występuje również w innych formach w bardziej rozwiniętych i nowoczesnych społeczeństwach. Na przykład istnieje obecnie powszechne przekonanie, że osoby starsze obciążają młodych kosztami opieki, jakiej potrzebują, i w ten sposób ujmują zasoby dla rozwoju kraju, a tym samym młodym. Jest to wypaczone postrzeganie rzeczywistości. To tak, jakby przetrwanie osób starszych zagrażało przetrwaniu młodych. Jakby w celu faworyzowania młodych, konieczne byłoby zaniedbanie starszych, albo nawet ich eliminacja. Konflikt między pokoleniami jest oszustwem i zatrutym owocem kultury starcia. Przeciwstawianie młodych starym jest niedopuszczalną manipulacją: „chodzi o jedność okresów życia – to znaczy o rzeczywisty punkt odniesienia dla zrozumienia i docenienia życia ludzkiego w jego całości” (Katecheza, 23 lutego 2022).

Przytoczony powyżej Psalm – w którym błagamy, by nie być opuszczonymi na starość – mówi o spisku, jaki zaciska się wokół życia osób starszych. Słowa te wydają się przesadne, ale zrozumiemy je, jeśli weźmiemy pod uwagę, że samotność i odrzucenie osób starszych nie są ani przypadkowe, ani nieuniknione, ale są raczej wynikiem wyborów – politycznych, ekonomicznych, społecznych i osobistych – które nie uznają nieskończonej godności każdej osoby, „niezależnie od jakichkolwiek okoliczności i jakiegokolwiek stanu lub sytuacji, w jakich się znajduje” (Deklaracja Dignitas infinita, 1). Dzieje się tak, gdy zatraca się wartość każdego, a osoby stają się tylko kosztem, w niektórych przypadkach zbyt wysokim, aby go zapłacić. Co gorsza, często same osoby starsze podporządkowują się tej mentalności i postrzegają siebie jako ciężar, pragnąc odsunąć się na bok.

Z drugiej strony, jest dziś wiele kobiet i mężczyzn, którzy szukają swego osobistego spełnienia w egzystencji jak najbardziej autonomicznej i oderwanej od innych. Przynależność do tej samej wspólnoty przeżywa kryzys, a wzmacniają się indywidualizmy. Jednym z najbardziej oczywistych znaków naszych czasów wydaje się przejście od „my” do „ja”. Jedną z ofiar tej kultury indywidualistycznej jest rodzina, będąca pierwszym i najbardziej radykalnym sprzeciwem wobec idei, że możemy ocalić siebie o własnych siłach. Kiedy się jednak starzejemy, wraz ze opadaniem sił, ułuda indywidualizmu, iluzja, że nie potrzebujemy nikogo i jesteśmy w stanie żyć bez więzi, jawi się w całej swej prawdzie. Tymczasem okazuje się, że potrzebujemy wszystkiego, ale teraz jesteśmy sami, bez pomocy, bez kogoś, na kim można polegać. Jest to smutne odkrycie, którego wielu dokonuje dopiero wtedy, gdy jest już za późno.

W kontekście, w którym jesteśmy pogrążeni, nieustanie powracają samotność i odrzucenie. Mają one różnorodne korzenie: w niektórych przypadkach są wynikiem zaprogramowanego wykluczenia, pewnego rodzaju smutnego „spisku społecznego”. W innych przypadkach są niestety ich własną decyzją. Jeszcze innym razem cierpi się, udając, że jest to autonomiczny wybór. Coraz bardziej „utraciliśmy smak braterstwa” (Enc. Fratelli tutti, 33) i trudno nam nawet wyobrazić sobie coś odmiennego.

U wielu osób starszych możemy dostrzec poczucie rezygnacji, o którym mówi Księga Rut, opowiadając o staruszce Noemi, która po śmierci męża i dzieci, zachęca swoje dwie synowe, Orpę i Rut, do powrotu do kraju pochodzenia i do domu (por. Rt 1, 8). Noemi - podobnie jak wiele osób starszych w dzisiejszych czasach - obawia się samotności, ale nie wyobraża sobie niczego innego. Jako wdowa zdaje sobie sprawę, że jest niewiele warta w oczach społeczeństwa i jest przekonana, że jest ciężarem dla tych dwóch młodych kobiet, które w przeciwieństwie do niej mają przed sobą całe życie. Dlatego uważa, że lepiej jest ustąpić i sama zachęca swoje młode synowe, by ją opuściły i budowały swoją przyszłość gdzie indziej (por. Rt 1,11-13). Jej słowa są koncentratem konwencji społecznych i religijnych, które zdają się niezmienne i które wyznaczają jej przeznaczenie.

Opowieść biblijna ukazuje nam tutaj dwie różne opcje wobec zachęty Noemi, a tym samym w obliczu starości. Jedna z dwóch synowych, Orpa, która również kocha Noemi, z czułym gestem całuje ją, ale akceptuje to, co również wydaje się jej jedynym możliwym rozwiązaniem, i idzie swoją drogą. Rut natomiast nie odłącza się od Noemi i kieruje do niej zaskakujące słowa: „Nie nalegaj na mnie, abym cię opuściła” (Rt 1, 16). Nie boi się rzucić wyzwania zwyczajom i opiniom ogółu, czuje, że ta staruszka jej potrzebuje i z odwagą pozostaje u jej boku w tym, co będzie początkiem nowej podróży dla nich obu. Nas wszystkich – nawykłych do idei, że samotność jest nieuniknionym przeznaczeniem – Rut uczy, że na wezwanie „nie opuszczaj mnie!”, można odpowiedzieć „nie opuszczę cię!”. Nie waha się obalić tego, co wydaje się niezmienną rzeczywistością: jedyną alternatywą nie może być życie w pojedynkę! To nie przypadek, że Rut – ta, która pozostaje blisko starszej Noemi – jest przodkiem Mesjasza (por. Mt 1, 5), Jezusa, Emmanuela, Tego, który jest „Bogiem z nami”, Tego, który przynosi bliskość i serdeczność Boga wszystkim ludziom, w każdym stanie, w każdym wieku.

Wolność i męstwo Rut zachęcają nas do pójścia nową drogą: podążajmy jej śladami, wyruszmy z tą młodą cudzoziemką i staruszką Noemi, nie bójmy się zmienić naszych nawyków i wyobraźmy sobie inną przyszłość dla naszych starszych. Nasza wdzięczność należy się tym wszystkim osobom, które pomimo wielu wyrzeczeń poszły za przykładem Rut i opiekują się osobą starszą lub po prostu okazują swoją bliskość na co dzień krewnym lub znajomym, którzy nie mają już nikogo. Rut wybrała bliskość z Noemi i została pobłogosławiona: szczęśliwym małżeństwem, potomstwem, ziemią. Jest to prawdą zawsze i dla wszystkich: będąc blisko osób starszych, uznając niezastąpioną rolę, jaką odgrywają w rodzinie, w społeczeństwie i w Kościele, my również otrzymamy wiele darów, wiele łask, wiele błogosławieństw!

W tym IV Światowym Dniu, im poświęconym, nie omieszkajmy okazać czułości dziadkom i starszym z naszych rodzin, odwiedźmy tych, którzy są zniechęceni i nie mają już nadziei, że inna przyszłość byłaby możliwa. Przeciwstawmy postawie egoistycznej, prowadzącej do zniechęcenia i samotności, otwarte serce i radosną twarz tych, którzy mają odwagę powiedzieć „Nie opuszczę cię!”, i obrać inną drogę.

Niech do was wszystkich, drodzy dziadkowie i osoby starsze, i do tych, którzy są blisko was, dotrze moje błogosławieństwo, któremu towarzyszą moje modlitwy. Wy również, proszę, nie zapomnijcie modlić się za mnie.

W Rzymie, u Świętego Jana na Lateranie, dnia 25 kwietnia 2024, w dwunastym roku mego Pontyfikatu.

FRANCISZEK

[00809-PL.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

 

رسالة قداسة البابا فرنسيس

في اليوم العالمي الرّابع للأجداد وكبار السّنّ

28 تمّوز/يوليو 2024

”لا تتركني في شَيخوخَتي“ (راجع المزمور 71، 9)

أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء!

الله لا يترك أبناءه أبدًا. ولا عندما يتقدّمون في السّنّ وتتراجع قوّتهم، ويبيَضُّ شعر رؤوسهم ويقلّ دورهم الاجتماعيّ، وعندما تصير الحياة أقلّ إنتاجيّة وتُوشك في أن تبدو بلا فائدة. الله لا ينظر إلى المظاهر (راجع 1 صموئيل 16، 7)، ولا يستهين بأحد فيختار الذين يبدون غير مهمّين للكثيرين. ولا يستغني عن أيّ حجر، بل العكس، ”أقدم“ الحجارة تصير هي القاعدة الآمنة التي عليها يمكن أن ترتكز الحجارة ”الجديدة“ لتبني كلّها معًا البيت الرّوحيّ (راجع 1 بطرس 2، 5).

الكتاب المقدّس بأكمله، يروي لنا محبّة الله الأمينة، ويظهر فيها يقين يعزّينا: الله يُظهر لنا دائمًا رحمته، في كلّ مرحلة من حياتنا، وفي أيّ وضعٍ نكون فيه، حتّى في عدم أمانتنا له. المزامير مليئة باندهاش قلب الإنسان أمام الله الذي يهتمّ بنا، بالرّغم من صِغَرِنَا (راجع المزمور 144، 3-4)، وتؤكّد لنا أنّ الله نسج كلّ واحد منّا وهو في بطن أمّه (راجع المزمور 139، 13)، وأنّه لن يترك حياتنا حتّى في مثوى الأموات (راجع المزمور 16، 10). لذلك، يمكننا أن نكون متأكّدين أنّه سيكون قريبًا منّا حتّى في شيخوختنا، وأكثر من ذلك، فإن التّقدّم في السّنّ هو علامة بركة في الكتاب المقدّس.

مع ذلك، نجد في المزامير أيضًا هذا الابتهال الصّادق إلى الله: "لا تَنبِذْني في زَمَنِ شَيخوخَتي" (المزمور 71، 9). إنّه تعبيرٌ شديدٌ وقاسٍ جدًّا. يجعلنا نفكّر في ألم يسوع الشّديد الذي صرخ على الصّليب: "إِلهي، إِلهي، لِماذا تَرَكْتَني؟" (متّى 27، 46).

إذًا، في الكتاب المقدّس نجد التّأكيد على قرب الله منّا في كلّ مرحلة من مراحل الحياة، وفي الوقت نفسه، نجد الخوف من أن يتركنا، وخاصّة في شيخوختنا وفي وقت ألمنا. ليس في هذا تناقض. إن نظرنا حولنا، لن نجد صعوبة في أن نرى أنّ هذه التّعابير تَعكس واقعًا واضحًا جدًّا. في كثير من الأحيان، تكون الوِحدة رفيقة حياتنا المُرّة، نحن كبار السّنّ والأجداد. تسنّى لِي، مرّاتٍ كثيرة، عندما كنت أسقفًا على بوينس آيرس، أن أزور دُور رعاية المسنّين، وأدركت كم كانت نادرةً زيارةُ هؤلاء الأشخاص: بعضهم لم يكن يرَ أحبّاءه مدة شهورٍ كثيرة.

هناك أسباب عديدة لهذه العزلة والعيش في الوِحدة: في بلدان كثيرة، وخاصّة الفقيرة، يكون كبار السّنّ وحدهم لأنّ أبناءهم اضطرّوا أن يهاجروا. أو أفكّر في ظروف الصّراعات الكثيرة: كم من المسنّين بقوا وحدهم لأنّ الرّجال - الشّباب والبالغين - دُعوا إلى القتال، والنّساء، وخاصّة الأمهات مع الأطفال الصّغار، غادروا بلدهم ليضمنوا حياة أبنائهم. في المدن والقرى التي دمّرتها الحرب، يبقى الكثير من المسنّين والكبار وحدهم، وهم العلامة الوحيدة للحياة في المناطق التي يخيِّم عليها الصّمت والموت. ثمّ، في مناطق أخرى من العالم، يوجد اعتقاد خاطئ، متجذّر بعمق في بعض الثّقافات المحلّيّة، ويولّد العِدَاء تجاه كبار السّنّ، لأنّه يُعتقَد أنّهم يلجؤون إلى أعمال السّحر ليسلبوا الشّباب طاقتهم الحيويّة، ففي حالة وفاة مبكّرة أو مرض أو أيّة مصيبة تحلّ بشاب، يُلقى اللّوم على شخص مُسنّ. لا بدّ من مكافحة واستئصال مثل هذه العقليّة. وهذا أحد الأحكام المسبقة التي لا أساس لها، والتي منها حرّرنا الإيمان المسيحيّ، والتي تغذّي الصّراع المستمرّ بين الأجيال، وبين الشّباب وكبار السّنّ.

إن فكّرنا جيّدًا، وجدنا أنّ هذا الاتّهام الموجّه إلى كبار السّنّ في ”سرقة المستقبل من الشّباب“ حاضر كثيرًا اليوم وفي كلّ مكان. نجد هذا الاتّهام، بأشكال أخرى، حتّى في المجتمعات المتقدّمة كثيرًا والحديثة. مثلًا، انتشرت الآن الفكرة أنّ كبار السّنّ هُم حِملٌ ثقيل على الشّباب بسبب تكلفة الرّعاية التي يحتاجون إليها، وبهذه الطّريقة يمنعون الموارد من أن تنمّي البلاد وبالتّالي الشّباب أيضًا. إنّه تصوّر مشوّه للواقع. كما لو أنّ بقاء كبار السّنّ على قيد الحياة يعرّض حياة الشّباب للخطر. وكما لو أنّه من أجل تشجيع الشّباب، من الضّروري إهمال كبار السّنّ أو حتّى القضاء عليهم. التّعارض بين الأجيال هو خداع وهو ثمرة مسمومة من ثقافة الصّراع. تحريض الشّباب على كبار السّنّ هو تلاعب غير مقبول: "الموضوع هو وَحدة الفئات العمريّة في الحياة: وهي المرجعيّة الحقيقيّة لفهم وتقدير الحياة البشريّة برمتها" (التّعليم المسيحيّ، 23 شباط/فبراير 2022).

المزمور الذي ذكرناه سابقًا - والذي نبتهل فيه ألّا نُترَك في شيخوختنا – يتكلّم على مؤامرة تشتَدُّ حول حياة كبار السّنّ. قد يبدو أنّ في هذه الكلمات مبالغة، لكن يمكننا أن نفهمها إن اعتبرنا أنّ الوِحدة وإقصاء كبار السّنّ ليسا أمرين عرضيّين، ولا هما أمر محتوم، بل هما نتيجة خيارات - سياسيّة واقتصاديّة واجتماعيّة وشخصيّة - لا تعترف بالكرامة اللامتناهية لكلّ إنسان "في جميع الظّروف وفي كلّ حالةٍ أو وضعٍ يوجَد فيه الإنسان" (كرامة الإنسان، 1). هذا الأمر يحدث عندما تضيع قيمة كلّ واحد ويصير الأشخاص مجرّد تكلفة، وفي بعض الحالات مرتفعة جدًّا يثقل دفعها. الأسوأ من ذلك هو أنّه في كثير من الأحيان، يصير كبار السّنّ أنفسهم خاضعين لهذه العقليّة ويرون أنفسهم عبءًا، ويريدون هم أنفسهم أوّلًا أن يتنحّوا جانبًا.

من ناحية أخرى، يوجد اليوم نساءٌ ورجالٌ كثيرون يسعون إلى تحقيق ذاتهم الشّخصيّة في حياة مستقلّة ومنفصلة عن الآخرين قدر الإمكان. الانتماءات المشتركة في أزمة والفرديّة تزداد، والانتقال من ”نحن“ إلى ”أنا“ يبدو أنّ هذه إحدى علامات عصرنا المتميّزة. والعائلة، التي هي التّحدّي الأوّل والأكثر تجذّرًا للفكرة أنّنا نستطيع أن نخلّص أنفسنا وحدنا، هي إحدى ضحايا هذه الثّقافة الفرديّة. مع ذلك، عندما نتقدّم في السّنّ، وتتراجع قوّتنا شيئًا فشيئًا، تنكشف حقيقة سراب الفرديّة، ووهمنا بأنّا لا نتحاج لأحد وأنّنا قادرون على أن نعيش بدون روابط، ثمّ نجد أنفسنا أنّنا بحاجة إلى كلّ شيء، لكنّا وحدنا، ودون مساعدة، ودون أيّ أحد يمكننا الاعتماد عليه. إنّه اكتشاف محزن يكتشفه الكثيرون بعد فوات الأوان.

العزلة والإقصاء صارا عنصرين متكرّرين في البيئة التي نعيش فيها. ولهما جذور متعدّدة: في بعض الحالات هما نتيجة استبعاد مخطّط له، وهو نوع من ”المؤامرة الاجتماعيّة“ الموجِعة، وفي حالات أخرى هما للأسف قرار شخصيّ. وفي حالات أخرى أيضًا نتحمَّلُهما ونتظاهر بأنّه خيار مستقلّ. "فقدنا طعم الإخاء" بصورة متزايدة (رسالة بابويّة عامّة، كلّنا إخوة- Fratelli tutti، 33) ونجد صعوبة في أن نتصوّر شيئًا مختلفًا.

يمكننا أن نلاحظ في كثير من كبار السّنّ ذلك الشّعور بالاستسلام الذي تكلّم عليه سفر راعوت عندما روى قصة نُعْمي المتقدّمة في السّنّ، بعد أن توفّى زوجها وأولادها. فهي تدعو كَنَّتَيها، عُرفَةُ وراعوت، إلى أن يرجعا إلى وطنهما الأصليّ وإلى بيتهما (راجع راعوت 1، 8). خافت نُعْمي - مثل الكثير من المسنّين اليوم - أن تبقى وحدها، مع ذلك لم تستطع أن تتصوّر شيئًا مختلفًا. كونها أرملة، أدركت أنّ قيمتها قليلة في نظر المجتمع وكانت مقتنعة بأنّها عبءٌ على تلك الشّابَّتَين اللتين، على عكسها، أمامهما الحياة كلّها. لهذا السّبب، فكّرت في أنّه من الأفضل أن تتنحّى جانبًا، فدعت هي نفسها كنَّتَيها الشّابتَين إلى أن يتركاها وأن يبنيا مستقبلهما في مكان آخر (راجع راعوت 1، 11-13). كان كلامها موجزًا للأعراف الاجتماعيّة والدّينيّة التي تبدو غير قابلة للتّغيير، والتي حدّدت مصيرها.

وهنا تقدّم لنا قصة الكتاب المقدّس خيارَين مختلفَين أمام الدّعوة الموجّهة إلى نُعْمي، وإذن أمام الشّيخوخة. إحدى كَنَّتيها، عُرفَةُ، وكانت تحبّ نُعْمي أيضًا، قبّلتها بحنان، ورَضِيَت بما كان يبدو لها أيضًا أنّه الحلّ الوحيد الممكن، فذهبت في طريقها. لكن راعوت لم تترك نُعْمي ووجّهت لها كلامًا مدهشًا قالت: "لا تُلِحِّي علَيَّ أَن أَترُكَكِ" (راعوت 1، 16). لم تخشَ أن تتحدى العادات والشّعور العام. شعرت أنّ المرأة المسنّة بحاجة إليها، وبشجاعة بقيت بجانبها، وبدأتا معًا رحلة جديدة. بالنّسبة لنا جميعًا - الذين اعتدنا على الفكرة أنّ العزلة هي مصير لا مفر منه – راعوت تعلّمنا أنّه عند الابتهال ”لا تتركني!“ من الممكن أن يكون الجواب: ”لن أتركك!“. لا تتردّد راعوت في نقض ما كان يبدو حقيقة لا تتبدَّل: أن يعيش الإنسان وحده لا يمكن أن يكون الخيار الوحيد! وليس صدفة أنّ راعوت - التي بقيت قريبة من نُعْمي المتقدّمة في السّنّ - هي جدّة المسيح (راجع متّى 1، 5)، يسوع، العِمَّانوئيل، الذي هو ”الله معنا“، والذي يحمل قرب الله ومودته إلى جميع البشر، وفي جميع الظّروف، وفي جميع الأعمار.

حرّيّة راعوت وشجاعتها تدعواننا إلى السّير في طريق جديد: لنتبع خطواتها، ولننطلق مع هذه المرأة الغريبة الشّابة ومع نُعْمي المتقدّمة في السّنّ، ولا نخَفْ أن نغيِّر عاداتنا وأن نتخيّل مستقبلًا مختلفًا لكبارنا المسنِّين. الشّكر والتّقدير لجميع الأشخاص الذين ضحَّوا كثيرًا وساروا على مثال راعوت، وهم اليوم يهتمّون بكبير متقدّم في السّن، أو، بكلّ بساطة، يُظهِرون قربهم يوميًّا من الأقارب أو المعارف الذين لم يعد لهم أحد. اختارت راعوت أن تبقى بالقرب من نُعْمي، فباركها الله، بزواج سعيد وبنسل وأرض. وهذا صحيح دائمًا ومع الجميع. إن كنَّا قريبين من كبار السّن، وإن اعترفنا بدورهم الذي لا غِنَى عنه في العائلة والمجتمع والكنيسة، سننال نحن أيضًا العطايا الكثيرة، والنّعم الكثيرة، والبركات الكثيرة!

في هذا اليوم العالمي الرّابع المخصّص لهم، لا نبخَلْ بإظهار حناننا للأجداد وكبار السّنّ في عائلاتنا، ولنَقم بزيارة المُحبَطين فيهم، والذين فقدوا كلّ رجاء في إمكانيّة مستقبل مختلف. وأمام الموقف الأناني الذي يؤدّي إلى الإقصاء والعزلة، لنعارض ذلك بقلب منفتح ووجه مبتهج، ولتكن لنا لشّجاعة لأن نقول: ”لن أتركك!“ وسأسلك طريقًا مختلفًا.

لكم جميعًا، أيّها الأجداد وكبار السّنّ الأعزّاء، وإلى جميع القريبين منكم، لتبلغكم بركتي وصلاتي. وأنتم أيضًا، من فضلكم، لا تنسَوْا أن تصلّوا من أجلي.

روما، بازيليكا القدّيس يوحنّا في اللاتران، يوم 25 نيسان/أبريل 2024.

 

فرنسيس

[00809-AR.01] [Testo originale: Italiano]

[B0395-XX.01]