Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Consegna e lettura della Bolla di indizione del Giubileo 2025 “Spes non confundit” e Secondi Vespri della Solennità dell’Ascensione del Signore, 09.05.2024


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 17.30 di questo pomeriggio, nella Basilica di San Pietro, il Santo Padre Francesco ha presieduto la consegna e la lettura della Bolla di indizione del Giubileo 2025 “Spes non confundit” e i Secondi Vespri della Solennità dell’Ascensione del Signore.

Nell’atrio della Basilica di San Pietro, davanti alla Porta Santa, dopo il saluto liturgico, il Papa ha introdotto la celebrazione e consegnato la Bolla di Indizione del Giubileo 2025 agli Arcipreti delle Basiliche papali, ad alcuni Rappresentanti della Chiesa sparsa nel mondo e ai Protonotari Apostolici.

Quindi il Decano del Collegio dei Protonotari Apostolici di Numero Partecipanti, Mons. Leonardo Sapienza, R.C.I., Reggente della Prefettura della Casa Pontificia, alla presenza del Papa, ha dato lettura di alcuni passi significativi della Bolla di indizione del Giubileo 2025 “Spes non confundit”.

Successivamente, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre ha presieduto la celebrazione dei Secondi Vespri della Solennità dell’Ascensione del Signore.

Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che Papa Francesco ha pronunciato nel corso della recita dei Vespri:

Omelia del Santo Padre

Tra canti di gioia Gesù è asceso al Cielo, dove siede alla destra del Padre. Egli – come abbiamo appena ascoltato – ha ingoiato la morte perché noi diventassimo eredi della vita eterna (cfr 1 Pt 3,22Vulg.). L’Ascensione del Signore, perciò, non è un distacco, una separazione, un allontanarsi da noi, ma è il compimento della sua missione: Gesù è disceso fino a noi per farci salire fino al Padre; è disceso in basso per portarci in alto; è disceso nelle profondità della terra perché il Cielo si potesse spalancare sopra di noi. Egli ha distrutto la nostra morte perché noi potessimo ricevere la vita, e per sempre.

Questo è il fondamento della nostra speranza: Cristo asceso al Cielo porta nel cuore di Dio la nostra umanità carica di attese e di domande, «per darci la serena fiducia che dove è Lui, capo e primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria» (cfr Prefazio dell’Ascensione).

Fratelli e sorelle, è questa speranza, radicata in Cristo morto e risorto, che vogliamo celebrare, accogliere e annunciare al mondo intero nel prossimo Giubileo, che è ormai alle porte. Non si tratta di semplice ottimismo – diciamo ottimismo umano – o di un’effimera aspettativa legata a qualche sicurezza terrena, no, è una realtà già compiuta in Gesù e che ogni giorno è donata anche a noi, fino a quando saremo una cosa sola nell’abbraccio del suo amore. La speranza cristiana – scrive San Pietro – è «un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce» (1 Pt 1,4). La speranza cristiana sostiene il cammino della nostra vita anche quando si presenta tortuoso e faticoso; apre davanti a noi strade di futuro quando la rassegnazione e il pessimismo vorrebbero tenerci prigionieri; ci fa vedere il bene possibile quando il male sembra prevalere; la speranza cristiana ci infonde serenità quando il cuore è appesantito dal fallimento e dal peccato; ci fa sognare una nuova umanità e ci rende coraggiosi nel costruire un mondo fraterno e pacifico, quando sembra che non valga la pena di impegnarsi. Questa è la speranza, il dono che il Signore ci ha dato con il Battesimo.

Carissimi, mentre, con l’Anno della preghiera, ci prepariamo al Giubileo, eleviamo il cuore a Cristo, per diventare cantori di speranza in una civiltà segnata da troppe disperazioni. Con i gesti, con le parole, con le scelte di ogni giorno, con la pazienza di seminare un po’ di bellezza e di gentilezza ovunque ci troviamo, vogliamo cantare la speranza, perché la sua melodia faccia vibrare le corde dell’umanità e risvegli nei cuori la gioia, risvegli il coraggio di abbracciare la vita.

Di speranza, infatti, abbiamo bisogno, ne abbiamo bisogno tutti. La speranza non delude, non dimentichiamo questo. Ne ha bisogno la società in cui viviamo, spesso immersa nel solo presente e incapace di guardare al futuro; ne ha bisogno la nostra epoca, che a volte si trascina stancamente nel grigiore dell’individualismo e del “tirare a campare”; ne ha bisogno il creato, gravemente ferito e deturpato dagli egoismi umani; ne hanno bisogno i popoli e le nazioni, che si affacciano al domani carichi di inquietudini e di paure, mentre le ingiustizie si protraggono con arroganza, i poveri vengono scartati, le guerre seminano morte, gli ultimi restano ancora in fondo alla lista e il sogno di un mondo fraterno rischia di apparire come un miraggio. Ne hanno bisogno i giovani, spesso disorientati ma desiderosi di vivere in pienezza; ne hanno bisogno gli anziani, che la cultura dell’efficienza e dello scarto non sa più rispettare e ascoltare; ne hanno bisogno gli ammalati e tutti coloro che sono piagati nel corpo e nello spirito, che possono ricevere sollievo attraverso la nostra vicinanza e la nostra cura.

E inoltre, cari fratelli e sorelle, di speranza ha bisogno la Chiesa, perché, anche quando sperimenta il peso della fatica e della fragilità, non dimentichi mai di essere la Sposa di Cristo, amata di un amore eterno e fedele, chiamata a custodire la luce del Vangelo, inviata a trasmettere a tutti il fuoco che Gesù ha portato e acceso nel mondo una volta per sempre.

Di speranza ha bisogno ciascuno di noi: le nostre vite talvolta affaticate e ferite, i nostri cuori assetati di verità, di bontà e di bellezza, i nostri sogni che nessun buio può spegnere. Tutto, dentro e fuori di noi, invoca speranza e va cercando, anche senza saperlo, la vicinanza di Dio. A noi sembra – diceva Romano Guardini – che il nostro sia il tempo della lontananza da Dio, in cui il mondo si riempie di cose e la Parola del Signore tramonta; tuttavia, egli afferma: «Se però verrà il tempo – e verrà, dopo che l’oscurità sarà stata superata – in cui l’uomo domanderà a Dio: “Signore, allora dov’eri?”, allora di nuovo udrà la risposta: “Più che mai vicino a voi!”. Forse Dio è più vicino al nostro tempo glaciale che al barocco con lo sfarzo delle sue chiese, al medioevo con la dovizia dei suoi simboli, al cristianesimo dei primordi con il suo giovanile coraggio di fronte alla morte. […] Però Egli attende […] che noi gli restiamo fedeli. Da questo potrebbe sorgere una fede non meno valida, anzi forse più pura, in ogni caso più intensa di quanto sia mai stata nei tempi della ricchezza interiore» (R. Guardini, Accettare se stessi, Brescia 1992, 72).

Fratelli e sorelle, il Signore risorto e asceso al Cielo ci doni la grazia di riscoprire la speranza – riscoprire la speranza! –, di annunciare la speranza, di costruire la speranza.

[00785-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

C’est parmi les chants de joie que Jésus est monté au ciel, où il siège à la droite du Père. Il a - comme nous venons de l’entendre - englouti la mort pour que nous devenions héritiers de la vie éternelle (cf. 1 P 3, 22). L’Ascension du Seigneur n’est donc pas un détachement, une séparation, un éloignement de nous, mais elle est l’accomplissement de sa mission : Jésus est descendu jusqu’à nous pour nous faire monter jusqu’au Père ; il est descendu pour nous élever ; il est descendu jusqu’aux profondeurs de la terre pour que le Ciel s’ouvre au-dessus de nous. Il a détruit notre mort pour que nous recevions la vie, et pour toujours.

C’est le fondement de notre espérance : le Christ est monté au ciel et porte dans le cœur de Dieu notre humanité pleine d’attentes et de questions, pour nous donner la confiance sereine que là où il est, tête et premier-né, nous aussi, ses membres, nous serons unis dans la même gloire (cf. Préface de l’Ascension).

Frères et sœurs, c’est cette espérance, enracinée dans le Christ mort et ressuscité, que nous voulons célébrer, accueillir et annoncer au monde entier au cours du prochain Jubilé, qui est désormais à nos portes. Il ne s’agit pas d’un simple optimisme – un optimisme humain - ou d’une attente éphémère liée à une quelconque sécurité terrestre, non, il s’agit d’une réalité déjà accomplie en Jésus et qui nous est également donnée chaque jour, jusqu’à ce que nous ne fassions plus qu’un dans l’étreinte de son amour. L’espérance chrétienne - écrit saint Pierre - est « un héritage qui ne connaîtra ni corruption, ni souillure, ni flétrissure » (1 P 1, 4). L’espérance chrétienne soutient le chemin de notre vie même quand il est tortueux et éprouvant ; elle ouvre devant nous les voies de l’avenir quand la résignation et le pessimisme voudraient nous retenir prisonniers ; elle nous fait voir le bien possible quand le mal semble l’emporter. L’espérance chrétienne nous insuffle la sérénité quand le cœur est alourdi par l’échec et le péché ; elle nous fait rêver d’une humanité nouvelle et il nous rend courageux dans la construction d’un monde fraternel et pacifique quand cela ne semble pas valoir la peine de s’y engager. C’est cela l’espérance, le don que le Seigneur nous a donné au baptême.

Chers amis, alors que nous nous préparons au Jubilé avec l’Année de la prière, élevons nos cœurs vers le Christ, pour devenir des chanteurs d’espérance dans une civilisation marquée par trop de désespoirs. Avec nos gestes, avec nos paroles, avec nos choix quotidiens, avec la patience de semer un peu de beauté et de bonté partout où nous sommes, nous voulons chanter l’espérance, pour que sa mélodie fasse vibrer les cordes de l’humanité et réveille dans les cœurs la joie, réveille le courage d’embrasser la vie.

Nous avons, en effet, besoin d’espérance, nous en avons tous besoin. L’espérance ne déçoit pas, ne l’oublions pas. En a besoin la société dans laquelle nous vivons, souvent plongée dans le seul présent et incapable de regarder vers l’avenir ; en a besoin notre époque qui se traîne parfois avec lassitude dans la grisaille de l’individualisme et de la facilité ; en a besoin la création gravement blessée et défigurée par les égoïsmes humains ; en ont besoin les peuples et les nations face à des lendemains remplis de craintes et de peurs, alors que les injustices se poursuivent avec arrogance, que les pauvres sont rejetés, que les guerres sèment la mort, que les derniers restent encore à la traîne et que le rêve d’un monde fraternel risque d’apparaître comme un mirage. En ont besoin les jeunes souvent désorientés mais désireux de vivre pleinement ; en ont besoin les personnes âgées que la culture de l’efficacité et du rejet ne sait plus respecter et écouter ; en ont besoin les malades et tous ceux qui sont blessés dans leur corps et dans leur esprit, qui peuvent être soulagés par notre proximité et notre attention.

De plus, chers frères et sœurs, l’Église a besoin d’espérance pour que, même lorsqu’elle est confrontée au poids de la fatigue et de la fragilité, elle n’oublie jamais qu’elle est l’Épouse du Christ, aimée d’un amour éternel et fidèle, appelée à garder la lumière de l’Évangile, envoyée pour transmettre à tous le feu que Jésus a apporté et allumé dans le monde une fois pour toutes.

Chacun de nous a besoin d’espérance : nos vies parfois fatiguées et blessées, nos cœurs assoiffés de vérité, de bonté et de beauté, nos rêves qu’aucune obscurité ne peut éteindre. Tout, à l’intérieur et à l’extérieur de nous, implore l’espérance et cherche, même sans le savoir, la proximité de Dieu. Il nous semble, disait Romano Guardini, que notre époque soit celle de l’éloignement de Dieu, où le monde se remplit de choses et où la Parole du Seigneur décline. Mais il ajoute : « Le temps viendra, une fois les ténèbres vaincues - où l’homme demandera à Dieu : “Seigneur, où étais-tu donc ?”, alors il entendra à nouveau la réponse : “Plus près de toi que jamais !” Peut-être Dieu est-il plus proche de notre époque glaciaire que du baroque avec le faste de ses églises, du Moyen Âge avec l’abondance de ses symboles, du christianisme des premiers temps avec son courage juvénile face à la mort. [...] Mais il attend [...] que nous lui restions fidèles. De là pourrait naître une foi non moins valable, peut-être même plus pure, en tout cas plus intense qu’elle ne l’a jamais été à l’époque de la richesse intérieure » (R. Guardini, Accettare se stessi, Brescia 1992, 72).

Frères et sœurs, que le Seigneur ressuscité et monté au ciel nous donne la grâce de redécouvrir l’espérance - redécouvrir l’espérance-, d’annoncer l’espérance, de construire l’espérance.

[00785-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

 Amid shouts of joy, Jesus ascends to heaven, where he takes his seat at the right hand of the Father.  As we have just heard, he embraced death so that we might be heirs to life eternal (cf. 1 Pet 3:22).  The Ascension of the Lord is not his separation or removal from us, but rather the fulfilment of his mission.  Jesus first descended to us, so that we might ascend to the Father.  He came down to us in order to raise us on high.  He descended even to the depths of the earth, so that the gates of heaven might open wide above us.  He destroyed our death, that we might receive life, forever.

This is the basis of our hope.  Christ, in ascending to heaven, brings to the very heart of God our humanity, with all its hopes and expectations, so that that “we, his members, might be confident of following where he, our Head and Founder, has gone before” (Preface I of the Ascension of the Lord).

Brothers and sisters, it is this hope, based on Christ who died and rose again, that we wish to celebrate, ponder and proclaim to the whole world in the coming Jubilee, which is almost upon us.  This hope has nothing to do with mere “human” optimism or the ephemeral expectation of some earthly benefit.  No, it is something real, already accomplished in Christ, a gift daily bestowed upon us until the time when we will be one in the embrace of his love.  Christian hope – as Saint Peter writes – is “an inheritance that is imperishable, undefiled, and unfading” (1 Pet 1:4).  Christian hope sustains the journey of our lives, even when the road ahead seems winding and exhausting.  It opens our eyes to future possibilities whenever resignation or pessimism attempt to imprison us.  It makes us see the promise of good at times when evil seems to prevail.  Christian hope fills us with serenity when our hearts are burdened by sin and failure.  It makes us dream of a new humanity and gives us courage in our efforts to build a fraternal and peaceful world, even when it seems barely worth the effort.  Such is hope, the gift that the Lord bestowed on us in Baptism.

Dear brothers and sisters, in this Year of Prayer, as we prepare for the celebration of the Jubilee, let us lift up our hearts to Christ, and become singers of hope in a culture marked by much despair.  By our actions, our words, the decisions we make each day, our patient efforts to sow seeds of beauty and kindness wherever we find ourselves, we want to sing of hope, so that its melody can touch the heartstrings of humanity and reawaken in every heart the joy and the courage to embrace life to the full.

What we – all of us – need, then, is hope.  Hope does not disappoint: let us never forget this.  Hope is needed by the society in which we live, often caught up only in the present and incapable of looking to the future.  Hope is needed by our age, caught up in an individualism that is frequently content merely to scrape along from day to day.  Hope is needed by God’s creation, gravely damaged and disfigured by human selfishness.  Hope is needed by those peoples and nations who look to the future with anxiety and fear.  As injustice and arrogance persist, the poor are discarded, wars sow seeds of death, the least of our brothers and sisters remain at the bottom of the pile, and the dream of a fraternal world seems an illusion.  Hope is needed by our young people, often confused and uncertain, yet desirous of living lives of happiness and fulfilment.  Hope is needed by the elderly, no longer revered or listened to by a culture obsessed with efficiency and excess.  Hope too is needed by the sick and those who suffer in body and spirit; they can find comfort in our closeness and care.

Furthermore, dear brothers and sisters, hope is needed by the Church, so that when she feels wearied by her exertions and burdened by her frailty, she will always remember that, as the Bride of Christ, she is loved with an eternal and faithful love, called to hold high the light of the Gospel, and sent forth to bring to all the fire that Jesus definitively brought to the world.

Each of us has need of hope in our lives, at times so weary and wounded, our hearts that thirst for truth, goodness and beauty, and our dreams that no darkness can dispel.  Everything, within and outside of us, cries out for hope and continues to seek, even without knowing it, the closeness of God.  To us it seems – as Romano Guardini once said – that ours is a time of distance from God, a time when the world gorges itself on material things and the word of the Lord goes unheard.  Yet Guardini went on to say: “If, however, there comes a time, and it will come, once darkness has lifted, a time when people will ask God: ‘Lord, where were you?’, then they will once more hear his answer: ‘Closer to you than ever before!’  It may be that God is closer to our age than to the Baroque with its sumptuously decorated churches, to the Middle Ages with its rich profusion of symbols, to the Christianity of the origins with its youthful courage in the face of death… Yet God expects… that we remain faithful.  From this, there may arise a faith that is no less firm, perhaps even more pure, and in any case more intense than it was even in the times of interior richness” (Die Annahme seiner selbst. Den Menschen erkennt nur, wer von Gott weiß, Mainz, 1987, 76-77).

 Brothers and sisters, may the Lord, risen from the dead and ascended into heaven, grant us the grace to rediscover hope, to proclaim hope and to build hope.

[00785-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Unter Freudengesängen ist Jesus in den Himmel aufgefahren, wo er zur Rechten des Vaters sitzt. Er hat – wie wir gerade gehört haben – den Tod verschlungen, damit wir Erben des ewigen Lebens werden (vgl. 1 Petr 3,22). Die Himmelfahrt Christi ist also keine Loslösung, keine Trennung, kein Weggang von uns, sondern die Erfüllung seiner Sendung: Jesus ist zu uns herabgestiegen, damit wir zum Vater aufsteigen können; er ist herabgekommen, um uns hinaufzubringen; er ist in die Tiefen der Erde hinabgestiegen, damit sich der Himmel über uns öffnen kann. Er hat unseren Tod vernichtet, damit uns das Leben zuteilwird, für immer.

Dies ist das Fundament unserer Hoffnung: Christus, der in den Himmel aufgefahren ist, bringt unsere Menschheit voller Erwartungen und Fragen mitten in das Herz Gottes, »er gibt den Gliedern seines Leibes die Hoffnung, ihm dorthin zu folgen, wohin er als Erster vorausging« (Präfation Christi Himmelfahrt).

Brüder und Schwestern, es ist diese im gestorbenen und auferstandenen Christus wurzelnde Hoffnung, die wir feiern, uns zu eigen machen und der ganzen Welt im bevorstehenden nächsten Heiligen Jahr verkünden wollen. Es handelt sich dabei nicht um einfachen Optimismus – sagen wir, menschlichen Optimismus – oder um eine flüchtige Erwartung, die an eine irdische Sicherheit geknüpft ist, nein, es geht um etwas, das sich in Jesus bereits erfüllt hat und auch uns jeden Tag geschenkt ist, bis wir in der Umarmung seiner Liebe ganz eins sind. Die christliche Hoffnung – schreibt der heilige Petrus – ist ein „unzerstörbares, makelloses und unvergängliches Erbe« (vgl. 1 Petr 1,4). Die christliche Hoffnung gibt uns auf dem Weg unseres Lebens Halt, auch wenn er verschlungen und mühsam ist; sie eröffnet uns Wege in die Zukunft, wenn Resignation und Pessimismus uns drohen gefangen zu halten; sie lässt uns das mögliche Gute sehen, wenn das Böse zu überwiegen scheint; die christliche Hoffnung erfüllt uns mit Heiterkeit, wenn das Herz durch Versagen und Sünde beschwert ist; sie lässt uns von einer neuen Menschheit träumen und ermutigt uns, eine geschwisterliche und friedliche Welt zu errichten, wenn es die Mühe nicht wert zu sein scheint. Dies ist die Hoffnung, das Geschenk, das der Herr uns mit der Taufe gegeben hat.

Liebe Freunde, während wir uns im Jahr des Gebets auf das Heilige Jahr vorbereiten, erheben wir unsere Herzen zu Christus, um in einer Zivilisation, die von allzu viel Verzweiflung geprägt ist, zu Sängern der Hoffnung zu werden. Mit unseren Gesten, mit unseren Worten, mit unseren alltäglichen Entscheidungen, mit der Geduld, ein wenig Schönheit und Güte zu säen, wo immer wir sind, wollen wir von der Hoffnung singen, damit ihre Melodie die Saiten der Menschheit zum Schwingen bringe und in den Herzen wieder die Freude wecke, den Mut erwecke, das Leben zu umarmen.

Wir brauchen nämlich Hoffnung, wir alle brauchen sie. Die Hoffnung trügt nicht, vergessen wir das nicht. Ihrer bedarf die Gesellschaft, in der wir leben, und die oft in der bloßen Gegenwart versunken und unfähig ist, in die Zukunft zu blicken; ihrer bedarf unsere Zeit, die sich so manches Mal in der Freudlosigkeit des Individualismus und des „durchs Leben schlagen“ müde dahinschleppt; ihrer bedarf die Schöpfung, die durch menschlichen Egoismus schwer verwundet und verunstaltet ist; ihrer bedürfen die Völker und Nationen, die voller Sorgen und Ängste in die Zukunft blicken, während die Ungerechtigkeiten arrogant fortgesetzt werden, die Armen verworfen werden, Kriege Tod säen, die Letzten weiterhin ganz unten auf der Liste stehen bleiben und der Traum von einer geschwisterlichen Welt illusorisch erscheint. Ihrer bedürfen die jungen Menschen, die oft orientierungslos sind, sich aber danach sehnen, in Fülle zu leben; ihrer bedürfen die älteren Menschen, welche die Leistungs- und Wegwerfgesellschaft nicht mehr zu respektieren und anzuhören weiß; ihrer bedürfen die Kranken und all jene, die an Körper und Geist verwundet sind und durch unsere Nähe und unsere Fürsorge Linderung erfahren können.

Liebe Brüder und Schwestern, auch die Kirche braucht Hoffnung, damit sie, auch wenn sie die Last der Mühsal und Verletzlichkeit erfährt, nie vergisst, dass sie die Braut Christi ist, die mit einer ewigen und treuen Liebe geliebt wird, und dass sie dazu berufen ist, das Licht des Evangeliums zu hüten, dass sie gesandt ist, das Feuer an alle weiterzugeben, das Jesus in die Welt gebracht und ein für alle Mal entzündet hat.

Wir alle brauchen Hoffnung: unsere manchmal mühseligen und verletzten Lebensgeschichten; unsere Herzen, die nach Wahrheit, Güte und Schönheit dürsten; unsere Träume, die keine Dunkelheit auslöschen kann. Alles, in uns und außerhalb von uns, ruft nach Hoffnung und sucht, auch ohne es zu wissen, die Nähe Gottes. Es scheint uns – so sagte Romano Guardini –, dass unsere Zeit eine Zeit der Ferne von Gott sei, in der sich die Welt mit Dingen füllt und das Wort des Herrn untergeht. Dennoch schreibt er: »Wenn aber einmal die Zeit kommt – und sie wird kommen, nachdem die Dunkelheit durchgestanden ist – und der Mensch Gott fragt: „Herr, wo warst Du doch damals?“, dann wird er wieder die Antwort vernehmen: „Euch näher als je!“ Vielleicht ist Gott unserer frostigen Zeit näher als dem Barock mit der Pracht seiner Kirchen, dem Mittelalter mit der Fülle seiner Symbole, dem frühen Christentum mit seinem jungen Todesmut. […] Er aber erwartet, dass wir Ihm die Treue halten. Daraus könnte ein Glaube erwachsen, nicht weniger gültig, ja reiner vielleicht, härter jedenfalls, als er in den Zeiten des inneren Reichtums je gewesen ist.« (R. Guardini, Die Annahme seiner selbst. Den Menschen erkennt nur, wer von Gott weiß, Mainz 1987, 76-77).

Brüder und Schwestern, der auferstandene und in den Himmel aufgefahrene Herr möge uns die Gnade erweisen, die Hoffnung wiederzuentdecken – die Hoffnung wiederzuentdecken! –, die Hoffnung zu verkünden und Hoffnung aufzubauen.

[00785-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Entre cánticos de júbilo, Jesús ascendió al cielo, donde está sentado a la derecha del Padre. Él ―como acabamos de escuchar― venció la muerte para que nosotros heredáramos la vida eterna (cf. 1 P 3,22). La Ascensión del Señor, por tanto, no es un distanciamiento, una separación, un alejamiento de nosotros, sino que es el cumplimiento de su misión: Jesús bajó a nosotros para hacernos subir hasta el Padre; se abajó para enaltecernos; descendió a las profundidades de la tierra para que el cielo se abriera de par en par sobre nosotros. Él destruyó nuestra muerte para que pudiéramos recibir la vida, y para siempre.

El fundamento de nuestra esperanza es este: que Cristo ascendido al cielo introduce en el corazón de Dios nuestra humanidad cargada de expectativas e interrogantes, y «ha querido precedernos como cabeza nuestra, para que nosotros, miembros de su Cuerpo, vivamos con la ardiente esperanza de seguirlo en su reino» (Prefacio I de la Ascensión del Señor).

Hermanos y hermanas, esta esperanza ―enraizada en Cristo muerto y resucitado―, es la que queremos celebrar, acoger y anunciar al mundo entero en el próximo Jubileo, que ya está a la vuelta de la esquina. No se trata de un mero optimismo —digamos un optimismo humano— o de una expectativa pasajera ligada a alguna seguridad terrena, no, es una realidad ya realizada en Jesús y que se nos comunica también a nosotros cada día, hasta que seamos uno en el abrazo de su amor. La esperanza cristiana ―escribe san Pedro― es «una herencia incorruptible, incontaminada e imperecedera» (1 P 1,4). La esperanza cristiana sostiene el camino de nuestra vida, incluso cuando se vuelve tortuoso y difícil; abre ante nosotros horizontes de futuro cuando la resignación y el pesimismo quisieran tenernos prisioneros; nos hace ver el bien posible cuando el mal parece prevalecer; la esperanza cristiana nos infunde serenidad cuando el corazón está agobiado por el fracaso y el pecado; nos hace soñar con una humanidad nueva y nos infunde valor para construir un mundo fraterno y pacífico, cuando parece que no vale la pena comprometerse. Esta es la esperanza, el don que el Señor nos ha dado con el Bautismo.

Queridos hermanos y hermanas, mientras nos preparamos al Jubileo con el Año de la oración, elevemos nuestro corazón a Cristo, para convertirnos en cantores de esperanza en una civilización marcada por un exceso de desesperación. Con los gestos, con las palabras, con nuestras elecciones cotidianas, con la paciencia de sembrar un poco de belleza y de amabilidad en donde quiera que estemos, queremos cantar la esperanza, para que su melodía haga vibrar las cuerdas de la humanidad y despierte en los corazones la alegría despierte la valentía de abrazar la vida.

En efecto, nos hace falta la esperanza. Todos la necesitamos. Y la esperanza no defrauda, no lo olvidemos. La necesita la sociedad en la que vivimos, a menudo inmersa sólo en el presente e incapaz de mirar hacia el futuro; la necesita nuestra época, que a veces se arrastra cansadamente entre la monotonía del individualismo y del “irla pasando”; la necesita la creación, gravemente herida y desfigurada por el egoísmo humano; la necesitan los pueblos y las naciones que afrontan el mañana cargados de preocupaciones y temores, mientras las injusticias se prolongan con arrogancia, los pobres son descartados, las guerras siembran la muerte, los últimos siguen estando al final de la lista y el sueño de un mundo fraterno corre el riesgo de aparecer como un espejismo. La necesitan los jóvenes, que frecuentemente se sienten desorientados pero deseosos de vivir en plenitud; la necesitan los ancianos, a quienes la cultura de la eficiencia y del descarte ya no sabe respetar ni escuchar; la necesitan los enfermos y todos aquellos que están heridos en el cuerpo y en el espíritu, que pueden encontrar alivio con nuestra cercanía y nuestros cuidados.

Y, además, queridos hermanos y hermanas, la Iglesia necesita esperanza, para que, incluso cuando experimente el peso de la fatiga y de la fragilidad, no olvide nunca que es la Esposa de Cristo, amada con amor eterno y fiel, llamada a custodiar la luz del Evangelio, enviada para llevar a todos el fuego que Jesús trajo y encendió en el mundo de una vez para siempre.

Cada uno de nosotros necesita esperanza; la necesitan nuestras vidas a veces cansadas y heridas, nuestros corazones sedientos de verdad, bondad y belleza, nuestros sueños que ninguna oscuridad puede apagar. Todo, dentro y fuera de nosotros, anhela esperanza y busca, aun sin saberlo, la cercanía de Dios. Nos parece ―decía Romano Guardini― que el nuestro es el tiempo del alejamiento de Dios, en el que el mundo se llena de cosas y la Palabra del Señor mengua; sin embargo, afirma que «cuando llegue el momento —y llegará, tras el paso de las tinieblas— y el ser humano pregunte a Dios: “Señor, ¿dónde estabas entonces?”, Él responderá: “¡Más cerca de ti que nunca!”. Tal vez Dios esté más cerca de nuestros gélidos tiempos de lo que lo estuvo en el Barroco, con el esplendor de sus iglesias, o en la Edad Media, con la plenitud de sus símbolos, o en el cristianismo primitivo, con su joven valor ante la muerte […]. Pero Él espera […] que permanezcamos fieles a Él a través de la distancia. De ella podría surgir una fe no menos válida, de hecho, más pura quizá, más robusta en todo caso, que en los tiempos de la riqueza interior» (R. Guardini, Aceptarse a uno mismo, Madrid 2023, 67).

Hermanos y hermanas, que el Señor resucitado y ascendido al cielo nos dé la gracia de redescubrir la esperanza —redescubrir la esperanza—, de anunciar la esperanza y de construir la esperanza.

[00785-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

in portoghese

Por entre cânticos de júbilo, subiu Jesus ao Céu onde está sentado à direita do Pai. Como acabamos de ouvir, Ele suportou a morte para que nos tornássemos herdeiros da vida eterna (cf. 1 Ped 3, 22). Por isso a Ascensão do Senhor não é afastar-se, separar-se, distanciar-se de nós, mas o cumprimento da sua missão: Jesus desceu até nós para nos fazer subir ao Pai; desceu até ao fundo para nos levar ao alto; desceu às profundezas da terra, para que o Céu pudesse abrir-se de par em par sobre nós. Destruiu a nossa morte para podermos receber a vida, e recebê-la para sempre.

Está aqui o fundamento da nossa esperança: subindo ao Céu, Cristo coloca no coração de Deus a nossa humanidade carregada de anseios e interrogativos, dando-nos «a esperança de irmos um dia ao seu encontro, como membros do seu Corpo, para nos unir à sua glória imortal» (Prefácio da Ascensão).

Irmãos e irmãs, é esta esperança radicada em Cristo morto e ressuscitado que queremos celebrar, acolher e anunciar ao mundo inteiro no próximo Jubileu, que já está à porta. Não se trata de mero otimismo – digamos otimismo humano – nem duma expetativa efémera ligada a qualquer segurança terrena. Não! É uma realidade já atuada em Jesus e que diariamente nos é dada também a nós até chegarmos a ser um só no abraço do seu amor. A esperança cristã – escreve São Pedro – é «uma herança incorruptível, imaculada e indefetível» (1 Ped 1, 4). A esperança cristã sustenta o caminho da nossa vida, mesmo quando este se apresenta tortuoso e cansativo; abre diante de nós sendas de futuro, quando a resignação e o pessimismo quereriam manter-nos prisioneiros; faz-nos ver o bem possível, quando parece prevalecer o mal; a esperança cristã infunde-nos serenidade, quando o coração está oprimido pelo fracasso e o pecado; faz-nos sonhar com uma humanidade nova e torna-nos corajosos na construção dum mundo fraterno e pacífico, quando parece inútil empenharmo-nos. Esta é a esperança, o dom que o Senhor nos deu com o Batismo.

Meus amigos, enquanto nos preparamos para o Jubileu com o Ano da Oração, elevemos o coração para Cristo, a fim de nos tornarmos cantores de esperança numa civilização marcada por demasiadas situações desesperadas. Com os gestos, as palavras, as opções de cada dia, a paciência de semear um pouco de encanto e gentileza onde quer que estejamos, queremos cantar a esperança, para que a sua melodia faça vibrar as cordas da humanidade e desperte nos corações a alegria, desperte a coragem de abraçar a vida.

É de esperança que precisamos… Todos precisamos dela! E a esperança não engana… Não o esqueçamos! Dela necessita a sociedade em que vivemos, muitas vezes imersa apenas no presente e incapaz de olhar para o futuro; dela necessita a nossa época, que por vezes se arrasta cansadamente no cinzento do individualismo e do «ir sobrevivendo»; dela necessita a criação, gravemente ferida e desfigurada pelos egoísmos humanos; dela necessitam os povos e as nações, que olham cheios de inquietação e medo para o amanhã, enquanto as injustiças campam com arrogância, os pobres são descartados, as guerras semeiam morte, os últimos continuam no fundo da lista e o sonho dum mundo fraterno corre o risco de parecer uma miragem. Dela necessitam os jovens, muitas vezes desorientados, mas desejosos de viver em plenitude; dela necessitam os idosos, que a cultura da eficiência e do descarte já não sabe respeitar nem ouvir; dela necessitam os doentes e todos aqueles que estão feridos no corpo e no espírito, que podem receber alívio através da nossa solidariedade e cuidado.

Além disso, amados irmãos e irmãs, de esperança precisa a Igreja, para que, mesmo quando experimenta o peso do cansaço e da fragilidade, nunca se esqueça de que é a Esposa de Cristo, amada com amor eterno e fiel, chamada a conservar a luz do Evangelho, enviada para transmitir a todos o fogo que Jesus trouxe e acendeu, de uma vez para sempre, no mundo.

De esperança, precisa cada um de nós: as nossas vidas às vezes cansadas e feridas, os nossos corações sedentos de verdade, bondade e beleza, os nossos sonhos que nenhuma escuridão pode extinguir. Tudo, dentro e fora de nós, invoca esperança e vai procurando, mesmo sem o saber, a proximidade a Deus. Parece-nos – dizia Romano Guardini – que o nosso seja o tempo do afastamento de Deus, em que o mundo se atulha de coisas, e a Palavra do Senhor declina; «mas se chegar a hora – e chegará, depois de vencidas as trevas – em que o homem perguntará a Deus: “Senhor, onde estavas então?”, de novo ouvirá responder: “Mais perto de ti do que nunca!” Talvez Deus esteja mais próximo do nosso tempo glacial que do Barroco com o esplendor das suas igrejas, da Idade Média com a riqueza dos seus símbolos, do cristianismo dos primórdios com a sua coragem juvenil diante da morte. (…) Mas espera (…) que Lhe permaneçamos fiéis. Disto poderia surgir uma fé não menos válida, talvez mais pura, em todo o caso mais intensa do que nunca foi nos tempos de grande riqueza interior» (R. Guardini, Aceitar-se, Brescia 1992, 72).

Irmãos e irmãs, que o Senhor ressuscitado e elevado ao Céu nos dê a graça de redescobrir a esperança – redescobrir a esperança! –, de anunciar a esperança, de construir a esperança.

[00785-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Wśród śpiewów radości Jezus wstąpił do nieba, gdzie zasiada po prawicy Ojca. On – jak właśnie usłyszeliśmy – uwolnił nas od śmierci, abyśmy mogli stać się dziedzicami życia wiecznego (por. 1 P 3, 22). Wniebowstąpienie Pana nie jest zatem oderwaniem się, oddzieleniem, oddaleniem się od nas, lecz jest wypełnieniem Jego misji: Jezus zstąpił do nas, abyśmy mogli wstąpić do Ojca; zstąpił, aby nas wywyższyć; zstąpił do głębin ziemi, aby niebo mogło otworzyć się nad nami na oścież. Zniszczył naszą śmierć, abyśmy mogli otrzymać życie, i otrzymać je na wieki.

To jest fundament naszej nadziei: Chrystus wstępując do nieba wnosi do serca Boga nasze człowieczeństwo, obciążone oczekiwaniami i pytaniami, „aby umocnić naszą nadzieję, że tam, gdzie jest On, Głowa i Pierworodny, my również, Jego członki, będziemy zjednoczeni w tej samej chwale” (por. Prefacja o Wniebowstąpieniu).

Bracia i siostry, to właśnie tę nadzieję, zakorzenioną w Chrystusie, który umarł i zmartwychwstał, chcemy wychwalać, przyjąć i głosić całemu światu w nadchodzącym Jubileuszu, który zbliża się wielkimi krokami. Nie chodzi o zwykły optymizm – można powiedzieć ludzki optymizm – ani przelotne oczekiwanie związane z jakimś zabezpieczeniem doczesnym, nie, jest to rzeczywistość, która już się wypełniła w Jezusie, i która jest nam również dana każdego dnia, aż staniemy się jedno w objęciach Jego miłości. Nadzieja chrześcijańska – pisze św. Piotr – jest dziedzictwem niezniszczalnym i niepokalanym, i niewiędnącym” (1 P 1, 4). Nadzieja chrześcijańska podtrzymuje drogę naszego życia, nawet gdy jest ona kręta i męcząca; otwiera przed nami drogi przyszłości, gdy rezygnacja i pesymizm chciałyby uczynić nas więźniami; sprawia, że widzimy możliwe dobro, gdy zło wydaje się przeważać; nadzieja chrześcijańska napełnia nas pogodą ducha, gdy serce jest obciążone porażką i grzechem; sprawia, że marzymy o nowej ludzkości i czyni nas mężnymi w budowaniu świata braterskiego i pokojowego, gdy wydaje się, że nie jest to warte trudu. To jest nadzieja, dar, który Pan dał nam przez chrzest.

Drodzy przyjaciele, przygotowując się poprzez Rok Modlitwy do Jubileuszu, wznieśmy nasze serca do Chrystusa, aby stać się piewcami nadziei w cywilizacji naznaczonej zbyt wielką beznadzieją. Naszymi czynami, słowami, codziennymi wyborami, cierpliwością zasiewania odrobiny piękna i dobroci, gdziekolwiek jesteśmy, chcemy opiewać nadzieję, by jej melodia poruszyła struny ludzkości i rozbudziła w sercach radość, rozbudziła odwagę, aby przyjąć życie.

Nadziei, bowiem, potrzebujemy, wszyscy jej potrzebujemy. Nadzieja nie zawodzi, nie zapominajmy o tym. Potrzebuje jej społeczeństwo, w którym żyjemy, często pogrążone wyłącznie w teraźniejszości i niezdolne do patrzenia w przyszłość; potrzebuje jej nasz wiek, który czasami wlecze się znużony w ponurości indywidualizmu i „biernej wegetacji”; potrzebuje jej stworzenie, poważnie zranione i oszpecone przez ludzki egoizm; potrzebują jej ludy i narody, które stoją w obliczu jutra pełnego niepokojów i lęków, podczas gdy arogancko trwa nadal niesprawiedliwość, ubodzy są odrzucani, wojny sieją śmierć, ostatni wciąż pozostają na dole listy, a marzenie o braterskim świecie może wydawać się złudzeniem. Potrzebują jej ludzie młodzi, często zdezorientowani, ale pragnący żyć w pełni; potrzebują jej osoby starsze, których kultura wydajności i odrzucenia nie potrafi już szanować i słuchać; potrzebują jej chorzy i wszyscy zranieni na ciele i duchu, którzy mogą doznać ulgi dzięki naszej bliskości i naszej trosce.

A także, drodzy bracia i siostry, nadziei potrzebuje Kościół, aby nawet wtedy, gdy doświadcza ciężaru trudu i kruchości, nigdy nie zapomniał, że jest Oblubienicą Chrystusa, umiłowaną wieczną i wierną miłością, powołaną do strzeżenia światła Ewangelii, posłaną, aby przekazywać wszystkim ogień, który Jezus przyniósł i zapalił na świecie raz na zawsze.

Nadziei, bowiem, potrzebuje każdy z nas: nasze niekiedy znużone i zranione życie, nasze serca spragnione prawdy, dobra i piękna, nasze marzenia, których nie może zgasić żaden mrok. Wszystko, w nas i na zewnątrz nas, woła o nadzieję i szuka, nawet o tym nie wiedząc, bliskości Boga. Wydaje nam się – mówił Romano Guardini – że nasz czas jest czasem oddalenia od Boga, w którym świat wypełnia się rzeczami, a Słowo Pana zanika; stwierdza on jednakże: „Ale jeśli nadejdzie czas – a nadejdzie, po przezwyciężeniu ciemności – w którym człowiek zapyta Boga: «Panie, gdzie wtedy byłeś?», to znów usłyszy odpowiedź: «Bliżej was niż kiedykolwiek!». Być może Bóg jest bliższy naszym czasom zlodowacenia niż barokowi z przepychem jego kościołów, średniowieczu z obfitością jego symboli, wczesnemu chrześcijaństwu z jego młodzieńczą odwagą w obliczu śmierci. [...] Ale oczekuje On [...], że pozostaniemy mu wierni. Z tego może zrodzić się wiara nie mniej ważna, a może nawet czystsza, w każdym razie bardziej intensywna niż kiedykolwiek była w czasach wewnętrznego bogactwa” (R. Guardini, Accettare se stessi, Brescia 1992, 72).

Bracia i siostry, niech Pan zmartwychwstały, który wstąpił do nieba, da nam łaskę ponownego odkrycia nadziei – odkrycia nadziei! – głoszenia nadziei, budowania nadziei.

[00785-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

عظة قداسة البابا فرنسيس

في صلاة الغروب الثّانية يوم عيد صعود الرّبّ

9 أيّار/مايو 2024

بازيليكا القدّيس بطرس

بأناشيد الفرح، صعد يسوع إلى السَّماء، حيث جلس عن يمين الآب. فهو - كما أصغينا قبل قليل - أَخضعَ الموت لكي نصير ورثة الحياة الأبديّة (راجع 1 بطرس 3، 22). صعود الرّبّ ليس إذًا انقطاعًا أو انفصالًا أو ابتعادًا عنّا، بل هو كمال رسالته: نزل يسوع إلينا ليُصعدنا إلى الآب. ونزل إلى أعماقنا ليَرفعنا إلى العُلى. ونزل إلى أعماق الأرض حتّى تنشق السّماء من فوق. لقد دمّر موتنا حتّى نتمكّن من الحصول على الحياة، وإلى الأبد.

هذا هو أساس رجائنا: صعد المسيح إلى السّماء وحمل إنسانيتنا المليئة بالتوقّعات والأسئلة إلى قلب الله، "ليمنحنا الثّقة المطمئنة بأنّه أصل الكنيسة ورأسها، لنكون، نحن أيضًا أعضاءه، حيث هو مقيم، متّحدين في المجد نفسه" (راجع مقدمّة الصّلاة الإفخارستيّة في عيد صعود الرّبّ).

أيّها الإخوة والأخوات، هذا هو الرّجاء المتأصِّل في المسيح الذي مات وقام من بين الأموات، والذي نريد أن نحتفل به ونقبله ونعلنه للعالم أجمع في اليوبيل القادم الذي بات الآن قريبًا. إنّه ليس تفاؤلًا بشريًّا بسيطًا أو توقُّعًا سريعَ الزّوال مرتبطًا ببعض الضّمانات الأرضيّة، لا، بل إنّه واقع تحقّق في يسوع ويُمنَح لنا أيضًا كلّ يوم، إلى أن نصير معه واحدًا في حبّه العميق. الرّجاء المسيحيّ، كما يقول القدّيس بطرس، هو "ميراثٌ غَير قابِلٍ لِلفَسادِ والرَّجاسَةِ والذُّبول" (1 بطرس 1، 4). إنّه يسند مسيرة حياتنا حتّى عندما تبدو متعرّجة ومتعبة. ويفتح أمامنا طرق المستقبل عندما يريد الاستسلام والتّشاؤم أن يبقينا سجناءَ أنفسِنا. ويجعلنا نرى الخير الممكن عندما يبدو أنّ الشّرّ هو السّائد. ويمنحنا الطّمأنينة عندما يرزح قلبنا تحت ثِقل الفشل والخطيئة. ويجعلنا نحلم بإنسانيّة جديدة ويشجِّعنا لبناء عالم أخويّ وسلميّ، عندما يبدو أنّ الأمر لا يستحقّ كلّ هذا العناء. هذا هو الرّجاء، النّعمة التي أعطانا إياها الرّبّ يسوع بالمعموديّة.

أيّها الأعزّاء، بينما نستعدّ لليوبيل، في سنة الصّلاة، لنرفع قلوبنا إلى المسيح، لكي نصير ”مرنّمين للرّجاء“ في حضارة ملأها اليأس الكثير. بالأعمال، والكلام، والخيارات اليوميّة، والصّبر في زرع القليل من الجمال واللطف أينما كنّا، نريد أن ننشد نشيد الرّجاء، حتّى يهزّ لحنه أوتار الإنسانيّة ويوقظ في قلوبنا الفرح والشّجاعة لقبول الحياة.

في الواقع، نحن بحاجة إلى الرّجاء. يحتاج إليه المجتمع الذي نعيش فيه، الغارق مرارًا في الحاضر فقط وهو غير قادر على النّظر إلى المستقبل. ويحتاج إليه عصرنا، الذي يزحف أحيانًا مُتْعَبًا في حياة فرديّة حزينة، ”يريد البقاء فقط على قيد الحياة“. وتحتاج إليه الخليقة، المجروحة والمشوّهة بسبب الأنانيّات البشريّة. وتحتاج إليه الشّعوب والأمم، التي تنظر إلى الغَد وهي مليئة بالقلق والخوف، بينما يسود الظّلم والاستبداد، والفقراء يُهملون، والحروب تَزرع الموت، والأخيرون يبقون أخيرين في نهاية القائمة، وحلم العالم الذي تسوده الأخوّة يوشك أن يصير سرابًا. ويحتاج إليه الشّباب، الذين يكونون مرارًا ضائعين مع أنّهم يريدون أن يحيوا ملء الحياة. ويحتاج إليه كبار السّنّ، الذين لم تعد تحترمهم أو تصغي إليهم ثقافة الإنتاج والفعّاليّة والإقصاء. ويحتاج إليه المرضى وكلّ المجروحين في الجسد والرّوح، والذين يمكنهم أن يجدوا الرّاحة في قربنا واهتمامنا بهم.

أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء، الكنيسة بحاجة أيضًا إلى الرّجاء، حتّى لا تنسى أبدًا، إذا اختبرت ثِقَل التّعب والضّعف، أنّها عروس المسيح، الذي أحبّها حبًّا أبديًّا وأمينًا، ودعاها إلى أن تحافظ على نور الإنجيل، وأرسلها لتحمل إلى الجميع النّار التي حملها يسوع وأضرمها في العالم مرّة واحدة وإلى الأبد.

كلّ واحدٍ منّا يحتاج إلى الرّجاء: حياتنا المُتْعَبَة والجريحة أحيانًا، وقلوبنا العطشى إلى الحقيقة والخير والجمال، وأحلامنا التي لا يمكن لأيّ ظلام أن يطفئها. كلّ شيء، في داخلنا وخارجنا، يطلب الرّجاء ويبحث عن قُرب الله، حتّى دون أن نعرف ذلك. قال رومانو غوارديني: يبدو لنا أنّ وقتنا هو وقت البُعد عن الله، فيه يمتلئ العالم بأشياء كثيرة، وكلمة الله غائبة فيه. مع ذلك، أكّد رومانو: "إن جاء الوقت، وسيأتي، - بعد أن نتغلَّب على الظّلمة –، ويسأل الإنسان الله: ”يا ربّ، أين كنت؟“. وسيسمع الجواب من جديد: ”كنت قريبًا منكم أكثر من قبل!“. ربّما الله هو أقرب إلى عصرنا الجليديّ منه إلى العصر ”الباروكي“ ببهاء كنائسه، وإلى العصور الوسطى برموزها الكثيرة، وإلى المسيحيّين الأوّلين بشجاعتهم الفتيّة أمام الموت. […] لكنّه ينتظر […] أن نبقى أمينين له. هكذا يمكن أن ينشأ إيمان ليس أقلّ أهمّيّة، بل ربّما أنقى، وفي كلّ حال سيكون إيمانًا راسخًا أكثر ممّا كان عليه في أيّ وقت مضى في زمن الغِنَى الدّاخليّ" (رومانو غوارديني، قبول الذّات، بريشّا 1992، 72).

أيّها الإخوة والأخوات، ليمنحنا الرّبّ يسوع الذي قام من بين الأموات وصعد إلى السّماء، النّعمة لأن نكتشف الرّجاء من جديد، ونعلن الرّجاء، ونبني الرّجاء.

[00785-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0376-XX.02]