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Conferenza Stampa di presentazione del Convegno Internazionale su Sport e Spiritualità – “Mettere la vita in gioco”, 06.05.2024


Intervento dell’Em.mo Card. José Tolentino de Mendonça

Intervento di S.E. la Signora Florence Mangin

Intervento del Dott. Emanuele Isidori

Intervento del Dott. Arturo Mariani

Alle ore 11.30 di questa mattina, ha avuto luogo in diretta streaming dalla Sala Stampa della Santa Sede la Conferenza Stampa di presentazione del Convegno Internazionale su Sport e Spiritualità – “Mettere la vita in gioco”, che si svolgerà dal 16 al 18 maggio 2024.

Sono intervenuti l’Em.mo Card. José Tolentino de Mendonça, Prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione; S.E. la Signora Florence Mangin, Ambasciatrice di Francia presso la Santa Sede; il Dott. Emanuele Isidori, Professore di Filosofia dello Sport (Università di Roma); e il Dott. Arturo Mariani, atleta paralimpico.

Era presente in sala il Dott. Alessandro Tappa, Membro del Consiglio Direttivo di “Sport senza Frontiere”, che presenterà brevemente l’evento sportivo.

Ne riportiamo di seguito gli interventi:

Intervento dell’Em.mo Card. José Tolentino de Mendonça

A prima vista, osservare un Convegno sullo sport organizzato da un Dicastero della Santa Sede sembra un po’ strano. Ma partendo dalle parole di Papa Francesco, quando paragona lo sport alla santità, ci rendiamo conto dei tanti punti di connessione che esistono tra sport e spiritualità. Papa Francesco ce lo dice in un'intervista rilasciata nel 2021 a due giornalisti della Gazzetta dello Sport, dicendo: «Ecco: per me allenarmi – e anche un Papa si deve sempre tenere in allenamento! – è chiedere ogni giorno a Dio “Che cosa vuoi che faccia, che cosa vuoi della mia vita?” Domandare a Gesù, confrontarsi con Lui come con un allenatore».

L'organizzazione di questo Convegno si propone di fare proprio questo: osservare lo sport oggi. Capire perché è così popolare. Identificare i suoi rischi. Valutare la sua rilevanza per la costruzione di una società più fraterna, tollerante ed equa. Discernere come Dio si manifesta in questa manifestazione culturale.

In sostanza, sono due le domande fondamentali a cui vogliamo rispondere con questo Convegno: che cosa ha da dire lo sport alla Chiesa? Che cosa ha da dire la Chiesa allo sport? Da qui, possiamo forse comprendere meglio la finalità del Convegno attraverso il suo titolo: tutti noi desideriamo “Mettere la vita in gioco”.

Se guardiamo alla storia dello sport in parallelo con la storia della Chiesa, ci sono stati molti momenti in cui lo sport è stato un'ispirazione e una metafora per la vita dei cristiani, oppure il cristianesimo stesso ha arricchito lo sport con la sua visione umanistica. Ecco un breve esempio a proposito: quest'anno si celebra il centenario dell'introduzione del motto olimpico citius, altius, fortius (più veloce, più alto, più forte) ai Giochi Olimpici di Parigi del 1924. Un motto che era stato ideato da un ecclesiastico, il frate domenicano Henri Didon, e proposto a Pierre de Coubertin, il fondatore dei Giochi Olimpici moderni (Atene - 1896).

L'esempio di Fra Henri Didon esprime così il desiderio della Chiesa nei confronti dello sport: la Chiesa non vuole controllare lo sport o creare uno sport alternativo, ma umanizzarlo attraverso una visione cristiana dello sport. E per quale motivo? Abbiamo trovato la risposta nella frase emblematica di Papa San Giovanni Paolo II, nell’omelia per il Giubileo degli sportivi del 2000 (29 ottobre 2000): perché Gesù è “il vero atleta di Dio”.

È vero, la figura di Gesù, nel suo messaggio e nei suoi gesti, ha molto da offrire allo sport. Allo stesso modo, la Chiesa ha molto da imparare dal fenomeno sportivo. Questo è essenzialmente ciò che vogliamo ottenere con questo Convegno internazionale, portando qui non solo voci dall'interno della Chiesa, ma anche voci esterne alla Chiesa che ci aiuteranno con le loro riflessioni. Si tratta di un bellissimo esercizio di “sinodalità sportiva”. E così si rischia una cultura dell’incontro, come sottolinea Papa Francesco.

A questo proposito, vorrei ringraziare in modo particolare la Mme. Florence Mangin, Ambasciatrice di Francia presso la Santa Sede, per aver accettato di organizzare insieme questo Convegno. È la prova che lo sport ha anche un valore diplomatico e di servizio alla pace. Spero che questo Convegno possa essere anche un contributo alla società internazionale e, particolarmente, francese, che quest'anno ospiterà il più grande evento sportivo, i Giochi Olimpici di Parigi 2024.

[00727-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Intervento di S.E. la Signora Florence Mangin

L'Ambasciata di Francia presso la Santa Sede è onorata di associarsi al Dicastero per la Cultura e l'Educazione in questo anno olimpico. È la prima volta e ne sono molto orgogliosa. Nell'attuale contesto di guerre che dilaniano il nostro mondo, l'olimpismo è anzitutto un messaggio di pace e l’impegno della Chiesa universale, come quello della Francia, è essenziale.

Il ruolo della Chiesa nella promozione dell’olimpismo è risaputo. Come rivelato da Pierre de Coubertin, il motto dei giochi fu concepito da un religioso domenicano francese, Padre Henri Didon.

Essendo nella sala stampa della Santa Sede, mi permetto di ricordare che i giochi di Parigi del 1924 si aprirono, al pari dei precedenti, con una messa olimpica celebrata nella Cattedrale Notre-Dame. Nel 2024, la Chiesa dei Giochi sarà quella della Madeleine a Parigi, dove si celebrerà a partire dal 19 luglio la messa di apertura della Tregua Olimpica, mentre il 4 agosto un evento interreligioso si svolgerà sul sagrato della Cattedrale Notre-Dame, ancora chiusa.

Il preambolo della Carta olimpica definisce l’Olimpismo. Lo cito: “L'Olimpismo è una filosofia di vita, che esalta e unisce in un insieme equilibrato le qualità del corpo, della volontà e della mente. Mescolando lo sport con la cultura e l'educazione, l'Olimpismo vuole essere creatore di uno stile di vita basato sulla gioia nello sforzo, sul valore educativo del buon esempio, sulla responsabilità sociale e sul rispetto dei principi etici fondamentali universali”. È facile avvicinare tale definizione alle grandi linee di Fratelli Tutti.

I Giochi di Parigi 2024 riprenderanno questi grandi orientamenti, ponendo l'accento sulla sobrietà delle installazioni, sull'inclusività, con una sola squadra di Francia che riunisce gli atleti olimpici e paralimpici e con un'attenzione particolare ai più poveri. S’impegneranno ad essere anche durevoli, con la promozione dello sport nella vita quotidiana dei giovani e come mezzo di inclusione sociale. Infine, saranno completamente paritari riguardo agli atleti olimpici, con tanti atleti uomini quante atlete donne.

Il convegno Mettere la vita in Gioco ci permetterà di affrontare alcune delle sfide della pratica sportiva nel XXI secolo. Il pomeriggio del giovedì 16 maggio sarà dedicato al ruolo dello sport nell'azione della Chiesa, un ruolo antichissimo dove i patrocini hanno svolto e svolgono tuttora un ruolo importante in Francia. Poi, venerdì 17 maggio, affronteremo le implicazioni di una certa tecnicizzazione della pratica sportiva, portata avanti dalla costante ricerca della performance se non del record. I folgoranti progressi degli atleti paralimpici, sempre meglio equipaggiati, forniscono una visione eccezionale sul divenire del corpo umano, che alcuni già desiderano aumentare.

Insieme al Dicastero, abbiamo invitato i più importanti pensatori, associandosi all'Istituto Nazionale dello Sport e dell'Educazione Fisica (INSEP) che già riflette su questo futuro mettendo in gioco la filosofia del vivente. Parallelamente a questo incontro, l'artista Jean-Charles de Quillacq (residente della Villa Medici, altro partner di questi incontri) proporrà una performance sul tema «tra corpo performato e corpo performante».

Sabato 18 maggio, passeremo alla pratica, vivendo una giornata sportiva inclusiva, con una “Staffetta della solidarietà” organizzata, alle ore 17, sulla pista del Circo Massimo. Torneremo su questo evento in occasione di una prossima conferenza stampa, quindi, al momento, non ne dico di più.

Ovviamente siete tutti invitati, e lo siete dall'apostolo stesso: “Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo!”

Vorrei ringraziare molto sinceramente i fautori di questo progetto: il Dicastero per la Cultura e l'Educazione, l’Assessorato ai Grandi Eventi, Sport, Turismo e Moda di Roma Capitale, nella persona dell’Assessore Alessandro Onorato, i Pii Stabilimenti della Francia a Roma e a Loreto, l'Istituto francese Centro San Luigi, l’Athletica Vaticana, Sport senza frontiere, MG Sport, l'Istituto Nazionale dello Sport e dell'Educazione Fisica e la Villa Medici.

[00728-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Intervento del Dott. Emanuele Isidori

Partendo della rielaborazione del concetto espresso dal filosofo francese Jacques Derrida, lo sport si configura come una pratica che assomiglia a un pharmakon: non è intrinsecamente né un bene né un male. Questa attività, intrinseca alla natura umana, permette di definire l’uomo come un animal sportif, evidenziando il suo profondo legame con la società. Di conseguenza, l'umanizzazione dello sport richiede una riflessione critica sulla società e sulle istituzioni che lo utilizzano per manifestarne i benefici intrinseci. Nonostante lo sport incarni un DNA intrinsecamente pedagogico, è fondamentale che i valori sociali ed educativi, che ne sono il cuore, vengano espressi concretamente. Questo compito spetta agli agenti sociali, che devono evolversi in veri agenti educativi, trascendendo la semplice socializzazione.

Pertanto, considerare lo sport come una sfida per l’umanizzazione rappresenta un errore concettuale. Non è lo sport in sé a dover essere umanizzato — esso è già permeato di umanità — ma è la società che deve apprendere come valorizzare e sfruttare i principi intrinseci dello sport in modo umanizzante. Finché la società non abbraccerà pienamente i valori dell'umanità, lo sport rischierà sempre di essere percepito in chiave deumanizzante, diventando portatore di quello che può essere considerato il disvalore supremo dello sport: la disumanizzazione. Molti esempi possono essere fatti in tal senso.

In questo contesto, come possiamo, allora, garantire un approccio umanizzante allo sport, evitando di cadere nella trappola della disumanizzazione e, paradossalmente, essere una fonte di spiritualità?

Il convegno che abbiamo organizzato mira a riflettere su questo fenomeno da un punto di vista telescopico e microscopico, in altre parole: vedere lo sport oltre lo sport. Più precisamente, per comprenderne le radici culturali, individuarne i rischi, apprezzarne l'importanza nella costruzione di una società più fraterna, valutarne il potenziale pedagogico e, soprattutto, approfondirne la rilevanza spirituale.

In questo senso, il convegno si propone di offrire un’analisi poliedrica dello sport nello spazio di tre giorni. La prima giornata (16 maggio) affronterà il rapporto tra “Chiesa e Sport”, attraverso la condivisione della testimonianza di atleti di alto livello e di alcune esperienze pastorali concrete che mettono lo sport al servizio del Vangelo e il Vangelo al servizio dello sport. In verità, il rapporto della Chiesa con lo sport non è recente, ma antico: dalle lettere di San Paolo, agli scritti dei Padri della Chiesa, dai decreti dei concili medievali ai moderni pronunciamenti pontifici, la Chiesa ha sempre tenuto conto di questo fenomeno culturale.

La seconda giornata (17 maggio) si concentrerà sul rapporto tra “Uomo e Sport”, attraverso la riflessione di un gruppo di relatori altamente qualificati provenienti da università italiane e francesi, che discuteranno dello sport in termini di rilevanza pedagogica, filosofica, sociologica e teologica. Perché lo sport, oltre ad essere una pratica, è anche una teoria, come sappiamo tutti.

La terza giornata (18 maggio) avrà una dimensione più pratica, e vedrà l’organizzazione di un evento sportivo di solidarietà (la staffetta della fraternità) per mostrare alla società civile la rilevanza sociale dello sport stesso.

Con il programma che presentiamo oggi, pertanto, intendiamo offrire una riflessione aggiornata sullo sport, mostrando come esso rappresenti, di fatto, uno specchio della società che tutti noi vogliamo costruire.

[00729-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Intervento del Dott. Arturo Mariani

1. Introduzione: Il dono della vita

Siamo abituati a pensare allo sport come a un esercizio fisico o a una forma di competizione, ma credo possa (e debba) essere molto di più̀.

Nella mia vita è stato un cammino di scoperta personale, di realizzazione e di connessione col divino.

La mia storia inizia ancor prima della mia nascita, quando i miei genitori ricevettero la notizia che sarei venuto al mondo con una sola gamba, e altre possibili malformazioni. La loro decisione di accogliere la mia vita così com'era, senza riserve o rimpianti, ha posto le basi del mio rapporto con l’affidamento e la fiducia in un disegno superiore. Questo atto di fede e accoglienza ha plasmato il mio approccio alla vita, e quindi allo sport; insegnandomi che ogni sfida può̀ essere trasformata in un'opportunità̀ per crescere e superare i propri limiti.

2. Cambiare il paradigma attraverso il linguaggio

Molto ha a che fare con la percezione che abbiamo di quello che facciamo, o con la comprensione che abbiamo di noi stessi. È chiaro: finché approcciamo lo sport come a un’attività̀ fisica, solo dei tendini e dei muscoli, cioè̀ che produrrà̀ in noi sarà̀ sterile e materiale. Ma noi non siamo solo materia: non siamo solo identità̀, non siamo la nostra diagnosi.

Nel tempo infatti mi sono chiesto spesso se fossi solamente “Arturo, quello senza una gamba”, “Arturo, disabile”, e in che modo quindi la mia condizione limitasse le mie possibilità̀: sportive, e perciò̀ nella vita. Questo mi ha insegnato a porre attenzione al nostro linguaggio.

Non credo sia un caso che Giovanni dia il via al suo Vangelo dicendoci che “In principio era il verbo” — per me, quel verbo è sempre stato l’idea del nostro essere; la nostra sostanza: l’idea che possiamo esistere solo nel momento in cui comprendiamo chi siamo. Su un campo da gioco e non solo.

E così, con fiducia e abbandono totale ho potuto comprendere nel tempo, grazie alla fede, che il linguaggio poteva essere alla base del mio percorso sportivo, e di vita.

Oggi sono “Arturo con una gamba, non senza, e ho proposto la parola Probabilità̀ per cambiare la percezione delle persone riguardo il concetto di disabilità. “Pro”, e perciò̀ a favore delle abilità uniche della persona, e non più̀ “DIS” che porta distinzione, separazione, esclusione.”

La Probabilità̀ è un concetto che appartiene a tutti, una mentalità̀ che apre alla conoscenza reale della nostra persona come entità̀ spirituale, che attraverso lo sport, attraverso il Sacrificio, il “Sacro-fare”, entra in connessione con se stesso e con gli altri.

Sono felice che oggi questo concetto sia diventato reale con l’Academy Proabile: un’isola felice dove tutti possono esprimersi attraverso lo sport, in base alla loro condizione psicofisica, dove si può incontrare l’altro come compagno di squadra, come avversario, ma soprattutto come persona unica e parte di una comunità̀, di un insieme più̀ grande.

3. Lo sport come espansione spirituale

Se lo sport ci aiuta a capire chi siamo, giocare e allenarci può̀ diventare una forma di preghiera, nel momento in cui ci permette di esprimerci con semplicità̀ e unicità̀ puoi esprimerti senza filtri, con divertimento, con dedizione, come si fa per il gioco, con regole e valori.

È così che ho realizzato il mio sogno impossibile di giocare a calcio, entrando a far parte della Nazionale Italiana di Calcio Amputati, disputando un mondiale e un europeo. E oggi giro il mondo: tra scuole e parrocchie, giovani e adulti, per ispirare gli altri a vivere una vita piena, con gioia e fede, anche attraverso lo sport.

4. Conclusione

Quando mi trovavo sul campo da calcio, non ero solo un giocatore, ma parte di una danza cosmica in cui ogni passo, ogni dribbling, ogni gol, era una connessione più̀ grande. In quei momenti di completa armonia con il presente ho sperimentato una connessione profonda con il creato, sentendomi parte integrante di un disegno più grande di me stesso. Una sensazione che non ha assolutamente eguali.

[00755-IT.01] [Testo originale: Italiano]

[B0364-XX.02]