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Messaggio del Santo Padre per la 61ª Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, 19.03.2024


Messaggio del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Il 21 aprile 2024, IV Domenica di Pasqua, si celebra la 61a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni sul tema “Chiamati a seminare la speranza e a costruire la pace”.

Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Francesco ha inviato per l’occasione ai Vescovi, ai sacerdoti, ai consacrati ed ai fedeli di tutto il mondo:

Messaggio del Santo Padre

Chiamati a seminare la speranza e a costruire la pace

Cari fratelli e sorelle!

La Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni ci invita, ogni anno, a considerare il dono prezioso della chiamata che il Signore rivolge a ciascuno di noi, suo popolo fedele in cammino, perché possiamo prendere parte al suo progetto d’amore e incarnare la bellezza del Vangelo nei diversi stati di vita. Ascoltare la chiamata divina, lungi dall’essere un dovere imposto dall’esterno, magari in nome di un’ideale religioso; è invece il modo più sicuro che abbiamo di alimentare il desiderio di felicità che ci portiamo dentro: la nostra vita si realizza e si compie quando scopriamo chi siamo, quali sono le nostre qualità, in quale campo possiamo metterle a frutto, quale strada possiamo percorrere per diventare segno e strumento di amore, di accoglienza, di bellezza e di pace, nei contesti in cui viviamo.

Così, questa Giornata è sempre una bella occasione per ricordare con gratitudine davanti al Signore l’impegno fedele, quotidiano e spesso nascosto di coloro che hanno abbracciato una chiamata che coinvolge tutta la loro vita. Penso alle mamme e ai papà che non guardano anzitutto a sé stessi e non seguono la corrente di uno stile superficiale, ma impostano la loro esistenza sulla cura delle relazioni, con amore e gratuità, aprendosi al dono della vita e ponendosi al servizio dei figli e della loro crescita. Penso a quanti svolgono con dedizione e spirito di collaborazione il proprio lavoro; a coloro che si impegnano, in diversi campi e modi, per costruire un mondo più giusto, un’economia più solidale, una politica più equa, una società più umana: a tutti gli uomini e le donne di buona volontà che si spendono per il bene comune. Penso alle persone consacrate, che offrono la propria esistenza al Signore nel silenzio della preghiera come nell’azione apostolica, talvolta in luoghi di frontiera e senza risparmiare energie, portando avanti con creatività il loro carisma e mettendolo a disposizione di coloro che incontrano. E penso a coloro che hanno accolto la chiamata al sacerdozio ordinato e si dedicano all’annuncio del Vangelo e spezzano la propria vita, insieme al Pane eucaristico, per i fratelli, seminando speranza e mostrando a tutti la bellezza del Regno di Dio.

Ai giovani, specialmente a quanti si sentono lontani o nutrono diffidenza verso la Chiesa, vorrei dire: lasciatevi affascinare da Gesù, rivolgetegli le vostre domande importanti, attraverso le pagine del Vangelo, lasciatevi inquietare dalla sua presenza che sempre ci mette beneficamente in crisi. Egli rispetta più di ogni altro la nostra libertà, non si impone ma si propone: lasciategli spazio e troverete la vostra felicità nel seguirlo e, se ve lo chiederà, nel donarvi completamente a Lui.

Un popolo in cammino

La polifonia dei carismi e delle vocazioni, che la Comunità cristiana riconosce e accompagna, ci aiuta a comprendere pienamente la nostra identità di cristiani: come popolo di Dio in cammino per le strade del mondo, animati dallo Spirito Santo e inseriti come pietre vive nel Corpo di Cristo, ciascuno di noi si scopre membro di una grande famiglia, figlio del Padre e fratello e sorella dei suoi simili. Non siamo isole chiuse in sé stesse, ma siamo parti del tutto. Perciò, la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni porta impresso il timbro della sinodalità: molti sono i carismi e siamo chiamati ad ascoltarci reciprocamente e a camminare insieme per scoprirli e per discernere a che cosa lo Spirito ci chiama per il bene di tutti.

Nel presente momento storico, poi, il cammino comune ci conduce verso l’Anno Giubilare del 2025. Camminiamo come pellegrini di speranza verso l’Anno Santo, perché nella riscoperta della propria vocazione e mettendo in relazione i diversi doni dello Spirito, possiamo essere nel mondo portatori e testimoni del sogno di Gesù: formare una sola famiglia, unita nell’amore di Dio e stretta nel vincolo della carità, della condivisione e della fraternità.

Questa Giornata è dedicata, in particolare, alla preghiera per invocare dal Padre il dono di sante vocazioni per l’edificazione del suo Regno: «Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!» (Lc 10,2). E la preghiera – lo sappiamo – è fatta più di ascolto che di parole rivolte a Dio. Il Signore parla al nostro cuore e vuole trovarlo aperto, sincero e generoso. La sua Parola si è fatta carne in Gesù Cristo, il quale ci rivela e ci comunica tutta la volontà del Padre. In quest’anno 2024, dedicato proprio alla preghiera in preparazione al Giubileo, siamo chiamati a riscoprire il dono inestimabile di poter dialogare con il Signore, da cuore a cuore, diventando così pellegrini di speranza, perché «la preghiera è la prima forza della speranza. Tu preghi e la speranza cresce, va avanti. Io direi che la preghiera apre la porta alla speranza. La speranza c’è, ma con la mia preghiera apro la porta» (Catechesi, 20 maggio 2020).

Pellegrini di speranza e costruttori di pace

Ma cosa vuol dire essere pellegrini? Chi intraprende un pellegrinaggio cerca anzitutto di avere chiara la meta, e la porta sempre nel cuore e nella mente. Allo stesso tempo, però, per raggiungere quel traguardo, occorre concentrarsi sul passo presente, per affrontare il quale bisogna essere leggeri, spogliarsi dei pesi inutili, portare con sé l’essenziale e lottare ogni giorno perché la stanchezza, la paura, l’incertezza e le oscurità non blocchino il cammino intrapreso. Così, essere pellegrini significa ripartire ogni giorno, ricominciare sempre, ritrovare l’entusiasmo e la forza di percorrere le varie tappe del percorso che, nonostante le fatiche e le difficoltà, sempre aprono davanti a noi orizzonti nuovi e panorami sconosciuti.

Il senso del pellegrinaggio cristiano è proprio questo: siamo posti in cammino alla scoperta dell’amore di Dio e, nello stesso tempo, alla scoperta di noi stessi, attraverso un viaggio interiore ma sempre stimolato dalla molteplicità delle relazioni. Dunque, pellegrini perché chiamati: chiamati ad amare Dio e ad amarci gli uni gli altri. Così, il nostro camminare su questa terra non si risolve mai in un affaticarsi senza scopo o in un vagare senza meta; al contrario, ogni giorno, rispondendo alla nostra chiamata, cerchiamo di fare i passi possibili verso un mondo nuovo, dove si viva in pace, nella giustizia e nell’amore. Siamo pellegrini di speranza perché tendiamo verso un futuro migliore e ci impegniamo a costruirlo lungo il cammino.

Questo è, alla fine, lo scopo di ogni vocazione: diventare uomini e donne di speranza. Come singoli e come comunità, nella varietà dei carismi e dei ministeri, siamo tutti chiamati a “dare corpo e cuore” alla speranza del Vangelo in un mondo segnato da sfide epocali: l’avanzare minaccioso di una terza guerra mondiale a pezzi; le folle di migranti che fuggono dalla loro terra alla ricerca di un futuro migliore; il costante aumento dei poveri; il pericolo di compromettere in modo irreversibile la salute del nostro pianeta. E a tutto ciò si aggiungono le difficoltà che incontriamo quotidianamente e che, a volte, rischiano di gettarci nella rassegnazione o nel disfattismo.

In questo nostro tempo, allora, è decisivo per noi cristiani coltivare uno sguardo pieno di speranza, per poter lavorare con frutto, rispondendo alla vocazione che ci è stata affidata, al servizio del Regno di Dio, Regno di amore, di giustizia e di pace. Questa speranza – ci assicura San Paolo – «non delude» (Rm 5,5), perché si tratta della promessa che il Signore Gesù ci ha fatto di restare sempre con noi e di coinvolgerci nell’opera di redenzione che Egli vuole compiere nel cuore di ogni persona e nel “cuore” del creato. Tale speranza trova il suo centro propulsore nella Risurrezione di Cristo, che «contiene una forza di vita che ha penetrato il mondo. Dove sembra che tutto sia morto, da ogni parte tornano ad apparire i germogli della risurrezione. È una forza senza uguali. È vero che molte volte sembra che Dio non esista: vediamo ingiustizie, cattiverie, indifferenze e crudeltà che non diminuiscono. Però è altrettanto certo che nel mezzo dell’oscurità comincia sempre a sbocciare qualcosa di nuovo, che presto o tardi produce un frutto» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 276). Ancora l’apostolo Paolo afferma che «nella speranza» noi «siamo stati salvati» (Rm 8,24). La redenzione realizzata nella Pasqua dona la speranza, una speranza certa, affidabile, con la quale possiamo affrontare le sfide del presente.

Essere pellegrini di speranza e costruttori di pace, allora, significa fondare la propria esistenza sulla roccia della risurrezione di Cristo, sapendo che ogni nostro impegno, nella vocazione che abbiamo abbracciato e che portiamo avanti, non cade nel vuoto. Nonostante fallimenti e battute d’arresto, il bene che seminiamo cresce in modo silenzioso e niente può separarci dalla meta ultima: l’incontro con Cristo e la gioia di vivere nella fraternità tra di noi per l’eternità. Questa chiamata finale dobbiamo anticiparla ogni giorno: la relazione d’amore con Dio e con i fratelli e le sorelle inizia fin d’ora a realizzare il sogno di Dio, il sogno dell’unità, della pace e della fraternità. Nessuno si senta escluso da questa chiamata! Ciascuno di noi, nel suo piccolo, nel suo stato di vita può essere, con l’aiuto dello Spirito Santo, seminatore di speranza e di pace.

Il coraggio di mettersi in gioco

Per tutto questo dico, ancora una volta, come durante la Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona: “Rise up! – Alzatevi!”. Svegliamoci dal sonno, usciamo dall’indifferenza, apriamo le sbarre della prigione in cui a volte ci siamo rinchiusi, perché ciascuno di noi possa scoprire la propria vocazione nella Chiesa e nel mondo e diventare pellegrino di speranza e artefice di pace! Appassioniamoci alla vita e impegniamoci nella cura amorevole di coloro che ci stanno accanto e dell’ambiente che abitiamo. Ve lo ripeto: abbiate il coraggio di mettervi in gioco! Don Oreste Benzi, un infaticabile apostolo della carità, sempre dalla parte degli ultimi e degli indifesi, ripeteva che nessuno è così povero da non aver qualcosa da dare, e nessuno è così ricco da non aver bisogno di ricevere qualcosa.

Alziamoci, dunque, e mettiamoci in cammino come pellegrini di speranza, perché, come Maria fece con Santa Elisabetta, anche noi possiamo portare annunci di gioia, generare vita nuova ed essere artigiani di fraternità e di pace.

Roma, San Giovanni in Laterano, 21 aprile 2024, IV Domenica di Pasqua.

FRANCESCO

[00479-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Appelés à semer l’espérance et à construire la paix

Chers frères et sœurs !

La Journée mondiale de Prière pour les Vocations nous invite, chaque année, à considérer le don précieux de l’appel que le Seigneur adresse à chacun de nous, son peuple fidèle en chemin, pour que nous puissions prendre part à son projet d’amour et incarner la beauté de l’Évangile dans les différents états de vie. Écouter l’appel divin, c’est loin d’être un devoir imposé de l’extérieur, peut-être au nom d’un idéal religieux ; c’est au contraire la manière la plus sûre que nous ayons d’alimenter le désir de bonheur que nous portons en nous : notre vie se réalise et s’accomplit quand nous découvrons qui nous sommes, quelles sont nos qualités, dans quel domaine nous pouvons les mettre à profit, quelle route nous pouvons parcourir pour devenir signe et instrument d’amour, d’accueil, de beauté et de paix, dans les contextes où nous vivons.

Ainsi, cette Journée est toujours une belle occasion de rappeler avec gratitude devant le Seigneur l’engagement fidèle, quotidien et souvent caché de ceux qui ont embrassé un appel qui engage toute leur vie. Je pense aux mères et aux pères qui ne pensent pas d’abord à eux-mêmes et qui ne suivent pas le courant d’un style superficiel, mais qui configurent leur existence sur le soin des relations, avec amour et gratuité, en s’ouvrant au don de la vie et en se mettant au service des enfants et de leur croissance. Je pense à ceux qui accomplissent leur travail avec dévouement et esprit de collaboration ; à ceux qui s’engagent, dans divers domaines et de différentes manières, pour construire un monde plus juste, une économie plus solidaire, une politique plus équitable, une société plus humaine : à tous les hommes et femmes de bonne volonté qui se dépensent pour le bien commun. Je pense aux personnes consacrées, qui offrent leur existence au Seigneur dans le silence de la prière comme dans l’action apostolique, parfois dans des zones frontalières et sans épargner leurs énergies, en faisant progresser leur charisme avec créativité et en le mettant à la disposition de ceux qu’ils rencontrent. Et je pense à ceux qui ont accueilli l’appel au sacerdoce ordonné et qui se consacrent à l’annonce de l’Évangile et qui rompent leur vie, avec le Pain eucharistique, pour leurs frères, en semant l’espérance et en montrant à tous la beauté du Royaume de Dieu.

Aux jeunes, en particulier à ceux qui se sentent éloignés ou qui nourrissent une méfiance envers l’Église, je voudrais dire : laissez-vous fasciner par Jésus, adressez-lui vos questions importantes, à travers les pages de l’Évangile, laissez-vous inquiéter par sa présence qui nous met toujours salutairement en crise. Il respecte plus que tout autre notre liberté, il ne s’impose pas mais se propose : laissez-lui de l’espace et vous trouverez votre bonheur en le suivant et, s’il vous le demande, en vous donnant complètement à Lui.

Un peuple en marche

La polyphonie des charismes et des vocations, que la communauté chrétienne reconnaît et accompagne, nous aide à comprendre pleinement notre identité de chrétiens : comme peuple de Dieu en marche sur les routes du monde, animés par l’Esprit Saint et inséré comme des pierres vivantes dans le Corps du Christ, chacun de nous se découvre membre d’une grande famille, fils du Père et frère et sœur de ses semblables. Nous ne sommes pas des îles fermées sur elles-mêmes, mais des parties du tout. C’est pourquoi la Journée Mondiale de Prière pour les Vocations porte gravé le sceau de la synodalité : nombreux sont les charismes et nous sommes appelés à nous écouter réciproquement et à marcher ensemble pour les découvrir et pour discerner à quoi l’Esprit nous appelle pour le bien de tous.

Dans le moment historique présent, le chemin commun nous conduit vers l’Année jubilaire de 2025. Marchons comme pèlerins d’espérance vers l’Année Sainte, afin que dans la redécouverte de notre vocation et en mettant en relation les différents dons de l’Esprit, nous puissions être dans le monde porteurs et témoins du rêve de Jésus : former une seule famille, unie dans l’amour de Dieu et étroite dans le lien de la charité, du partage et de la fraternité.

Cette Journée est consacrée, en particulier, à la prière pour invoquer du Père le don de saintes vocations pour l’édification de son Royaume : « Priez donc le Maître de la moisson d’envoyer des ouvriers à sa moisson » (Lc 10, 2). Et la prière – nous le savons – est faite plus d’écoute que de paroles adressées à Dieu. Le Seigneur parle à notre cœur et veut le trouver ouvert, sincère et généreux. Sa Parole s’est faite chair en Jésus-Christ, qui nous révèle et qui nous communique toute la volonté du Père. En cette année 2024, consacrée précisément à la prière en préparation au Jubilé, nous sommes appelés à redécouvrir le don inestimable de pouvoir dialoguer avec le Seigneur, de cœur à cœur, devenant ainsi des pèlerins d’espérance, car « la prière est la première force de l’espérance. Tu pries et l’espérance grandit, tu vas de l’avant. Je dirais que la prière ouvre la porte à l’espérance. L’espérance est là, mais avec ma prière j’ouvre la porte » (Catéchèse, 20 mai 2020).

Pèlerins d’espérance et constructeurs de paix

Mais que signifie être pèlerins ? Celui qui entreprend un pèlerinage cherche d’abord à savoir clairement quel est le but, et il le porte toujours dans son cœur et dans son esprit. Mais en même temps, pour atteindre cet objectif, il faut se concentrer sur le pas présent. Pour l’accomplir cela il faut être léger, se dépouiller des poids inutiles, prendre avec soi l’essentiel et lutter chaque jour pour que la fatigue, la peur, l’incertitude et les ténèbres ne bloquent pas le chemin entrepris. Ainsi, être pèlerins signifie repartir chaque jour, toujours recommencer, retrouver l’enthousiasme et la force de parcourir les différentes étapes du parcours qui, malgré les peines et les difficultés, ouvrent toujours devant nous de nouveaux horizons et des panoramas inconnus.

Le sens du pèlerinage chrétien est précisément celui-ci : nous nous mettons en route à la découverte de l’amour de Dieu et, en même temps, à la découverte de nous-mêmes, à travers un voyage intérieur mais toujours stimulé par la multiplicité des relations. Donc, pèlerins parce qu’appelés : appelés à aimer Dieu et à nous aimer les uns les autres. Ainsi, notre marche sur cette terre ne se résout jamais dans une fatigue sans but ou dans des errements sans fin. Au contraire, chaque jour, en répondant à notre appel, nous essayons de faire les pas possibles vers un monde nouveau, où l’on vit en paix, dans la justice et l’amour. Nous sommes des pèlerins d’espérance parce que nous tendons vers un avenir meilleur et nous nous engageons à le construire le long du chemin.

C’est, à la fin, le but de toute vocation : devenir des hommes et des femmes d’espérance. En tant qu’individus et en tant que communauté, dans la variété des charismes et des ministères, nous sommes tous appelés à “donner corps et cœur” à l’espérance de l’Évangile dans un monde marqué par des défis historiques : l’avancée menaçante d’une troisième guerre mondiale par morceaux ; les foules de migrants qui fuient leurs terres à la recherche d’un avenir meilleur ; l’augmentation constante du nombre des pauvres ; le danger de compromettre irréversiblement la santé de notre planète. Et à tout cela s’ajoutent les difficultés que nous rencontrons quotidiennement et qui, parfois, risquent de nous jeter dans la résignation ou dans le défaitisme.

À notre époque, il est décisif pour nous chrétiens de cultiver un regard plein d’espérance, pour pouvoir travailler avec fruit, en répondant à la vocation qui nous a été confiée, au service du Royaume de Dieu, Royaume d’amour, de justice et de paix. Cette espérance – nous assure saint Paul – « ne déçoit point » (Rm 5, 5), car il s’agit de la promesse que le Seigneur Jésus nous a fait de demeurer toujours avec nous et de nous impliquer dans l’œuvre de rédemption qu’Il veut accomplir dans le cœur de chaque personne et dans le “cœur” de la création. Cette espérance trouve son centre moteur dans la Résurrection du Christ, qui « a une force de vie qui a pénétré le monde. Là où tout semble être mort, de partout, les germes de la résurrection réapparaissent. C’est une force sans égale. Il est vrai que souvent Dieu semble ne pas exister : nous constatons que l’injustice, la méchanceté, l’indifférence et la cruauté ne diminuent pas. Pourtant, il est aussi certain que dans l’obscurité commence toujours à germer quelque chose de nouveau, qui tôt ou tard produira du fruit » (Exhort.ap. Evangelii gaudium, n. 276). L’apôtre Paul affirme encore que « nous avons été sauvés, mais c’est en espérance » (Rm 8, 24). La rédemption réalisée à Pâques donne l’espérance, une espérance certaine, fiable, avec laquelle nous pouvons affronter les défis du présent.

Être pèlerins d’espérance et constructeurs de paix signifie alors fonder notre existence sur le roc de la résurrection du Christ, sachant que chacun de nos engagements, dans la vocation que nous avons embrassée et que nous portons en avant, ne tombe pas dans le vide. Malgré les échecs et les revers, le bien que nous semons grandit de manière silencieuse et rien ne peut nous séparer du but ultime : la rencontre avec le Christ et la joie de vivre dans la fraternité entre nous pour l’éternité. Cet appel final, nous devons l’anticiper chaque jour : la relation d’amour avec Dieu et avec nos frères et sœurs commence dès maintenant à réaliser le rêve de Dieu, le rêve de l’unité, de la paix et de la fraternité. Que personne ne se sente exclu de cet appel ! Chacun de nous, dans sa petitesse, dans son état de vie, peut être, avec l’aide de l’Esprit Saint, semeur d’espérance et de paix.

Le courage de s’impliquer

Pour tout cela, je dis encore une fois, comme lors des Journées Mondiales de la Jeunesse à Lisbonne : “Rise up ! – Levez-vous !”. Réveillons-nous du sommeil, sortons de l’indifférence, ouvrons les portes de la prison où nous nous sommes parfois enfermés, afin que chacun de nous puisse découvrir sa vocation dans l’Église et dans le monde et devenir pèlerin d’espérance et artisan de paix ! Attachons-nous à la vie et engageons-nous dans le soin affectueux de ceux qui nous entourent et de l’environnement dans lequel nous vivons. Je vous le répète : ayez le courage de vous impliquer ! Don Oreste Benzi, un infatigable apôtre de la charité, toujours du côté des derniers et des sans défense, répétait que personne n’est si pauvre qu’il n’aurait rien à offrir, et personne n’est si riche qu’il n’aurait pas besoin d’aide.

Levons-nous donc et mettons-nous en chemin comme pèlerins d’espérance, car, comme Marie le fit avec sainte Élisabeth, nous pouvons nous aussi apporter des annonces de joie, engendrer une vie nouvelle et être des artisans de fraternité et de paix.

Rome, Saint-Jean-de-Latran, le 21 avril 2024, 4ème Dimanche de Pâques

FRANÇOIS

[00479-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Called to sow seeds of hope and to build peace

Dear brothers and sisters!

Each year, the World Day of Prayer for Vocations invites us to reflect on the precious gift of the Lord’s call to each of us, as members of his faithful pilgrim people, to participate in his loving plan and to embody the beauty of the Gospel in different states of life. Hearing that divine call, which is far from being an imposed duty – even in the name of a religious ideal – is the surest way for us to fulfil our deepest desire for happiness. Our life finds fulfilment when we discover who we are, what our gifts are, where we can make them bear fruit, and what path we can follow in order to become signs and instruments of love, generous acceptance, beauty and peace, wherever we find ourselves.

This Day, then, is always a good occasion to recall with gratitude to the Lord the faithful, persevering and frequently hidden efforts of all those who have responded to a call that embraces their entire existence. I think of mothers and fathers who do not think first of themselves or follow fleeting fads of the moment, but shape their lives through relationships marked by love and graciousness, openness to the gift of life and commitment to their children and their growth in maturity. I think of all those who carry out their work in a spirit of cooperation with others, and those who strive in various ways to build a more just world, a more solidary economy, a more equitable social policy and a more humane society. In a word, of all those men and women of good will who devote their lives to working for the common good. I think too of all those consecrated men and women who offer their lives to the Lord in the silence of prayer and in apostolic activity, sometimes on the fringes of society, tirelessly and creatively exercising their charism by serving those around them. And I think of all those who have accepted God’s call to the ordained priesthood, devoting themselves to the preaching of the Gospel, breaking open their own lives, together with the bread of the Eucharist, for their brothers and sisters, sowing seeds of hope and revealing to all the beauty of God’s kingdom.

To young people, and especially those who feel distant or uncertain about the Church, I want to say this: Let Jesus draw you to himself; bring him your important questions by reading the Gospels; let him challenge you by his presence, which always provokes in us a healthy crisis. More than anyone else, Jesus respects our freedom. He does not impose, but proposes. Make room for him and you will find the way to happiness by following him. And, should he ask it of you, by giving yourself completely to him.

A people on the move

The polyphony of diverse charisms and vocations that the Christian community recognizes and accompanies helps us to appreciate more fully what it means to be Christians. As God’s people in this world, guided by his Holy Spirit, and as living stones in the Body of Christ, we come to realize that we are members of a great family, children of the Father and brothers and sisters of one another. We are not self-enclosed islands but parts of a greater whole. In this sense, the World Day of Prayer for Vocations has a synodal character: amid the variety of our charisms, we are called to listen to one another and to journey together in order to acknowledge them and to discern where the Spirit is leading us for the benefit of all.

At this point in time, then, our common journey is bringing us to the Jubilee Year of 2025. Let us travel as pilgrims of hope towards the Holy Year, for by discovering our own vocation and its place amid the different gifts bestowed by the Spirit, we can become for our world messengers and witnesses of Jesus’ dream of a single human family, united in God’s love and in the bond of charity, cooperation and fraternity.

This Day is dedicated in a particular way to imploring from the Father the gift of holy vocations for the building up of his Kingdom: “Ask the Lord of the harvest to send out labourers into his harvest” (Lk 10:2). Prayer – as we all know – is more about listening to God than about talking to him. The Lord speaks to our heart, and he wants to find it open, sincere and generous. His Word became flesh in Jesus Christ, who reveals to us the entire will of the Father. In this present year, devoted to prayer and preparation for the Jubilee, all of us are called to rediscover the inestimable blessing of our ability to enter into heartfelt dialogue with the Lord and thus become pilgrims of hope. For “prayer is the first strength of hope. You pray and hope grows, it moves forward. I would say that prayer opens the door to hope. Hope is there, but by my prayer I open the door” (Catechesis, 20 May 2020).

Pilgrims of hope and builders of peace

Yet what does it mean to be pilgrims? Those who go on pilgrimage seek above all to keep their eyes fixed on the goal, to keep it always in their mind and heart. To achieve that goal, however, they need to concentrate on every step, which means travelling light, getting rid of what weighs them down, carrying only the essentials and striving daily to set aside all weariness, fear, uncertainty and hesitation. Being a pilgrim means setting out each day, beginning ever anew, rediscovering the enthusiasm and strength needed to pursue the various stages of a journey that, however tiring and difficult, always opens before our eyes new horizons and previously unknown vistas.

This is the ultimate meaning of our Christian pilgrimage: we set out on a journey to discover the love of God and at the same time to discover ourselves, thanks to an interior journey nourished by our relationships with others. We are pilgrims because we have been called: called to love God and to love one another. Our pilgrimage on this earth is far from a pointless journey or aimless wandering; on the contrary, each day, by responding to God’s call, we try to take every step needed to advance towards a new world where people can live in peace, justice and love. We are pilgrims of hope because we are pressing forward towards a better future, committed at every step to bringing it about.

This is, in the end, the goal of every vocation: to become men and women of hope. As individuals and as communities, amid the variety of charisms and ministries, all of us are called to embody and communicate the Gospel message of hope in a world marked by epochal challenges. These include the baneful spectre of a third world war fought piecemeal; the flood of migrants fleeing their homelands in search of a better future; the burgeoning numbers of the poor; the threat of irreversibly compromising the health of our planet. To say nothing of all the difficulties we encounter each day, which at times risk plunging us into resignation or defeatism.

In our day, then, it is decisive that we Christians cultivate a gaze full of hope and work fruitfully in response to the vocation we have received, in service to God’s kingdom of love, justice and peace. This hope – Saint Paul tells us – “does not disappoint” (Rom 5:5), since it is born of the Lord’s promise that he will remain always with us and include us in the work of redemption that he wants to accomplish in the heart of each individual and in the “heart” of all creation. This hope finds its propulsive force in Christ’s resurrection, which “contains a vital power which has permeated this world. Where all seems to be dead, signs of the resurrection suddenly spring up. It is an irresistible force. Often it seems that God does not exist: all around us, we see persistent injustice, evil, indifference and cruelty. But it is also true that in the midst of darkness something new always springs to life and sooner or later produces fruit” (Evangelii Gaudium, 276). Again, the Apostle Paul tells us that, “in hope we were saved” (Rom 8:24). The redemption accomplished in the paschal mystery is a source of hope, a sure and trustworthy hope, thanks to which we can face the challenges of the present.

To be pilgrims of hope and builders of peace, then, means to base our lives on the rock of Christ’s resurrection, knowing that every effort made in the vocation that we have embraced and seek to live out, will never be in vain. Failures and obstacles may arise along the way, but the seeds of goodness we sow are quietly growing and nothing can separate us from the final goal: our encounter with Christ and the joy of living for eternity in fraternal love. This ultimate calling is one that we must anticipate daily: even now our loving relationship with God and our brothers and sisters is beginning to bring about God’s dream of unity, peace and fraternity. May no one feel excluded from this calling! Each of us in our own small way, in our particular state of life, can, with the help of the Spirit, be a sower of seeds of hope and peace.

The courage to commit

In this light, I would say once more, as I did at World Youth Day in Lisbon: “Rise up!” Let us awaken from sleep, let us leave indifference behind, let us open the doors of the prison in which we so often enclose ourselves, so that each of us can discover his or her proper vocation in the Church and in the world, and become a pilgrim of hope and a builder of peace! Let us be passionate about life, and commit ourselves to caring lovingly for those around us, in every place where we live. Let me say it again: “Have the courage to commit!” Father Oreste Benzi, a tireless apostle of charity, ever on the side of the poor and the defenseless, used to say that no one is so poor as to have nothing to give, and no one is so rich as not to need something to receive.

Let us rise up, then, and set out as pilgrims of hope, so that, as Mary was for Elizabeth, we too can be messengers of joy, sources of new life and artisans of fraternity and peace.

Rome, Saint John Lateran, 21 April 2024, Fourth Sunday of Easter.

FRANCIS

[00479-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Berufen, Hoffnung zu säen und Frieden zu schaffen

Liebe Brüder und Schwestern!

Der Weltgebetstag um geistliche Berufungen lädt uns jedes Jahr dazu ein, über das kostbare Geschenk des Rufs nachzudenken, den der Herr an einen jeden von uns richtet, an sein gläubiges Volk, das sich auf dem Weg befindet, damit wir an seinem Plan der Liebe teilhaben und die Schönheit des Evangeliums in den verschiedenen Lebensständen Gestalt annehmen lassen können. Auf den göttlichen Ruf zu hören, ist keineswegs eine von außen auferlegte Pflicht, vielleicht im Namen eines religiösen Ideals, es ist vielmehr der sicherste Weg, den wir haben, um die Sehnsucht nach Glück zu nähren, die wir in uns tragen: Unser Leben verwirklicht und erfüllt sich, wenn wir entdecken, wer wir sind, welches unsere Stärken sind, in welchem Bereich wir sie fruchtbar werden lassen können, welchen Weg wir gehen können, um in unserem jeweiligen Lebensumfeld ein Zeichen und ein Werkzeug der Liebe, der Gastfreundschaft, der Schönheit und des Friedens zu werden.

So ist dieser Tag stets eine schöne Gelegenheit, sich vor dem Herrn mit Dankbarkeit an das treue, tägliche und oft verborgene Engagement derjenigen zu erinnern, die eine Berufung angenommen haben, die ihr ganzes Leben einbezieht. Ich denke an die Mütter und Väter, die nicht in erster Linie auf sich selbst schauen und nicht dem Strom eines oberflächlichen Stils folgen, sondern ihr Leben darauf ausrichten, sich mit Liebe und Selbstlosigkeit um Beziehungen zu kümmern, indem sie sich dem Geschenk des Lebens öffnen und sich in den Dienst ihrer Kinder und deren Heranwachsens stellen. Ich denke an all diejenigen, die ihre Arbeit mit Hingabe und im Geiste der Zusammenarbeit verrichten; an diejenigen, die sich in verschiedenen Bereichen und auf unterschiedliche Weise für den Aufbau einer gerechteren Welt, einer solidarischeren Wirtschaft, einer faireren Politik und einer menschlicheren Gesellschaft einsetzen: an alle Männer und Frauen guten Willens, die sich dem Gemeinwohl verschrieben haben. Ich denke an die Personen des geweihten Lebens, die ihr Leben dem Herrn in der Stille des Gebets wie auch im apostolischen Wirken hingeben, manchmal in Randgebieten und ohne sich zu schonen, indem sie ihr Charisma kreativ entfalten und es jenen zur Verfügung stellen, denen sie begegnen. Und ich denke an diejenigen, die die Berufung zum Weihepriestertum angenommen haben und sich der Verkündigung des Evangeliums widmen und ihr Leben zusammen mit dem eucharistischen Brot für ihre Brüder und Schwestern hingeben, indem sie Hoffnung säen und allen die Schönheit des Reiches Gottes aufzeigen.

Den jungen Menschen, vor allem denjenigen, die der Kirche fernstehen oder Misstrauen gegen sie hegen, möchte ich sagen: Lasst euch von Jesus faszinieren, stellt ihm durch die Seiten des Evangeliums eure wichtigen Fragen, lasst euch von seiner Gegenwart aufrütteln, die uns immer in wohltuender Weise in Frage stellt. Er respektiert unsere Freiheit mehr als jeder andere, er drängt sich nicht auf, sondern bietet sich selbst an: Gebt ihm Raum und ihr werdet euer Glück darin finden, ihm zu folgen und, falls er euch darum bittet, euch ihm ganz hinzugeben.

Ein Volk auf dem Weg

Die Vielstimmigkeit der Charismen und Berufungen, die die christliche Gemeinschaft anerkennt und unterstützt, hilft uns, unsere Identität als Christen voll und ganz zu verstehen: Als Volk Gottes, das auf den Straßen der Welt unterwegs ist, beseelt vom Heiligen Geist und als lebendige Steine in den Leib Christi eingefügt, entdeckt sich ein jeder von uns als Mitglied einer großen Familie, als Kind des Vaters und als Bruder und Schwester unserer Mitmenschen. Wir sind keine in sich selbst verschlossene Einheiten, sondern Teile des Ganzen. Deshalb trägt der Weltgebetstag um geistliche Berufungen den Stempel der Synodalität: Es gibt viele Charismen und wir sind aufgerufen, einander zuzuhören und gemeinsam unterwegs zu sein, um sie zu entdecken und zu unterscheiden, wozu der Geist uns zum Wohle aller ruft.

In diesem Augenblick der Geschichte führt uns der gemeinsame Weg ferner auf das Jubiläumsjahr 2025 hin. Gehen wir auf das Heilige Jahr als Pilger der Hoffnung zu, damit wir – indem wir unsere eigene Berufung wiederentdecken und die verschiedenen Gaben des Geistes miteinander in Beziehung setzen – in der Welt Mittler und Zeugen des Traums Jesu sein können: eine einzige Familie zu bilden, die in der Liebe Gottes vereint und durch das Band der Nächstenliebe, des Teilens und der Geschwisterlichkeit verbunden ist.

Dieser Tag ist insbesondere dem Gebet gewidmet, um vom Vater die Gabe geistlicher Berufungen für den Aufbau seines Reiches zu erbitten: »Bittet also den Herrn der Ernte, Arbeiter für seine Ernte auszusenden!« (Lk 10,2). Und das Gebet – das wissen wir – besteht mehr aus Zuhören als aus an Gott gerichteten Worten. Der Herr spricht zu unserem Herzen und möchte es offen, aufrichtig und großzügig vorfinden. Sein Wort ist in Jesus Christus Fleisch geworden, der uns den ganzen Willen des Vaters offenbart und mitteilt. In diesem Jahr 2024, das eben dem Gebet zur Vorbereitung des Jubiläums gewidmet ist, sind wir aufgerufen, das unschätzbare Geschenk wiederzuentdecken, mit dem Herrn von Herz zu Herz in Dialog treten zu können und so zu Pilgern der Hoffnung zu werden, denn »das Gebet ist die erste Kraft der Hoffnung. Du betest, und die Hoffnung wächst, sie geht voran. Ich würde sagen, dass das Gebet die Tür zur Hoffnung öffnet. Die Hoffnung ist da, aber mit meinem Gebet öffne ich die Tür.« (Katechese, 20. Mai 2020).

Pilger der Hoffnung und Friedensstifter

Aber was bedeutet es, Pilger zu sein? Wer eine Pilgerreise unternimmt, sucht zuerst das Ziel zu klären und trägt es immer im Kopf und im Herzen. Um jenes Ziel zu erreichen, muss man sich jedoch gleichzeitig auf die gegenwärtige Etappe konzentrieren. Um diese anzugehen, darf man nicht schwer beladen sein, muss sich von unnötigen Lasten befreien, das Wesentliche mitnehmen und jeden Tag kämpfen, damit Müdigkeit, Angst, Unsicherheit und Dunkelheit den begonnenen Weg nicht verstellen. Pilger zu sein bedeutet also, jeden Tag neu aufzubrechen, immer wieder neu anzufangen, den Enthusiasmus und die Kraft wiederzuentdecken, die verschiedenen Etappen des Weges zurückzulegen, die trotz der Müdigkeit und der Schwierigkeiten immer wieder neue Horizonte und unbekannte Ausblicke vor uns eröffnen.

Der Sinn des christlichen Pilgerns ist eben dies: Wir befinden uns auf einem Weg, um Gottes Liebe zu entdecken und zugleich uns selbst zu entdecken, durch eine innere Reise, die aber immer durch die Vielfalt der Beziehungen angeregt wird. Wir sind also Pilger, weil wir berufen sind: berufen, Gott zu lieben und uns gegenseitig zu lieben. So endet unser Weg auf dieser Erde niemals in sinnloser Mühe oder ziellosem Umherirren. Indem wir unserer Berufung folgen, versuchen wir jeden Tag vielmehr die möglichen Schritte auf eine neue Welt hin zu gehen, in der wir in Frieden, Gerechtigkeit und Liebe leben. Wir sind Pilger der Hoffnung, weil wir nach einer besseren Zukunft streben und uns bemühen, sie entlang des Weges aufzubauen.

Dies ist letztlich das Ziel jeder Berufung: Männer und Frauen der Hoffnung zu werden. Als Einzelne und als Gemeinschaft, in der Vielfalt der Charismen und der Dienste, sind wir alle aufgerufen, der Hoffnung des Evangeliums „Leib und Herz zu geben“ in einer Welt, die von epochalen Herausforderungen geprägt ist: dem bedrohlichen Voranschreiten eines dritten Weltkriegs in Stücken; den Scharen von Migranten, die auf der Suche nach einer besseren Zukunft aus ihren Heimatländern fliehen; der ständig wachsenden Zahl von Armen; der Gefahr, das Wohlergehen unseres Planeten unwiderruflich zu beeinträchtigen. Und zu all dem kommen noch die Schwierigkeiten hinzu, denen wir tagtäglich begegnen und die uns manchmal in Resignation oder Defätismus zu stürzen drohen.

In dieser unserer Zeit ist es für uns Christen also entscheidend, einen hoffnungsvollen Blick zu pflegen, um entsprechend der uns anvertrauten Berufung im Dienst des Reiches Gottes, eines Reiches der Liebe, der Gerechtigkeit und des Friedens, fruchtbar arbeiten zu können. Diese Hoffnung – so versichert uns der heilige Paulus – »lässt nicht zugrunde gehen« (Röm 5,5), denn es handelt sich um das Versprechen, das unser Herr Jesus uns gegeben hat, immer bei uns zu bleiben und uns in das Erlösungswerk einzubeziehen, das er im Herzen eines jeden Menschen und im „Herzen“ der Schöpfung vollenden will. Diese Hoffnung findet ihre treibende Mitte in der Auferstehung Christi, die »eine Lebenskraft [beinhaltet], die die Welt durchdrungen hat. Wo alles tot zu sein scheint, sprießen wieder überall Anzeichen der Auferstehung hervor. Es ist eine unvergleichliche Kraft. Es ist wahr, dass es oft so scheint, als existiere Gott nicht: Wir sehen Ungerechtigkeit, Bosheit, Gleichgültigkeit und Grausamkeit, die nicht aufhören. Es ist aber auch gewiss, dass mitten in der Dunkelheit immer etwas Neues aufkeimt, das früher oder später Frucht bringt« (Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 276). Auch der Apostel Paulus erklärt, dass wir »auf Hoffnung hin« gerettet sind (Röm 8,24). Die zu Ostern vollbrachte Erlösung schenkt Hoffnung, eine sichere, verlässliche Hoffnung, mit der wir die Herausforderungen der Gegenwart angehen können.

Pilger der Hoffnung und Friedensstifter zu sein, bedeutet also, die eigene Existenz auf den Felsen der Auferstehung Christi zu gründen und zu wissen, dass keine unserer Mühen vergeblich ist, die wir in der Berufung erbringen, die wir angenommen haben und fortführen. Trotz Misserfolgen und Stillständen wächst das Gute, das wir säen, in aller Stille, und nichts kann uns von unserem letzten Ziel trennen: der Begegnung mit Christus und der Freude, auf ewig in Geschwisterlichkeit miteinander zu leben. Diese letztgültige Berufung müssen wir jeden Tag vorwegnehmen: Denn die Beziehung der Liebe zu Gott und zu unseren Brüdern und Schwestern beginnt schon jetzt, den Traum Gottes zu verwirklichen, den Traum von Einheit, Frieden und Geschwisterlichkeit. Niemand soll sich von diesem Ruf ausgeschlossen fühlen! Ein jeder von uns kann in seinem Umfeld, in seinem Lebensstand, mit der Hilfe des Heiligen Geistes ein Sämann der Hoffnung und des Friedens sein.

Der Mut, sich einzubringen

Aus all diesen Gründen sage ich noch einmal, wie beim Weltjugendtag in Lissabon: „Rise up! – Erhebt euch!“ Wachen wir aus dem Schlaf auf, kommen wir aus der Gleichgültigkeit heraus, öffnen wir die Gitter des Gefängnisses, in das wir uns manchmal eingeschlossen haben, damit ein jeder von uns seine Berufung in der Kirche und in der Welt entdecken und Pilger der Hoffnung und Friedensstifter werden kann! Lasst uns Leidenschaft für das Leben empfinden und uns für die liebevolle Fürsorge für die Menschen um uns herum und die Umwelt, in der wir leben, einsetzen. Ich wiederhole es: Habt den Mut, euch einzubringen! Don Oreste Benzi, ein unermüdlicher Apostel der Nächstenliebe, der immer auf der Seite der Letzten und Wehrlosen stand, pflegte zu wiederholen, dass niemand so arm ist, als dass er nicht etwas zu geben hätte, und niemand so reich ist, als dass er nicht etwas erhalten müsste.

Erheben wir uns also und machen wir uns auf den Weg als Pilger der Hoffnung, damit auch wir, wie es Maria der heiligen Elisabet gegenüber getan hat, die Freude verkünden, neues Leben hervorbringen und Baumeister der Geschwisterlichkeit und des Friedens sein können.

Rom, Sankt Johannes im Lateran, 21. April 2024, Vierter Sonntag der Osterzeit.

FRANZISKUS

[00479-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Llamados a sembrar la esperanza y a construir la paz

Queridos hermanos y hermanas:

Cada año la Jornada Mundial de Oración por las Vocaciones nos invita a considerar el precioso don de la llamada que el Señor nos dirige a cada uno de nosotros, su pueblo fiel en camino, para que podamos ser partícipes de su proyecto de amor y encarnar la belleza del Evangelio en los diversos estados de vida. Escuchar la llamada divina, lejos de ser un deber impuesto desde afuera, incluso en nombre de un ideal religioso, es, en cambio, el modo más seguro que tenemos para alimentar el deseo de felicidad que llevamos dentro. Nuestra vida se realiza y llega a su plenitud cuando descubrimos quiénes somos, cuáles son nuestras cualidades, en qué ámbitos podemos hacerlas fructificar, qué camino podemos recorrer para convertirnos en signos e instrumentos de amor, de acogida, de belleza y de paz, en los contextos donde cada uno vive.

Por eso, esta Jornada es siempre una hermosa ocasión para recordar con gratitud ante el Señor el compromiso fiel, cotidiano y a menudo escondido de aquellos que han abrazado una llamada que implica toda su vida. Pienso en las madres y en los padres que no anteponen sus propios intereses y no se dejan llevar por la corriente de un estilo superficial, sino que orientan su existencia, con amor y gratuidad, hacia el cuidado de las relaciones, abriéndose al don de la vida y poniéndose al servicio de los hijos y de su crecimiento. Pienso en los que llevan adelante su trabajo con entrega y espíritu de colaboración; en los que se comprometen, en diversos ámbitos y de distintas maneras, a construir un mundo más justo, una economía más solidaria, una política más equitativa, una sociedad más humana; en todos los hombres y las mujeres de buena voluntad que se desgastan por el bien común. Pienso en las personas consagradas, que ofrecen la propia existencia al Señor tanto en el silencio de la oración como en la acción apostólica, a veces en lugares de frontera y exclusión, sin escatimar energías, llevando adelante su carisma con creatividad y poniéndolo a disposición de aquellos que encuentran. Y pienso en quienes han acogido la llamada al sacerdocio ordenado y se dedican al anuncio del Evangelio, y ofrecen su propia vida, junto al Pan eucarístico, por los hermanos, sembrando esperanza y mostrando a todos la belleza del Reino de Dios.

A los jóvenes, especialmente a cuantos se sienten alejados o que desconfían de la Iglesia, quisiera decirles: déjense fascinar por Jesús, plantéenle sus inquietudes fundamentales. A través de las páginas del Evangelio, déjense inquietar por su presencia que siempre nos pone beneficiosamente en crisis. Él respeta nuestra libertad, más que nadie; no se impone, sino que se propone. Denle cabida y encontrarán la felicidad en su seguimiento y, si se los pide, en la entrega total a Él.

Un pueblo en camino

La polifonía de los carismas y de las vocaciones, que la comunidad cristiana reconoce y acompaña, nos ayuda a comprender plenamente nuestra identidad como cristianos. Como pueblo de Dios que camina por los senderos del mundo, animados por el Espíritu Santo e insertados como piedras vivas en el Cuerpo de Cristo, cada uno de nosotros se descubre como miembro de una gran familia, hijo del Padre y hermano y hermana de sus semejantes. No somos islas encerradas en sí mismas, sino que somos partes del todo. Por eso, la Jornada Mundial de Oración por las Vocaciones lleva impreso el sello de la sinodalidad: muchos son los carismas y estamos llamados a escucharnos mutuamente y a caminar juntos para descubrirlos y para discernir a qué nos llama el Espíritu para el bien de todos.

Además, en el presente momento histórico, el camino común nos conduce hacia el Año Jubilar del 2025. Caminamos como peregrinos de esperanza hacia el Año Santo para que, redescubriendo la propia vocación y poniendo en relación los diversos dones del Espíritu, seamos en el mundo portadores y testigos del anhelo de Jesús: que formemos una sola familia, unida en el amor de Dios y sólida en el vínculo de la caridad, del compartir y de la fraternidad.

Esta Jornada está dedicada a la oración para invocar del Padre, en particular, el don de vocaciones santas para la edificación de su Reino: «Rueguen al dueño de los sembrados que envíe trabajadores para la cosecha» (Lc 10,2). Y la oración —lo sabemos— se hace más con la escucha que con palabras dirigidas a Dios. El Señor habla a nuestro corazón y quiere encontrarlo disponible, sincero y generoso. Su Palabra se ha hecho carne en Jesucristo, que nos revela y nos comunica plenamente la voluntad del Padre. En este año 2024, dedicado precisamente a la oración en preparación al Jubileo, estamos llamados a redescubrir el don inestimable de poder dialogar con el Señor, de corazón a corazón, convirtiéndonos en peregrinos de esperanza, porque «la oración es la primera fuerza de la esperanza. Mientras tú rezas la esperanza crece y avanza. Yo diría que la oración abre la puerta a la esperanza. La esperanza está ahí, pero con mi oración le abro la puerta» (Catequesis, 20 mayo 2020).

Peregrinos de esperanza y constructores de paz

Pero, ¿qué significa ser peregrinos? Quien comienza una peregrinación procura ante todo tener clara la meta, que lleva siempre en el corazón y en la mente. Pero, al mismo tiempo, para alcanzar ese objetivo es necesario concentrarse en la etapa presente, y para afrontarla se necesita estar ligeros, deshacerse de cargas inútiles, llevar consigo lo esencial y luchar cada día para que el cansancio, el miedo, la incertidumbre y las tinieblas no obstaculicen el camino iniciado. De este modo, ser peregrinos significa volver a empezar cada día, recomenzar siempre, recuperar el entusiasmo y la fuerza para recorrer las diferentes etapas del itinerario que, a pesar del cansancio y las dificultades, abren siempre ante nosotros horizontes nuevos y panoramas desconocidos.

El sentido de la peregrinación cristiana es precisamente este: nos ponemos en camino para descubrir el amor de Dios y, al mismo tiempo, para conocernos a nosotros mismos, a través de un viaje interior, siempre estimulado por la multiplicidad de las relaciones. Por lo tanto, somos peregrinos porque hemos sido llamados. Llamados a amar a Dios y a amarnos los unos a los otros. Así, nuestro caminar en esta tierra nunca se resuelve en un cansarse sin sentido o en un vagar sin rumbo; por el contrario, cada día, respondiendo a nuestra llamada, intentamos dar los pasos posibles hacia un mundo nuevo, donde se viva en paz, con justicia y amor. Somos peregrinos de esperanza porque tendemos hacia un futuro mejor y nos comprometemos en construirlo a lo largo del camino.

Este es, en definitiva, el propósito de toda vocación: llegar a ser hombres y mujeres de esperanza. Como individuos y como comunidad, en la variedad de los carismas y de los ministerios, todos estamos llamados a “darle cuerpo y corazón” a la esperanza del Evangelio en un mundo marcado por desafíos epocales: el avance amenazador de una tercera guerra mundial a pedazos; las multitudes de migrantes que huyen de sus tierras en busca de un futuro mejor; el aumento constante del número de pobres; el peligro de comprometer de modo irreversible la salud de nuestro planeta. Y a todo eso se agregan las dificultades que encontramos cotidianamente y que, a veces, amenazan con dejarnos en la resignación o el abatimiento.

En nuestro tiempo es, pues, decisivo que nosotros los cristianos cultivemos una mirada llena de esperanza, para poder trabajar de manera fructífera, respondiendo a la vocación que nos ha sido confiada, al servicio del Reino de Dios, Reino de amor, de justicia y de paz. Esta esperanza —nos asegura san Pablo— «no quedará defraudada» (Rm 5,5), porque se trata de la promesa que el Señor Jesús nos ha hecho de permanecer siempre con nosotros y de involucrarnos en la obra de redención que Él quiere realizar en el corazón de cada persona y en el “corazón” de la creación. Dicha esperanza encuentra su centro propulsor en la Resurrección de Cristo, que «entraña una fuerza de vida que ha penetrado el mundo. Donde parece que todo ha muerto, por todas partes vuelven a aparecer los brotes de la resurrección. Es una fuerza imparable. Verdad que muchas veces parece que Dios no existiera: vemos injusticias, maldades, indiferencias y crueldades que no ceden. Pero también es cierto que en medio de la oscuridad siempre comienza a brotar algo nuevo, que tarde o temprano produce un fruto» (Exhort. ap. Evangelii gaudium, 276). Incluso el apóstol Pablo afirma que «en esperanza» nosotros «estamos salvados» (Rm 8,24). La redención realizada en la Pascua da esperanza, una esperanza cierta, segura, con la que podemos afrontar los desafíos del presente.

Ser peregrinos de esperanza y constructores de paz significa, entonces, fundar la propia existencia en la roca de la resurrección de Cristo, sabiendo que cada compromiso contraído, en la vocación que hemos abrazado y llevamos adelante, no cae en saco roto. A pesar de los fracasos y los contratiempos, el bien que sembramos crece de manera silenciosa y nada puede separarnos de la meta conclusiva, que es el encuentro con Cristo y la alegría de vivir en fraternidad entre nosotros por toda la eternidad. Esta llamada final debemos anticiparla cada día, pues la relación de amor con Dios y con los hermanos y hermanas comienza a realizar desde ahora el proyecto de Dios, el sueño de la unidad, de la paz y de la fraternidad. ¡Que nadie se sienta excluido de esta llamada! Cada uno de nosotros, dentro de las propias posibilidades, en el específico estado de vida puede ser, con la ayuda del Espíritu Santo, sembrador de esperanza y de paz.

La valentía de involucrarse

Por todo esto les digo una vez más, como durante la Jornada Mundial de la Juventud en Lisboa: “Rise up! – ¡Levántense!”. Despertémonos del sueño, salgamos de la indiferencia, abramos las rejas de la prisión en la que tantas veces nos encerramos, para que cada uno de nosotros pueda descubrir la propia vocación en la Iglesia y en el mundo y se convierta en peregrino de esperanza y artífice de paz. Apasionémonos por la vida y comprometámonos en el cuidado amoroso de aquellos que están a nuestro lado y del ambiente donde vivimos. Se los repito: ¡tengan la valentía de involucrarse! Don Oreste Benzi, un infatigable apóstol de la caridad, siempre en favor de los últimos y de los indefensos, solía repetir que no hay nadie tan pobre que no tenga nada que dar, ni hay nadie tan rico que no tenga necesidad de algo que recibir.

Levantémonos, por tanto, y pongámonos en camino como peregrinos de esperanza, para que, como hizo María con santa Isabel, también nosotros llevemos anuncios de alegría, generaremos vida nueva y seamos artesanos de fraternidad y de paz.

Roma, San Juan de Letrán, 21 de abril de 2024, IV Domingo de Pascua.

FRANCISCO

[00479-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Chamados a semear a esperança e a construir a paz

Queridos irmãos e irmãs!

O Dia Mundial de Oração pelas Vocações convida-nos, cada ano, a considerar o precioso dom da chamada que o Senhor dirige a cada um de nós, seu povo fiel em caminho, pois dá-nos a possibilidade de tomar parte no seu projeto de amor e encarnar a beleza do Evangelho nos diferentes estados de vida. A escuta da chamada divina, longe de ser um dever imposto de fora – talvez em nome de um ideal religioso –, é antes o modo mais seguro que temos de alimentar o desejo de felicidade que trazemos no nosso íntimo: a nossa vida realiza-se e torna-se plena quando descobrimos quem somos, as qualidades que temos e o campo onde é possível pô-las a render, quando descobrimos que estrada podemos percorrer para nos tornarmos sinal e instrumento de amor, acolhimento, beleza e paz nos contextos onde vivemos.

Assim, este Dia proporciona-nos sempre uma boa ocasião para recordar, com gratidão, diante do Senhor o compromisso fiel, quotidiano e muitas vezes escondido daqueles que abraçaram uma vocação que envolve toda a sua vida. Penso nas mães e nos pais que não olham primeiro para si mesmos, nem seguem a tendência dum estilo superficial, mas organizam a sua existência cuidando das relações com amor e gratuidade, abrindo-se ao dom da vida e pondo-se ao serviço dos filhos e seu crescimento. Penso em todos aqueles que realizam, dedicadamente e em espírito de colaboração, o seu trabalho; naqueles que, em diferentes campos e de vários modos, se empenham por construir um mundo mais justo, uma economia mais solidária, uma política mais equitativa, uma sociedade mais humana, isto é, em todos os homens e mulheres de boa vontade que se dedicam ao bem comum. Penso nas pessoas consagradas, que oferecem a sua existência ao Senhor quer no silêncio da oração quer na atividade apostólica, às vezes na linha de vanguarda e sem poupar energias, servindo com criatividade o seu carisma e colocando-o à disposição de quantos encontram. E penso naqueles que acolheram a chamada ao sacerdócio ordenado, se dedicam ao anúncio do Evangelho, repartem a sua vida – juntamente com o Pão Eucarístico – pelos irmãos, semeiam esperança e mostram a todos a beleza do Reino de Deus.

Aos jovens, especialmente a quantos se sentem distantes ou olham a Igreja com desconfiança, gostaria de dizer: deixai-vos fascinar por Jesus, dirigi-Lhe as vossas perguntas importantes, através das páginas do Evangelho, deixai-vos desinquietar pela sua presença que sempre nos coloca, de forma benfazeja, em crise. Ele respeita mais do que ninguém a nossa liberdade, não Se impõe mas propõe-Se: dai-Lhe espaço e encontrareis a vossa felicidade no seu seguimento e, se vo-la pedir, na entrega total a Ele.

Um povo em caminho

A polifonia dos carismas e das vocações, que a Comunidade Cristã reconhece e acompanha, ajuda-nos a compreender plenamente a nossa identidade de cristãos: como povo de Deus em caminho pelas estradas do mundo, animados pelo Espírito Santo e inseridos como pedras vivas no Corpo de Cristo, cada um de nós descobre-se membro duma grande família, filho do Pai e irmão e irmã de seus semelhantes. Não somos ilhas fechadas em si mesmas, mas partes do todo. Por isso, o Dia Mundial de Oração pelas Vocações traz gravada a marca da sinodalidade: há muitos carismas e somos chamados a escutar-nos reciprocamente e a caminhar juntos para os descobrir discernindo aquilo a que nos chama o Espírito para o bem de todos.

Além disso, no momento histórico presente, o caminho comum conduz-nos para o Ano Jubilar de 2025. Caminhamos como peregrinos de esperança rumo ao Ano Santo, para, na descoberta da própria vocação e pondo em relação os diversos dons do Espírito, podermos ser no mundo portadores e testemunhas do sonho de Jesus: formar uma só família, unida no amor de Deus e interligada pelo vínculo da caridade, da partilha e da fraternidade.

Este Dia é dedicado de modo particular à oração para implorar do Pai o dom de santas vocações para a edificação do seu Reino: «Rogai ao dono da messe que mande trabalhadores para a sua messe» (Lc 10, 2). E, como sabemos, a oração é feita mais de escuta que de palavras dirigidas a Deus. O Senhor fala ao nosso coração e quer encontrá-lo aberto, sincero e generoso. A sua Palavra fez-Se carne em Jesus Cristo, que nos revela e comunica toda a vontade do Pai. Neste ano de 2024, dedicado precisamente à oração como preparação para o Jubileu, somos chamados a descobrir o dom inestimável de poder dialogar com o Senhor, de coração a coração, tornando-nos assim peregrinos de esperança, porque «a oração é a primeira força da esperança. Tu rezas e a esperança cresce, avança. Diria que a oração abre a porta à esperança. A esperança existe, mas com a minha oração abro a porta» (Francisco, Catequese, 20/V/2020).

Peregrinos de esperança e construtores de paz

Mas que significa ser peregrinos? Quem empreende uma peregrinação procura, antes de mais nada, ter clara a meta, e conserva-a sempre no coração e na mente. Mas, para atingir esse destino, é preciso ao mesmo tempo concentrar-se no passo presente: para o realizar, é necessário estar leve, despojar-se dos pesos inúteis, levar consigo apenas o essencial e esforçar-se cada dia por que o cansaço, o medo, a incerteza e a escuridão não bloqueiem o caminho iniciado. Por isso ser peregrino significa partir todos os dias, recomeçar sempre, reencontrar o entusiasmo e a força de percorrer as várias etapas do percurso que, apesar das fadigas e dificuldades, sempre abrem diante de nós novos horizontes e panoramas desconhecidos.

Este é precisamente o sentido da peregrinação cristã: estamos em caminho à descoberta do amor de Deus e, ao mesmo tempo, à descoberta de nós mesmos, através duma viagem interior, mas sempre estimulados pela multiplicidade das relações. Portanto, peregrinos porque chamados: chamados a amar a Deus e a amar-nos uns aos outros. Assim, o nosso caminho sobre esta terra nunca se reduz a uma labuta sem objetivo nem a um vaguear sem meta; pelo contrário, cada dia, respondendo à nossa chamada, procuramos realizar os passos possíveis rumo a um mundo novo, onde se viva em paz, na justiça e no amor. Somos peregrinos de esperança, porque tendemos para um futuro melhor e empenhamo-nos na sua construção ao longo do caminho.

Tal é, em última análise, a finalidade de cada vocação: tornar-se homens e mulheres de esperança. Como indivíduos e como comunidade, na variedade dos carismas e ministérios, todos somos chamados a «dar corpo e coração» à esperança do Evangelho neste mundo marcado por desafios epocais: o avanço ameaçador duma terceira guerra mundial aos pedaços, as multidões de migrantes que fogem da sua terra à procura dum futuro melhor, o aumento constante dos pobres, o perigo de comprometer irreversivelmente a saúde do nosso planeta. E a tudo isto vêm ainda juntar-se as dificuldades que encontramos diariamente com o risco de nos precipitar, às vezes, na resignação ou no derrotismo.

Por isso é decisivo, para nós cristãos, cultivar um olhar cheio de esperança no nosso tempo, para podermos trabalhar frutuosamente respondendo à vocação que nos foi dada ao serviço do Reino de Deus, Reino do amor, de justiça e de paz. Esta esperança – assegura-nos São Paulo – «não engana» (Rm 5, 5), porque se trata da promessa que o Senhor Jesus nos fez de permanecer sempre connosco e de nos envolver na obra de redenção que Ele quer realizar no coração de cada pessoa e no «coração» da criação. Tal esperança encontra o seu centro propulsor na Ressurreição de Cristo, que «contém uma força de vida que penetrou o mundo. Onde parecia que tudo morreu, voltam a aparecer por todo o lado os rebentos da ressurreição. É uma força sem igual. É verdade que muitas vezes parece que Deus não existe: vemos injustiças, maldades, indiferenças e crueldades que não cedem. Mas também é certo que, no meio da obscuridade, sempre começa a desabrochar algo de novo que, mais cedo ou mais tarde, produz fruto» (Francisco, Exort. ap. Evangelii gaudium, 276). E o apóstolo Paulo afirma ainda que fomos salvos na esperança (cf. Rm 8, 24). A redenção realizada na Páscoa dá a esperança, uma esperança certa, fiável, com a qual podemos enfrentar os desafios do presente.

Então ser peregrinos de esperança e construtores de paz significa fundar a própria existência sobre a rocha da ressurreição de Cristo, sabendo que todos os nossos compromissos, na vocação que abraçamos e levamos por diante, não caiem no vazio. Apesar dos fracassos e retrocessos, o bem que semeamos cresce de modo silencioso e nada pode separar-nos da meta última: o encontro com Cristo e a alegria de viver na fraternidade entre nós por toda a eternidade. Esta vocação final, devemos antecipá-la cada dia: a relação de amor com Deus e com os irmãos e irmãs começa desde agora a realizar o sonho de Deus, o sonho da unidade, da paz e da fraternidade. Que ninguém se sinta excluído desta chamada! Cada um de nós, no seu lugar próprio, no seu estado de vida, pode ser, com a ajuda do Espírito Santo, um semeador de esperança e de paz.

A coragem de se envolver

Por tudo isso digo mais uma vez, como durante a Jornada Mundial da Juventude em Lisboa: «rise up – levantai-vos!» Despertemos do sono, saiamos da indiferença, abramos as grades da prisão em que por vezes nos encerramos, para que possa cada um de nós descobrir a própria vocação na Igreja e no mundo e tornar-se peregrino de esperança e artífice de paz! Apaixonemo-nos pela vida e comprometamo-nos no cuidado amoroso daqueles que vivem ao nosso lado e do ambiente que habitamos. Repito-vos: tende a coragem de vos envolver! Padre Oreste Benzi, apóstolo incansável da caridade, sempre da parte dos últimos e indefesos, repetia que ninguém é tão pobre que não tenha algo para dar, e ninguém é tão rico que não precise de receber alguma coisa.

Levantemo-nos, pois, e ponhamo-nos a caminho como peregrinos de esperança, para que também nós, como fez Maria com Santa Isabel, possamos comunicar boas-novas de alegria, gerar vida nova e ser artesãos de fraternidade e de paz.

Roma, São João de Latrão, no IV Domingo de Páscoa, 21 de abril de 2024.

FRANCISCO

[00479-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Powołani, by siać nadzieję i budować pokój

Drodzy Bracia i Siostry!

Każdego roku Światowy Dzień Modlitw o Powołania zachęca nas do rozważenia cennego daru powołania, jakie Pan kieruje do każdego z nas, swojego wiernego ludu w drodze, abyśmy mogli uczestniczyć w Jego planie miłości i ucieleśniać piękno Ewangelii w różnych stanach życia. Słuchanie Bożego powołania, które nie jest zewnętrznie narzuconym obowiązkiem, np. w imię religijnego ideału, jest natomiast najpewniejszym sposobem, w jaki możemy umacniać pragnienie szczęścia, które w sobie nosimy: nasze życie urzeczywistnia się i spełnia, gdy odkrywamy kim jesteśmy, jakie są nasze cechy, w jakiej dziedzinie możemy je dobrze wykorzystać, jaką drogę możemy obrać, aby stać się znakiem i narzędziem miłości, akceptacji, piękna i pokoju w sytuacjach, w których żyjemy.

Zatem, ten Dzień jest zawsze piękną okazją, aby z wdzięcznością wspominać przed Panem wierną, codzienną i często ukrytą pracę tych, którzy przyjęli powołanie angażujące całe ich życie. Myślę o matkach i ojcach, którzy nie troszczą się przede wszystkim o siebie i nie podążają za nurtem powierzchownego stylu, ale podporządkowują swoje życie trosce o relacje, z miłością i bezinteresownością otwierając się na dar życia i poświęcając się służbie na rzecz swoich dzieci oraz ich wzrastania. Myślę o tych, którzy wykonują swoją pracę z poświęceniem i duchem współpracy; o tych, którzy na różnych polach i na różne sposoby angażują się w budowanie bardziej sprawiedliwego świata, bardziej solidarnej gospodarki, bardziej sprawiedliwej polityki, bardziej ludzkiego społeczeństwa: o wszystkich ludziach dobrej woli, którzy poświęcają się dobru wspólnemu. Myślę o osobach konsekrowanych, które ofiarowują swoje życie Panu w ciszy modlitwy, a także w działaniu apostolskim, czasami na obszarach granicznych, i nie szczędząc sił, twórczo realizując swój charyzmat i poświęcając je spotykanym ludziom. Myślę też o tych, którzy przyjęli powołanie do sakramentalnego kapłaństwa i poświęcają się głoszeniu Ewangelii oraz dzielą swoje życie, wraz z Chlebem eucharystycznym, na rzecz braci i sióstr, siejąc nadzieję i ukazując wszystkim piękno Królestwa Bożego.

Ludziom młodym, zwłaszcza tym, którzy czują się oddaleni lub nie ufają Kościołowi, chciałbym powiedzieć: dajcie się zafascynować Jezusowi, kierujcie do Niego wasze ważne pytania poprzez karty Ewangelii, pozwólcie się zaniepokoić Jego obecnością, która zawsze wprowadza nas w zbawienny w kryzys. On szanuje naszą wolność bardziej niż ktokolwiek inny, nie narzuca się, lecz proponuje siebie: pozostawcie Mu przestrzeń, a odnajdziecie swoje szczęście w pójściu za Nim a, jeśli tego od was zażąda, w całkowitym oddaniu się Jemu.

Lud w drodze

Polifonia charyzmatów i powołań, które Wspólnota chrześcijańska rozpoznaje i którym towarzyszy, pomaga nam w pełni zrozumieć naszą tożsamość jako chrześcijan: jako Lud Boży kroczący ulicami świata, ożywiany przez Ducha Świętego i włączony jak żywe kamienie w Ciało Chrystusa, każdy z nas odkrywa, że jesteśmy członkami wielkiej rodziny, dziećmi Ojca oraz braćmi i siostrami naszych bliźnich. Nie jesteśmy wyspami zamkniętymi w sobie, ale częścią całości. Stąd Światowy Dzień Modlitw o Powołania nosi odciśniętą pieczęć synodalności: istnieje wiele charyzmatów, a my jesteśmy wezwani do słuchania siebie nawzajem i do podążania razem, aby je odkrywać i rozeznawać, do czego wzywa nas Duch dla dobra wszystkich.

Ponadto, w obecnym momencie dziejowym wspólna droga prowadzi nas do Roku Jubileuszowego 2025. Idźmy jako pielgrzymi nadziei w kierunku Roku Świętego, abyśmy odkrywając na nowo swoje powołanie i odnosząc się do różnych darów Ducha, byli w świecie nosicielami i świadkami marzenia Jezusa: tworzyć jedną rodzinę, zjednoczoną w miłości Boga i złączoną więzią miłości, dzielenia się i braterstwa.

Dzień ten poświęcony jest w szczególności modlitwie, aby wyprosić u Ojca dar świętych powołań do budowania Jego Królestwa: „proście więc Pana żniwa, żeby wyprawił robotników na swoje żniwo!” (Łk 10, 2). A modlitwa – jak wiemy – bardziej polega na słuchaniu, niż na słowach kierowanych do Boga. Pan przemawia do naszego serca i chce je zastać otwartym, szczerym i hojnym. Jego Słowo stało się ciałem w Jezusie Chrystusie, który objawia i przekazuje nam całą wolę Ojca. W tym roku 2024, poświęconym właśnie modlitwie w ramach przygotowań do Jubileuszu, jesteśmy wezwani do ponownego odkrycia bezcennego daru możliwości dialogu z Panem, z serca do serca, stając się w ten sposób pielgrzymami nadziei, ponieważ „modlitwa jest pierwszą siłą nadziei. Modlisz się, i nadzieja rośnie, rozwija się. Powiedziałbym, że modlitwa otwiera drzwi nadziei. Nadzieja jest, ale moją modlitwą otwieram jej drzwi” (Katecheza, 20 maja 2020 r.; L’Osservatore Romano, wyd. polskie, n. 6 (423)/2020, s. 13).

Pielgrzymi nadziei i budowniczowie pokoju

Ale co to znaczy być pielgrzymem? Ten, kto podejmuje pielgrzymkę, stara się przede wszystkim mieć jasny cel i zawsze nosi go w swoim sercu i umyśle. Jednocześnie jednak, aby osiągnąć ów cel, trzeba skoncentrować się na kroku obecnym, aby stawić mu czoła, trzeba być lekkim, pozbyć się niepotrzebnych ciężarów, nosić to, co niezbędne i zmagać się każdego dnia, aby zmęczenie, strach, niepewność i mroki nie zagradzały obranej drogi. Bycie pielgrzymem oznacza więc wyruszanie na nowo każdego dnia, rozpoczynanie zawsze od nowa, odnajdywanie entuzjazmu i siły do pokonywania kolejnych etapów drogi, które pomimo znużenia i trudności zawsze otwierają przed nami nowe horyzonty i nieznane widoki.

Znaczenie chrześcijańskiej pielgrzymki jest właśnie takie: wyruszamy w drogę, aby odkryć miłość Boga, a jednocześnie odkryć siebie, poprzez podróż wewnętrzną, ale zawsze pobudzaną wielością relacji. Jesteśmy zatem pielgrzymami, ponieważ jesteśmy powołani: powołani, by kochać Boga i kochać siebie nawzajem. W ten sposób nasze pielgrzymowanie po tej ziemi nigdy nie kończy się daremnym zmęczeniem lub bezcelowym wędrowaniem. Wręcz przeciwnie, każdego dnia, odpowiadając na nasze powołanie, staramy się podejmować możliwe kroki w kierunku nowego świata, w którym będziemy żyć w pokoju, sprawiedliwości i miłości. Jesteśmy pielgrzymami nadziei, ponieważ zmierzamy ku lepszej przyszłości i staramy się ją budować przemierzając drogę.

Taki jest ostatecznie cel każdego powołania: stawać się mężczyznami i kobietami nadziei. Jako jednostki i wspólnoty, w różnorodności charyzmatów i posług, wszyscy jesteśmy wezwani do „nadawania ciała i serca” nadziei Ewangelii w świecie naznaczonym epokowymi wyzwaniami: groźnym rozszerzaniem się trzeciej wojny światowej w kawałkach; tłumami migrantów uciekających ze swoich krajów w poszukiwaniu lepszej przyszłości; ciągłym wzrostem liczby ubogich; niebezpieczeństwem nieodwracalnego zagrożenia zdrowia naszej planety. Do tego wszystkiego należy dodać trudności, które napotykamy na co dzień, i które niekiedy grożą nam popadnięciem w rezygnację lub defetyzm.

Zatem, w tych naszych czasach, decydujące znaczenie dla nas, chrześcijan, ma pielęgnowanie patrzenia pełnego nadziei, abyśmy mogli owocnie pracować, odpowiadając na powierzone nam powołanie, w służbie Królestwa Bożego, Królestwa miłości, sprawiedliwości i pokoju. Ta nadzieja – zapewnia nas św. Paweł – „zawieść nie może” (Rz 5, 5), ponieważ jest obietnicą, którą Pan Jezus nam uczynił, że pozostanie z nami na zawsze i zaangażuje nas w dzieło odkupienia, którego chce dokonać w sercu każdego człowieka i w „sercu” stworzenia. Ta nadzieja znajduje swój ośrodek pobudzający w zmartwychwstaniu Chrystusa, które „zawiera żywotną siłę, która przeniknęła świat. Tam, gdzie wszystko wydaje się martwe, ze wszystkich stron pojawiają się ponownie kiełki zmartwychwstania. Jest to siła niemająca sobie równych. To prawda, iż wiele razy wydaje się, że Bóg nie istnieje: widzimy niesprawiedliwość, złość, obojętność i okrucieństwo, które nie ustępują. Jednak jest tak samo pewne, że pośród ciemności zaczyna zawsze wyrastać coś nowego, co wcześniej czy później przynosi owoc” (Adhort. apost. Evangelii gaudium, 276). Apostoł Paweł ponownie stwierdza, że „w nadziei już jesteśmy zbawieni” (Rz 8, 24). Odkupienie dokonane w wydarzeniu paschalnym daje nadzieję, pewną, niezawodną nadzieję, z którą możemy stawić czoła wyzwaniom teraźniejszości.

Bycie pielgrzymami nadziei i budowniczymi pokoju oznacza zatem budowanie swojego życia na skale zmartwychwstania Chrystusa, wiedząc, że każde nasze przedsięwzięcie, w powołaniu, które przyjęliśmy i realizujemy, nie pada w próżnię. Pomimo porażek i niepowodzeń, dobro, które siejemy, rośnie w ciszy i nic nie może nas oddzielić od ostatecznego celu: spotkania z Chrystusem i radości życia w braterstwie ze sobą na wieczność. To ostateczne powołanie musimy antycypować każdego dnia: relacja miłości z Bogiem i z naszymi braćmi i siostrami zaczyna się już teraz, aby urzeczywistnić marzenie Boga, marzenie o jedności, pokoju i braterstwie. Niech nikt nie czuje się wykluczony z tego powołania! Każdy z nas, z naszymi ograniczonymi zdolnościami, w swoim stanie życia może być, z pomocą Ducha Świętego, siewcą nadziei i pokoju.

Odwaga, by dać coś z siebie

W związku z tym wszystkim mówię raz jeszcze, tak jak podczas Światowych Dni Młodzieży w Lizbonie: „Rise up! – Powstańcie!”. Obudźmy się ze snu, wyjdźmy z obojętności, otwórzmy kraty więzienia, w którym czasami się zamykaliśmy, aby każdy z nas mógł odkryć swoje powołanie w Kościele i w świecie, i stać się pielgrzymem nadziei i budowniczym pokoju! Bądźmy pasjonatami życia i zaangażujmy się w pełną miłości troskę o tych, którzy nas otaczają i o środowisko, w którym żyjemy. Powtarzam: miejmy odwagę zaangażować się! Ksiądz Orest Benzi, niestrudzony apostoł miłosierdzia, stający zawsze po stronie najmniejszych i bezbronnych, zwykł powtarzać, że nikt nie jest tak biedny, by nie miał czegoś do dania, i nikt nie jest tak bogaty, by nie potrzebował czegoś otrzymać.

Powstańmy zatem i wyruszmy jako pielgrzymi nadziei, abyśmy, podobnie jak Maryja ze świętą Elżbietą, mogli nieść orędzie radości, rodzić nowe życie i być budowniczymi braterstwa i pokoju.

Rzym, u Świętego Jana na Lateranie, 21 kwietnia 2024 r., w IV Niedzielą Wielkanocną.

FRANCISZEK

[00479-PL.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

رسالة قداسة البابا فرنسيس

في اليوم العالمي الحادي والسّتين للصّلاة من أجل الدّعوات

21 نيسان/أبريل 2024

”مدعُوُّون لتزرعوا الأمل وتبنوا السّلام“

أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء،

يدعونا اليوم العالمي للصّلاة من أجل الدّعوات، في كلّ سنة، إلى التّأمّل في عطيّة الدّعوة الثّمينة التي يعطيها الله لكلّ واحد منّا، نحن شعبه الذي يسير، حتّى نتمكّن من المشاركة في مشروع حبِّه، ولنجسِّدَ جمال الإنجيل في حالات الحياة المختلفة. الإصغاء إلى دعوة الله ليس واجبًا مفروضًا علينا من الخارج، وليست الدّعوة مثالًا دينيًّا ننظر إليه، بل هي الطّريقة الآمنة التي نُشبِعُ بها الرّغبة في السّعادة التي نحملها في داخلنا: تتحقّق حياتنا وتكتمل عندما نكتشف مَن نحن، وما هي صفاتنا، وفي أيّ مجال يمكننا أن نستثمرها، وما هي الطّريق الذي يمكننا أن نسلكه لنصير علامةً وأداةً للمحبّة والتّرحيب والجمال والسّلام في كلّ بيئة نعيش فيها.

هذا اليوم هو إذًا فرصة جميلة لنتذكّر شاكرين أمام الله الالتزام الأمين واليومي، وقد يكون أحيانًا خفيًّا، للذين اعتنقوا دعوة تشمل حياتهم بأكملها. أفكِّر في الأمهات والآباء الذين لا ينظرون أوّلًا إلى أنفسهم ولا يتبعون أسلوب حياة سطحيّ، بل يبنون حياتهم على الاهتمام بالعلاقات، بمحبّة ومجانيّة، وينفتحون على هبة الحياة، ويضعون أنفسهم في خدمة الأبناء وتنشئتهم. وأفكِّر في الذين يقومون بعملهم بروح التّفاني والتّعاون، وفي الذين يلتزمون، في مجالات وبطرق مختلفة، لبناء عالم أكثر عدلًا، واقتصاد فيه تضامن أكثر، وفي سياسة أكثر إنصافًا، ومجتمع أكثر إنسانيّة. أفكِّر في جميع الرّجال والنّساء ذوي النّوايا الطّيّبة الذين يكرّسون أنفسهم للصّالح العام. أفكر في الأشخاص المكرَّسين الذين يقدّمون حياتهم لله في صلاة صامتة أو في العمل الرّسوليّ، وأحيانًا في أماكنَ على الحدود، ولا يدَّخرون طاقاتهم، ويتقدّمون بمواهبهم الخلّاقة ويضعونها في خدمة كلّ من يلتقونهم. وأفكِّر في الذين لَبَّوا الدّعوة إلى الكهنوت، وكرّسوا أنفسهم لإعلان الإنجيل، و”كسروا“ حياتهم مع خبز الإفخارستيا، من أجل إخوتهم، فزرعوا فيهم الأمل وأظهروا للجميع جمال ملكوت الله.

وللشّباب، وخاصّة للذين يشعرون بالبعد أو بعدم الثّقة تجاه الكنيسة، أريد أن أقول: اتركوا يسوع يجتذبكم، اطرحوا عليه أسئلتكم المهمّة، ومن خلال صفحات الإنجيل، اسمحوا لأنفسكم بأن يثير يسوع فيكم القلق، الذي يثير فيكم أزمة مفيدة. ويسوع يحترم حريتكم أكثر من كلّ موجود، فهو لا يفرض نفسه بل يقدِّم نفسه لكم: اتركوا له مكانًا في نفوسكم، وستجدون سعادتكم في اتّباعه، حتّى إذا طلب منكم أن تبذلوا حياتكم كلّها له.

شعب يسير

إن تنسيق المواهب والدّعوات، التي تعترف بها الجماعة المسيحيّة وترافقها، يساعدنا على فهم هويتنا فهمًا كاملًا كمسيحيّين: نحن شعب الله الذي يسير في طرقات العالم، يحرّكه الرّوح القدس، ونحن الحجارة الحيّة في جسد المسيح. كلّ واحد منا يكتشف نفسه أنّه عضو في عائلة كبرى، ابنًا للآب، وأخًا أو أختًا لكلّ إخوته وأخواته. لسنا جزرًا منغلقة على أنفسنا، بل نحن جزء من كلّ. لهذا، يحمل هذا اليوم العالميّ للصّلاة من أجل الدّعوات طابع السّينوديّة: المواهب كثيرة، وكلّنا مدعوّون إلى الإصغاء بعضنا إلى بعض، وإلى السّير معًا لنكتشف هذه المواهب ونعرف إلى أيّ منها يدعونا الرّوح من أجل خير الجميع.

وفي اللحظة التاريخيّة الحاليّة، تقودنا مسيرتنا المشتركة إلى سنة اليوبيل 2025. نحن نسير، حجَّاجًا نحمل الرّجاء، نحو السّنة المقدّسة، وإذا ما اكتشفنا دعوتنا وارتبطنا بمواهب الرّوح المختلفة، أمكننا أن نكون في العالم حاملين لحلم يسوع وشهودًا له، فنُكَوِّنَ عائلة واحدة، يوحِّدُها حبّ الله، ويشدِّدها رباط المحبّة والمشاركة والأُخُوَّة.

هذا اليوم مخصَّص للصّلاة لنطلب من الآب عطيّة الدّعوات المقدّسة لبناء ملكوته: "اسأَلوا رَبَّ الحَصَاد أَن يُرسِلَ عَمَلَةً إِلى حَصادِه" (لوقا 10، 2). والصّلاة، كما نعلَم، هي إصغاء إلى الله أكثر منها كلام منّا إليه. الله يكلِّم قلوبنا ويريد أن يجدها منفتحة وصادقة وسخيّة. كلمته صار جسدًا في يسوع المسيح، الذي يكشف لنا مشيئة الآب ويبلِّغنا إياها. في هذه السّنة 2024، المخصّصة للصّلاة استعدادًا لليوبيل، نحن مدعُوُّون إلى اكتشاف هذه الهبة التي لا تُثَمَّن، والتي هي القدرة على الحوار مع الله، حوارًا من القلب إلى القلب، فنصير حجّاجًا للرّجاء، لأنّ "الصّلاة هي أوّل قوّة تسند الرّجاء. صَلّوا والرّجاء ينمو، وَتقدَّموا. أودّ أن أقول إنّ الصّلاة تفتح باب الرّجاء. الرّجاء موجود، ولكن بصلاتي أفتح له الباب" (التّعليم المسيحيّ، 20 أيّار/مايو 2020).

حجَّاج يحملون الرّجاء ويبنون السّلام

ولكن ماذا يعني أن تكون حاجًّا؟ من يقوم بالحجّ يسعى أوّلًا لأن يحدد لنفسه الهدف، ويحمله دائمًا في قلبه وعقله. ولكن في الوقت نفسه، للوصول إلى الهدف، لا بدّ من التّركيز على الحاضر، حتّى تعرف ماذا يجب أن تترك، وما هي الأثقال غير الضّروريّة التي يجب أن تتخلَّص منها، فتحمل الأساسيّات، وتجاهد كلّ يوم حتّى لا يغلبك ويوقفك عن المسير التّعب ولا الخوف أو عدم اليقين أو الظّلام. أن تكون حاجًّا يعني أن تنطلق كلّ يوم، وأن تبدأ من جديد كلّ يوم، وأن تجد كلّ يوم الاندفاع نفسه، والقوّة نفسها، لاجتياز مختلف مراحل الرّحلة التي تفتح أمامنا كلّ يوم، على الرّغم من التّعب والصّعوبات، آفاقًا جديدة ومشاهد مجهولة.

معنى الحجّ المسيحيّ هو هذا: نحن نسير في رحلة لاكتشاف حبّ الله، وفي الوقت نفسه، لاكتشاف أنفسنا، من خلال رحلة داخليّة، تحفِّزُها دائمًا علاقات كثيرة. إذًا، نحن حجّاج لأنّنا مدعُوُّون: مدعُوُّون إلى محبّة الله ومحبّة بعضنا البعض. ولهذا فإنَّ مسيرتنا على هذه الأرض لا تؤدّي أبدًا إلى تعب لا غاية له، أو إلى متاهة بلا هدف. على العكس، نستجيب لدعوتنا، فنسعى لاتخاذ الخطوات الممكنة نحو عالم جديد، حيث نعيش في سلام وعدل ومحبّة. نحن حجّاج الرّجاء لأنّنا نتوجَّه إلى مستقبل أفضل ونلتزم ببنائه ونحن نسير.

هذا هو، أخيرًا، الهدف لكلّ دعوة: أن نصير رجالًا ونساء نحمل الرّجاء. نحن جميعًا، أفرادًا وجماعات، في مختلف المواهب والخدمات، مدعُوُّون إلى تحقيق رجاء الإنجيل وجعله القلب في عالم مليء بالتحدِّيات التاريخيّة: التّهديد بحرب عالميّة ثالثة تدريجيّة، وجموع المهاجرين الذين يهربون من أراضيهم بحثًا عن مستقبل أفضل، والزيادة المستمرّة في عدد الفقراء، وخطر الإضرار بسلامة كوكبنا بشكل لا رجعة فيه. وإلى كلّ هذا نضيف الصّعوبات التي نواجهها في كلّ يوم، والتي قد تدفعنا أحيانًا إلى الاستسلام أو الانهزاميّة.

في عصرنا هذا، من المهمّ بالنّسبة لنا نحن المسيحيّين أن ننَمِّيَ في أنفسنا نظرة مليئة بالرّجاء، لكي نتمكّن من العمل بشكل مثمر، ونستجيب للدّعوة الموكولة إلينا، في خدمة ملكوت الله، ملكوت المحبّة، والعدل، والسّلام. ويقول لنا القدّيس بولس إنّ هذا الرّجاء "لا يُخَيِّبُ" (رومة 5، 5)، لأنّه الوعد الذي وعدنا به الرّبّ يسوع بأن يبقى معنا دائمًا وأن يُشرِكَنا في عمل الفداء الذي يريد أن يحقّقه في قلب كلّ إنسان وفي ”قلب“ الخليقة. وهذا الرّجاء يجد قوته الدّافعة في قيامة المسيح، التي "تحتوي على قوّة الحياة التي اخترقت العالم. وحيث يبدو أنّ كلّ شيء قد مات، تعود وتظهر براعم القيامة في كلّ مكان. إنّها قوّة لا مثيل لها. صحيح أنّه يبدو في كثير من الأحيان أنّ الله غير موجود: حين نرى الظّلم والشّرّ واللامبالاة والقسوة المستمرّة. ولكن من المؤكّد أيضًا أنّه في وسط الظّلام يبدأ يزهر شيء جديد، سيثمر عاجلًا أم آجلًا" (الإرشاد الرّسوليّ، فرح الإنجيل، 276). مرّة أخرى يقول الرّسول بولس إنّنا "في الرَّجاءِ نِلْنا الخَلاص" (رومة 8، 24). إنّ الفداء الذي تمّ تحقيقه في يوم الفصح يمنح الرّجاء، رجاء أكيدًا وموثوقًا، يمكننا به مواجهة تحديّات الحاضر.

أن نكون حجَّاجَ رجاء وبناة سلام يعني إذًا أن نؤسّس حياتنا على صخرة قيامة المسيح، عالمين أنّ كلّ التزام نقوم به، في الدّعوة التي قبلناها وما زلنا نعيشها، ليست عبثًا. وعلى الرّغم من الإخفاقات والانتكاسات، فإنّ الخير الذي نزرعه ينمو بصمت، ولا شيء يمكن أن يفصلنا عن الهدف النّهائي: اللقاء مع المسيح وفرح العيش في الأخُوّة بيننا إلى الأبد. علينا أن نستبق هذه الدّعوة الأخيرة كلّ يوم: إنّ علاقة المحبّة مع الله ومع الإخوة تبدأ منذ الآن بتحقيق حلم الله، حلم الوِحدة والسّلام والأخوّة. لا ينبغي لأحد أن يشعر بأنّه مُستَبعَدٌ من هذه الدّعوة! كلّ واحد منّا، مهما كان صغيرًا، مهما كان وضع حياته، يمكنه أن يكون، بمساعدة الرّوح القدس، زارع رجاء وسلام.

الشّجاعة للمجازفة

من أجل كلّ هذا أقول مرّة أخرى، كما في اليوم العالميّ للشّباب في لشبونة: ”قوموا! - استيقظوا!“. لنستيقظ من النّوم، ولنخرج من اللامبالاة، ولنكسر قضبان السّجن الذي حبسنا أنفسنا فيه أحيانًا، حتّى يتمكّن كلّ واحد منّا من اكتشاف دعوته في الكنيسة وفي العالم، ويصير حاجًّا يحمل الرّجاء ويبني السّلام. لنكن شغوفين بالحياة ولنُلزِمْ أنفسنا برعاية من حولنا بمحبّة، ورعاية البيئة التي نعيش فيها. أكرّر: تشجّعوا وغامروا. الأب أوريستي بنتسي (Don Oreste Benzi) رسول المحبّة الذي لا يكلّ، والذي يقف دائمًا إلى جانب الأقلّ حظًا والذين لا حامي لهم، كان يقول: لا يوجد أحد فقيرًا لدرجة أنّه لا يملك شيئًا يعطيه، ولا يوجد أحد غنيًّا لدرجة أنّه لا يحتاج إلى شيء من غيره.

فلننهض إذًا، وننطلق حجَّاجًا للرّجاء. لأنّه، كما فعلت مريم مع القدّيسة أليصابات، يمكننا نحن أيضًا أن نحمل بشارة فرح، ونولِّد حياة جديدة، ونكون صانعيّ أخُوَّة وسلام.

روما، بازيليكا القدّيس يوحنا في اللاتران، 21 نيسان/أبريل 2024، الأحد الرابع للفصح.

فرنسيس

[00479-AR.01] [Testo originale: Italiano]

[B0228-XX.02]