Omelia del Santo Padre
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Nel pomeriggio di oggi - Mercoledì delle Ceneri, giorno di inizio della Quaresima – ha avuto luogo una celebrazione nella forma delle «Stazioni» romane.
Alle ore 16.30, nella chiesa di Sant’Anselmo all’Aventino, si è tenuto un momento di preghiera, cui ha fatto seguito la processione penitenziale verso la Basilica di Santa Sabina. Alla processione hanno preso parte i Cardinali, gli Arcivescovi, i Vescovi, i Monaci Benedettini di Sant’Anselmo, i Padri Domenicani di Santa Sabina ed alcuni fedeli.
Al termine della processione, nella Basilica di Santa Sabina, il Santo Padre Francesco ha presieduto la celebrazione della Santa Messa con il Rito di benedizione e di imposizione delle ceneri.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Santo Vangelo:
Omelia del Santo Padre
Quando fai l’elemosina, quando preghi, quando digiuni, abbi cura che ciò sia fatto nel segreto: il Padre tuo, infatti, vede nel segreto (cfr Mt 6,4). Entra nel segreto: questo è l’invito che Gesù rivolge ad ognuno di noi all’inizio del cammino della Quaresima.
Entrare nel segreto significa ritornare al cuore, come ammonisce il profeta Gioele (cfr Gl 2,12). Si tratta di un viaggio dall’esterno all’interno, perché tutto ciò che viviamo, anche la nostra relazione con Dio, non si riduca ad esteriorità, a una cornice senza quadro, a un rivestimento dell’anima, ma nasca da dentro e corrisponda ai movimenti del cuore, cioè ai nostri desideri, ai nostri pensieri, al nostro sentire, al nucleo sorgivo della nostra persona.
La Quaresima ci immerge allora in un bagno di purificazione e di spoliazione: vuole aiutarci a togliere ogni “trucco”, tutto ciò di cui ci rivestiamo per apparire adeguati, migliori di come siamo. Ritornare al cuore significa ritornare al nostro vero io e presentarlo così com’è, nudo e spoglio, davanti a Dio. Significa guardarci dentro e prendere coscienza di chi siamo davvero, togliendoci le maschere che spesso indossiamo, rallentando la corsa delle nostre frenesie, abbracciando la verità di noi stessi. La vita non è una recita, e la Quaresima ci invita a scendere dal palcoscenico della finzione, per tornare al cuore, alla verità di ciò che siamo.
Per questo, stasera, con spirito di preghiera e di umiltà, riceviamo sul capo la cenere. È un gesto che vuole riportarci alla realtà essenziale di noi stessi: noi siamo polvere, la nostra vita è come un soffio (cfr Sal 39,6; 144,4), ma il Signore – Lui e soltanto Lui – non permette che essa svanisca; Egli raccoglie e plasma la polvere che siamo, perché non venga dispersa dai venti impetuosi della vita e non si dissolva nell’abisso della morte.
Le ceneri poste sul nostro capo ci invitano a riscoprire il segreto della vita. Ci dicono: fino a quando continuerai a indossare un’armatura che copre il cuore, a camuffarti con la maschera delle apparenze, a esibire una luce artificiale per mostrarti invincibile, resterai vuoto e arido. Quando invece avrai il coraggio di chinare il capo per guardarti dentro, allora potrai scoprire la presenza di un Dio che ti ama da sempre; finalmente si frantumeranno le corazze che ti sei costruito e potrai sentirti amato di un amore eterno.
Sorella, fratello, io, tu, ognuno di noi, siamo amati di amore eterno. Siamo cenere su cui Dio ha soffiato il suo alito di vita, terra che Egli ha plasmato con le sue mani (cfr Gen 2,7; Sal 119,73), polvere da cui risorgeremo per una vita senza fine preparata da sempre per noi (cfr Is 26,19). E se, nella cenere che siamo, arde il fuoco dell’amore di Dio, allora scopriamo che di questo amore siamo impastati e che all’amore siamo chiamati: amare i fratelli che abbiamo accanto, essere attenti agli altri, vivere la compassione, esercitare la misericordia, condividere ciò che siamo e ciò che abbiamo con chi è nel bisogno. Perciò l’elemosina, la preghiera e il digiuno non possono ridursi a pratiche esteriori, ma sono vie che ci riconducono al cuore, all’essenziale della vita cristiana. Ci fanno scoprire che siamo cenere amata da Dio e ci rendono capaci di spargere lo stesso amore sulle “ceneri” di tante situazioni quotidiane, perché in esse rinascano speranza, fiducia, gioia.
Sant’Anselmo d’Aosta ci ha lasciato questa esortazione, che stasera possiamo fare nostra: «Fuggi via per breve tempo dalle tue occupazioni, lascia per un po’ i tuoi pensieri tumultuosi. Allontana in questo momento i gravi affanni e metti da parte le tue faticose attività. Attendi un poco a Dio e riposa in lui. Entra nell’intimo della tua anima, escludi tutto tranne Dio e quello che ti aiuta a cercarlo, e, richiusa la porta, cercalo. O mio cuore, di’ ora con tutto te stesso, di’ ora a Dio: Cerco il tuo volto. II tuo volto, Signore, io cerco» (Proslogion, 1).
Ascoltiamo allora, in questa Quaresima, la voce del Signore che non si stanca di ripeterci: entra nel segreto, ritorna al cuore. È un invito salutare, per noi che spesso viviamo in superficie, che ci agitiamo per essere notati, che abbiamo sempre bisogno di essere ammirati e apprezzati. Senza accorgercene, ci ritroviamo a non avere più un luogo segreto in cui fermarci e custodire noi stessi, immersi in un mondo in cui tutto, anche le emozioni e i sentimenti più intimi, deve diventare “social” – ma come può essere sociale ciò che non sgorga dal cuore? –. Persino le esperienze più tragiche e dolorose rischiano di non avere un luogo segreto che le custodisca: tutto dev’essere esposto, ostentato, dato in pasto alla chiacchiera del momento. Ed ecco che il Signore ci dice: entra nel segreto, ritorna al centro di te stesso. Proprio lì, dove albergano anche tante paure, sensi di colpa e peccati, lì il Signore è disceso, per sanarti e purificarti. Entriamo nella nostra camera interiore: lì abita il Signore, la nostra fragilità è accolta e siamo amati senza condizioni.
Ritorniamo, fratelli e sorelle. Ritorniamo a Dio con tutto il cuore. In queste settimane di Quaresima diamo spazio alla preghiera di adorazione silenziosa, nella quale rimanere in ascolto alla presenza del Signore, come Mosè, come Elia, come Maria, come Gesù. Prestiamo l’orecchio del cuore a Colui che, nel silenzio, vuole dirci: «Io sono il tuo Dio: Dio di misericordia e di compassione, il Dio del perdono e dell’amore, il Dio della tenerezza e della sollecitudine. […] Non giudicare te stesso. Non condannarti. Non rifiutare te stesso. Lascia che il mio amore tocchi i più profondi e nascosti recessi del tuo cuore e ti riveli la tua stessa bellezza, una bellezza che hai perso di vista, ma che ti diventerà nuovamente visibile nella luce della mia misericordia. Vieni, vieni, lascia che io possa asciugare le tue lacrime e lascia che la mia bocca venga più vicino al tuo orecchio e ti dica: Io ti amo, ti amo, ti amo» (H. Nouwen, In cammino verso l’alba, Brescia 1997, 233).
Non abbiamo paura di spogliarci dei rivestimenti mondani e di tornare al cuore, all’essenziale. Pensiamo a San Francesco, che dopo essersi spogliato abbracciò con tutto sé stesso il Padre che è nei cieli. Riconosciamoci per quello che siamo: polvere amata da Dio; e grazie a Lui rinasceremo dalle ceneri del peccato alla vita nuova in Gesù Cristo e nello Spirito Santo.
[00292-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Quand vous faites l’aumône, quand vous priez, quand vous jeûnez, veillez à ce que cela se fasse dans le secret: car votre Père voit dans le secret (cf. Mt 6, 4). Entrer dans le secret: c’est l’invitation que Jésus adresse à chacun de nous au début du chemin de Carême.
Entrer dans le secret signifie revenir au cœur, comme exhorte le prophète Joël (cf. Jl 2, 12). Il s’agit d’un voyage de l’extérieur vers l’intérieur, afin que tout ce que nous vivons, même notre relation avec Dieu, ne se réduise pas à une extériorité, à un cadre sans image, à une couverture de l’âme, mais surgisse de l’intérieur et corresponde aux mouvements du cœur, c’est-à-dire à nos désirs, à nos pensées, à notre sentiment, au noyau originel de notre personne.
Le Carême nous plonge alors dans un bain de purification et de spoliation: il veut nous aider à enlever tout “maquillage”, tout ce dont nous nous revêtons pour paraître adéquats, meilleurs que nous ne le sommes. Revenir au cœur signifie revenir à notre vrai moi et le présenter tel qu’il est, nu et dépouillé, devant Dieu. Cela signifie regarder en nous-mêmes et prendre conscience de ce que nous sommes vraiment, en nous débarrassant des masques que nous portons souvent, en ralentissant la course de nos frénésies, en étreignant notre vie et notre vérité. La vie n’est pas une pièce de théâtre, et le Carême nous invite à descendre d’une scène fictive pour revenir au cœur, à la vérité de ce que nous sommes. Revenir au cœur, revenir à la vérité.
C’est pourquoi, ce soir, dans un esprit de prière et d’humilité, nous recevons la cendre sur nos têtes. C’est un geste qui veut nous ramener à notre réalité essentielle: nous sommes poussière, notre vie est comme un souffle (cf. Ps 39, 6; 144, 4), mais le Seigneur – Lui et Lui seul, pas d’autres – permet qu’elle ne disparaisse pas; Il recueille et façonne la poussière que nous sommes, afin qu’elle ne soit pas dispersée par les vents impétueux de la vie et qu’elle ne se dissolve pas dans l’abîme de la mort.
Les cendres déposées sur nos têtes nous invitent à redécouvrir le secret de la vie. Elles nous disent: tant que tu continueras à porter une armure qui recouvre ton cœur, tant que tu te camoufleras avec le masque des apparences, à exhiber une lumière artificielle pour te montrer invincible, tu resteras vide et aride. Quand, au contraire, tu auras le courage de baisser la tête pour regarder en toi, alors tu pourras découvrir la présence d’un Dieu qui t’aime et qui t’aime depuis toujours; l’armure que tu t’es construite sera enfin brisée et tu pourras te sentir aimé d’un amour éternel.
Ma sœur, mon frère, moi, toi, chacun de nous, nous sommes aimés d’un amour éternel. Nous sommes des cendres sur lesquelles Dieu a insufflé son souffle de vie, nous sommes une terre qu’Il a modelée de ses mains (cf. Gn 2, 7; Ps 119, 73), nous sommes une poussière de laquelle nous ressusciterons pour une vie sans fin préparée depuis toujours pour nous (cf. Is 26, 19). Et si, dans les cendres que nous sommes, brûle le feu de l’amour de Dieu, alors nous découvrons que de cet amour nous sommes pétris et que, à l’amour nous sommes appelés: aimer nos frères qui sont à côté, être attentifs aux autres, vivre la compassion, exercer la miséricorde, partager ce que nous sommes et ce que nous avons avec ceux qui sont dans le besoin. C’est pourquoi l’aumône, la prière et le jeûne ne peuvent se réduire à des pratiques extérieures, mais sont des voies qui nous ramènent au cœur, à l’essentiel de la vie chrétienne. Ils nous font découvrir que nous sommes de la cendre aimée par Dieu et nous rendent capables de répandre ce même amour sur les “cendres” de tant de situations quotidiennes, afin qu’en elles l’espérance, la confiance et la joie renaissent.
Saint Anselme d’Aoste nous a laissé cette exhortation, que nous pouvons faire nôtre ce soir: «Fuis un moment tes occupations, cache-toi un peu de tes pensées tumultueuses. Rejette maintenant tes pesants soucis, et remets à plus tard tes tensions laborieuses. Vaque quelque peu à Dieu, et repose-toi quelque peu en Lui. Entre dans la cellule de ton âme, exclus tout hormis Dieu et ce qui t'aide à le chercher; porte fermée, cherche-le. Dis maintenant, tout mon cœur, dis maintenant à Dieu: Je cherche ton visage, ton visage, Seigneur, je le recherche» (Proslogion, 1).
Écoutons donc, en ce temps de Carême, la voix du Seigneur qui ne se lasse pas de nous répéter: entre dans le secret. Entre dans le secret, reviens au cœur. C’est une invitation salutaire, pour nous qui vivons souvent de manière superficielle, qui nous agitons pour être remarqués, qui avons toujours besoin d’être admirés et appréciés. Sans nous en rendre compte, nous nous retrouvons à ne plus avoir de lieu secret dans lequel nous arrêter et nous protéger, immergés dans un monde où tout, y compris nos émotions et nos sentiments les plus intimes, doit devenir “social” – mais comment peut être social ce qui ne jaillit pas du cœur? – Même les expériences les plus tragiques et les plus douloureuses risquent de ne pas avoir de lieu secret qui les protège: tout doit être exposé, exhibé, livré au bavardage du moment. Et voici que le Seigneur nous dit: entre dans le secret, rentre au centre de toi-même. C’est précisément là, où résident aussi tant de peurs, de sentiments de culpabilité et de péchés, que le Seigneur est descendu, il est descendu pour te guérir et te purifier. Entrons dans notre chambre intérieure: c’est là que le Seigneur habite, que notre fragilité est accueillie et où nous sommes aimés sans condition.
Revenons, frères et sœurs. Revenons à Dieu de tout notre cœur. En ces semaines de Carême, faisons place à la prière d’adoration silencieuse, dans laquelle nous restons à l’écoute de la présence du Seigneur, comme Moïse, comme Élie, comme Marie, comme Jésus. Avons-nous réalisé que nous avons perdu le sens de l’adoration? Revenons à l’adoration. Prêtons l’oreille du cœur à Celui qui, dans le silence, veut nous dire: «Je suis ton Dieu: Dieu de miséricorde et de compassion, le Dieu du pardon et de l’amour, le Dieu de la tendresse et de la sollicitude. […] Ne te juge pas toi-même. Ne te condamne pas. Ne te refuse pas toi-même. Laisse mon amour toucher les recoins les plus profonds et cachés de ton cœur et te révéler ta beauté, une beauté que tu as perdue de vue, mais qui te deviendra à nouveau visible dans la lumière de ma miséricorde». Le Seigneur nous appelle: «Viens, viens, laisse-moi sécher tes larmes et laisse ma bouche venir plus près de ton oreille et te dire: Je t’aime, je t’aime, je t’aime» (H. Nouwen, In cammino verso l’alba, Brescia 1997, p. 233). Croyons-nous que le Seigneur nous aime, que le Seigneur m’aime?
Frères et sœurs, n’ayons pas peur de nous dépouiller des parures mondaines et de revenir au cœur, revenir à l’essentiel. Pensons à saint François qui, après s’être dépouillé, a embrassé de tout son être le Père qui est aux cieux. Reconnaissons-nous pour ce que nous sommes: une poussière aimée de Dieu, appelée à être une poussière amoureuse de Dieu. Grâce à Lui, nous renaîtrons des cendres du péché à la vie nouvelle en Jésus-Christ et dans l’Esprit Saint.
[00292-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
When you give alms, or pray or fast, take care to do these things in secret, for your Father sees in secret (cf. Mt 6:4). “Go to your room”: this is the invitation that Jesus addresses to each of us at the beginning of the Lenten journey.
Going to your room means returning to the heart, as the prophet Joel admonishes (cf. Joel 2:12). It means journeying from without to within, so that our whole life, including our relationship with God, is not reduced to mere outward show, a frame without a picture, a draping of the soul, but is born from within and reflects the movements of our heart, our deepest desires, our thoughts, our feelings, the very core of our person.
Lent, then, immerses us in a bath of purification and of self-spoliation: it helps us to remove all the cosmetics that we use in order to appear presentable, better than we really are. To return to the heart means to go back to our true self and to present it just as it is, naked and defenceless, in the sight of God. It means looking within ourselves and acknowledging our real identity, removing the masks we so often wear, slowing the frantic pace of our lives and embracing life and the truth of who we are. Life is not a play; Lent invites us to come down from the stage and return to the heart, to the reality of who we are: a return to the heart and the truth.
That is why this evening, in a spirit of prayer and humility, we receive ashes on our head. This gesture is meant to remind us of the ultimate reality of our lives: that we are dust and our life passes away like a breath (cf. Ps 39:6; 144:4). Yet the Lord – he and he alone – does not allow it to vanish; he gathers and shapes the dust that we are, lest it be swept away by the winds of life or sink into the abyss of death.
The ashes placed on our head invite us to rediscover the secret of life. They tell us that as long as we continue to shield our hearts and hide ourselves behind a mask, to appear invincible, we will be empty and arid within. When, on the other hand, we have the courage to bow our heads in order to look within, we will discover the presence of God who loves us and has always loved us. At last those shields you have built for yourself will be shattered and you will be able to feel yourself loved with an eternal love.
Sister, brother, I, you, each of us, is loved with an eternal love. We are ashes on which God has breathed his breath of life, we are the earth which he has shaped with his own hands (cf. Gen 2:7; Ps 119:73), dust from which we will rise for a life without end prepared for us from all eternity (cf. Is 26:9). And if, in the ashes that we are, the fire of the love of God burns, then we will discover that we have indeed been shaped by that love and called to love others in turn. To love the brothers and sisters all around us, to be considerate to others, to feel compassion, to show mercy, to share all that we are and all that we have with those in need. Almsgiving, prayer and fasting are not mere external practices; they are paths that lead to the heart, to the core of the Christian life. They make us realize that we are ashes loved by God, and they enable us to spread that love on the “ashes” of so many situations in our daily lives, so that in them hope, trust and joy may be reborn.
Saint Anselm of Aosta has left us these words of encouragement that this evening we can make our own: “Escape from your everyday business for a short while, hide for a moment from your restless thoughts. Break off from your cares and troubles and be less concerned about your tasks and labours. Make a little time for God and rest a while in him. Enter into your mind’s inner chamber. Shut out everything but God and whatever helps you to seek him; and when you have shut the door, look for him. Speak now to God and say with your whole heart: I seek your face; your face, O Lord, I desire” (Proslogion, 1).
Let us listen then, throughout this Lent, to the voice of the Lord who does not tire of repeating: go to your room, return to your heart. It is a salutary invitation for us, who so often live on the surface of things, who are so concerned to be noticed, who constantly need to be admired and appreciated. Without realizing it, we find ourselves no longer having an “inner chamber” in which we can stop and care for ourselves, immersed as we are in a world in which everything, including our emotions and deepest feelings, has to become “social” – but how can something be “social” that does not come from the heart? Even the most tragic and painful experiences risk not having a quiet place where they can be kept. Everything has to be exposed, shown off, fed to the gossip-mill of the moment. But the Lord says to us: Enter into the secret, return to the centre of yourself. Precisely there, where so many fears, feelings of guilt and sin are lurking, precisely there the Lord has descended in order to heal and cleanse you. Let us enter into our inner chamber: there the Lord dwells, there our frailty is accepted and we are loved unconditionally.
Let us return, brothers and sisters. Let us return to God with all our heart. During these weeks of Lent, let us make space for the prayer of silent adoration, in which we experience the presence of the Lord, like Moses, like Elijah, like Mary, like Jesus. Have we noticed that we have lost the sense of worship? Let us return to worship. Let us lend the ear of our hearts to the One who, in silence, wants to say to us: “I am your God – the God of mercy and compassion, the God of pardon and love, the God of tenderness and care… Do not judge yourself. Do not condemn yourself. Do not reject yourself. Let my love touch the deepest, most hidden corners of your heart and reveal to you your own beauty, a beauty that you have lost sight of, but will become visible to you again in the light of my mercy.” The Lord is calling us: “Come, let me wipe your tears, and let my mouth come close to your ear and say to you: I love you, I love you, I love you” (H. NOUWEN, The Road to Daybreak, New York, 1988, 157-158). Do we believe that the Lord loves us, that the Lord loves me?
Brothers and sisters, let us not be afraid to strip ourselves of worldly trappings and return to the heart, returning to what is essential. Let us think of Saint Francis, who after stripping himself embraced with his entire being the Father in heaven. Let us acknowledge what we are: dust loved by God, called to be dust in love with God. Thanks to him, we will be reborn from the ashes of sin to new life in Jesus Christ and in the Holy Spirit.
[00292-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Wenn du Almosen gibst, wenn du betest, wenn du fastest, dann achte darauf, dass dies im Verborgenen geschieht; dein Vater sieht nämlich auch das Verborgene (vgl. Mt 6,4). Begib dich in die Verborgenheit: Das ist die Einladung, die Jesus zu Beginn der Fastenzeit an einen jeden von uns richtet.
Ins Verborgene einzutreten bedeutet, zum Herzen zurückzukehren, wie der Prophet Joël mahnt (vgl. Joël 2,12). Es ist eine Reise von außen nach innen, damit alles, was wir erleben, auch unsere Beziehung zu Gott, sich nicht auf Äußerlichkeiten reduziert, auf einen Rahmen ohne Bild, auf eine Hülle für die Seele, sondern von innen her entsteht und den Bewegungen des Herzens entspricht, das heißt, unseren Wünschen, unseren Gedanken, unseren Gefühlen, dem ursprünglichen Kern unserer Person.
Die Fastenzeit taucht uns also in ein Bad der Reinigung und Säuberung: Sie will uns helfen, jede „Schminke“ zu entfernen, alles, was wir auftragen, um angemessen zu erscheinen und besser als wir sind. Zum Herzen zurückzukehren bedeutet, zu unserem wahren Ich zurückzukehren und es so wie es ist, nackt und bloß, vor Gott zu stellen. Es bedeutet, in unser Inneres zu schauen und uns bewusst zu werden, wer wir wirklich sind, indem wir die Masken abnehmen, die wir oft tragen, das Tempo unserer Hektik verlangsamen, das Leben annehmen und die Wahrheit über uns selbst. Das Leben ist kein Schauspiel, und die Fastenzeit lädt uns ein, von der Bühne der Verstellung herabzusteigen, um zu unserem Herzen zurückzukehren, zur Wahrheit dessen, was wir sind. Zum Herzen zurückkehren, zur Wahrheit zurückkehren.
Deshalb erhalten wir heute Abend im Geist des Gebets und der Demut das Aschenkreuz auf die Stirn. Es ist eine Geste, die uns zum Wesentlichen unser selbst zurückbringen will: Wir sind Staub, unser Leben ist wie ein Hauch (vgl. Ps 39,6; 144,4), aber der Herr – er und nur er, kein anderer – lässt nicht zu, dass es verschwindet; er sammelt und formt den Staub, der wir sind, damit er nicht von den ungestümen Winden des Lebens zerstreut wird und sich nicht im Abgrund des Todes verliert.
Die Asche auf unseren Häuptern lädt uns ein, das Verborgene im Leben wiederzuentdecken. Sie sagt uns: Solange du weiterhin eine Rüstung trägst, die dein Herz verhüllt, solange du dich mit der Maske des Scheins tarnst und du ein künstliches Licht ausstrahlst, um unbesiegbar zu erscheinen, wirst du leer und unfruchtbar bleiben. Wenn du hingegen den Mut hast, deinen Kopf zu beugen und in dein Inneres zu schauen, dann wirst du die Gegenwart eines Gottes entdecken können, der dich liebt und dich seit jeher liebt; dann wird die Rüstung, die du dir angelegt hast, endlich zerbrechen und du wirst dich von einer ewigen Liebe geliebt fühlen können.
Schwester, Bruder, ich, du, ein jeder von uns, wir sind mit ewiger Liebe geliebt. Wir sind Asche, über die Gott seinen Lebensatem gehaucht hat, wir sind Erde, die er mit seinen Händen geformt hat (vgl. Gen 2,7; Ps 119,73), wir sind Staub, aus dem wir auferstehen werden zu einem Leben ohne Ende, das schon immer für uns vorbereitet war (vgl. Jes 26,19). Und wenn in der Asche, die wir sind, das Feuer der Liebe Gottes brennt, dann entdecken wir, dass wir von dieser Liebe durchdrungen sind und dass wir zur Liebe berufen sind: die Geschwister zu lieben, die uns umgeben, achtsam gegenüber anderen zu sein, Mitgefühl zu zeigen, Barmherzigkeit zu üben, das, was wir sind und was wir haben, mit denjenigen zu teilen, die bedürftig sind. Daher können Almosen, Gebet und Fasten nicht auf äußere Verhaltensweisen verkürzt werden, sondern sie sind Wege, die uns zum Herzen zurückführen, zum Wesentlichen des christlichen Lebens. Sie lassen uns entdecken, dass wir Asche sind, die von Gott geliebt ist, und sie befähigen uns, dieselbe Liebe über die „Asche“ so vieler alltäglicher Situationen zu streuen, damit in ihnen Hoffnung, Vertrauen und Freude wiederaufleben.
Der heilige Anselm von Canterbury hat uns diese Ermahnung hinterlassen, die wir uns heute Abend zu eigen machen können: »Wohlan, jetzt, Menschlein, entfliehe ein wenig deinen Beschäftigungen, verbirg dich ein Weilchen vor deinen lärmenden Gedanken. Wirf ab jetzt deine beschwerlichen Sorgen und lege deine mühevollen Geschäfte beiseite. Sei frei ein wenig für Gott und ruhe ein bisschen in ihm. Tritt ein in die Kammer deines Herzens, halte fern alles außer Gott und was dir hilft, ihn zu suchen, und hinter verschlossener Türe suche ihn. Sprich jetzt, mein ganzes Herz, sprich jetzt zu Gott: „Ich suche Dein Antlitz; Dein Antlitz, Herr, suche ich“« (Proslogion, 1).
Hören wir also in dieser Fastenzeit auf die Stimme des Herrn, der nicht müde wird, uns immer wieder zu sagen: Begib dich in das Verborgene. Begib dich in das Verborgene, kehr zum Herzen zurück. Es ist eine heilsame Aufforderung für uns, die wir oft an der Oberfläche leben, die wir uns darum reißen, bemerkt zu werden, die wir immer bewundert und geschätzt werden wollen. Ohne es zu merken, haben wir keinen verborgenen Ort mehr, an dem wir innehalten und uns zurückziehen können. Wir sind in eine Welt eingetaucht, in der alles, selbst innerste Emotionen und Gefühle, in den sozialen Medien erscheinen muss – aber wie kann etwas, das nicht aus dem Herzen kommt, sozial sein? Selbst die tragischsten und schmerzhaftesten Erfahrungen laufen Gefahr, keinen verborgenen Ort zu haben, an dem sie geschützt sind: Alles muss offengelegt werden, zur Schau gestellt, dem Geschwätz des Augenblicks überlassen werden. Und hier sagt uns der Herr: Begib dich in das Verborgene, kehr zu deiner eigenen Mitte zurück. Genau dort, wo auch so viele Ängste, Schuldgefühle und Sünden wohnen, dort ist der Herr hingekommen, er ist dort hingekommen, um dich zu heilen und zu reinigen. Treten wir in unsere innere Kammer ein: Dort wohnt der Herr, unsere Schwachheit wird angenommen und wir sind bedingungslos geliebt.
Lasst uns zurückkehren, Brüder und Schwestern. Kehren wir mit ganzem Herzen zu Gott zurück. Geben wir in diesen Wochen der Fastenzeit dem Gebet der stillen Anbetung Raum und bleiben wir lauschend in der Gegenwart des Herrn, so wie Mose, wie Elija, wie Maria, wie Jesus. Haben wir gemerkt, dass wir die Bedeutung der Anbetung nicht mehr kennen? Lasst uns zur Anbetung zurückkehren. Leihen wir das Ohr unseres Herzens dem Einen, der uns in der Stille sagen will: »Ich bin dein Gott: Der Gott der Barmherzigkeit und des Mitgefühls, der Gott der Vergebung und der Liebe, der Gott der Zärtlichkeit und der Fürsorge. [...] Richte dich nicht selbst. Verurteile dich nicht. Lehn dich nicht selbst ab. Lass meine Liebe die tiefsten und verborgensten Winkel deines Herzens berühren und dir deine eigene Schönheit offenbaren, eine Schönheit, die du aus den Augen verloren hast, die aber im Licht meiner Barmherzigkeit wieder sichtbar werden wird«. Der Herr ruft uns: »Komm, komm, lass mich deine Tränen trocknen und lass meinen Mund näher an dein Ohr kommen und zu dir sagen: Ich liebe dich, ich liebe dich, ich liebe dich« (H. Nouwen, In cammino verso l’alba, Brescia 1997, 233). Glauben wir, dass der Herr uns liebt, dass der Herr mich liebt?
Brüder und Schwestern, haben wir keine Angst davor, uns der weltlichen Hüllen zu entledigen und zum Herzen zurückzukehren, zum Wesentlichen zurückzukehren. Denken wir an den heiligen Franziskus, der, nachdem er sich entkleidet hatte, mit seiner ganzen Person den Vater im Himmel umarmte. Erkennen wir uns als das, was wir sind: Von Gott geliebter Staub, der dazu berufen ist, in Gott verliebter Staub zu sein. Durch ihn werden wir aus der Asche der Sünde zum neuen Leben in Jesus Christus und im Heiligen Geist wiedergeboren werden.
[00292-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Cuando des limosna, cuando reces, cuando ayunes, ten cuidado de hacerlo en lo secreto. Tu Padre, en efecto, ve en lo secreto (cf. Mt 6,4). Entra en lo secreto: esta es la invitación que Jesús nos dirige a cada uno de nosotros al inicio del camino de la cuaresma.
Entrar en lo secreto significa volver al corazón, como exhorta el profeta Joel (cf. Jl 2,12). Se trata de un viaje desde el exterior al interior, para que todo lo que vivamos, incluso nuestra relación con Dios, no se reduzca a la exterioridad, a un marco sin pintura, a un revestimiento del alma, sino que nazca desde dentro y se corresponda con los movimientos del corazón; es decir, con nuestros deseos, con nuestros pensamientos, con nuestro sentir, con el núcleo originario de nuestra persona.
La cuaresma nos sumerge entonces en un baño de purificación y de despojamiento; quiere ayudarnos a quitar todo “maquillaje”, todo aquello de lo que nos revestimos para parecer adecuados, mejores de lo que realmente somos. Volver al corazón significa volver a nuestro verdadero yo y presentarlo tal como es, desnudo y despojado, frente a Dios. Significa mirarnos por dentro y tomar conciencia de quiénes somos realmente, quitándonos las máscaras que a menudo usamos, disminuyendo el ritmo de nuestro frenesí, abrazando la vida y la verdad de nosotros mismos. La vida no es una actuación, y la cuaresma nos invita a bajar del escenario de la ficción para volver al corazón, a la verdad de lo que somos. Volver al corazón, volver a la verdad.
Por eso, esta tarde, con un espíritu de oración y humildad, recibimos la ceniza sobre nuestra cabeza. Es un gesto que quiere remitirnos a la realidad esencial de nosotros mismos. Somos polvo, nuestra vida es como un soplo (cf. Sal 39,6; 144,4), pero el Señor —Él y solamente Él, y nadie más— no permite que ese polvo que somos se desvanezca; Él lo recoge y lo plasma para que no lo dispersen los vientos impetuosos de la vida y no se disuelva en el abismo de la muerte.
La ceniza puesta sobre nuestra cabeza nos invita a redescubrir el secreto de la vida. Nos advierte: mientras sigas usando una armadura que cubre el corazón, mientras sigas camuflándote con la máscara de las apariencias, exhibiendo una luz artificial para mostrarte invencible, permanecerás vacío y árido. En cambio, cuando tengas la valentía de inclinar la cabeza para mirar tu interior, entonces podrás descubrir la presencia de un Dios que te ama y te ama desde siempre; finalmente se harán añicos las corazas que tú te has construido y podrás sentirte amado con un amor eterno.
Hermana, hermano, yo, tú, cada uno de nosotros somos amados con amor eterno. Somos ceniza sobre la que Dios sopló su aliento de vida, somos tierra que Él plasmó con sus manos (cf. Gn 2,7; Sal 119,73), somos polvo del que resurgiremos para una vida sin fin preparada desde siempre para nosotros (cf. Is 26,19). Y si en la ceniza que somos arde el fuego del amor de Dios, entonces descubrimos que estamos modelados por este amor y que somos llamados al amor; que se concretiza en amar a los hermanos que tenemos a nuestro lado, estar atentos a los demás, vivir la compasión, ejercitar la misericordia, compartir lo que somos y lo que tenemos con quien lo necesita. Por eso la limosna, la oración y el ayuno no pueden reducirse a prácticas exteriores, sino que son caminos que nos reconducen al corazón, a lo esencial de la vida cristiana. Nos hacen descubrir que somos polvo amado por Dios y nos vuelven capaces de esparcir el mismo amor sobre la “ceniza” de tantas situaciones cotidianas, para que en ellas renazca esperanza, confianza y alegría.
San Anselmo de Aosta nos dejó una exhortación que esta tarde podemos hacer nuestra: «Huye un momento de tus ocupaciones, apártate por un instante de tus tumultuosos pensamientos. Deshazte de las preocupaciones que te agobian y pospón tus laboriosos quehaceres. Entrégate un poco a Dios y descansa un instante en Él. “Entra en el aposento” de tu espíritu, ahuyenta todo excepto a Dios y lo que te ayude a hallarle, y una vez cerrada la puerta búscale. Ahora di “corazón mío”, di todo entero ahora a Dios: Busco tu rostro, Señor; tu rostro es lo que busco» (Proslogion, 1).
Escuchemos, pues, en esta Cuaresma, la voz del Señor que no se cansa de repetirnos: entra en lo secreto. Entra en lo secreto, vuelve al corazón. Es una sana invitación para nosotros, que a menudo vivimos en la superficie, que nos inquietamos para hacernos notar, que siempre necesitamos ser admirados y apreciados. Sin darnos cuenta, nos encontramos sin contar más con un lugar secreto donde detenernos y custodiarnos a nosotros mismos, inmersos en un mundo en el que todo, incluso nuestras emociones y sentimientos más íntimos, debe volverse “social” —pero, ¿cómo puede ser social lo que no brota del corazón?—. Hasta las experiencias más trágicas y dolorosas corren el riesgo de no tener un lugar secreto que las custodie: todo debe ser expuesto, ostentado, entregado al parloteo del momento. Y es aquí cuando el Señor nos dice: entra en lo secreto, vuelve al centro de ti mismo. Justo ahí, donde también se alojan tantos miedos, sentimientos de culpa y pecados, hasta ahí ha descendido el Señor, ha descendido para sanarte y purificarte. Entremos a nuestra habitación interior: allí mora el Señor, que acoge nuestra fragilidad y nos ama incondicionalmente.
Volvamos, hermanos y hermanas. Volvamos a Dios con todo el corazón. En estas semanas de cuaresma, dejemos espacio para la oración silenciosa de adoración, en la que permanecemos en presencia del Señor a la escucha, como Moisés, como Elías, como María, como Jesús. ¿Somos conscientes de que hemos perdido el sentido de la adoración? Regresemos a la adoración. Prestemos el oído de nuestro corazón a Aquel que, en el silencio, quiere decirnos: «Soy tu Dios, el Dios de la misericordia y la compasión, el Dios del perdón y del amor, el Dios de la ternura y la solicitud. […] No te juzgues. No te condenes. No te rechaces. Deja que mi amor llegue a los rincones más escondidos de tu corazón y te revele tu propia belleza. Una belleza que has perdido de vista, pero que se hará nuevamente visible para ti a la luz de mi misericordia. [El Señor nos llama:] Ven, ven, deja que enjugue tus lágrimas, y deja que mi boca se aproxime a tu oído y te diga: “Te amo, te amo, te amo”» (H. Nouwen, Camino a casa. Un viaje espiritual, Buenos Aires 1997, 185-186). ¿Creemos que el Señor nos ama, que me ama?
Hermanos y hermanas, no tengamos miedo de quitarnos los revestimientos mundanos y volver al corazón, regresar a lo esencial. Pensemos en san Francisco, que después de haberse despojado completamente, abrazó con todas sus fuerzas al Padre que está en los cielos. Reconozcámonos por lo que somos: polvo amado por Dios, llamados a ser polvo enamorado de Dios. Gracias a Él renaceremos de las cenizas del pecado a la vida nueva en Jesucristo y en el Espíritu Santo.
[00292-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Quando deres esmola, quando rezares, quando jejuares, procura fazê-lo em segredo: o teu Pai, de facto, vê no segredo (cf. Mt 6, 4). Entra no segredo: este é o convite que Jesus dirige a cada um de nós no início do caminho da Quaresma.
Entrar no segredo significa voltar ao coração, como adverte o profeta Joel (cf. Jl 2, 12). Trata-se dum percurso de fora para dentro, a fim de que todo o nosso viver, incluindo a nossa relação com Deus, não se reduza a exterioridade, a uma moldura sem quadro, a mero revestimento da alma, mas brote de dentro e corresponda aos movimentos do coração, isto é, aos nossos desejos, aos nossos pensamentos, ao nosso sentir, ao núcleo fontal da nossa pessoa.
Deste modo a Quaresma mergulha-nos num banho de purificação e despojamento: ajuda-nos a retirar toda a «maquilhagem», tudo aquilo de que nos revestimos para brilhar, para aparecer melhores do que somos. Voltar ao coração significa tornar ao nosso verdadeiro eu e apresentá-lo nu e sem disfarces, como é diante de Deus. Significa olhar dentro de nós mesmos e tomar consciência daquilo que somos realmente, tirando as máscaras que muitas vezes utilizamos, diminuindo a corrida do nosso frenesim, abraçando a vida e a verdade de nós mesmos. A vida não é um teatro, e a Quaresma convida-nos a descer do palco do fingimento e regressar ao coração, à verdade daquilo que somos. Regressar ao coração, regressar à verdade.
Por isso nesta tarde recebemos, com espírito de oração e humildade, as cinzas na cabeça. Trata-se dum gesto que visa reconduzir-nos à realidade essencial de nós mesmos: somos pó, a nossa vida é como um sopro (cf. Sal 39, 6; 144, 4), mas o Senhor – Ele, e só Ele! Não outros… – não deixa que ela desapareça; recolhe e plasma o pó que somos, para que não acabe disperso pelos ventos impetuosos da vida nem se dissolva no abismo da morte.
As cinzas postas sobre a nossa cabeça convidam-nos a redescobrir o segredo da vida. Dizem-nos: enquanto continuares a usar uma armadura que cobre o coração, enquanto te disfarçares com a máscara das aparências, a exibir uma luz artificial para te mostrares invencível, permanecerás árido e vazio. Pelo contrário, quando tiveres a coragem de inclinar a cabeça para te olhares intimamente, então poderás descobrir a presença dum Deus que te ama, e te ama desde sempre; finalmente despedaçar-se-ão as couraças de que te revestiste e poderás sentir-te amado com amor eterno.
Irmã, irmão, eu, tu, cada um de nós, todos somos amados com amor eterno. Não passamos de cinza sobre a qual Deus insuflou o seu sopro de vida, somos terra que Ele plasmou com as suas mãos (cf. Gn 2, 7; Sal 119, 73), somos pó do qual ressurgiremos para uma vida sem fim, desde sempre preparada para nós (cf. Is 26, 19). E se arder, sob as cinzas que somos, o fogo do amor de Deus, descobriremos que somos empastados deste amor e chamados ao amor: amar os irmãos que nos rodeiam, estar atento aos outros, viver a compaixão, usar de misericórdia, partilhar aquilo que somos e temos com quem passa necessidade. Por isso, a esmola, a oração e o jejum não se podem reduzir a práticas exteriores, mas são caminhos que nos levam de volta ao coração, ao essencial da vida cristã. Fazem-nos descobrir que somos cinza amada por Deus e tornam-nos capazes de difundir o mesmo amor sobre as «cinzas» de tantas situações quotidianas para que nelas renasçam esperança, confiança, alegria.
Santo Anselmo de Aosta deixou-nos a seguinte exortação, que podemos fazer nossa nesta tarde: «Escapa por um pouco das tuas ocupações, deixa por um pouco os teus pensamentos tumultuosos. Neste momento, afasta as preocupações graves e deixa de lado as tuas canseiras. Presta um pouco de atenção a Deus e descansa n’Ele. Entra no íntimo da tua alma, exclui tudo à exceção de Deus e daquilo que te ajuda a procurá-Lo e, fechada a porta, procura-O. Ó meu coração, agora com toda a tua força, diz a Deus: Procuro o vosso rosto. O vosso rosto, Senhor, eu procuro» (Proslógion, 1).
Nesta Quaresma, escutemos a voz do Senhor que não Se cansa de nos repetir: entra no segredo. Entra no segredo, volta ao coração. É um convite salutar, para nós que muitas vezes vivemos à superfície, que nos agitamos para ser notados, que sempre temos necessidade de ser admirados e apreciados. Sem nos dar conta, já não temos um lugar secreto onde parar e nos protegermos, imersos num mundo onde tudo, incluindo as mais íntimas emoções e sentimentos, se deve tornar «social». Mas como pode ser social aquilo que não brota do coração? Mesmo as experiências mais trágicas e dolorosas correm o risco de não ter um lugar secreto que as guarde: tudo deve ser manifestado, ostentado, dado em pasto à coscuvilhice da hora. Por isso nos diz o Senhor: entra no segredo, volta ao centro de ti mesmo. Aí onde se abrigam também tantos medos, sentimentos de culpa e pecados, precisamente aí desceu o Senhor; desceu para te curar e purificar. Entremos no nosso quarto interior: aí habita o Senhor, é acolhida a nossa fragilidade e somos amados sem condições.
Voltemos, irmãos e irmãs! Voltemos para Deus com todo o coração. Nestas semanas de Quaresma, demos espaço à oração feita de adoração silenciosa, na qual permaneçamos na presença do Senhor à escuta como Moisés, Elias, Maria, como Jesus. Já nos demos conta de ter perdido o sentido da adoração? Voltemos à adoração. Inclinemos o ouvido do coração Àquele que, no silêncio, nos quer dizer: «Eu sou o teu Deus, Deus de misericórdia e compaixão, o Deus do perdão e do amor, o Deus da ternura e da solicitude. (…) Não te julgues a ti mesmo. Não te condenes. Não sintas aversão de ti. Deixa que o meu amor toque os recônditos mais profundos e escondidos do teu coração e te revele a tua própria beleza; uma beleza que perdeste de vista, mas que se te vai tornar novamente visível na luz da minha misericórdia». O Senhor chama-nos: «Vem, vem! Permite-Me enxugar as tuas lágrimas, deixa que a minha boca se aproxime mais do teu ouvido e te diga: Eu te amo, te amo, te amo» (H. Nouwen, A caminho da aurora, Brescia 1997, 233). Cremos nós que o Senhor nos ama, que o Senhor me ama?
Irmãos e irmãos, não tenhamos medo de nos despojar dos revestimentos mundanos e voltar ao coração, regressar ao essencial. Pensemos em São Francisco que, uma vez despido, abraçou com todo o seu ser o Pai que está nos céus. Reconheçamo-nos pelo que somos: pó amado por Deus, chamado a ser pó apaixonado por Deus. Graças a Ele, renasceremos das cinzas do pecado para a vida nova em Jesus Cristo e no Espírito Santo.
[00292-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Kiedy dajesz jałmużnę, kiedy się modlisz, kiedy pościsz, uważaj, abyś to czynił w ukryciu, bo Ojciec twój widzi w ukryciu (por. Mt 6, 4). Wejdź w to, co ukryte: oto zaproszenie, które Jezus kieruje do każdego z nas na początku wielkopostnej drogi.
Wejście w to, co ukryte oznacza powrót do serca, jak napomina prorok Joel (por. Jl 2, 12). Jest to podróż z zewnątrz do wewnątrz, tak aby wszystko, czym żyjemy, także nasza relacja z Bogiem, nie sprowadzało się do zewnętrzności, do ramy bez obrazu, do jakiejś zewnętrznej warstwy duszy, ale wyłaniało się z wnętrza i odpowiadało poruszeniom serca, to znaczy naszym pragnieniom, naszym myślom, naszym uczuciom, istocie początku naszej osoby.
Wielki Post zanurza nas zatem w kąpieli oczyszczenia i ogołocenia: chce nam pomóc usunąć cały „makijaż”, wszystko, w co się przyoblekamy, aby sprawiać wrażenie porządnych, lepszych niż jesteśmy. Powrót do serca oznacza powrót do naszego prawdziwego „ja” i przedstawienie go Bogu takim, jakim jest, nagim i obnażonym. Oznacza to spojrzenie w głąb siebie i uświadomienie sobie, kim naprawdę jesteśmy, zrzucenie masek, które często nosimy, wyhamowanie tempa naszej gonitwy, przyjęcie życia i prawdy o nas samych. Życie nie jest odgrywaniem roli, a Wielki Post zaprasza nas do zejścia ze sceny gdzie przedstawia się fikcję, aby powrócić do serca, do prawdy o tym, kim jesteśmy. Powrócić do serca, powrócić do prawdy.
Dlatego dziś wieczorem, w duchu modlitwy i pokory, otrzymujemy na nasze głowy popiół. Jest to gest, który chce nas przyprowadzić do istotnej rzeczywistości nas samych: jesteśmy prochem, nasze życie jest jak tchnienie (por. Ps 39, 6; 144, 4), ale Pan – On i tylko On, nie kto inny – nie pozwala mu zniknąć. Zbiera i kształtuje proch, którym jesteśmy, aby nie został rozproszony przez porywiste wiatry życia i nie rozpłynął się w otchłani śmierci.
Popiół posypany na nasze głowy zaprasza nas do ponownego odkrywania sekretu życia. Mówi nam: tak długo, jak będziesz nosił pancerz, który zakrywa twoje serce, tak długo, jak będziesz kamuflował się pod maską pozorów, posługiwał się sztucznym światłem, aby pokazać się niezwyciężonym, pozostaniesz pusty i jałowy. Kiedy natomiast będziesz miał odwagę pochylić głowę i spojrzeć w głąb siebie, wtedy odkryjesz obecność Boga, który ciebie kocha i kocha cię od zawsze. W końcu zbroja, którą ty sobie skonstruowałeś rozpadnie się i będziesz mógł poczuć, że jesteś miłowany odwieczną miłością.
Siostro, bracie, ja, ty, każdy z nas, jesteśmy kochani odwieczną miłością. Jesteśmy prochem, na który Bóg tchnął swoje tchnienie życia, jesteśmy ziemią, którą ukształtował swoimi rękami (por. Rdz 2, 7; Ps 119, 73), jesteśmy prochem, z którego powstaniemy do niekończącego się życia, przygotowanego dla nas od wieków (por. Iz 26, 19). A jeśli w prochu, którym jesteśmy, płonie ogień Bożej miłości, to odkrywamy, że jesteśmy ulepieni z tej miłości i że jesteśmy powołani do miłości: do kochania naszych braci i sióstr, których mamy obok siebie, do zwracania uwagi na innych, do okazywania współczucia, do czynienia miłosierdzia, do dzielenia się z potrzebującymi tym, czym jesteśmy i co mamy. Dlatego jałmużna, modlitwa i post nie mogą sprowadzać się do zewnętrznych praktyk, ale są drogami, które prowadzą nas z powrotem do serca, do istoty życia chrześcijańskiego. Pozwalają nam odkryć, że jesteśmy prochem umiłowanym przez Boga i czynią nas zdolnymi do rozsypania tej samej miłości na „proch” wielu codziennych sytuacji, aby odrodziła się w nim nadzieja, ufność i radość.
Św. Anzelm z Canterbury, pochodzący z Aosty, pozostawił nam następującą zachętę, którą dzisiejszego wieczoru możemy uczynić naszą: „Oderwij się na chwilę od swych zajęć, skryj się przed wrzawą własnych myśli. Uwolnij się na chwilę od uciążliwych obowiązków, nie myśl o gnębiących cię niepokojach. Przez chwilę poświęć się Bogu i w Nim odpocznij. «Wejdź do izdebki» twego ducha, usuń zeń wszystko prócz Boga i tego, co pomaga Go szukać, «zamknij drzwi», i szukaj Go. Teraz serce moje całe, teraz mów do Boga: «oblicza Twojego szukam Panie!»” (Proslogion, 1).
Słuchajmy zatem, w ten Wielki Post, głosu Pana, który nigdy nie męczy się powtarzaniem nam: wejdź w to, co ukryte. Wejdź w to, co ukryte, powróć do serca. Jest to zaproszenie zbawienne dla nas, którzy często żyjemy powierzchownie, którzy staramy się być zauważeni, którzy zawsze musimy być podziwiani i doceniani. Nie zdając sobie z tego sprawy, odkrywamy, że nie mamy już miejsca ukrytego, w którym moglibyśmy się zatrzymać i strzec samych siebie, zanurzeni w świecie, w którym wszystko, nawet nasze najbardziej intymne emocje i uczucia, musi stać się „społecznościowe” – ale jak może być społeczne to, co nie wypływa z serca? – Nawet doświadczeniom najbardziej tragicznym i bolesnym grozi, że nie będą miały ukrytego miejsca, które by je chroniło: wszystko musi być odsłonięte, obnażone, rzucone na pożarcie plotce dnia. I tutaj Pan mówi nam: wejdź w to, co ukryte, powróć do swojego wnętrza. Właśnie tam, gdzie ulokowało się także wiele lęków, poczucia winy i grzechów, tam zstąpił Pan, zstąpił aby cię uzdrowić i oczyścić. Wejdźmy do naszej izdebki wewnętrznej: tam mieszka Pan, nasza słabość jest akceptowana, i jesteśmy miłowani bezwarunkowo.
Powróćmy, bracia i siostry. Powróćmy do Boga całym naszym sercem. W tych tygodniach Wielkiego Postu uczyńmy miejsce na modlitwę cichej adoracji, w której pozostajemy zasłuchani w obecności Pana, jak Mojżesz, jak Eliasz, jak Maryja, jak Jezus. Czy zdaliśmy sobie sprawę, że utraciliśmy znaczenie adoracji? Powróćmy do adoracji. Nadstawmy ucha naszego serca Temu, który w ciszy chce nam powiedzieć: „Jestem twoim Bogiem: Bogiem miłosierdzia i współczucia, Bogiem przebaczenia i miłości, Bogiem czułości i troski. [...] Nie osądzaj siebie. Nie potępiaj siebie. Nie odrzucaj siebie. Pozwól aby moja miłość dotknęła najgłębsze i najbardziej ukryte zakamarki twojego serca i objawiła ci twoje własne piękno, piękno, które straciłeś z oczu, ale które stanie się dla ciebie ponownie widoczne w świetle mojego miłosierdzia”. Pan nas wzywa: „Przyjdź, przyjdź, pozwól, abym mógł otrzeć twoje łzy i pozwól moim ustom zbliżyć się do twojego ucha i powiedzieć ci: Ja cię kocham, kocham cię, kocham cię” (H. Nouwen, In cammino verso l'alba, Brescia 1997, 233). Czy wierzymy, że Pan nas kocha, że Pan mnie kocha?
Bracia i siostry, nie lękajmy się zdjąć z siebie światowych szat i powrócić do serca, powrócić do tego, co istotne. Pomyślmy o św. Franciszku, który po zdjęciu szat całym sobą przyjął Ojca, który jest w niebie. Uznajmy siebie takimi, jakimi jesteśmy: prochem miłowanym przez Boga, powołanym do bycia prochem zakochanym w Bogu. Dzięki Niemu odrodzimy się z popiołów grzechu do nowego życia w Jezusie Chrystusie i Duchu Świętym.
[00292-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
عظة قداسة البابا فرنسيس
في القدّاس الإلهي
في أربعاء الرّماد
14 شباط/فبراير 2024
بازيليكا القدّيسة سابينا
عندما تتصدَّقون، وعندما تُصَلُّون، وعندما تصومون، احرصوا على أن يكون ذلك في الخُفْيَة: فأبوكم في الواقع يرى في الخُفْيَة (راجع متّى 6، 4). الدّخول في الخُفْيَة: هذه هي الدّعوة التي يوجّهها يسوع إلى كلّ واحد منّا في بداية مسيرة الزّمن الأربعينيّ.
الدّخول في الخُفْيَة يعني أن نعود إلى القلب، كما ينبّهنا يوئيل النّبي (راجع يوئيل 2، 12). إنّها رحلة من الخارج إلى الدّاخل، حتّى لا ينحصر كلّ ما نعيشه، وأيضًا علاقتنا مع الله، في المظاهر الخارجيّة، وتصير حياتنا مثل إطار بلا صورة، وغطاء للنّفس. بل لتولد حياتنا من الدّاخل وتعبِّر عن حركات القلب، أي عن رغباتنا، وأفكارنا، ومشاعرنا، ونواة الحياة فينا.
الزّمن الأربعينيّ يغمرنا إذن في حمام يطهرنا ويجرّدنا: ويريد أن يساعدنا لنزيل كلّ ”قناع“، وكلّ شيء نضعه لنبدو جيِّدين، أفضل مما نحن. العودة إلى القلب تعني أن نعود إلى ذاتنا الحقيقيّة فنقدّمها كما هي، مجرّدة وعارية، أمام الله. وتعني أن ننظر إلى داخل أنفسنا وندرك حقيقتنا، ونخلع الأقنعة التي نرتديها مرارًا، ونخفّف سرعة جنوننا، ونقبل حياتنا وحقيقة أنفسنا. الحياة ليست مسرحيّة، والزّمن الأربعينيّ يدعونا إلى أن ننزل من مسرح الأوهام، لنعود إلى القلب، إلى حقيقة ما نحن.
ولهذا السّبب، هذا المساء، بروح الصّلاة والتّواضع، نقبل الرّماد على رؤوسنا. وهي حركة تعيدنا إلى واقع أنفسنا الأساسيّ: نحن تراب، وحياتنا مثل نفخة (راجع مزمور 39، 6؛ 144، 4)، لكنّ الله - هو وحده، لا الآخرين - لا يسمح لهذه النّفخة بأن تزول. فهو يجمع الغبار ويصوِّرنا، كما نحن، حتّى لا تشتته رياح الحياة العاتية، ولا يذوب في هاوية الموت.
الرّماد الموضوع على رؤوسنا يدعونا إلى أن نكتشف من جديد سرّ الحياة. يقول لنا: طالما واصلت ارتداء الدّرع الذي يغطي قلبك، وتنكَّرت خلف قناع المظاهر، وأظهرت نورًا مصطنعًا فيك لتظهر أنّك لا تُقهَر، فستظلّ فارغًا جافًّا. لكن عندما تملك الشّجاعة لتحني رأسك وتنظر إلى داخلك، ستكون قادرًا على أن تكتشف حضور الله الذي يحبّك ويحبّك دائمًا. أخيرًا ستتحطّم الدّروع التي ارتديتها وستكون قادرًا على أن تعرف أنّ الله يحبّك بحبّ أبدي.
أختي وأخي، أنا وأنت، وكلّ واحد منّا، أحبّنا الله بحبّه الأبدي. نحن رماد نفخ الله فيه روح الحياة، وتراب كوّنه بيديه (راجع تكوين 2، 7؛ مزمور 119، 73)، تراب سنقوم منه لحياة لا نهاية لها مُعَدَّة لنا دائمًا (راجع أشعيا 26، 19). وإذا اشتعلت نار محبّة الله في رمادنا، فسنكتشف أنّنا مجبولون بهذا الحبّ، وإلى الحبّ مدعوّون: إلى حبّ الإخوة من حولنا، وإلى أن ننتبه إلى الآخرين، فنشفق ونرحم ونتقاسم ما نحن وما لدينا مع المحتاجين. لذلك، الصّدقة والصّلاة والصّوم لا يمكن حصرها في ممارسات خارجيّة، بل هي طرق تعيدنا إلى القلب، وإلى جوهر الحياة المسيحيّة. إنّها تجعلنا نكتشف أنّنا رماد يحبّه الله وتجعلنا قادرين على إفاضة الحبّ نفسه في ”رماد“ المواقف اليوميّة العديدة، حتّى يولد فيها من جديد الرّجاء والثّقة والفرح.
ترك لنا القدّيس أنسيلم من أوستا هذه الوصيّة، التي يمكننا أن نجعلها وصيتنا هذا المساء: "اهرب من انشغالاتك مدة وقتٍ قصير، واترك قليلًا أفكارك المضطربة. أَبعِد عنكَ همومك الخطيرة في هذا الوقت، وضَع جانبًا أنشطتك المُتعِبَة. انتبه قليلًا إلى الله واسترح فيه. ادخل إلى أعماق نفسك، واستبعد كلّ شيء ما عدا الله وما يساعدك على البحث عنه، وبعد أن تغلق الباب، ابحث عنه. قُل بكلّ قوتك، تارة لقلبك، وتارة لله: أنا أبحث عن وجهك. عن وجهك يا ربّ، أبحث" (Proslogion, 1).
لنُصغِ إذًا، في هذا الزّمن الأربعينيّ، إلى صوت الرّبّ يسوع الذي لا يتعب من قوله لنا: أدخل في الخُفْيَة. أدخل في الخُفْيَة، وارجع إلى القلب. إنّه نداء خلاصيّ لنا، نحن الذين نعيش مرارًا في الأمور السّطحيّة، نهتمّ ونضطرب حتّى يرانا النّاس، ونحتاج دائمًا إلى الإعجاب والتّقدير من الآخرين. ودون أن ننتبه، نجد أنّنا لم نعد نملك مكانًا خفيًّا نتوقّف فيه ونحمي فيه أنفسنا، وقد أصبحنا غارقين في عالم كلّ شيء فيه، حتّى أعمقُ مشاعرنا وأحاسيسنا، يجب أن توضع على وسائل التّواصل ”الاجتماعيّة“ - وكيف يمكن أن يصير اجتماعيًّا الذي لا ينبع من القلب؟ -. حتّى الخبرات المأساويّة وأشَدُّها إيلامًا توشك ألّا يكون فيها مكان خفيّ يحميها: لأنّ كلّ شيء يجب أن يكون مكشوفًا، معروضًا، مُلقًى فريسة للثرثرة في كلّ لحظة. وهنا يقول لنا الرّبّ يسوع: ادخل في الخُفْيَة، ارجع إلى مركز نفسك. هناك، حيث تسكن أيضًا مخاوف كثيرة، ومشاعر بالذّنب وخطايا، هناك يأتي الرّبّ يسوع ليشفيك ويطهّرك. لندخل إلى الحجرة الدّاخليّة: هناك يقيم الرّبّ يسوع، وهناك قَبِلَ ضعفنا وأحبّنا من دون شروط.
لِنَعُد أيّها الإخوة والأخوات. لِنَعُد إلى الله بكلّ قلوبنا. في هذه الأسابيع في الزّمن الأربعينيّ، لنوجِد مكانًا لصلاة السّجود الصّامتة، التي فيها نُصغي إلى حضور الله، مثل موسى، ومثل إيليّا، ومثل مريم، ومثل يسوع. هل ندرك أنّنا فقدنا معنى السّجود؟ لِنَعُد إلى السّجود. لنصغِ بقلبنا إلى الذي يريد أن يقول لنا في الصّمت: "أنا إلهك: إله الرّحمة والرّأفة، وإله المغفرة والمحبّة، وإله الحنان والاهتمام. […] لا تحكُم على نفسك. ولا تدِن نفسك. ولا ترفض نفسك. دَع محبّتي تلمس أعمق ثنايا قلبك وأكثرها خفية، فتكشف لك جمال نفسك، الجمال الذي لم تعد تراه، لكنّه سيصير مرئيًّا لك من جديد في ضوء رحمتي". الرّبّ يسوع يدعوك ويقول لك: "تعال، تعال، واتركني أجفّف دموعك، واترك فمي يقترب من أذنك لأقول لك: أحبّك، أحبّك، أحبّك" (هنري نيوين - H. Nouwen، في مسيرة نحو الفجر، بريشّا 1997، 233). هل نثق بأنّ الرّبّ يسوع يحبّنا، وبأنّه يحبّني؟
أيّها الإخوة والأخوات، لا نَخَف من أن نتجرّد من الألبسة الدّنيويّة ونعود إلى القلب، ونعود إلى الأساسيّات. لنفكّر في القدّيس فرنسيس، الذي بعد أن تعرّى من ملابسه، عانق وقَبِلَ الآب الذي في السّماء بكلّ نفسه. لنعترف بأنفسنا كما نحن: تراب أحبّه الله، وبفضله سنولد من جديد من رماد الخطيئة إلى حياة جديدة في يسوع المسيح وفي الرّوح القدس.
[00292-AR.02] [Testo originale: Italiano]
[B0149-XX.02]