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Messaggio del Santo Padre per la XXXII Giornata Mondiale del Malato (11 febbraio 2024), 13.01.2024


Messaggio del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

 

Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Santo Padre Francesco in occasione della XXXII Giornata Mondiale del Malato che ricorre l’11 febbraio, memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes, sul tema: «Non è bene che l’uomo sia solo». Curare il malato curando le relazioni:

Messaggio del Santo Padre

«Non è bene che l’uomo sia solo».

Curare il malato curando le relazioni

«Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18). Fin dal principio, Dio, che è amore, ha creato l’essere umano per la comunione, inscrivendo nel suo essere la dimensione delle relazioni. Così, la nostra vita, plasmata a immagine della Trinità, è chiamata a realizzare pienamente sé stessa nel dinamismo delle relazioni, dell’amicizia e dell’amore vicendevole. Siamo creati per stare insieme, non da soli. E proprio perché questo progetto di comunione è inscritto così a fondo nel cuore umano, l’esperienza dell’abbandono e della solitudine ci spaventa e ci risulta dolorosa e perfino disumana. Lo diventa ancora di più nel tempo della fragilità, dell’incertezza e dell’insicurezza, spesso causate dal sopraggiungere di una qualsiasi malattia seria.

Penso ad esempio a quanti sono stati terribilmente soli, durante la pandemia da Covid-19: pazienti che non potevano ricevere visite, ma anche infermieri, medici e personale di supporto, tutti sovraccarichi di lavoro e chiusi nei reparti di isolamento. E naturalmente non dimentichiamo quanti hanno dovuto affrontare l’ora della morte da soli, assistiti dal personale sanitario ma lontani dalle proprie famiglie.

Allo stesso tempo, partecipo con dolore alla condizione di sofferenza e di solitudine di quanti, a causa della guerra e delle sue tragiche conseguenze, si trovano senza sostegno e senza assistenza: la guerra è la più terribile delle malattie sociali e le persone più fragili ne pagano il prezzo più alto.

Occorre tuttavia sottolineare che, anche nei Paesi che godono della pace e di maggiori risorse, il tempo dell’anzianità e della malattia è spesso vissuto nella solitudine e, talvolta, addirittura nell’abbandono. Questa triste realtà è soprattutto conseguenza della cultura dell’individualismo, che esalta il rendimento a tutti i costi e coltiva il mito dell’efficienza, diventando indifferente e perfino spietata quando le persone non hanno più le forze necessarie per stare al passo. Diventa allora cultura dello scarto, in cui «le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se “non servono ancora” – come i nascituri –, o “non servono più” – come gli anziani» (Enc. Fratelli tutti, 18). Questa logica pervade purtroppo anche certe scelte politiche, che non riescono a mettere al centro la dignità della persona umana e dei suoi bisogni, e non sempre favoriscono strategie e risorse necessarie per garantire ad ogni essere umano il diritto fondamentale alla salute e l’accesso alle cure. Allo stesso tempo, l’abbandono dei fragili e la loro solitudine sono favoriti anche dalla riduzione delle cure alle sole prestazioni sanitarie, senza che esse siano saggiamente accompagnate da una “alleanza terapeutica” tra medico, paziente e familiare.

Ci fa bene riascoltare quella parola biblica: non è bene che l’uomo sia solo! Dio la pronuncia agli inizi della creazione e così ci svela il senso profondo del suo progetto per l’umanità ma, al tempo stesso, la ferita mortale del peccato, che si introduce generando sospetti, fratture, divisioni e, perciò, isolamento. Esso colpisce la persona in tutte le sue relazioni: con Dio, con sé stessa, con l’altro, col creato. Tale isolamento ci fa perdere il significato dell’esistenza, ci toglie la gioia dell’amore e ci fa sperimentare un oppressivo senso di solitudine in tutti i passaggi cruciali della vita.

Fratelli e sorelle, la prima cura di cui abbiamo bisogno nella malattia è la vicinanza piena di compassione e di tenerezza. Per questo, prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni, di tutte le sue relazioni: con Dio, con gli altri – familiari, amici, operatori sanitari –, col creato, con sé stesso. È possibile? Si, è possibile e noi tutti siamo chiamati a impegnarci perché ciò accada. Guardiamo all’icona del Buon Samaritano (cfr Lc 10,25-37), alla sua capacità di rallentare il passo e di farsi prossimo, alla tenerezza con cui lenisce le ferite del fratello che soffre.

Ricordiamo questa verità centrale della nostra vita: siamo venuti al mondo perché qualcuno ci ha accolti, siamo fatti per l’amore, siamo chiamati alla comunione e alla fraternità. Questa dimensione del nostro essere ci sostiene soprattutto nel tempo della malattia e della fragilità, ed è la prima terapia che tutti insieme dobbiamo adottare per guarire le malattie della società in cui viviamo.

A voi, che state vivendo la malattia, passeggera o cronica, vorrei dire: non abbiate vergogna del vostro desiderio di vicinanza e di tenerezza! Non nascondetelo e non pensate mai di essere un peso per gli altri. La condizione dei malati invita tutti a frenare i ritmi esasperati in cui siamo immersi e a ritrovare noi stessi.

In questo cambiamento d’epoca che viviamo, specialmente noi cristiani siamo chiamati ad adottare lo sguardo compassionevole di Gesù. Prendiamoci cura di chi soffre ed è solo, magari emarginato e scartato. Con l’amore vicendevole, che Cristo Signore ci dona nella preghiera, specialmente nell’Eucaristia, curiamo le ferite della solitudine e dell’isolamento. E così cooperiamo a contrastare la cultura dell’individualismo, dell’indifferenza, dello scarto e a far crescere la cultura della tenerezza e della compassione.

Gli ammalati, i fragili, i poveri sono nel cuore della Chiesa e devono essere anche al centro delle nostre attenzioni umane e premure pastorali. Non dimentichiamolo! E affidiamoci a Maria Santissima, Salute degli infermi, perché interceda per noi e ci aiuti ad essere artigiani di vicinanza e di relazioni fraterne.

Roma, San Giovanni in Laterano, 10 gennaio 2024

FRANCESCO

[00072-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

«Il n’est pas bon que l’homme soit seul».

Soigner le malade en soignant les relations

«Il n’est pas bon que l’homme soit seul» (Gn 2, 18). Dès le début, Dieu, qui est amour, a créé l'être humain pour la communion, en inscrivant dans son être la dimension des relations. Ainsi, notre vie, modelée à l'image de la Trinité, est appelée à se réaliser pleinement dans le dynamisme des relations, de l'amitié et de l'amour réciproque. Nous sommes créés pour être ensemble, et non pour être seuls. Et c'est justement parce que ce projet de communion est inscrit si profondément dans le cœur de l'homme que l'expérience de l'abandon et de la solitude nous effraie et est douloureuse, voire inhumaine. Elle l’est encore plus dans les moments de fragilité, d'incertitude et d'insécurité, souvent provoqués par l'apparition d'une maladie grave.

Je pense, par exemple, à ceux qui se sont retrouvés terriblement seuls durant la pandémie de Covid-19: les patients qui ne pouvaient pas recevoir de visites, mais aussi les infirmiers, les médecins et le personnel de soutien, tous débordés et enfermés dans des salles d'isolement. Et bien sûr, n'oublions pas ceux qui ont dû affronter l'heure de la mort tout seuls, soignés par le personnel de santé mais loin de leurs familles.

En même temps, je partage avec douleur la détresse et la solitude de ceux qui, à cause de la guerre et de ses conséquences tragiques, se retrouvent sans soutien ni assistance: la guerre est la plus terrible des maladies sociales et les personnes les plus fragiles en paient le prix le plus élevé.

Il faut cependant souligner que même dans les pays qui jouissent de la paix et de ressources plus importantes, le temps de la vieillesse et de la maladie est souvent vécu dans la solitude et parfois même dans l'abandon. Cette triste réalité est avant tout une conséquence de la culture de l'individualisme, qui exalte la performance à tout prix et cultive le mythe de l'efficacité, devenant indifférente et même impitoyable lorsque les personnes n'ont plus la force nécessaire pour suivre le rythme. Elle devient alors une culture du rejet, dans laquelle «les personnes ne sont plus perçues comme une valeur fondamentale à respecter et à protéger, surtout celles qui sont pauvres ou avec un handicap, si elles “ne servent pas encore” – comme les enfants à naître –, ou “ne servent plus” – comme les personnes âgées» (Enc. Fratelli tutti, n. 18). Malheureusement, cette logique imprègne également certains choix politiques, qui ne mettent pas au centre la dignité de la personne humaine et ses besoins, et ne favorisent pas toujours les stratégies et les ressources nécessaires pour garantir à chaque être humain le droit fondamental à la santé et à l'accès aux soins. Dans le même temps, l'abandon des personnes fragiles et leur solitude sont également favorisés par la réduction des soins aux seuls services de santé, sans que ceux-ci soient judicieusement accompagnés d'une “alliance thérapeutique” entre médecin, patient et membre de la famille.

Cela nous fait du bien de réentendre cette parole biblique: il n'est pas bon que l'homme soit seul! Dieu la prononce au tout début de la création et nous révèle ainsi le sens profond de son projet pour l'humanité mais, en même temps, la blessure mortelle du péché, qui s'introduit en générant soupçons, fractures, divisions et, donc, isolement. Il affecte la personne dans toutes ses relations: avec Dieu, avec elle-même, avec les autres, avec la création. Cet isolement nous fait perdre le sens de l'existence, nous prive de la joie de l'amour et nous fait éprouver un sentiment oppressant de solitude dans tous les passages cruciaux de la vie.

Frères et sœurs, le premier soin dont nous avons besoin dans la maladie est une proximité pleine de compassion et de tendresse. Prendre soin de la personne malade signifie donc avant tout prendre soin de ses relations, de toutes ses relations: avec Dieu, avec les autres – famille, amis, personnel soignant –, avec la création, avec soi-même. Est-ce possible? Oui, c'est possible et nous sommes tous appelés à nous engager pour que cela devienne réalité. Regardons l'icône du Bon Samaritain (cf. Lc 10, 25-37), sa capacité à ralentir son rythme et à se faire proche, la tendresse avec laquelle il soulage les blessures de son frère souffrant.

Rappelons-nous cette vérité centrale de notre vie: nous sommes venus au monde parce que quelqu'un nous a accueillis, nous sommes faits pour l'amour, nous sommes appelés à la communion et à la fraternité. Cette dimension de notre être nous soutient particulièrement dans les moments de maladie et de fragilité, et c'est la première thérapie que nous devons adopter tous ensemble pour guérir les maladies de la société dans laquelle nous vivons.

À vous qui vivez la maladie, qu'elle soit passagère ou chronique, je voudrais dire: n'ayez pas honte de votre désir de proximité et de tendresse! Ne le cachez pas et ne pensez jamais que vous êtes un fardeau pour les autres. La condition des malades nous invite tous à freiner les rythmes exaspérés dans lesquels nous sommes plongés et à nous redécouvrir.

Dans ce changement d’époque que nous vivons, nous, chrétiens, sommes particulièrement appelés à adopter le regard compatissant de Jésus. Prenons soin de ceux qui souffrent et qui sont seuls, peut-être marginalisés et rejetés. Avec l'amour mutuel, que le Christ Seigneur nous donne dans la prière, en particulier dans l'Eucharistie, guérissons les blessures de la solitude et de l'isolement. Et ainsi, coopérons pour contrer la culture de l'individualisme, de l'indifférence, du rejet, et pour faire grandir la culture de la tendresse et de la compassion.

Les malades, les fragiles, les pauvres sont au cœur de l'Église et doivent aussi être au centre de nos attentions humaines et de nos sollicitudes pastorales. Ne l'oublions pas! Et confions-nous à la Très Sainte Vierge Marie, Santé des malades, pour qu'elle intercède pour nous et nous aide à être des artisans de proximité et de relations fraternelles.

Rome, Saint-Jean-de-Latran, 10 janvier 2024

FRANÇOIS

[00072-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

“It is not good that man should be alone”.

Healing the Sick by Healing Relationships

“It is not good that man should be alone” (cf. Gen 2:18). From the beginning, God, who is love, created us for communion and endowed us with an innate capacity to enter into relationship with others. Our lives, reflecting in the image of the Trinity, are meant to attain fulfilment through a network of relationships, friendships and love, both given and received. We were created to be together, not alone. Precisely because this project of communion is so deeply rooted in the human heart, we see the experience of abandonment and solitude as something frightening, painful and even inhuman. This is all the more the case at times of vulnerability, uncertainty and insecurity, caused often by the onset of a serious illness.

In this regard, I think of all those who found themselves terribly alone during the Covid-19 pandemic: the patients who could not receive visitors, but also the many nurses, physicians and support personnel overwhelmed by work and enclosed in isolation wards. Naturally, we cannot fail to recall all those persons who had to face the hour of their death alone, assisted by healthcare personnel, but far from their own families.

I share too in the pain, suffering and isolation felt by those who, because of war and its tragic consequences, are left without support and assistance. War is the most terrible of social diseases, and it takes its greatest toll on those who are most vulnerable.

At the same time, it needs to be said that even in countries that enjoy peace and greater resources, old age and sickness are frequently experienced in solitude and, at times, even in abandonment. This grim reality is mainly a consequence of the culture of individualism that exalts productivity at all costs, cultivates the myth of efficiency, and proves indifferent, even callous, when individuals no longer have the strength needed to keep pace. It then becomes a throwaway culture, in which “persons are no longer seen as a paramount value to be cared for and respected, especially when they are poor or disabled, ‘not yet useful’ – like the unborn, or ‘no longer needed’ – like the elderly” (Fratelli Tutti, 18). Sadly, this way of thinking also guides certain political decisions that are not focused on the dignity of the human person and his or her needs, and do not always promote the strategies and resources needed to ensure that every human being enjoys the fundamental right to health and access to healthcare. The abandonment of the vulnerable and their isolation is favoured also by the reduction of healthcare merely to a provision of services, without these being accompanied by a “therapeutic covenant” between physicians, patients and family members.

We do well to listen once more to the words of the Bible: “It is not good for man to be alone!” God spoke those words at the beginning of creation and thus revealed to us the profound meaning of his project for humanity, but at the same time, the mortal wound of sin, which creeps in by generating suspicions, fractures, divisions and consequently isolation. Sin attacks persons and all their relationships: with God, with themselves, with others, with creation. Such isolation causes us to miss the meaning of our lives; it takes away the joy of love and makes us experience an oppressive sense of being alone at all the crucial passages of life.

Brothers and sisters, the first form of care needed in any illness is compassionate and loving closeness. To care for the sick thus means above all to care for their relationships, all of them: with God, with others – family members, friends, healthcare workers – , with creation and with themselves. Can this be done? Yes, it can be done and all of us are called to ensure that it happens. Let us look to the icon of the Good Samaritan (cf. Lk 10:25-37), to his ability to slow down and draw near to another person, to the tender love with which he cares for the wounds of a suffering brother.

Let us remember this central truth in life: we came into the world because someone welcomed us; we were made for love; and we are called to communion and fraternity. This aspect of our lives is what sustains us, above all at times of illness and vulnerability. It is also the first therapy that we must all adopt in order to heal the diseases of the society in which we live.

To those of you who experience illness, whether temporary or chronic, I would say this: Do not be ashamed of your longing for closeness and tenderness! Do not conceal it, and never think that you are a burden on others. The condition of the sick urges all of us to step back from the hectic pace of our lives in order to rediscover ourselves.

At this time of epochal change, we Christians in particular are called to adopt the compassion-filled gaze of Jesus. Let us care for those who suffer and are alone, perhaps marginalized and cast aside. With the love for one another that Christ the Lord bestows on us in prayer, especially in the Eucharist, let us tend the wounds of solitude and isolation. In this way, we will cooperate in combating the culture of individualism, indifference and waste, and enable the growth of a culture of tenderness and compassion.

The sick, the vulnerable and the poor are at the heart of the Church; they must also be at the heart of our human concern and pastoral attention. May we never forget this! And let us commend ourselves to Mary Most Holy, Health of the Sick, that she may intercede for us and help us to be artisans of closeness and fraternal relationships.

Rome, Saint John Lateran, 10 January 2024

FRANCIS

[00072-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

»Es ist nicht gut, dass der Mensch allein ist«.

Die Sorge um die Kranken durch das Pflegen der Beziehungen

»Es ist nicht gut, dass der Mensch allein ist« (Gen 2,18). Von Anfang an hat Gott, der die Liebe ist, den Menschen für die Gemeinschaft geschaffen, indem er seinem Wesen die Dimension der Beziehung eingeschrieben hat. So sind wir in unserem Leben, das nach dem Bild der Dreifaltigkeit geformt ist, dazu berufen, uns in der Dynamik von Beziehungen, Freundschaft und gegenseitiger Liebe voll zu verwirklichen. Wir sind dazu geschaffen, zusammen zu leben, nicht allein. Und gerade weil diese Bestimmung zur Gemeinschaft so tief im menschlichen Herzen eingeschrieben ist, erschreckt uns die Erfahrung des Verlassenwerdens und der Einsamkeit und erscheint uns schmerzhaft, ja geradezu unmenschlich. Dies trifft umso mehr in Zeiten der Gebrechlichkeit, Ungewissheit und Unsicherheit zu, die oft durch den Ausbruch einer schweren Krankheit verursacht werden.

Ich denke zum Beispiel an diejenigen, die während der Covid-19-Pandemie furchtbar einsam gewesen sind: Patienten, die keine Besuche empfangen konnten, aber auch Pfleger, Ärzte und Hilfspersonal, die alle überlastet und in Isolierstationen eingeschlossen waren. Und natürlich dürfen wir auch diejenigen nicht vergessen, die der Todesstunde allein entgegengehen mussten, begleitet von medizinischem Personal, aber fern von ihren Familien.

Zugleich nehme ich mit Schmerz an der leidvollen und einsamen Situation derjenigen Anteil, die aufgrund von Krieg und seinen tragischen Folgen ohne Unterstützung und Beistand sind: Der Krieg ist die schrecklichste aller gesellschaftlichen Krankheiten und die schwächsten Personen zahlen den höchsten Preis dafür.

Es ist jedoch zu betonen, dass selbst in Ländern in Frieden und mit größeren Ressourcen die Zeit des Alters und der Krankheit oft in Einsamkeit und manchmal sogar in Verlassenheit verbracht wird. Diese traurigen Umstände sind vor allem eine Folge einer Kultur des Individualismus; diese verherrlicht die Leistung um jeden Preis und hegt den Mythos der Effizienz, sodass sie gleichgültig und sogar rücksichtslos wird, wenn die Menschen nicht mehr die Kraft haben, mitzuhalten. Sie wird dann zu einer Wegwerfkultur, die Menschen werden »nicht mehr als ein vorrangiger, zu respektierender und zu schützender Wert empfunden, besonders, wenn sie arm sind oder eine Behinderung haben, wenn sie – wie die Ungeborenen – „noch nicht nützlich sind“ oder – wie die Alten – „nicht mehr nützlich sind“« (Enzyklika Fratelli tutti, 18). Diese Logik durchzieht leider auch bestimmte politische Entscheidungen, die die Würde des Menschen und seiner Bedürfnisse nicht in den Mittelpunkt stellen und nicht immer die notwendigen Strategien und Mittel begünstigen, um jedem Menschen das Grundrecht auf Gesundheitsversorgung und den Zugang zur Behandlung zu garantieren. Zugleich werden die Vernachlässigung gebrechlicher Menschen und ihre Einsamkeit durch die Beschränkung der Pflege auf rein medizinische Dienstleistungen hervorgerufen, ohne dass diese auf kluge Weise in einer „therapeutische Allianz“ zwischen Arzt, Patient und Familienangehörigen begleitet werden.

Es tut uns gut, dieses biblische Wort wieder zu vernehmen: Es ist nicht gut, dass der Mensch allein ist! Gott spricht es zu Beginn der Schöpfung aus und offenbart uns damit den tiefen Sinn seines Plans für die Menschheit, aber zugleich auch die tödliche Verwundung durch die Sünde, die dazwischenkommt und Misstrauen, Brüche, Spaltungen und damit Isolation erzeugt. Sie beeinträchtigt die Person in all ihren Beziehungen: zu Gott, zu sich selbst, zu anderen, zur Schöpfung. Eine solche Isolation führt dazu, dass wir den Sinn unserer Existenz aus den Augen verlieren, sie beraubt uns der Freude an der Liebe und lässt uns in allen entscheidenden Phasen des Lebens ein bedrückendes Gefühl von Einsamkeit erleben.

Brüder und Schwestern, die erste Behandlung, die wir bei Krankheit brauchen, ist eine Nähe voller Mitgefühl und Güte. Sich um einen kranken Menschen zu kümmern, bedeutet daher zuerst, sich um seine Beziehungen zu kümmern, um alle seine Beziehungen: zu Gott, zu den anderen – Familie, Freunde, medizinisches Personal –, zur Schöpfung, zu sich selbst. Ist das möglich? Ja, es ist möglich, und wir alle sind aufgerufen, uns dafür einzusetzen, dass es geschieht. Sehen wir auf das Vorbild des barmherzigen Samariters (vgl. Lk 10,25-37), auf seine Fähigkeit, den Schritt zu verlangsamen und zum Nächsten zu werden, auf die Güte, mit der er die Wunden seines leidenden Bruders versorgt.

Erinnern wir uns an diese zentrale Wahrheit unseres Lebens: Wir sind auf die Welt gekommen, weil uns jemand aufgenommen hat, wir sind für die Liebe geschaffen, wir sind zur Gemeinschaft und zur Geschwisterlichkeit berufen. Dieser Aspekt unseres Wesens trägt uns vor allem in Zeiten von Krankheit und Gebrechlichkeit, und er ist die erste Therapie, die wir alle gemeinsam anwenden müssen, um die Krankheiten der Gesellschaft, in der wir leben, zu heilen.

Euch, die ihr unter einer vorübergehenden oder chronischen Krankheit leidet, möchte ich sagen: Schämt euch nicht für euren Wunsch nach Nähe und Zuwendung! Versteckt ihn nicht und denkt nie, dass ihr für die anderen eine Last seid. Der Krankenstand lädt alle dazu ein, die überdrehten Rhythmen, in denen wir uns befinden, zu zügeln und wieder zu uns selbst zu finden.

In dem Epochenwandel, in dem wir uns befinden, sind besonders wir Christen dazu aufgerufen, den barmherzigen Blick Jesu anzunehmen. Kümmern wir uns um diejenigen, die leiden und allein sind, vielleicht ausgegrenzt und beiseitegeschoben. Lasst uns die Wunden der Einsamkeit und Isolation mit jener wechselseitigen Liebe heilen, die Christus, der Herr, uns im Gebet schenkt, insbesondere in der Eucharistie. So arbeiten wir zusammen, um der Kultur des Individualismus, der Gleichgültigkeit und des Wegwerfens entgegenzuwirken und die Kultur der Zärtlichkeit und des Mitgefühls wachsen zu lassen.

Die Kranken, die Schwachen, die Armen befinden sich im Herzen der Kirche und müssen auch im Mittelpunkt unserer menschlichen Achtsamkeit und unserer seelsorglichen Mühen stehen. Das dürfen wir nicht vergessen! Vertrauen wir uns der allerseligsten Jungfrau Maria an, Heil der Kranken, damit sie für uns Fürsprache einlegt und uns hilft, Nähe und geschwisterliche Beziehungen aufzubauen.

Rom, Sankt Johannes im Lateran, 10. Januar 2024

FRANZISKUS

[00072-DE.01] [Originalsprache: Italien

Traduzione in lingua spagnola

«No conviene que el hombre esté solo».

Cuidar al enfermo cuidando las relaciones

«No conviene que el hombre esté solo» (Gn 2,18). Desde el principio, Dios, que es amor, creó el ser humano para la comunión, inscribiendo en su ser la dimensión relacional. Así, nuestra vida, modelada a imagen de la Trinidad, está llamada a realizarse plenamente en el dinamismo de las relaciones, de la amistad y del amor mutuo. Hemos sido creados para estar juntos, no solos. Y es precisamente porque este proyecto de comunión está inscrito en lo más profundo del corazón humano, que la experiencia del abandono y de la soledad nos asusta, es dolorosa e, incluso, inhumana. Y lo es aún más en tiempos de fragilidad, incertidumbre e inseguridad, provocadas, muchas veces, por la aparición de alguna enfermedad grave.

Pienso, por ejemplo, en cuantos estuvieron terriblemente solos durante la pandemia de Covid-19; en los pacientes que no podía recibir visitas, pero también en los enfermeros, médicos y personal de apoyo, sobrecargados de trabajo y encerrados en las salas de aislamiento. Y obviamente no olvidemos a quienes debieron afrontar solos la hora de la muerte, solo asistidos por el personal sanitario, pero lejos de sus propias familias.

Al mismo tiempo, me uno con dolor a la condición de sufrimiento y soledad de quienes, a causa de la guerra y sus trágicas consecuencias, se encuentran sin apoyo y sin asistencia. La guerra es la más terrible de las enfermedades sociales y son las personas más frágiles las que pagan el precio más alto.

Sin embargo, es necesario subrayar que, también en los países que gozan de paz y cuentan con mayores recursos, el tiempo de la vejez y de la enfermedad se vive a menudo en la soledad y, a veces, incluso en el abandono. Esta triste realidad es consecuencia sobre todo de la cultura del individualismo, que exalta el rendimiento a toda costa y cultiva el mito de la eficiencia, volviéndose indiferente e incluso despiadada cuando las personas ya no tienen la fuerza necesaria para seguir ese ritmo. Se convierte entonces en una cultura del descarte, en la que «no se considera ya a las personas como un valor primario que hay que respetar y amparar, especialmente si son pobres o discapacitadas, si “todavía no son útiles” —como los no nacidos—, o si “ya no sirven” —como los ancianos—.» (Carta enc. Fratelli tutti, 18). Desgraciadamente, esta lógica también prevalece en determinadas opciones políticas, que no son capaces de poner en el centro la dignidad de la persona humana y sus necesidades, y no siempre favorecen las estrategias y los medios necesarios para garantizar el derecho fundamental a la salud y el acceso a los cuidados médicos a todo ser humano. Al mismo tiempo, el abandono de las personas frágiles y su soledad también se agravan por el hecho de reducir los cuidados únicamente a servicios de salud, sin que éstos vayan sabiamente acompañados por una “alianza terapéutica” entre médico, paciente y familiares.

Nos hace bien volver a escuchar esa palabra bíblica: ¡no conviene que el hombre esté solo! Dios la pronuncia al comienzo mismo de la creación y nos revela así el sentido profundo de su designio sobre la humanidad, pero, al mismo tiempo, también la herida mortal del pecado, que se introduce generando recelos, fracturas, divisiones y, por tanto, aislamiento. Esto afecta a la persona en todas sus relaciones; con Dios, consigo misma, con los demás y con la creación. Ese aislamiento nos hace perder el sentido de la existencia, nos roba la alegría del amor y nos hace experimentar una opresiva sensación de soledad en todas las etapas cruciales de la vida.

Hermanos y hermanas, el primer cuidado del que tenemos necesidad en la enfermedad es el de una cercanía llena de compasión y de ternura. Por eso, cuidar al enfermo significa, ante todo, cuidar sus relaciones, todas sus relaciones; con Dios, con los demás —familiares, amigos, personal sanitario—, con la creación y consigo mismo. ¿Es esto posible? Claro que es posible, y todos estamos llamados a comprometernos para que sea así. Fijémonos en la imagen del Buen Samaritano (cf. Lc 10, 25-37), en su capacidad para aminorar el paso y hacerse prójimo, en la actitud de ternura con que alivia las heridas del hermano que sufre.

Recordemos esta verdad central de nuestra vida, que hemos venido al mundo porque alguien nos ha acogido. Hemos sido hechos para el amor, estamos llamados a la comunión y a la fraternidad. Esta dimensión de nuestro ser nos sostiene de manera particular en tiempos de enfermedad y fragilidad, y es la primera terapia que debemos adoptar todos juntos para curar las enfermedades de la sociedad en la que vivimos.

A ustedes que padecen una enfermedad, temporal o crónica, me gustaría decirles: ¡no se avergüencen de su deseo de cercanía y ternura! No lo oculten y no piensen nunca que son una carga para los demás. La condición de los enfermos nos invita a todos a frenar los ritmos exasperados en los que estamos inmersos y a redescubrirnos a nosotros mismos.

En este cambio de época en el que vivimos, nosotros los cristianos estamos especialmente llamados a hacer nuestra la mirada compasiva de Jesús. Cuidemos a quienes sufren y están solos, e incluso marginados y descartados. Con el amor recíproco que Cristo Señor nos da en la oración, sobre todo en la Eucaristía, sanemos las heridas de la soledad y del aislamiento. Cooperemos así a contrarrestar la cultura del individualismo, de la indiferencia, del descarte, y hagamos crecer la cultura de la ternura y de la compasión.

Los enfermos, los frágiles, los pobres están en el corazón de la Iglesia y deben estar también en el centro de nuestra atención humana y solicitud pastoral. No olvidemos esto. Y encomendémonos a María Santísima, Salud de los Enfermos, para que interceda por nosotros y nos ayude a ser artífices de cercanía y de relaciones fraternas.

Roma, San Juan de Letrán, 10 de enero de 2024

FRANCISCO

[00072-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

«Não é conveniente que o homem esteja só».

Cuidar do doente, cuidando das relações

«Não é conveniente que o homem esteja só» (Gn 2, 18). Desde o início, Deus, que é amor, criou o ser humano para a comunhão, inscrevendo no seu íntimo a dimensão das relações. Assim a nossa vida, plasmada à imagem da Trindade, é chamada a realizar-se plenamente no dinamismo das relações, da amizade e do amor mútuo. Fomos criados para estar juntos, não sozinhos. E precisamente porque este projeto de comunhão está inscrito tão profundamente no coração humano, a experiência do abandono e da solidão atemoriza-nos e olhamo-la como dolorosa e até desumana. E isto agrava-se ainda mais no tempo da fragilidade, da incerteza e da insegurança, causadas muitas vezes pelo aparecimento dalguma doença grave.

Penso, por exemplo, em todos aqueles que permaneceram terrivelmente sós durante a pandemia de Covid-19: pacientes que não podiam receber visitas, mas também enfermeiros, médicos e pessoal auxiliar, todos sobrecarregados de trabalho e confinados em repartições isoladas. E não esqueçamos quantos tiveram de enfrentar sozinhos a hora da morte, assistidos pelos profissionais de saúde, mas longe das suas famílias.

Ao mesmo tempo associo-me, pesaroso, à condição de sofrimento e solidão de quantos, por causa da guerra e suas trágicas consequências, se encontram sem apoio nem assistência: a guerra é a mais terrível das doenças sociais e as pessoas mais frágeis pagam-lhe o preço mais alto.

Contudo, é preciso assinalar que, mesmo nos países que gozam da paz e de maiores recursos, o tempo da velhice e da doença é vivido frequentemente na solidão e, por vezes, até no abandono. Esta triste realidade é consequência sobretudo da cultura do individualismo, que exalta a produção a todo o custo e cultiva o mito da eficiência, tornando-se indiferente e até implacável quando as pessoas já não têm as forças necessárias para lhe seguir o passo. Torna-se então cultura do descarte, na qual «as pessoas já não são vistas como um valor primário a respeitar e tutelar, especialmente se são pobres ou deficientes, se “ainda não servem” (como os nascituros) ou “já não servem” (como os idosos)» (Francisco, Carta enc. Fratelli tutti, 18). Esta lógica permeia também, infelizmente, certas opções políticas, que não conseguem colocar no centro a dignidade da pessoa humana com as suas carências e nem sempre proporcionam as estratégias e recursos necessários para garantir a todo o ser humano o direito fundamental à saúde e o acesso aos cuidados médicos. Ao mesmo tempo, o abandono das pessoas frágeis e a sua solidão acabam favorecidos ainda pela redução dos cuidados médicos apenas aos serviços de saúde, sem serem sapientemente acompanhados por uma «aliança terapêutica» entre médico, paciente e familiar.

Faz-nos bem voltar a ouvir esta frase bíblica: «não é conveniente que o homem esteja só». É pronunciada por Deus ao início da criação, revelando-nos assim o significado profundo do seu projeto para a humanidade, mas ao mesmo tempo também a ferida mortal do pecado, que se introduz gerando suspeitas, fraturas, divisões e consequente isolamento. Este atinge a pessoa em todas as suas relações: com Deus, consigo mesma, com o outro, com a criação. Tal isolamento faz-nos perder o significado da existência, tira-nos a alegria do amor e faz-nos provar uma sensação opressiva de solidão nas sucessivas passagens cruciais da vida.

Irmãos e irmãs, o primeiro cuidado de que necessitamos na doença é uma proximidade cheia de compaixão e ternura. Por isso, cuidar do doente significa, antes de mais nada, cuidar das suas relações, de todas as suas relações: com Deus, com os outros – familiares, amigos, profissionais de saúde –, com a criação, consigo mesmo. É possível? Sim, é possível; e todos somos chamados a empenhar-nos para que tal aconteça. Olhemos para o ícone do Bom Samaritano (cf. Lc 10, 25-37), contemplemos a sua capacidade de parar e aproximar-se, a ternura com que trata as feridas do irmão que sofre.

Recordemos esta verdade central da nossa vida: viemos ao mundo porque alguém nos acolheu, somos feitos para o amor, somos chamados à comunhão e à fraternidade. Esta dimensão do nosso ser sustém-nos sobretudo no tempo da doença e da fragilidade, e é a primeira terapia que todos, juntos, devemos adotar para curar as doenças da sociedade em que vivemos.

A vós que vos encontrais na doença, passageira ou crónica, quero dizer-vos: Não tenhais vergonha do vosso desejo de proximidade e ternura. Não o escondais e nunca penseis que sois um peso para os outros. A condição dos doentes convida-nos a todos a abrandar os ritmos exasperados em que estamos imersos e a reentrar em nós mesmos.

Nesta mudança de época que vivemos, especialmente nós, cristãos, somos chamados a adotar o olhar compassivo de Jesus. Cuidemos de quem sofre e está sozinho, porventura marginalizado e descartado. Com o amor mútuo que Cristo Senhor nos oferece na oração, especialmente na Eucaristia, tratemos das feridas da solidão e do isolamento. E deste modo cooperamos para contrastar a cultura do individualismo, da indiferença, do descarte e fazer crescer a cultura da ternura e da compaixão.

Os doentes, os frágeis, os pobres estão no coração da Igreja e devem estar também no centro das nossas solicitudes humanas e cuidados pastorais. Não o esqueçamos! E confiemo-nos a Maria Santíssima, Saúde dos Enfermos, pedindo-Lhe que interceda por nós e nos ajude a ser artífices de proximidade e de relações fraternas.

Roma – São João de Latrão, 10 de janeiro de 2024.

FRANCISCO

[00072-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

„Nie jest dobrze, by człowiek był sam”.

Leczyć chorego poprzez leczenie relacji

„Nie jest dobrze, by człowiek był sam” (Rdz 2, 18). Od początku Bóg, który jest miłością, stworzył człowieka dla komunii, wpisując w jego istotę wymiar relacji. W ten sposób nasze życie, ukształtowane na obraz Trójcy Świętej, jest powołane do pełnego realizowania się w dynamizmie relacji, przyjaźni i wzajemnej miłości. Jesteśmy stworzeni, by przebywać razem, a nie samotnie. I właśnie dlatego, że ów projekt komunii jest tak głęboko wpisany w ludzkie serce, doświadczenie opuszczenia i samotności przeraża nas i okazuje się dla nas bolesne, a nawet nieludzkie. Staje się ono jeszcze bardziej dotkliwe w czasie słabości, niepewności i poczucia braku bezpieczeństwa, często spowodowanych wystąpieniem jakiejś poważnej choroby.

Myślę na przykład o tych, którzy byli przerażająco samotni podczas pandemii Covid-19: pacjentach, którzy nie mogli przyjmować odwiedzających, ale także pielęgniarkach, lekarzach oraz o personelu pomocniczym, wszystkich przeciążonych pracą i odizolowanych na oddziałach zamkniętych. I oczywiście nie zapominajmy o tych, którzy musieli samotnie stawić czoła godzinie śmierci, wprawdzie pod opieką personelu medycznego, ale z dala od swoich rodzin.

Jednocześnie, ze smutkiem dzielę cierpienie i samotność tych, którzy z powodu wojny i jej tragicznych następstw, znajdują i się bez wsparcia i pomocy: wojna jest najstraszniejszą z chorób społecznych, a osoby najsłabsze płacą za nią najwyższą cenę.

Trzeba jednak podkreślić, że nawet w krajach, które cieszą się pokojem i większymi zasobami, czas starości i choroby jest często przeżywany w samotności, a niekiedy wręcz w opuszczeniu. Ta smutna sytuacja jest przede wszystkim konsekwencją kultury indywidualizmu, która wychwala wydajność za wszelką cenę i kultywuje mit efektywności, stając się obojętną, a nawet bezlitosną, gdy ludzie nie mają już siły, by dotrzymać kroku. Staje się wtedy kulturą odrzucenia, w której „ludzie nie są już postrzegani jako podstawowa wartość, którą należy szanować i chronić, szczególnie jeśli są ubodzy lub niepełnosprawni, jeśli «nie są jeszcze potrzebni» – jak dzieci nienarodzone – lub «nie są już potrzebni» – jak osoby starsze” (Enc. Fratelli tutti, 18). Niestety, logika ta przenika również niektóre wybory polityczne, które nie potrafią w centrum umieścić godności osoby ludzkiej i jej potrzeb, oraz nie zawsze sprzyjają strategiom i zasobom niezbędnym do zapewnienia każdej istocie ludzkiej podstawowego prawa do zdrowia i dostępu do leczenia. Jednocześnie, porzucanie osób słabych i ich samotność są potęgowane także przez ograniczenie opieki wyłącznie do usług zdrowotnych, bez mądrego wspierania ich przez „przymierze terapeutyczne” między lekarzem, pacjentem i członkiem rodziny.

Warto, abyśmy raz jeszcze usłyszeli to biblijne słowo: nie jest dobrze, by człowiek był sam! Bóg wypowiada je na samym początku stworzenia, i w ten sposób ukazuje nam głęboki sens swojego planu dla ludzkości, ale jednocześnie, ukazuje śmiertelną ranę grzechu, którą wprowadzamy rodząc podejrzenia, pęknięcia, podziały, a zatem izolację. Grzech dotyka człowieka we wszystkich jego relacjach: z Bogiem, z samym sobą, z innymi, ze stworzeniem. Taka izolacja sprawia, że zatracamy sens istnienia, odbiera nam radość miłości i sprawia, że doświadczamy przytłaczającego poczucia samotności we wszystkich kluczowych etapach życia.

Bracia i siostry, pierwszą formą opieki, jakiej potrzebujemy w chorobie, jest bliskość pełna współczucia i czułości. Dlatego opieka nad chorym oznacza przede wszystkim troskę o jego relacje, wszystkie jego relacje: z Bogiem, z innymi – rodziną, przyjaciółmi, pracownikami służby zdrowia – ze stworzeniem, z samym sobą. Czy jest to możliwe? Tak, jest to możliwe i wszyscy jesteśmy wezwani do zaangażowania się, aby tak się stało. Spójrzmy na obraz Dobrego Samarytanina (por. Łk 10, 25-37), na jego zdolność do zwolnienia kroku i stania się bliźnim, na czułość, z jaką koi rany cierpiącego brata.

Pamiętajmy o tej centralnej prawdzie naszego życia: przyszliśmy na świat, ponieważ ktoś nas przyjął, jesteśmy stworzeni do miłości, jesteśmy powołani do komunii i braterstwa. Ten wymiar naszego jestestwa podtrzymuje nas szczególnie w okresach choroby i słabości, i jest pierwszą terapią, którą musimy wszyscy razem zastosować, aby uleczyć choroby społeczeństwa, w którym żyjemy.

Wam, którzy doświadczacie choroby, czy to przejściowej, czy przewlekłej, chciałbym powiedzieć: nie wstydźcie się swojego pragnienia bliskości i czułości! Nie ukrywajcie go i nigdy nie myślcie, że jesteście ciężarem dla innych. Sytuacja osób chorych zachęca wszystkich do zahamowania nadmiernego tempa, w którym jesteśmy zanurzeni, i do odnalezienia siebie.

W tym okresie zachodzących zmian, w którym żyjemy, szczególnie my chrześcijanie, jesteśmy wezwani do przyjęcia współczującego spojrzenia Jezusa. Troszczmy się o tych, którzy cierpią i są samotni, być może zepchnięci na margines i odrzuceni. Z wzajemną miłością, którą Chrystus Pan daje nam w modlitwie, a zwłaszcza w Eucharystii, uleczmy rany samotności i izolacji. I w ten sposób współpracujmy, aby przeciwdziałać kulturze indywidualizmu, obojętności, odrzucenia, oraz rozwijać kulturę czułości i współczucia.

Chorzy, słabi, ubodzy są w sercu Kościoła i muszą być także w centrum naszej ludzkiej uwagi oraz duszpasterskiej troski. Nie zapominajmy o tym! Powierzmy się Najświętszej Maryi Pannie, Uzdrowieniu Chorych, aby wstawiała się za nami i pomagała nam być twórcami bliskości i relacji braterskich.

Rzym, u Świętego Jana na Lateranie, dnia 10 stycznia 2024 roku.

FRANCISZEK

[00072-PL.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

رسالة قداسة البابا فرنسيس

في مناسبة اليوم العالمي الثّاني والثّلاثين للمريض

11 شباط/فبراير 2024

"لا يَحسُنُ أَن يَكونَ الإِنسانُ وَحدَه"

الاعتناء بالمريض بالاعتناء بالعَلاقات

"لا يَحسُنُ أَن يَكونَ الإِنسانُ وَحدَه" (تكوين 2، 18). منذ البدء، الله الذي هو محبّة خلق الإنسان ليكون في شركة واتّحاد مع غيره. ووضع في كيانه أن يكون عَلاقة مع. وهكذا، فإنّ حياتنا، التي صاغها الله على صورة الثّالوث الأقدس، مدعوةٌ إلى أن تحقّق نفسها كاملة في ديناميكيّة العَلاقات والصّداقة والحبّ المتبادل. خلقنا لنكون معًا، لا وحدنا. ولأنّ مشروع الشّركة والوَحدة هذا محفور بعمق في قلب الإنسان، فإنّ خبرة الخذلان والوِحدة تخيفنا وهي مؤلمة، بل هي غير إنسانيّة. وتصير أكثر خطورة في أوقات الضّعف والتّردّد وانعدام الأمن، وهذا يحدث مرارًا عند الإصابة بأيّ مرض خطير.

أفكّر، مثلًا، في الذين كانوا وحيدين جدًّا خلال جائحة كوفيد-19: المرضى الذين لم يتمكّنوا من استقبال الزّوار، وأيضًا الممرضين والأطباء وموظفين آخرين داعمين، جميعهم كانوا مثقلين بالعمل ومغلقًا عليهم في أجنحة العزل. وبالطّبع لا ننسى عدد الأشخاص الذين اضطروا إلى أن يواجهوا ساعة الموت وحدهم، بمساعدة العاملين في مجال الصّحّة، ولكن بعيدًا عن عائلاتهم.

وفي الوقت نفسه، أشارك بألَم في حالات الألَم والوِحدة التي يوجد فيها البعض اليوم، بسبب الحرب وعواقبها المأساويّة، بلا سند ولا مساعدة: الحرب هي أشدّ الأمراض الاجتماعيّة، والذين يدفعون الثّمن الغالي فيها هم الأضعفون.

ومع ذلك، من الضّروري أن نؤكّد أنّه حتّى في البلدان التي تتمّتع بالسّلام وبموارد وافرة، فيها أيضًا وقت الشّيخوخة والمرض محاط بالعزلة، وأحيانًا بالخذلان. هذا الواقع المحزن هو قبل كلّ شيء نتيجة لثقافة الفرديّة، التي تهتمّ أوّلًا بالمكسب مهما كان الثّمن، وبأسطورة الفعّالية والإنتاج، فتصير غير مبالية، بل بلا رحمة، عندما لا يعود لدى النّاس القوّة اللازمة للإنتاج. ومن ثمّ تصير ثقافة الإقصاء والرّفض، حيث "الأشخاص لا يُعتبرون بعد قيمةً أساسيّة ينبغي احترامها وحمايتها، لا سيّما إن كانوا فقراء أو ذوي احتياجات خاصّة، أو ”لا يقدرون بعد أن يعملوا“ – كالأطفال الذين لم يولدوا بعد– أو ”لا فائدة منهم“ – كالكبار المتقدّمين في السّن" (رسالة بابوية عامة، كلّنا إخوة، 18). للأسف، هذا المنطق يتغلغل أيضًا في بعض الخيارات السّياسيّة، التي تفشل في وضع كرامة الإنسان واحتياجاته في المقام الأوّل، ولا يضعون دائمًا الاستراتيجيات والموارد اللازمة لضمان الحقّ الأساسي لكلّ إنسان في الصّحّة والحصول على العلاج. في الوقت نفسه، التّخلّي عن الضّعفاء ووِحدتهم تزداد مع تقليص الرّعاية إلى الخدمات الصّحيّة فقط، دون أن تكون مصحوبة بحكمة بـكلّ ما يلزم من التّرابط في مجال العلاج، بين الطّبيب والمريض وأفراد العائلة.

حَسَنٌ لنا أن نسمع من جديد كلمة الكتاب المقدس: لا يَحسُنُ أَن يَكونَ الإِنسانُ وَحدَه! قالها الله في بداية الخلق، وبها كشف لنا عن المعنى العميق لخطته للبشريّة، وفي الوقت نفسه، بيَّن لنا جُرح الخطيئة المميت، الذي يدخل فيولّد الشّكوك والانشقاقات والانقسامات، والعزلة أيضًا. فهي تؤثّر في الإنسان في جميع علاقاته: مع الله، ومع نفسه، ومع الآخرين، ومع الخليقة. هذه العزلة تجعلنا نفقد معنى الحياة، وتسلبنا فرح الحبّ وتجعلنا نختبر شعورًا خانقًا بالوِحدة في جميع مراحل الحياة الحاسمة.

أيّها الإخوة والأخوات، العلاج الأوّل الذي نحتاج إليه في مرضنا هو القرب المليء بالرّأفة والحنان. لهذا السّبب، أن نعتني بالمريض يعني قبل كلّ شيء أن نعتني بعلاقاته، بكلّ علاقاته: مع الله، ومع الآخرين - الأقارب والأصدقاء والعاملين الصّحّيّين - ومع الخليقة، ومع نفسه. هل هذا الأمر ممكن؟ نعم ممكن، ونحن كلّنا مدعوّون إلى أن نلتزم حتّى يتحقّق ذلك. لننظر إلى أيقونة السّامري الرّحيم (راجع لوقا 10، 25-37)، وإلى قدرته على أن يتوقَّف ويكون قريبًا، وإلى الحنان الذي به خفَّف جراح أخيه المتألّم.

لنتذكّر هذه الحقيقة الأساسيّة في حياتنا: أَتَينَا إلى العالم لأنّ أحدًا ما استقبلنا، وخُلِقنا من أجل المحبّة، ودُعينا إلى الشّركة والوَحدة وإلى الأخوّة. هذا البُعد في كياننا يسندنا خاصّة في أوقات مرضنا وضعفنا، وهو العلاج الأوّل الذي علينا أن نعتمده معًا كلّنا لكي نشفي أمراض المجتمع الذي نعيش فيه.

وأودُّ أن أقول لكم، أنتم الذين تعيشون مع المرض، سَواء كان عابرًا أم مُزمنًا: لا تَخجلوا من رغبتكم في القُرب والحنان! لا تُخفوها ولا تفكّروا أبدًا في أنّكم عِبءٌ على الآخرين. حالة المرضى تدعونا كلّنا إلى أن نُبطئ الإيقاعات المسرعة التي تغمرنا وإلى أن نكتشف أنفسنا من جديد.

في عصر التغيّرات هذا الذي نعيش فيه، نحن المسيحيّين بشكلٍ خاصّ، مدعوّون إلى أن نتخذ نظرة يسوع الرّؤوفة. لنعتنِ بمن يتألّم وهو وحده، وقد يكون مهمّشًا ومنبوذًا. لنشفِ جِرَاح الوِحدَة والعُزلَة بالحبّ المُتبادل الذي منحنا إيّاه يسوع المسيح في الصّلاة، وخاصّة في الإفخارستيّا. وهكذا نتعاون لكي نقاوم ثقافة الفرديّة واللامبالاة والإقصاء، ولكي ننمّي ثقافة الحنان والرّأفة.

المرضى والضّعفاء والفقراء هُم في قلب الكنيسة ويجب أن يكونوا أيضًا في قلب مشاعرنا البشريّة واهتمامنا الرّعويّ. لا ننسَ ذلك! ولنُوكل أنفسنا إلى سيّدتنا مريم الكاملة القداسة، وشِفَاء المرضى، لتشفع بنا وتساعدنا لنكون صانعي قُرب وعلاقات أخويّة.

روما، بازيليكا القدّيس يوحنّا في اللاتران، يوم 10 كانون الثّاني/يناير 2024.

فرنسيس

[00072-AR.01] [Testo originale: Italiano]

[B0039-XX.01]