Discorso del Santo Padre
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Questa mattina, nell’Aula della Benedizione, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno.
Dopo le parole introduttive del Decano del Corpo Diplomatico, S.E. il Sig. Georges Poulides, Ambasciatore di Cipro presso la Santa Sede, il Papa ha pronunciato il discorso che riportiamo di seguito:
Discorso del Santo Padre
Eccellenze,
Signore e Signori!
Sono lieto di accogliervi stamani per salutarvi personalmente e porgervi gli auguri per il nuovo anno. Ringrazio, in modo particolare, Sua Eccellenza l’Ambasciatore George Poulides, Decano del Corpo Diplomatico, per le sue gentili parole, che bene esprimono le preoccupazioni della comunità internazionale all’inizio di un anno che vorremmo di pace e che invece si apre all’insegna di conflitti e divisioni.
L’occasione mi è gradita anche per ringraziarvi per l’impegno che profondete per favorire le relazioni tra la Santa Sede e i vostri Paesi. Lo scorso anno, la nostra “famiglia diplomatica” si è ulteriormente allargata grazie all’allacciamento dei rapporti diplomatici con il Sultanato dell’Oman e la nomina del primo Ambasciatore, qui presente.
In pari tempo, desidero ricordare che la Santa Sede ha proceduto alla nomina di un Rappresentante Pontificio Residente ad Ha Noi, dopo che, nel luglio scorso, è stato concluso con il Vietnam il relativo Accordo sullo statuto del Rappresentante Pontificio. Ciò al fine di continuare insieme il cammino sin qui percorso, nel segno del reciproco rispetto e della fiducia, grazie alle frequenti relazioni a livello istituzionale e alla collaborazione della Chiesa locale.
Nel 2023 si è anche ratificato l’Accordo Supplementare all’Accordo tra la Santa Sede e il Kazakhstan sulle relazioni mutue del 24 settembre 1998, che agevola la presenza e l’impiego degli operatori pastorali nel Paese; e vi è stata inoltre l’occasione di celebrare quattro significativi anniversari: il centenario delle relazioni diplomatiche con la Repubblica di Panama, il settantesimo di quelle con la Repubblica Islamica dell’Iran, il sessantesimo di quelle con la Repubblica di Corea e il cinquantesimo di quelle con l’Australia.
Cari Ambasciatori,
c’è una parola che risuona in modo particolare nelle due principali feste cristiane. La udiamo nel canto degli angeli che annunciano nella notte la nascita del Salvatore e la intendiamo dalla voce di Gesù risorto: è la parola “pace”. Essa è primariamente un dono di Dio: è Lui che ci lascia la sua pace (cfr Gv 14,27); ma nello stesso tempo è una nostra responsabilità: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). Lavorare per la pace. Parola tanto fragile e nel contempo impegnativa e densa di significato. Ad essa vorrei dedicare la nostra riflessione odierna, in un momento storico in cui è sempre più minacciata, indebolita e in parte perduta. D’altronde, è compito della Santa Sede, in seno alla comunità internazionale, essere voce profetica e richiamo della coscienza.
Alla vigilia di Natale del 1944, Pio XII pronunciò un celebre Radiomessaggio ai popoli del mondo intero. La seconda guerra mondiale stava avvicinandosi alla conclusione dopo oltre cinque anni di conflitto e l’umanità – disse il Pontefice – avvertiva «una volontà sempre più chiara e ferma: fare di questa guerra mondiale, di questo universale sconvolgimento, il punto da cui prenda le mosse un’era novella per il rinnovamento profondo»[1]. Ottant’anni dopo, la spinta a quel “rinnovamento profondo” sembra essersi esaurita e il mondo è attraversato da un crescente numero di conflitti che lentamente trasformano quella che ho più volte definito “terza guerra mondiale a pezzi” in un vero e proprio conflitto globale.
Non posso in questa sede non ribadire la mia preoccupazione per quanto sta avvenendo in Palestina e Israele. Tutti siamo rimasti scioccati dall’attacco terroristico del 7 ottobre scorso contro la popolazione in Israele, dove sono stati feriti, torturati e uccisi in maniera atroce tanti innocenti e molti sono stati presi in ostaggio. Ripeto la mia condanna per tale azione e per ogni forma di terrorismo ed estremismo: in questo modo non si risolvono le questioni tra i popoli, anzi esse diventano più difficili, causando sofferenza per tutti. Infatti, ciò ha provocato una forte risposta militare israeliana a Gaza che ha portato la morte di decine di migliaia di palestinesi, in maggioranza civili, tra cui tanti bambini, ragazzi e giovani, e ha causato una situazione umanitaria gravissima con sofferenze inimmaginabili.
Ribadisco il mio appello a tutte le parti coinvolte per un cessate-il-fuoco su tutti i fronti, incluso il Libano, e per l’immediata liberazione di tutti gli ostaggi a Gaza. Chiedo che la popolazione palestinese riceva gli aiuti umanitari e che gli ospedali, le scuole e i luoghi di culto abbiano tutta la protezione necessaria.
Auspico che la Comunità internazionale percorra con determinazione la soluzione di due Stati, uno israeliano e uno palestinese, come pure di uno statuto speciale internazionalmente garantito per la Città di Gerusalemme, affinché israeliani e palestinesi possano finalmente vivere in pace e sicurezza.
Il conflitto in corso a Gaza destabilizza ulteriormente una regione fragile e carica di tensioni. In particolare, non si può dimenticare il popolo siriano, che vive nell’instabilità economica e politica, aggravata dal terremoto del febbraio scorso. La Comunità internazionale incoraggi le Parti coinvolte a intraprendere un dialogo costruttivo e serio e a cercare soluzioni nuove, perché il popolo siriano non abbia più a soffrire a causa delle sanzioni internazionali. Inoltre, esprimo la mia sofferenza per i milioni di rifugiati siriani che ancora si trovano nei Paesi vicini, come la Giordania e il Libano.
A quest’ultimo rivolgo un particolare pensiero, esprimendo preoccupazione per la situazione sociale ed economica in cui versa il caro popolo libanese, e auspico che lo stallo istituzionale che lo sta mettendo ancora più in ginocchio venga risolto e che il Paese dei Cedri abbia presto un Presidente.
Rimanendo nel continente asiatico, desidero richiamare l’attenzione della Comunità internazionale pure sul Myanmar, chiedendo che vengano messi in campo tutti gli sforzi per dare speranza a quella terra e un futuro degno alle giovani generazioni, senza dimenticare l’emergenza umanitaria che ancora colpisce i Rohingya.
Accanto a queste situazioni complesse, non mancano anche segni di speranza, come ho potuto sperimentare nel corso del viaggio in Mongolia, alle cui Autorità rinnovo la mia gratitudine per l’accoglienza che mi hanno riservato. Allo stesso modo, desidero ringraziare le Autorità ungheresi per l’ospitalità durante la mia visita al Paese nell’aprile scorso. È stato un viaggio nel cuore dell’Europa, dove si respirano storia e cultura e dove ho saggiato il calore di molte persone, ma dove si avverte anche la vicinanza di un conflitto che non avremmo ritenuto possibile nell’Europa del XXI secolo.
Purtroppo, dopo quasi due anni di guerra su larga scala della Federazione Russa contro l’Ucraina, la tanto desiderata pace non è ancora riuscita a trovare posto nelle menti e nei cuori, nonostante le numerosissime vittime e l’enorme distruzione. Non si può lasciare protrarre un conflitto che va incancrenendosi sempre di più, a detrimento di milioni di persone, ma occorre che si ponga fine alla tragedia in atto attraverso il negoziato, nel rispetto del diritto internazionale.
Esprimo preoccupazione anche per la tesa situazione nel Caucaso Meridionale tra l’Armenia e l’Azerbaigian, esortando le parti ad arrivare alla firma di un Trattato di pace. È urgente trovare una soluzione alla drammatica situazione umanitaria degli abitanti di quella regione, favorire il ritorno degli sfollati alle proprie case in legalità e sicurezza e rispettare i luoghi di culto delle diverse confessioni religiose ivi presenti. Tali passi potranno contribuire alla creazione di un clima di fiducia tra i due Paesi in vista della tanto desiderata pace.
Se volgiamo ora lo sguardo all’Africa, abbiamo davanti agli occhi la sofferenza di milioni di persone per le molteplici crisi umanitarie in cui versano vari Paesi sub-sahariani, a causa del terrorismo internazionale, dei complessi problemi socio-politici, e degli effetti devastanti provocati dal cambiamento climatico, ai quali si sommano le conseguenze dei colpi di stato militari occorsi in alcuni Paesi e di certi processi elettorali caratterizzati da corruzione, intimidazioni e violenza.
In pari tempo, rinnovo un appello per un serio impegno da parte di tutti i soggetti coinvolti nell’applicazione dell’Accordo di Pretoria del novembre 2022, che ha messo fine ai combattimenti nel Tigray, e nella ricerca di soluzioni pacifiche alle tensioni e alle violenze che assillano l’Etiopia, nonché per il dialogo, la pace e la stabilità tra i Paesi del Corno d’Africa.
Vorrei pure ricordare i drammatici eventi in Sudan, dove purtroppo, dopo mesi di guerra civile, non si vede ancora una via di uscita; nonché le situazioni degli sfollati in Camerun, Mozambico, Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan. Proprio questi due ultimi Paesi ho avuto la gioia di visitare all’inizio dello scorso anno, per portare un segno di vicinanza alle loro popolazioni sofferenti, seppure in contesti e situazioni diversi. Ringrazio di cuore le Autorità di entrambi i Paesi per l’impegno organizzativo e per l’accoglienza riservatami. Il viaggio in Sud Sudan ha avuto peraltro un carattere ecumenico, essendo stato accompagnato dall’Arcivescovo di Canterbury e dal Moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia, a testimonianza dell’impegno condiviso delle nostre Comunità ecclesiali per la pace e la riconciliazione.
Sebbene non vi siano guerre aperte nelle Americhe, fra alcuni Paesi, per esempio tra il Venezuela e la Guyana, vi sono forti tensioni, mentre in altri, come in Perù, osserviamo fenomeni di polarizzazione che compromettono l’armonia sociale e indeboliscono le istituzioni democratiche.
Desta ancora preoccupazione la situazione in Nicaragua: una crisi che si protrae nel tempo con dolorose conseguenze per tutta la società nicaraguense, in particolare per la Chiesa Cattolica. La Santa Sede non cessa di invitare ad un dialogo diplomatico rispettoso per il bene dei cattolici e dell’intera popolazione.
Eccellenze, Signore e Signori,
dietro questo quadro che ho voluto tratteggiare brevemente e senza pretese di esaustività, si trova un mondo sempre più lacerato, ma soprattutto si trovano milioni di persone – uomini, donne, padri, madri, bambini – i cui volti ci sono per lo più sconosciuti e che spesso dimentichiamo.
D’altra parte, le guerre moderne non si svolgono più solo su campi di battaglia delimitati, né riguardano solamente i soldati. In un contesto in cui sembra non essere osservato più il discernimento tra obiettivi militari e civili, non c’è conflitto che non finisca in qualche modo per colpire indiscriminatamente la popolazione civile. Gli avvenimenti in Ucraina e a Gaza ne sono la prova evidente. Non dobbiamo dimenticare che le violazioni gravi del diritto internazionale umanitario sono crimini di guerra, e che non è sufficiente rilevarli, ma è necessario prevenirli. Occorre dunque un maggiore impegno della Comunità internazionale per la salvaguardia e l’implementazione del diritto umanitario, che sembra essere l’unica via per la tutela della dignità umana in situazioni di scontro bellico.
All’inizio di quest’anno risuona quanto mai attuale l’esortazione del Concilio Vaticano II, nella Gaudium et spes: «Esistono, in materia di guerra, varie convenzioni internazionali, che un gran numero di nazioni ha sottoscritto per rendere meno inumane le azioni militari e le loro conseguenze. […] Tutte queste convenzioni dovranno essere osservate; anzi le pubbliche autorità e gli esperti in materia dovranno fare ogni sforzo, per quanto è loro possibile, affinché siano perfezionate, in modo da renderle capaci di porre un freno più adatto ed efficace alle atrocità della guerra».[2] Anche quando si tratta di esercitare il diritto alla legittima difesa, è indispensabile attenersi ad un uso proporzionato della forza.
Forse non ci rendiamo conto che le vittime civili non sono “danni collaterali”. Sono uomini e donne con nomi e cognomi che perdono la vita. Sono bambini che rimangono orfani e privati del futuro. Sono persone che soffrono la fame, la sete e il freddo o che rimangono mutilate a causa della potenza degli ordigni moderni. Se riuscissimo a guardare ciascuno di loro negli occhi, a chiamarli per nome e ad evocarne la storia personale, guarderemmo alla guerra per quello che è: nient’altro che un’immane tragedia e “un’inutile strage”[3], che colpisce la dignità di ogni persona su questa terra.
D’altra parte, le guerre possono proseguire grazie all’enorme disponibilità di armi. Occorre perseguire una politica di disarmo, poiché è illusorio pensare che gli armamenti abbiano un valore deterrente. Piuttosto è vero il contrario: la disponibilità di armi ne incentiva l’uso e ne incrementa la produzione. Le armi creano sfiducia e distolgono risorse. Quante vite si potrebbero salvare con le risorse oggi destinate agli armamenti? Non sarebbe meglio investirle in favore di una vera sicurezza globale? Le sfide del nostro tempo travalicano i confini, come dimostrano le varie crisi – alimentare, ambientale, economica e sanitaria – che stanno caratterizzando l’inizio del secolo. In questa sede, reitero la proposta di costituire un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame[4] e promuovere uno sviluppo sostenibile dell’intero pianeta.
Tra le minacce causate da tali strumenti di morte, non posso poi tralasciare di menzionare quella provocata dagli arsenali nucleari e dallo sviluppo di ordigni sempre più sofisticati e distruttivi. Ribadisco ancora una volta l’immoralità di fabbricare e detenere armi nucleari. Al riguardo, esprimo l’auspicio che si possa giungere al più presto alla ripresa dei negoziati per il riavvio del Piano d’azione congiunto globale, meglio noto come “Accordo sul nucleare iraniano”, per garantire a tutti un futuro più sicuro.
Per perseguire la pace, tuttavia, non è sufficiente limitarsi a rimuovere gli strumenti bellici, occorre estirpare alla radice le cause delle guerre, prime fra tutte la fame, una piaga che colpisce tuttora intere regioni della Terra, mentre in altre si verificano ingenti sprechi alimentari. Vi è poi lo sfruttamento delle risorse naturali, che arricchisce pochi, lasciando nella miseria e nella povertà intere popolazioni, che sarebbero i beneficiari naturali di tali risorse. Ad esso è connesso lo sfruttamento delle persone, costrette a lavorare sottopagate e senza reali prospettive di crescita professionale.
Tra le cause di conflitto vi sono anche le catastrofi naturali e ambientali. Certamente vi sono disastri che la mano dell’uomo non può controllare. Penso ai recenti terremoti in Marocco e in Cina, che hanno causato centinaia di vittime, come pure a quello che ha colpito duramente la Turchia e parte della Siria e che ha lasciato dietro di sé una tremenda scia di morte e distruzione. Penso pure all’alluvione che ha colpito Derna in Libia, distruggendo di fatto la città, anche a causa del concomitante crollo di due dighe.
Vi sono però i disastri che sono imputabili anche all’azione o all’incuria dell’uomo e che contribuiscono gravemente alla crisi climatica in atto, come ad esempio la deforestazione dell’Amazzonia, che è il “polmone verde” della Terra.
La crisi climatica e ambientale è stata oggetto della XXVIII Conferenza degli Stati parte alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP28), tenutasi a Dubai il mese scorso, alla quale mi rincresce di non aver potuto partecipare personalmente. Essa è iniziata in concomitanza con l’annuncio dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale che il 2023 è stato l’anno più caldo rispetto ai 174 anni precedentemente registrati. La crisi climatica esige una risposta sempre più urgente e richiede il pieno coinvolgimento di tutti quanti, così come dell’intera comunità internazionale[5].
L’adozione del documento finale alla COP28 rappresenta un passo incoraggiante e rivela che, di fronte alle tante crisi che stiamo vivendo, vi è la possibilità di rivitalizzare il multilateralismo attraverso la gestione della questione climatica globale, in un mondo in cui i problemi ambientali, sociali e politici sono strettamente connessi. Alla COP28 è emerso chiaramente come quello in corso sia il decennio critico per fronteggiare il cambiamento climatico. La cura del creato e la pace «sono le tematiche più urgenti e sono collegate»[6]. Auspico, pertanto, che quanto stabilito a Dubai porti a «una decisa accelerazione della transizione ecologica, attraverso forme che […] trovino realizzazione in quattro campi: l’efficienza energetica; le fonti rinnovabili; l’eliminazione dei combustibili fossili; l’educazione a stili di vita meno dipendenti da questi ultimi»[7].
Le guerre, la povertà, l’abuso della nostra casa comune e il continuo sfruttamento delle sue risorse, che sono alla radice di disastri naturali, sono cause che spingono pure migliaia di persone ad abbandonare la propria terra alla ricerca di un futuro di pace e sicurezza. Nel loro viaggio mettono a rischio la propria vita su percorsi pericolosi, come nel deserto del Sahara, nella foresta del Darién al confine tra Colombia e Panama, in America centrale, nel nord del Messico, alla frontiera con gli Stati Uniti, e soprattutto nel Mare Mediterraneo. Questo, purtroppo, è diventato nell’ultimo decennio un grande cimitero, con tragedie che continuano a susseguirsi, anche a causa di trafficanti di esseri umani senza scrupoli. Tra le tante vittime, non dimentichiamolo, ci sono molti minori non accompagnati.
Il Mediterraneo dovrebbe essere piuttosto un laboratorio di pace, un «luogo dove Paesi e realtà diverse si incontrino sulla base dell’umanità che tutti condividiamo»[8], come ho avuto modo di sottolineare a Marsiglia, nel corso del mio viaggio, per il quale ringrazio gli organizzatori e le Autorità francesi, in occasione dei Rencontres Méditerranéennes. Davanti a questa immane tragedia finiamo facilmente per chiudere il nostro cuore, trincerandoci dietro la paura di una “invasione”. Dimentichiamo facilmente che abbiamo davanti persone con volti e nomi e tralasciamo la vocazione propria del Mare Nostrum, che non è quella di essere una tomba, ma un luogo di incontro e di arricchimento reciproco fra persone, popoli e culture. Ciò non toglie che la migrazione debba essere regolamentata per accogliere, promuovere, accompagnare e integrare i migranti, nel rispetto della cultura, della sensibilità e della sicurezza delle popolazioni che si fanno carico dell’accoglienza e dell’integrazione. D’altra parte occorre pure richiamare il diritto di poter rimanere nella propria Patria e la conseguente necessità di creare le condizioni affinché esso possa effettivamente esercitarsi.
Dinanzi a questa sfida nessun Paese può essere lasciato solo, né alcuno può pensare di affrontare isolatamente la questione attraverso legislazioni più restrittive e repressive, approvate talvolta sotto la pressione della paura o per accrescere il consenso elettorale. Accolgo perciò con soddisfazione l’impegno dell’Unione Europea a ricercare una soluzione comune mediante l’adozione del nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo, pur rilevandone alcuni limiti, specialmente per ciò che concerne il riconoscimento del diritto d’asilo e per il pericolo di detenzioni arbitrarie.
Cari Ambasciatori,
la via della pace esige il rispetto della vita, di ogni vita umana, a partire da quella del nascituro nel grembo della madre, che non può essere soppressa, né diventare oggetto di mercimonio. Al riguardo, ritengo deprecabile la pratica della cosiddetta maternità surrogata, che lede gravemente la dignità della donna e del figlio. Essa è fondata sullo sfruttamento di una situazione di necessità materiale della madre. Un bambino è sempre un dono e mai l’oggetto di un contratto. Auspico, pertanto, un impegno della Comunità internazionale per proibire a livello universale tale pratica. In ogni momento della sua esistenza, la vita umana dev’essere preservata e tutelata, mentre constato con rammarico, specialmente in Occidente, il persistente diffondersi di una cultura della morte, che, in nome di una finta pietà, scarta bambini, anziani e malati.
La via della pace esige il rispetto dei diritti umani, secondo quella semplice ma chiara formulazione contenuta nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, di cui abbiamo da poco celebrato il 75° anniversario. Si tratta di principi razionalmente evidenti e comunemente accettati. Purtroppo, i tentativi compiuti negli ultimi decenni di introdurre nuovi diritti, non pienamente consistenti rispetto a quelli originalmente definiti e non sempre accettabili, hanno dato adito a colonizzazioni ideologiche, tra le quali ha un ruolo centrale la teoria del gender, che è pericolosissima perché cancella le differenze nella pretesa di rendere tutti uguali. Tali colonizzazioni ideologiche provocano ferite e divisioni tra gli Stati, anziché favorire l’edificazione della pace.
Il dialogo, invece, dev’essere l’anima della Comunità internazionale. L’attuale congiuntura è anche causata dall’indebolimento di quelle strutture di diplomazia multilaterale che hanno visto la luce dopo il secondo conflitto mondiale. Organismi creati per favorire la sicurezza, la pace e la cooperazione non riescono più a unire tutti i loro membri intorno a un tavolo. C’è il rischio di una “monadologia” e della frammentazione in “club” che lasciano entrare solo Stati ritenuti ideologicamente affini. Anche quegli organismi finora efficienti, concentrati sul bene comune e su questioni tecniche, rischiano una paralisi a causa di polarizzazioni ideologiche, venendo strumentalizzati da singoli Stati.
Per rilanciare un comune impegno a servizio della pace, occorre recuperare le radici, lo spirito e i valori che hanno originato quegli organismi, pur tenendo conto del mutato contesto e avendo riguardo per quanti non si sentono adeguatamente rappresentati dalle strutture delle Organizzazioni internazionali.
Certamente dialogare richiede pazienza, perseveranza e capacità di ascolto, ma quando ci si adopera nel tentativo sincero di porre fine alle discordie, si possono raggiungere risultati significativi. Penso ad esempio all’Accordo di Belfast, noto anche come Accordo del Venerdì Santo, firmato dai Governi britannico e irlandese, di cui lo scorso anno si è ricordato il 25° anniversario. Esso, ponendo fine a trent’anni di violento conflitto, può essere preso ad esempio per spronare e stimolare le Autorità a credere nei processi di pace, nonostante le difficoltà e i sacrifici che richiedono.
La via della pace passa per il dialogo politico e sociale, poiché esso è alla base della convivenza civile di una moderna comunità politica. Il 2024 vedrà la convocazione di elezioni in molti Stati. Le elezioni sono un momento fondamentale della vita di un Paese, poiché consentono a tutti i cittadini di scegliere responsabilmente i propri governanti. Risuonano più che mai attuali le parole di Pio XII: «Esprimere il proprio parere sui doveri e i sacrifici, che gli vengono imposti; non essere costretto ad ubbidire senza essere stato ascoltato: ecco due diritti del cittadino, che trovano nella democrazia, come indica il suo nome stesso, la loro espressione. Dalla solidità, dall’armonia, dai buoni frutti di questo contatto tra i cittadini e il governo dello Stato, si può riconoscere se una democrazia è veramente sana ed equilibrata, e quale sia la sua forza di vita e di sviluppo»[9].
È perciò importante che i cittadini, specialmente le giovani generazioni che saranno chiamate alle urne per la prima volta, avvertano come loro precipua responsabilità quella di contribuire all’edificazione del bene comune, attraverso una partecipazione libera e consapevole alle votazioni. D’altronde la politica va sempre intesa non come appropriazione del potere, ma come «forma più alta di carità»[10] e dunque del servizio al prossimo in seno a una comunità locale o nazionale.
La via della pace passa pure attraverso il dialogo interreligioso, che innanzitutto richiede la tutela della libertà religiosa e il rispetto delle minoranze. Duole, ad esempio, constatare come cresca il numero di Paesi che adottano modelli di controllo centralizzato sulla libertà di religione, con l’uso massiccio di tecnologia. In altri luoghi, le comunità religiose minoritarie si trovano spesso in una situazione sempre più drammatica. In alcuni casi sono a rischio di estinzione, a causa di una combinazione di azioni terroristiche, attacchi al patrimonio culturale e misure più subdole come la proliferazione delle leggi anti-conversione, la manipolazione delle regole elettorali e le restrizioni finanziarie.
Preoccupa particolarmente l’aumento degli atti di antisemitismo verificatisi negli ultimi mesi; e ancora una volta sono a ribadire che questa piaga va sradicata dalla società, soprattutto con l’educazione alla fraternità e all’accoglienza dell’altro.
Parimenti preoccupa la crescita della persecuzione e della discriminazione nei confronti dei cristiani, soprattutto negli ultimi dieci anni. Essa riguarda non di rado, seppure in modo incruento ma socialmente rilevante, quei fenomeni di lenta marginalizzazione ed esclusione dalla vita politica e sociale e dall’esercizio di certe professioni che avvengono anche in terre tradizionalmente cristiane. Nel complesso sono oltre 360 milioni i cristiani nel mondo che sperimentano un livello alto di persecuzione e discriminazione a causa della propria fede, e sono sempre di più quelli costretti a fuggire dalle proprie terre d’origine.
Infine, la via della pace passa per l’educazione, che è il principale investimento sul futuro e sulle giovani generazioni. Ho ancora vivo il ricordo della Giornata Mondiale della Gioventù svoltasi in Portogallo nell’agosto scorso. Mentre ringrazio nuovamente le Autorità portoghesi, civili e religiose, per l’impegno profuso nell’organizzazione, conservo nel cuore l’incontro con più di un milione di giovani, provenienti da ogni parte del mondo, pieni di entusiasmo e voglia di vivere. La loro presenza è stata un grande inno alla pace e la testimonianza che «l’unità è superiore al conflitto»[11] e che è «possibile sviluppare una comunione nelle differenze»[12].
Nei tempi moderni, parte della sfida educativa riguarda un uso etico delle nuove tecnologie. Esse possono facilmente diventare strumenti di divisione o di diffusione di menzogna, le cosiddette fake news, ma sono anche mezzo di incontro, di scambi reciproci e un importante veicolo di pace. «I notevoli progressi delle nuove tecnologie dell’informazione, specialmente nella sfera digitale, presentano dunque entusiasmanti opportunità e gravi rischi, con serie implicazioni per il perseguimento della giustizia e dell’armonia tra i popoli»[13]. Per questo motivo ho ritenuto importante dedicare l’annuale Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace all’intelligenza artificiale, che è una delle sfide più importanti dei prossimi anni.
È indispensabile che lo sviluppo tecnologico avvenga in modo etico e responsabile, preservando la centralità della persona umana, il cui apporto non può né potrà mai essere rimpiazzato da un algoritmo o da una macchina. «La dignità intrinseca di ogni persona e la fraternità che ci lega come membri dell’unica famiglia umana devono stare alla base dello sviluppo di nuove tecnologie e servire come criteri indiscutibili per valutarle prima del loro impiego, in modo che il progresso digitale possa avvenire nel rispetto della giustizia e contribuire alla causa della pace»[14].
Occorre dunque una riflessione attenta ad ogni livello, nazionale e internazionale, politico e sociale, perché lo sviluppo dell’intelligenza artificiale si mantenga al servizio dell’uomo, favorendo e non ostacolando, specialmente nei giovani, le relazioni interpersonali, un sano spirito di fraternità e un pensiero critico capace di discernimento.
In tale prospettiva acquisiscono particolare rilevanza le due Conferenze Diplomatiche dell’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale, che avranno luogo nel 2024 e alle quali la Santa Sede parteciperà come Stato membro. Per la Santa Sede, la proprietà intellettuale è essenzialmente orientata alla promozione del bene comune e non può svincolarsi da limitazioni di natura etica dando luogo a situazioni di ingiustizia e indebito sfruttamento. Speciale attenzione va poi prestata alla tutela del patrimonio genetico umano, impedendo che si realizzino pratiche contrarie alla dignità dell’uomo, quali la brevettabilità del materiale biologico umano e la clonazione di esseri umani.
Eccellenze, Signore e Signori,
in quest’anno la Chiesa si prepara al Giubileo che inizierà il prossimo Natale. Ringrazio in particolare le Autorità italiane, nazionali e locali, per l’impegno che stanno profondendo nel preparare la città di Roma ad accogliere numerosi pellegrini e consentire loro di trarre frutti spirituali dal cammino giubilare.
Forse oggi più che mai abbiamo bisogno dell’anno giubilare. Di fronte a tante sofferenze, che provocano disperazione non soltanto nelle persone direttamente colpite, ma in tutte le nostre società; di fronte ai nostri giovani, che invece di sognare un futuro migliore si sentono spesso impotenti e frustrati; e di fronte all’oscurità di questo mondo, che sembra diffondersi anziché allontanarsi, il Giubileo è l’annuncio che Dio non abbandona mai il suo popolo e tiene sempre aperte le porte del suo Regno. Nella tradizione giudeo-cristiana il Giubileo è un tempo di grazia in cui sperimentare la misericordia di Dio e il dono della sua pace. È un tempo di giustizia in cui i peccati sono rimessi, la riconciliazione supera l’ingiustizia, e la terra si riposa. Esso può essere per tutti – cristiani e non cristiani – il tempo in cui spezzare le spade e farne aratri; il tempo in cui una nazione non alzerà più la spada contro un’altra, né si imparerà più l’arte della guerra (cfr Is 2,4).
È questo l’augurio, cari fratelli e sorelle, l’augurio che formulo di cuore a ciascuno di voi, cari Ambasciatori, alle vostre famiglie, ai collaboratori e ai popoli che rappresentate. Grazie e buon anno a tutti!
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[1] Radiomessaggio natalizio ai popoli del mondo intero, 24 dicembre 1944.
[2] Cost. past. Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (7 dicembre 1965), 79.
[3] Cfr Benedetto XV, Lettera ai Capi dei Popoli belligeranti (1° agosto 1917).
[4] Cfr Lett. enc. Fratelli tutti sulla fraternità e l’amicizia sociale (3 ottobre 2020), 262.
[5] Cfr Esort. ap. Laudate Deum a tutte le persone di buona volontà sulla crisi climatica (4 ottobre 2023).
[6] Discorso alla Conferenza degli Stati parte alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, 2 dicembre 2023.
[7] Ibid.
[8] Discorso alla Sessione conclusiva dei «Rencontres Méditerranéennes», Marsiglia, 23 settembre 2023, 1.
[9] Cfr Radiomessaggio natalizio ai popoli del mondo intero, 24 dicembre 1944.
[10] Pio XI, Udienza ai dirigenti della Federazione Universitaria Cattolica, 18 dicembre 1927.
[11] Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 228.
[12] Ibid.
[13] Messaggio per la LVII Giornata Mondiale della Pace (8 dicembre 2023), 1.
[14] Ibid., 2.
[00034-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Excellences,
Mesdames et Messieurs !
Je suis heureux de vous accueillir ce matin pour vous saluer personnellement et vous présenter mes meilleurs vœux pour la nouvelle année. Je remercie en particulier Son Excellence l’Ambassadeur George Poulides, Doyen du Corps diplomatique, pour ses paroles aimables, qui expriment bien les préoccupations de la communauté internationale au début d’une année que nous voudrions pacifique et qui, au contraire, s’ouvre sur des conflits et des divisions.
Je voudrais également profiter de cette occasion pour vous remercier de votre engagement à promouvoir les relations entre le Saint-Siège et vos pays. L’année dernière, notre “famille diplomatique” s’est encore élargie grâce à l’établissement de relations diplomatiques avec le Sultanat d’Oman et à la nomination du premier Ambassadeur, ici présent.
En même temps, je voudrais rappeler que le Saint-Siège a procédé à la nomination d’un Représentant Pontifical Résident à Hanoi, après que l’Accord sur le Statut du Représentant Pontifical a été conclu avec le Vietnam en juillet dernier, afin de poursuivre ensemble le chemin parcouru jusqu’à présent, sous le signe du respect et de la confiance mutuels, grâce aux relations fréquentes au niveau institutionnel et à la coopération de l’Église locale.
En 2023, a également eu lieu la ratification de l’Accord complémentaire à l’Accord entre le Saint-Siège et le Kazakhstan sur les relations mutuelles du 24 septembre 1998, qui facilite la présence et l’emploi des agents pastoraux dans le pays. Quatre anniversaires importants ont été célébrés : le 100ème anniversaire des relations diplomatiques avec la République du Panama, le 70ème anniversaire des relations avec la République Islamique d’Iran, le 60ème anniversaire des relations avec la République de Corée et le 50ème anniversaire des relations avec l’Australie.
Chers Ambassadeurs,
un mot résonne d’une manière particulière lors des deux principales fêtes chrétiennes. Nous l’entendons dans le chant des anges annonçant dans la nuit la naissance du Sauveur et nous l’entendons par la voix de Jésus ressuscité : c’est le mot “paix”. Celle-ci est avant tout un don de Dieu : c’est Lui qui nous laisse sa paix (cf. Jn 14, 27), mais en même temps elle est notre responsabilité : « Heureux les artisans de paix » (Mt 5, 9). Travailler pour la paix. Ce mot est très fragile et, en même temps, exigeant et plein de sens. Je voudrais lui consacrer notre réflexion présente, en un moment historique où celle-ci est de plus en plus menacée, affaiblie et en partie perdue. D’autre part, il revient au Saint-Siège, au sein de la communauté internationale, d’être une voix prophétique et un appel à la conscience.
La veille de Noël 1944, Pie XII adressa un célèbre Message radiodiffusé aux peuples du monde entier. La Seconde Guerre mondiale touchait à sa fin après plus de cinq années de conflit et l’humanité – disait le Pape – éprouvait « une volonté toujours plus clair et plus ferme : faire de cette guerre mondiale, de ce bouleversement universel, le point de départ d’une ère nouvelle de profond renouveau »[1]. Quatre-vingts ans plus tard, l’élan de ce “renouveau profond” semble s’être épuisé et le monde est traversé par un nombre croissant de conflits qui transforment peu à peu ce que j’ai appelé à plusieurs reprises la “troisième guerre mondiale par morceaux” en un véritable conflit mondial.
Je ne peux pas ne pas renouveler ici mon inquiétude sur ce qui se passe en Palestine et en Israël. Nous avons tous été choqués par l’attaque terroriste contre la population en Israël du 7 octobre dernier, où un grand nombre d’innocents ont été blessés, torturés et tués d’une manière atroce et où de nombreuses personnes ont été prises en otage. Je réitère ma condamnation de cet acte et de toutes les formes de terrorisme et d’extrémisme : les problèmes ne sont pas résolus de cette manière entre les peuples, mais ils deviennent au contraire plus difficiles, causant des souffrances pour tout le monde. En fait, cela a provoqué une forte réponse militaire israélienne à Gaza qui a entraîné la mort de dizaines de milliers de Palestiniens, en majorité des civils parmi lesquels des enfants et des jeunes, et a entrainé une situation humanitaire très grave avec des souffrances inimaginables.
Je réitère mon appel à toutes les parties concernées à un cessez-le-feu sur tous les fronts, y compris au Liban, et pour la libération immédiate de tous les otages à Gaza. Je demande que la population palestinienne reçoive une aide humanitaire et que les hôpitaux, les écoles et les lieux de culte bénéficient de toute la protection nécessaire.
J’espère que la Communauté internationale poursuivra résolument la solution à deux États, l’un israélien et l’autre palestinien, avec un statut spécial internationalement garanti pour la ville de Jérusalem, afin qu’Israéliens et Palestiniens puissent enfin vivre dans la paix et la sécurité.
Le conflit en cours à Gaza déstabilise encore davantage une région fragile et tendue. En particulier, il ne faut pas oublier le peuple syrien, qui vit dans une instabilité économique et politique, aggravée par le tremblement de terre de février dernier. La communauté internationale se doit d’encourager les parties concernées à engager un dialogue constructif et sérieux et à rechercher de nouvelles solutions afin que le peuple syrien n’ait plus à souffrir des sanctions internationales. Par ailleurs, j’exprime ma tristesse pour les millions de réfugiés syriens qui se trouvent toujours dans les pays voisins, tels que la Jordanie et le Liban.
J’adresse une pensée particulière à ce dernier, en exprimant ma préoccupation pour la situation sociale et économique dans laquelle se trouve le cher peuple libanais, et j’espère que l’impasse institutionnelle qui le met de plus en plus à genoux sera résolue et que le Pays du Cèdre aura bientôt un Président.
En restant sur le continent asiatique, je voudrais également attirer l’attention de la Communauté internationale sur le Myanmar, en demandant que tous les efforts soient faits pour redonner de l’espoir à cette terre et un avenir digne aux jeunes générations, sans oublier l’urgence humanitaire qui affecte encore les Rohingyas.
À côté de ces situations complexes, les signes d’espérance ne manquent pas non plus, comme j’ai pu le constater lors de mon voyage en Mongolie, dont je renouvelle ma gratitude aux Autorités pour l’accueil qu’elles m’ont réservé. De même, je tiens à remercier les Autorités hongroises pour leur hospitalité lors de ma visite dans le pays en avril dernier. Ce fut un voyage au cœur de l’Europe, où l’on respire l’histoire et la culture et où j’ai ressenti la chaleur de nombreuses personnes, mais aussi la proximité d’un conflit que l’on n'aurait pas cru possible dans l’Europe du XXIème siècle.
Malheureusement, après presque deux années de guerre à grande échelle menée par la Fédération de Russie contre l’Ukraine, la paix tant désirée n’a toujours pas trouvé sa place dans les esprits et les cœurs, malgré les nombreuses victimes et les énormes destructions. Un conflit qui s’enracine de plus en plus, au détriment de millions de personnes, ne peut être autorisé à se poursuivre, mais doit prendre fin par la négociation, dans le respect du droit international.
J’exprime également ma préoccupation quant à la situation tendue dans le Caucase du Sud entre l’Arménie et l’Azerbaïdjan, et j’exhorte les parties à parvenir à la signature d’un Traité de paix. Il est urgent de trouver une solution à la situation humanitaire dramatique des habitants de cette région, de faciliter le retour des personnes déplacées dans leurs foyers en toute légalité et sécurité, et de respecter les lieux de culte des différentes confessions religieuses présentes. De telles mesures pourraient contribuer à la création d'un climat de confiance entre les deux pays en vue de la paix tant désirée.
Si nous tournons maintenant notre regard vers l’Afrique, nous avons sous les yeux la souffrance de millions de personnes due aux multiples crises humanitaires dans lesquelles se trouvent divers pays subsahariens, en raison du terrorisme international, de problèmes sociopolitiques complexes et des effets dévastateurs provoqués par le changement climatique, auxquels s’ajoutent les conséquences des coups d’État militaires dans certains pays et de certains processus électoraux caractérisés par la corruption, l’intimidation et la violence.
En même temps, je renouvelle un appel à un engagement sérieux de la part de tous les acteurs impliqués dans la mise en œuvre de l’Accord de Pretoria de novembre 2022, qui a mis fin aux combats dans le Tigré, et dans la recherche de solutions pacifiques aux tensions et aux violences qui affectent l’Éthiopie, ainsi que pour le dialogue, la paix et la stabilité entre les pays de la Corne de l’Afrique.
Je voudrais également mentionner les événements dramatiques au Soudan où, malheureusement, après des mois de guerre civile, aucune issue n’est encore en vue, ainsi que les situations des personnes déplacées au Cameroun, au Mozambique, en République démocratique du Congo et au Soudan du Sud. C’est précisément dans ces deux derniers pays que j’ai eu la joie de me rendre au début de l'année dernière, afin d’apporter un signe de proximité à leurs populations souffrantes, bien que dans des contextes et des situations différentes. Je remercie chaleureusement les Autorités de ces deux pays pour leurs efforts d’organisation et pour l’accueil qu’elles m’ont réservé. Le voyage au Soudan du Sud avait également un caractère œcuménique, puisque j’étais accompagné par l’Archevêque de Canterbury et le Modérateur de l’Assemblée générale de l’Église d’Écosse, témoignant ainsi de l’engagement commun de nos Communautés ecclésiales en faveur de la paix et de la réconciliation.
Bien qu’il n’y ait pas de guerre ouverte aux Amériques, il existe de fortes tensions entre certains pays, par exemple entre le Venezuela et le Guyana, alors que dans d’autres, comme le Pérou, on observe des phénomènes de polarisation qui compromettent l’harmonie sociale et affaiblissent les institutions démocratiques.
La situation au Nicaragua reste préoccupante : une crise qui perdure et aux conséquences douloureuses pour l’ensemble de la société nicaraguayenne, en particulier pour l’Église catholique. Le Saint-Siège ne cesse d’appeler à un dialogue diplomatique respectueux pour le bien des catholiques et de l’ensemble de la population.
Excellences, Mesdames et Messieurs,
derrière ce tableau que j’ai voulu esquisser brièvement et sans prétention d’exhaustivité, se trouve un monde de plus en plus déchiré, mais surtout se trouvent des millions de personnes – des hommes, des femmes, des pères, des mères, des enfants – dont les visages nous sont pour la plupart inconnus et que nous oublions souvent.
D’autre part, les guerres modernes ne se déroulent plus uniquement sur des champs de bataille délimités, n’impliquent pas uniquement les soldats. Dans un contexte où le discernement entre objectifs militaires et civils semble ne plus être observé, il n’y a pas de conflit qui ne finisse en quelque sorte par frapper aveuglément la population civile. Les événements en Ukraine et à Gaza en sont la preuve évidente. Nous ne devons pas oublier que les violations graves du droit international humanitaire sont des crimes de guerre, et qu’il ne suffit pas de les relever, mais qu’il faut les prévenir. Un engagement accru de la Communauté internationale est nécessaire pour sauvegarder et mettre en œuvre le droit humanitaire qui semble être la seule voie pour la protection de la dignité humaine dans les situations de guerre.
Au début de cette année, l’exhortation du Concile Vatican II, dans Gaudium et spes, résonne plus que jamais actuelle : « Il existe, pour tout ce qui concerne la guerre, diverses conventions internationales, qu’un assez grand nombre de pays ont signées en vue de rendre moins inhumaines les actions militaires et leurs conséquences. [...] Ces accords doivent être observés ; bien plus, tous, particulièrement les autorités publiques ainsi que les personnalités compétentes, doivent s’efforcer autant qu’ils le peuvent de les améliorer et de leur permettre ainsi de mieux contenir, et de façon plus efficace, l’inhumanité des guerres ».[2] Même lorsqu’il s’agit d’exercer le droit à la légitime défense, il est indispensable de s’en tenir à un usage proportionné de la force.
Peut-être nous ne réalisons pas que les victimes civiles ne sont pas des “dommages collatéraux”. Ce sont des hommes et des femmes avec des noms et prénoms qui perdent la vie. Ce sont des enfants qui restent orphelins et privés d’avenir. Ce sont des personnes qui souffrent de la faim, de la soif et du froid ou qui restent mutilées à cause de la puissance des engins modernes. Si nous pouvions regarder chacun dans les yeux, l’appeler par son nom et évoquer son histoire personnelle, nous regarderions la guerre pour ce qu’elle est : rien d’autre qu’une immense tragédie et “un massacre inutile”[3] qui affecte la dignité de toute personne sur cette terre.
D’autre part, les guerres peuvent se poursuivre grâce à l’énorme disponibilité des armes. Il convient de poursuivre une politique de désarmement, car il est illusoire de penser que les armements ont une valeur dissuasive. C’est plutôt le contraire qui est vrai : la disponibilité des armes encourage leur utilisation et augmente leur production. Les armes créent la méfiance et détournent les ressources. Combien de vies pourraient être sauvées avec les ressources destinées aujourd’hui aux armements ? Ne serait-il pas préférable de les investir dans une véritable sécurité mondiale ? Les défis de notre temps dépassent les frontières, comme le montrent les différentes crises – alimentaire, environnementale, économique et sanitaire – qui caractérisent le début du siècle. Je réitère ici ma proposition de créer un Fonds mondial pour éradiquer enfin la faim[4] et promouvoir un développement durable de la planète entière.
Parmi les menaces causées par ces instruments de mort, je ne peux manquer de mentionner celle provoquée par les arsenaux nucléaires et par le développement d’engins de plus en plus sophistiqués et destructeurs. J’insiste une fois de plus sur l’immoralité de la fabrication et de la détention d’armes nucléaires. À cet égard, j’espère que les négociations sur le redémarrage du Plan d’action global commun, mieux connu sous le nom d’“Accord sur le nucléaire iranien”, pourront reprendre le plus rapidement possible, afin de garantir à tous un avenir plus sûr.
Afin de poursuivre la paix, il ne suffit pas toutefois de se contenter de supprimer les instruments belliqueux, il faut encore extirper à la racine les causes des guerres, en premier la faim, une plaie qui frappe encore des régions entières de la terre, alors qu’ailleurs ont lieu des gaspillages alimentaires énormes. Il y a ensuite l’exploitation des ressources naturelles, qui enrichit un petit nombre, laissant dans la misère et dans la pauvreté des populations entières, qui seraient les bénéficiaires naturels de ces ressources. À cela est liée l’exploitation des personnes, contraintes de travailler en étant sous payées, et sans perspectives réelles de croissance professionnelle.
Parmi les causes de conflit, il y a aussi les catastrophes naturelles et environnementales. Certes, il y a des catastrophes que la main de l’homme ne peut pas contrôler. Je pense aux récents tremblements de terre au Maroc et en Chine, qui ont fait des centaines de victimes, ainsi qu’à celui qui a durement frappé la Turquie et une partie de la Syrie et qui a laissé derrière lui une terrible traînée de mort et de destruction. Je pense aussi à l’inondation qui a frappé Derna en Libye, détruisant de fait la ville, entre autres à cause de l’effondrement concomitant de deux barrages.
Il y a cependant des catastrophes qui sont aussi imputables à l’action ou à la négligence de l’homme et qui contribuent gravement à la crise climatique en cours, comme par exemple la déforestation de l’Amazonie, le “poumon vert” de la terre.
La crise climatique et environnementale a fait l’objet de la 28ème Conférence des Parties à la Convention-cadre des Nations Unies sur les changements climatiques (COP28), qui s’est tenue à Dubaï le mois dernier, à laquelle je regrette de ne pas avoir pu participer personnellement. Elle a commencé au moment où l’Organisation Météorologique Mondiale annonçait que 2023 a été l’année la plus chaude des 174 années précédemment enregistrées. La crise climatique exige une réponse de plus en plus urgente et demande la pleine implication de tous et de toute la communauté internationale.[5]
L’adoption du document final à la COP28 constitue une étape encourageante et révèle que, face aux nombreuses crises que nous vivons, il existe une possibilité de revitaliser le multilatéralisme par la gestion de la question climatique mondiale, dans un monde où les problèmes environnementaux, sociaux et politiques sont étroitement liés. Lors de la COP28, il est apparu clairement à quel point la décennie actuelle est une décennie critique pour faire face au changement climatique. Le soin de la création et la paix « sont les questions les plus urgentes, et elles sont liées ».[6] Je souhaite donc que ce qui a été décidé à Dubaï conduise à « une accélération décisive de la transition écologique, à travers des formes qui […] soient mises en œuvre dans quatre domaines : l’efficacité énergétique, les sources renouvelables, l’élimination des combustibles fossiles et l’éducation à des modes de vie moins dépendants de ces derniers ».[7]
Les guerres, la pauvreté, la maltraitance de notre maison commune et l’exploitation continuelle de ses ressources, qui sont à la racine de catastrophes naturelles, sont des causes qui poussent aussi des milliers de personnes à abandonner leur terre à la recherche d’un avenir de paix et de sécurité. En voyage, ils risquent leur vie sur des routes dangereuses comme le désert du Sahara, la forêt du Darién à la frontière entre la Colombie et le Panama, en Amérique centrale, au nord du Mexique, à la frontière avec les États-Unis, et surtout en mer Méditerranée. Cette dernière est malheureusement devenue au cours de la dernière décennie un grand cimetière, avec des tragédies qui continuent à se succéder, notamment à cause de trafiquants d’êtres humains sans scrupules. Parmi les nombreuses victimes, ne l’oublions pas, il y a beaucoup de mineurs non accompagnés.
La Méditerranée devrait plutôt être un laboratoire de paix, un « lieu où des pays et des réalités différentes se rencontrent sur la base de l’humanité que nous partageons tous »,[8] comme j’ai eu l’occasion de le souligner à Marseille, au cours de mon voyage, pour lequel je remercie les organisateurs et les Autorités françaises, à l’occasion des Rencontres Méditerranéennes. Face à cette immense tragédie, nous finissons facilement par fermer notre cœur, nous retranchant derrière la peur d’une “invasion”. Nous oublions facilement que nous avons devant nous des personnes avec des visages et des noms et nous oublions la vocation propre de la Mare Nostrum, qui n’est pas celle d’être un cimetière, mais un lieu de rencontre et d’enrichissement réciproque entre personnes, peuples et cultures. Cela n’empêche pas que les migrations doivent être réglementées pour accueillir, promouvoir, accompagner et intégrer les migrants, dans le respect de la culture, de la sensibilité et de la sécurité des populations qui prennent en charge l’accueil et l’intégration. D’autre part, il faut aussi rappeler le droit de pouvoir demeurer dans sa patrie et la nécessité qui en découle de créer les conditions pour qu’il puisse s’exercer effectivement.
Face à ce défi, aucun pays ne peut être laissé seul, et personne ne peut penser à affronter isolément la question à travers des législations plus restrictives et répressives, approuvées parfois sous la pression de la peur ou pour la recherche d’un consensus électoral. C’est pourquoi je salue avec satisfaction l’engagement de l’Union Européenne à rechercher une solution commune par l’adoption du nouveau Pacte sur la Migration et l’Asile, tout en relevant certaines limites, notamment en ce qui concerne la reconnaissance du droit d’asile et le risque de détention arbitraire.
Chers Ambassadeurs,
la voie de la paix exige le respect de la vie, de toute vie humaine, à partir de celle de l’enfant à naître dans le sein de la mère, qui ne peut être supprimée, ni devenir objet de marchandage. À cet égard, je trouve regrettable la pratique de la dite mère porteuse, qui lèse gravement la dignité de la femme et de l’enfant. Elle est fondée sur l’exploitation d’une situation de nécessité matérielle de la mère. Un enfant est toujours un cadeau et jamais l’objet d’un contrat. Je souhaite donc un engagement de la Communauté internationale pour interdire cette pratique au niveau universel. À chaque moment de son existence, la vie humaine doit être préservée et protégée, tandis que je constate avec regret, en particulier en Occident, la diffusion persistante d’une culture de la mort qui, au nom d’une fausse piété, rejette les enfants, les personnes âgées et les malades.
La voie de la paix exige le respect des droits humains, selon la formulation, simple mais claire, contenue dans la Déclaration Universelle des Droits Humains dont nous venons de célébrer le 75ème anniversaire. Il s’agit de principes rationnellement évidents et communément acceptés. Malheureusement, les tentatives tentées ces dernières décennies d’introduire de nouveaux droits qui ne sont pas pleinement importants par rapport à ceux initialement définis et pas toujours acceptables, ont suscité des colonisations idéologiques, parmi lesquels la théorie du genre joue un rôle central, qui est très dangereuse parce qu’elle efface les différences dans la prétention de rendre tous égaux. Ces colonisations idéologiques provoquent des blessures et des divisions entre les États, au lieu de favoriser l’édification de la paix.
Le dialogue, en revanche, doit être l’âme de la Communauté internationale. La conjoncture actuelle est également causée par l’affaiblissement des structures de diplomatie multilatérale qui ont vu le jour après la Seconde Guerre mondiale. Des organismes créés pour favoriser la sécurité, la paix et la coopération ne parviennent plus à réunir tous leurs membres autour d’une table. Il y a le risque d’une “monadologie” et de la fragmentation en “clubs” qui ne laissent entrer que des États considérés comme idéologiquement apparentés. Même ces organismes jusqu’à présent efficaces, concentrés sur le bien commun et sur des questions techniques, risquent une paralysie à cause de polarisations idéologiques, en étant instrumentalisés par des États singuliers.
Pour relancer un engagement commun au service de la paix, il convient de retrouver les racines, l’esprit et les valeurs qui ont donné naissance à ces organismes, tout en tenant compte de l’évolution du contexte et en tenant compte de ceux qui ne se sentent pas suffisamment représentés par les structures des Organisations internationales.
Il est certain que dialoguer requiert de la patience, de la persévérance et une capacité d’écoute. Mais lorsqu'on tente sincèrement de mettre fin aux discordes, des résultats significatifs peuvent être obtenus. Je pense par exemple à l’Accord de Belfast, connu aussi sous le nom d’Accord du Vendredi Saint, signé par les Gouvernements britannique et irlandais, dont le 25ème anniversaire a été commémoré l’année dernière. En mettant fin à trente ans de conflit violent, il peut être pris comme exemple pour inciter et stimuler les Autorités à croire aux processus de paix, malgré les difficultés et les sacrifices qu’ils requièrent.
Le chemin de la paix passe par le dialogue politique et social, car celui-ci est la base de la coexistence civile d’une communauté politique moderne. L’année 2024 verra la convocation des élections dans de nombreux États. Les élections sont un moment fondamental dans la vie d'un pays car elles permettent à tous les citoyens de choisir de manière responsable leurs dirigeants. Les paroles de Pie XII, plus que jamais actuelles, résonnent : « Exprimer son opinion sur les devoirs et les sacrifices qui lui sont imposés ; ne pas être contraint d'obéir sans être écouté : voilà deux droits du citoyen qui trouvent leur expression dans la démocratie, comme son nom même l'indique. C'est à la solidité, à l'harmonie, aux bons fruits de ce contact entre les citoyens et le gouvernement de l'État que l'on peut reconnaître si une démocratie est vraiment saine et équilibrée, et quelle est sa force de vie et de développement ».[9]
C’est pourquoi il est important que les citoyens, en particulier les jeunes générations qui seront appelées aux urnes pour la première fois, sentent qu'il est de leur responsabilité première de contribuer à la construction du bien commun, à travers une participation libre et consciente aux votes. D'autre part, la politique doit toujours être comprise non pas comme l'appropriation du pouvoir, mais comme la « forme la plus élevée de la charité »[10] et donc du service du prochain au sein d'une communauté locale et nationale.
Le chemin de la paix passe aussi par le dialogue interreligieux, qui nécessite avant tout la protection de la liberté religieuse et le respect des minorités. Il est douloureux, par exemple, de constater que de plus en plus de pays adoptent des modèles de contrôle centralisé de la liberté religieuse, avec l’utilisation massive de la technologie. En d’autres lieux, les communautés religieuses minoritaires se trouvent souvent dans une situation de plus en plus dramatique. Dans certains cas, elles sont menacées d’extinction, en raison d’une combinaison d’actions terroristes, d’attaques contre le patrimoine culturel et de mesures plus subtiles telles que la prolifération de lois anti-conversion, la manipulation des règles électorales et les restrictions financières.
L’augmentation des actes antisémites survenus ces derniers mois est particulièrement préoccupante. Je rappelle une nouvelle fois que ce fléau doit être éradiqué de la société, notamment par l’éducation à la fraternité et à l’acceptation de l’autre.
L’augmentation des persécutions et des discriminations à l’encontre des chrétiens, en particulier au cours de la dernière décennie, est tout aussi préoccupante. Il s’agit souvent, bien que de manière non sanglante mais socialement importante, de phénomènes de lente marginalisation et exclusion de la vie politique et sociale et de l’exercice de certaines professions, qui se produisent même dans des pays traditionnellement chrétiens. Dans l’ensemble, plus de 360 millions de chrétiens dans le monde subissent un niveau élevé de persécution et de discrimination en raison de leur foi, et de plus en plus sont contraints de fuir leur pays d’origine.
Enfin, le chemin de la paix passe par l’éducation qui est le principal investissement pour l’avenir et pour les jeunes générations. J’ai encore bien vivant le souvenir des Journées Mondiales de la Jeunesse qui se sont déroulées au Portugal en août dernier. Tout en remerciant encore une fois les Autorités portugaises, tant civiles que religieuses, pour leur engagement dans l’organisation, je garde dans mon cœur la rencontre avec plus d'un million de jeunes, venus du monde entier, pleins d’enthousiasme et de volonté de vivre. Leur présence a été un grand hymne à la paix et le témoignage que « l’unité est supérieure au conflit »[11] et qu’il est « possible de développer une communion dans les différences ».[12]
À notre époque, une partie du défi éducatif concerne l’utilisation éthique des nouvelles technologies. Celles-ci peuvent facilement devenir des instruments de division ou de diffusion de mensonges, les fake news comme on les appelle, mais elles sont aussi un moyen de rencontres, d’échanges mutuels et un important vecteur de paix. « Les remarquables progrès des nouvelles technologies de l’information, en particulier dans la sphère numérique, présentent des opportunités enthousiasmantes et des risques graves, avec de sérieuses implications pour la poursuite de la justice et de l’harmonie entre les peuples ».[13] C’est pourquoi il m’a semblé important de consacrer le Message de la Journée Mondiale de la Paix annuel à l’intelligence artificielle qui constitue l’un des défis les plus importants des années à venir.
Il est indispensable que le développement technologique se fasse de manière éthique et responsable, en préservant la centralité de la personne humaine dont la contribution ne peut et ne pourra jamais être remplacée par un algorithme ou une machine. « La dignité intrinsèque de chaque personne et la fraternité qui nous lient en tant que membres de l’unique famille humaine doivent rester à la base du développement des nouvelles technologies et servir de critères indiscutables pour les évaluer avant leur utilisation, afin que le progrès numérique se fasse dans le respect de la justice et contribue à la cause de la paix ».[14]
Une réflexion approfondie s’impose donc à tous les niveaux, national et international, politique et social, pour que le développement de l’intelligence artificielle reste au service de l’homme, en favorisant et non en entravant, notamment chez les jeunes, les relations interpersonnelles, un sain esprit de fraternité et une pensée critique capable de discernement.
Dans cette perspective, les deux Conférences Diplomatiques de l’Organisation Mondiale de la Propriété Intellectuelle, qui auront lieu en 2024 et auxquelles le Saint-Siège participera en tant qu’État membre, acquièrent une particulière importance. Pour le Saint-Siège, la propriété intellectuelle est essentiellement orientée vers la promotion du bien commun et ne peut s’affranchir de limitations de nature éthique donnant lieu à des situations d’injustice et d’exploitation indue. Une attention particulière doit également être accordée à la protection du patrimoine génétique humain, en empêchant les pratiques contraires à la dignité de l’homme, telles que le brevetage du matériel biologique humain et le clonage des êtres humains.
Excellences, Mesdames, Messieurs,
l’Église se prépare cette année au Jubilé qui commencera à Noël prochain. Je remercie en particulier les Autorités italiennes, nationales et locales, pour les efforts qu’elles déploient afin de préparer la ville de Rome à accueillir de nombreux pèlerins et leur permettre de tirer des fruits spirituels de la démarche jubilaire.
Aujourd’hui, peut-être plus que jamais, nous avons besoin de l’année jubilaire. Face à tant de souffrances, qui provoquent désespoir non seulement chez les personnes directement touchées mais dans toutes nos sociétés ; face à nos jeunes qui, au lieu de rêver d’un avenir meilleur, se sentent souvent impuissants et frustrés ; et face à l’obscurité de ce monde qui semble se répandre au lieu de reculer, le Jubilé proclame que Dieu n’abandonne jamais son peuple et garde toujours ouvertes les portes de son Royaume. Dans la tradition judéo-chrétienne, le Jubilé est un temps de grâce où l’on fait l’expérience de la miséricorde de Dieu et du don de sa paix. C’est un temps de justice où les péchés sont pardonnés, où la réconciliation l’emporte sur l’injustice et où la terre se repose. Il peut être pour tous – chrétiens et non-chrétiens – le temps de briser les épées pour en faire des charrues ; le temps où une nation ne lèvera plus l’épée contre une autre et où l’on n’apprendra plus l’art de la guerre (cf. Is 2, 4).
C’est le vœu, chers frères et sœurs, le vœu que je forme de tout cœur pour chacun d’entre vous, chers Ambassadeurs, à vos familles, aux collaborateurs et aux peuples que vous représentez.
Merci et bonne année à tous !
_________________________
[1] Radio-message de Noël aux peuples du monde entier (24 décembre 1944).
[2] Const. past. Gaudium et spes (7 décembre 1965), n. 79.
[3] Cf. Benoît XV, Lettre aux chefs des peuples belligérants (1er août 1917).
[4] Cf. Lett. enc. Fratelli tutti (3 octobre 2020), n. 262.
[5] Cf. Exhort. ap. Laudate Deum (4 octobre 2023).
[6] Discours à la Conférence des États parties à la Convention-cadre des Nations Unies sur les changements climatiques (2 décembre 2023).
[7] Ibid.
[8] Discours à la Session conclusive des « Rencontres Méditerranéennes », Marseille, 23 septembre, n. 1.
[9] Message radio de Noël aux peuples du monde entier (24 décembre 1944).
[10] Pie XI, Audience aux dirigeants de la Fédération Universitaire Catholique (18 décembre 1927).
[11] Exhort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), n. 228.
[12] Ibid.
[13] Message pour la 57ème Journée Mondiale de la Paix (8 décembre 2023), n. 1.
[14] Ibid., n. 2.
[00034-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Your Excellencies,
Ladies and Gentlemen,
I am pleased to welcome you this morning and to extend my personal greetings and good wishes for the New Year. In a special way, I thank His Excellency Ambassador George Poulides, Dean of the Diplomatic Corps, for his kind words, which eloquently expressed the concerns of the international community at the beginning of a year that we hope to be one of peace, but has instead dawned amid conflicts and divisions.
Our meeting is a fitting occasion for me to thank you for your efforts to foster good relations between the Holy See and your respective countries. Last year, our “diplomatic family” became even larger, thanks to the establishment of diplomatic relations with the Sultanate of Oman and the appointment of its first Ambassador, here present.
Here I would note that the Holy See has now appointed a resident Papal Representative in Hanoi, following last July’s conclusion of the relative agreement on the status of the Papal Representative. This is a sign of the intent to pursue the process already initiated in a spirit of reciprocal respect and trust, thanks also to frequent contacts on the institutional level and to cooperation with the local Church.
2023 also saw the ratification of the Supplementary Agreement to the 24 September 1998 Agreement between the Holy See and Kazakhstan on mutual relations, which facilitated the presence and work of pastoral agents in that country. The past year also marked the celebration of significant anniversaries: the hundredth anniversary of diplomatic relations with the Republic of Panama, the seventieth anniversary of those with the Islamic Republic of Iran, the sixtieth of those with the Republic of Korea, and the fiftieth of those with Australia.
Dear Ambassadors,
One word in particular resounds in the two principal Christian feasts. We hear it in the song of the angels who proclaimed in the night of the birth of the Saviour, and we hear it again in the greeting of the risen Jesus. That word is “peace”. Peace is primarily a gift of God, for it is he who has left us his peace (cf. Jn 14:27). Yet it is also a responsibility incumbent upon all of us: “Blessed are the peacemakers” (Mt 5:9). To strive for peace. A word so simple, yet so demanding and rich in meaning. Today I would like to concentrate our reflections on peace, at a moment in history when it is increasingly threatened, weakened and in part lost. For that matter, it is the responsibility of the Holy See within the international community to be a prophetic voice and to appeal to consciences.
On Christmas Eve 1944, Pope Pius XII delivered a memorable Radio Message to the peoples of the world. The Second World War was drawing to a close after more than five years of conflict and humanity sensed – in the Pope’s words – “an ever more clear and firm will: to make of this world war, this universal upheaval, the starting point for a new era marked by profound renewal”.[1] Some eighty years later, the impetus for that “profound renewal”, appears to have receded, and our world is witnessing a growing number of conflicts that are slowly turning what I have often called “a third world war fought piecemeal” into a genuine global conflict.
Here, in your presence, I cannot fail to reiterate my deep concern regarding the events taking place in Palestine and Israel. All of us remain shocked by the October 7 attack on the Israeli people, in which great numbers of innocent persons were horribly wounded, tortured, and murdered, and many taken hostage. I renew my condemnation of this act and of every instance of terrorism and extremism. This is not the way to resolve disputes between peoples; those disputes are only aggravated and cause suffering for everyone. Indeed, the attack provoked a strong Israeli military response in Gaza that has led to the death of tens of thousands of Palestinians, mainly civilians, including many young people and children, and has caused an exceptionally grave humanitarian crisis and inconceivable suffering.
To all the parties involved I renew my appeal for a cease-fire on every front, including Lebanon, and the immediate liberation of all the hostages held in Gaza. I ask that the Palestinian people receive humanitarian aid, and that hospitals, schools and places of worship receive all necessary protection.
It is my hope that the international community will pursue with determination the solution of two states, one Israeli and one Palestinian, as well as an internationally guaranteed special status for the City of Jerusalem, so that Israelis and Palestinians may finally live in peace and security.
The present conflict in Gaza further destabilizes a fragile and tension-filled region. In particular, we cannot forget the Syrian people, living in a situation of economic and political instability aggravated by last February’s earthquake. May the international community encourage the parties involved to undertake a constructive and serious dialogue and to seek new solutions, so that the Syrian people need no longer suffer as a result of international sanctions. In addition, I express my profound distress for the millions of Syrian refugees still present in neighbouring countries like Jordan and Lebanon.
I think in a special way of the beloved Lebanese people, and I express my concern for the social and economic situation that they are experiencing. It is my hope that the institutional stalemate that has even further burdened them will be resolved and that the Land of Cedars will soon have a President.
Remaining on the Asian continent, I would also call the attention of the international community to Myanmar, and plead that every effort be made to offer hope to that land and a dignified future to its young, while at the same time not neglecting the humanitarian emergency that the Rohingya continue to experience.
Alongside these complex situations, there are also signs of hope, as I was able to experience in the course of my Journey to Mongolia, to whose authorities I once more express my gratitude for their welcome. I also wish to thank the Hungarian authorities for the hospitality I received during my visit to that country last April. It was a journey into the heart of Europe, rich in history and culture, where I felt the affection of many people, yet sensed the proximity of a conflict that we would have considered unimaginable in the Europe of the twenty-first century.
Sadly, after nearly two years of large-scale war waged by the Russian Federation against Ukraine, the greatly desired peace has not yet managed to take root in minds and hearts, despite the great numbers of victims and the massive destruction. One cannot allow the persistence of a conflict that continues to metastasize, to the detriment of millions of persons; it is necessary to put an end to the present tragedy through negotiations, in respect for international law.
I also express my concern for the tense situation in the South Caucasus between Armenia and Azerbaijan, and I urge the parties to arrive at the signing of a peace treaty. It is urgent that a solution be found to the dramatic humanitarian situation of those living in that region, while favouring the return of refugees to their own homes in legality and security and with respect for the places of worship of the different religious confessions present there. These steps will help contribute to the building of a climate of trust between the two countries, in view of the greatly desired peace.
Turning our gaze to Africa, we are witnessing the suffering of millions of persons as a result of the numerous humanitarian crises that various sub-Saharan countries experience due to international terrorism, complex social political problems, and the devastating effects caused by climate change. Added to these are the effects of the military coups d’état that have occurred in several countries and certain electoral processes marked by corruption, intimidation and violence.
At the same time, I renew my appeal for serious efforts on the part of all engaged in the application of the November 2022 Pretoria Agreement, which put an end to the hostilities in Tigray. Likewise, for the pursuit of specific solutions to the tensions and violence that assail Ethiopia, and for dialogue, peace and stability among the countries of the Horn of Africa.
I would also like to bring up the tragic events in Sudan where sadly after months of civil war no way out is in sight, and the plight of the refugees in Cameroon, Mozambique, the Democratic Republic of the Congo and South Sudan. I had the joy of visiting the latter two countries at the beginning of last year, as a sign of my closeness to their people who are suffering, albeit in different contexts and situations. I express my heartfelt gratitude to the authorities of both countries for their efforts in organizing these visits and for their hospitality. My Journey to South Sudan also had an ecumenical flavour, since I was joined by the Archbishop of Canterbury and the Moderator of the General Assembly of the Church of Scotland, as a sign of the shared commitment of our ecclesial communities to peace and reconciliation.
Although there are no open wars in the Americas, serious tensions exist between several countries, for example Venezuela and Guyana, while in others, such as Peru, we see signs of a polarization that compromises social harmony and weakens democratic institutions.
The situation in Nicaragua remains troubling: a protracted crisis with painful consequences for Nicaraguan society as a whole, and in particular for the Catholic Church. The Holy See continues to encourage a respectful diplomatic dialogue for the benefit of Catholics and the entire population.
Your Excellencies, Ladies and Gentlemen,
Against this backdrop that I have sketched without any pretension to completeness, we find an increasingly lacerated world, but even more, millions of persons – men, women, fathers, mothers, children – whose faces are for the most part unknown to us, and frequently overlooked.
Moreover, modern wars no longer take place only on clearly defined battlefields, nor do they involve soldiers alone. In a context where it appears that the distinction between military and civil targets is no longer respected, there is no conflict that does not end up in some way indiscriminately striking the civilian population. The events in Ukraine and Gaza are clear proof of this. We must not forget that grave violations of international humanitarian law are war crimes, and that it is not sufficient to point them out, but also necessary to prevent them. Consequently, there is a need for greater effort on the part of the international community to defend and implement humanitarian law, which seems to be the only way to ensure the defence of human dignity in situations of warfare.
At the beginning of this year, the exhortation of the Second Vatican Council in Gaudium et Spes seems especially timely: “On the question of warfare, there are various international conventions, signed by many countries, aimed at rendering military action and its consequences less inhuman… These agreements must be honoured; indeed public authorities and specialists in these matters must do all in their power to improve these conventions and thus bring about a better and more effective curbing of the savagery of war”.[2] Even when exercising the right of legitimate defence, it is essential to adhere to a proportionate use of force.
Perhaps we need to realize more clearly that civilian victims are not “collateral damage”, but men and woman, with names and surnames, who lose their lives. They are children who are orphaned and deprived of their future. They are individuals who suffer from hunger, thirst and cold, or are mutilated as an effect of the power of modern explosives. Were we to be able to look each of them in the eye, call them by name, and learn something of their personal history, we would see war for what it is: nothing other than an immense tragedy, a “useless slaughter”,[3] one that offends the dignity of every person on this earth.
Wars, nonetheless, are able to continue thanks to the enormous stock of available weapons. There is need to pursue a policy of disarmament, since it is illusory to think that weapons have deterrent value. The contrary is true: the availability of weapons encourages their use and increases their production. Weapons create mistrust and divert resources. How many lives could be saved with the resources that today are misdirected to weaponry? Would it not be better to invest those resources in the pursuit of genuine global security? The challenges of our time transcend borders, as we see from the variety of crises – of food, the environment, the economy and health care – that have marked the beginning of the century. Here I reiterate my proposal that a global fund be established to finally eliminate hunger[4] and to promote a sustainable development of the entire planet.
Among the threats caused by these instruments of death, I cannot fail to mention those produced by nuclear arsenals and the development of increasingly sophisticated and destructive weapons. Here, I once more affirm the immorality of manufacturing and possessing nuclear weapons. In this regard, I express my hope for the resumption, at the earliest date possible, of negotiations for the restart of the Joint Comprehensive Plan of Action, better known as the “Iran Nuclear Deal,” to ensure a safer future for all.
To pursue peace, however, it is not enough simply to eliminate the implements of war; its root causes must be eradicated. Foremost among these is hunger, a scourge that continues to afflict entire areas of our world while others are marked by massive waste of food. Then there is the exploitation of natural resources, which enriches a few while leaving entire populations, the natural beneficiaries of these resources, in a state of destitution and poverty. Connected to this is the exploitation of people forced to work for low wages and lacking real prospects for professional growth.
The causes of conflict also include natural and environmental disasters. To be sure, there are disasters that human beings cannot control. I think of the recent earthquakes in Morocco and China that resulted in hundreds of victims, as well as the severe earthquake that struck Türkiye and part of Syria, and took a terrible toll of death and destruction. I think too of the flood that struck Derna in Libya, effectively destroying the city, not least because of the simultaneous collapse of two dams.
Yet there are also disasters that are attributable to human activity or neglect and contribute seriously to the current climate crisis, such as the deforestation of the Amazon, the “green lung” of the earth.
The climate and environmental crisis was the topic of the 28th Conference of the Parties to the United Nations Framework Convention on Climate Change (COP28) held last month in Dubai. I regret that I was unable to participate personally. The Conference began in conjunction with the World Meteorological Organization’s announcement that 2023 was the warmest year on record in comparison with the 174 years previous. The climate crisis demands an increasingly urgent response and full involvement on the part of all, including the international community as a whole.[5]
The adoption of the final document at COP28 represents an encouraging step forward; it shows that, in the face of today’s many crises, multilateralism can be renewed through the management of the global climate issue in a world where environmental, social and political problems are closely connected. At COP28, it became clear that the present decade is critical for dealing with climate change. Care for creation and peace “are the most urgent issues and they are closely linked”.[6] For this reason, I express my hope that what was adopted in Dubai will lead to “a decisive acceleration of the ecological transition, through means… [to be] achieved in four sectors: energy efficiency; renewable sources; the elimination of fossil fuels; and education in lifestyles that are less dependent on the latter”.[7]
Wars, poverty, the mistreatment of our common home and the ongoing exploitation of its resources, which lead to natural disasters, also drive thousands of people to leave their homelands in search of a future of peace and security. In journeying, they risk their lives along dangerous routes, like those through the Sahara desert, in the Darién forest on the border between Colombia and Panama in Central America, in the north of Mexico at the border with the United States, and above all on the Mediterranean Sea. Sadly, in the last ten years the Mediterranean has turned into a great cemetery, as tragedies continue to unfold, due also to unscrupulous human traffickers. Let us not forget that the great number of victims include many unaccompanied minors.
The Mediterranean should instead be a laboratory of peace, “a place where different countries and realities can encounter each other on the basis of the humanity we all share”.[8] I wished to emphasize this in Marseille, during my Apostolic Journey for the Rencontres Méditerranéennes, and I am grateful to the organizers and the French authorities for having made that Journey possible. Faced with such an immense tragedy, we can easily end up closing our hearts, entrenching ourselves behind fears of an “invasion.” We are quick to forget that we are dealing with people with faces and names, and we overlook the specific vocation of this, “our sea” (mare nostrum), to be not a tomb but a place of encounter and mutual enrichment between individuals, peoples and cultures. This does not detract from the fact that migration should be regulated, in order to accept, promote, accompany and integrate migrants, while at the same time respecting the culture, sensitivities and security of the peoples that accept responsibility for such acceptance and integration. We need likewise to insist on the right of people to remain in their homeland and the corresponding need to create the conditions for the effective exercise of this right.
In confronting this challenge, no country should be left alone, nor can any country think of addressing the issue in isolation, through more restrictive and repressive legislation adopted at times under pressure of fear or in pursuit of electoral consensus. In this regard, I welcome the commitment of the European Union to seek a common solution through the adoption of the new Pact on Migration and Asylum, while at the same time noting some of its limitations, especially concerning the recognition of the right to asylum and the danger of arbitrary detention.
Dear Ambassadors,
The path to peace calls for respect for life, for every human life, starting with the life of the unborn child in the mother’s womb, which cannot be suppressed or turned into an object of trafficking. In this regard, I deem deplorable the practice of so-called surrogate motherhood, which represents a grave violation of the dignity of the woman and the child, based on the exploitation of situations of the mother’s material needs. A child is always a gift and never the basis of a commercial contract. Consequently, I express my hope for an effort by the international community to prohibit this practice universally. At every moment of its existence, human life must be preserved and defended; yet I note with regret, especially in the West, the continued spread of a culture of death, which in the name of a false compassion discards children, the elderly and the sick.
The path to peace calls for respect for human rights, in accordance with the simple yet clear formulation contained in the Universal Declaration of Human Rights, whose seventy-fifth anniversary we recently celebrated. These principles are self-evident and commonly accepted. Regrettably, in recent decades attempts have been made to introduce new rights that are neither fully consistent with those originally defined nor always acceptable. They have led to instances of ideological colonization, in which gender theory plays a central role; the latter is extremely dangerous since it cancels differences in its claim to make everyone equal. These instances of ideological colonization prove injurious and create divisions between states, rather than fostering peace.
Dialogue, on the other hand, must be the soul of the international community. The current situation is also the result of the weakening of structures of multilateral diplomacy that arose after the Second World War. Organizations established to foster security, peace and cooperation are no longer capable of uniting all their members around one table. There is the risk of a “monadology” and of splitting into “clubs” that only admit states deemed ideologically compatible. Even agencies devoted to the common good and to technical questions, which have thus far proved effective, risk paralysis due to ideological polarization and exploitation by individual states.
In order to relaunch a shared commitment to the service of peace, there is a need to recover the roots, the spirit and the values that gave rise to those organizations, while at the same time taking into account the changed context and showing regard for those who do not feel adequately represented by the structures of international organizations.
To be sure, dialogue requires patience, perseverance and an ability to listen, yet when sincere attempts are made to put an end to disagreements, significant results can be achieved. One example that comes to mind is the Belfast Agreement, also known as the Good Friday Agreement, signed by the British and Irish governments, whose twenty-fifth anniversary was commemorated last year. Putting an end to thirty years of violent conflict, it can serve as an example to motivate and encourage authorities to trust in peace processes, whatever the hardships and sacrifices they entail.
The way to peace is through political and social dialogue, since it is the basis for civil coexistence in a modern political community. 2024 will witness elections being held in many nations. Elections are an essential moment in the life of any country, since they allow all citizens responsibly to choose their leaders. The words of Pope Pius XII remain as timely as ever: “To express one’s own view of the duties and sacrifices imposed on him or her; not to be compelled to obey without first being heard – these are two rights of the citizen which find expression in democracy, as its very name implies. From the stability, harmony and good fruits produced by this contact between the citizens and the government of the state, one may recognize whether a democracy is truly sound and well balanced, and perceive the vigour of its life and development”.[9]
It is important, then, that citizens, especially young people who will be voting for the first time, consider it one of their primary duties to contribute to the advancement of the common good through a free and informed participation in elections. Politics, for its part, should always be understood not as an appropriation of power, but as the “highest form of charity”,[10] and thus of service to one’s neighbour within a local or national community.
The path to peace also passes through interreligious dialogue, which before all else requires the protection of religious freedom and respect for minorities. It is painful to note, for example, that an increasing number of countries are adopting models of centralized control over religious freedom, especially by the massive use of technology. In other places, minority religious communities often find themselves in increasingly precarious situations. In some cases, they risk extinction due to a combination of terrorism, attacks on their cultural heritage and more subtle measures such as the proliferation of anti-conversion laws, the manipulation of electoral rules and financial restrictions.
Of particular concern is the rise in acts of anti-Semitism in recent months. Once again, I would reiterate that this scourge must be eliminated from society, especially through education in fraternity and acceptance of others.
Equally troubling is the increase in persecution and discrimination against Christians, especially over the last ten years. At times, this involves nonviolent but socially significant cases of gradual marginalization and exclusion from political and social life and from the exercise of certain professions, even in traditionally Christian lands. Altogether, more than 360 million Christians around the world are experiencing a high level of discrimination and persecution because of their faith, with more and more of them being forced to flee their homelands.
Finally, the path to peace passes through education, which is the principal means of investing in the future and in young people. I have vivid memories of the celebration of World Youth Day in Portugal last August. As I renew my gratitude to the Portuguese authorities, civil and religious, for their hard work in organizing the event, I continue to treasure that encounter with more than a million young people from all over the world, brimming with enthusiasm and zest for life. Their presence was a great hymn to peace and a testimony to the fact that “unity is greater than conflict”[11] and that it is “possible to build communion amid disagreement”.[12]
In recent times, the challenges faced by educators have come to include the ethical use of new technologies. The latter can easily become a means of spreading division or lies, “fake news”, yet they also serve as a source of encounter and mutual exchange, and an important vehicle for peace. “The remarkable advances in new information technologies, particularly in the digital sphere, thus offer exciting opportunities and grave risks, with serious implications for the pursuit of justice and harmony among peoples”.[13] For this reason, I thought it important to devote this year’s Message for the World Day of Peace to the subject of artificial intelligence, one of the most significant challenges for the years to come.
It is essential that technological development take place in an ethical and responsible way, respecting the centrality of the human person, whose place can never be taken by an algorithm or a machine. “The inherent dignity of each human being and the fraternity that binds us together as members of the one human family must undergird the development of new technologies and serve as indisputable criteria for evaluating them before they are employed, so that digital progress can occur with due respect for justice and contribute to the cause of peace”.[14]
Consequently, careful reflection is required at every level, national and international, political and social, to ensure that the development of artificial intelligence remains at the service of men and women, fostering and not obstructing – especially in the case of young people – interpersonal relations, a healthy spirit of fraternity, critical thinking and a capacity for discernment.
In this regard, the two Diplomatic Conferences of the World Intellectual Property Organization, which will take place in 2024 with the participation of the Holy See as a Member State, will prove particularly important. In the view of the Holy See, intellectual property is essentially directed to the promotion of the common good and cannot be detached from ethical requirements, lest situations of injustice and undue exploitation arise. Special concern must also be shown for the protection of the human genetic patrimony, by prohibiting practices contrary to human dignity, such as the patenting of human biological material and the cloning of human beings.
Your Excellencies, Ladies and Gentlemen,
This year the Church is preparing for the Holy Year that will begin next Christmas. In a particular way, I express my gratitude to the Italian authorities, national and local, for their efforts in preparing the City of Rome to welcome great numbers of pilgrims and to enable them to draw spiritual fruit from their experience of the Jubilee.
Today, perhaps more than ever, we need a Holy Year. Amid many causes of suffering that lead to a sense of hopelessness not only in those directly affected but throughout our societies; amid the difficulties experienced by our young people, who instead of dreaming of a better future often feel helpless and frustrated; and amid the gloom of this world that seems to be spreading rather than receding, the Jubilee is a proclamation that God never abandons his people and constantly keeps open the doors to his Kingdom. In the Judeo-Christian tradition, the Jubilee is a season of grace that enables us to experience God’s mercy and the gift of his peace. It is also a season of righteousness, in which sins are forgiven, reconciliation prevails over injustice, and the earth can be at rest. For everyone – Christians and non-Christians – the Jubilee can be a time when swords are beaten into ploughshares, a time when one nation will no longer lift up sword against another, nor learn war any more (cf. Is 2:4).
Dear brothers and sisters, this is my heartfelt wish for each of you, dear Ambassadors, for your families and colleagues, and for the peoples you represent.
Thank you and a Happy New Year to all of you!
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[1] Christmas Radio Message to the Peoples of the World, 24 December 1944.
[2] Pastoral Constitution Gaudium et Spes on the Church in the Modern World (7 December 1965), 79.
[3] Cf. BENEDICT XV, Letter to the Leaders of the Belligerent Peoples (1 August 1917).
[4] Cf. Encyclical Letter Fratelli Tutti on Fraternity and Social Friendship (3 October 2020), 262.
[5] Cf. Apostolic Exhortation Laudate Deum to All People of Good Will on the Climate Crisis (4 October 2023).
[6] Address to the Conference of the Parties to the United Nations Framework Convention on Climate Change, 2 December 2023.
[7] Ibid.
[8] Address for the Conclusion of the “Rencontres Méditerranéennes”, Marseille, 23 September 2023, 1.
[9] Christmas Radio Message to the Peoples of the World, 24 December 1944.
[10] PIUS XI, Audience to the Leaders of the Catholic University Federation, 18 December 1927.
[11] Apostolic Exhortation Evangelii Gaudium on the Proclamation of the Gospel in today’s World (24 November 2013), 228.
[12] Ibid.
[13] Message for the 2024 World Day of Peace (8 December 2023), 1.
[14] Ibid, 2.
[00034-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Exzellenzen,
meine Damen und Herren!
Ich freue mich, Sie heute Morgen zu empfangen, um Sie persönlich zu begrüßen und Ihnen alles Gute für das neue Jahr zu wünschen. Ich danke insbesondere Seiner Exzellenz, Botschafter George Poulides, dem Dekan des Diplomatischen Korps, für seine freundlichen Worte, die die Sorgen der internationalen Gemeinschaft zu Beginn eines Jahres, das wir uns als ein friedliches wünschen würden und das stattdessen mit Konflikten und Spaltungen beginnt, gut zum Ausdruck bringen.
Ich möchte diese Gelegenheit auch nutzen, um Ihnen für Ihr Engagement bei der Förderung der Beziehungen zwischen dem Heiligen Stuhl und Ihren Ländern zu danken. Im vergangenen Jahr wurde unsere „diplomatische Familie“ durch die Aufnahme diplomatischer Beziehungen mit dem Sultanat Oman und die Ernennung des ersten Botschafters weiter vergrößert, der hier anwesend ist.
Gleichzeitig möchte ich daran erinnern, dass der Heilige Stuhl einen Päpstlichen Vertreter in Hanoi ernannt hat, nachdem das entsprechende Abkommen über den Status des Päpstlichen Vertreters mit Vietnam im Juli letzten Jahres geschlossen wurde. Damit soll der dank der häufigen Beziehungen auf institutioneller Ebene und dank der Zusammenarbeit mit der Ortskirche bisher im Zeichen gegenseitigen Respekts und Vertrauens beschrittene Weg gemeinsam fortgesetzt werden.
2023 wurde auch das Zusatzabkommen zum Abkommen zwischen dem Heiligen Stuhl und Kasachstan über die gegenseitigen Beziehungen vom 24. September 1998 ratifiziert, das die Anwesenheit und Beschäftigung von pastoralen Mitarbeitern im Land erleichtert. Außerdem konnten vier bedeutende Jubiläen gefeiert werden: das 100-jährige Bestehen der diplomatischen Beziehungen mit der Republik Panama, das 70-jährige Bestehen der Beziehungen mit der Islamischen Republik Iran, das 60-jährige Bestehen der Beziehungen mit der Republik Korea und das 50-jährige Bestehen der Beziehungen mit Australien.
Liebe Botschafterinnen und Botschafter,
es gibt ein Wort, das an den beiden wichtigsten christlichen Festen in besonderer Weise erklingt. Wir hören es im Gesang der Engel, die in der Nacht die Geburt des Erlösers verkünden, und wir vernehmen es aus dem Mund des auferstandenen Jesus: Es ist das Wort „Frieden“. Er ist in erster Linie ein Geschenk Gottes. Er ist es, der uns seinen Frieden hinterlässt (vgl. Joh 14,27); aber gleichzeitig liegt er auch in unserer Verantwortung: »Selig, die Frieden stiften« (Mt 5,9). Arbeiten für den Frieden. Ein Wort, das so zerbrechlich und gleichzeitig so anspruchsvoll und bedeutsam ist. Ihm möchte ich unsere heutige Betrachtung widmen, in einem Moment der Geschichte, in dem er zunehmend bedroht, geschwächt und zum Teil verloren ist. Schließlich ist es die Aufgabe des Heiligen Stuhls, innerhalb der internationalen Gemeinschaft eine prophetische Stimme zu sein und an das Gewissen zu appellieren.
An Heiligabend 1944 richtete Pius XII. eine berühmte Radiobotschaft an die Völker der ganzen Welt. Der Zweite Weltkrieg ging nach mehr als fünf Jahren des Konflikts dem Ende entgegen und die Menschheit – so der Papst – verspürte den immer klareren und festeren Willen, »diesen Weltkrieg, diesen allgemeinen Umsturz zum Ausgangspunkt für ein neues Zeitalter, für eine tiefgreifende Erneuerung«[1] zu machen. Achtzig Jahre später scheint der Antrieb für diese „tiefgreifende Erneuerung“ erloschen zu sein, und die Welt wird von immer mehr Konflikten heimgesucht, die das, was ich wiederholt als „dritten Weltkrieg in Stücken“ bezeichnet habe, langsam in einen echten globalen Konflikt verwandeln.
Ich kann an dieser Stelle nicht umhin, erneut meine Besorgnis über die Geschehnisse in Palästina und Israel zum Ausdruck zu bringen. Wir alle waren schockiert über den Terroranschlag gegen die Bevölkerung in Israel am 7. Oktober, bei dem so viele unschuldige Menschen auf grausame Art und Weise verletzt, misshandelt und getötet und viele als Geiseln genommen wurden. Ich wiederhole meine Verurteilung dieser Aktion und aller Formen des Terrorismus und Extremismus: Dadurch werden die Probleme zwischen den Völkern nicht gelöst, sondern vielmehr verschärft, was überall Leid verursacht. Tatsächlich hat dies eine starke militärische Reaktion Israels im Gazastreifen hervorgerufen, die zum Tod von Zehntausenden von Palästinenserinnen und Palästinensern, zumeist Zivilistinnen und Zivilisten, darunter viele Kinder, Jugendliche und junge Menschen, geführt und eine äußerst ernste humanitäre Situation mit unvorstellbarem Leid verursacht hat.
Ich wiederhole meinen Appell an alle beteiligten Parteien für einen Waffenstillstand an allen Fronten, auch im Libanon, und für die sofortige Freilassung aller Geiseln in Gaza. Ich rufe dazu auf, der palästinensischen Bevölkerung humanitäre Hilfe zukommen zu lassen und Krankenhäusern, Schulen und religiösen Stätten jeden notwendigen Schutz zu gewähren.
Ich hoffe, dass die Internationale Gemeinschaft entschlossen die Zwei-Staaten-Lösung, einen israelischen und einen palästinensischen Staat sowie einen international garantierten Sonderstatus für die Stadt Jerusalem, verfolgen wird, damit Israelis und Palästinenser endlich in Frieden und Sicherheit leben können.
Der derzeitige Konflikt in Gaza führt zu einer weiteren Destabilisierung einer fragilen und spannungsgeladenen Region. Insbesondere darf man das syrische Volk nicht vergessen, das in einer wirtschaftlich und politisch instabilen Situation lebt, die durch das Erdbeben im vergangenen Februar noch verschlimmert wurde. Die internationale Gemeinschaft sollte die beteiligten Parteien dazu ermutigen, einen konstruktiven und ernsthaften Dialog zu führen und nach neuen Lösungen zu suchen, damit das syrische Volk nicht länger unter den internationalen Sanktionen leiden muss. Außerdem bringe ich mein Mitgefühl für die Millionen syrischer Flüchtlinge zum Ausdruck, die sich noch immer in den Nachbarländern wie Jordanien und Libanon aufhalten.
Ich denke insbesondere an letzteres und bin besorgt über die soziale und wirtschaftliche Lage, in der sich das geliebte libanesische Volk befindet. Zudem hoffe ich, dass der institutionelle Stillstand, der es noch weiter in die Knie zwingt, aufgelöst wird und dass das Land der Zedern bald einen Präsidenten haben wird.
Bleiben wir auf dem asiatischen Kontinent. Da möchte ich die Aufmerksamkeit der internationalen Gemeinschaft auch auf Myanmar lenken und darum bitten, dass alle Anstrengungen unternommen werden, um diesem Gebiet Hoffnung zu geben und den jungen Generationen eine würdige Zukunft zu ermöglichen, ohne dabei die humanitäre Notlage zu vergessen, von der die Rohingya immer noch betroffen sind.
Neben diesen komplexen Situationen gibt es auch Zeichen der Hoffnung, wie ich während meiner Reise in die Mongolei erfahren durfte, deren Autoritäten ich erneut für die Gastfreundschaft danke, die sie mir gewährt haben. Ebenso möchte ich mich bei den ungarischen Regierungsstellen für ihre Gastfreundschaft während meines Besuchs in diesem Land im vergangenen April bedanken. Es war eine Reise in das Herz Europas, wo man Geschichte und Kultur atmet und wo ich die Herzlichkeit vieler Menschen erlebte, aber auch die Nähe eines Konflikts spürte, den wir im Europa des 21. Jahrhunderts nicht für möglich gehalten hätten.
Leider hat nach fast zwei Jahren des groß angelegten Krieges der Russischen Föderation gegen die Ukraine der ersehnte Frieden immer noch nicht den Weg in die Köpfe und Herzen gefunden, trotz der zahlreichen Opfer und der enormen Zerstörung. Einen Konflikt, der sich zum Nachteil von Millionen von Menschen immer mehr verfestigt, kann man nicht weiter andauern lassen, sondern man muss dieser Tragödie unter Beachtung des Völkerrechts auf dem Verhandlungsweg ein Ende setzen.
Ich bin auch besorgt über die angespannte Situation im Südkaukasus zwischen Armenien und Aserbaidschan und fordere die Parteien auf, zur Unterzeichnung eines Friedensvertrags zu gelangen. Es ist dringend notwendig, eine Lösung für die dramatische humanitäre Situation der Bewohner dieser Region zu finden, die Rückkehr der Vertriebenen in ihre Heimat auf legale und sichere Weise zu ermöglichen und die Andachtsstätten der verschiedenen dort ansässigen Religionsgemeinschaften zu achten. Solche Schritte könnten dazu beitragen, im Hinblick auf den lang ersehnten Frieden ein Klima des Vertrauens zwischen den beiden Ländern zu schaffen.
Wenn wir nun unseren Blick auf Afrika richten, haben wir das Leid von Millionen von Menschen vor Augen, die unter den vielfältigen humanitären Krisen leiden, in denen sich verschiedene Länder südlich der Sahara befinden. Diese sind bedingt durch den internationalen Terrorismus, die komplexen soziopolitischen Probleme und die verheerenden Auswirkungen, die vom Klimawandel hervorgerufen wurden, zu denen noch die Folgen von Militärputschen in einigen Ländern und von bestimmten Wahlprozessen kommen, die von Korruption, Einschüchterung und Gewalt geprägt sind.
Gleichzeitig appelliere ich erneut für ein ernsthaftes Engagement aller Beteiligten bei der Umsetzung des Abkommens von Pretoria vom November 2022, das die Kämpfe in Tigray beendete, und ebenso bei der Suche nach friedlichen Lösungen für die Spannungen und die Gewalt in Äthiopien sowie für den Dialog, den Frieden und Stabilität zwischen den Ländern am Horn von Afrika.
Ich möchte auch an die dramatischen Ereignisse im Sudan erinnern, wo es nach Monaten des Bürgerkriegs leider immer noch keinen Ausweg gibt, sowie an die Situation der Vertriebenen in Kamerun, Mosambik, der Demokratischen Republik Kongo und im Südsudan. Eben diese beiden letztgenannten Länder durfte ich Anfang des vergangenen Jahres besuchen, um den Menschen, die dort in unterschiedlichen Situationen Leid erfahren, ein Zeichen der Nähe zu geben. Ich danke den Behörden beider Länder von Herzen für ihre organisatorischen Bemühungen und für den Empfang, den sie mir bereitet haben. Die Reise in den Südsudan hatte auch einen ökumenischen Charakter, da ich vom Erzbischof von Canterbury und dem Moderator der Generalversammlung der Kirche von Schottland begleitet wurde, was das gemeinsame Engagement unserer kirchlichen Gemeinschaften für Frieden und Versöhnung bezeugt.
Obwohl es auf dem amerikanischen Kontinent keine offenen Kriege gibt, herrschen zwischen einigen Ländern starke Spannungen, z.B. zwischen Venezuela und Guyana, während wir in anderen Ländern, wie z.B. Peru, eine Polarisierung beobachten, die den sozialen Frieden gefährdet und die demokratischen Institutionen schwächt.
Noch immer gibt die Situation in Nicaragua Anlass zur Sorge: eine anhaltende Krise mit schmerzhaften Folgen für die gesamte nicaraguanische Gesellschaft und insbesondere für die katholische Kirche. Der Heilige Stuhl hört nicht auf, zu einem respektvollen diplomatischen Dialog zum Wohle der Katholiken und der gesamten Bevölkerung aufzurufen.
Exzellenzen, meine Damen und Herren,
hinter diesem Bild, das ich kurz und ohne Anspruch auf Vollständigkeit skizzieren wollte, verbirgt sich eine zunehmend zerrissene Welt, aber vor allem Millionen von Menschen – Männer, Frauen, Väter, Mütter, Kinder – deren Gesichter uns meist unbekannt sind und die wir oft vergessen.
Auf der anderen Seite finden moderne Kriege nicht mehr nur auf fest begrenzten Schlachtfeldern statt und sie betreffen auch nicht nur die Soldaten. Wo die Unterscheidung zwischen militärischen und zivilen Zielen nicht mehr beachtet zu werden scheint, gibt es keinen Konflikt, der nicht am Ende auf die ein oder andere Weise unterschiedslos die Zivilbevölkerung in Mitleidenschaft zieht. Die Ereignisse in der Ukraine und im Gazastreifen sind ein klarer Beweis dafür. Wir dürfen nicht vergessen, dass die schweren Verstöße gegen das humanitäre Völkerrecht Kriegsverbrechen sind und dass es nicht ausreicht, sie aufzudecken, sondern dass es notwendig ist, sie zu verhindern. Die internationale Gemeinschaft muss sich daher stärker für den Schutz und die Umsetzung des humanitären Völkerrechts einsetzen, da dies der einzige Weg ist, die Menschenwürde in kriegerischen Konfliktsituationen zu schützen.
Zu Beginn dieses Jahres klingt die Mahnung des Zweiten Vatikanischen Konzils in Gaudium et spes so aktuell wie nie zuvor: »Für den Kriegsfall bestehen verschiedene internationale Konventionen, von einer recht großen Anzahl von Ländern mit dem Ziel unterzeichnet, die Unmenschlichkeit von Kriegshandlungen und -folgen zu mindern. [...] Alle diese Verträge müssen gehalten werden. Außerdem müssen alle, insbesondere die Regierungen und die Sachverständigen, alles tun, um diese Abmachungen nach Möglichkeit zu verbessern und dadurch die Unmenschlichkeiten des Krieges besser und wirksamer einzudämmen.«[2] Auch wenn es sich um die Ausübung des Rechtes auf Notwehr handelt, ist es unverzichtbar, die Verhältnismäßigkeit bei der Gewaltanwendung zu wahren.
Vielleicht ist uns nicht klar, dass zivile Opfer keine „Kollateralschäden“ sind. Es sind Männer und Frauen mit Vor- und Nachnamen, die ihr Leben verlieren. Es sind Kinder, die zu Waisen werden und um ihre Zukunft gebracht werden. Es sind Menschen, die hungern, dürsten und frieren, oder die durch die Wirkung der modernen Waffen verstümmelt werden. Wenn wir jedem einzelnen von ihnen in die Augen schauen, sie beim Namen nennen und ihre persönliche Geschichte erzählen könnten, würden wir den Krieg als das erkennen, was er ist: nichts als eine entsetzliche Tragödie und „ein unnötiges Blutbad“[3], das die Würde jedes Menschen auf dieser Erde verletzt.
Auf der anderen Seite können die Kriege dank der enormen Verfügbarkeit von Waffen weitergeführt werden. Es gilt, eine Abrüstungspolitik zu verfolgen, denn es ist illusorisch zu glauben, dass Rüstung einen abschreckenden Effekt hat. Eher das Gegenteil ist der Fall: Die Verfügbarkeit von Waffen ermutigt zu ihrem Einsatz und steigert ihre Produktion. Waffen schaffen Misstrauen und entziehen Ressourcen. Wie viele Leben könnten mit den Mitteln, die heute für Rüstung ausgegeben werden, gerettet werden? Wäre es nicht besser, sie in eine echte globale Sicherheit zu investieren? Die Herausforderungen unserer Zeit machen nicht an den Grenzen halt, wie die verschiedenen Krisen – Ernährungs-, Umwelt-, Wirtschafts- und Gesundheitskrisen – zeigen, die den Beginn des neuen Jahrhunderts kennzeichnen. An dieser Stelle wiederhole ich den Vorschlag, einen globalen Fonds einzurichten, um endlich den Hunger[4] zu beseitigen und eine nachhaltige Entwicklung des gesamten Planeten zu fördern.
Unter den Bedrohungen, die von solchen Todeswerkzeugen ausgehen, kann ich nicht umhin, die Bedrohung durch Atomwaffenarsenale und die Entwicklung von immer ausgefeilteren und zerstörerischen Sprengkörpern zu erwähnen. Ich wiederhole noch einmal, dass es unmoralisch ist, Atomwaffen herzustellen und zu besitzen. In diesem Zusammenhang bringe ich die Hoffnung zum Ausdruck, dass es baldmöglichst zur Wiederaufnahme der Verhandlungen über die Wiederherstellung des Gemeinsamen umfassenden Aktionsplans, besser bekannt unter dem Namen „Atomabkommen mit dem Iran“, kommt, um eine sicherere Zukunft für alle zu gewährleisten.
Um Frieden zu erreichen, genügt es jedoch nicht, nur die Kriegsmittel zu beseitigen, es müssen auch die Ursachen der Kriege ausgemerzt werden, allen voran der Hunger, eine Geißel, von der noch immer ganze Regionen der Erde betroffen sind, während in anderen Regionen massive Lebensmittelverschwendung herrscht. Dann ist da noch die Ausbeutung natürlicher Ressourcen, die einige wenige reich macht und ganze Bevölkerungsgruppen, die eigentlich die natürlichen Nutznießer dieser Ressourcen wären, in Elend und Armut zurücklässt. Damit verbunden ist die Ausbeutung von Menschen, die gezwungen sind, unterbezahlt und ohne echte Aussichten auf eine berufliche Weiterentwicklung zu arbeiten.
Zu den Ursachen von Konflikten gehören auch Natur- und Umweltkatastrophen. Sicherlich gibt es Katastrophen, die der Mensch nicht kontrollieren kann. Ich denke dabei an die jüngsten Erdbeben in Marokko und China, die Hunderte von Opfern forderten, sowie an das schwere Erdbeben in der Türkei und in Teilen Syriens, das eine schreckliche Spur von Tod und Zerstörung hinterlassen hat. Ich denke auch an die Überschwemmung in Derna in Libyen, die die Stadt praktisch zerstört hat, auch weil gleichzeitig zwei Dämme eingebrochen sind.
Es gibt jedoch auch Katastrophen, die auf das Handeln oder die Versäumnisse von Seiten des Menschen zurückzuführen sind und die erheblich zur aktuellen Klimakrise beitragen, wie etwa die Abholzung des Amazonas-Regenwaldes, der „grünen Lunge“ der Erde.
Die Klima- und Umweltkrise war das Thema der XXVIII. Konferenz der Vertragsparteien des Rahmenübereinkommens der Vereinten Nationen über Klimaänderungen (COP28), die letzten Monat in Dubai stattfand und an der ich leider nicht persönlich teilnehmen konnte. Die Konferenz begann mit der Bekanntgabe der Weltorganisation für Meteorologie, dass 2023 das wärmste Jahr seit Beginn der Aufzeichnungen vor 174 Jahren war. Die Klimakrise erfordert eine immer dringendere Antwort und das volle Engagement aller Menschen und der gesamten internationalen Gemeinschaft[5].
Die Verabschiedung des Abschlussdokuments auf der COP28 ist ein ermutigender Schritt und zeigt, dass es angesichts der vielen Krisen, die wir erleben, eine Chance gibt, den Multilateralismus durch die Behandlung der globalen Klimafrage neu zu beleben, in einer Welt, in der ökologische, soziale und politische Probleme eng miteinander verwoben sind. Auf der COP28 wurde deutlich, dass dieses das entscheidende Jahrzehnt ist, um dem Klimawandel entgegenzutreten. Die Bewahrung der Schöpfung und der Frieden »sind die dringlichsten Probleme und sie sind miteinander verbunden«[6]. Ich hoffe daher, dass das, was in Dubai vereinbart wurde, zu einer »entschiedenen Beschleunigung des ökologischen Wandels führt, und zwar durch Vorgehensweisen, die […] in vier Bereichen umgesetzt werden, nämlich in den Bereichen der Energieeffizienz, der erneuerbaren Energien, des Ausschlusses fossiler Brennstoffe und der Erziehung zu Lebensweisen, die von diesen Brennstoffen weniger abhängig sind«[7].
Die Kriege, die Armut und der Missbrauch unseres gemeinsamen Hauses sowie die kontinuierliche Ausbeutung seiner Ressourcen, die den Naturkatastrophen zugrunde liegen, sind auch die Gründe, die Tausende von Menschen dazu bringen, ihre Heimat auf der Suche nach einer Zukunft in Frieden und Sicherheit zu verlassen. Auf ihrer Reise setzen sie ihr Leben auf gefährlichen Routen aufs Spiel, zum Beispiel in der Wüste Sahara, im Darién Gap an der Grenze zwischen Kolumbien und Panama, in Zentralamerika, im Norden Mexikos, an der Grenze zu den Vereinigten Staaten und vor allem im Mittelmeer. Letzteres ist in den vergangenen zehn Jahren leider zu einem großen Friedhof geworden, auf dem sich immer wieder Tragödien ereignen, die auch auf skrupellose Menschenhändler zurückzuführen sind. Unter den vielen Opfern sind, vergessen wir das nicht, auch viele unbegleitete Minderjährige.
Das Mittelmeer sollte stattdessen eine Werkstatt des Friedens sein, ein Ort, »an dem sich verschiedene Länder und Wirklichkeiten auf der Grundlage unseres gemeinsamen Menschseins […] begegnen«[8], wie ich bei meiner Reise nach Marseille anlässlich der Rencontres Méditerranéennes, für die ich den Organisatoren und den französischen Behörden danke, betont habe. Angesichts dieser ungeheuren Tragödie verschließen wir leicht unser Herz und verschanzen uns hinter der Angst vor einer „Invasion“. Wir vergessen leicht, dass wir es mit Menschen zu tun haben, die Gesichter und Namen haben, und wir ignorieren die eigentliche Berufung des Mare Nostrum, das kein Grab sein soll, sondern ein Ort der Begegnung und der gegenseitigen Bereicherung zwischen Menschen, Völkern und Kulturen. Das ändert nichts an der Tatsache, dass die Migration reguliert werden muss, damit Migranten aufgenommen, gefördert, begleitet und integriert werden können, unter Berücksichtigung der Kultur, des Empfindens und der Sicherheit der Bevölkerungsgruppen, die die Aufnahme und Integration übernehmen. Andererseits muss auch an das Recht erinnert werden, im eigenen Land bleiben zu können, und an die daraus resultierende Notwendigkeit, die Bedingungen dafür zu schaffen, dass dies auch tatsächlich geschehen kann.
Angesichts dieser Herausforderung darf kein Land allein gelassen werden, noch ist es denkbar, das Problem isoliert durch restriktivere und repressivere Gesetze anzugehen, die manchmal unter dem Druck der Angst oder zur Steigerung der Wählergunst verabschiedet werden. Ich begrüße daher das Bestreben der Europäischen Union, mit der Einführung des neuen Migrations- und Asylpakts eine gemeinsame Lösung zu finden, auch wenn ich einige Grenzen dieses Paktes sehe, insbesondere hinsichtlich der Anerkennung des Rechts auf Asyl und der Gefahr willkürlichen Freiheitsentzugs.
Liebe Botschafterinnen und Botschafter,
der Weg des Friedens erfordert die Achtung vor dem Leben, vor jedem menschlichen Leben, angefangen bei dem des ungeborenen Kindes im Mutterleib, das weder beseitigt noch zu einem Objekt der Kommerzialisierung gemacht werden darf. In diesem Zusammenhang halte ich die Praxis der sogenannten Leihmutterschaft für verwerflich, da sie die Würde der Frau und des Kindes schwer verletzt. Sie basiert auf der Ausnutzung der materiellen Notlage der Mutter. Ein Kind ist immer ein Geschenk und niemals ein Vertragsgegenstand. Ich plädiere daher dafür, dass sich die internationale Gemeinschaft für ein weltweites Verbot dieser Praxis einsetzt. Das menschliche Leben muss in jedem Moment seiner Existenz bewahrt und geschützt werden. Gleichzeitig stelle ich mit Bedauern fest, dass sich vor allem im Westen eine Kultur des Todes ausbreitet, die im Namen eines vorgetäuschten Mitleids Kinder, Alte und Kranke aussondert.
Der Weg des Friedens erfordert die Achtung der Menschenrechte, wie sie in der Allgemeinen Erklärung der Menschenrechte, deren 75-jähriges Bestehen wir kürzlich gefeiert haben, einfach und klar formuliert sind. Es handelt sich dabei um rational einleuchtende und allgemein anerkannte Grundsätze. Leider haben die Versuche der letzten Jahrzehnte, neue Rechte einzuführen, die nicht ganz mit den ursprünglich definierten übereinstimmen und nicht immer akzeptabel sind, zu ideologischen Kolonisierungen geführt, unter denen die Gender-Theorie eine zentrale Rolle spielt, die sehr gefährlich ist, weil sie mit ihrem Anspruch, alle gleich zu machen, die Unterschiede auslöscht. Solche ideologischen Kolonisierungen dienen nicht der Schaffung von Frieden, sondern führen vielmehr zu Wunden und Spaltungen zwischen den Staaten.
Der Dialog hingegen muss die Seele der internationalen Gemeinschaft sein. Die aktuelle Situation ist auch auf eine Schwächung der Strukturen der multilateralen Diplomatie zurückzuführen, die nach dem Zweiten Weltkrieg entstanden. Die Organisationen, die zur Förderung von Sicherheit, Frieden und Zusammenarbeit geschaffen wurden, sind nicht mehr in der Lage, alle ihre Mitglieder an einem Tisch zu vereinen. Es besteht die Gefahr einer „Monadologie“ und einer Aufsplitterung in „Clubs“, die nur Staaten akzeptieren, die als ideologisch gleichgesinnt gelten. Selbst bislang gut funktionierenden Organisationen, die sich auf das Gemeinwohl und technische Fragen konzentrieren, droht eine Lähmung durch ideologische Polarisierung, da sie von einzelnen Staaten instrumentalisiert werden.
Um ein gemeinsames Engagement für den Frieden wieder neu zu beleben, müssen wir uns auf die Wurzeln, den Geist und die Werte besinnen, aus denen diese Organisationen entstanden sind. Dabei ist der veränderte Kontext zu berücksichtigen und zugleich müssen auch jene in den Blick genommen werden, die sich durch die Strukturen der internationalen Organisationen nicht angemessen abgebildet fühlen.
Dialog erfordert natürlich Geduld, Beharrlichkeit und die Fähigkeit zuzuhören, aber wenn man einen aufrichtigen Versuch unternimmt, Unstimmigkeiten zu beenden, können bedeutende Ergebnisse erzielt werden. Ich denke da zum Beispiel an das Abkommen von Belfast, auch bekannt als Karfreitagsabkommen, das von der britischen und der irischen Regierung unterzeichnet wurde und dessen 25-jähriges Bestehen letztes Jahr begangen wurde. Es beendete einen dreißigjährigen gewaltsamen Konflikt und kann als Beispiel dienen, um die Verantwortlichen anzuspornen und zu ermutigen, an Friedensprozesse zu glauben, trotz der Schwierigkeiten und Opfer, die sie erfordern.
Der Weg des Friedens führt über einen politischen und gesellschaftlichen Dialog, denn er ist die Grundlage für ein ziviles Zusammenleben in einer modernen politischen Gemeinschaft. Im Jahr 2024 werden in vielen Staaten Wahlen abgehalten. Wahlen sind ein grundlegendes Moment im Leben eines Landes, da sie allen Bürgerinnen und Bürgern die Möglichkeit geben, ihre Regierenden verantwortungsvoll zu wählen. Die Worte von Pius XII. klingen aktueller denn je: »Seine Meinung sagen über die ihm auferlegten Pflichten und Opfer und nicht gezwungen sein zu gehorchen ohne angehört zu werden: das sind zwei Rechte des Bürgers, die in der Demokratie, wie schon ihr Name sagt, ihren Ausdruck finden. Aus der Festigkeit, der Übereinstimmung und den Erfolgen dieser Berührung zwischen Bürgern und Regierung kann man erkennen, ob eine Demokratie gesund und im Gleichgewicht und wie stark ihre Lebenskraft und Entwicklungsfähigkeit ist«[9].
Deshalb ist es wichtig, dass die Bürgerinnen und Bürger, vor allem die jüngeren Generationen, die zum ersten Mal an die Urnen gerufen sind, es als ihre vorrangige Verantwortung empfinden, durch eine freie und bewusste Teilnahme an den Wahlen zum Aufbau des Gemeinwohls beizutragen. Auf der anderen Seite sollte Politik nie als Aneignung von Macht, sondern als »herausragende Form der Nächstenliebe«[10] und damit als Dienst am Nächsten innerhalb einer lokalen oder nationalen Gemeinschaft verstanden werden.
Der Weg des Friedens führt auch über den interreligiösen Dialog, der zuallererst den Schutz der Religionsfreiheit und die Achtung von Minderheiten erfordert. Es schmerzt beispielsweise, dass es immer mehr Länder gibt, wo unter massivem Einsatz von Technik Modelle einer zentralisierten Kontrolle über die Religionsfreiheit zur Anwendung kommen. An anderen Orten befinden sich religiöse Minderheitengemeinschaften oft in einer zunehmend dramatischen Situation. In einigen Fällen sind sie vom Aussterben bedroht, und zwar durch eine Kombination aus terroristischen Aktionen, Angriffen auf das kulturelle Erbe und subtileren Maßnahmen wie der Ausweitung von Anti-Konversionsgesetzen, der Manipulation von Wahlvorschriften und finanziellen Restriktionen.
Besonders besorgniserregend ist die Zunahme antisemitischer Akte in den letzten Monaten, und ich möchte noch einmal betonen, dass dieses Übel aus der Gesellschaft ausgemerzt werden muss, vor allem durch Erziehung zur Geschwisterlichkeit und zur Akzeptanz des Anderen.
Ebenso besorgniserregend ist die Zunahme der Verfolgung und Diskriminierung von Christen, vor allem in den vergangenen zehn Jahren. Dabei geht es – auf zwar unblutige, aber doch gesellschaftlich relevante Weise – nicht selten um eine schleichende Marginalisierung und den Ausschluss vom politischen und sozialen Leben und von der Ausübung bestimmter Berufe selbst in traditionell christlichen Gebieten. Insgesamt erfahren mehr als 360 Millionen Christen weltweit ein hohes Maß an Verfolgung und Diskriminierung aufgrund ihres Glaubens, und immer mehr sind gezwungen, aus ihrer Heimat zu fliehen.
Schließlich führt der Weg des Friedens über die Bildung, die die wichtigste Investition für die Zukunft und die jungen Generationen ist. Ich erinnere mich noch lebhaft an den Weltjugendtag, der im vergangenen August in Portugal stattfand. Ich danke erneut den portugiesischen Autoritäten, sowohl den zivilen als auch den kirchlichen, für ihr Engagement bei der Organisation des Weltjugendtags und behalte die Begegnung mit mehr als einer Million junger Menschen aus der ganzen Welt voller Enthusiasmus und Lebensfreude in meinem Herzen. Ihre Anwesenheit war eine große Hymne auf den Frieden und ein Zeugnis dafür, dass »die Einheit über dem Konflikt steht«[11] und dass es »möglich ist, bei aller Unterschiedlichkeit eine Gemeinschaft zu entwickeln«[12].
In der heutigen Zeit gehört zu den pädagogischen Herausforderungen auch der ethische Umgang mit den neuen Technologien. Sie können leicht zu Instrumenten der Spaltung oder der Verbreitung von Lügen, sogenannten Fake News, werden, aber sie sind auch ein Mittel der Begegnung, des gegenseitigen Austauschs und ein wichtiges Instrument für den Frieden. »Die bemerkenswerten Fortschritte in den neuen Informationstechnologien, insbesondere im digitalen Bereich, bergen daher erstaunliche Möglichkeiten und ernsthafte Risiken, mit schwerwiegenden Auswirkungen auf das Streben nach Gerechtigkeit und Harmonie zwischen den Völkern«[13]. Deshalb hielt ich es für wichtig, die jährliche Botschaft zum Weltfriedenstag der künstlichen Intelligenz zu widmen, die eine der wichtigsten Herausforderungen der kommenden Jahre ist.
Es ist wichtig, dass die technologische Entwicklung auf ethische und verantwortungsvolle Weise erfolgt und die zentrale Stellung des Menschen gewahrt bleibt, dessen Bedeutung niemals durch einen Algorithmus oder eine Maschine ersetzt werden kann und wird. »Die einem jeden Menschen innewohnende Würde und die Geschwisterlichkeit, die uns als Glieder der einen Menschheitsfamilie verbindet, müssen die Grundlage für die Entwicklung neuer Technologien bilden und als unbestreitbare Kriterien für deren Bewertung noch vor ihrem Einsatz dienen, damit der digitale Fortschritt unter Wahrung der Gerechtigkeit stattfinden und zur Sache des Friedens beitragen kann.«[14]
Auf allen Ebenen, national und international, politisch und gesellschaftlich, bedarf es daher sorgfältigen Nachdenkens, damit die Entwicklung der künstlichen Intelligenz auch weiterhin dem Menschen dient und vor allem bei den jungen Menschen die zwischenmenschlichen Beziehungen, einen gesunden Geist der Geschwisterlichkeit und ein kritisches, zur Unterscheidung fähiges Denken fördert und nicht behindert.
In dieser Hinsicht kommt den beiden diplomatischen Konferenzen der Weltorganisation für geistiges Eigentum, die 2024 stattfinden werden und an denen der Heilige Stuhl als Mitgliedstaat teilnehmen wird, besondere Bedeutung zu. Für den Heiligen Stuhl ist das geistige Eigentum wesentlich auf die Förderung des Gemeinwohls ausgerichtet und kann sich nicht von ethischen Beschränkungen lossagen, wo es zu Ungerechtigkeit und unzulässiger Ausbeutung führt. Besondere Aufmerksamkeit muss auch dem Schutz des menschlichen Erbguts gewidmet werden, um Praktiken zu verhindern, die gegen die Menschenwürde verstoßen, wie die Patentierung von menschlichem biologischem Material und das Klonen von Menschen.
Exzellenzen, meine Damen und Herren,
in diesem Jahr bereitet sich die Kirche auf das Heilige Jahr vor, das nächstes Jahr an Weihnachten beginnen wird. Ich danke insbesondere den italienischen Autoritäten, sowohl auf nationaler als auch auf lokaler Ebene, für die Anstrengungen, die sie unternehmen, um die Stadt Rom auf den Empfang zahlreicher Pilger vorzubereiten und ihnen eine geistlich fruchtbare Teilnahme am Heiligen Jahr zu ermöglichen.
Vielleicht brauchen wir das Heilige Jahr heute mehr denn je. Angesichts von so viel Leid, das nicht nur bei den direkt Betroffenen, sondern in allen unseren Gesellschaften Verzweiflung hervorruft; angesichts unserer jungen Menschen, die sich, anstatt von einer besseren Zukunft zu träumen, oft ohnmächtig und entmutigt fühlen; und angesichts der Dunkelheit dieser Welt, die sich eher auszubreiten als zu verringern scheint, ergeht mit dem Jubiläumsjahr die Botschaft, dass Gott sein Volk niemals im Stich lässt und die Türen seines Reiches immer offenhält. In der jüdisch-christlichen Tradition ist das Jubeljahr eine Zeit der Gnade, in der wir Gottes Barmherzigkeit und die Gabe seines Friedens erfahren. Es ist eine Zeit der Gerechtigkeit, in der die Sünden vergeben werden, in der die Versöhnung die Ungerechtigkeit überwindet und in der die Erde zur Ruhe kommt. Es kann für alle – Christen und Nichtchristen gleichermaßen – zu einer Zeit werden, in der die Schwerter zerbrochen und zu Pflugscharen gemacht werden; zu einer Zeit, in der ein Volk nicht mehr das Schwert gegen ein anderes erhebt und die Kunst des Krieges nicht mehr gelernt wird (vgl. Jes 2,4).
Dies ist mein Wunsch, liebe Brüder und Schwestern, mein Herzenswunsch für jeden von Ihnen, liebe Botschafter und Botschafterinnen, für Ihre Familien, für Ihre Mitarbeiter und Mitarbeiterinnen und für die Völker, die Sie repräsentieren. Danke und allen ein gutes neues Jahr!
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[1] Rundfunkbotschaft über Demokratie und Weltfrieden, 24. Dezember 1944
[2] Pastorale Konstitution Gaudium et spes über die Kirche in der Welt von heute (7. Dezember 1965), 79.
[3] Vgl. Benedikt XV., Brief an die Staatsoberhäupter der kriegführenden Völker (1. August 1917).
[4] Vgl. Enzyklika Fratelli tutti über die Geschwisterlichkeit und die soziale Freundschaft (3. Oktober 2020), 262.
[5] Vgl. Apostolisches Schreiben Laudate Deum an alle Menschen guten Willens über die Klimakrise (4. Oktober 2023).
[6] Ansprache bei der Konferenz der Vertragsparteien des Rahmenübereinkommens der Vereinten Nationen über Klimaänderungen, 2. Dezember 2023.
[7] Ebd.
[8] Ansprache bei der Schlusssitzung der «Rencontres Méditerranéennes», Marseille, 23. September 2023, 1.
[9] Vgl. Rundfunkbotschaft über Demokratie und Weltfrieden, 24. Dezember 1944.
[10] Pius XI., Ansprache an die Federazione Universitaria Cattolica Italiana, 18. Dezember 1927.
[11] Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium (24. November 2013), 228.
[12] Vgl. ebd.
[13] Botschaft zum 57. Weltfriedenstag (8. Dezember 2023), 1.
[14] Ebd., 2.
[00034-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Excelencias,
señoras y señores:
Me complace recibirlos esta mañana para saludarlos personalmente y felicitarlos por el nuevo año. Agradezco, de modo particular, a Su Excelencia el Embajador George Poulides, Decano del Cuerpo Diplomático, por sus gentiles palabras que expresan muy bien las preocupaciones de la comunidad internacional al inicio de un año para el que quisiéramos paz y que, sin embargo, comienza bajo el signo de conflictos y divisiones.
La ocasión me es propicia también para agradecerles su compromiso dedicado a favorecer las relaciones entre la Santa Sede y vuestros países. El pasado año, nuestra “familia diplomática” se amplió aún más gracias con el establecimiento de relaciones diplomáticas con el Sultanato de Omán y el nombramiento del primer Embajador, aquí presente.
Al mismo tiempo, deseo recordar que la Santa Sede ha procedido al nombramiento de un Representante Pontificio Residente en Hanói, después de que, en el pasado mes de julio, se concluyó con Vietnam el relativo Acuerdo sobre el estatuto del Representante Pontificio, con el fin de continuar juntos el camino recorrido hasta ahora, bajo el signo del respeto recíproco y de la confianza, gracias a las frecuentes relaciones en el ámbito institucional y a la colaboración de la Iglesia local.
En 2023 se ratificó también el Acuerdo Suplementario al Acuerdo entre la Santa Sede y el Kazajistán sobre las mutuas relaciones del 24 de septiembre de 1998, que agiliza la presencia y el servicio de los agentes pastorales en el país; y ha sido además ocasión para celebrar cuatro significativos aniversarios: el centenario de las relaciones diplomáticas con la República de Panamá, el setenta aniversario de las relaciones con la República Islámica de Irán, el sesenta de las establecidas con la República de Corea y el cincuenta de relaciones con Australia.
Queridos embajadores:
Hay una palabra que resuena en modo particular en las dos principales fiestas cristianas. La oímos en el canto de los ángeles que anunciaban en la noche el nacimiento del Salvador y la escuchamos en la voz de Jesús resucitado. Es la palabra “paz”. La paz es en primer lugar un don de Dios: es Él quien nos deja su paz (cf. Jn 14,27), pero al mismo tiempo es nuestra responsabilidad: «Felices los que trabajan por la paz» (Mt 5,9). Trabajar por la paz. Una palabra tan frágil y a la vez tan comprometedora y densa de significado. A ella quisiera dedicar nuestra reflexión de hoy, en un momento histórico en el cual está cada vez más amenazada, debilitada y en parte perdida. Por otra parte, es tarea de la Santa Sede, en el seno de la comunidad internacional, ser una voz profética y una llamada a la conciencia.
La vigilia de la Navidad de 1944, Pío XII pronunció un célebre Radiomensaje a los pueblos de todo el mundo. La segunda guerra mundial se acercaba a su fin, después de más de cinco años de conflicto y la humanidad ―decía el Pontífice― sentía «una voluntad cada día más clara y firme surge en una falange, cada vez mayor, de nobles espíritus: hacer de esta guerra mundial, de este universal desbarajuste el punto de partida de una era nueva, para la renovación profunda»[1]. Ochenta años después, el empuje de aquella “renovación profunda” parece haberse acabado y el mundo está siendo atravesado por un creciente número de conflictos que lentamente transforman lo que he definido muchas veces como “tercera guerra mundial a pedazos” en un verdadero y propio conflicto global.
No puedo en esta sede no reafirmar mi preocupación por lo que está sucediendo en Palestina e Israel. Todos nos hemos quedado conmocionados por el ataque terrorista contra la población de Israel del pasado 7 de octubre, en el que fueron heridos, torturados y asesinados de manera atroz tantos inocentes y en que muchos otros fueron tomados como rehenes. Repito mi condena por esa acción y por cualquier forma de terrorismo y extremismo. No es este el modo en el que se pueden resolver las controversias entre los pueblos, es más las hacen más difíciles, causando sufrimiento a todos. De hecho, lo que provocó fue una fuerte respuesta militar israelí en Gaza que ha traído la muerte de decenas de miles de palestinos, en su mayoría civiles, entre ellos muchos niños, adolescentes y jóvenes, y ha provocado una situación humanitaria gravísima con sufrimientos inimaginables.
Reitero mi llamamiento a todas las partes implicadas para que acuerden un alto el fuego sobre todos los frentes, incluso en el Líbano, y para la inmediata liberación de todos los rehenes en Gaza. Pido que la población palestina reciba las ayudas humanitarias y que los hospitales, las escuelas y los lugares de culto cuenten con toda la protección necesaria.
Confío en que la Comunidad internacional promueva con determinación la solución de dos Estados, uno israelí y uno palestino, así como también un estatuto especial internacionalmente garantizado para la Ciudad de Jerusalén, de modo que israelíes y palestinos puedan por fin vivir en paz y con seguridad.
El actual conflicto en Gaza desestabiliza ulteriormente una región frágil y cargada de tensiones. En particular, no se ha de olvidar al pueblo sirio, que vive en la inestabilidad económica y política, agravada por el terremoto del pasado mes de febrero. Que la Comunidad internacional anime a las partes implicadas a emprender un diálogo constructivo y serio y a buscar soluciones nuevas para que el pueblo sirio no tenga que seguir sufriendo a causa de las sanciones internacionales. Además, expreso mi sufrimiento por los millones de refugiados sirios que todavía se encuentran en países limítrofes, como Jordania o Líbano.
A este último dirijo un pensamiento particular, expresando preocupación por la situación social y económica en la que está sumida el querido pueblo libanés, con la esperanza de que el estancamiento institucional que lo está postrando todavía más se resuelva y el país de los cedros tenga pronto un presidente.
Continuando con el continente asiático, deseo llamar la atención de la Comunidad internacional también sobre Myanmar, pidiendo que se haga todo lo posible para dar esperanza a aquella tierra y un futuro digno a las jóvenes generaciones, sin olvidar la emergencia humanitaria que todavía golpea a los rohinyás.
Junto a estas situaciones complejas, no faltan signos de esperanza, que he podido experimentar durante mi viaje a Mongolia, a cuyas autoridades renuevo mi gratitud por la acogida que me dispensaron. Del mismo modo, deseo agradecer a las autoridades húngaras por la hospitalidad durante mi visita al país el pasado mes de abril. Fue un viaje al corazón de Europa, donde se respiran historia y cultura y donde experimenté el calor de muchas personas, pero también percibí la proximidad de un conflicto que no habríamos imaginado posible en la Europa del siglo XXI.
Por desgracia, tras los casi dos años de guerra a gran escala de la Federación Rusa contra Ucrania, la deseada paz no ha logrado todavía encontrar sitio en las mentes y en los corazones, a pesar de las numerosísimas víctimas y la enorme destrucción. No se puede dejar que se prolongue un conflicto que se va gangrenando cada vez más, en perjuicio de millones de personas, sino que es necesario que se ponga fin a la tragedia en curso a través de las negociaciones, respetando el derecho internacional.
Expreso preocupación también por la tensa situación en el Cáucaso meridional entre Armenia y Azerbaiyán, exhortando a las partes a llegar a la firma de un tratado de paz. Es urgente encontrar una solución a la dramática situación humanitaria de los habitantes de aquella región, favorecer el regreso de los desplazados a sus hogares de forma legal y segura, así como respetar los lugares de culto de las distintas confesiones religiosas presentes en la zona. Estos pasos podrán contribuir a la creación de un clima de confianza entre los dos países en vista de la tan deseada paz.
Si volvemos ahora nuestra mirada a África, tenemos delante de nuestros ojos el sufrimiento de millones de personas debido a las múltiples crisis humanitarias que afectan a varios países sub-saharianos, a causa del terrorismo internacional, de los complejos problemas socio-políticos, y de los efectos devastadores provocados por el cambio climático, a los que se añaden las consecuencias de los golpes de estado militares acecidos en algunos países y de determinados procesos electorales caracterizados por la corrupción, la intimidación y la violencia.
Al mismo tiempo, renuevo mi llamada a un serio compromiso por parte de todos los sujetos implicados en la aplicación del Acuerdo de Pretoria de noviembre de 2022, que puso fin a los combates en la región de Tigray, y a la búsqueda de soluciones pacíficas a las tensiones y a las violencias que agobian a Etiopía; así como para el diálogo, la paz y la estabilidad entre los países del Cuerno de África.
Quisiera también recordar los dramáticos acontecimientos en Sudán donde desgraciadamente, después de meses de guerra civil, no se ve todavía una salida; así como las situaciones de los desplazados en Camerún, Mozambique, República Democrática del Congo y Sudán del Sur. Precisamente tuve la alegría de visitar estos dos últimos países al comienzo del pasado año, para llevar una señal de cercanía a sus poblaciones que sufren, aunque en contextos y situaciones distintas. Agradezco de corazón a las autoridades de ambos países por el compromiso organizativo y por la acogida que me dispensaron. El viaje a Sudán del Sur tuvo un carácter ecuménico, pues fui acompañado por el Arzobispo de Canterbuy y por el Moderador de la Asamblea general de la Iglesia de Escocia, como testimonio del compromiso que nuestras comunidades eclesiales comparten por la paz y la reconciliación.
Si bien no hay guerras abiertas en las Américas, existen fuertes tensiones entre algunos países, por ejemplo entre Venezuela y Guayana, mientras que en otros, como Perú, observamos fenómenos de polarización que socavan la armonía social y debilitan las instituciones democráticas.
Sigue siendo preocupante también la situación de Nicaragua; es una crisis que se prolonga desde hace tiempo con dolorosas consecuencias para toda la sociedad nicaragüense, en particular para la Iglesia católica. La Santa Sede no cesa de invitar a un diálogo diplomático respetuoso del bien de los católicos y de toda la población.
Excelencias, señoras y señores:
Detrás de este cuadro que he querido esbozar brevemente y sin pretensión de ser exhaustivo, se encuentra un mundo cada vez más desgarrado, pero sobre todo se encuentran millones de personas —hombres, mujeres, padres, madres, niños— cuyos rostros nos son por lo general desconocidos y que con frecuencia olvidamos.
Por otra parte, las guerras modernas ya no se desarrollan sólo en los campos de batalla delimitados, ni afectan solamente a los soldados. En un contexto en el que ya no parece observarse una distinción entre los objetivos militares y civiles, no hay conflicto que no termine de algún modo por golpear indiscriminadamente a la población civil. Los sucesos de Ucrania y Gaza son una prueba evidente de esto. No debemos olvidarnos de que las violaciones graves del derecho internacional humanitario son crímenes de guerra, y que no es suficiente con evidenciarlos, sino es necesario prevenirlos. Se requiere, por tanto, un mayor compromiso de la Comunidad internacional por la salvaguardia y la implementación del derecho humanitario, que parece ser el único camino para la tutela de la dignidad humana en situaciones de enfrentamiento bélico.
En este comienzo de año resuena con toda su actualidad la exhortación del Concilio Vaticano II, en la Gaudium et spes: «Existen sobre la guerra y sus problemas varios tratados internacionales, suscritos por muchas naciones, para que las operaciones militares y sus consecuencias sean menos inhumanas […]. Hay que cumplir estos tratados; es más, están obligados todos, especialmente las autoridades públicas y los técnicos en estas materias, a procurar cuanto puedan su perfeccionamiento, para que así se consiga mejor y más eficazmente atenuar la crueldad de las guerras».[2] Incluso cuando se trata de ejercer el derecho a la legítima defensa, es esencial atenerse a un uso proporcionado de la fuerza.
Puede que no caigamos en la cuenta de que las víctimas civiles no son “daños colaterales”; son hombres y mujeres con nombres y apellidos que pierden la vida. Son niños que quedan huérfanos y privados de un futuro. Son personas que sufren el hambre, la sed y el frío o que quedan mutiladas a causa de la potencia de las armas modernas. Si fuésemos capaces de mirar a cada uno de ellos a los ojos, de llamarlos por su nombre y de evocar su historia personal, miraríamos la guerra por lo que es: tan sólo una inmensa tragedia y “una inútil masacre”[3], que golpea la dignidad de cada persona sobre esta tierra.
Por otra parte, las guerras pueden proseguir gracias a la enorme disponibilidad de armas. Es necesario aplicar una política de desarme, porque es ilusorio pensar que los armamentos tienen un valor disuasorio. Más bien ocurre lo contrario; la disponibilidad de armas incentiva su uso e incrementa su producción. Las armas crean desconfianza y desvían recursos. ¿Cuántas vidas se podrían salvar con los recursos que hoy se destinan a los armamentos? ¿No sería mejor invertir en favor de una verdadera seguridad global? Los desafíos de nuestro tiempo trascienden las fronteras, como demuestran las varias crisis que caracterizan el inicio del siglo: alimentaria, ambiental, económica y sanitaria. En esta sede, reitero la propuesta de constituir un Fondo mundial para eliminar de una vez por todas el hambre[4] y promover un desarrollo sostenible para todo el planeta.
Entre las amenazas causadas por tales instrumentos de muerte, no puedo dejar de mencionar la que provocan los arsenales nucleares y el desarrollo de artefactos cada vez más sofisticados y destructivos. Reitero una vez más la inmoralidad de fabricar y poseer armas nucleares. A este respecto, expreso la esperanza de que se puedan retomar lo antes posible las negociaciones para la reanudación del Plan de Acción Integral Conjunto¸ mejor conocido como “Acuerdo sobre el programa nuclear de Irán”, para garantizar un futuro más seguro para todos.
Sin embargo, para conseguir la paz, no es suficiente eliminar los instrumentos bélicos, es necesario extirpar de raíz las causas de las guerras, la primera de todas es el hambre, una plaga que golpea todavía hoy zonas enteras de la tierra, mientras que en otras se verifica un considerable desperdicio de alimentos. Está además la explotación de los recursos naturales, que enriquece a unos pocos, dejando en la miseria y en la pobreza a poblaciones enteras, que serían las beneficiarias naturales de esos recursos. A esta causa se puede conectar en cierto modo la explotación de las personas, obligadas a trabajar mal pagadas y sin perspectivas reales de un crecimiento profesional.
Entre las causas de conflicto están también las catástrofes naturales y ambientales. Ciertamente hay desastres que la mano del hombre no puede controlar. Pienso en los recientes terremotos en Marruecos y China, que han causados centenares de víctimas, como también al que ha golpeado duramente a Turquía y parte de Siria, dejando tras de sí una tremenda estela de muerte y destrucción. Pienso también al aluvión que golpeó a Derna en Libia, destruyendo de hecho la ciudad, también a causa del derrumbe simultaneo de dos presas.
Hay, sin embargo, desastres que también son atribuibles a la acción o la negligencia humanas y que contribuyen gravemente a la actual crisis climática, como la deforestación de la Amazonia, que es el “pulmón verde” de la tierra.
La crisis climática y medioambiental ha sido el tema de la XXVIII Conferencia de los Estados Partes en la Convención Marco de las Naciones Unidas sobre el Cambio Climático (COP28), celebrada en Dubái el mes pasado, a la que lamento no haber podido asistir personalmente. Esa comenzó coincidiendo con el anuncio de la Organización Meteorológica Mundial de que 2023 fue el año más caluroso jamás registrado, en comparación con los 174 años anteriores. La crisis climática exige una respuesta cada vez más urgente y requiere la plena implicación de todos, así como de toda la comunidad internacional[5].
La adopción del documento final en la COP28 representa un paso estimulante y revela que, frente a las múltiples crisis que estamos viviendo, existe la posibilidad de revitalizar el multilateralismo a través de la gestión de la cuestión climática global, en un mundo en el que los problemas medioambientales, sociales y políticos están estrechamente entrelazados. En la COP28 ha quedado claro que la década actual es la decisiva para hacer frente al cambio climático. El cuidado de la creación y la paz «son los problemas más acuciantes y están interrelacionados»[6]. Espero, por tanto, que lo acordado en Dubái conduzca a «una aceleración decisiva hacia la transición ecológica, por medio de formas que […] se realicen en cuatro campos: la eficiencia energética, las fuentes renovables, la eliminación de los combustibles fósiles y la educación a estilos de vida menos dependientes de estos últimos»[7].
Las guerras, la pobreza, el abuso de nuestra casa común y la continua explotación de sus recursos, que están en el origen de los desastres naturales, son también causas que empujan a miles de personas a abandonar su patria en busca de un futuro de paz y seguridad. En su viaje ponen en riesgo sus vidas debido a rutas peligrosas, como en el desierto del Sahara, en la selva del Darién, en la frontera entre Colombia y Panamá; en Centroamérica, en el norte de México, frontera con Estados Unidos y, sobre todo, en el Mar Mediterráneo.
Lamentablemente, esta última ruta se ha convertido en un gran cementerio en la última década, con tragedias que se siguen produciendo, también a causa de traficantes de seres humanos sin escrúpulos. Entre las numerosas víctimas, no lo olvidemos, hay muchos menores no acompañados.
El Mediterráneo debería ser más bien un laboratorio de paz, un «lugar donde países y realidades diferentes se encuentren sobre la base de la común humanidad que todos compartimos »[8], como he podido señalar en Marsella, durante mi viaje —por el que doy las gracias a los organizadores y a las autoridades francesas, con ocasión de los Rencontres Méditerranéennes—. Ante esta ingente tragedia fácilmente acabamos cerrando nuestros corazones, atrincherándonos tras el miedo a una “invasión”. Olvidamos fácilmente que se trata de personas con rostros y nombres y pasamos por alto la vocación del Mare Nostrum, que es la de ser un lugar de encuentro y enriquecimiento mutuo entre personas, pueblos y culturas. Esto no quita que la migración tenga que ser reglamentada para acoger, promover, acompañar e integrar a los migrantes, en el respeto a la cultura, la sensibilidad y la seguridad de las poblaciones que se encargan de la acogida y la integración. Por otra parte, también es necesario recordar el derecho a poder permanecer en la propia patria y la consiguiente necesidad de crear las condiciones para que ese derecho se pueda realmente poner en práctica.
Ante este reto, ningún país puede quedarse solo y ninguno puede pensar en abordar la cuestión de forma aislada mediante una legislación más restrictiva y represiva, aprobada a veces bajo la presión del miedo o en busca de un consenso electoral. Por ello, acojo con satisfacción el compromiso de la Unión Europea de buscar una solución común mediante la adopción del nuevo Pacto sobre la Migración y el Asilo, aunque señalando algunas de sus limitaciones, especialmente en lo que se refiere al reconocimiento del derecho de asilo y al peligro de detención arbitraria.
Queridos Embajadores
El camino hacia la paz exige el respeto de la vida, de toda vida humana, empezando por la del niño no nacido en el seno materno, que no puede ser suprimida ni convertirse en un producto comercial. En este sentido, considero deplorable la práctica de la llamada maternidad subrogada, que ofende gravemente la dignidad de la mujer y del niño; y se basa en la explotación de la situación de necesidad material de la madre. Un hijo es siempre un don y nunca el objeto de un contrato. Por ello, hago un llamamiento para que la Comunidad internacional se comprometa a prohibir universalmente esta práctica. En cada momento de su existencia, la vida humana debe ser preservada y tutelada, aunque constato, con pesar, especialmente en Occidente, la persistente difusión de una cultura de la muerte que, en nombre de una falsa compasión, descarta a los niños, los ancianos y los enfermos.
El camino hacia la paz exige el respeto de los derechos humanos, según la sencilla pero clara formulación contenida en la Declaración Universal de los Derechos Humanos, cuyo 75 aniversario hemos celebrado recientemente. Se trata de principios racionalmente evidentes y comúnmente aceptados. Desgraciadamente, los intentos que se han producido en las últimas décadas de introducir nuevos derechos, no del todo compatibles respecto a los definidos originalmente y no siempre aceptables, han dado lugar a colonizaciones ideológicas, entre las que ocupa un lugar central la teoría de género, que es extremadamente peligrosa porque borra las diferencias en su pretensión de igualar a todos. Tales colonizaciones ideológicas provocan heridas y divisiones entre los Estados, en lugar de favorecer la construcción de la paz.
El diálogo, por su parte, debe ser el alma de la comunidad internacional. La situación actual se debe también al debilitamiento de las estructuras de la diplomacia multilateral que surgieron tras la Segunda Guerra Mundial. Esos Organismos que fueron creados para fomentar la seguridad, la paz y la cooperación ya no logran reunir a todos sus miembros en torno a una misma mesa. Existe el riesgo de una “monadología” y de la fragmentación en clubes que sólo admiten a los Estados considerados ideológicamente afines. Incluso aquellos organismos, hasta ahora eficaces, centrados en el bien común y en cuestiones técnicas, corren el riesgo de paralizarse debido a polarizaciones ideológicas al ser instrumentalizados por algunos Estados.
Para relanzar un compromiso común al servicio de la paz, es necesario recuperar las raíces, el espíritu y los valores que dieron origen a esos organismos, teniendo en cuenta al mismo tiempo el nuevo contexto y prestando la debida atención a quienes no se sienten adecuadamente representados por las estructuras de las Organizaciones internacionales.
Por supuesto, el diálogo requiere paciencia, perseverancia y capacidad de escucha, sin embargo, cuando se hace un intento sincero de poner fin a la discordia, pueden lograrse resultados significativos. Pienso, por ejemplo, en el Acuerdo de Belfast, conocido también como Acuerdo del Viernes Santo, firmado por los gobiernos británico e irlandés, cuyo 25 aniversario se conmemoró el año pasado. Ese poner fin a treinta años de conflicto violento, puede tomarse como ejemplo para incitar y estimular a las autoridades a creer en los procesos de paz, a pesar de las dificultades y sacrificios que exigen.
El camino hacia la paz pasa por el diálogo político y social, pues es la base de la convivencia civil en una comunidad política moderna. En el año 2024 se convocarán elecciones en muchos Estados. Las elecciones son un momento fundamental en la vida de un país, pues permiten a todos los ciudadanos elegir responsablemente a sus gobernantes. Las palabras de Pío XII resuenan hoy más que nunca: «Manifestar su parecer sobre los deberes y los sacrificios que se le imponen; no verse obligado a obedecer sin haber sido oído: he ahí dos derechos del ciudadano que encuentran en la democracia, como lo indica su mismo nombre, su expresión. Por la solidez, armonía y buenos frutos de este contacto entre los ciudadanos y el gobierno del Estado se puede reconocer si una democracia es verdaderamente sana y equilibrada, y cual es su fuerza de vida y de desarrollo»[9].
Por ello, es importante que los ciudadanos, especialmente las generaciones más jóvenes que serán llamadas a las urnas por primera vez, sientan que es su principal responsabilidad contribuir a la construcción del bien común, mediante la participación libre e informada en las votaciones. Por otra parte, la política debe entenderse siempre no como la apropiación del poder, sino como la «forma más elevada de caridad»[10] y, por tanto, de servicio al prójimo dentro de una comunidad local y nacional.
El camino hacia la paz pasa también por el diálogo interreligioso, que exige ante todo la protección de la libertad religiosa y el respeto de las minorías. Nos duele, por ejemplo, constatar que cada vez más países adoptan modelos de control centralizado de la libertad religiosa, con el uso masivo de la tecnología. En otros lugares, las comunidades religiosas minoritarias se encuentran a menudo en una situación cada vez más dramática. En algunos casos corren peligro de extinción, debido a una combinación de acciones terroristas, atentados contra el patrimonio cultural y medidas más solapadas, como la proliferación de leyes anticonversión, la manipulación de las normas electorales y las restricciones financieras.
Particularmente preocupante es el aumento de actos de antisemitismo que se han verificado en los últimos meses; y quiero reiterar una vez más que esta lacra debe ser erradicada de la sociedad, sobre todo con la educación en la fraternidad y la aceptación del otro.
Es igualmente preocupante el aumento de la persecución y discriminación contra los cristianos, sobre todo en la última década. No pocas veces se trata, aunque sea de manera incruenta, pero de forma socialmente relevante, de esos fenómenos de lenta marginación y exclusión de la vida política y social y del ejercicio de ciertas profesiones que se dan incluso en tierras tradicionalmente cristianas. En total, más de 360 millones de cristianos en todo el mundo sufren un alto grado de persecución y discriminación a causa de su fe, y son cada vez más aquellos que se ven obligados a huir de sus países de origen.
Por último, el camino hacia la paz pasa por la educación que es la principal inversión en el futuro y en las jóvenes generaciones. Aún guardo vivos recuerdos de la Jornada Mundial de la Juventud celebrada en Portugal, el pasado mes de agosto. Al tiempo que agradezco una vez más a las autoridades portuguesas, tanto civiles como religiosas, sus esfuerzos para organizarla, conservo en mi corazón el encuentro con más de un millón de jóvenes, procedentes de todo el mundo, llenos de entusiasmo y de ganas de vivir. Su presencia fue un gran himno a la paz y un testimonio de que «la unidad es superior al conflicto»[11] y que es «posible desarrollar una comunión en las diferencias»[12].
En los tiempos modernos, parte del reto educativo se refiere al uso ético de las nuevas tecnologías. Estas pueden convertirse fácilmente en instrumentos de división o de difusión de mentiras, como las llamadas fake news; pero también son un medio de encuentro, de intercambio mutuo y un importante vehículo para la paz. «Los notables progresos de las nuevas tecnologías de la información, especialmente en la esfera digital, presentan, por tanto, interesantes oportunidades y graves riesgos, con serias implicaciones para la búsqueda de la justicia y de la armonía entre los pueblos»[13]. Por eso me ha parecido importante dedicar el Mensaje anual de la Jornada Mundial de la Paz a la inteligencia artificial, que es uno de los retos más importantes de los próximos años.
Es esencial que el desarrollo tecnológico se lleve a cabo de manera ética y responsable, preservando la centralidad de la persona humana, cuya contribución no puede ser ni será nunca sustituida por un algoritmo o una máquina. «La dignidad intrínseca de cada persona y la fraternidad que nos une como miembros de la única familia humana deben sustentar el desarrollo de las nuevas tecnologías y servir de criterios incuestionables para evaluarlas antes de su uso, de modo que el progreso digital pueda tener lugar respetando la justicia y contribuyendo a la causa de la paz»[14].
Se impone, pues, una atenta reflexión a todos los niveles, nacional e internacional, político y social, para que el desarrollo de la inteligencia artificial permanezca al servicio del hombre, fomentando y no obstaculizando —sobre todo en los jóvenes— las relaciones interpersonales, un sano espíritu de fraternidad y un pensamiento crítico capaz de discernimiento.
En esta perspectiva, adquieren especial relevancia las dos Conferencias Diplomáticas de la Organización Mundial de la Propiedad Intelectual, que tendrán lugar en 2024 y en las que la Santa Sede participará como Estado miembro. Para la Santa Sede, la propiedad intelectual está orientada fundamentalmente a la promoción del bien común y no puede desvincularse de las limitaciones éticas pues ello conduciría a situaciones de injusticia y de explotación indebida. También debe prestarse especial atención a la protección del patrimonio genético humano, impidiendo que se realicen prácticas contrarias a la dignidad humana, como la patentabilidad de material biológico humano y la clonación de seres humanos.
Excelencias, señoras y señores
En este año la Iglesia se prepara para el Jubileo que comenzará la próxima Navidad. Agradezco en particular a las Autoridades italianas, tanto nacionales como locales, los esfuerzos que están realizando para preparar la ciudad de Roma a fin de acoger a numerosos peregrinos y permitirles sacar frutos espirituales del camino jubilar.
Quizá hoy más que nunca necesitemos el año jubilar. Frente a tantos sufrimientos, que provocan desesperación no sólo en las personas directamente afectadas, sino en todas nuestras sociedades, frente a nuestros jóvenes, que en lugar de soñar con un futuro mejor a menudo se sienten impotentes y frustrados; y frente a los nubarrones que, en lugar de retroceder, parecen cernirse sobre el mundo, el Jubileo es el anuncio de que Dios nunca abandona a su pueblo y siempre mantiene abiertas las puertas de su Reino. En la tradición judeocristiana, el Jubileo es un tiempo de gracia en el que se experimenta la misericordia de Dios y el don de su paz. Es un tiempo de justicia en el que los pecados son perdonados, la reconciliación supera la injusticia y la tierra reposa. Puede ser para todos —cristianos y no cristianos— el tiempo en que se rompan las espadas y de ellas se hagan los arados; el tiempo en que una nación ya no levante la espada contra otra, ni se aprenda el arte de la guerra (Cf. Is 2,4).
Este es mi más sincero deseo, queridos hermanos y hermanas, el deseo que expreso de todo corazón a cada uno de ustedes, queridos Embajadores, a sus familias, a sus colaboradores y a los pueblos que ustedes representan.
¡Gracias y Feliz Año Nuevo a todos!
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[1] Radiomensaje “Benignitas et Humanitas” en la víspera de Navidad (24 diciembre 1944).
[2] Constitución pastoral «Gaudium et spes» sobre la Iglesia en el mundo actual (7 diciembre 1965), 79.
[3] Cf. Benedicto XV, Carta a los jefes de los pueblos beligerantes (1 agosto 1917).
[4] Cf. Carta enc. «Fratelli tutti» sobre la fraternidad y la amistad social (3 octubre 2020), 262.
[5] Cf. Exhort. Ap. Laudate Deum (4 octubre 2023).
[6]Discurso a la Conferencia de las Partes en la Convención Marco de las Naciones Unidas sobre el Cambio Climático, Dubái (2 diciembre 2023).
[7] Ibíd.
[8] Discurso para la Sesión conclusiva de los “Encuentros del Mediterráneo”, Marsella (23 septiembre 2023).
[9] Radiomensaje “Benignitas et Humanitas” en la víspera de Navidad, (24 diciembre 1944).
[10] Pio XI, Udienza ai dirigenti della Federazione Universitaria Cattolica (18 dicembre 1927).
[11] Exhort. ap. Evangelii gaudium (24 noviembre 2013), 228, 215: AAS 105 (2013), 1113.
[12] Ibíd.
[13] Mensaje para la LVII Jornada Mundial de la Paz (8 diciembre 2023), 1.
[14] Ibíd., 2
[00034-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Excelências,
Senhoras e Senhores,
Com prazer, vos recebo esta manhã para vos saudar pessoalmente e formular bons votos para o novo ano. De modo particular agradeço a Sua Excelência o Embaixador George Poulides, Decano do Corpo Diplomático, pelas suas amáveis palavras que bem exprimem as preocupações da comunidade internacional no início dum ano que queríamos fosse de paz e, em vez disso, abre-se marcado por conflitos e divisões.
Aproveito a ocasião também para vos agradecer o empenho colocado na promoção das relações entre a Santa Sé e os vossos países. No ano passado, a nossa «família diplomática» aumentou ainda mais graças ao estabelecimento das relações diplomáticas com o Sultanato de Omã e a nomeação do primeiro Embaixador, aqui presente.
Ao mesmo tempo, desejo recordar que a Santa Sé procedeu à nomeação dum Representante Pontifício residente em Ha Noi, depois de se ter concluído com o Vietname, em julho passado, o relativo Acordo sobre o estatuto do Representante Pontifício. Fê-lo para continuarmos juntos o caminho percorrido até aqui, sob o signo do respeito mútuo e da confiança, graças às relações frequentes a nível institucional e à colaboração da Igreja local.
Em 2023, também se ratificou o Acordo Suplementar ao Acordo sobre as relações mútuas entre a Santa Sé e o Cazaquistão, de 24 de setembro de 1998, que facilita a presença e a colocação dos agentes pastorais no país; além disso, tivemos ocasião de celebrar quatro aniversários significativos de relações diplomáticas: o centenário com a República do Panamá, o septuagésimo com a República Islâmica do Irão, o sexagésimo com a República da Coreia e o quinquagésimo com a Austrália.
Prezados Embaixadores,
Há uma palavra que ressoa particularmente nas duas festas cristãs principais. Ouvimo-la no canto dos anjos que, durante a noite, anunciam o nascimento do Salvador e recebemo-la da voz de Jesus ressuscitado: é a palavra «paz». Esta é, primariamente, um dom de Deus: é Ele que nos deixa a sua paz (cf. Jo 14, 27); mas ao mesmo tempo é uma responsabilidade nossa: «felizes os pacificadores» (Mt 5, 9). Trabalhar pela paz. Uma palavra tão frágil, que, ao mesmo tempo, se revela exigente e densa de significado. A ela quero dedicar a nossa reflexão de hoje, num momento histórico em que a mesma está cada vez mais ameaçada, fragilizada e parcialmente perdida. Aliás é dever da Santa Sé, no seio da comunidade internacional, ser voz profética e apelo à consciência.
Na vigília do Natal de 1944, o meu predecessor Pio XII pronunciou uma célebre Radiomensagem aos povos do mundo inteiro. A II Guerra Mundial aproximava-se do fim, após mais de cinco anos de conflito, e a humanidade (como disse o Pontífice) sentia «uma vontade cada vez mais clara e firme: fazer desta guerra mundial, desta convulsão universal, o ponto a partir do qual começa uma nova era de renovação profunda».[1] Oitenta anos depois, o impulso para tal «renovação profunda» parece ter-se esgotado, e o mundo é atravessado por um número crescente de conflitos que estão lentamente a transformar aquela que tenho repetidamente definido como «terceira guerra mundial aos pedaços» num verdadeiro conflito global.
Aqui não posso deixar de reiterar a minha preocupação com o que está a acontecer na Palestina e em Israel. Todos ficámos chocados com o ataque terrorista de 7 de outubro passado contra a população em Israel, onde foram feridas, torturadas e mortas de forma atroz tantas pessoas inocentes e muitas outras foram feitas reféns. Repito a minha condenação de tal ação e de toda a forma de terrorismo e extremismo: assim não se resolvem as questões entre os povos, antes pelo contrário tornam-se mais difíceis, causando sofrimento a todos. De facto, aquilo provocou uma forte resposta militar israelita em Gaza, que levou à morte de dezenas de milhares de palestinianos, na maioria civis, entre os quais muitas crianças, adolescentes e jovens, e causou uma situação humanitária gravíssima com sofrimentos inimagináveis.
Renovo o meu apelo a todas as partes envolvidas para um cessar-fogo em todas as frentes, incluindo o Líbano, e para a libertação imediata de todos os reféns em Gaza. Peço que a população palestiniana possa receber as ajudas humanitárias e que os hospitais, as escolas e os locais de culto tenham toda a proteção necessária.
Espero que a comunidade internacional avance, com determinação, na solução de dois Estados, um israelita e um palestiniano, bem como de um estatuto especial, garantido internacionalmente, para a Cidade de Jerusalém, para que israelitas e palestinianos possam finalmente viver em paz e segurança.
O conflito ativo em Gaza desestabiliza ainda mais uma região frágil e carregada de tensões. Em particular, não se pode esquecer o povo sírio, que vive na instabilidade económica e política, agravada pelo terramoto de fevereiro passado. A comunidade internacional incentive as Partes envolvidas a empreenderem um diálogo construtivo e sério e a procurarem novas soluções para que o povo sírio deixe de sofrer por causa das sanções internacionais. Além disso, exprimo a minha amargura pelos milhões de refugiados sírios que ainda se encontram nos países vizinhos, como a Jordânia e o Líbano.
Penso de modo particular neste último, manifestando preocupação pela situação social e económica em que se encontra o querido povo libanês, e espero que o impasse institucional, que está a deixá-lo ainda mais de rasto, seja resolvido e que o País dos Cedros tenha em breve um Presidente.
Sempre no continente asiático, desejo ainda chamar a atenção da comunidade internacional para o Myanmar, pedindo que se façam todos os esforços para dar esperança àquela terra e um futuro digno às gerações jovens, sem esquecer a emergência humanitária que ainda afeta os Rohingya.
A par destas situações complexas, não faltam também sinais de esperança, como pude experimentar durante a minha viagem à Mongólia, a cujas Autoridades renovo a minha gratidão pelo acolhimento que me dispensaram. Do mesmo modo, desejo agradecer às Autoridades húngaras pela sua hospitalidade durante a minha visita ao país no passado mês de abril. Foi uma viagem ao coração da Europa, onde se respira história e cultura e onde experimentei o calor de tantas pessoas, mas onde se sente também a proximidade dum conflito que não considerávamos possível na Europa do século XXI.
Infelizmente, depois de quase dois anos de guerra em grande escala da Federação Russa contra a Ucrânia, a tão desejada paz ainda não conseguiu encontrar lugar nas mentes e nos corações, não obstante as numerosíssimas vítimas e o rasto enorme de destruição. Não se pode deixar continuar um conflito, que se está gangrenando cada vez mais, com dano para milhões de pessoas, mas é preciso que se ponha termo à tragédia em curso através da negociação, no respeito pelo direito internacional.
Exprimo preocupação também com a situação tensa no Sul do Cáucaso entre a Arménia e o Azerbaijão, exortando as Partes a chegarem à assinatura dum Tratado de paz. É urgente encontrar uma solução para a dramática situação humanitária dos habitantes daquela região, favorecer o regresso dos deslocados às suas casas de forma legal e segura, e respeitar os locais de culto das diversas confissões religiosas lá presentes. Estas medidas poderão contribuir para a criação dum clima de confiança entre os dois países tendo em vista a tão suspirada paz.
Se agora voltarmos o olhar para a África, temos diante dos olhos o sofrimento de milhões de pessoas devido às múltiplas crises humanitárias em que versam vários países subsaarianos, por causa do terrorismo internacional, dos complexos problemas sociopolíticos e dos efeitos devastadores provocados pela mudança climática, a que se vêm juntar as consequências dos golpes militares de Estado ocorridos em alguns países e de certos processos eleitorais caraterizados por corrupção, intimidações e violência.
Ao mesmo tempo, renovo o apelo a um sério empenho por parte de todos os sujeitos envolvidos na aplicação do Acordo de Pretória de novembro de 2022, que pôs fim aos combates no Tigré, e na procura de soluções pacíficas para as tensões e violências que assolam a Etiópia, bem como para o diálogo, a paz e a estabilidade entre os países do Corno de África.
Quero recordar também os acontecimentos dramáticos no Sudão, onde infelizmente, depois de meses de guerra civil, ainda não se avista uma saída; bem como as situações dos deslocados nos Camarões, em Moçambique, na República Democrática do Congo e no Sudão do Sul. Estes dois últimos países pude visitá-los no início do ano passado, como um sinal de proximidade às suas atribuladas populações, embora em contextos e situações diferentes. Agradeço sinceramente às Autoridades de ambos os países o seu empenho organizador e o acolhimento que me reservaram. Aliás a viagem ao Sudão do Sul teve também um caráter ecuménico, tendo sido acompanhado pelo Arcebispo de Cantuária e pelo Moderador da Assembleia Geral da Igreja de Escócia, como testemunho do empenho partilhado pelas nossas Comunidades eclesiais em prol da paz e da reconciliação.
Embora não existam guerras declaradas nas Américas, todavia entre alguns países, como por exemplo entre a Venezuela e a Guiana, verificam-se fortes tensões, enquanto noutros, como no Perú, vemos fenómenos de polarização que comprometem a harmonia social e enfraquecem as instituições democráticas.
Suscita preocupação ainda a situação na Nicarágua: uma crise que se prolonga no tempo com amargas consequências para toda a sociedade nicaraguense, particularmente para a Igreja Católica. A Santa Sé não cessa de convidar a um diálogo diplomático respeitoso pelo bem dos católicos e de toda a população.
Excelências, Senhoras e Senhores,
Por trás deste quadro, que quis delinear brevemente e sem pretensões de ser exaustivo, encontra-se um mundo cada vez mais dilacerado, mas sobretudo há milhões de pessoas – homens, mulheres, pais, mães, crianças – cujos rostos, na sua maioria, nos são desconhecidos e que muitas vezes esquecemos.
Por outro lado, as guerras hodiernas já não se desenrolam apenas em campos de batalha delimitados, nem dizem respeito somente aos soldados. Num contexto em que parece já não ser observada a distinção entre objetivos militares e civis, não há conflito que não acabe de alguma forma por atingir indiscriminadamente a população civil. Prova evidente disto mesmo são os acontecimentos na Ucrânia e em Gaza. Não devemos esquecer que as violações graves do direito internacional humanitário são crimes de guerra, e que não basta assinalá-las, mas é preciso antecipar-se-lhes. Por isso há necessidade dum maior empenho da comunidade internacional pela salvaguarda e implementação do direito humanitário, que parece ser o único caminho para a tutela da dignidade humana em situações de conflito bélico.
No início deste ano, ressoa muito atual a exortação do Concílio Vaticano II, na Gaudium et spes: «Existem diversas convenções internacionais relativas à guerra, assinadas por bastantes nações e que visam tornar menos desumanas as atividades bélicas e suas consequências (…). Estes acordos devem ser observados. Mais ainda, todos, sobretudo os poderes públicos e os peritos nestas matérias, têm obrigação de procurar aperfeiçoá-los quanto lhes for possível, de maneira a que sejam capazes de melhor e mais eficazmente refrearem a crueldade das guerras».[2] Mesmo quando se trata de exercer o direito à legítima defesa, é essencial respeitar um uso proporcionado da força.
Talvez não nos apercebamos de que as vítimas civis não são «danos colaterais». São homens e mulheres com nomes e apelidos que perdem a vida. São crianças que ficam órfãs e privadas do futuro. São pessoas que padecem a fome, a sede e o frio ou que ficam mutiladas por causa da potência das armas modernas. Se conseguíssemos fixar cada um deles nos olhos, chamá-los por nome e evocar a sua história pessoal, veríamos a guerra como ela é: nada mais que uma enorme tragédia e «um massacre inútil»,[3] que fere a dignidade de toda a pessoa nesta terra.
Entretanto, as guerras podem continuar devido à enorme disponibilidade de armas. É necessário procurar uma política de desarmamento, pois é ilusório pensar que os armamentos possam ter um valor dissuasor. Antes, é verdade o contrário: a disponibilidade de armas incentiva a sua utilização e incrementa a sua produção. As armas criam desconfiança e desviam recursos. Quantas vidas se poderiam salvar com os recursos atualmente destinados aos armamentos? Não seria melhor investi-los a favor duma verdadeira segurança global? Os desafios do nosso tempo transcendem as fronteiras, como demonstram as várias crises – alimentar, ambiental, económica e sanitária – que têm caraterizado o início do século. Reafirmo aqui a proposta de constituir um Fundo mundial para eliminar finalmente a fome[4] e promover um desenvolvimento sustentável de todo o planeta.
Entre as ameaças causadas por tais instrumentos de morte, não posso deixar de mencionar a provocada pelos arsenais nucleares e pelo desenvolvimento de armas cada vez mais sofisticadas e destruidoras. Reitero mais uma vez a imoralidade de fabricar e possuir armas nucleares. A propósito, faço votos de que se possa chegar o mais rapidamente possível à retoma das negociações para o início do Plano de Ação Conjunto Global, mais conhecido como «Acordo sobre o Nuclear Iraniano», para garantir a todos um futuro mais seguro.
Todavia, para se chegar à paz, não basta limitar-se a eliminar os instrumentos bélicos, é necessário extirpar pela raiz as causas das guerras, sendo a primeira delas a fome, um flagelo que ainda agora atinge regiões inteiras da Terra, enquanto noutras se verifica enorme desperdício de alimentos. Depois, temos a exploração dos recursos naturais, que enriquece a poucos, deixando na miséria e na pobreza populações inteiras que seriam os beneficiários naturais de tais recursos. Ligada àquela está a exploração das pessoas, obrigadas a trabalhos mal remunerados e sem reais perspetivas de crescimento profissional.
Entre as causas de conflitos, estão também as catástrofes naturais e ambientais. Certamente há desastres que a mão do homem não pode controlar. Penso nos recentes terramotos em Marrocos e na China, que causaram centenas de vítimas, bem como naquele que atingiu duramente a Turquia e parte da Síria, deixando atrás dele um rasto tremendo de morte e destruição. Penso ainda na inundação que atingiu Derna, na Líbia, destruindo efetivamente a cidade devido também à concomitante derrocada de duas barragens.
Mas existem os desastres que são imputáveis também à ação ou à negligência do homem e que contribuem gravemente para a crise climática em curso, como, por exemplo, a desflorestação da Amazónia, que é o «pulmão verde» da Terra.
A crise climática e ambiental foi objeto da XXVIII Conferência dos Estados-Parte na Convenção-Quadro das Nações Unidas sobre as Alterações Climáticas (COP28), realizada no Dubai no mês passado, na qual não pude, com pena minha, participar pessoalmente. Teve início em concomitância com o anúncio da Organização Meteorológica Mundial de que 2023 foi o ano mais quente de que há registo nos 174 anos anteriores. A crise climática exige uma resposta cada vez mais urgente e requer o pleno envolvimento de todos, bem como da comunidade internacional inteira.[5]
A adoção do documento final na COP28 constitui um passo encorajador e revela que, perante as inúmeras crises que estamos a viver, há a possibilidade de revitalizar o multilateralismo através da gestão da questão climática global, num mundo onde os problemas ambientais, sociais e políticos estão intimamente conexos. Na COP28, evidenciou-se claramente como a década em curso seja a década decisiva para enfrentar a mudança climática. O cuidado da criação e a paz «são as questões mais urgentes e estão interligadas».[6] Almejo, pois, que quanto foi estabelecido no Dubai leve a «uma decidida aceleração da transição ecológica, através de formas que (…) encontrem realização em quatro campos: a eficiência energética, as fontes renováveis, a eliminação dos combustíveis fósseis, a educação para estilos de vida menos dependentes destes últimos».[7]
As guerras, a pobreza, o abuso da nossa casa comum e a exploração contínua dos seus recursos, que estão na raiz de desastres naturais, são causas que impelem também milhares de pessoas a abandonar a sua terra à procura dum futuro de paz e segurança. Na sua viagem, arriscam a própria vida em percursos perigosos, como no deserto do Saara, na floresta de Darién, na fronteira entre Colômbia e Panamá, na América Central, no norte do México na fronteira com os Estados Unidos, e sobretudo no Mar Mediterrâneo.
Infelizmente este tornou-se no último decénio um grande cemitério, com tragédias que continuam a suceder-se, também devido a traficantes de seres humanos sem escrúpulos. Entre as inúmeras vítimas – não o esqueçamos –, há muitos menores não acompanhados.
O Mediterrâneo deveria, antes, ser um laboratório de paz, um «lugar onde países e realidades diferentes se encontrem com base na humanidade que todos partilhamos»,[8] como tive oportunidade de sublinhar em Marselha, durante a minha viagem (estou agradecido por ela aos organizadores e às Autoridades francesas) por ocasião dos Rencontres Méditerranéennes. Perante esta imensa tragédia, facilmente acabamos por fechar o nosso coração, entrincheirando-nos por trás do medo duma «invasão». Esquecemo-nos facilmente que temos diante de nós pessoas com rostos e nomes e passa-nos despercebida a vocação própria do Mare Nostrum, que não é a de ser um túmulo, mas um lugar de encontro e enriquecimento recíproco entre pessoas, povos e culturas. Isto não impede que a migração deva ser regulamentada para acolher, promover, acompanhar e integrar os migrantes, no respeito pela cultura, a sensibilidade e a segurança das populações que se ocupam do acolhimento e da integração. Por outro lado, é necessário também recordar o direito de poder permanecer na própria pátria e a consequente necessidade de criar as condições para que o mesmo possa ser efetivamente exercido.
Diante deste desafio, nenhum país pode ser deixado sozinho, nem ninguém pode pensar em enfrentar isoladamente a questão através de legislações mais restritivas e repressivas, às vezes aprovadas sob a pressão do medo ou à busca de consensos eleitorais. Por isso, saúdo com satisfação o empenho da União Europeia de procurar uma solução comum através da adoção do novo Pacto sobre a Migração e o Asilo, embora assinalando algumas limitações, especialmente no que diz respeito ao reconhecimento do direito de asilo e ao perigo de detenções arbitrárias.
Prezados Embaixadores,
O caminho da paz exige o respeito pela vida, por toda a vida humana, a começar pela do nascituro no ventre da mãe, que não pode ser suprimida nem se pode tornar objeto de tráficos ilícitos. A este respeito, considero deprimente a prática da chamada barriga de aluguer, que lesa gravemente a dignidade da mulher e do filho. Baseia-se na exploração duma situação de necessidade material da mãe. Um filho é sempre um dom, e nunca o objeto dum contrato. Almejo, pois, um esforço da comunidade internacional para proibir tal prática a nível universal. Em cada momento da sua existência, a vida humana deve ser preservada e tutelada, pelo que é com pesar que constato, especialmente no Ocidente, a persistente difusão duma cultura da morte que, em nome duma fingida piedade, descarta crianças, idosos e doentes.
O caminho da paz exige o respeito pelos direitos humanos, nos termos da formulação simples, mas clara, contida na Declaração Universal dos Direitos Humanos, cujo 75º aniversário celebrámos recentemente. Trata-se de princípios racionalmente evidentes e comumente aceites. Infelizmente, as tentativas realizadas nos últimos decénios para introduzir novos direitos, não plenamente sólidos como os definidos originalmente e nem sempre aceitáveis, ocasionaram colonizações ideológicas, entre os quais tem um papel central a teoria do gender, extremamente perigosa porque cancela as diferenças com a pretensão de tornar todos iguais. Tais colonizações ideológicas provocam feridas e divisões entre os Estados, em vez de favorecer a edificação da paz.
Entretanto, o diálogo deve ser a alma da comunidade internacional. A conjuntura atual é causada também pelo enfraquecimento das estruturas de diplomacia multilateral que viram a luz depois da II Guerra Mundial. Organismos criados para favorecer a segurança, a paz e a cooperação já não conseguem unir todos os seus membros à volta duma mesa. Há o risco duma «monadologia» e da fragmentação em «clubes» que permitem a entrada só a Estados considerados ideologicamente próximos. Mesmo os organismos até agora eficientes, concentrados no bem comum e em questões técnicas, correm o risco de paralisia por causa de polarizações ideológicas, sendo instrumentalizados por alguns Estados.
Para relançar um compromisso comum ao serviço da paz, é preciso recuperar as raízes, o espírito e os valores que deram origem a esses organismos, embora tendo em conta a mudança do contexto e tendo em consideração quantos não se sentem adequadamente representados pelas estruturas das organizações internacionais.
É certo que dialogar requer paciência, perseverança e capacidade de escuta, mas quando se trabalha na tentativa sincera de pôr fim às discórdias, podem-se alcançar resultados significativos. Penso, por exemplo, no Acordo de Belfast, conhecido também como Acordo da Sexta-Feira Santa, assinado pelos governos britânico e irlandês, cujo 25º aniversário foi comemorado o ano passado. Tendo posto fim a trinta anos dum violento conflito, pode ser tomado como exemplo para solicitar e estimular as Autoridades a crerem nos processos de paz, não obstante as dificuldades e os sacrifícios que exigem.
O caminho da paz passa pelo diálogo político e social, uma vez que está na base da convivência civil duma comunidade política moderna. O ano de 2024 verá a convocação de eleições em muitos Estados. As eleições são um momento fundamental na vida dum país, pois permitem a todos os cidadãos escolher responsavelmente os seus governantes. Ressoam hoje, mais atuais do que nunca, as palavras de Pio XII: «exprimir a própria opinião sobre os deveres e os sacrifícios que lhe são impostos; não ser obrigado a obedecer sem ter sido ouvido: são dois direitos do cidadão, que encontram a sua expressão na democracia, como o próprio nome indica. Da solidez, da harmonia, dos bons frutos deste contacto entre os cidadãos e o governo do Estado, pode-se reconhecer se uma democracia é verdadeiramente sã e equilibrada e qual a sua força para a vida e o desenvolvimento».[9]
Por isso é importante que os cidadãos, especialmente as gerações jovens que são chamadas às urnas pela primeira vez, sintam como sua principal responsabilidade contribuir para a edificação do bem comum, através duma participação livre e consciente no voto. Por outro lado, a política deve ser sempre entendida, não como apropriação do poder, mas como «forma mais elevada de caridade»[10] e, por conseguinte, do serviço ao próximo dentro duma comunidade local e nacional.
O caminho da paz passa ainda através do diálogo inter-religioso, que exige, antes de mais nada, a tutela da liberdade religiosa e o respeito das minorias. Custa, por exemplo, constatar que cresce o número de países que adotam modelos de controlo centralizado sobre a liberdade de religião, com o uso maciço da tecnologia. Noutros lugares, as comunidades religiosas minoritárias encontram-se frequentemente numa situação cada vez mais dramática. Nalguns casos, correm o risco de extinção, devido a uma combinação de ações terroristas, ataques ao património cultural e medidas mais subtis, como a proliferação das leis anticonversão, a manipulação das regras eleitorais e as restrições financeiras.
Preocupa, particularmente, o aumento dos atos de antissemitismo verificados nos últimos meses; reitero mais uma vez que este flagelo deve ser erradicado da sociedade, sobretudo através da educação para a fraternidade e o acolhimento do outro.
De igual modo, preocupa o crescimento da perseguição e da discriminação contra os cristãos, sobretudo nos últimos dez anos. Embora de forma incruenta mas socialmente relevante, tem a ver, não raro, com fenómenos de lenta marginalização e exclusão da vida política e social e do exercício de certas profissões, que acontecem mesmo em terras tradicionalmente cristãs. Globalmente existem no mundo mais de 360 milhões de cristãos que sofrem um alto nível de perseguição e discriminação por causa da sua fé, e cresce sempre mais o número daqueles que são forçados a fugir das suas terras de origem.
Por fim, o caminho da paz passa pela educação, que é o principal investimento no futuro e nas gerações jovens. Permanece viva em mim a recordação da Jornada Mundial da Juventude realizada em Portugal no passado mês de agosto. Ao mesmo tempo que volto a agradecer às Autoridades portuguesas, civis e religiosas, o empenho posto na organização, conservo no coração aquele encontro com mais de um milhão de jovens, provenientes de todas as partes do mundo, cheios de entusiasmo e vontade de viver. A sua presença foi um grande hino à paz e o testemunho de que «a unidade é superior ao conflito»[11] e que é «possível desenvolver uma comunhão nas diferenças».[12]
Nos tempos que correm, parte do desafio educacional tem a ver com uma utilização ética das novas tecnologias. Estas podem tornar-se facilmente instrumentos de divisão ou de difusão de mentiras, as chamadas fake news, mas são também meio de encontro, intercâmbios recíprocos e um importante veículo de paz. «Os progressos notáveis das novas tecnologias da informação, sobretudo na esfera digital, apresentam oportunidades entusiasmantes mas também graves riscos, com sérias implicações na prossecução da justiça e da harmonia entre os povos».[13] Por este motivo, considerei importante dedicar a anual Mensagem para o Dia Mundial da Paz à inteligência artificial, que é um dos desafios mais importantes dos próximos anos.
É indispensável que o progresso tecnológico aconteça de maneira ética e responsável, preservando a centralidade da pessoa humana, cuja contribuição não pode nem poderá nunca ser substituída por um algoritmo ou por uma máquina. «A dignidade intrínseca de cada pessoa e a fraternidade que nos une como membros da única família humana devem estar na base do desenvolvimento de novas tecnologias e servir como critérios indiscutíveis para as avaliar antes da sua utilização, para que o progresso digital possa verificar-se no respeito pela justiça e contribuir para a causa da paz».[14]
Torna-se, pois, necessária uma reflexão atenta a todos os níveis, nacional e internacional, político e social, para que o desenvolvimento da inteligência artificial permaneça ao serviço do homem, favorecendo e não dificultando, especialmente nos jovens, as relações interpessoais, um sadio espírito de fraternidade e um pensamento crítico capaz de discernimento.
Nesta perspetiva, adquirem relevância particular as duas Conferências Diplomáticas da Organização Mundial da Propriedade Intelectual, que terão lugar neste ano de 2024 e nas quais a Santa Sé participará como Estado-membro. Para a Santa Sé, a propriedade intelectual está essencialmente orientada para a promoção do bem comum e não pode desvincular-se das limitações de natureza ética, dando origem a situações de injustiça e de exploração indevida. Depois há que prestar especial atenção à tutela do património genético humano, impedindo que se realizem práticas contrárias à dignidade humana, como a possibilidade de verbetar material biológico humano e a clonagem de seres humanos.
Excelências, Senhoras e Senhores,
Neste ano, a Igreja prepara-se para o Jubileu que terá início no próximo Natal. Agradeço de modo particular às Autoridades italianas, nacionais e locais, pelos esforços que estão a fazer para preparar a cidade de Roma a fim de acolher os numerosos peregrinos, permitindo-lhes colher frutos espirituais do caminho jubilar.
Talvez hoje, mais do que nunca, tenhamos necessidade do ano jubilar. Perante tantos sofrimentos que provocam desespero não só nas pessoas diretamente atingidas, mas em todas as nossas sociedades; frente aos nossos jovens, que, em vez de sonhar um futuro melhor, com frequência se sentem impotentes e frustrados; e face à obscuridade deste mundo que, em vez de se afastar, parece crescer, o Jubileu é o anúncio de que Deus nunca abandona o seu povo e mantém sempre abertas as portas do seu Reino. Na tradição judaico-cristã, o Jubileu é um tempo de graça para experimentar a misericórdia de Deus e o dom da sua paz. É um tempo de justiça, em que os pecados são perdoados, a reconciliação permite superar a injustiça e a terra repousa. Pode ser para todos – cristãos e não-cristãos – o tempo para quebrar as espadas e delas fazer arados; o tempo em que uma nação não mais levantará a espada contra outra, nem se aprenderá mais a arte da guerra (cf. Is 2, 4).
Queridos irmãos e irmãs, são estes os votos que formulo de todo o coração para cada um de vós, prezados Embaixadores, para as vossas famílias, para os colaboradores e para os povos que representais.
Obrigado e um ano feliz para todos!
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[1] Radiomensagem natalícia aos povos do mundo inteiro (24/XII/1944).
[2] CONC. ECUM. VAT. II, Const. past. Gaudium et spes sobre a Igreja no mundo contemporâneo (07/XII/1965), 79.
[3] Cf. BENTO XV, Carta aos Líderes dos Povos em Guerra (01/VIII/1917).
[4] Cf. FRANCISCO, Carta enc. Fratelli tutti sobre a fraternidade e a amizade social (03/X/2020), 262.
[5] Cf. FRANCISCO, Exort. ap. Laudate Deum a todas as pessoas de boa vontade sobre a crise climática (04/X/2023).
[6] FRANCISCO, Discurso proferido na Conferência dos Estados-Parte na Convenção-Quadro das Nações Unidas sobre as Alterações Climáticas (02/XII/2023).
[7] Ibidem.
[8] FRANCISCO, Discurso na Sessão Conclusiva dos “Rencontres Méditerranéennes” (Marselha, 23/IX/2023), 1.
[9] Radiomensagem natalícia aos povos do mundo inteiro (24/XII/1944).
[10] PIO XI, Audiência aos Dirigentes da Federação Universitária Católica (18/XII/1927).
[11] FRANCISCO, Exort. ap. Evangelii gaudium sobre o anúncio da fé no mundo atual (24/XI/2013), 228.
[12] Ibidem.
[13] FRANCISCO, Mensagem para o LVII Dia Mundial da Paz (08/XII/2023), 1.
[14] Ibid., 2.
[00034-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Ekscelencje,
Panie i Panowie!
Cieszę się, że mogę powitać Państwa dziś rano, pozdrowić osobiście i złożyć życzenia na Nowy Rok. Dziękuję w szczególności Jego Ekscelencji, Panu Ambasadorowi George'owi Poulidesowi, Dziekanowi Korpusu Dyplomatycznego, za jego uprzejme słowa, które dobrze wyrażają niepokoje wspólnoty międzynarodowej na początku roku. Chcielibyśmy, aby był on pokojowy, a tymczasem rozpoczyna się pod znakiem konfliktów i podziałów.
Chciałbym również skorzystać z tej okazji, aby podziękować Państwu za zaangażowanie na rzecz wspierania stosunków między Stolicą Apostolską a Państwa krajami. W ubiegłym roku nasza „rodzina dyplomatyczna” powiększyła się jeszcze bardziej dzięki nawiązaniu stosunków dyplomatycznych z Sułtanatem Omanu i mianowaniu jego pierwszego ambasadora, obecnego tutaj.
Jednocześnie chciałbym przypomnieć, że Stolica Apostolska przystąpiła do mianowania Papieskiego Przedstawiciela rezydującego w Hanoi, po tym jak w lipcu ubiegłego roku zawarto z Wietnamem stosowną Umowę o statusie Papieskiego Przedstawiciela. Ma to na celu wspólną kontynuację dotychczasowej drogi, nacechowanej wzajemnym szacunkiem i zaufaniem, dzięki częstym relacjom na poziomie instytucjonalnym i współpracy Kościoła lokalnego.
W 2023 r. ratyfikowano również Umowę Uzupełniającą do Umowy między Stolicą Apostolską a Kazachstanem o wzajemnych stosunkach, z dnia 24 września 1998 r., która ułatwia obecność i zatrudnianie pracowników duszpasterskich w tym kraju; i była to ponadto okazja do świętowania czterech ważnych rocznic: stulecia nawiązania stosunków dyplomatycznych z Republiką Panamy, 70. rocznicy stosunków dyplomatycznych z Islamską Republiką Iranu, 60-lecia relacji dyplomatycznych z Republiką Korei i 50. rocznicy stosunków dyplomatycznych z Australią.
Drodzy Ambasadorzy,
Jest takie słowo, które rozbrzmiewa w szczególny sposób podczas dwóch głównych świąt chrześcijańskich. Słyszymy je w śpiewie aniołów ogłaszających w nocy narodziny Zbawiciela i rozumiemy je w głosie zmartwychwstałego Jezusa: tym słowem jest „pokój”. Jest on przede wszystkim darem Boga: to On zostawia nam swój pokój (por. J 14, 27); ale jednocześnie jest on naszą odpowiedzialnością: „Błogosławieni, którzy wprowadzają pokój” (Mt 5, 9). Pracować dla pokoju. To słowo jest bardzo kruche, a jednocześnie wymagające i pełne znaczenia. Chciałbym jemu poświęcić naszą dzisiejszą refleksję, w historycznym momencie, gdy jest coraz bardziej zagrożone, osłabiane i częściowo zatracone. Z drugiej strony, zadaniem Stolicy Apostolskiej, w ramach wspólnoty międzynarodowej, jest bycie głosem prorockim i apelowanie do sumień.
W Wigilię Bożego Narodzenia 1944 r. Pius XII wygłosił słynne Orędzie radiowe do narodów świata. Druga wojna światowa dobiegała końca po ponad pięciu latach konfliktu, a ludzkość – powiedział Papież – odczuwała „coraz wyraźniejsze i mocniejsze pragnienie: aby ta wojna światowa, ten powszechny wstrząs, był punktem, od którego rozpocznie się nowa era głębokiej odnowy”[1]. Osiemdziesiąt lat później wydaje się, że impuls do tej „głębokiej odnowy” wyczerpał się, a świat przeżywa okres coraz większej liczby konfliktów, które powoli przekształcają to, co wielokrotnie nazywałem „trzecią wojną światową w kawałkach”, w prawdziwy i w pełnym tego słowa znaczeniu konflikt globalny.
Nie mogę tutaj nie powtórzyć mojego zaniepokojenia tym, co dzieje się w Palestynie i w Izraelu. Wszyscy byliśmy wstrząśnięci atakiem terrorystycznym na mieszkańców Izraela w dniu 7 października ub.r., w którym zostało w potworny sposób rannych, torturowanych i zabitych wielu niewinnych, a liczni zostali uprowadzeni jako zakładnicy. Ponownie potępiam tę akcję oraz wszelkie formy terroryzmu i ekstremizmu: w ten sposób nie rozwiązuje się problemów między narodami, a raczej stają się one jeszcze trudniejsze, powodując cierpienie dla wszystkich. Sprowokowało to istotnie silną izraelską reakcję wojskową w Strefie Gazy, która doprowadziła do śmierci dziesiątek tysięcy Palestyńczyków, głównie cywilów, w tym wielu dzieci, nastolatków i ludzi młodych, oraz spowodowała bardzo poważną sytuację humanitarną z niewyobrażalnym cierpieniem.
Ponawiam apel do wszystkich zaangażowanych stron o zawieszenie broni na wszystkich frontach, w tym w Libanie, oraz o natychmiastowe uwolnienie wszystkich zakładników w Strefie Gazy. Proszę, aby ludność palestyńska otrzymała pomoc humanitarną i aby szpitale, szkoły i miejsca kultu miały wszelką niezbędną ochronę.
Oczekuję, że wspólnota międzynarodowa będzie zdecydowanie dążyła do rozwiązania jakim są dwa państwa, jedno izraelskie i jedno palestyńskie, a także międzynarodowo zagwarantowany specjalny status dla miasta Jerozolimy, tak aby Izraelczycy i Palestyńczycy mogli wreszcie żyć w pokoju i bezpieczeństwie.
Trwający konflikt w Strefie Gazy dodatkowo destabilizuje ten kruchy i pełen napięć region. W szczególności nie można zapominać o narodzie syryjskim, który żyje w niestabilnej sytuacji gospodarczej i politycznej, pogłębionej przez trzęsienie ziemi, w lutym ubiegłego roku. Niech wspólnota międzynarodowa zachęca zaangażowane strony do konstruktywnego i poważnego dialogu oraz poszukiwania nowych rozwiązań, tak aby naród syryjski nie musiał już cierpieć z powodu sankcji międzynarodowych. Ponadto, wyrażam ubolewanie z powodu milionów syryjskich uchodźców, którzy nadal przebywają w krajach sąsiednich, takich jak Jordania i Liban.
Do tego ostatniego kieruję szczególną myśl, wyrażając zaniepokojenie sytuacją społeczną i gospodarczą, w jakiej znajduje się umiłowany naród libański, i oczekuję, że impas instytucjonalny, który jeszcze bardziej rzuca go na kolana, zostanie rozwiązany, i że Kraj Cedrów wkrótce będzie miał prezydenta.
Zatrzymując się na kontynencie azjatyckim, chciałbym również zwrócić uwagę społeczności międzynarodowej na Mjanmę, prosząc o dołożenie wszelkich starań, aby dać nadzieję temu krajowi i godną przyszłość młodym pokoleniom, nie zapominając o kryzysie humanitarnym, który wciąż dotyka lud Rohingya.
Obok tych złożonych sytuacji, nie brakuje również oznak nadziei, czego mogłem doświadczyć podczas mojej podróży do Mongolii, której władzom ponownie wyrażam wdzięczność za gościnne przyjęcie. Podobnie chciałbym podziękować władzom węgierskim za ich gościnność podczas mojej wizyty w tym kraju w kwietniu ubiegłego roku. Była to podróż do serca Europy, gdzie oddycha się historią i kulturą i gdzie doświadczyłem serdeczności wielu osób, ale gdzie dostrzega się również bliskość konfliktu, o którym nie pomyślelibyśmy, że jest możliwy w Europie XXI wieku.
Niestety, po prawie dwóch latach wojny prowadzonej na szeroką skalę przez Federację Rosyjską przeciwko Ukrainie, tak bardzo upragniony pokój nie zdołał jeszcze znaleźć miejsca w umysłach i sercach, pomimo bardzo wielkiej liczby ofiar i ogromnych zniszczeń. Nie można pozwolić by przedłużał się konflikt, który staje się coraz bardziej zażarty, ze szkodą dla milionów osób, ale trzeba położyć kres tej trwającej tragedii poprzez negocjacje, z poszanowaniem prawa międzynarodowego.
Wyrażam również zaniepokojenie napiętą sytuacją na Kaukazie Południowym między Armenią i Azerbejdżanem, wzywając strony do podpisania traktatu pokojowego. Istnieje pilna potrzeba znalezienia rozwiązania dramatycznej sytuacji humanitarnej mieszkańców tego regionu, ułatwienia powrotu wysiedleńców do swoich domów w sposób zgodny z prawem i bezpieczny, oraz poszanowania miejsc kultu różnych wyznań religijnych tam obecnych. Takie kroki mogłyby przyczynić się do stworzenia klimatu zaufania między dwoma krajami w celu osiągnięcia jakże bardzo pożądanego pokoju.
Jeśli zwrócimy teraz nasz wzrok ku Afryce, będziemy mieli przed oczami cierpienie milionów ludzi ze względu na wiele kryzysów humanitarnych, w których znajdują się różne kraje subsaharyjskie, z powodu międzynarodowego terroryzmu, złożonych problemów społeczno-politycznych i niszczycielskich skutków wywołanych przez zmiany klimatyczne, do czego dodają się konsekwencje zbrojnych zamachów stanu w niektórych krajach i pewnych procesów wyborczych charakteryzujących się korupcją, zastraszaniem i przemocą.
Jednocześnie ponawiam apel o poważne zaangażowanie wszystkich zainteresowanych stron we wdrażanie porozumienia z Pretorii, z listopada 2022 r., które położyło kres walkom w Tigraju, oraz w poszukiwanie pokojowych rozwiązań napięć i przemocy nękających Etiopię, a także o zaangażowanie na rzecz dialogu, pokoju i stabilności między krajami Rogu Afryki.
Chciałbym również przypomnieć o dramatycznych wydarzeniach w Sudanie, gdzie niestety po miesiącach wojny domowej nadal nie widać wyjścia, a także o sytuacji przesiedleńców w Kamerunie, Mozambiku, Demokratycznej Republice Konga i Sudanie Południowym. To właśnie te dwa ostatnie kraje z radością odwiedziłem na początku ubiegłego roku, aby zanieść znak bliskości ich cierpiącym mieszkańcom, choć w różnych kontekstach i sytuacjach. Serdecznie dziękuję władzom obu krajów za ich wysiłki organizacyjne i za zgotowane mi przyjęcie. Podróż do Sudanu Południowego miała również charakter ekumeniczny, ponieważ towarzyszyli mi Arcybiskup Canterbury i Moderator Zgromadzenia Ogólnego Kościoła Szkocji, dając świadectwo wspólnego zaangażowania naszych Wspólnot kościelnych na rzecz pokoju i pojednania.
Pomimo, że w obu Amerykach nie ma otwartych wojen, między niektórymi krajami występują silne napięcia, na przykład między Wenezuelą a Gujaną, podczas gdy w innych, takich jak Peru, obserwujemy zjawiska polaryzacji, które zagrażają zgodzie społecznej i osłabiają instytucje demokratyczne.
Powodem do niepokoju jest nadal sytuacja w Nikaragui: tj. przedłużający się kryzys z bolesnymi konsekwencjami dla całego społeczeństwa Nikaragui, a zwłaszcza dla Kościoła katolickiego. Stolica Apostolska nie przestaje zachęcać do pełnego szacunku dialogu dyplomatycznego, dla dobra katolików i całej ludności.
Ekscelencje, Panie i Panowie,
Za tym obrazem, który chciałem krótko nakreślić, przyznając, że nie jest on kompletny, kryje się coraz bardziej rozdarty świat, ale przede wszystkim miliony ludzi – mężczyzn, kobiet, ojców, matek, dzieci – których twarze są nam w większości nieznane, a o których często zapominamy.
Z drugiej strony, współczesne wojny nie toczą się już tylko na ograniczonych polach bitew, ani nie obejmują wyłącznie żołnierzy. W kontekście, w którym zdaje się już nie być przestrzegane rozróżnienie między celami wojskowymi a cywilnymi, nie ma konfliktu, który nie doprowadzałby w pewien sposób do masowych ataków także na ludność cywilną. Wydarzenia na Ukrainie i w Strefie Gazy są tego oczywistym dowodem. Nie możemy zapominać, że poważne pogwałcenia międzynarodowego prawa humanitarnego to zbrodnie wojenne, i że nie wystarczy je ujawnić, ale należy im zapobiegać. Potrzebne jest zatem większe zaangażowanie wspólnoty międzynarodowej na rzecz zapewnienia i wdrażania prawa humanitarnego, które wydaje się być jedynym sposobem ochrony godności ludzkiej w sytuacjach starcia wojennego.
Na początku tego roku niezwykle aktualnie brzmi zachęta Soboru Watykańskiego II, Gaudium et spes: „Istnieją różne konwencje międzynarodowe dotyczące kwestii wojennych, podpisane przez dość liczne narody, aby działania zbrojne i ich następstwa stały się mniej niehumanitarne. […] Traktatów tych powinno się dotrzymywać; co więcej, wszyscy – a zwłaszcza władze publiczne i ludzie mający w tych sprawach doświadczenie – są zobowiązani, na ile mogą, czynić wysiłki, aby traktaty były dotrzymywane i w ten sposób lepiej i skuteczniej prowadziły do ograniczenia okrucieństwa wojen”[2]. Również w przypadku korzystania z prawa do obrony koniecznej niezbędne jest przestrzeganie zasady proporcjonalnego użycia siły.
Być może nie zdajemy sobie sprawy, że ofiary cywilne nie są „szkodami ubocznymi”. Są mężczyznami i kobietami z imionami i nazwiskami, którzy tracą życie. To dzieci, które zostają osierocone i pozbawione przyszłości. To osoby cierpiące głód, pragnienie i zimno lub które zostają okaleczone z powodu mocy nowoczesnej broni. Gdybyśmy mogli spojrzeć każdej z nich w oczy, nazwać ją po imieniu i przywołać jej osobistą historię, spojrzelibyśmy na wojnę jako na to, czym jest: niczym innym jak ogromną tragedią i „niepotrzebną rzezią”[3], która wymierzona jest w godność każdej osoby na tej ziemi.
Z drugiej strony, wojny mogą trwać nadal dzięki ogromnej dostępności broni. Należy prowadzić politykę rozbrojenia, ponieważ złudne jest przekonanie, że broń ma wartość odstraszającą. Jest raczej odwrotnie: dostępność broni zachęca do jej użycia i zwiększa jej produkcję. Broń powoduje nieufność i rozprasza zasoby. Ileż istnień ludzkich można by uratować dzięki zasobom przeznaczanym obecnie na zbrojenia? Czyż nie byłoby lepiej zainwestować je na rzecz prawdziwego globalnego bezpieczeństwa? Wyzwania naszych czasów wykraczają poza granice, o czym świadczą różne kryzysy – żywnościowy, środowiskowy, gospodarczy i zdrowotny – które charakteryzują początek wieku. W tym miejscu ponawiam propozycję utworzenia Funduszu światowego, aby ostatecznie wyeliminować głód[4] i promować zrównoważony rozwój całej planety.
Wśród zagrożeń powodowanych przez takie narzędzia śmierci, nie mogę nie wspomnieć o zagrożeniach powodowanych przez arsenały nuklearne i rozwój coraz bardziej wyrafinowanych i niszczycielskich broni. Po raz kolejny podkreślam niemoralność wytwarzania i posiadania broni jądrowej. W związku z tym, wyrażam oczekiwanie jak najszybszego wznowienia negocjacji w sprawie Wspólnego kompleksowego planu działania, lepiej znanego jako „Porozumienie nuklearne z Iranem”, aby zapewnić wszystkim bezpieczniejszą przyszłość.
Aby jednak dążyć do pokoju, nie wystarczy ograniczenie się do usunięcia narzędzi wojny, należy wyeliminować pierwotne przyczyny wojen, a przede wszystkim głód, plagę wciąż dotykającą całe regiony Ziemi, podczas gdy w innych dochodzi do ogromnego marnowania żywności. Jest też rabunkowa eksploatacja zasobów naturalnych, która wzbogaca nielicznych, pozostawiając w nędzy i ubóstwie całe grupy mieszkańców, które byłyby naturalnymi beneficjentami tych zasobów. Wiąże się z tym wyzysk osób, które są zmuszane do pracy za niskie wynagrodzenie i bez realnych perspektyw rozwoju zawodowego.
Wśród przyczyn konfliktów znajdują się katastrofy naturalne i środowiskowe. Z pewnością istnieją tragedie, których ręka człowieka nie jest w stanie kontrolować. Mam na myśli niedawne trzęsienia ziemi w Maroku i Chinach, które pochłonęły setki ofiar, a także to, które mocno uderzyło w Turcję i część Syrii, pozostawiając za sobą straszliwy ślad śmierci i zniszczenia. Myślę również o powodzi, która nawiedziła Darnę w Libii, faktycznie niszcząc miasto, również z powodu jednoczesnego zawalenia się dwóch tam.
Istnieją jednak katastrofy, które również można przypisać działaniom lub zaniedbaniom człowieka, a które poważnie przyczyniają się do obecnego kryzysu klimatycznego, takie jak wylesianie Amazonii, która jest "zielonymi płucami" Ziemi.
Kryzys klimatyczny i środowiskowy był tematem XXVIII Konferencji Państw Stron Ramowej Konwencji Narodów Zjednoczonych w sprawie Zmian Klimatu (COP 28), która odbyła się w Dubaju, w zeszłym miesiącu, a w której niestety, nie mogłem uczestniczyć osobiście. Rozpoczęła się ona w związku z ogłoszeniem przez Światową Organizację Meteorologiczną, że rok 2023 był najcieplejszym rokiem w historii, w odniesieniu do 174 lat odnotowanych wcześniej. Kryzys klimatyczny wymaga coraz pilniejszej reakcji i pełnego zaangażowania wszystkich, a także całej wspólnoty międzynarodowej[5].
Przyjęcie dokumentu końcowego na COP 28 stanowi krok budzący otuchę oraz pokazuje, że w obliczu wielu kryzysów, jakie przeżywamy, istnieje możliwość ożywienia multilateralizmu poprzez zarządzanie globalną kwestią klimatyczną, w świecie, w którym problemy środowiskowe, społeczne i polityczne są ze sobą ściśle powiązane. Podczas COP 28 stało się jasne, że jest to decydująca dekada w walce ze zmianami klimatycznymi. Troska o stworzenie i pokój „są to najpilniejsze i wzajemnie powiązane kwestie”[6]. Oczekuję zatem, że to, co zostało uzgodnione w Dubaju, doprowadzi do „zdecydowanego przyspieszenia transformacji ekologicznej, poprzez formy, które [...] byłyby realizowane w czterech obszarach: efektywności energetycznej, odnawialnych źródeł energii, eliminacji paliw kopalnych oraz edukacji na rzecz stylu życia mniej zależnego od paliw kopalnych”[7].
Wojny, ubóstwo, nadużycia względem naszego wspólnego domu i ciągły wyzysk jego zasobów, leżące u podstaw klęsk żywiołowych, są również przyczynami skłaniającymi tysiące ludzi do opuszczenia swojej ojczyzny w poszukiwaniu pokojowej i bezpiecznej przyszłości. W swojej podróży, narażają własne życie na niebezpiecznych szlakach, takich jak pustynia Sahara, las Darién na granicy Kolumbii i Panamy, w Ameryce Środkowej, w północnym Meksyku, na granicy ze Stanami Zjednoczonymi, a przede wszystkim na Morzu Śródziemnym. To ostatnie, niestety, w ostatniej dekadzie stało się wielkim cmentarzyskiem, a tragedie stale powtarzają się, jedna po drugiej, również z powodu pozbawionych skrupułów handlarzy ludźmi. Nie zapominajmy, że wśród ofiar jest wielu nieletnich pozbawionych opieki.
Morze Śródziemne powinno być raczej laboratorium pokoju, „miejscem, w którym różne kraje i rzeczywistości spotykają się w oparciu o człowieczeństwo, które wszyscy dzielimy”[8], co mogłem podkreślić w Marsylii, podczas mojej podróży, za którą dziękuję organizatorom i władzom francuskim, z okazji Spotkań Śródziemnomorskich. W obliczu tej ogromnej tragedii łatwo zamykamy nasze serca, zasłaniając się strachem przed „inwazją”. Łatwo zapominamy, że mamy przed sobą osoby o twarzach i imionach, i pomijamy właściwe powołanie Mare Nostrum, które nie ma być grobem, ale miejscem spotkań i wzajemnego ubogacania się ludzi, narodów i kultur. Nie zmienia to faktu, że migracja musi być regulowana w celu przyjmowania, promowania, towarzyszenia i integracji migrantów, przy jednoczesnym poszanowaniu kultury, wrażliwości i bezpieczeństwa ludzi, którzy biorą na siebie ciężar przyjmowania i integracji. Z drugiej strony konieczne jest również przypomnienie o prawie do pozostania we własnej ojczyźnie i wynikającej z tego potrzebie stworzenia warunków, aby mogło być skutecznie realizowane.
W obliczu tego wyzwania żaden kraj nie może być pozostawiony samemu sobie, ani nikt nie może myśleć o rozwiązaniu tej kwestii w izolacji, poprzez bardziej restrykcyjne i represyjne ustawodawstwo, uchwalane niekiedy pod presją strachu lub zwiększenia poparcia wyborczego.
Dlatego z zadowoleniem przyjmuję zaangażowanie Unii Europejskiej w poszukiwanie wspólnego rozwiązania poprzez przyjęcie nowego Paktu w sprawie Migracji i Azylu, zauważając jednocześnie pewne jego ograniczenia, zwłaszcza w odniesieniu do uznania prawa do azylu i niebezpieczeństwa arbitralnych aresztowań.
Drodzy Ambasadorzy,
Droga do pokoju wymaga poszanowania życia, każdego ludzkiego życia, począwszy od nienarodzonego dziecka w łonie matki, które nie może być eliminowane ani stać się przedmiotem handlu. W związku z tym uważam za godną ubolewania praktykę tak zwanego macierzyństwa zastępczego, która poważnie uwłacza godności kobiety i dziecka. Opiera się ona na wykorzystywaniu trudnej sytuacji materialnej matki. Dziecko jest zawsze darem, a nigdy przedmiotem kontraktu. Dlatego oczekuję od Wspólnoty międzynarodowej działań na rzecz powszechnego zakazania tej praktyki. Życie ludzkie musi być chronione i bronione w każdym momencie swojego istnienia, podczas gdy z żalem stwierdzam, że zwłaszcza na Zachodzie ma miejsce uporczywe szerzenie się kultury śmierci, która w imię udawanej litości odrzuca dzieci, osoby starsze i chore.
Droga do pokoju wymaga poszanowania praw człowieka, zgodnie z prostym, ale jasnym sformułowaniem zawartym w Powszechnej Deklaracji Praw Człowieka, której 75. rocznicę niedawno obchodziliśmy. Są to zasady racjonalnie oczywiste i powszechnie akceptowane. Niestety, podejmowane w minionych dekadach próby wprowadzenia nowych praw, które nie w pełni są spójne z tymi pierwotnie zdefiniowanymi i nie zawsze są akceptowalne, dały początek ideologicznej kolonizacji, wśród których główną rolę odgrywa teoria gender, będąca niezwykle groźną, ponieważ usuwa różnice, pod pretekstem, że wszyscy są równi. Takie ideologiczne kolonizacje powodują rany i podziały między państwami, zamiast sprzyjać budowaniu pokoju.
Tymczasem to dialog musi być duszą wspólnoty międzynarodowej. Obecna sytuacja spowodowana jest również osłabieniem tych struktur dyplomacji wielostronnej, które ujrzały światło dzienne po II wojnie światowej. Organy stworzone w celu wspierania bezpieczeństwa, pokoju i współpracy nie są już w stanie zjednoczyć wszystkich swoich członków przy jednym stole. Istnieje ryzyko "monadologii" i podziałów na "kluby", które przyjmują do swego grona tylko państwa uznane za ideologicznie pokrewne. Także tym organom, dotychczas skutecznym, skupionym na dobru wspólnym i kwestiach technicznych, grozi paraliż z powodu polaryzacji ideologicznych, instrumentalizowanych przez poszczególne państwa.
Aby na nowo podjąć wspólne zaangażowanie w służbę na rzecz pokoju, należy powrócić do korzeni, ducha i wartości, które zrodziły te organy, biorąc jednocześnie pod uwagę zmieniony kontekst i mając wzgląd na tych, którzy nie czują się odpowiednio reprezentowani przez struktury organizacji międzynarodowych.
Z pewnością dialog wymaga cierpliwości, wytrwałości i umiejętności słuchania, ale kiedy podejmuje się szczerą próbę położenia kresu niezgodzie, można osiągnąć znaczące rezultaty. Myślę na przykład o Porozumieniu z Belfastu, znanym także jako Porozumienie Wielkopiątkowe, podpisanym przez rządy brytyjski i irlandzki, którego 25. rocznicę upamiętniono w zeszłym roku. Kładąc kres trzydziestoletniemu brutalnemu konfliktowi, może być ono traktowane jako wzór pobudzający i stymulujący władze do wiary w procesy pokojowe, pomimo trudności i poświęceń, jakich wymagają.
Drogą do pokoju jest dialog polityczny i społeczny, ponieważ jest to podstawa obywatelskiego współistnienia w nowoczesnej wspólnocie politycznej. W 2024 r. w wielu państwach odbędą się wybory. Wybory są fundamentalnym momentem w życiu kraju, ponieważ umożliwiają wszystkim obywatelom odpowiedzialny wybór rządzących. Słowa Piusa XII rozbrzmiewają bardziej niż kiedykolwiek: „Wyrażanie swoich poglądów na temat obowiązków i poświęceń, jakie są na niego nakładane; nie zmuszanie do posłuszeństwa bez wysłuchania – to dwa prawa obywatela, które znajdują wyraz w demokracji, jak wskazuje sama nazwa. Na podstawie solidności, harmonii i dobrych owoców uzyskanych w ten sposób między obywatelami a rządem państwowym można rozpoznać, czy dana demokracja jest naprawdę zdrowa i zrównoważona, oraz jaka jest jej siła życia i rozwoju” [9].
Dlatego ważne jest, aby obywatele, zwłaszcza młodsze pokolenia, które po raz pierwszy pójdą do urn, czuli, że ich głównym obowiązkiem jest przyczynianie się do budowania dobra wspólnego, poprzez wolny i świadomy udział w głosowaniu. Z drugiej strony, polityka powinna być zawsze rozumiana nie jako zawłaszczanie władzy, ale jako „najwyższa forma miłości”[10], a tym samym jako służba bliźniemu we wspólnocie lokalnej i narodowej.
Droga do pokoju wiedzie również poprzez dialog międzyreligijny, który przede wszystkim wymaga ochrony wolności religijnej i poszanowania mniejszości. Z bólem zauważamy, na przykład, że coraz więcej krajów przyjmuje modele scentralizowanej kontroli nad wolnością religijną, przy masowym wykorzystaniu technologii. W innych miejscach mniejszościowe wspólnoty religijne często znajdują się w coraz bardziej dramatycznej sytuacji. W niektórych przypadkach są one zagrożone wyginięciem ze względu na połączenie działań terrorystycznych, ataków na dziedzictwo kulturowe i bardziej wyrafinowanych środków, takich jak mnożenie przepisów przeciwko nawróceniom, manipulowanie zasadami wyborczymi i ograniczenia finansowe.
Szczególnie niepokojący jest wzrost liczby aktów antysemityzmu, które miały miejsce w ostatnich miesiącach; i po raz kolejny chciałbym powtórzyć, że ta plaga musi zostać wykorzeniona ze społeczeństwa, zwłaszcza poprzez wychowanie do braterstwa i akceptacji innych.
Równie niepokojący jest wzrost prześladowań i dyskryminacji chrześcijan, zwłaszcza w ostatnich dziesięciu latach. Nierzadko dotyczy to, choć w sposób bezkrwawy, ale społecznie istotny, zjawisk powolnej marginalizacji i wykluczenia z życia politycznego i społecznego oraz z wykonywania pewnych zawodów, które występują także w krajach tradycyjnie chrześcijańskich. Ogólnie rzecz biorąc, ponad 360 milionów chrześcijan na całym świecie doświadcza wysokiego poziomu prześladowań i dyskryminacji z powodu swojej wiary, a coraz więcej jest zmuszonych do ucieczki z ziemi swego pochodzenia.
Wreszcie, droga do pokoju wiedzie przez edukację, która jest główną inwestycją w przyszłość i w młode pokolenia. Wciąż mam żywe wspomnienia ze Światowych Dni Młodzieży, które odbyły się w Portugalii, w sierpniu ubiegłego roku. Dziękując raz jeszcze władzom portugalskim, zarówno cywilnym, jak i kościelnym, za wysiłek włożony w ich organizację, zachowuję w sercu wspomnienie spotkania z ponad milionem młodych ludzi z całego świata, pełnych entuzjazmu i chęci życia. Ich obecność była wielkim hymnem na cześć pokoju i świadectwem, że „jedność przewyższa konflikt”[11] i że „możliwe jest pogłębianie komunii pośród różnic”[12].
W dzisiejszych czasach część wyzwań edukacyjnych dotyczy etycznego wykorzystania nowych technologii. Mogą one łatwo stać się narzędziami podziałów lub szerzenia kłamstw, tzw. fake news, ale są także środkiem spotkania, wzajemnej wymiany i ważnym narzędziem pokoju. „Znaczący postęp nowych technologii informacyjnych, zwłaszcza w sferze cyfrowej, stwarza zatem fascynujące szanse i poważne zagrożenia, z ogromnymi konsekwencjami dla dążenia do sprawiedliwości i zgody między ludźmi”[13]. Dlatego uznałem za ważne, aby poświęcić coroczne Orędzie na Światowy Dzień Pokoju sztucznej inteligencji, która jest jednym z najważniejszych wyzwań nadchodzących lat.
Konieczne jest, aby rozwój technologiczny odbywał się w sposób etyczny i odpowiedzialny, zachowując centralne miejsce osoby ludzkiej, której wkład nie może ani nigdy nie będzie mógł być zastąpiony przez algorytm lub maszynę. „Przyrodzona godność każdej osoby i braterstwo, które łączy nas jako członków jednej rodziny ludzkiej, muszą leżeć u podstaw rozwoju nowych technologii i służyć jako bezdyskusyjne kryteria ich oceny przed ich wykorzystaniem, tak aby postęp cyfrowy mógł odbywać się z poszanowaniem sprawiedliwości i przyczyniać się do sprawy pokoju”[14].
Potrzebna jest zatem uważna refleksja na każdym poziomie, krajowym i międzynarodowym, politycznym i społecznym, aby rozwój sztucznej inteligencji pozostał w służbie człowieka, wspierając, a nie utrudniając, zwłaszcza ludziom młodym, relacje międzyludzkie, zdrowego ducha braterstwa i krytyczne myślenie zdolne do rozeznania.
W tej perspektywie szczególnego znaczenia nabierają dwie konferencje dyplomatyczne Światowej Organizacji Własności Intelektualnej, które odbędą się w 2024 r., i w których Stolica Apostolska będzie uczestniczyć jako państwo członkowskie. Dla Stolicy Apostolskiej własność intelektualna jest zasadniczo ukierunkowana na promowanie dobra wspólnego i nie może uwolnić się od ograniczeń etycznych, stwarzając sytuacje niesprawiedliwości i niewłaściwego wyzysku. Szczególną uwagę należy również zwrócić na ochronę ludzkiego dziedzictwa genetycznego, zapobiegając praktykom sprzecznym z ludzką godnością, takim jak patentowanie ludzkiego materiału biologicznego i klonowanie istot ludzkich.
Ekscelencje, Panie i Panowie,
w tym roku Kościół przygotowuje się do Jubileuszu, który rozpocznie się w Boże Narodzenie. Dziękuję w szczególności władzom włoskim, krajowym i lokalnym, za wysiłki, jakie podejmują, aby przygotować miasto Rzym na przyjęcie licznych pielgrzymów i umożliwić im czerpanie duchowych owoców Jubileuszu.
Być może dzisiaj, bardziej niż kiedykolwiek, potrzebujemy Roku Jubileuszowego. W obliczu wielu cierpień, które wywołują rozpacz nie tylko w osobach bezpośrednio dotkniętych, ale we wszystkich naszych społeczeństwach; wobec naszych młodych, którzy zamiast marzyć o lepszej przyszłości często czują się bezsilni i sfrustrowani; a także w obliczu ciemności tego świata, które zdają się rozprzestrzeniać, a nie ustępować, Jubileusz jest proklamacją, że Bóg nigdy nie opuszcza swojego ludu i zawsze ma otwarte drzwi swojego Królestwa. W tradycji judeochrześcijańskiej Jubileusz jest czasem łaski, w którym można doświadczyć Bożego miłosierdzia i daru Jego pokoju. To czas sprawiedliwości, w którym grzechy są przebaczane, pojednanie przezwycięża niesprawiedliwość, a ziemia odpoczywa. Może to być dla wszystkich – zarówno chrześcijan, jak i niechrześcijan – czas, w którym miecze zostaną przekute na lemiesze; czas, w którym jeden naród nie będzie już podnosił miecza przeciwko drugiemu, ani nie będzie się uczył sztuki wojennej (por. Iz 2, 4).
To jest moje życzenie, drodzy bracia i siostry, życzenie płynące z serca dla każdego z was, drodzy Ambasadorzy, dla waszych rodzin, dla współpracowników, a także dla narodów, które reprezentujecie.
Dziękuję i życzę wszystkim dobrego Nowego Roku!
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[1] Orędzie radiowe do narodów świata, 24 grudnia 1944 r.
[2] Konst. duszp. Gaudium et spes o Kościele w świecie współczesnym (7 grudnia 1965), 79.
[3] Por. Benedykt XV, List do przywódców państw prowadzących wojnę (1 sierpnia 1917).
[4] Por. Enc. Fratelli tutti o braterstwie i przyjaźni społecznej (3 października 2020), 262.
[5] Por. Adhort. apost. Laudate Deum do wszystkich ludzi dobrej woli o kryzysie klimatycznym (4 października 2023).
[6] Przemówienie do Konferencji Państw Stron Ramowej Konwencji Narodów Zjednoczonych w sprawie Zmian Klimatycznych (2 grudnia 2023).
[7] Tamże.
[8] Przemówienie na sesji końcowej Spotkań Śródziemnomorskich (Marsylia, 23 września 2023), 1.
[9] Por. Orędzie radiowe do narodów świata, 24 grudnia 1944 r.
[10] Pius XI, Audiencja dla liderów Federacji Uniwersytetów Katolickich (18 grudnia 1927).
[11] Adhort. apost. Evangelii gaudium o głoszeniu Ewangelii we współczesnym świecie (24 listopada 2013), 228.
[12] Tamże.
[13] Orędzie na LVII Światowy Dzień Pokoju (8 grudnia 2023), 1.
[14] Tamże, 2.
[00034-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
كلمة قداسة البابا فرنسيس
إلى الدّبلوماسيّين المُعتَمدين لدى الكرسيّ الرّسوليّ
في مناسبة اللقاء السّنوي لتبادل التّهاني بالسّنة الجديدة
8 كانون الثّاني/يناير 2024
في قاعة البركات
أصحاب السّعادة، سيداتي، سادتي،
يسعدني أن أرحّب بكم في هذا الصّباح لأحيِّيكم شخصيًّا، وأقدِّم لكم أطيب التّمنيات بالسّنة الجديدة. أشكر بصورة خاصّة سعادة السّفير جورج بوليدس، عميد السّلك الدّبلوماسي، لكلماته الرّقيقة التي تعبّر جيّدًا عن اهتمامات الأسرة الدّوليّة في بداية سنة كُنَّا نودّ أن تكون بداية سلام، لكنّها تنفتح عكس ذلك تحت راية الصّراعات والانقسامات.
أنتهز الفرصة كذلك لأشكركم على التزامكم بتعزيز العلاقات بين الكرسيّ الرّسوليّ وبلدانكم. في السّنة الماضيّة، توسّعت ”عائلتنا الدّبلوماسيّة“ بإقامة العلاقات الدّبلوماسيّة مع سلطنة عُمان وتعيّين أوّل سفير لها، والحاضر هنا.
وفي الوقت نفسه، أودّ أن أشير إلى أنّ الكرسيّ الرّسوليّ قد شرع في تعيّين ممثّل بابويّ مقيم في هانوي، بعد إبرام الاتفاقيّة بشأن وضع الممثّل البابويّ مع الفيتنام في تموز/يوليو الماضي، بهدف متابعة الطّريق التي قطعناها حتّى الآن، وذلك علامة للاحترام المتبادل والثّقة، وبفضل العلاقات المتكرّرة على المستوى المؤسّسيّ وتعاون الكنيسة المحليّة.
وفي سنة 2023، تمّ المصادقة أيضًا على الاتفاقيّة التكميليّة للاتفاق المبرم بين الكرسيّ الرّسوليّ وكازاخستان بشأن العلاقات المتبادلة في 24 أيلول/سبتمبر 1998، والذي يسهِّل وجود وعمل العمّال الرّعويين في البلاد. وكانت هذه السّنة أيضًا مناسبة للاحتفال بأربع ذكريات سنويّة مهمّة: الذّكرى المئويّة للعلاقات الدّبلوماسيّة مع جمهوريّة بنما، وسبعون سنة مع جمهوريّة إيران الإسلاميّة، وستّون سنة مع جمهوريّة كوريا، والسّنة الخمسون مع أستراليا.
السّفراء الأعزّاء،
هناك كلمة يتردّد صداها بطريقة خاصّة في العيدَين المسيحيَين الرّئيسيَين، نسمعها في ترنيمة الملائكة المنشدين في ليلة ميلاد المخلّص، ونسمعها من صوت يسوع القائم من بين الأموات: إنّها كلمة ”سلام“. السّلام، في المقام الأوّل، عطيّة من الله: هو الذي يترك لنا سلامه (راجع يوحنّا 14، 27)، ولكنّه في الوقت نفسه مسؤوليّتنا: "طوبى لصانعي السّلام" (متّى 5، 9). العمل من أجل السّلام. إنّها كلمة هشّة، وفي الوقت نفسه مُلزِمة وعميقة في معناها. ولهذه الكلمة أودّ أن أكرّس تفكيرنا اليوم، في لحظة تاريخيّة يتعرّض فيه السّلام بشكل متزايد للتّهديد والضّعف، وقد ضاع في بعض الأماكن. ومن ناحيّة أخرى، من واجب الكرسيّ الرّسوليّ، أن يكون في الأسرة الدّوليّة صوتًا نبويًّا ومذكّرًا للضّمير.
عشيّة عيد الميلاد سنة 1944، وجَّه البابا بيوس الثّاني عشر رسالة إذاعيّة شهيرة إلى شعوب العالم بأسره. كانت الحرب العالميّة الثّانية تقترب من نهايتها بعد أكثر من خمس سنوات من الصّراع، وقال الحبر الأعظم، إنّ البشريّة كانت تشعر "بإرادة واضحة وحازمة بشكل متزايد، لجعل هذه الحرب العالميّة، هذا الاضطراب العالمي، نقطة بداية للتوجّه إلى عصر جديد للتجديد العميق"[1]. وبعد مرور ثمانين عامًا، يبدو أنّ الدّفع نحو هذا ”التّجديد العميق“ قد نفد وتوقّف، ودخل العالم في عدد متزايد من الصّراعات التي تحوِّلُ، ببطء ما وصفته مرارًا وتكرارًا بـ ”الحرب العالميّة الثّالثة المجزّأة“، إلى صراع عالميّ حقيقيّ.
ولا يسعني في هذا المقام إلّا أن أكرّر قلقي إزاء ما يحدث في فلسطين وإسرائيل. لقد صدمنا جميعًا الهجوم الإرهابي الذي تعرَّض له السّكان في إسرائيل في 7 تشرين الأوّل/أكتوبر الماضي، حيث جُرِحَ العديدون وعُذِّبوا وقُتِلَ أبرياء كثيرون بطريقة فظيعة، وأُخِذَ الكثيرون رهائن. أكرّر إدانتي لما حدث ولكلّ أشكال الإرهاب والتّطرّف: بهذه الطّريقة لا تُحلّ القضايا بين الشّعوب، بل تزداد تعقيدًا وتسبّب الآلام للجميع. وفي الواقع، أدى ذلك إلى ردّ فعل عسكريّ إسرائيليّ شديد في غزّة أدّى إلى مقتل عشرات الآلاف من الفلسطينيّين، معظمهم من المدنيّين، بما في ذلك العديد من الأطفال والفتيان والشّباب، وسبّب وضعًا لاإنسانيًّا خطيرًا جدًّا وآلامًا لا يمكن تصوّرها.
إنّي أكرّر ندائي إلى جميع الأطراف المعنيّة من أجل وقف إطلاق النّار على جميع الجبهات، بما في ذلك لبنان، والإفراج الفوري عن جميع الرّهائن في غزّة. وأطلب أن يحصل السّكان الفلسطينيّون على المساعدات الإنسانيّة وأن يكون للمستشفيات والمدارس وأماكن العبادة فيها الحماية اللازمة.
آمل أن تجتهد الأسرة الدّوليّة بكلّ تصميم لتحقيق حلّ الدّولتين، دولة إسرائيليّة ودولة فلسطينيّة، ووضع خاص لمدينة القدس بضمانات دوليّة، حتّى يتمكّن الإسرائيليّون والفلسطينيّون أخيرًا من العيش في سلام وأمن.
إنّ الصّراع الدّائر في غزّة يزيد من زعزعة الاستقرار في منطقة هشّة ومليئة بالتّوترات. ولا يمكن أيضًا وخصوصًا أن ننسى الشّعب السّوري، الذي يعيش في حالة من عدم الاستقرار الاقتصاديّ والسّياسيّ، وقد تفاقمت آلامه مع الزّلزال الذي وقع في شباط/فبراير الماضي. أدعو الأسرة الدّوليّة إلى تشجيع الأطراف المعنية على بدء حوار بنَّاء وجادّ والبحث عن حلول جديدة، ولا يجوز أن يبقى الشّعب السّوري يعاني من العقوبات الدّوليّة. وإنّي أعرب عن حزني لملايين اللاجئين السّوريين الذين ما زالوا في البلدان المجاورة، مثل الأردن ولبنان.
أتوجّه بفكر خاصّ إلى لبنان، وأعبّر عن القلق بشأن الوضع الاجتماعيّ والاقتصاديّ الرّاهن للشعب اللبنانيّ العزيز، وآمل أن يوجد حلّ للجمود المؤسّسي الذي يدفعهم إلى مزيد من الرّكوع، وآمل أن يختار بلد الأرز رئيسه قريبًا.
وأبقى في القارة الآسيويّة، وأودّ أن ألفت انتباه الأسرة الدّوليّة إلى ميانمار، طالبًا بذل كلّ الجهود لإعطاء الأمل لتلك الأرض ومستقبل لائق للأجيال الشّابة، دون أن ننسى حالة الطّوارئ الإنسانيّة التي ما زالت فيها جماعة الرّوهينجا.
إلى جانب هذه الأوضاع المعقّدة، هناك أيضًا بوادر أمل، كما شعرت بها خلال رحلتي إلى منغوليا، والتي أجدّد شكري وتقديري لسلطاتها على الاستقبال الذي قدّمته لي. وبالمثل، أودّ أن أشكر السّلطات المجريّة على حسن ضيافتها لي في زيارتي للبلاد في إبريل/نيسان الماضي. كانت رحلة في قلب أوروبا، حيث يتنفس المرء التّاريخ والثّقافة وحيث شعرت بالمودّة من النّاس، ولكن هناك أيضًا نشعر بالصّراع القريب، والذي لم نكن نحسبه قريبًا في أوروبا في القرن الحادي والعشرين.
للأسف، بعد ما يقرب من عامين من الحرب واسعة النّطاق التي شنّها الاتّحاد الرّوسي على أوكرانيا، فإنّ السّلام المنشود لم يتمكّن بعد من إيجاد مكان له في العقول والقلوب، على الرّغم من الضّحايا العديدة والدّمار الهائل. لا يمكن السّماح للصراع بأن يتسمرّ ويصير مثل الغرغرينا تعذِّب الملايين من البشر. لا بدّ من وضع حدّ للمأساة المستمرّة من خلال المفاوضات، ووفقًا للقانون الدّولي.
كما أعرب عن قلقي إزاء الوضع المتوتّر في جنوب القفقاز بين أرمينيا وأذربيجان، وأحثّ الطّرفين على التوصّل إلى توقيع معاهدة سلام. ومن الملِّح إيجاد حلّ للوضع الإنسانيّ المأساوي الذي يعيشه سكّان تلك المنطقة، وتشجيع عودة النّازحين إلى ديارهم بشكل قانوني وآمن، واحترام دور العبادة لمختلف الطّوائف الدّينيّة الموجودة هناك. فمن شأن هذه الخطوات أن تساهم في خلق مناخ من الثّقة بين البلدين من أجل تحقيق السّلام المنشود.
وإذا وجّهنا نظرنا الآن إلى أفريقيا، تظهر أمام عيوننا معاناة الملايين من البشر بسبب الأزمات الإنسانيّة المتعدّدة التي تؤثّر على مختلف بلدان جنوب الصّحراء الكبرى، وبسبب الإرهاب الدّولي، والمشاكل الاجتماعيّة والسّياسيّة المعقّدة، والآثار المدمّرة التي يسبّبها تغيّر المناخ. ويضاف إلى ذلك عواقب الانقلابات العسكريّة التي حدثت في بعض البلدان، وبعض العمليّات الانتخابيّة التي اتّسمت بالفساد والتّرهيب والعنف.
وفي الوقت نفسه، أجدّد النّداء من أجل الالتزام الجادّ من جانب جميع الأطراف في تطبيق اتّفاق بريتوريا المبرم في تشرين الثّاني/نوفمبر 2022، والذي وضع حدًّا للقتال في تيغراي، وفي البحث عن حلول سلميّة للتوتّرات وأعمال العنف التي تعصف بإثيوبيا، وكذلك من أجل الحوار والسّلام والاستقرار بين دول القرن الأفريقي.
وأودّ أيضًا أن أذكِّر بالأحداث المأساويّة في السّودان، حيث للأسف، بعد أشهر من الحرب الأهليّة، لا يوجد مَخرج حتّى الآن، وكذلك أوضاع النّازحين في الكاميرون وموزمبيق وجمهوريّة الكونغو الدّيمقراطيّة وجنوب السّودان. لقد سُعدت بزيارة هذين البلدين الأخيرين في بداية العام الماضي، علامة مودّة للسكّان المعذّبين، ولو كانوا في سياقات وأوضاع مختلفة. أتوجّه بخالص الشّكر إلى السّلطات في كلا البلدين لجهودهم في تنظيم الزّيارة وللترحيب الذي أبدوه لي. وكان للرحلة إلى جنوب السّودان أيضًا طابع مسكونيّ، حيث رافقني فيها رئيس أساقفة كانتربري ورئيس الجمعيّة العامّة لكنيسة اسكتلندا، ما يشهد على الالتزام المشترك في كنائسنا من أجل السّلام والمصالحة.
ورغم عدم وجود حروب مفتوحة في الأمريكيَّتَين، إلّا أنّ هناك توتّرات قويّة بين بعض الدّول، على سبيل المثال بين فنزويلا وغِيَّانا، بينما نلاحظ في بلدان أخرى، كما هو الحال في البيرو، ظاهرة الاستقطاب التي تهدّد الانسجام الاجتماعيّ وتضعف المؤسّسات الدّيمقراطيّة.
لا يزال الوضع في نيكاراغوا مثيرًا للقلق: أزمة مستمرّة مع مرور الوقت ولها عواقب مؤلمة على المجتمع النيكاراغوي بأكمله، ولا سيّما على الكنيسة الكاثوليكيّة. لا يكف الكرسيّ الرّسوليّ عن الدّعوة إلى حوار دبلوماسيّ ضمن الاحترام المتبادل من أجل خير الكاثوليك وجميع السّكّان.
أصحاب السّعادة، سيداتي، سادتي،
خلف هذه الصّورة التي أردت أن أرسمها بإيجاز ودون أيّ ادّعاء بالشّمول، هناك عالم ممزق بشكل متزايد، ولكن قبل كلّ شيء هناك الملايين من النّاس - رجال ونساء وآباء وأمّهات وأطفال - وجوههم غير معروفة، مجهولون، ومنسيّون.
ومن ناحيّة أخرى، لم تعد الحروب الحديثة تجري فقط في ساحات قتال محدّدة، وليس فيها جنود فقط. ففي سياق يبدو أنّه لم يعد فيه تمييز بين الأهداف العسكريّة والمدنيّة، لا يوجد صراع إلّا وينتهي بطريقة ما إلى ضرب عشوائي للسكّان المدنيين. وما الأحداث في أوكرانيا وغزّة إلّا دليل واضح على ذلك. ويجب ألّا ننسى أنّ الانتهاكات الجسيمة للقانون الإنسانيّ الدّوليّ هي جرائم حرب، ولا يكفي اكتشافها، ولكن من الضّروريّ منعها. ولذلك فإنّ هناك حاجة إلى التزام أكبر من جانب المجتمع الدّوليّ بحماية وتنفيذ القانون الإنسانيّ، الذي يبدو أنّه السّبيل الوحيد لحماية الكرامة الإنسانيّة في حالات الحرب.
في بداية هذه السّنة، يتردّد حثّ المجمع الفاتيكانيّ الثّاني، في الدّستور الرّعائي فرح ورجاء، الذي نحتاج له أكثر من أيّ وقت مضى: "في ما يتعلّق بالحرب، هناك اتفاقيات دوليّة مختلفة، وقَّع عليها عدد كبير من الدّول لجعل الأعمال العسكريّة وعواقبها أقلّ وحشيّة. (....) يجب المحافظة على كلّ هذه الاتفاقيات. ويجب على السّلطات العامّة والخبراء في هذا المجال أن يبذلوا قصارى جهدهم، قدر الإمكان، حتّى تُطوَّر وتُكمّل، فتقدر أن تضع حدًّا لفظائع الحرب بصورة ملائمة وأكثر وفعالية"[2]. وحتّى عندما يتعلّق الأمر بممارسة الحق في الدّفاع عن النّفس، فمن الضروري أن نلتزم باستخدام القوّة المتناسب.
قد لا ندرك أنّ الضّحايا المدنيّين ليسوا ”أضرارًا جانبيّة“. بل هم رجال ونساء، ولهم أسماء وأسماء عائلات، ويفقدون حياتهم. إنّهم أطفال يظلّون أيتامًا ومحرومين لا مستقبل لهم. إنّهم أناس يعانون من الجوع والعطش والبرد، هم أناس مقطّعة أعضاؤهم بالأسلحة الحديثة. لو تجرّأنا ونظرنا إلى كلّ واحد منهم في عينيه، وناديناهم باسمهم، واستحضرنا تاريخهم الشّخصي، لرأينا الحرب على حقيقتها: لا شيء سوى مأساة فظيعة و”مجزرة عديمة الفائدة“[3]، تنقض كرامة كلّ إنسان على هذه الأرض.
ومن ناحية أخرى، فإنّ الحروب يمكن أن تستمرّ بفضل توفر كميّات الأسلحة الهائلة. من الضّروريّ اتّباع سياسة نزع السّلاح، لأنّه من الوهم الاعتقاد بأنّ للتسلّح قيمة رادعة. بل العكس هو الصّحيح: فتوافر الأسلحة يشجّع على استخدامها ويزيد إنتاجها. الأسلحة تزيد عدم الثّقة وتحوِّل الموارد. كم هو عدد الأرواح التي يمكن إنقاذها بالموارد المخصّصة حاليًّا للتسلّح؟ أليس من الأفضل استثمارها لصالح الأمن العالميّ الحقيقي؟ إنّ تحدّيات عصرنا تتجاوز الحدود، كما يتبيّن من الأزمات المختلفة - الغذائيّة، والبيئيّة، والاقتصاديّة، والصّحيّة - التي تميَّزت بها بداية القرن. وهنا، أكرّر الاقتراح الدّاعي إلى إنشاء صندوق عالميّ للقضاء نهائيًّا على الجوع[4] وتعزيز التّنمية المستدامة للكوكب بأكمله.
ومن بين التّهديدات التي تسبّبها أدوات الموت هذه، لا يسعني إلّا أن أذكر التّهديد الذي تسبّبه التّرسانات النّوويّة وتطوير الأجهزة المتطوّرة والمدمّرة بشكل متزايد. وأكرّر مرّة أخرى عدم أخلاقيّة تصنيع وحيازة الأسلحة النّوويّة. وفي هذا الصّدد، أعرب عن أملي في أن نتمكّن من التّوصّل إلى استئناف المفاوضات في أقرب وقت ممكن من أجل استئناف خطّة العمل الشّاملة المشتركة، المعروفة باسم ”الاتفاق النّووي الإيراني“، لضمان مستقبل أكثر أمانًا للجميع.
مع ذلك، لتحقيق السّلام، لا يكفي مجرّد إزالة أدوات الحرب، فمن الضّروريّ استئصال أسباب الحرب من جذورها، وفي المقام الأوّل الجوع، وهو الآفة التي لا تزال تؤثّر على مناطق بأكملها من الأرض، بينما وفي أجزاء أخرى هناك هدر كبير للطعام. ثمّ هناك استغلال الموارد الطّبيعيّة، الذي يثري قلّة من النّاس، ويترك السّكّان بأكملهم، هم الذين كان من الواجب أن يكونوا المستفيدين الطّبيعيّين من هذه الموارد، في البؤس والفقر. وبطريقة معيّنة، يرتبط هذا الأمر باستغلال الأشخاص، الذين يُجبَرون على العمل بأجور زهيدة وبدون آفاق حقيقيّة للنّمو المهنيّ.
والكوارث الطّبيعيّة والبيئيّة هي أيضًا من بين أسباب الصّراع. بالتّأكيد هناك كوارث لا تستطيع يد الإنسان السّيطرة عليها. أفكّر في الزّلازل الأخيرة التي ضربت المغرب والصّين والتي تسبّبت في سقوط مئات الضّحايا، وكذلك الزّلزال الذي ضرب تركيّا وقسمًا من سوريا وخلَّف وراءه سلسلة رهيبة من الموت والدّمار. أفكّر أيضًا في الفيضان الذي ضرب درنة في ليبيا، والذي دمّر المدينة فعليًّا، وذلك أيضًا بسبب انهيار سدَّين.
ومع ذلك، هناك كوارث تعزى أيضًا إلى عمل الإنسان أو إهماله وتساهم بشكل خطير في أزمة المناخ المستمرّة، مثل إزالة غابات الأمازون، التي هي ”الرّئة الخضراء“ للأرض.
كانت أزمة المناخ والبيئة موضوع المؤتمر الثّامن والعشرين للدّول الأطراف في اتفاقيّة الأمم المتّحدة الإطاريّة بشأن تغيّر المناخ (COP28)، الذي انعقد في دبي الشّهر الماضي، والذي أسفتُ لعدم تمكّني من حضوره شخصيًّا. وقد بدأ بالتّزامن مع إعلان المنظمّة العالميّة للأرصاد الجويّة أنّ سنة 2023 كانت السّنة الأكثر حرارة مقارنة بـ 174 سنة التي تمّ تسجيلها سابقًا. تتطلّب أزمة المناخ استجابة عاجلة بشكل متزايد وتتطلّب المشاركة الكاملة من الجميع، وكذلك الأسرة الدّوليّة كلّها[5].
إنّ اعتماد الوثيقة النّهائيّة في مؤتمر الأطراف الثّامن والعشرين يمثّل خطوة مشجّعة ويكشف أنّه في مواجهة الأزمات العديدة التي نشهدها، هناك إمكانيّة تنشيط التّعدديّة من خلال إدارة قضيّة المناخ العالمي، في عالم حيث المشاكل البيئيّة والاجتماعيّة والسّياسيّة ترتبط ارتباطًا وثيقًا. لقد ظهر بوضوح في مؤتمر الأمم المتّحدة المعني بتغيّر المناخ (COP28) أنّ العقد الحالي هو العقد الحاسم لمعالجة تغيّر المناخ. إنّ الاهتمام بالخليقة والسّلام "هي القضايا الأكثر إلحاحًا وهي مترابطة"[6]. لذلك آمل أن يؤدّي ما تمّ الاتّفاق عليه في دبي إلى "تسريع حاسم للتّحوّل البيئي، من خلال طرق […] تتحقّق في أربعة مجالات: الفعاليّة في الإجراءات، والمصادر المتجدّدة، والقضاء على الوقود الأحفوري، والتّربية على أنماط حياة أقلّ اعتمادًا على الوقود المذكور"[7].
إنّ الحروب والفقر وإساءة استخدام بيتنا المشترك والاستغلال المستمّر لموارده، التي هي أصل الكوارث الطّبيعيّة، هي أسباب تدفع أيضًا آلاف الأشخاص إلى ترك أراضيهم بحثًا عن مستقبل سلام وأمان. في رحلتهم، يعرّضون حياتهم للخطر على طرق محفوفة بالمخاطر كما هو الحال في الصّحراء الكبرى، وفي غابات دارين (Darién) على الحدود بين كولومبيا وبنما، في أمريكا الوسطى، وفي شمال المكسيك، على الحدود مع الولايات المتّحدة. وخصوصًا في البحر الأبيض المتوسّط.
وللأسف، تحوَّل هذا الأخير في العقد الماضي إلى مقبرة كبيرة، تتلاحق فيه المآسي، وذلك أيضًا بسبب المتاجرين بالبشر عديميّ الضّمير. ومن بين الضّحايا الكثيرة، لا ننسى أنّ هناك العديد من القاصرين المسافرين وحدهم.
يجب أن يكون البحر الأبيض المتوسّط مصنعًا للسّلام، "مكانًا تلتقي فيه بلدان مختلفة ووقائع مختلفة، والحقائق على أساس الإنسانيّة التي نتشارك فيها جميعًا"[8]، كما أتيحت لي الفرصة للتّأكيد في مرسيليا، خلال رحلتي، والتي أشكر عليها المنظمّين والسّلطات الفرنسيّة، في مناسبة لقاءات البحر الأبيض المتوسّط. في مواجهة هذه المأساة الهائلة، يمكن بسهولة أن نغلق قلوبنا، ونتحصَّن خلف الخوف من ”الغزو“. وننسى بسهولة أنّ أمامنا أشخاصًا بوجوه وأسماء، ونتجاهل الدّعوة الخاصّة لما نسمّيه ”بحرنا“، وهي ألّا يكون قبرًا، بل مكانًا للقاء والإثراء المتبادل بين النّاس والشّعوب والثّقافات. وهذا لا يعني أنّه يجب ألّا تنظَّم الهجرة لاستقبال المهاجرين وتشجيعهم ومرافقتهم وإدماجهم، مع احترام ثقافة وحساسيّة وسلامة السّكّان المسؤولين عن الاستقبال والإدماج. ومن ناحيّة أخرى، من الضّروريّ أيضًا التّذكير بحقّ الفرد في البقاء في وطنه وما يترتّب على ذلك من ضرورة تهيئة الظّروف اللازمة لممارسة هذا الحقّ فعلًا.
وفي مواجهة هذا التّحدي، لا يمكن ترك أيّ بلد وحده، ولا يمكن لأيّ أحد أن يفكّر في معالجة هذه القضيّة وحده عن طريق تشريعات تزيد من التّضييقات والقمع، يتمّ إقرارها أحيانًا تحت ضغط الخوف أو بحثًا عن الأصوات في الانتخابات. ولذلك فإنّني أرحّب بارتياح بالتّزام الاتّحاد الأوروبي للبحث عن حلّ مشترك باعتماد ميثاق جديد بشأن الهجرة واللجوء، مع الإشارة إلى بعض القيود، خاصّة فيما يتعلّق بالاعتراف بحقّ اللجوء وخطر الاحتجاز التعسّفي.
السّفراء الأعزّاء،
الطّريق إلى السّلام يتطلّب احترام الحياة، حياة كلّ إنسان، بدءًا من الجنين في بطن أمّه، والذي لا يمكن الاعتداء عليه، ولا تحويله إلى استغلال تجاري معتلّ. وفي هذا الصّدد، أرى أنّ ممارسة ما يسمّى بتأجير الأرحام أمر مؤسف، ومسيء بشكل خطير لكرامة المرأة والطّفل. يقوم على استغلال حالة الحاجة الماديّة للأمّ. الطّفل هو دائمًا هبة وليس موضوعًا لعقد تجاري. ولذلك آمل أن تلتزم الأسرة الدّوليّة بحظر هذه الممارسة على المستوى العالميّ. يجب الحفاظ على الحياة البشريّة وحمايتها، في كلّ لحظة من وجودها، بينما ألاحظ بأسف، خاصّة في الغرب، الانتشار المستمّر لثقافة الموت، التي تتجاهل الأطفال والمسنّين والشّيوخ باسم شفقة زائفة.
الطّريق إلى السّلام يتطلّب احترام حقوق الإنسان، وفقًا للصياغة البسيطة والواضحة الواردة في الإعلان العالمي لحقوق الإنسان، الذي احتفلنا مؤخّرًا بالذّكرى السّنويّة الخامسة والسّبعين له. هذه مبادئ واضحة موافقة للعقل ومقبولة بصورة عامّة. للأسف، فإنّ المحاولات التي جرت في العقود الأخيرة لإدخال حقوق جديدة، لا تتفّق تمامًا مع تلك المحدّدة أصلًا وغير المقبولة دائمًا، قد أدّت إلى ظهور ظاهرة الاستعمار الأيديولوجيّ، وتلعب فيها نظريّة ”الجندر“ دورًا رئيسيًّا فيها، وهو أمر خطير جدًّا، لأنّه يدَّعي مَحوَ الاختلافات بجعل الجميع متساوين. إنّ مثل هذا الاستعمار الأيديولوجيّ يسبّب الجروح والانقسامات بين الدّول، بدلًا من تعزيز بناء السّلام.
يجب أن يكون الحوار روح الأسرة الدّوليّة. وفي الوضع الحالي ضعف في الهيكليّات الدّبلوماسيّة المتعدّدة الأطراف التي رأت النّور بعد الحرب العالميّة الثّانية. كانت هيئات أُنشئت لتعزيز الأمن والسّلام والتّعاون، ولم تعد قادرة على جمع جميع أعضائها حول مائدة واحدة. وهناك خطر حدوث ”أحاديّة“ وتفتّت إلى جماعات لا تسمح بدخولها إلّا للدّول التي تعتبر متشابهة أيديولوجيًّا. وحتّى تلك الهيئات التي ظلّ لها فعاليّة حتّى الآن، إذا ركَّزت على الخير العام وعلى القضايا الفنيّة، فإنّها تتعرّض لخطر الشّلل بسبب الاستقطابات الأيديولوجيّة، التي تستغلّها بعض الدّول بمفردها.
من أجل إعادة إطلاق التّزام مشترك في خدمة السّلام، من الضّروريّ استعادة الجذور والرّوح والقِيَم التي أدّت إلى ظهور تلك الهيئات، مع مراعاة السّياق الذي تغيّر وإيلاء الاعتبار للذين لا يشعرون بأنّهم ممثَّلون بصورة كافية في المنظّمات الدّوليّة.
ومن المؤكّد أنّ الحوار يتطلّب الصّبر والمثابرة والمقدرة على الإصغاء، وعندما نسعى بجهود صادقة لوضع حدّ للخلافات، يمكن تحقيق نتائج مهمّة. أفكّر، على سبيل المثال، في اتّفاق بلفاست، المعروف أيضًا باسم اتّفاق الجمعة العظيمة، الذي وقّعت عليه الحكومتان البريطانيّة والإيرلنديّة، وقد تمّ الاحتفال بالذّكرى السّنويّة الخامسة والعشرين له في السّنة الماضية. وقد وضع حدًّا لثلاثين سنة من الصّراع العنيف، ويمكن أن يكون مثالًا لتشجيع وتحفيز السّلطات على الإيمان بعمليّات السّلام، على الرّغم من الصّعوبات والتّضحيات التي تتطلّبها.
إنّ الطّريق إلى السّلام يمرّ عبر الحوار السّياسيّ والاجتماعيّ، لأنّه أساس العيش المدنيّ معًا لمجتمع سياسيّ حديث. ستشهد سنة 2024 الدّعوة لإجراء انتخابات في دول عديدة. الانتخابات هي لحظة أساسيّة في حياة كلّ بلد، لأنّها تسمح لجميع المواطنين باختيار حكامهم بصورة مسؤولة. كلمات البابا بيوس الثّاني عشر في هذا الموضوع لها وقعها ومعناها اليوم أكثر من أيّ وقت مضى: "أن تعبّر عن رأيك في الواجبات والتّضحيات المفروضة عليك، حتّى لا تُجبَرَ على الطّاعة دون أن تُسمِعَ صوتك: هذان حقّان من حقوق المواطن، يجدان تعبيرهما في الدّيمقراطيّة، كما تشير هذه اللفظة إلى ذلك. ومن الصّلابة والانسجام ومن الثّمار الإيجابيّة النّاجمة عن هذا التّواصل بين المواطنين وحكومة الدّولة، يمكن أن نعرف هل الدّيمقراطيّة هي حقًّا سليمة ومتوازنة، وما هي إمكاناتها للحياة والنُّمُوّ"[9].
لذلك، من المهمّ أن يرى المواطنون، وخاصّة الأجيال الشّابة التي تُدعى إلى صناديق الاقتراع للمرّة الأولى، أنّ مسؤوليّتهم الأساسيّة هي المساهمة في بناء الخير العام، من خلال المشاركة الحرّة والواعية في التّصويت. ومن ناحيّة أخرى، يجب أن نفهم أنّ السّياسة ليست استيلاء على السّلطة، بل هي "أسمى شكل من أشكال المحبّة"[10]، ومن ثَمَّ، فهي خدمة للقريب في داخل المجتمع المحلّي والوطني.
إنّ الطّريق إلى السّلام يمرّ أيضًا عبر الحوار بين الأديان الذي يتطلّب أوّلًا وقبل كلّ شيء حماية الحرّيّة الدّينيّة واحترام الأقلّيّات. ومن المؤلم، على سبيل المثال، أن نلاحظ أنّ عدد البلدان التي تتبنّى طرق مراقبة مركزيّة على حرّيّة الدّين، مع استخدام مكثّف للتكنولوجيا، آخذ في الازدياد. وفي أماكن أخرى، الجماعات الدّينيّة تجد نفسها بسبب قلّة عددها في وضع مأساويّ على نحو متزايد. وفي بعض الحالات، يتعرّضون لخطر الانقراض، بسبب كثرة الأعمال الإرهابيّة، والهجمات على التّراث الثّقافي، والإجراءات الخفيّة ضدّهم، مثل كثرة التّشريعات ضدّ تغيير الدّين، والتّلاعب بالقواعد الانتخابيّة والقيود الماليّة.
إنّ تزايد الأعمال المعادية للسّامية التي حدثت في الأشهر الأخيرة أمر مثير للقلق بشكل خاصّ، وأكرّر مرّة أخرى أنّه يجب استئصال هذه الآفة من المجتمع، وخاصّة بالتّربية على الأخوّة وقبول الآخر.
ما يثير القلق بالمقدار نفسه هو تزايد الاضطهاد والتّفرقة ضدّ المسيحيّين، خاصّة في السّنوات العشر الماضية. وهي إجراءات لها صلة، ولو بطريقة غير دمويّة وغير ظاهرة في المجتمع، بظاهرة التّهميش البطيء والاستبعاد من الحياة السّياسيّة والاجتماعيّة ومن ممارسة بعض المهن، وهذا يحدث أيضًا في بلدان أصلًا مسيحيّة. بشكل عام، هناك أكثر من 360 مليون مسيحيّ حول العالم يعانون الاضطهاد الشّديد والتّفرقة بسبب إيمانهم، وهناك عدد متزايد من المسيحيّين الذين يضطرّون إلى الهرب من أوطانهم.
وأخيرًا، فإنّ الطّريق إلى السّلام يمرّ عبر التّربية، وهي الاستثمار الرّئيسيّ للمستقبل وفي الأجيال الشّابّة. لا أزال أحتفظ بذكريات حيّة عن اليوم العالميّ للشّبيبة الذي أقيم في البرتغال في آب/أغسطس الماضي. إنّي أشكر مرّة أخرى السّلطات البرتغاليّة، المدنيّة والدّينيّة، على التزامها في تنظيم اللقاء، ما زال ذكره في قلبي، اللقاء مع أكثر من مليون شاب، أتوا من جميع أنحاء العالم، مليئين بالحماس وحبّ الحياة. كان حضورهم نشيدًا بليغًا للسّلام وشهادة بأنّ "الوَحدة تتفوَّق على الصّراع"[11] وأنّه "من الممكن تنمية الوَحدة في الاختلافات"[12].
في العصر الحديث، جزء من التّحدي في التّربية هو الاستخدام الأخلاقيّ للتكنولوجيّات الجديدة. فهي يمكن أن تصبح بسهولة أدوات للانقسام أو نشر الأكاذيب، أو ما يسمّى بالأخبار المزّيفة، ولكنّها أيضًا وسيلة للقاء والتّبادل وأداة مهمّة للسّلام. "إنّ التّقدّم الملحوظ الذي حقّقته تكنولوجيّات المعلومات الجديدة، وخاصّة في المجال الرّقمي، هي في الوقت نفسه فرص إيجابيّة مثيرة ومخاطر جسيمة، ولها آثار خطيرة على السّعي لتحقيق العدالة والوئام بين الشّعوب"[13]. ولهذا السّبب رأيت أنّه من المهمّ تخصيص الرّسالة السّنويّة لليوم العالميّ للسّلام للذّكاء الاصطناعي، الذي هو من أهمّ تحدّيات السّنوات المقبلة.
ومن الضّروريّ أن يتمّ التّطوّر التّكنولوجيّ بطريقة أخلاقيّة ومسؤولة، مع الحفاظ على مركزيّة الإنسان، الذي لا يمكن ولن يمكن استبدال مساهمته بخوارزميّة أو آلة. "إنّ الكرامة الجوهريّة لكلّ شخص والأخوّة التي تربطنا كأعضاء في الأسرة البشريّة الواحدة يجب أن تكون في أساس تطوير التّقنيّات الجديدة وتكون بمثابة معايير لا جدال فيها لتقييمها قبل استخدامها، حتّى يمكن تحقيق التّقدّم الرّقمي، في احترام العدل والمساهمة في قضيّة السّلام"[14].
لذلك لا بد من تفكير دقيق، على كافّة المستويات، الوطنيّة والدّوليّة، والسّياسيّة والاجتماعيّة، بحيث يبقى تطوير الذّكاء الاصطناعيّ في خدمة الإنسان، ويشجّع ولا يعيق، وخاصّة في الشّباب، العلاقات بين الأشخاص، وروح أخوّة سليمة، وفكر نقدي قادر على التّمييز.
ومن هذا المنظور، يكتسب المؤتمران الدّبلوماسيّان للمنظمّة العالميّة للملكيّة الفكريّة أهميّة خاصّة، اللذين سيُعقدان في سنة 2024 ويشارك فيهما الكرسيّ الرّسوليّ كدولة عضو. يرى الكرسيّ الرّسوليّ أنّ الملكيّة الفكريّة موجّهة بشكل أساسي نحو تعزيز الخير العام ولا يمكنها تحرير نفسها من القيود الأخلاقيّة، لأنّ ذلك يؤدي إلى حالات ظلم واستغلال غير مبرّر. ويجب بعد ذلك إيلاء اهتمام خاص لحماية التّراث الجيني البشري، ومنع تنفيذ الممارسات التي تتعارض مع كرامة الإنسان، مثل إمكانيّة الحصول على براءة اختراع للمواد البيولوجيّة البشريّة واستنساخ البشر.
أصحاب السّعادة، سيداتي، سادتي،
تستعدّ الكنيسة هذه السّنة لليوبيل الذي سيبدأ في عيد الميلاد المقبل. وأشكر بصورة خاصّة السّلطات الإيطاليّة، الوطنيّة والمحليّة، للالتزام الذي تقوم به في إعداد مدينة روما لاستقبال العديد من الحجّاج والسّماح لهم بجني الثّمار الرّوحيّة من مسيرة اليوبيل.
إنّا نحتاج اليوم أكثر من أيّ وقت مضى إلى السّنة اليوبيليّة. لنواجه الآلام العديدة التي تسبّب يأسًا ليس فقط في الأشخاص المتأثّرين بشكل مباشر، ولكن في جميع مجتمعاتنا. أمام شبابنا، الذين بدلًا من أن يحلموا بمستقبل أفضل يرون أنفسهم يشعرون بالعجز والإحباط، وأمام ظُلمة هذا العالم، التي يبدو وكأنّها تنتشر بدلًا من أن تبتعد، اليوبيل هو الإعلان أنّ الله لا يترك شعبه أبدًا وأنّه يبقي دائمًا أبواب ملكوته مفتوحة. في التّقليد اليهوديّ المسيحيّ، اليوبيل هو زمن نعمة نختبر فيه رحمة الله وعطيّة سلامه. وهو زمن عدل تُغفَرُ فيه الخطايا، وفيه المصالحة تتغلّب على الظّلم، والأرض تطمئن. يمكن أن يكون للجميع – مسيحيّين وغير مسيحيّين – هو الزّمن الذي فيه تُكسَّر السّيوف ويُصنَعُ منها سكك الحراثة، هو الزّمن الذي لن تعود فيه أمّة ترفع السّيف على أمّة أخرى، ولن تتعلّم الحرب من بعد (راجع أشعيا 2، 4).
هذه هي أمنيتي التي أتمنّاها من كلّ قلبي لكلّ واحد منكم، السّفراء الأعزّاء، ولعائلاتكم ومعاونيكم، وللشّعوب التي تمثّلونها.
شكرًا وسنة سعيدة للجميع!
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[1] رسالة إذاعيّة لعيد الميلاد إلى شعوب العالم بأسره، 24 كانون الأوّل/ديسمبر 1944.
[2] دستور رعوي "فرح ورجاء"، الكنيسة في عالم اليوم، 7 كانون الأوّل/ديسمبر 1965، 79.
[3] راجع بندكتس الخامس عشر، رسالة إلى رؤساء الشّعوب المتحاربة، 1 آب/أغسطس 1917.
[4] راجع رسالة بابويّة عامة، كلّنا إخوة، في الأخوّة والصّداقة الاجتماعيّة، 3 تشرين الأوّل/أكتوبر 2020، 262.
[5] راجع الإرشاد الرّسوليّ، سبِّحوا الله، إلى كلّ النّاس ذوي النّية الصّالحة حول الأزمة المناخيّة، 4 تشرين الأوّل/أكتوبر 2023.
[6] كلمة إلى مؤتمر الدّول الأطراف في اتفاقيّة الأمم المتّحدة الإطاريّة بشأن تغيّر المناخ، 2 كانون الأوّل/ديسمبر 2023.
[7] المرجع نفسه.
[8] كلمة في الجلسة الختامية ”للقاءات البحر الأبيض المتوسط“، مارسيليا، 23 أيلول/سبتمبر 2023، 1.
[9] راجع رسالة إذاعيّة لعيد الميلاد إلى شعوب العالم بأسره، 24 كانون الأوّل/ديسمبر 1944.
[10] بيوس الحادي عشر، لقاء لرؤساء اتّحاد الجامعات الكاثوليكيّة، 18 كانون الأوّل/ديسمبر 1927.
[11] الإرشاد الرّسوليّ، فرح الإنجيل، 24 تشرين الثّاني/نوفمبر 2013، 228.
[12] المرجع نفسه.
[13] رسالة في مناسبة اليوم العالمي السّابع والخمسين للسّلام، 8 كانون الأوّل/ديسمبر 2023، 1.
[14] المرجع نفسه، 2.
[00034-AR.02] [Testo originale: Italiano]
[B0019-XX.02]