Omelia del Santo Padre
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Alle ore 10 di questa mattina, Solennità dell’Epifania del Signore, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Santa Messa nella Basilica di San Pietro.
Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Santo Vangelo:
Omelia del Santo Padre
I Magi si mettono in viaggio alla ricerca del Re che è nato. Essi sono immagine dei popoli in cammino alla ricerca di Dio, degli stranieri che ora sono condotti sul monte del Signore (cfr Is 56,6-7), dei lontani che adesso possono udire l’annuncio della salvezza (cfr Is 33,13), di tutti gli smarriti che sentono il richiamo di una voce amica. Perché ora, nella carne del Bambino di Betlemme, la gloria del Signore si è rivelata a tutte le genti (cfr Is 40,5) e «ogni uomo vedrà la salvezza di Dio» (Lc 3,6). È il pellegrinaggio umano, di ognuno di noi, dalla lontananza alla vicinanza.
I Magi hanno gli occhi puntati verso il cielo, ma i piedi in cammino sulla terra e il cuore prostrato in adorazione. Ripeto: gli occhi puntati verso il cielo, i piedi in cammino sulla terra, il cuore prostrato in adorazione.
Anzitutto, i Magi hanno gli occhi puntati verso il cielo. Sono abitati dalla nostalgia dell’infinito e il loro sguardo è attratto dagli astri celesti. Non vivono guardando la punta dei loro piedi, ripiegati su sé stessi, prigionieri di un orizzonte terreno, trascinandosi nella rassegnazione o nella lamentela. Essi alzano il capo, per attendere una luce che illumini il senso della loro vita, una salvezza che viene dall’alto. E così vedono spuntare una stella, più luminosa di tutte, che li attrae e li mette in cammino. Questa è la chiave che dischiude il significato vero della nostra esistenza: se viviamo rinchiusi nel ristretto perimetro delle cose terrene, se marciamo a testa bassa ostaggi dei nostri fallimenti e dei nostri rimpianti, se siamo affamati di beni e consolazioni mondane – che oggi ci sono e domani non ci saranno più – invece che cercatori di luce e di amore, la nostra vita si spegne. I Magi, che pure sono stranieri e ancora non hanno incontrato Gesù, ci insegnano a guardare in alto, ad avere lo sguardo rivolto al cielo, ad alzare gli occhi verso i monti da dove ci verrà l’aiuto, perché il nostro aiuto viene dal Signore (cfr Sal 121,1-2).
Fratelli e sorelle, gli occhi puntati al cielo! Abbiamo bisogno di aver lo sguardo rivolto verso l’alto anche per imparare a vedere la realtà dall’alto. Ne abbiamo bisogno nel cammino della vita, per farci accompagnare dall’amicizia con il Signore, dal suo amore che ci sostiene, dalla luce della sua Parola che ci guida come stella nella notte. Ne abbiamo bisogno nel cammino della fede, perché non si riduca a un insieme di pratiche religiose o a un abito esteriore, ma diventi un fuoco che ci brucia dentro e ci fa diventare appassionati cercatori del volto del Signore e testimoni del suo Vangelo. Ne abbiamo bisogno nella Chiesa, dove, invece che dividerci in base alle nostre idee, siamo chiamati a rimettere Dio al centro. Ne abbiamo bisogno per abbandonare le ideologie ecclesiastiche, per trovare il senso della Santa Madre Chiesa, l’habitus ecclesiale. Ideologie ecclesiastiche, no; vocazione ecclesiale, sì. Il Signore, e non le nostre idee o i nostri progetti, dev’essere al centro. Ripartiamo da Dio, cerchiamo in Lui il coraggio di non fermarci davanti alle difficoltà, la forza di superare gli ostacoli, la gioia di vivere nella comunione e nella concordia.
I Magi non solo guardano la stella, le cose alte, ma hanno anche i piedi in cammino sulla terra. Essi si mettono in viaggio verso Gerusalemme, e chiedono: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (Mt 2,2). Una cosa sola: i piedi collegati con la contemplazione. L’astro che brilla nel cielo li rimanda a percorrere le strade della terra; alzando il capo verso l’alto sono sospinti a scendere in basso; cercando Dio sono inviati a trovarlo nell’uomo, in un Bambino che giace in una mangiatoia, perché Dio che è l’infinitamente grande si è svelato in questo piccolo, infinitamente piccolo. Ci vuole saggezza, ci vuole l’assistenza dello Spirito Santo per capire la grandezza e la piccolezza nella manifestazione di Dio.
Fratelli e sorelle, i piedi in cammino sulla terra! Il dono della fede non ci è dato per restare a fissare il cielo (cfr At 1,11), ma per camminare sulle strade del mondo come testimoni del Vangelo; la luce che illumina la nostra vita, il Signore Gesù, non ci è data solo per essere consolati nelle nostre notti, ma per aprire squarci di luce nelle tenebre fitte che avvolgono tante situazioni sociali; il Dio che viene a visitarci non lo troviamo restando fermi in qualche bella teoria religiosa, ma solo mettendoci in cammino, cercando i segni della sua presenza nelle realtà di ogni giorno e, soprattutto, incontrando e toccando la carne dei fratelli. Contemplare Dio è bello, ma soltanto è fecondo se noi rischiamo, il rischio del servizio di portare Dio. I Magi cercano Dio, il grande Dio, e trovano un Bambino. Questo è importante: incontrare Dio in carne e ossa, nei volti che ogni giorno ci passano accanto, specialmente quelli dei più poveri. I Magi, infatti, ci insegnano che l’incontro con Dio sempre ci apre a una speranza più grande, che ci fa cambiare stile di vita e ci fa trasformare il mondo. Benedetto XVI affermava: «Se manca la vera speranza, si cerca la felicità nell’ebbrezza, nel superfluo, negli eccessi, e si rovina se stessi e il mondo. […] Per questo c’è bisogno di uomini che nutrano una grande speranza e possiedano perciò molto coraggio. Il coraggio dei Magi, che intrapresero un lungo viaggio seguendo una stella, e che seppero inginocchiarsi davanti a un Bambino e offrirgli i loro doni preziosi» (Omelia 6 gennaio 2008).
Infine, pensiamo anche che i Magi hanno il cuore prostrato in adorazione. Guardano la stella nel cielo, ma non si rifugiano in una devozione staccata dalla terra; si mettono in viaggio, ma non vagano come turisti senza meta. Essi arrivarono a Betlemme e, quando videro il Bambino, «si prostrarono e lo adorarono» (Mt 2,11). Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono oro, incenso e mirra. «Con questi mistici doni fanno conoscere chi è colui che adorano: con l’oro dichiarano che egli è Re, con l’incenso che è Dio, con la mirra che è mortale» (S. Gregorio Magno, Omelia X nel giorno dell’Epifania, 6). Un re che è venuto a servirci, un Dio che si è fatto uomo. Dinanzi a questo mistero, siamo chiamati a piegare il cuore e le ginocchia per adorare: adorare il Dio che viene nella piccolezza, che abita la normalità delle nostre case, che muore per amore. Il Dio che, «mentre si manifestava nell’immensità del cielo con i segni degli astri, si faceva trovare […] in un angusto rifugio; debole nelle carni di un bambino, avvolto in panni da neonato veniva adorato dai magi e temuto dai malvagi» (S. Agostino, Discorsi, 200). Fratelli e sorelle, abbiamo perso l’abitudine di adorare, abbiamo perso questa capacità che ci dà l’adorazione. Riscopriamo il gusto della preghiera di adorazione. Riconosciamo Gesù come nostro Dio, come nostro Signore, e adoriamo.
Oggi i Magi ci invitano ad adorare. Manca l’adorazione oggi tra noi.
Fratelli e sorelle, come i Magi, alziamo gli occhi al cielo, mettiamoci in cammino alla ricerca del Signore, pieghiamo il cuore in adorazione. Guardare il cielo, andare in cammino e adorare. E chiediamo la grazia di non perdere mai il coraggio: il coraggio di essere cercatori di Dio, uomini di speranza, intrepidi sognatori che scrutano il cielo, il coraggio della perseveranza nel camminare e sulle strade del mondo, con la stanchezza del vero cammino, e il coraggio di adorare, il coraggio di guardare il Signore che illumina ogni uomo. Che il Signore ci dia questa grazia, soprattutto la grazia di saper adorare.
[00026-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Les Mages se mettent en route à la recherche du Roi qui est né. Ils sont l’image des peuples en chemin à la recherche de Dieu, des étrangers qui sont désormais conduits sur la montagne du Seigneur (cf. Is 56, 6-7), des personnes qui sont loin qui peuvent maintenant entendre l’annonce du salut (cf. Is 33, 13), de tous les égarés qui entendent l’appel d’une voix amicale. Car maintenant, dans la chair de l’Enfant de Bethléem, la gloire du Seigneur s’est révélée à toutes les nations (cf. Is 40, 5) et «tout être vivant verra le salut de Dieu» (Lc 3, 6). C'est le pèlerinage humain de chacun d'entre nous, de la distance à la proximité.
Les Mages ont le regard tourné vers le ciel, mais les pieds qui marchent sur la terre, et le cœur prosterné en adoration. Je répète : le regard tourné vers le ciel, les pieds qui marchent sur terre, le cœur prosterné en adoration.
Tout d’abord, les Mages ont le regard tourné vers le ciel. Ils sont habités par la nostalgie de l’infini et leur regard est attiré par les astres. Ils ne vivent pas en regardant le bout de leurs pieds, repliés sur eux-mêmes, prisonniers d’un horizon terrestre, se traînant dans la résignation ou la plainte. Ils lèvent la tête, pour attendre une lumière qui éclaire le sens de leur vie, un salut qui vienne d’en haut. Et ainsi, ils voient surgir une étoile, plus brillante que toutes, qui les attire et qui les met en route. C’est la clé qui révèle le vrai sens de notre existence: si nous vivons enfermés dans le périmètre étroit des choses terrestres, si nous marchons tête baissée, otages de nos échecs et de nos regrets, si nous sommes affamés de biens et de consolations mondaines - qui sont là aujourd'hui et disparaîtront demain - au lieu de rechercher lumière et amour, notre vie s’éteint. Les Mages, qui sont pourtant étrangers et qui n’ont pas encore rencontré Jésus, nous enseignent à regarder vers le haut, à regarder vers le ciel, à lever les yeux vers les montagnes d’où viendra l’aide, car notre aide vient du Seigneur (cf. Ps 121, 1-2).
Frères et sœurs, le regard tourné vers le ciel! Nous devons avoir le regard tourné vers le haut pour apprendre aussi à voir la réalité d’en haut. Nous en avons besoin sur le chemin de la vie pour nous faire accompagner par l’amitié du Seigneur, par son amour qui nous soutient, par la lumière de sa Parole qui nous guide comme une étoile dans la nuit. Nous en avons besoin sur le chemin de la foi, afin qu’elle ne se réduise pas à un ensemble de pratiques religieuses ou à un habit extérieur, mais qu’elle devienne un feu qui brûle en nous et qu’elle nous fasse devenir des chercheurs passionnés du visage du Seigneur et des témoins de son Évangile. Nous en avons besoin dans l’Église, où, au lieu de nous diviser selon nos idées, nous sommes appelés à remettre Dieu au centre. Nous en avons besoin pour abandonner les idéologies ecclésiastiques, pour retrouver le sens de notre Sainte Mère l'Église, l'habitus ecclésial. Idéologies ecclésiastiques, non ; vocation ecclésiale, oui. Le Seigneur, et non nos idées ou nos projets, doit être au centre. Repartons de Dieu, cherchons-en Lui le courage de ne pas nous arrêter devant les difficultés, la force de surmonter les obstacles, la joie de vivre dans la communion et dans la concorde.
Les Mages ne regardent pas seulement l'étoile, les choses élevées, mais ils ont également les pieds en marche sur la terre. Ils se mettent en route vers Jérusalem, et demandent: «Où est le roi des Juifs qui vient de naître? Nous avons vu son étoile à l’orient et nous sommes venus nous prosterner devant lui» (Mt 2, 2). Une seule chose : des pieds en lien avec la contemplation. L’astre qui brille dans le ciel les renvoie parcourir les routes de la terre; en levant la tête, ils sont poussés à descendre; en cherchant Dieu ils sont envoyés pour le trouver dans l’homme, dans un Enfant couché dans une mangeoire, car Dieu qui est infiniment grand s’est révélé dans ce petit, infiniment petit. Il faut de la sagesse, il faut l'assistance de l’Esprit-Saint pour comprendre la grandeur et la petitesse de la manifestation de Dieu.
Frères et sœurs, les pieds en marche sur la terre! Le don de la foi ne nous est pas fait pour rester fixer le ciel (cf. Ac 1, 11), mais pour marcher sur les routes du monde comme témoins de l’Évangile; la lumière qui éclaire notre vie, le Seigneur Jésus, ne nous est pas donnée seulement pour être consolés dans nos nuits, mais pour ouvrir des trous de lumière dans les ténèbres denses qui enveloppent tant de situations sociales; le Dieu qui vient nous rendre visite, nous ne le trouvons pas en restant immobiles dans une quelconque belle théorie religieuse, mais seulement en nous mettant en chemin, en cherchant les signes de sa présence dans les réalités de chaque jour et, surtout, en rencontrant et en touchant la chair des frères. Contempler Dieu est une bonne chose, mais elle n'est féconde que si nous prenons le risque, le risque du service, de porter Dieu. Les Mages cherchent Dieu, le grand Dieu, et trouvent un Enfant. Cela est important: rencontrer Dieu en chair et en os, sur les visages qui passent chaque jour à nos côtés, en particulier ceux des plus pauvres. Les Mages, en effet, nous enseignent que la rencontre avec Dieu nous ouvre toujours à une espérance plus grande qui nous fait changer de style de vie et qui nous fait transformer le monde. Benoît XVI affirmait: «Si la véritable espérance manque, on recherche le bonheur dans l’ivresse du superflu, dans les excès, et l’on se ruine soi-même, ainsi que le monde. […] C’est pourquoi il y a besoin d’hommes qui nourrissent une grande espérance et qui possèdent donc beaucoup de courage. Le courage des Mages, qui entreprirent un long voyage en suivant une étoile, et qui surent s’agenouiller devant un Enfant et lui offrir leurs dons précieux» (Homélie, 6 janvier 2008).
Enfin, considérons aussi que les Mages ont le cœur prosterné en adoration. Ils regardent l’étoile dans le ciel, mais ne se réfugient pas dans une dévotion détachée de la terre; ils se mettent en voyage, mais ils n’errent pas comme des touristes sans but. Ils arrivent à Bethléem et, quand ils voient l’Enfant, «ils se prosternent devant lui et l’adorent» (Mt 2, 11). Ensuite ils ouvrent leurs coffrets et lui offrent de l’or, de l’encens et de la myrrhe. «Celui qu’ils adorent, les mages le proclament donc aussi par leurs présents mystiques: comme roi par l’or, comme Dieu par l’encens, comme mortel par la myrrhe» (Saint Grégoire le Grand, Homélie X le jour de l’Épiphanie, 6). Un roi qui est venu nous servir, un Dieu qui s’est fait homme. Devant ce mystère, nous sommes appelés à plier le cœur et les genoux pour adorer: adorer le Dieu qui vient dans la petitesse, qui habite la normalité de nos maisons, qui meurt par amour. «Si les astres révélaient [Dieu] au loin dans le ciel, il fallait le chercher pour le trouver dans un étroit réduit; et s’Il était faible dans ce petit corps et enveloppé des langes de l’enfance, Il n’en était pas moins adoré par les Mages et redouté des méchants» (saint augustin, Sermons, 200). Frères et sœurs, nous avons perdu l'habitude d’adorer, nous avons perdu cette capacité que l'adoration nous donne. Redécouvrons le goût de la prière d’adoration. Reconnaissons Jésus comme notre Dieu, comme notre Seigneur, et adorons. Aujourd'hui, les Mages nous invitent à l'adoration. C'est l'adoration qui fait défaut parmi nous aujourd'hui.
Frères et sœurs, comme les Mages, tournons le regard vers le ciel, mettons-nous en chemin à la recherche du Seigneur, courbons le cœur en adoration. Regarder le ciel, marcher et adorer. Et demandons la grâce de ne jamais perdre le courage: le courage d’être des chercheurs de Dieu, des hommes d’espérance, des rêveurs intrépides qui scrutent le ciel, le courage de la persévérance dans la marche, avec la fatigue du vrai chemin, et le courage d'adorer, le courage de regarder le Seigneur qui illumine tout homme. Que le Seigneur nous donne cette grâce, surtout celle de savoir adorer.
0026-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
The Magi set out to seek the newborn King. They are an image of the world’s peoples journeying in search of God, of the foreigners who now are led to the mountain of the Lord (cf. Is 56:6-7), of those who now, from afar, can hear the message of salvation (cf. Is 33:13), of all those who were lost and now hear the beckoning of a friendly voice. For now, in the flesh of the Babe of Bethlehem, the glory of the Lord has been revealed to all the nations (cf. Is 40:5) and “all flesh shall see the salvation of God” (Lk 3:6). This is the pilgrimage of humanity, of each of us, moving from distance to closeness.
The Magi have their eyes raised to the heavens, yet their feet are journeying on the earth, and their hearts are bowed in adoration. Let me repeat this: their eyes are raised to the heavens, their feet are journeying on the earth and their hearts are bowed in adoration.
First, their eyes are raised to the heavens. The Magi are filled with longing for the infinite, and so they gaze at the stars of the evening sky. They do not pass their lives staring at their feet, self-absorbed, confined by earthly horizons, plodding ahead in resignation or lamentation. They lift their heads high and await the light that can illumine the meaning of their lives, the salvation that dawns from on high. They then see a star, brighter than all others, which fascinates them and makes them set out on a journey. Here we see the key to discovering the real meaning of our lives: if we remain closed in the narrow confines of earthly things, if we waste away, heads bowed, hostages of our failures and our regrets; if we thirst for wealth and worldly comforts – which are here today and are gone tomorrow – rather than becoming seekers of life and love, our life slowly loses its light. The Magi, who are still foreigners and have not yet encountered Jesus, teach us to fix our sight on high, to lift our eyes to the heavens, to the hills, from which our help will come, for our help is from the Lord (cf. Ps 121:1-2).
Brothers and sisters, let us raise our eyes to the heavens! We need to lift our gaze on high, in order to be able view reality from on high. We need this on our journey through life, we need to let ourselves walk in friendship with the Lord, we need his love to sustain us, and the light of his word to guide us, like a star in the night. We need to set out on this journey, so that our faith will not be reduced to an assemblage of religious devotions or mere outward appearance, but will instead become a fire burning within us, making us passionate seekers of the Lord’s face and witnesses to his Gospel. We need this in the Church, where, instead of splitting into groups based on our own ideas, we are called to put God back at the centre. We need to let go of ecclesiastical ideologies so that we can discover the meaning of Holy Mother Church, the ecclesial habitus. Ecclesiastical ideologies, no; ecclesial vocation, yes. The Lord, not our own ideas or our own projects, must be at the centre. Let us set out anew from God; let us seek from him the courage not to lose heart in the face of difficulties, the strength to surmount all obstacles, the joy to live in harmonious communion.
The Magi not only gazed at the stars, the things on high; they also had feet journeying on the earth. They set out for Jerusalem and ask, “Where is the Child who has been born King of the Jews? For we have observed his star at its rising, and have come to pay him homage” (Mt 2:2). One single thing: their feet linked with contemplation. The star shining in the heavens sends them forth to travel the roads of the world. Lifting their eyes on high, they are directed to lower them to this world. Seeking God, they are directed to find him in man, in a little Child lying in a manger. For that is where the God who is infinitely great has revealed himself: in the little, the infinitely little. We need wisdom, we need the assistance of the Holy Spirit, to understand the greatness and the littleness of the manifestation of God.
Brothers and sisters, let us keep our feet journeying on this earth! The gift of faith was given to us not to keep gazing at the heavens (cf. Acts 1:11), but to journey along the roads of the world as witnesses to the Gospel. The light that illumines our life, the Lord Jesus, was given to us not to warm our nights, but to let rays of light break through the dark shadows that envelop so many situations in our societies. We find the God who comes down to visit us, not by basking in some elegant religious theory, but by setting out on a journey, seeking the signs of his presence in everyday life, and above all in encountering and touching the flesh of our brothers and sisters. Contemplating God is beautiful, but it is only fruitful if we take a risk, the risk of the service of bringing God to others. The Magi set out to seek God, the great God, and they found a child. This is important: to find God in flesh and bone, in the faces of those we meet each day, and especially in the poor. The Magi teach us that an encounter with God always opens us up to a greater reality, which makes us change our way of life and transform our world. In the words of Pope Benedict XVI: “When true hope is lacking, happiness is sought in drunkenness, in the superfluous, in excesses, and we ruin ourselves and the world… For this reason, we need people who nourish great hope and thus have great courage: the courage of the Magi, who made a long journey following a star, and were able to kneel before a Child and offer him their precious gifts” (Homily, 6 January 2008).
Finally, let us also consider that the Magi have hearts bowed in adoration. They observe the star in the heavens, but they do not take refuge in otherworldly devotion; they set out, but they do not wander about, like tourists without a destination. They came to Bethlehem, and when they saw the child, “they knelt down and paid him homage” (Mt 2:11). Then they opened their treasure chests and offered him gold, frankincense and myrrh. “With these mystical gifts they make known the identity of the one whom they adore: with gold, they declare that he is a King; with frankincense, that he is God; with myrrh, that he is destined to die” (SAINT GREGORY THE GREAT, Hom. X in Evangelia, 6). A King who came to serve us, a God who became man. Before this mystery, we are called to bow our heart and bend our knee in worship: to worship the God who comes in littleness, who dwells in our homes, who dies for love. The God who, “though manifested by the immensity of the heavens and the signs of the stars, chose to be found… beneath a lowly roof. In the frail flesh of a newborn child, wrapped in swaddling clothes, he was worshiped by the Magi and caused fear in the wicked” (SAINT AUGUSTINE, Serm. 200). ). Brothers and sisters, we have lost the habit of adoration, we have lost the ability that gives us adoration. Let us rediscover our taste for the prayer of adoration. Let us acknowledge Jesus as our God and Lord, and worship him. Today the Magi invite us to adore. Nowadays there is a lack of adoration among us.
Brothers and sisters, like the Magi, let us raise our eyes to the heavens, let us set out to seek the Lord, let us bow our hearts in adoration. Looking to the heavens, setting out on a journey and adoring. And let us ask for the grace never to lose courage: the courage to be seekers of God, men and women of hope, intrepid dreamers gazing at the heavens, the courage of perseverance in journeying along the roads of this world with the fatigue of a real journey, and the courage to adore, the courage to gaze upon the Lord who enlightens every man and woman. May the Lord grant us this grace, above all the grace to know how to adore.
[00026-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Die Sterndeuter machen sich auf die Suche nach dem neugeborenen König. Sie stehen für die Völker, die unterwegs sind auf der Suche nach Gott, für die Fremden, die nun zum Berg des Herrn geführt werden (vgl. Jes 56,6-7), für die Fernen, die jetzt die Verkündigung des Heils hören können (vgl. Jes 33,13), für alle Verirrten, die den Ruf einer freundlichen Stimme vernehmen. Denn jetzt, in der konkreten Gestalt des Kindes von Betlehem, hat sich die Herrlichkeit des Herrn allen Völkern offenbart (vgl. Jes 40,5) und »alle Menschen werden das Heil Gottes schauen« (Lk 3,6). Das ist die Pilgerschaft des Menschen, eines jeden von uns, aus der Ferne in die Nähe.
Die Sterndeuter haben ihre Augen zum Himmel gerichtet aber mit ihren Füßen sind sie unterwegs auf der Erde und in Anbetung verneigt sich ihr Herz. Ich wiederhole: die Augen zum Himmel gerichtet, die Füße unterwegs auf der Erde, das Herz in Anbetung geneigt.
Zunächst einmal haben die Sterndeuter ihre Augen zum Himmel gerichtet. Sie sind von der Sehnsucht nach dem Unendlichen beseelt und ihr Blick wird von den Sternen am Himmel angezogen. Sie verbringen ihr Leben nicht damit, in sich gekrümmt die eigenen Zehenspitzen zu betrachten, als Gefangene eines irdischen Horizonts, die sich resigniert oder jammernd dahinschleppen. Sie erheben ihr Haupt in Erwartung eines Lichtes, das den Sinn ihres Lebens erhellt, einer Erlösung, die aus der Höhe kommt. Und so sehen sie einen Stern aufgehen, der heller ist als alle anderen, der sie anzieht und zum Aufbruch bewegt. Das ist der Schlüssel, der den wahren Sinn unseres Daseins erschließt: Wenn wir eingeschlossen in den engen Grenzen des Irdischen leben, wenn wir mit gesenktem Haupt als Gefangene unserer Misserfolge und unseres Bedauerns dahinmarschieren, wenn wir nach den Gütern und den Tröstungen der Welt hungern – die heute sind und morgen nicht mehr sein werden – anstatt nach Licht und Liebe zu suchen, wird unser Leben erlöschen. Die Sterndeuter, die Fremde sind und Jesus noch nicht begegnet waren, lehren uns, aufzublicken, unseren Blick zum Himmel zu richten, unsere Augen zu den Bergen zu erheben, von wo uns Hilfe kommt, denn unsere Hilfe kommt vom Herrn (vgl. Ps 121,1-2).
Brüder und Schwestern, die Augen zum Himmel gerichtet! Wir sind darauf angewiesen, nach oben zu schauen, auch um zu lernen, die Wirklichkeit von oben her zu sehen. Wir sind auf unserem Lebensweg darauf angewiesen, um uns von der Freundschaft mit dem Herrn, von seiner Liebe, die uns trägt, und von dem Licht seines Wortes, das uns wie ein Stern in der Nacht leitet, begleiten zu lassen. Wir sind auf unserem Glaubensweg darauf angewiesen, damit der Glaube sich nicht auf eine Reihe religiöser Praktiken oder eine äußere Gewohnheit reduziert, sondern zu einem Feuer wird, das in uns brennt und uns zu leidenschaftlichen Suchern des Antlitzes des Herrn und zu Zeugen seines Evangeliums werden lässt. Wir sind in der Kirche darauf angewiesen, wo wir, anstatt uns nach unseren jeweiligen Vorstellungen auseinanderzudividieren, aufgerufen sind, Gott wieder in den Mittelpunkt zu stellen. Wir sind darauf angewiesen, um uns von den kirchlichen Ideologien lösen zu können, damit wir den Sinn der Heiligen Mutter Kirche entdecken und zu einer kirchlichen Haltung finden. Kirchliche Ideologien, nein; kirchliche Berufung, ja.
Der Herr – und nicht unsere Ideen oder unsere Projekte – muss ihm Mittelpunkt stehen. Lasst uns wieder bei Gott beginnen. Schöpfen wir bei ihm den Mut, angesichts von Schwierigkeiten nicht stehen zu bleiben; die Kraft, Hindernisse zu überwinden; und die Freude, in Gemeinschaft und Eintracht zu leben.
Die Sterndeuter betrachten nicht nur den Stern, das, was droben ist, sondern sie sind mit ihren Füßen unterwegs auf der Erde. Sie machen sich auf den Weg nach Jerusalem und fragen: »Wo ist der neugeborene König der Juden? Wir haben seinen Stern aufgehen sehen und sind gekommen, um ihm zu huldigen« (Mt 2,2). Das gehört zusammen: die Füße und das Betrachten. Der Stern, der am Himmel erstrahlt, verweist sie wieder zurück auf die Wege, die auf Erden zu gehen sind; als sie ihr Haupt nach oben erheben, werden sie dazu gebracht, sich nach unten zu begeben; als sie Gott suchen, werden sie gesandt, ihn in einem Menschen zu finden, in einem Kind, das in einer Krippe liegt. Denn Gott, der unendlich groß ist, hat sich in diesem Kleinen, unendlich Kleinen, gezeigt. Es braucht Weisheit, es braucht den Beistand des Heiligen Geistes, damit man Gottes Erscheinen in der Größe und in der Kleinheit verstehen kann.
Brüder und Schwestern, mit den Füßen unterwegs auf der Erde! Das Geschenk des Glaubens ist uns nicht gegeben, um beim Betrachten des Himmels stehen zu bleiben (vgl. Apg 1,11), sondern um als Zeugen des Evangeliums auf den Straßen der Welt unterwegs zu sein; das Licht, das unser Leben erhellt, Jesus, der Herr, ist uns nicht nur zum Trost in unseren Nächten gegeben, sondern um Lichtblicke in der tiefen Dunkelheit so vieler gesellschaftlicher Verhältnisse zu eröffnen; den Gott, der zu uns kommt, finden wir nicht, wenn wir bei der ein oder anderen schönen religiösen Theorie stehenbleiben, sondern nur, wenn wir uns auf den Weg machen und die Zeichen seiner Gegenwart im Alltag suchen und vor allem, wenn wir den Brüdern und Schwestern konkret begegnen und mit ihnen in Berührung kommen. Über Gott nachzusinnen ist schön, aber es ist nur fruchtbar, wenn wir etwas riskieren, das Risiko des Dienstes, der darin besteht, Gott zu bringen. Die Sterndeuter suchen Gott, den großen Gott und finden ein Kind. Das ist wichtig: Gott leibhaftig zu begegnen, in den Gesichtern, die uns jeden Tag begegnen, vor allem in denen der Ärmsten. Die Sterndeuter lehren uns, dass die Begegnung mit Gott uns immer auf eine größere Hoffnung hin öffnet, die uns dazu bringt, unseren Lebensstil zu ändern und die Welt zu verwandeln. Benedikt XVI. sagte: »Fehlt die wahre Hoffnung, so sucht man das Glück in der Trunkenheit, im Überflüssigen, in den Ausschweifungen und richtet so sich selbst und die Welt zugrunde. […] Deshalb bedarf es Menschen, die eine große Hoffnung hegen und daher viel Mut haben. Den Mut der Sterndeuter, die einem Stern folgend eine lange Reise unternahmen und es verstanden, vor einem Kind in die Knie zu fallen und ihm ihre wertvollen Gaben anzubieten« (Predigt, 6. Januar 2008).
Schließlich denken wir auch, dass die Sterndeuter ein Herz haben, das sich anbetend verneigt. Sie schauen zu dem Stern am Himmel auf, aber sie flüchten sich nicht in eine von der Erde losgelöste Frömmigkeit; sie machen sich auf den Weg, aber sie ziehen nicht wie ziellose Touristen umher. Sie kamen in Betlehem an und als sie das Kind sahen, »fielen sie nieder und huldigten ihm« (Mt 2,11). Dann öffneten sie ihre Schatullen und brachten ihm Gold, Weihrauch und Myrrhe dar. »Mit diesen geheimnisvollen Gaben zeigen sie, wer der ist, den sie anbeten: mit dem Gold bedeuten sie, dass er König ist, mit dem Weihrauch, dass er Gott ist, mit der Myrrhe, dass er sterblich ist« (Hl. Gregor der Große, Predigt X am Tag der Erscheinung des Herrn, 6). Ein König, der gekommen ist, um uns zu dienen, ein Gott, der Mensch geworden ist. Vor diesem Geheimnis sind wir gerufen, unsere Herzen und unsere Knie zu neigen, um anzubeten: um den Gott anzubeten, der im Kleinen kommt, in die Normalität unserer Häuser, und der aus Liebe stirbt. Der Gott, der sich »in der Unermesslichkeit des Himmels durch die Zeichen der Sterne zeigte und sich in einer engen Behausung finden ließ; schwach, in der Gestalt eines Kindes, in Windeln gewickelt, wurde er von den Sterndeutern angebetet und von den Bösen gefürchtet« (Hl. Augustinus, Sermones, 200). Brüder und Schwestern, wir haben die Gewohnheit verloren, anzubeten, wir haben diese Fähigkeit verloren, die uns die Anbetung verleiht. Finden wir wieder neu Geschmack an der Gebetsform der Anbetung. Erkennen wir Jesus an als unseren Gott, als unseren Herrn, und beten wir an. Heute laden die Sterndeuter uns ein, anzubeten. Uns fehlt heute die Anbetung.
Brüder und Schwestern, erheben wir wie die Sterndeuter die Augen zum Himmel, machen wir uns auf die Suche nach dem Herrn, neigen wir anbetend unsere Herzen. Den Himmel betrachten, unterwegs sein und anbeten. Und bitten wir um die Gnade, niemals den Mut zu verlieren: den Mut, Gottsucher zu sein, Menschen der Hoffnung, unerschrockene Träumer, die den Himmel erforschen; bitten wir um den Mut der Ausdauer bei Unterwegssein auf den Straßen der Welt, ermüdet vom echten Unterwegssein; um den Mut, auf den Herrn zu schauen, der jeden Menschen erleuchtet. Der Herr schenke uns diese Gnade, vor allem die Gnade, anbeten zu können.
[00026-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Los Magos emprenden un viaje en busca del Rey que ha nacido. Ellos son imagen de los pueblos en camino en busca de Dios, de los extranjeros que ahora son conducidos al monte del Señor (cf. Is 56,6-7), de los lejanos que ahora pueden oír el anuncio de la salvación (cf. Is 33,13), de todos los están extraviados y sienten la llamada de una voz amiga. Porque ahora, en la carne del Niño de Belén, la gloria del Señor se ha revelado a todas las gentes (cf. Is 40,5) y «todo hombre verá la salvación de Dios» (Lc 3,6). Es la peregrinación humana de cada uno de nosotros, de la lejanía a la cercanía.
Los Magos tienen los ojos fijos en el cielo, pero los pies sobre la tierra y el corazón postrado en adoración. Repito: los ojos fijos en el cielo, los pies sobre la tierra, el corazón postrado en adoración.
Ante todo, los Magos tienen los ojos fijos en el cielo. Están imbuidos por la nostalgia del infinito y su mirada es atraída por los astros celestes. No viven mirando la punta de sus pies, replegados sobre sí mismos, prisioneros de un horizonte terreno, arrastrándose en la resignación o en la queja. Ellos levantan la cabeza para esperar una luz que ilumine el sentido de su vida, una salvación que viene de lo alto. Y así ven surgir una estrella, la más luminosa de todas, que los atrae y los pone en camino. Esta es la clave que revela el verdadero significado de nuestra existencia: si vivimos encerrados en el estrecho perímetro de las cosas terrenales, si marchamos con la cabeza baja rehenes de nuestros fracasos y remordimientos, si estamos hambrientos de bienes y consuelo mundano —que hoy están aquí y mañana desaparecen— en lugar de ser buscadores de luz y amor, nuestra vida se apaga. Los Magos, que también son extranjeros y todavía no han encontrado a Jesús, nos enseñan a mirar hacia lo alto, a tener la vista fija en el cielo, a levantar los ojos hacia los montes de donde nos vendrá la ayuda, porque nuestra ayuda viene del Señor (cf. Sal 121,1-2).
¡Hermanos y hermanas, los ojos fijos en el cielo! Necesitamos tener la mirada levantada hacia lo alto, también para aprender a ver la realidad desde arriba. Lo necesitamos en el camino de la vida, para hacernos acompañar de la amistad del Señor, de su amor que nos sostiene, de la luz de su Palabra que nos guía como estrella en la noche. Lo necesitamos en el camino de la fe, para que no se reduzca a un conjunto de prácticas religiosas o a un hábito exterior, sino que se convierta en un fuego que nos quema por dentro y nos hace buscadores apasionados del rostro del Señor y testigos de su Evangelio. Lo necesitamos en la Iglesia, donde, en lugar de dividirnos según nuestras ideas, estamos llamados a poner a Dios en el centro. Lo necesitamos para abandonar las ideologías eclesiásticas, para encontrar el sentido de la Santa Madre Iglesia, del habitus eclesial. [Por lo tanto], ideologías eclesiásticas, no; habitus eclesial, sí. Es el Señor quien debe estar en el centro y no nuestras ideas o nuestros planes. Recomencemos desde Dios, busquemos en Él la valentía para no detenernos ante las dificultades, la fuerza para superar los obstáculos, la alegría para vivir en la comunión y en la concordia.
Los Magos no sólo miran la estrella, las cosas de lo alto, sino que también tienen los pies sobre la tierra. Ellos se ponen en camino a Jerusalén y preguntan: «¿Dónde está el rey de los judíos que acaba de nacer? Porque vimos su estrella en Oriente y hemos venido a adorarlo» (Mt 2,2). Una sola cosa: los pies unidos con la contemplación. El astro que brilla en el cielo los envía a recorrer los caminos de la tierra; levantando la cabeza hacia lo alto son empujados a descender hacia lo bajo; buscando a Dios son invitados a encontrarlo en el hombre, en un Niño que yace en un pesebre, porque Dios que es lo infinitamente grande, se ha revelado en este pequeño, infinitamente pequeño. Se necesita sabiduría, se necesita la asistencia del Espíritu Santo para comprender la grandeza y la pequeñez en la manifestación de Dios.
Hermanos y hermanas, ¡los pies sobre la tierra, y en camino! El don de la fe no nos es dado para quedarnos mirando el cielo (Hch 1,11), sino para avanzar por los senderos del mundo como testigos del Evangelio; la luz que ilumina nuestra vida, el Señor Jesús, no nos es dada sólo para ser consolados en nuestras noches, más bien para abrir destellos de luz en las densas tinieblas que envuelven tantas situaciones sociales; el Dios que viene a visitarnos no lo encontramos permaneciendo quietos en alguna bella teoría religiosa, sino poniéndonos en camino, buscando los signos de su presencia en las realidades de cada día y, sobre todo, encontrando y tocando la carne de los hermanos. Contemplar a Dios es algo bello, pero sólo es fructífero si tomamos el riesgo del servicio de llevar a Dios. Los Magos buscan a Dios, el Dios grande, y encuentran un Niño. Esto es importante: encontrar a Dios en carne y hueso, en los rostros con los que nos cruzamos cada día, especialmente los de los más pobres. Los Magos, en efecto, nos enseñan que el encuentro con Dios siempre nos abre a una esperanza más grande, que nos hace cambiar estilo de vida y nos hace transformar el mundo. Benedicto XVI decía: «Si falta la verdadera esperanza, se busca la felicidad en la embriaguez, en lo superfluo, en los excesos, y los hombres se arruinan a sí mismos y al mundo. [...] Por esto, hacen falta hombres que alimenten una gran esperanza y posean por ello una gran valentía. La valentía de los Magos, que emprendieron un largo viaje siguiendo una estrella, y que supieron arrodillarse ante un Niño y ofrecerle sus dones preciosos» (Benedicto XVI, Homilía, 6 enero 2008).
Por último, pensemos también en que los Magos tienen el corazón postrado en adoración. Miran a la estrella en el cielo, pero no se refugian en una devoción separada de la tierra; emprenden el viaje, pero no vagan como turistas sin rumbo. Ellos llegan a Belén y, cuando vieron al Niño, «se postraron y lo adoraron» (Mt 2,11). Luego abrieron sus cofres y le ofrecieron oro, incienso y mirra. «Con sus ofrendas místicas predican los Magos al que adoran: con el oro, como rey; con el incienso, como Dios, y con la mirra, como hombre mortal» (S. Gregorio Magno, Homilía X en el día de la Epifanía, 6). Un rey que vino a servirnos, un Dios que se hizo hombre. Ante este misterio, estamos llamados a inclinar el corazón y doblar las rodillas para adorar: adorar al Dios que viene en la pequeñez, que habita la normalidad de nuestras casas, que muere por amor. El Dios «al que los cielos abiertos mostraban con las señales de los astros» se dejaba encontrar «en un estrecho establo, para que, aunque impedido a causa de sus miembros infantiles y envuelto en pañales de niño, lo adorasen los magos y lo temiesen los malos» (S. Agustín, Sermón, 200,1). Hermanos y hermanas, hemos perdido el hábito de la adoración, hemos perdido esta capacidad que nos da la adoración. Redescubramos el gusto de la oración de adoración. Reconozcamos a Jesús como nuestro Dios, como nuestro Señor, y adoremos. Hoy los magos nos invitan a adorar. Entre nosotros hoy falta la adoración.
Hermanos y hermanas, como los Magos, levantemos los ojos al cielo, pongámonos en camino en busca del Señor e inclinemos el corazón en adoración. Mirar al cielo, ponerse en camino y adorar. Y pidamos la gracia de no perder nunca el ánimo, de no perder la valentía de ser buscadores de Dios, hombres de esperanza, soñadores intrépidos que escrutan el cielo; la valentía de perseverar en el camino por los senderos del mundo, con el cansancio del verdadero camino, y el valor de adorar, el valor de mirar al Señor que ilumina a todo hombre. Que el Señor nos conceda esta gracia, sobre todo la gracia de saber adorar.
[00026-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Os Magos põem-se a caminho à procura do Rei que nasceu. São imagem dos povos que caminham em busca de Deus, dos estrangeiros que agora são conduzidos ao monte do Senhor (cf. Is 56, 6-7), dos distantes que agora podem ouvir o anúncio da salvação (cf. Is 33, 13), de todos os extraviados que escutam o apelo duma voz amiga. É que agora, na carne do Menino de Belém, a glória do Senhor revelou-se a todas as nações (cf. Is 40, 5) e «toda a criatura verá a salvação de Deus» (Lc 3, 6). É a peregrinação humana, a de cada um de nós, da distância à proximidade.
Os Magos têm os olhos apontados para o céu, mas os pés caminhando na terra e o coração prostrado em adoração. Repito: os olhos apontados para o céu, os pés caminhando na terra, o coração prostrado em adoração.
Em primeiro lugar, os Magos têm os olhos apontados para o céu. Habita-os a nostalgia do infinito, e o seu olhar é atraído pelos astros celestes. Não vivem a olhar para a ponta dos pés, fechados sobre si mesmos, prisioneiros dum horizonte terreno, arrastando-se na resignação ou na lamentação. Levantam a cabeça, à espera duma luz que ilumine o sentido da sua vida, uma salvação que vem do alto. E, assim, veem despontar uma estrela, a mais brilhante de todas, que os atrai e põe a caminho. Esta é a chave que abre o verdadeiro significado da nossa existência: se vivermos fechados no estreito perímetro das coisas terrenas, se caminharmos de cabeça baixa reféns dos nossos fracassos e saudosismos, se tivermos fome de bens e consolações mundanas – que hoje existem e amanhã desaparecem – em vez de buscarmos luz e amor, a nossa vida apaga-se. Os Magos, apesar de ser estrangeiros e ainda não ter encontrado Jesus, ensinam-nos a olhar para o alto, a manter o olhar voltado para o céu, a levantar o olhar para os montes donde nos virá o auxílio, porque o nosso auxílio vem do Senhor (cf. Sal 121, 1-2).
Irmãos e irmãs, os olhos apontados para o céu! Precisamos de ter um olhar voltado para o alto inclusive para aprender a ver a realidade a partir do alto. Disso precisamos no caminho da vida, para nos fazer acompanhar pela amizade com o Senhor, pelo seu amor que nos sustenta, pela luz da sua Palavra que nos guia como estrela na noite. Disso precisamos no caminho da fé, para que não se reduza a um conjunto de práticas religiosas ou a um hábito exterior, mas se torne um fogo que arde dentro de nós e nos faz tornar apaixonados indagadores do rosto do Senhor e testemunhas do seu Evangelho. Disso precisamos na Igreja, onde, em vez de nos dividirmos com base nas nossas ideias, somos chamados a repor Deus no centro. Disso precisamos para abandonar as ideologias eclesiásticas, para encontrar o sentido da Santa Mãe Igreja, o habitus eclesial. Ideologias eclesiásticas, não; vocação eclesial, sim. No centro, deve estar o Senhor, e não as nossas ideias ou os nossos projetos. Recomecemos de Deus, procuremos n’Ele a coragem de não nos determos perante as dificuldades, a força para superar os obstáculos, a alegria de viver na comunhão e na concórdia.
Os Magos não se limitam a olhar a estrela, as coisas elevadas, mas têm também os pés caminhando na terra. Põem-se em viagem rumo a Jerusalém e perguntam: «Onde está o rei dos judeus que acaba de nascer? Vimos a sua estrela no Oriente e viemos adorá-Lo» (Mt 2, 2). São uma coisa só: os pés associados com a contemplação. O astro que brilha no céu envia-os a percorrer as estradas da terra; ao levantar a cabeça para o alto, são impelidos a descer para baixo; ao procurar a Deus, são enviados para O encontrar no homem, num Menino que jaz numa manjedoura, porque Deus, que é o infinitamente grande, revelou-Se neste pequenino, no infinitamente pequenino. É preciso sabedoria, é preciso a assistência do Espírito Santo para compreender a grandeza e a pequenez na manifestação de Deus.
Irmãos e irmãs, os pés caminhando na terra! O dom da fé não nos é concedido para permanecermos a fixar o céu (cf. At 1, 11), mas para caminharmos pelas estradas do mundo como testemunhas do Evangelho; a luz que ilumina a nossa vida, o Senhor Jesus, não nos é dada apenas para sermos consolados nas nossas noites, mas para abrir frestas de luz nas densas trevas que envolvem muitas situações sociais; o Deus que nos vem visitar, não O encontramos permanecendo firmes numa bela teoria religiosa, mas somente pondo-nos a caminho, procurando os sinais da sua presença nas realidades quotidianas e, sobretudo, encontrando e tocando a carne dos irmãos. Contemplar Deus é lindo, mas só é fecundo se arriscamos, se abraçamos o risco do serviço de levar Deus. Os Magos procuram Deus, o Deus grande, e encontram um Menino. Como é importante encontrar Deus em carne e osso, nos rostos que dia a dia se cruzam connosco, especialmente os dos mais pobres. Com efeito, os Magos ensinam-nos que o encontro com Deus sempre nos abre a uma esperança maior, que nos faz mudar estilos de vida e transformar o mundo. Bento XVI afirmava: «se falta a verdadeira esperança, procura-se a felicidade no êxtase, no supérfluo, nos excessos, e arruína-se a si mesmo e ao mundo. (…) Por isso há necessidade de homens que tenham grande esperança e possuam muita coragem. A coragem dos Magos, que empreenderam uma longa viagem seguindo uma estrela, e que souberam ajoelhar-se diante dum Menino e oferecer-lhe os seus preciosos dons» (Homilia, 06/I/2008).
Por fim, pensemos também que os Magos têm o coração prostrado em adoração. Fixam a estrela no céu, mas não se refugiam numa devoção desligada da terra; põem-se em viagem, mas não vagam como turistas sem meta. Chegaram a Belém e, quando viram o Menino, «prostrando-se, adoraram-No» (Mt 2, 11). Depois abriram os seus tesouros e ofereceram-Lhe ouro, incenso e mirra. «Com estes místicos dons, fazem conhecer quem é Aquele que adoram: com o ouro declaram que é Rei, com o incenso que é Deus, com a mirra que é mortal» (S. GREGÓRIO MAGNO, Homilia X no dia da Epifania, 6). Um rei que veio para nos servir, um Deus que Se fez homem. Diante deste mistério, somos chamados a inclinar o coração e dobrar os joelhos para adorar: adorar a Deus que vem na pequenez, que habita no ambiente normal das nossas casas, que morre por amor. Deus, «ao mesmo tempo que Se manifestava na imensidão do céu com os sinais dos astros, fazia-Se encontrar (…) num refúgio estreito; débil na carne duma criança, envolto em panos de recém-nascido, era adorado pelos Magos e temido pelos malvados» (S. AGOSTINO, Discursos, 200). Irmãos e irmãs, perdemos o hábito de adorar, perdemos esta capacidade que nos dá a adoração. Redescubramos o gosto da oração de adoração. Reconheçamos Jesus como nosso Deus, como nosso Senhor, e adoremos. Hoje os Magos convidam-nos a adorar. Há falta de adoração entre nós hoje.
Irmãos e irmãs, como os Magos, levantemos os olhos para o céu, ponhamo-nos a caminho à procura do Senhor, inclinemos o coração em adoração. Contemplar o céu, pôr-nos a caminho e adorar. E peçamos a graça de nunca perder a coragem: a coragem de ser indagadores de Deus, homens de esperança, intrépidos sonhadores que perscrutam o céu, a coragem da perseverança em caminhar pelas estradas do mundo, com o cansaço do verdadeiro caminho e a coragem de adorar, a coragem de olhar para o Senhor que ilumina cada homem. Que o Senhor nos dê esta graça, sobretudo a graça de saber adorar.
[00026-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Mędrcy wyruszają na poszukiwanie Króla, który się narodził. Są oni obrazem ludów, które wyruszają na poszukiwanie Boga, cudzoziemców, którzy są teraz prowadzeni na górę Pana (por. Iz 56, 6-7), dalekich, którzy mogą teraz usłyszeć głoszenie zbawienia (por. Iz 33, 13), wszystkich zagubionych, którzy słyszą wołanie przyjaznego głosu. Teraz bowiem, w ciele Dzieciątka z Betlejem, chwała Pańska została objawiona wszystkim ludom (por. Iz 40, 5) i „wszyscy ludzie ujrzą zbawienie Boże” (Łk 3, 6). Jest to ludzka pielgrzymka każdego z nas, od oddalenia do bliskości.
Mędrcy mają oczy skierowane są ku niebu, ale stopy kroczące po ziemi i serca uniżone w adoracji. Powtórzę: oczy skierowane są ku niebu, stopy kroczące po ziemi, serca uniżone w adoracji.
Po pierwsze, Mędrcy mają oczy skierowane ku niebu. Jest w nich tęsknota za nieskończonością, a ich wzrok przyciągają gwiazdy niebieskie. Nie żyją, patrząc na koniuszki palców u nóg, skoncentrowani na sobie, będąc więźniami perspektywy doczesnej, wlokąc się w rezygnacji lub narzekaniu. Podnoszą oni głowy, by oczekiwać światła, które rozjaśniłoby sens ich życia, zbawienia przychodzącego z wysoka. Zatem, widzą wschodzącą gwiazdę, jaśniejszą niż wszystkie inne, która ich przyciąga i sprawia, że wyruszają. To klucz, który otwiera prawdziwy sens naszego istnienia: jeśli żyjemy zamknięci w ciasnych granicach spraw doczesnych, jeśli maszerujemy z opuszczoną głową, będąc zakładnikami swoich porażek i naszych żalów, jeśli jesteśmy głodni światowych dóbr i pocieszeń – które dziś są, a jutro ich już nie będzie – zamiast być poszukiwaczami światła i miłości, nasze życie gaśnie. Mędrcy, którzy również są cudzoziemcami i jeszcze nie spotkali Jezusa, uczą nas patrzenia w górę, skierowania wzroku ku niebu, wznoszenia oczu ku górom, skąd nadejdzie dla nas pomoc, ponieważ nasza pomoc pochodzi od Pana (por. Ps 121, 1-2).
Bracia i siostry, oczy trzeba kierować ku niebu! Potrzebujemy spojrzenia skierowanego w górę, aby nauczyć się patrzeć na rzeczywistość z wysoka. Potrzebujemy tego na drodze życia, aby towarzyszyła nam przyjaźń z Panem, Jego miłość, która nas podtrzymuje, światło Jego Słowa, które prowadzi nas jak gwiazda w nocy. Potrzebujemy tego na drodze wiary, aby nie sprowadzała się ona do zestawu praktyk religijnych, lub szaty zewnętrznej, ale stała się ogniem, który w nas płonie i sprawia, że stajemy się gorliwymi poszukiwaczami oblicza Pana i świadkami Jego Ewangelii. Potrzebujemy tego w Kościele, gdzie zamiast dzielić się ze względu na nasze idee, jesteśmy wezwani do ponownego postawienia Boga w centrum. Potrzebujemy go, aby porzucić kościelne ideologie, aby odnaleźć sens Świętej Matki Kościoła, kościelny habitus. Ideologie kościelne – nie; powołanie kościelne – tak. Pan, a nie nasze idee czy nasze projekty, musi znajdować się w centrum. Zacznijmy na nowo od Boga, szukajmy w Nim odwagi, by nie zatrzymywać się w obliczu trudności, szukajmy siły do pokonywania przeszkód, szukajmy radości życia w komunii i zgodzie.
Mędrcy nie tylko wpatrują się w gwiazdę, w rzeczy na wysokościach, ale mają również stopy kroczące po ziemi. Wyruszają do Jerozolimy i pytają: „Gdzie jest nowo narodzony Król żydowski? Ujrzeliśmy bowiem Jego gwiazdę na Wschodzie i przybyliśmy oddać Mu pokłon” (Mt 2, 2). Tylko jedno: stopy połączone z kontemplacją. Gwiazda świecąca na niebie posyła ich by przemierzali ziemskie drogi; wznosząc głowy ku górze, są zmuszeni zejść na dół; szukając Boga, są posłani, aby znaleźć Go w człowieku, w Dzieciątku leżącym w żłobie, ponieważ Bóg, który jest nieskończenie wielki, objawił się w tym maleństwie, nieskończenie małym. Potrzeba mądrości, potrzeba asystencji Ducha Świętego, aby zrozumieć wielkość i małość w objawieniu się Boga.
Bracia i siostry, stopy kroczące po ziemi! Dar wiary nie jest nam dany po to, abyśmy stali i wpatrywali się w niebo (por. Dz 1, 11), ale abyśmy szli drogami świata jako świadkowie Ewangelii. Światło, które oświeca nasze życie, Pan Jezus, nie jest nam dane tylko po to, abyśmy byli pocieszani w naszych nocach, ale aby otworzyć promienie światła w gęstej ciemności, która otacza wiele sytuacji społecznych. Boga, który przychodzi, aby nas nawiedzić, nie znajdujemy, stojąc w miejscu w jakiejś pięknej teorii religijnej, ale tylko wyruszając w drogę, szukając znaków Jego obecności w codziennej rzeczywistości, a przede wszystkim spotykając i dotykając ciała naszych braci. Kontemplowanie Boga jest piękne, ale jest owocne tylko wtedy, gdy podejmujemy ryzyko, ryzyko służby, aby nieść Boga. Mędrcy szukają Boga, wielkiego Boga, a znajdują Dzieciątko. To ważne: spotkać Boga w ciele i krwi, w twarzach, które mijają nas każdego dnia, zwłaszcza tych najuboższych. Mędrcy bowiem, uczą nas, że spotkanie z Bogiem zawsze otwiera nas na większą nadzieję, która sprawia, że zmieniamy nasz styl życia i przemieniamy świat. Benedykt XVI wskazuje: „Jeśli brak prawdziwej nadziei, szczęścia poszukuje się w upojeniu, zbytkach, nadużyciach, niszcząc samych siebie i świat. [...] Dlatego potrzeba ludzi o wielkiej nadziei, a tym samym wielkiej odwadze. Odwadze Mędrców, którzy wyruszyli w długą podróż za gwiazdą oraz potrafili uklęknąć przed Dzieckiem i złożyć Mu cenne dary” (Homilia, 6 stycznia 2008 r.).
Wreszcie, pomyślmy również, że Mędrcy mają serca uniżone w adoracji. Spoglądają na gwiazdę na niebie, ale nie szukają schronienia w pobożności oderwanej od ziemi. Wyruszają w drogę, ale nie wędrują jak turyści bez celu. Przybywają do Betlejem, a gdy ujrzeli Dziecię, „padli na twarz i oddali Mu pokłon” (Mt 2, 11). Następnie otworzyli swoje skrzynie i ofiarowali Mu złoto, kadzidło i mirrę. „Tymi mistycznymi darami oznajmiają, kim jest Ten, którego adorują: złotem oznajmiają, że jest Królem, kadzidłem, że jest Bogiem, mirrą, że jest śmiertelny” (św. Grzegorz Wielki, Homilia X na Epifanię, 6). Królem, który przyszedł, aby nam służyć, Bogiem, który stał się człowiekiem. W obliczu tej tajemnicy jesteśmy wezwani do uniżenia naszych serc i zgięcia kolan, aby adorować: adorować Boga, który przychodzi w małości, który mieszka w zwyczajności naszych domów, który umiera z miłości. Boga, który „objawił się [...] w wąskim żłobie; choć Imię Jego wypisane jest na szerokim niebie srebrnymi gwiazdami. Słaby w ciele niemowlęcia, zawinięty w pieluszki, był przedmiotem czci Mędrców, a bali się Go źli” (św. Augustyn, Mowy, 200). Bracia i siostry, zatraciliśmy zwyczaj adoracji, zatraciliśmy tę zdolność, którą daje nam adoracja. Odkryjmy na nowo smak modlitwy adoracji. Uznajmy Jezusa za naszego Boga, za naszego Pana, i adorujmy. Dzisiaj Mędrcy zapraszają nas do adoracji. Dziś brakuje nam adoracji.
Bracia i siostry, podobnie jak Mędrcy, wznieśmy nasze oczy ku niebu, wyruszmy w drogę na poszukiwanie Pana, uniżmy serce w adoracji. Wpatrując się w niebo, wyruszając w drogę i adorując. I prośmy o łaskę, abyśmy nigdy nie tracili odwagi: odwagi bycia poszukiwaczami Boga, ludźmi nadziei, nieustraszonymi marzycielami, którzy badają niebo, odwagi wytrwałości w stąpaniu drogami świata, w trudzie prawdziwej wędrówki, i odwagi adorowania, odwagi wpatrywania się w Pana, który oświeca każdego człowieka. Niech Pan da nam tę łaskę, zwłaszcza łaskę, byśmy umieli adorować.
[00026-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
عظة قداسة البابا فرنسيس
في القدّاس الإلهيّ
في عيد ظهور الرّبّ يسوع
يوم السّبت 6 كانون الثّاني/يناير 2024
بازيليكا القدّيس بطرس
انطلق المجوس بحثًا عن الملك الذي وُلِدَ. هُم صورة للشّعوب التي تسير بحثًا عن الله، وللغرباء الذين يقودهم الله الآن إلى جبله (راجع أشعيا 56، 6-7)، وللبعيدين الذين يمكنهم الآن أن يسمعوا بُشرى الخلاص (راجع أشعيا 33، 13)، ولكلّ الضّائعين الذين يسمعون نداء صوت صديق. لأنّ مجد الله ظهر الآن في جسد طفل بيت لحم، لجميع النّاس (راجع أشعيا 40، 5) ولأنّ "كُلّ بَشَرٍ يَرى خَلاصَ الله" (لوقا 3، 6).
المجوس عيونهم موجّهة نحو السّماء، لكنّ أقدامهم تسير على الأرض، وقلوبهم جاثية ساجدة. أكرّر: عيونهم موجّهة نحو السّماء، وأقدامهم تسير على الأرض، وقلوبهم جاثية ساجدة.
أوّلًا، المجوس عيونهم موجّهة نحو السّماء. كان يسكنهم الحنين إلى اللانهائي، نظرهم تجذبه النّجوم السّماويّة. لم يكونوا يعيشون وهم ينظرون إلى أصابع أقدامهم، منطوين على أنفسهم، وأسرى لأفقٍ أرضيّ، يجرّون خطاهم مستسلمين شاكين. بل رفعوا رؤوسهم وانتظروا نورًا ينير لهم معنى حياتهم، وخلاصًا يأتي من العُلى. رأوا نجمًا يُشرق، ساطعًا أكثر من كلّ النّجوم، فجذبهم وجعلهم يسيرون. هذا هو المفتاح الذي يفتح المعنى الحقيقي لحياتنا: إن عشنا ونحن منغلقون على أنفسنا في إطار ضيّق من الأمور الأرضيّة، وإن سِرنا ورؤوسنا منحنية رهائنَ لإخفاقاتنا وندمنا، وإن جُعنا إلى الخيرات والتّعزيات الدّنيويّة، بدل أن نبحث عن النّور والحبّ، ستنطفئ حياتنا. على الرّغم من أنّ المجوس كانوا غرباء ولم يلتقوا بيسوع بعد، علّمونا أن نرفع نظرنا، وأن نوجّه نظرنا نحو السّماء، وأن نرفع عيوننا نحو الجبال، من حيث يأتينا العَون، لأنّ معونتنا تأتي من عند الله (راجع المزامير 121، 1–2).
أيّها الإخوة والأخوات، لتكن عيوننا موجّهة نحو السّماء! نحن بحاجة لأن نوجّه نظرنا إلى العُلى لكي نتعلّم أيضًا أن نرى الواقع من العُلى. نحن بحاجة إلى ذلك في مسيرة الحياة، لكي نجعل رفيقَنا صداقةَ الرّبّ يسوع، ومحبّته سندًا لنا، ونور كلمته يقودنا مثل النّجم في الليل. نحن بحاجة إلى ذلك في مسيرة الإيمان، حتّى لا تقتصر على مجموعة من الممارسات الدّينيّة أو عادات خارجيّة، بل يصير إيماننا نارًا تحرقنا في داخلنا، وتجعلنا نصير باحثين شغوفين عن وجه الرّبّ يسوع وشهودًا لإنجيله. نحن بحاجة إلى ذلك في الكنيسة، حيث نحن مدعوّون إلى أن نضع الله من جديد في المقام الأوّل، بدل انقساماتنا بحسب أفكارنا. نضعه هو في المقام الأوّل وليس أفكارنا أو مشاريعنا. لنبدأ من جديد من عند الله، ولنبحث فيه عن الشّجاعة في ألّا نتوقّف أمام الصّعاب، وعن القوّة لنتجاوز العقبات، وعن الفرح لنعيش في الشّركة والتّوافق.
والمجوس لا ينظرون فقط إلى النّجم، إلى الأمور العاليّة، بل أقدامهم تسير على الأرض. انطلَقُوا نحو أورشليم وسألوا: "أَينَ مَلِكُ اليهودِ الَّذي وُلِد؟ فقَد رأَينا نَجمَه في المَشرِق، فجِئْنا لِنَسجُدَ لَه" (متّى 2، 2). أعادهم النّجم الذي سطع في السّماء إلى السّير على طرق الأرض، ولمّا رفعوا رؤوسهم إلى العُلى اضطرّوا أن ينزلوا إلى الأسفل، ولمّا بحثوا عن الله، دُعُوا إلى أن يجدوه في الإنسان، وفي طفل مضطجع في مذود، لأنّ الله اللامتناهي في الكِبَر، ظَهَرَ في هذا الطّفل الصّغير اللامتناهي في الصِّغَر. يتطلّب الأمر حكمة ومساعدة الرّوح القدس لفهم كِبَر وصِغَر ظهور الله.
أيّها الإخوة والأخوات، لنقف على أقدامنا في مسيرتنا على الأرض! عطيّة الإيمان لم تُعطَ لنا لكي نُبقي نظرنا ثابتًا في السّماء (راجع أعمال الرّسل 1، 11)، بل لكي نسير في طرق العالم شهودًا للإنجيل، والرّبّ يسوع، النّور الذي يُضيء حياتنا، لم يُعطَ لنا فقط ليعزّينا في ليالينا، بل لنشُقَّ الظّلمات التي تحيط بنا في مواقف كثيرة في مجتمعنا، ونضع فيها نورًا، والله الذي أتى لزيارتنا لن نجده إن بقينا متمسكّين ببعض النّظريّات الدّينيّة الجميلة، بل فقط إن انطلقنا في مسيرة، وبحثنا عن علامات حضوره في الواقع اليوميّ، وقبل كلّ شيء، إن التقينا بإخوتنا ولمسنا واقعهم. بحث المجوس عن الله ووجدوا طفلًا. هذا أمرٌ مهمّ: أن نلتقي مع الله الحقيقيّ، في الوجوه التي تمرّ بجانبنا كلّ يوم، وخاصّة وجوه الفقراء. في الواقع، علَّمنا المجوس أنّ اللقاء مع الله يفتح لنا دائمًا رجاءً أكبر، يجعلنا نغيّر أسلوب حياتنا ويجعلنا نغيّر العالم، كما أكّد البابا بندكتس السّادس عشر: "إن غاب الرّجاء الحقيقيّ، فإنّنا نبحث عن السّعادة في السّكر، وفي ما هو غير مفيد، وفي الإفراط، فندمّر أنفسنا والعالم. […] لهذا السّبب، نحن بحاجة إلى أناسٍ لهم رجاء كبير، ولهم شجاعة كبيرة. شجاعة المجوس، الذين قاموا برحلة طويلة وهم يسيرون مع النّجم، وعرفوا كيف يركعون أمام طفلٍ ويقدّمون له هداياهم الثّمينة" (عظة، 6 كانون الثاني/يناير 2008).
أخيرًا، لنفكّر أيضًا في أنّ المجوس قلوبهم جاثية ساجدة. نظروا إلى النّجم في السّماء، ولكنّهم لم يلجؤوا إلى عبادة منفصلة عن الأرض، وانطلقوا في رحلة، ولكنّهم لم يتجوّلوا مثل السّائحين بلا هدف. وصلوا إلى بيت لحم، وعندما رأوا الطّفل "جَثَوا له ساجدين" (متّى 2، 11). ثمّ فتحوا حقائبهم وقدّموا له ذهبًا ولبانًا ومرًّا. "بهذه العطايا الرّمزيّة عرفوا من هو الذي سجدوا له: بالذّهب أعلنوا أنّه ملك، وباللبان أنّه الله، وبالمرّ تنبأوا بموته" (القدّيس غريغوريوس الكبير، العظة العاشرة في يوم عيد ظهور الرّبّ يسوع، 6). الملك الذي جاء ليخدمنا، والإله الذي صار إنسانًا. أمام هذا السِّرّ، نحن مدعوّون إلى أن نَحني قلوبنا وركبنا لنسجد له: نسجد لله الذي جاء صغيرًا، والذي سكن في بيوتنا الاعتياديّة، والذي مات محبّةً لنا. الله الذي "لمّا ظهر في السّماء الواسعة بعلامات النّجوم، جعلنا نجده […] في ملجأ ضيّق، ضعيفًا في جسد طفل، وملفوفًا بلفائف الوليد الجديد: سجد له المجوس وهابه الأشرار" (القدّيس أغسطينس، أحاديث، 200). أيّها الإخوة والأخوات، لقد فقدنا عادة السّجود، لقد فقدنا هذه القدرة التي يمنحنا إياها السّجود. لنكتشف من جديد طعم صلاة السّجود. لنعترف من جديد بيسوع إلهًا وربًّا لنا ولنسجد له.
أيّها الإخوة والأخوات، لنرفع عيوننا إلى السّماء، مثل المجوس، ولننطلق سائرين نبحث عن الرّبّ يسوع، ولنَحْنِ قلوبنا ونسجد له. ولنطلب النّعمة لكي لا نفقد الشّجاعة أبدًا، شجاعة البحث عن الله، وأن نكون أصحاب رجاء، وأصحاب أحلام جريئة نحدّق في السّماء، وشجاعة المثابرة في السّير على طرقات العالم، مع تعب المسيرة الحقيقيّة، وشجاعة السّجود، وشجاعة النّظر إلى الله الذي ينير كلّ إنسان. ليمنحنا الله هذه النّعمة، وقبل كلّ شيء، نعمة أن نعرف كيف نسجد.
[00026-AR.02] [Testo originale: Italiano]
[B0014-XX.02]