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Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio che il Santo Padre Francesco ha inviato ai giovani e alle giovani del mondo per la XXXVIII Giornata Mondiale della Gioventù che sarà celebrata nelle Chiese particolari il prossimo 26 novembre 2023, sul tema «Lieti nella speranza» (Rm 12,12):
Testo in lingua italiana
“Lieti nella speranza” (Rm 12,12)
Carissimi giovani!
Lo scorso mese di agosto ho incontrato centinaia di migliaia di vostri coetanei, provenienti da tutto il mondo, riuniti a Lisbona per la Giornata Mondiale della Gioventù. Ai tempi della pandemia, in mezzo a tante incertezze, avevamo nutrito la speranza che questa grande celebrazione dell’incontro con Cristo e con altri giovani potesse realizzarsi. Questa speranza si è realizzata e, per molti di noi lì presenti – me compreso – è andata al di là di ogni aspettativa! Come è stato bello il nostro incontro a Lisbona! Una vera e propria esperienza di trasfigurazione, un’esplosione di luce e di gioia!
Al termine della Messa conclusiva nel “Campo della Grazia”, ho indicato la prossima tappa del nostro pellegrinaggio intercontinentale: Seoul, in Corea, nel 2027. Ma prima di allora vi ho dato appuntamento a Roma, nel 2025, per il Giubileo dei giovani, dove sarete anche voi “pellegrini di speranza”.
Voi giovani, infatti, siete la gioiosa speranza di una Chiesa e di un’umanità sempre in cammino. Vorrei prendervi per mano e percorrere insieme a voi la via della speranza. Vorrei parlare con voi delle nostre gioie e speranze, ma anche delle tristezze e angosce dei nostri cuori e dell’umanità che soffre (cfr Cost. past. Gaudium et spes, 1). In questi due anni di preparazione al Giubileo mediteremo prima sull’espressione paolina «Lieti nella speranza» (Rm 12,12), per poi approfondire quella del profeta Isaia: «Quanti sperano nel Signore camminano senza stancarsi» (cfr Is 40,31).
Da dove viene questa gioia?
«Lieti nella speranza» (Rm 12,12) è un’esortazione di San Paolo alla comunità di Roma, che si trova in un periodo di forte persecuzione. E in realtà la “gioia nella speranza”, predicata dall’Apostolo, scaturisce dal mistero pasquale di Cristo, dalla forza della sua risurrezione. Non è il frutto dell’impegno umano, dell’ingegno o dell’arte. È la gioia che deriva dall’incontro con Cristo. La gioia cristiana viene da Dio stesso, dal sapersi amati da Lui.
Benedetto XVI, riflettendo sull’esperienza vissuta alla Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid nel 2011, si chiedeva: la gioia, «da dove viene? Come la si spiega? Sicuramente sono molti i fattori che agiscono insieme. Ma quello decisivo è […] la certezza proveniente dalla fede: io sono voluto. Ho un compito nella storia. Sono accettato, sono amato». E precisava: «In fin dei conti abbiamo bisogno di un’accoglienza incondizionata. Solo se Dio mi accoglie e io ne divento sicuro, so definitivamente: è bene che io ci sia. […] È bene esistere come persona umana, anche in tempi difficili. La fede rende lieti a partire dal di dentro» (Discorso alla Curia Romana, 22 dicembre 2011).
Dov’è la mia speranza?
La giovinezza è un tempo pieno di speranze e di sogni, alimentati dalle belle realtà che arricchiscono la nostra vita: lo splendore del creato, le relazioni con i nostri cari e con gli amici, le esperienze artistiche e culturali, le conoscenze scientifiche e tecniche, le iniziative che promuovono la pace, la giustizia e la fraternità, e così via. Viviamo, però, in un tempo in cui per molti, anche giovani, la speranza sembra essere la grande assente. Purtroppo tanti vostri coetanei, che vivono esperienze di guerra, violenza, bullismo e varie forme di disagio, sono afflitti dalla disperazione, dalla paura e dalla depressione. Si sentono come rinchiusi in una prigione buia, incapaci di vedere i raggi del sole. Lo dimostra drammaticamente l’alto tasso di suicidi tra i giovani in diversi Paesi. In un contesto simile, come sperimentare la gioia e la speranza di cui parla San Paolo? Rischia piuttosto di prendere il sopravvento la disperazione, il pensiero che sia inutile fare il bene, perché non sarebbe apprezzato e riconosciuto da nessuno, come leggiamo nel Libro di Giobbe: «Dov’è, dunque, la mia speranza? Il mio bene chi lo vedrà?» (Gb 17,15).
Davanti ai drammi dell’umanità, soprattutto alla sofferenza degli innocenti, anche noi, come preghiamo in alcuni Salmi, domandiamo al Signore: “Perché?”. Ebbene, noi possiamo essere parte della risposta di Dio. Noi, creati da Lui a sua immagine e somiglianza, possiamo essere espressione del suo amore che fa nascere la gioia e la speranza anche dove sembra impossibile. Mi viene in mente il protagonista del film «La vita è bella», un giovane padre che, con delicatezza e fantasia, riesce a trasformare la dura realtà in una specie di avventura e di gioco, e così regala al figlio “occhi di speranza”, proteggendolo dagli orrori del campo di concentramento, salvaguardando la sua innocenza e impedendo che la malvagità umana gli rubi il futuro. Ma non sono solo storie inventate! È quello che vediamo nella vita di tanti santi, i quali sono stati testimoni di speranza pur in mezzo alle più crudeli cattiverie umane. Pensiamo a San Massimiliano Maria Kolbe, a Santa Giuseppina Bakhita, o ai Beati coniugi Józef e Wiktoria Ulma con i loro sette figli.
La possibilità di accendere una speranza nel cuore degli uomini, a partire dalla testimonianza cristiana, è stata magistralmente messa in luce da San Paolo VI, quando ci ha ricordato: «Un cristiano o un gruppo di cristiani, in seno alla comunità di uomini nella quale vivono, […] irradiano in maniera molto semplice e spontanea la fede in alcuni valori che sono al di là dei valori correnti, e la speranza in qualche cosa che non si vede e che non si oserebbe immaginare» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 21).
La “piccola” speranza
Il poeta francese Charles Péguy, all’inizio del suo poema sulla speranza, parla delle tre virtù teologali – fede, speranza e carità – come di tre sorelle che camminano insieme:
«La piccola speranza avanza fra le sue due sorelle grandi e non si nota neanche. [...]
È lei, quella piccina, che trascina tutto.
Perché la Fede non vede che quello che è.
E lei vede quello che sarà.
La Carità non ama che quello che è.
E lei, lei ama quello che sarà.
[...]
È lei che fa camminare le altre due.
E che le tira.
E che fa camminare tutti quanti»
(Il portico del mistero della seconda virtù, Milano 1978, 17-19).
Sono anch’io convinto di questo carattere umile, “minore”, eppure fondamentale della speranza. Provate a pensare: come potremmo vivere senza speranza? Come sarebbero le nostre giornate? La speranza è il sale della quotidianità.
La speranza, luce che brilla nella notte
Nella tradizione cristiana del Triduo pasquale, il Sabato Santo è il giorno della speranza. Tra il Venerdì Santo e la Domenica di Pasqua, è come una terra di mezzo tra la disperazione dei discepoli e la loro gioia pasquale. È il luogo in cui nasce la speranza. La Chiesa, in quel giorno, commemora in silenzio la discesa di Cristo negli inferi. Possiamo vederlo rappresentato in forma pittorica in molte icone. Ci mostrano Cristo sfolgorante di luce che scende nelle tenebre più profonde e le attraversa. È così: Dio non si limita a guardare con compassione le nostre zone di morte o a chiamarci da lontano, ma entra nelle nostre esperienze degli inferi come luce che splende nelle tenebre e le vince (cfr Gv 1,5). Lo esprime bene una poesia in lingua sudafricana Xhosa: «Anche se le speranze sono finite, con questa poesia risveglio la speranza. La mia speranza si risveglia perché spero nel Signore. Spero che ci uniremo! Rimanete forti nella speranza, perché il buon esito è vicino».
Questa, se ci pensiamo bene, è stata la speranza della Vergine Maria, che è rimasta forte sotto la croce di Gesù, sicura che il “buon esito” era vicino. Maria è la donna della speranza, la Madre della speranza. Sul Calvario, «salda nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18), non ha lasciato spegnere nel suo cuore la certezza della Risurrezione annunciata dal suo Figlio. È lei che riempie il silenzio del Sabato Santo con una amorosa attesa piena di speranza, infondendo nei discepoli la certezza che Gesù avrebbe vinto la morte e che il male non sarebbe stata l’ultima parola.
La speranza cristiana non è facile ottimismo e non è un placebo per i creduloni: è la certezza, radicata nell’amore e nella fede, che Dio non ci lascia mai soli e mantiene la sua promessa: «Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me» (Sal 23,4). La speranza cristiana non è negazione del dolore e della morte, è celebrazione dell’amore di Cristo Risorto che è sempre con noi, anche quando ci sembra lontano. «Cristo stesso è per noi la grande luce di speranza e di guida nella nostra notte, perché Egli è “la stella radiosa del mattino”» (Esort. ap. Christus vivit, 33).
Alimentare la speranza
Quando la scintilla della speranza è stata accesa in noi, a volte c’è il rischio che venga soffocata dalle preoccupazioni, dalle paure e dalle incombenze della vita quotidiana. Ma una scintilla ha bisogno di aria per continuare a brillare e ravvivarsi in un grande fuoco di speranza. Ed è la dolce brezza dello Spirito Santo ad alimentare la speranza. Noi possiamo collaborare ad alimentarla in diversi modi.
La speranza è alimentata dalla preghiera. Pregando si custodisce e si rinnova la speranza. Pregando teniamo accesa la scintilla della speranza. «La preghiera è la prima forza della speranza. Tu preghi e la speranza cresce, va avanti» (Catechesi, 20 maggio 2020). Pregare è come salire in alta quota: quando siamo a terra, spesso non riusciamo a vedere il sole perché il cielo è coperto di nuvole. Ma se saliamo al di sopra delle nubi, la luce e il calore del sole ci avvolgono; e in questa esperienza ritroviamo la certezza che il sole è sempre presente, anche quando tutto appare grigio.
Cari giovani, quando le fitte nebbie della paura, del dubbio e dell’oppressione vi circondano e non riuscite più a vedere il sole, imboccate il sentiero della preghiera. Perché «se non mi ascolta più nessuno, Dio mi ascolta ancora» (Benedetto XVI, Lett. enc. Spe salvi, 32). Prendiamoci ogni giorno il tempo per riposare in Dio di fronte alle ansie che ci assalgono: «Solo in Dio riposa l’anima mia: da lui la mia speranza» (Sal 62,6).
La speranza è alimentata dalle nostre scelte quotidiane. L’invito a gioire nella speranza, che San Paolo rivolge ai cristiani di Roma (cfr Rm 12,12), richiede scelte molto concrete nella vita di ogni giorno. Perciò vi esorto a scegliere uno stile di vita basato sulla speranza. Faccio un esempio: sui social media sembra più facile condividere cattive notizie che notizie di speranza. Pertanto, vi faccio una proposta concreta: provate a condividere ogni giorno una parola di speranza. Diventate seminatori di speranza nella vita dei vostri amici e di tutti quelli che vi circondano. Infatti, «la speranza è umile, ed è una virtù che si lavora – diciamo così – tutti i giorni […]. Tutti i giorni è necessario ricordare che abbiamo la caparra, che è lo Spirito, che lavora in noi con piccole cose» (Meditazione mattutina, 29 ottobre 2019).
Accendere la torcia della speranza
A volte la sera uscite con i vostri amici e, se c’è buio, prendete lo smartphone e accendete la torcia per fare luce. Nei grandi concerti, migliaia di voi muovono questi moderni lumini al ritmo della musica, creando una scena suggestiva. Di notte la luce ci fa vedere le cose in modo nuovo, e perfino nell’oscurità emerge una dimensione di bellezza. Così è per la luce della speranza che è Cristo. Da lui, dalla sua risurrezione, la nostra vita è illuminata. Con Lui vediamo tutto in una luce nuova.
Si dice che quando le persone si rivolgevano a San Giovanni Paolo II per parlargli di un problema, la sua prima domanda fosse: «Come appare alla luce della fede?». Anche uno sguardo illuminato dalla speranza fa apparire le cose in una luce diversa. Vi invito, perciò, ad assumere questo sguardo nella vostra vita quotidiana. Animato dalla speranza divina, il cristiano si trova pieno di una gioia diversa, che viene da dentro. Le sfide e le difficoltà ci sono e ci saranno sempre, ma se siamo dotati di una speranza “piena di fede”, le affrontiamo sapendo che non hanno l’ultima parola e noi stessi diventiamo una piccola torcia di speranza per gli altri.
Anche ognuno di voi può esserlo, nella misura in cui la sua fede si fa concreta, aderente alla realtà e alle storie dei fratelli e delle sorelle. Pensiamo ai discepoli di Gesù, che un giorno, su un alto monte, lo videro risplendere di luce gloriosa. Se fossero rimasti lassù, sarebbe stato un momento bellissimo per loro, ma gli altri sarebbero rimasti esclusi. Era necessario che scendessero. Non dobbiamo fuggire dal mondo, ma amare il nostro tempo, nel quale Dio ci ha posto non senza motivo. Si può essere felici solo condividendo la grazia ricevuta con i fratelli e le sorelle che il Signore ci dona giorno per giorno.
Cari giovani, non abbiate timore di condividere con tutti la speranza e la gioia di Cristo Risorto! La scintilla che si è accesa in voi, custoditela, ma nello stesso tempo donatela: vi accorgerete che crescerà! Non possiamo tenere la speranza cristiana per noi, come un bel sentimento, perché è destinata a tutti. State vicino in particolare a quei vostri amici che magari in apparenza sorridono, ma che dentro piangono, poveri di speranza. Non lasciatevi contagiare dall’indifferenza e dall’individualismo: rimanete aperti, come canali in cui la speranza di Gesù possa scorrere e diffondersi negli ambienti dove vivete.
«Cristo vive. Egli è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo!» (Esort. ap. Christus vivit, 1). Così vi scrivevo quasi cinque anni fa, dopo il Sinodo dei Giovani. Invito tutti voi, specialmente quanti sono coinvolti nella pastorale giovanile, a riprendere in mano il Documento Finale del 2018 e l’Esortazione apostolica Christus vivit. I tempi sono maturi per fare insieme il punto della situazione e adoperarci con speranza per la piena attuazione di quel Sinodo indimenticabile.
Affidiamo tutta la nostra vita a Maria, Madre della Speranza. Lei ci insegna a portare dentro di noi Gesù, nostra gioia e speranza, e a donarlo agli altri. Buon cammino, cari giovani! Vi benedico e vi accompagno con la preghiera. E anche voi pregate per me!
Roma, San Giovanni in Laterano, 9 novembre 2023, Festa della Dedicazione della Basilica Lateranense.
FRANCESCO
[01732-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
« Joyeux dans l’espérance » (cf. Rm 12, 12)
Chers jeunes,
en août dernier, j'ai rencontré des centaines de milliers de vos semblables, venus du monde entier à Lisbonne pour les Journées Mondiales de la Jeunesse. Au temps de la pandémie, dans les nombreuses incertitudes, nous avions nourri l'espérance que cette grande célébration de la rencontre avec le Christ et avec d'autres jeunes pourrait voir le jour. Cette espérance s'est réalisée et, pour beaucoup d'entre nous qui étions présents, et moi aussi, elle a dépassé toutes les attentes ! Que notre rencontre à Lisbonne a été belle ! Une véritable expérience de transfiguration, une explosion de lumière et de joie !
À la fin de la messe de clôture au “Champ de la grâce”, j'ai indiqué la prochaine étape de notre pèlerinage intercontinental : Séoul, en Corée, en 2027. Mais auparavant, je vous ai donné rendez-vous à Rome, en 2025 pour le Jubilé des jeunes, où vous serez également des “pèlerins de l'espérance”.
Vous, les jeunes, vous êtes en effet la joyeuse espérance d'une Église et d'une humanité toujours en marche. Je voudrais vous prendre par la main et parcourir avec vous le chemin de l'espérance. Je voudrais parler avec vous de nos joies et de nos espérances, mais aussi des tristesses et des angoisses de nos cœurs et de l'humanité souffrante (cf. Const. past. Gaudium et spes, n. 1). Au cours de ces deux années de préparation au Jubilé, nous méditerons d'abord sur l'expression paulinienne « Joyeux dans l’espérance » (cf. Rm 12, 12), puis nous approfondirons celle du prophète Isaïe : « Ceux qui mettent leur espérance dans le Seigneur […] marchent sans se fatiguer » (Is 40, 31).
D’où provient cette joie ?
« Ayez la joie de l’espérance » (Rm 12, 12) est une exhortation de saint Paul à la communauté de Rome qui se trouve dans une période de grave persécution. En réalité, la “joie de l'espérance” prêchée par l'Apôtre jaillit du mystère pascal du Christ, de la puissance de sa résurrection. Elle n'est pas le fruit de l'effort humain, de l'ingéniosité ni du savoir-faire. Elle est la joie qui découle de la rencontre avec le Christ. La joie chrétienne vient de Dieu lui-même, du fait que nous nous savons aimés de Lui.
Benoît XVI, réfléchissant à l'expérience qu'il avait vécue lors des Journées Mondiales de la Jeunesse à Madrid, en 2011, demandait : la joie, « d’où vient-elle ? Comment s’explique-t-elle ? Il y a certainement de nombreux facteurs qui agissent ensemble. Mais celui qui est décisif est [...] la certitude qui provient de la foi : je suis voulu. J’ai une mission dans l'histoire. Je suis accepté, je suis aimé ». Et il précise : « En fin de compte, nous avons besoin d’un accueil inconditionnel. C’est seulement si Dieu m’accueille et que j’en deviens sûr, que je sais définitivement : il est bien que j’existe. [...] Il est bien d’exister comme personne humaine, même dans des temps difficiles. La foi rend heureux à partir de l’intérieur » (Discours à la Curie romaine, n. 22 décembre 2011).
Où est mon espérance ?
La jeunesse est une période pleine d’espoirs et de rêves, nourris par les belles réalités qui enrichissent nos vies : la splendeur de la création, les relations avec nos proches et nos amis, les expériences artistiques et culturelles, les connaissances scientifiques et techniques, les initiatives qui promeuvent la paix, la justice et la fraternité, et autres choses encore. Nous vivons cependant une époque où, pour beaucoup, y compris des jeunes, l'espérance semble être la grande absente. Beaucoup de vos semblables, qui connaissent la guerre, la violence, le harcèlement et diverses formes de détresses, sont malheureusement en proie au désespoir, à la peur et à la dépression. Ils se sentent comme enfermés dans une sombre prison, incapables de voir les rayons du soleil. Le taux élevé de suicide chez les jeunes dans plusieurs pays en est la preuve dramatique. Dans un tel contexte, comment éprouver la joie et l'espérance dont parle saint Paul ? Il y a plutôt un risque que le désespoir prenne le dessus, la pensée qu'il est inutile de faire du bien sous prétexte qu'il ne serait apprécié et reconnu par personne, comme nous le lisons dans le Livre de Job : « Où donc est mon espoir ? Mon espérance, qui l’entrevoit ? » (Jb 17, 15).
Face aux drames de l'humanité, en particulier à la souffrance des innocents, nous aussi demandons au Seigneur, comme nous le prions dans certains Psaumes : “Pourquoi ?” Or, nous pouvons faire partie de la réponse de Dieu. Créés par Lui à son image et à sa ressemblance, nous pouvons être une expression de son amour qui fait naître la joie et l'espérance même là où cela semble impossible. Il me vient à l'esprit le personnage principal du film “La vie est belle” ; un jeune père qui, avec délicatesse et imagination, parvient à transformer la dure réalité en une sorte d'aventure et de jeu, donnant de la sorte à son fils un “regard d’espérance” en le protégeant des horreurs du camp de concentration, en sauvegardant son innocence et en empêchant la méchanceté humaine de lui voler son avenir. Mais il ne s'agit pas seulement d'histoires inventées ! C'est ce que nous voyons dans la vie de tant de saints qui ont été des témoins de l'espérance même au milieu de la méchanceté humaine la plus cruelle. Nous pensons à saint Maximilien Marie Kolbe, à sainte Joséphine Bakhita ou au couple de bienheureux Józef et Wiktoria Ulma avec leurs sept enfants.
La possibilité d'allumer l'espérance dans le cœur des hommes, à partir du témoignage chrétien, a été magistralement mise en lumière par saint Paul VI lorsqu'il a rappelé : « Un chrétien ou un groupe de chrétiens au sein de la communauté humaine dans laquelle ils vivent [...] rayonnent, d’une façon toute simple et spontanée, leur foi en des valeurs qui sont au-delà des valeurs courantes, et leur espérance en quelque chose qu’on ne voit pas, dont on n’oserait pas rêver » (Exhort. ap. Evangelii nuntiandi, n. 21).
La “petite” espérance
Le poète français Charles Péguy, au début de son poème sur l'espérance, parle des trois vertus théologales - la foi, l'espérance et la charité - comme de trois sœurs qui marchent ensemble :
« La petite espérance s’avance entre ses deux grandes sœurs et on ne prend pas seulement garde à elle.
[…]
C’est elle, cette petite qui entraîne tout.
Car la Foi ne voit que ce qui est.
Et elle, elle voit ce qui sera.
La Charité n’aime que ce qui est.
Et elle, elle aime ce qui sera.
[…]
En réalité, c’est elle qui fait marcher les deux autres.
Et qui les traîne.
Et qui fait marcher tout le monde ».
(Le porche du mystère de la deuxième vertu, Gallimard, 1986)
Je suis moi aussi convaincu de ce caractère humble, “petit”, et pourtant fondamental de l'espérance. Pensez-y : comment pourrions-nous vivre sans espérance ? À quoi ressembleraient nos journées ? L'espérance est le sel du quotidien.
L’espérance, lumière qui brille dans la nuit
Dans la tradition chrétienne du Triduum pascal, le Samedi saint est le jour de l'espérance. Entre le Vendredi saint et le Dimanche de Pâques, il est comme un intermédiaire entre le désespoir des disciples et leur joie pascale. Il est le lieu où naît l'espérance. L'Église, ce jour-là, commémore en silence la descente aux enfers du Christ. Nous pouvons le voir sous forme picturale dans de nombreuses icônes. Elles nous montrent le Christ rayonnant de lumière qui descend dans les ténèbres les plus profondes et les traverse. C'est ainsi : Dieu ne se contente pas de regarder avec compassion nos lieux de mort ou de nous appeler de loin, mais Il entre dans nos expériences des enfers comme une lumière qui resplendit dans les ténèbres, et Il en triomphe (cf. Jn 1, 5). Un poème en langue sud-africaine xhosa l'exprime bien : « Bien que toute espérance soit perdue, avec ce poème, je réveille l'espérance. Mon espérance est réveillée parce que j'espère dans le Seigneur. J'espère que nous nous unirons ! Restez forts dans l’espérance, car l’heureuse issue est proche ».
Si nous y réfléchissons bien, il s'agit là de l'espérance de la Vierge Marie qui est restée forte au pied de la croix de Jésus, certaine que l’“heureuse issue” était proche. Marie est la femme de l'espérance, la Mère de l'espérance. Au Calvaire, « espérant contre toute espérance » (Rm 4, 18), elle n'a pas laissé s'éteindre dans son cœur la certitude de la résurrection annoncée par son Fils. C'est elle qui remplit le silence du Samedi Saint d'une attente aimante et pleine d'espérance, en inculquant aux disciples la certitude que Jésus vaincra la mort et que le mal n'aura pas le dernier mot.
L'espérance chrétienne n'est pas un optimisme facile ni un placebo pour les crédules : elle est la certitude, enracinée dans l'amour et dans la foi, que Dieu ne nous laisse jamais seuls et qu'il tient sa promesse : « Si je traverse les ravins de la mort, je ne crains aucun mal, car tu es avec moi » (Ps 22, 4). L'espérance chrétienne n'est pas une négation de la souffrance et de la mort, elle est une célébration de l'amour du Christ ressuscité qui est toujours avec nous, même lorsqu'il semble loin. Le Christ lui-même est pour nous la grande lumière de l'espérance et la boussole dans notre nuit, car il est “l'étoile radieuse du matin” » (Exhort. ap. Christus vivit, n. 33).
Nourrir l’espérance
Lorsque l'étincelle de l'espérance a été allumée en nous, il y a parfois le risque qu'elle soit étouffée par les soucis, les peurs et les fardeaux de la vie quotidienne. Mais une étincelle a besoin d'air pour continuer à briller et se raviver en un grand feu d'espérance. C'est la douce brise de l'Esprit Saint qui nourrit l'espérance. Nous pouvons contribuer à la nourrir de différentes manières.
L'espérance est nourrie par la prière. On conserve et renouvelle l'espérance en priant. On maintient l'étincelle de l'espérance allumée en priant. « La prière est la première force de l’espérance. Tu pries et l’espérance grandit, tu vas de l’avant » (Catéchèse, 20 mai 2020). Prier, c'est comme prendre de la hauteur : souvent lorsque nous sommes au sol, nous ne voyons pas le soleil parce que le ciel est couvert de nuages. Mais si nous montons au-dessus des nuages, la lumière et la chaleur du soleil nous enveloppent, et nous retrouvons dans cette expérience la certitude que le soleil est toujours présent, même quand tout semble gris.
Chers jeunes, lorsque l'épais brouillard de la peur, du doute et de l'oppression vous entoure et que vous ne parvenez plus à voir le soleil, prenez le chemin de la prière. Car « si personne ne m'écoute plus, Dieu m'écoute encore » (Benoît XVI, Lett. enc. Spe Salvi, n. 32). Prenons chaque jour le temps de nous reposer en Dieu face aux angoisses qui nous assaillent : « Je n'ai mon repos qu'en Dieu seul ; oui, mon espoir vient de lui » (Ps 61, 6).
L'espérance est nourrie par nos choix quotidiens. L'invitation à se réjouir dans l'espérance, que saint Paul adresse aux chrétiens de Rome (cf. Rm 12, 12), nécessite des choix très concrets dans la vie de tous les jours. Je vous invite donc à choisir un style de vie fondé sur l'espérance. Je vous donne un exemple : sur les réseaux sociaux, il semble plus facile de partager les mauvaises nouvelles que les nouvelles d'espérance. Je vous fais donc une proposition concrète : essayez de partager une parole d’espérance chaque jour. Devenez des semeurs d'espérance dans la vie de vos amis et de tous ceux qui vous entourent. En effet, « l'espérance est humble, et c'est une vertu qui se travaille - disons - tous les jours [...]. Chaque jour, il faut se rappeler que nous avons le dépôt, qui est l'Esprit, qui travaille en nous avec de petites choses » (Méditation du matin, 29 octobre 2019).
Allumer le flambeau de l’espérance
Vous sortez parfois le soir avec vos amis et, s'il fait nuit, vous prenez votre smartphone et allumez la torche pour faire de la lumière. Lors de grands concerts, vous êtes des milliers à faire bouger ces lampes modernes au rythme de la musique, créant ainsi une ambiance particulière. La nuit, la lumière nous fait voir les choses d'une manière nouvelle, et même dans l'obscurité, une dimension de beauté apparaît. Il en va de même pour la lumière de l'espérance qu'est le Christ. Par Lui, par sa résurrection, notre vie est illuminée. Avec lui, nous voyons tout sous un jour nouveau.
On raconte que lorsque les gens s'adressaient à saint Jean-Paul II pour lui parler d'un problème, sa première question était : “Comment cela se présente-t-il à la lumière de la foi ?” Un regard éclairé par l'espérance fait également apparaître les choses sous un jour différent. Je vous invite donc à adopter ce regard dans votre vie quotidienne. Animé par l'espérance divine, le chrétien est rempli d'une joie différente qui vient de l'intérieur. Les défis et les difficultés, il y en a et il y en aura toujours, mais si nous sommes habités par une espérance “pleine de foi”, nous les affronterons en sachant qu'ils n'ont pas le dernier mot et nous deviendrons nous-mêmes un petit flambeau d'espérance pour les autres.
Chacun de vous peut l'être dans la mesure où sa foi devient concrète, collant à la réalité et aux histoires de ses frères et sœurs. Pensons aux disciples de Jésus qui, un jour, sur une haute montagne, l'ont vu resplendir d'une lumière glorieuse. S'ils étaient restés là-haut, cela aurait été un beau moment pour eux, mais les autres auraient été laissés de côté. Il fallait qu'ils descendent. Nous ne devons pas fuir le monde, mais aimer notre époque dans laquelle Dieu nous a placés non sans raison. Nous ne pouvons être heureux qu'en partageant, avec les frères et sœurs que le Seigneur nous donne jour après jour, la grâce reçue.
Chers jeunes, n'ayez pas peur de partager avec les autres l'espérance et la joie du Christ ressuscité ! L'étincelle qui s'est allumée en vous, entretenez-la, mais en même temps donnez-la : vous constaterez qu'elle grandira ! Nous ne pouvons pas garder l’espérance chrétienne pour nous, comme un beau sentiment, parce qu'elle est destinée à tout le monde. Soyez particulièrement proches de vos amis qui peuvent sourire en apparence mais qui pleurent à l'intérieur, pauvres en espérance. Ne vous laissez pas contaminer par l'indifférence et l'individualisme : restez ouverts, comme des canaux à travers lesquels l'espérance de Jésus peut s’écouler et se répandre dans les milieux où vous vivez.
« Il vit, le Christ, notre espérance et il est la plus belle jeunesse de ce monde » (Exhort. ap. Christus vivit, n. 1). C'est ce que je vous ai écrit il y a presque cinq ans, après le Synode des jeunes. Je vous invite tous, en particulier ceux qui sont impliqués dans la pastorale des jeunes, à vous saisir du Document final de 2018 et de l'Exhortation apostolique Christus vivit. Le moment est venu de faire le point ensemble et de travailler avec espérance à la pleine mise en œuvre de ce Synode inoubliable.
Confions toute notre vie à Marie, Mère de l'Espérance. Elle nous apprend à porter en nous Jésus, notre joie et notre espérance, et à le donner aux autres. Bon cheminement, chers jeunes ! Je vous bénis et vous accompagne par la prière. Et vous aussi, priez pour moi !
Rome, Saint-Jean-de-Latran, 9 novembre 2023, Fête de la Dédicace de la Basilique du Latran.
FRANÇOIS
[01732-FR.01] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
“Rejoicing in Hope” (Rom 12:12)
Dear Young People,
This past August I met hundreds of thousands of your contemporaries from all over the world who converged on Lisbon for World Youth Day. During the pandemic and all its uncertainties, we had hoped that this great moment of encounter with Christ and with other young people could take place. Our hopes were realized, and for many of us who were present – myself included – that event surpassed all our expectations. Our meeting in Lisbon was magnificent, a genuine experience of renewal, an explosion of light and joy!
At the end of the final Mass in the “Field of Grace”, I spoke of the next stage of our intercontinental pilgrimage: Seoul, Korea, in 2027. First, though, I invited you to Rome in 2025 for the Jubilee of Young People, where you too will be “Pilgrims of Hope”.
As young people, you are indeed the joyful hope of the Church and of a humanity always on the move. I would like to take you by the hand and walk with you on the path of hope. I would like to speak with you about our joys and hopes, but also of our sorrows and concerns, and those of all our brothers and sisters in the human family (cf. Gaudium et Spes, 1). In these two years of preparation for the Jubilee, we will meditate first on Saint Paul’s words, “Rejoicing in hope” (Rom 12:12), and then those of the prophet Isaiah, “Those who hope in the Lord will run and not be weary” (Is 40:31).
What is the origin of this joy?
“Rejoice in hope” was Saint Paul’s encouragement to the community of Rome at a time when it was undergoing harsh persecution. The “joy in hope” proclaimed by the Apostle is the fruit of Christ’s paschal mystery and the power of his resurrection. It is not a product of our human efforts, plans or skills, but of the energy born of an encounter with Christ. Christian joy comes from God himself, from our knowledge of his love for us.
Pope Benedict XVI, reflecting on his experience of the 2011 World Youth Day in Madrid, asked: “Where does joy come from? How is it to be explained? Certainly, there are many factors at work here. But the crucial one is this certainty based on faith: I am wanted. I have a task in history. I am accepted, I am loved”. He went on to say: “Ultimately we need a sense of being accepted unconditionally. Only if God accepts me and I become convinced of this, do I know definitively: it is good that I exist… It is good to be a human being, even in hard times. Faith makes one happy from deep within” (Address to the Roman Curia, 22 December 2011).
Where is my hope?
Youth is a time full of hopes and dreams, stirred by the many beautiful things that enrich our lives: the splendour of God’s creation, our relationships with friends and loved ones, our encounter with art and culture, science and technology, our efforts to work for peace, justice and fraternity, and so many other things. We are living at a time, though, when for many people, including the young, hope seems absent. Sadly, many of your contemporaries who experience wars, violent conflict, bullying and other kinds of hardship, are gripped by despair, fear and depression. They feel as if they are in a dark prison, where the light of the sun cannot enter. A dramatic sign of this is the high rate of suicide among young people in different countries. In such situations, how can we experience the joy and hope of which Saint Paul speaks? There is a risk that instead we will fall prey to despair, thinking that it is useless to do good, since it would not be appreciated or acknowledged by anyone. We may say to ourselves, with Job: “Where then is my hope? Who will see my hope?” (Job 17:15).
When we think of human tragedies, especially the suffering of the innocent, we too can echo some of the Psalms and ask the Lord, “Why?” At the same time, however, we can also be part of God’s answer to the problem. Created by him in his image and likeness, we can be signs of his love, which gives rise to joy and hope even in situations that appear hopeless. I think of the film “Life is Beautiful”, where a young father, with great sensitivity and creativity, manages to transform harsh realities into a kind of adventure and game. He enables his young son to see things with “eyes of hope”, protecting him from the horrors of the concentration camp, preserving his innocence and preventing human malice from robbing him of a future. Stories like these are not just fiction! We see them played out in the lives of so many saints who were witnesses of hope even amid the most horrid examples of human evil. We can think of Saint Maximilian Mary Kolbe, Saint Josephine Bakhita, and Blessed Józef and Wiktoria Ulma and their seven children.
This capacity for instilling hope in human hearts was masterfully described by Saint Paul VI: “a Christian or a group of Christians who in the midst of their community… can radiate in a simple and unaffected way their faith in enduring values and their hope in something unseen and even unimaginable” (Evangelii Nuntiandi, 21).
Hope, the “little” virtue
The French writer Charles Péguy, at the beginning of his poem on hope, spoke of the three theological virtues – faith, hope and charity – as three sisters who walk together:
“Hope, the little one, walks beside her two older sisters, practically unseen.
…
Yet she, the little one, drags everything along.
Because Faith only sees what exists.
And Charity only loves what exists.
But Hope loves what will be.
…
She is the one who makes the others keep walking;
She is the one who leads them on,
and makes them all walk together”
(The Portico of the Mystery of the Second Virtue).
I, too, am convinced that hope is humble, little, yet essential. Think for a moment. How can we live without hope? What would our days be like? Hope is the salt of our daily lives.
Hope, a light shining in the night
In the Christian tradition of the Paschal Triduum, Holy Saturday is the day of hope. Situated between Good Friday and Easter Sunday, it is a kind of no man’s land between the despair of the disciples and their joy on Easter morn. It is the place where hope is born. On Holy Saturday, the Church commemorates in silence Christ’s descent into hell. We see this portrayed in the many icons that show us the Lord, radiant with light, who descends to the darkest depths and crosses over them. God does not simply look with compassion on our experiences of death, or call to us from afar; he enters into our moments of hell like a light that shines in the darkness and overcomes it (cf. Jn 1:5). This is nicely expressed by a poem in the South African language Xhosa: “Even if hope is at an end, by this poetry I revive hope. My hope is revived because my hope is in the Lord. I hope that we will all be one! Remain steadfast in hope, for the good outcome is near”.
If we think about it, that was the hope of the Virgin Mary, who remained steadfast beneath the cross of Jesus, certain that the “good outcome” was near. Mary is the woman of hope, the Mother of hope. On Calvary, “hoping against hope” (cf. Rom 4:18), she never wavered in her certainty of the resurrection that her Son had proclaimed. Our Lady filled the silence of Holy Saturday with loving and hope-filled expectation, and inspired in the disciples the certainty that Jesus would conquer death and that evil would not be the last word.
Christian hope is no facile optimism, no placebo for the credulous: it is the certainty, rooted in love and faith, that God never abandons us and remains faithful to his promise: “Even though I walk through the darkest valley, I fear no evil, for you are with me” (Ps 23:4). Christian hope is not a denial of sorrow and death; it is the celebration of the love of the risen Christ, who is always at our side, even when he seems far from us. “Christ himself is our great light of hope and our guide in the night, because he is ‘the bright morning star’” (Christus Vivit, 33).
Nurturing hope
After the flame of hope is kindled in us, there can be times when it risks being extinguished by the worries, fears and pressures of daily life. A flame needs oxygen to keep burning, in order to grow into a great bonfire of hope. The gentle breeze of the Holy Spirit nurtures our hope, and there are several ways that we cooperate in this.
Hope is nurtured by prayer. Prayer preserves and renews hope. It helps fan the spark of hope into flame. “Prayer is the first strength of hope. You pray, and hope grows and moves forward” (Catechesis, 20 May 2020). Praying is like climbing to a mountaintop: from the ground, the sun can be hidden by clouds, but once we climb beyond them, its light and warmth envelop us. We see once more that the sun is always there, even when everything around us seems dark and dreary.
Dear young friends, when you feel surrounded by the clouds of fear, doubt and anxiety and you no longer see the sun, take the path of prayer. For “when no one listens to me any more, God still listens to me” (BENEDICT XVI, Spe Salvi, 32). Let us take some time each day to rest in God, especially when we feel overwhelmed by our problems: “For God alone my soul waits in silence, for my hope is from him” (Ps 62:5).
Hope is nurtured by our daily decisions. Saint Paul’s invitation to rejoice in hope (cf. Rom 12:12) calls for concrete choices in our everyday lives. I urge all of you to choose a style of life grounded in hope. Let me give just one example. On social media, it always seems easier to share negative things than things that inspire hope. So my concrete suggestion is this: each day, try to share a word of hope with others. Try to sow seeds of hope in the lives of your friends and everyone around you. For “hope is humble, it is a virtue that is built up day by day… We need to remember each day that we possess the first fruits of the Spirit, who works in us through the little things” (Morning Meditation, 29 October 2019).
Lighting the torch of hope
Sometimes, when you go out at night with your friends, you bring your smart phone and use it as a light. At huge concerts, thousands of you move these modern candles to the rhythm of the music; it is an impressive sight. At night, light makes us see things in a new way, and in the darkness a certain beauty shines forth. So it is with the light of hope which is Christ. From Jesus, from his resurrection, our lives take on light. With him, we see everything in a new light.
We are told that when people would come to Saint John Paul II to speak with him about a problem, the first question he asked was: “How do you see this in the light of faith?” When we see things in the light of hope, they appear different. I encourage you, then, to start seeing things this way. Thanks to God’s gift of hope, Christians are filled with a new joy that comes from within. The challenges and difficulties will always be there, but if we possess a hope “full of faith”, we can confront them in the knowledge that they do not have the final word. And we ourselves can become a small beacon of hope for others.
Each of you can be such a beacon, to the extent that your faith becomes concrete, rooted in reality and sensitive to the needs of our brothers and sisters. Let us think of those disciples of Jesus who one day, on a high mountain, saw him transfigured in glorious light. Had they stayed there, it would have remained a beautiful experience for them, but the others would not have shared it. They had to come down from the mountain. So it is with us. We must not flee from the world, but love the times in which God has placed us, and not without reason. We can only find happiness by sharing the grace we have received with the brothers and sisters that the Lord gives us each day.
Dear young people, do not be afraid to share with others the hope and joy of the risen Christ! Nurture the spark that has been kindled in you, but at the same time share it. You will come to realize that it grows by being given away! We cannot keep our Christian hope to ourselves, like a warm feeling, because it is meant for everyone. Stay close in particular to your friends who may be smiling on the outside but are weeping within, for lack of hope. Do not let yourselves be infected by indifference and individualism. Remain open, like canals in which the hope of Jesus can flow and spread in all the areas where you live.
“Christ is alive! He is our hope, and in a wonderful way he brings youth to our world!” (Christus Vivit, 1). I addressed those words to you almost five years ago, after the Synod on Young People. I encourage all of you, especially all those engaged in youth ministry, to reread the Final Document of 2018 and the Apostolic Exhortation Christus Vivit. The time is ripe to take stock of the situation and to work together with hope for the full implementation of that unforgettable Synod.
Let us entrust our lives entirely to Mary, Mother of Hope. She teaches us how to carry Jesus, our joy and hope, within our hearts and to share him with others. Dear friends, may you enjoy every step of the journey you are making! I bless you and I accompany you with my prayers. And I ask you, please, to pray for me.
Rome, Saint John Lateran, 9 November 2023, Feast of the Dedication of the Lateran Basilica.
FRANCIS
[01732-EN.01] [Original text: English]
Traduzione in lingua tedesca
»Freut euch in der Hoffnung« (Röm 12,12)
Liebe Jugendliche!
Im vergangenen August habe ich Hunderttausende eurer Altersgenossen aus der ganzen Welt getroffen, die in Lissabon zum Weltjugendtag versammelt waren. Zur Zeit der Pandemie, inmitten vieler Ungewissheiten, hatten wir die Hoffnung gehegt, dass dieses große Fest der Begegnung mit Christus und mit anderen jungen Menschen würde stattfinden können. Diese Hoffnung hat sich erfüllt, und für viele von uns, die dort waren – mich eingeschlossen – hat es alle Erwartungen übertroffen! Wie schön unser Treffen in Lissabon gewesen ist! Ein wahres Verklärungs-Erlebnis, eine Explosion an Licht und Freude!
Am Ende der Abschlussmesse auf dem „Feld der Gnade“ habe ich die nächste Etappe unserer interkontinentalen Pilgerreise angekündigt: Seoul, in Korea, im Jahr 2027. Aber bereits für 2025 habe ich mich mit euch zum Heiligen Jahr der Jugendlichen in Rom verabredet, wo auch ihr „Pilger der Hoffnung“ sein werdet.
Ihr jungen Menschen seid nämlich die frohe Hoffnung einer Kirche und einer Menschheit, die immer unterwegs ist. Ich würde euch gern an die Hand nehmen und mit euch den Weg der Hoffnung gehen. Ich möchte mit euch über unsere Freuden und Hoffnungen sprechen, aber auch über die Trauer und die Ängste unserer Herzen und der leidenden Menschheit (vgl. Pastoralkonstitution Gaudium et spes, 1). In diesen zwei Jahren der Vorbereitung auf das Heilige Jahr werden wir zunächst den Satz des heiligen Paulus »Freut euch in der Hoffnung« (Röm 12,12) betrachten und dann jenen des Propheten Jesaja vertiefen: „Die auf den Herrn hoffen, laufen und werden nicht müde“ (vgl. Jes 40,31).
Woher kommt diese Freude?
»Freut euch in der Hoffnung« (Röm 12,12). Das ist eine Aufforderung des heiligen Paulus an die Gemeinde von Rom, die sich in einer Zeit schwerer Verfolgung befindet. Und in Wirklichkeit entspringt die vom Apostel gepredigte „Freude in der Hoffnung“ aus dem Ostergeheimnis Christi, aus der Kraft seiner Auferstehung. Sie ist nicht die Frucht menschlicher Anstrengung, Erfindungsgabe oder Kunst. Es ist die Freude, die aus der Begegnung mit Christus kommt. Die christliche Freude kommt von Gott selbst, aus dem Wissen, von ihm geliebt zu sein.
Als Benedikt XVI. 2011 über seine Erfahrungen beim Weltjugendtag 2011 in Madrid nachdachte, fragte er sich: Die Freude, »woher kommt sie? Wie erklärt sie sich? Sicher wirken viele Faktoren zusammen. Aber der entscheidende ist […] die aus dem Glauben kommende Gewissheit: Ich bin gewollt. Ich habe eine Aufgabe in der Geschichte. Ich bin angenommen, ich bin geliebt.« Und er präzisierte: »Letztlich brauchen wir ein unbedingtes Angenommensein. Nur wenn Gott mich annimmt und ich dessen gewiss werde, weiß ich endgültig: Es ist gut, dass ich bin. [...] Es ist gut, ein Mensch zu sein, auch in schwieriger Zeit. Der Glaube macht von innen her froh« (Ansprache an die Römische Kurie, 22. Dezember 2011).
Wo ist meine Hoffnung?
Die Jugend ist eine Zeit voller Hoffnungen und Träume, genährt von den schönen Dingen, die unser Leben bereichern: die Schönheit der Schöpfung, die Beziehungen zu geliebten Menschen und Freunden, künstlerische und kulturelle Erfahrungen, wissenschaftliche und technische Erkenntnis, Initiativen zur Förderung des Friedens, der Gerechtigkeit und der Geschwisterlichkeit und so weiter. Wir leben jedoch in einer Zeit, in der für viele, auch für junge Menschen, die Hoffnung die große Abwesende zu sein scheint. Leider werden viele eurer Gleichaltrigen, die Krieg, Gewalt, Mobbing und verschiedene Formen von Entbehrung erleben, von Verzweiflung, Angst und Depression geplagt. Sie fühlen sich wie in ein dunkles Gefängnis eingesperrt, unfähig, die Strahlen der Sonne zu sehen. Die hohe Selbstmordrate unter jungen Menschen in verschiedenen Ländern zeigt dies in dramatischer Weise. Wie kann man in einem solchen Umfeld die Freude und Hoffnung erfahren, von der der heilige Paulus spricht? Vielmehr besteht die Gefahr, dass die Verzweiflung die Oberhand gewinnt, der Gedanke, dass es sinnlos ist, Gutes zu tun, weil es von niemandem geschätzt und anerkannt wird, wie wir im Buch Ijob lesen: »Wo aber ist meine Hoffnung? Ja, meine Hoffnung, wer kann sie erblicken?« (Ijob 17,15).
Angesichts der menschlichen Tragödien, insbesondere des Leidens von Unschuldigen, fragen auch wir den Herrn, wie wir in einigen Psalmen beten: „Warum?“ Nun, wir können Teil von Gottes Antwort sein. Wir, die wir von ihm nach seinem Bild geschaffen sind, können ein Ausdruck seiner Liebe sein, die selbst dort Freude und Hoffnung hervorbringt, wo dies unmöglich erscheint. Mir kommt die Hauptfigur des Films »Das Leben ist schön« in den Sinn, ein junger Vater, dem es mit Feingefühl und Fantasie gelingt, die harte Wirklichkeit in eine Art Abenteuer und Spiel zu verwandeln und so seinem Sohn „Augen der Hoffnung“ zu schenken, indem er ihn vor den Schrecken des Konzentrationslagers schützt, seine Arglosigkeit bewahrt und verhindert, dass die menschliche Bosheit ihm die Zukunft raubt. Aber das sind nicht bloß erfundene Geschichten! Es ist das, was wir im Leben vieler Heiliger sehen, die selbst inmitten grausamster menschlicher Boshaftigkeit Zeugen der Hoffnung waren. Wir denken an den heiligen Maximilian Maria Kolbe, die heilige Josefine Bakhita oder das selige Ehepaar Józef und Wiktoria Ulma mit ihren sieben Kindern.
Die Möglichkeit, ausgehend vom christlichen Zeugnis in den Herzen der Menschen Hoffnung zu entfachen, ist meisterhaft vom heiligen Paul VI. herausgestellt worden, als er uns daran erinnerte: »Ein einzelner Christ oder eine Gruppe von Christen inmitten der menschlichen Gemeinschaft, in der sie leben«, bekunden »auf ganz einfache und spontane Weise ihren Glauben in Werte […], die über den allgemeingängigen Werten stehen, und ihre Hoffnung in etwas, das man nicht sieht und von dem man nicht einmal zu träumen wagt« (Apostolisches Schreiben Evangelii Nuntiandi, 21).
Die „kleine“ Hoffnung
Der französische Dichter Charles Péguy spricht zu Beginn seines Gedichts über die Hoffnung von den drei theologischen Tugenden – Glaube, Hoffnung und Liebe – als drei Schwestern, die gemeinsam unterwegs sind:
»Die kleine Hoffnung schreitet einher zwischen ihren zwei großen Schwestern voran, und man beachtet nicht einmal, dass sie da ist.
[…]
Sie ist es, die Kleine, die alles mit sich reißt.
Denn Glaube sieht nur, was ist.
Sie aber sieht, was sein wird.
Und Liebe liebt nur, was ist.
Sie aber liebt, was sein wird.
[...]
Und in Wirklichkeit ist sie’s, die die beiden andern voranzieht.
Und sie voranschleppt.
Und die ganze Welt in Bewegung bringt«
(Das Tor zum Geheimnis der Hoffnung, Einsiedeln 42007, 14-16).
Auch ich bin von diesem bescheidenen, „geringeren“ und doch wesentlichen Charakter der Hoffnung überzeugt. Versucht einmal zu überlegen: Wie könnten wir ohne Hoffnung leben? Wie sähen unsere Tage aus? Die Hoffnung ist das Salz des Alltags.
Die Hoffnung, ein Licht, das in der Nacht leuchtet
In der christlichen Tradition des österlichen Triduums ist der Karsamstag der Tag der Hoffnung. Er liegt zwischen Karfreitag und Ostersonntag und ist wie ein Mittelbereich zwischen der Verzweiflung der Jünger und ihrer Osterfreude. Er ist der Ort, an dem die Hoffnung geboren wird. An jenem Tag gedenkt die Kirche in aller Stille des Abstiegs Christi in die Unterwelt. Wir können das auf vielen Ikonen in bildlicher Form dargestellt sehen. Sie zeigen uns den strahlenden Christus, der in die tiefste Finsternis hinabsteigt und sie durchquert. Genau so ist es: Gott beschränkt sich nicht darauf, mitleidsvoll unsere Bereiche des Todes anzusehen oder uns aus der Ferne zu rufen, sondern er kommt in unsere Unterwelt-Erfahrungen hinein als das Licht, das in der Finsternis leuchtet und sie überwindet (vgl. Joh 1,5). Ein Gedicht in der südafrikanischen Xhosa-Sprache drückt dies gut aus: »Auch wenn es keine Hoffnung mehr gibt, mit diesem Gedicht erwecke ich die Hoffnung neu. Meine Hoffnung erwacht, denn ich hoffe auf den Herrn. Ich hoffe, dass wir uns vereinen! Bleibt stark in der Hoffnung, denn der gute Ausgang ist nah«.
Dies war, wenn wir es recht bedenken, die Hoffnung der Jungfrau Maria, die unter dem Kreuz Jesu stark blieb, in der Gewissheit, dass der „gute Ausgang“ nahe war. Maria ist die Frau der Hoffnung, die Mutter der Hoffnung. Auf dem Kalvarienberg war sie „gegen alle Hoffnung voll Hoffnung“ (vgl. Röm 4,18), sie ließ nicht zu, dass in ihrem Herzen die Gewissheit der Auferstehung erlosch, die ihr Sohn angekündigt hatte. Sie ist es, die die Stille des Karsamstags mit einer liebevollen Erwartung voller Hoffnung füllt, indem sie den Jüngern die Gewissheit gibt, dass Jesus den Tod besiegen und das Böse nicht das letzte Wort haben wird.
Die christliche Hoffnung ist kein oberflächlicher Optimismus und kein Placebo für Leichtgläubige: Sie ist die in der Liebe und im Glauben verwurzelte Gewissheit, dass Gott uns niemals allein lässt und sein Versprechen hält: »Auch wenn ich gehe im finsteren Tal, ich fürchte kein Unheil; denn du bist bei mir« (Ps 23,4). Die christliche Hoffnung ist keine Verleugnung von Schmerz und Tod, sondern eine Feier der Liebe des auferstandenen Christus, der immer bei uns ist, auch wenn er weit weg zu sein scheint. »Christus selbst ist für uns das große Licht der Hoffnung und des Geleits in unserer Finsternis, denn er ist „der strahlende Morgenstern“« (Apostolisches Schreiben Christus vivit, 33).
Die Hoffnung nähren
Wenn der Funke der Hoffnung in uns entfacht ist, besteht manchmal die Gefahr, dass er von den Sorgen, Ängsten und Lasten des Alltags erstickt wird. Aber ein Funke braucht Luft, um weiter zu leuchten und zu einem großen Feuer der Hoffnung zu werden. Und es ist die sanfte Brise des Heiligen Geistes, die die Hoffnung nährt. Wir können auf verschiedene Weise dazu beitragen, sie zu nähren.
Die Hoffnung wird durch das Gebet genährt. Indem wir beten, bewahren und erneuern wir die Hoffnung. Indem wir beten, halten wir den Funken der Hoffnung am Brennen. »Das Gebet ist die erste Kraft der Hoffnung. Du betest, und die Hoffnung wächst, sie geht voran« (Katechese, 20. Mai 2020). Beten ist wie in große Höhe aufzusteigen: Wenn wir am Boden sind, können wir oft die Sonne nicht sehen, weil der Himmel mit Wolken bedeckt ist. Aber wenn wir über die Wolken hinaus aufsteigen, umhüllen uns das Licht und die Wärme der Sonne. Und durch diese Erfahrung finden wir zur Gewissheit zurück, dass die Sonne immer da ist, auch wenn alles grau erscheint.
Liebe Jugendliche, wenn euch der dichte Nebel der Angst, des Zweifels und der Beklemmung umgibt und ihr die Sonne nicht mehr sehen könnt, dann nehmt den Weg des Gebets. Denn »wenn niemand mehr mir zuhört, hört Gott mir immer noch zu« (Benedikt XVI., Enzyklika Spe Salvi, 32). Nehmen wir uns jeden Tag Zeit, um angesichts der Ängste, die uns bedrängen, in Gott zu ruhen: »Bei Gott allein werde ruhig meine Seele, denn von ihm kommt meine Hoffnung« (Ps 62,6).
Die Hoffnung wird durch unsere täglichen Entscheidungen genährt. Die Einladung, sich in der Hoffnung zu freuen, die der heilige Paulus an die Christen in Rom richtet (vgl. Röm 12,12), erfordert ganz konkrete Entscheidungen im täglichen Leben. Deshalb ermutige ich euch, einen Lebensstil zu wählen, der auf der Hoffnung gründet. Ich nenne ein Beispiel: In den sozialen Medien scheint es einfacher zu sein, schlechte Nachrichten zu verbreiten als hoffnungsvolle Nachrichten. Deshalb mache ich euch einen konkreten Vorschlag: Versucht, jeden Tag ein Wort der Hoffnung zu teilen. Werdet zu Säleuten der Hoffnung im Leben eurer Freunde und all jener, die euch umgeben. Denn »die Hoffnung ist demütig und sie ist eine Tugend, an der man – sagen wir es so– jeden Tag arbeiten muss [...]. Es ist notwendig, sich jeden Tag daran zu erinnern, dass wir ein Unterpfand besitzen, den Heiligen Geist, der in uns durch kleine Dinge wirkt« (Morgenmeditation, 29. Oktober 2019).
Die Leuchte der Hoffnung entzünden
Manchmal geht ihr abends mit euren Freunden aus und wenn es dunkel ist, nehmt ihr euer Smartphone und schaltet die Taschenlampe ein, um Licht zu machen. Bei großen Konzerten bewegen Tausende von euch diese modernen Lämpchen im Rhythmus der Musik und schaffen so eine stimmungsvolle Kulisse. Nachts lässt uns das Licht die Dinge auf eine neue Weise sehen, und selbst in der Dunkelheit kommt eine Dimension der Schönheit zum Vorschein. So ist es auch mit dem Licht der Hoffnung, das Christus ist. Durch ihn, durch seine Auferstehung, wird unser Leben erleuchtet. Mit ihm sehen wir alles in einem neuen Licht.
Man sagt, dass wenn sich Menschen an den heiligen Johannes Paul II. wandten, um mit ihm über ein Problem zu sprechen, seine erste Frage gewesen sei: »Wie sieht das im Licht des Glaubens aus?«. Auch ein von der Hoffnung erleuchteter Blick lässt die Dinge in einem anderen Licht erscheinen. Ich lade euch daher ein, diese Sichtweise in eurem täglichen Leben einzunehmen. Von der göttlichen Hoffnung beseelt, ist der Christ von einer anderen Freude erfüllt, die von innen kommt. Herausforderungen und Schwierigkeiten gibt es und es wird sie immer geben, aber wenn wir eine „glaubenserfüllte“ Hoffnung haben, gehen wir sie in dem Wissen an, dass sie nicht das letzte Wort haben, und wir selbst werden zu einer kleinen Leuchte der Hoffnung für die anderen.
Auch jeder von euch kann das sein, in dem Maß, in dem sein Glaube konkret wird und an die Lebenswirklichkeit und -geschichte der Brüder und Schwestern anschließt. Denken wir an die Jünger Jesu, die ihn eines Tages auf einem hohen Berg in einem herrlichen Licht erstrahlen sahen. Wenn sie dort oben geblieben wären, wäre es für sie ein wunderbarer Augenblick gewesen, aber die anderen Menschen wären ausgeschlossen geblieben. Es war notwendig, dass sie hinabstiegen. Wir dürfen nicht vor der Welt fliehen, sondern müssen unsere Zeit lieben, in die Gott uns nicht ohne Grund gestellt hat. Wir werden nur glücklich sein, wenn wir die empfangene Gnade mit den Brüdern und Schwestern teilen, die der Herr uns Tag für Tag schenkt.
Liebe Jugendliche, habt keine Angst, mit allen die Hoffnung und die Freude des auferstandenen Christus zu teilen! Bewahrt den Funken, der in euch entzündet wurde, gebt ihn aber zugleich weiter: Ihr werdet sehen, dass er wachsen wird! Wir können die christliche Hoffnung nicht für uns behalten, wie ein wohliges Gefühl, weil sie für alle bestimmt ist. Seid vor allem jenen Freunden von euch nah, die vielleicht nach außen hin lächeln, aber im Inneren weinen, weil sie arm an Hoffnung sind. Lasst euch nicht von der Gleichgültigkeit und vom Individualismus anstecken: Bleibt offen, wie Kanäle, durch die die Hoffnung Jesu in die Umgebung, in der ihr lebt, hineinfließen und sich ausbreiten kann.
»Christus lebt. Er ist unsere Hoffnung, und er ist die schönste Jugend dieser Welt!« (Apostolisches Schreiben Christus vivit, 1). So schrieb ich euch vor beinahe fünf Jahren, im Anschluss an die Jugendsynode. Ich lade euch alle ein, insbesondere diejenigen, die in der Jugendseelsorge tätig sind, das Abschlussdokument von 2018 und das Apostolische Schreiben Christus vivit wieder zur Hand zu nehmen. Die Zeit ist reif, um gemeinsam Bilanz zu ziehen und uns hoffnungsvoll für die umfängliche Verwirklichung jener unvergesslichen Synode einzusetzen.
Lasst uns Maria, der Mutter der Hoffnung, unser ganzes Leben anvertrauen. Sie lehrt uns, Jesus, unsere Freude und Hoffnung, in uns zu tragen und ihn an andere weiterzugeben. Ich wünsche euch ein gutes Unterwegssein, liebe Jugendliche! Ich segne euch und begleite euch im Gebet. Und betet auch ihr für mich!
Rom, Sankt Johannes im Lateran, 9. November 2023, Fest des Weihetags der Lateranbasilika.
FRANZISKUS
[01732-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
“Alegres en la esperanza” (cf. Rm 12,12)
Queridos jóvenes:
El pasado mes de agosto estuve con cientos de miles de vuestros coetáneos, procedentes de todo el mundo y reunidos en Lisboa para la Jornada Mundial de la Juventud. Durante la pandemia, en medio de tantas incertidumbres, abrigábamos la esperanza de que esta gran celebración del encuentro con Cristo y con otros jóvenes pudiera llevarse a cabo. Esa esperanza se hizo realidad y para muchos de los allí presentes ―entre los que me incluyo―, sobrepasó todas las expectativas. ¡Qué hermoso fue nuestro encuentro en Lisboa! Una verdadera experiencia de transfiguración, una explosión de luz y alegría.
Al final de la Misa de clausura en el “Campo de Gracia”, les indiqué la próxima etapa de nuestra peregrinación intercontinental: Seúl, Corea, en 2027. Pero antes de ello, les di una cita en Roma, para el Jubileo de los jóvenes, en 2025, donde también ustedes serán “peregrinos de la esperanza”.
Ustedes, jóvenes, son realmente la esperanza gozosa de una Iglesia y de una humanidad siempre en movimiento. Quisiera tomarlos de la mano y recorrer con ustedes el camino de la esperanza. Quisiera hablar con ustedes de nuestros gozos y esperanzas, pero también de las tristezas y angustias de nuestro corazón y de la humanidad que sufre (cf. Const. past. Gaudium et spes, 1). En estos dos años de preparación al Jubileo, meditaremos primero sobre la expresión paulina “Alegres en la esperanza” (cf. Rm 12,12) y, luego, profundizaremos la del profeta Isaías “Los que esperan en el Señor caminan sin cansarse” (cf. Is 40,31).
¿De dónde viene esta alegría?
“Alegres en la esperanza” (cf. Rm 12,12) es una exhortación de san Pablo a la comunidad de Roma, que se encuentra en un período de dura persecución. En realidad, la “alegría en la esperanza” predicada por el Apóstol brota del misterio pascual de Cristo, de la fuerza de su resurrección. No es fruto del esfuerzo humano, del ingenio o del arte. Es la alegría que nace del encuentro con Cristo. La alegría cristiana viene de Dios mismo, del sabernos amados por Él.
Benedicto XVI, reflexionando sobre su experiencia en la Jornada Mundial de la Juventud de Madrid en 2011, se preguntaba: «la alegría, ¿de dónde viene? ¿Cómo se explica? Seguramente hay muchos factores que intervienen a la vez. Pero […] lo decisivo es la certeza que viene de la fe: yo soy amado. Tengo un cometido en la historia. Soy aceptado, soy querido». Y precisó: «A fin de cuentas, tenemos necesidad de una acogida incondicionada. Sólo si Dios me acoge, y estoy seguro de ello, sabré definitivamente: “Es bueno que yo exista” […] Es bueno existir como persona humana, incluso en tiempos difíciles. La fe alegra desde dentro» (Discurso a la Curia Romana, 22 diciembre 2011).
¿Dónde está mi esperanza?
La juventud es un tiempo lleno de esperanzas y sueños, alimentado por las hermosas realidades que enriquecen nuestras vidas: el esplendor de la creación, las relaciones con nuestros seres queridos y los amigos, las experiencias artísticas y culturales, los conocimientos científicos y técnicos, las iniciativas que promueven la paz, la justicia y la fraternidad, y así sucesivamente. Sin embargo, vivimos en una época en la que, para muchos, incluidos los jóvenes, la esperanza parece ser la gran ausente. Muchos de vuestros coetáneos que, lamentablemente, viven experiencias de guerra, violencia, acoso escolar y otros tipos de dificultades se ven afligidos por la desesperación, el miedo y la depresión. Se sienten como encerrados en una prisión oscura, incapaces de ver los rayos del sol. Esto queda dramáticamente demostrado por el alto número de suicidios entre los jóvenes en varios países. En un contexto así, ¿cómo se puede experimentar la alegría y la esperanza de las que habla san Pablo? Más bien se corre el riesgo de que se apodere de uno la desesperación, el pensamiento de que es inútil hacer el bien, porque no sería apreciado ni reconocido por nadie, como leemos en el libro de Job: «¿Dónde está entonces mi esperanza? Y mi felicidad, ¿quién la verá?» (Jb 17,15).
Frente a los dramas de la humanidad, sobre todo ante el sufrimiento de los inocentes, también nosotros, como rezamos en algunos salmos, le preguntamos al Señor: “¿Por qué?”. Pues bien, nosotros podemos ser parte de la respuesta de Dios. Creados por Él a su imagen y semejanza, podemos ser expresión de su amor, que hace nacer la alegría y la esperanza, incluso allí donde parece imposible. Me viene a la mente el protagonista de la película “La vida es bella”, un joven padre que, con delicadeza e imaginación, consigue convertir la dura realidad en una especie de aventura y de juego, dando así a su hijo “ojos de esperanza”, protegiéndolo de los horrores del campo de concentración, defendiendo su inocencia e impidiendo que la maldad humana le robe el futuro. Pero no se trata de historias inventadas. Es lo que vemos en la vida de tantos santos, que han sido testigos de esperanza incluso en medio de la más cruel perversidad humana. Pensemos en san Maximiliano María Kolbe, en santa Josefina Bakhita, o en los beatos cónyuges Józef y Wiktoria Ulma con sus siete hijos.
La posibilidad de encender una esperanza en el corazón de los hombres, a partir del testimonio cristiano, fue magistralmente puesta de relieve por san Pablo VI cuando nos recordaba: «Un cristiano o un grupo de cristianos que, dentro de la comunidad humana donde viven […], irradian de manera sencilla y espontánea su fe en los valores que van más allá de los valores corrientes, y su esperanza en algo que no se ve ni osarían soñar» (Exhort. ap. Evangelii nuntiandi, 21).
La “pequeña” esperanza
El poeta francés Charles Péguy, al comienzo de su poema sobre la esperanza, habla de las tres virtudes teologales ―fe, esperanza y caridad― como tres hermanas que caminan juntas:
«La pequeña esperanza avanza entre sus dos hermanas mayores y no se la toma en cuenta.
[...]
Ella, esa pequeña, arrastra todo.
Porque la Fe no ve sino lo que es.
Y ella ve lo que será.
La Caridad no ama sino lo que es.
Y ella ama lo que será.
[...]
Y en realidad es ella la que hace andar a las otras dos.
Y las arrastra.
Y hace andar a todo el mundo».
(El pórtico del misterio de la segunda virtud, Madrid 1991, 21-23).
También yo estoy convencido de este carácter humilde, “menor”, pero fundamental de la esperanza. Pensemos: ¿cómo podríamos vivir sin esperanza? ¿Cómo serían nuestros días? La esperanza es la sal de la cotidianidad.
La esperanza, luz que brilla en la noche
En la tradición cristiana del Triduo pascual, el Sábado Santo es el día de la esperanza. Entre el Viernes Santo y el Domingo de Resurrección, es como un punto intermedio entre la desesperación de los discípulos y su alegría pascual. Es el lugar donde nace la esperanza. Ese día, la Iglesia conmemora en silencio el descenso de Cristo a los infiernos. Lo podemos ver representado de forma pictórica en muchos iconos, que nos muestran a Cristo resplandeciente de luz bajando a las tinieblas más profundas y atravesándolas. Y es así: Dios no se queda a mirar con compasión nuestras zonas de muerte o a llamarnos desde lejos, sino que entra en nuestras experiencias de infierno como una luz que brilla en las tinieblas y las vence (cf. Jn 1,5). Lo expresa bien un poema en lengua xhosa sudafricana: “Aunque ya no haya esperanzas, con esta poesía despierto la esperanza. Mi esperanza se despierta porque espero en el Señor. ¡Espero que nos unamos! Manténganse fuertes en la esperanza, porque la victoria está cerca”.
Si lo pensamos bien, esta era la esperanza de la Virgen María, que se mantuvo fuerte junto a la cruz de Jesús, segura de que la “victoria” estaba cerca. María es la mujer de la esperanza, la Madre de la esperanza. En el Calvario, «esperando contra toda esperanza» (Rm 4,18), no dejó que se desvaneciera en su corazón la certeza de la Resurrección anunciada por su Hijo. Fue Ella quien llenó el silencio del Sábado Santo con una espera amorosa y llena de esperanza, infundiendo en los discípulos la convicción de que Jesús vencería a la muerte y que el mal no tendría la última palabra.
La esperanza cristiana no es un fácil optimismo, ni un placebo para incautos. Es la certeza, arraigada en el amor y la fe, de que Dios no nos deja nunca solos y mantiene su promesa: «Aunque cruce por oscuras quebradas, no temeré ningún mal, porque tú estás conmigo» (Sal 23,4). La esperanza cristiana no es negación del dolor y de la muerte, sino celebración del amor de Cristo Resucitado que está siempre con nosotros, aun cuando nos parezca lejano. «Cristo mismo es para nosotros la gran luz de esperanza y de guía en nuestra noche, porque Él es “la estrella radiante de la mañana” (Ap 22,16)» (Exhort. ap. Christus vivit, 33).
Alimentar la esperanza
Cuando la chispa de la esperanza se ha encendido en nosotros, a veces corremos el riesgo de que se apague por las preocupaciones, los miedos y las cargas de la vida cotidiana. Pero una chispa necesita aire para seguir brillando y resurgir en un gran fuego de esperanza. Es la brisa suave del Espíritu Santo la que alimenta la esperanza; pero también nosotros podemos ayudar a alimentarla de varias maneras.
La esperanza se alimenta con la oración. Rezando se custodia y se renueva la esperanza. Rezando mantenemos encendida la chispa de la esperanza. «La oración es la primera fuerza de la esperanza. Tú rezas y la esperanza crece, avanza» (Catequesis, 20 mayo 2020). Rezar es como subir a gran altitud; cuando estamos en el suelo, muchas veces no podemos ver el sol porque el cielo está cubierto de nubes. Pero si nos elevamos por encima de las nubes, la luz y el calor del sol nos envuelven; y en esta experiencia encontramos la certeza de que el sol está siempre presente, aun cuando todo se vea gris.
Queridos jóvenes, cuando las espesas nieblas del miedo, la duda y la opresión los rodeen, y no logren ver el sol, sigan el sendero de la oración. Porque «cuando ya nadie me escucha, Dios todavía me escucha» (Benedicto XVI, Carta enc. Spe salvi, 32). Ante las angustias que nos asaltan, tomémonos cada día un tiempo para descansar en Dios: «Sólo en Dios descansa mi alma, de él me viene la esperanza» (Sal 62,6).
La esperanza se alimenta con nuestras elecciones diarias. La invitación a alegrarse en la esperanza, que san Pablo dirige a los cristianos de Roma (cf. Rm 12,12), exige hacer elecciones muy concretas en la vida de cada día. Por eso, los exhorto a elegir un estilo de vida cimentado en la esperanza. Les pongo un ejemplo: en las redes sociales parece más fácil compartir malas noticias que noticias esperanzadoras. Por lo tanto, les hago una propuesta concreta: traten de compartir cada día una palabra de esperanza. Conviértanse en sembradores de esperanza en la vida de sus amigos y de todos aquellos que los rodean. En efecto, “la esperanza es humilde, y es una virtud que debe trabajarse ―digamos así― todos los días […]. Todos los días es necesario recordar que tenemos la garantía, que es el Espíritu que trabaja en nosotros por medio de cosas pequeñas” (cf. Meditaciones diarias, 29 octubre 2019).
Encender la antorcha de la esperanza
A veces, ustedes salen de noche con sus amigos y, si está oscuro, encienden la linterna del smartphone para alumbrar. En los grandes conciertos, miles de ustedes mueven estas luminarias modernas al ritmo de la música, creando una escena sugestiva. De noche, la luz permite ver las cosas de manera nueva; incluso en la oscuridad emerge una dimensión de belleza. Lo mismo sucede con la luz de la esperanza, que es Cristo. Por Él, por su resurrección, nuestra vida es iluminada. Con Él vemos todo bajo una nueva luz.
Se dice que cuando la gente se acercaba a san Juan Pablo II para hablarle de un problema, su primera pregunta era: “¿Cómo aparece a la luz de la fe?”. Una mirada iluminada por la esperanza también hace que las cosas se vean con una luz diferente. Los invito, pues, a tener esta mirada en vuestra vida diaria. Animado por la esperanza divina, el cristiano está lleno de una alegría distinta, que le sale de dentro. Hay y habrá siempre retos y dificultades, pero si tenemos una esperanza “llena de fe”, los afrontamos sabiendo que no tienen la última palabra, y nosotros mismos nos convertimos en una pequeña antorcha de esperanza para los demás.
Cada uno de ustedes puede serlo también, en la medida en que su fe se haga concreta, apegada a la realidad y a las historias de los hermanos y las hermanas. Pensemos en los discípulos de Jesús, que un día, en un monte elevado, lo vieron resplandecer con luz gloriosa. Si se hubieran quedado ahí arriba, habría sido un momento hermoso para ellos, pero los demás habrían sido excluidos. Era necesario que bajaran. No debemos huir del mundo, sino amar a nuestro tiempo, en el que Dios nos ha puesto no sin razón. Sólo podemos ser felices compartiendo con los hermanos y hermanas la gracia recibida, que el Señor nos regala día tras día.
Queridos jóvenes, no tengan miedo de compartir con todos la esperanza y la alegría de Cristo Resucitado. La chispa que se ha encendido en ustedes, cuídenla, pero al mismo tiempo dónenla: se darán cuenta de que crecerá. No podemos guardar la esperanza cristiana sólo para nosotros mismos, como un bonito sentimiento, porque está destinada a todos. Acérquense en particular a aquellos de sus amigos que aparentemente sonríen, pero que por dentro lloran, pobres de esperanza. No se dejen contagiar por la indiferencia y el individualismo. Permanezcan abiertos, como canales por los que la esperanza de Cristo pueda fluir y difundirse en los ambientes donde viven.
«Vive Cristo, esperanza nuestra, y Él es la más hermosa juventud de este mundo» (Exhort. ap. Christus vivit, 1). Así les escribí hace casi cinco años, después del Sínodo de los Jóvenes. Los invito a todos, especialmente a quienes están comprometidos en la pastoral juvenil, a tomar de nuevo en sus manos el Documento Final de 2018 y la Exhortación apostólica Christus vivit. Ha llegado el momento de hacer juntos un balance y trabajar con esperanza por la plena aplicación de aquel inolvidable Sínodo.
Encomendemos toda nuestra vida a María, Madre de la Esperanza. Ella nos enseña a llevar en nosotros a Jesús, nuestra alegría y esperanza, y a darlo a los demás. Buen camino, queridos jóvenes. Los bendigo y los acompaño con la oración. Y, por favor, ustedes también recen por mí.
Roma, San Juan de Letrán, 9 de noviembre de 2023, Fiesta de la Dedicación de la Basílica Lateranense.
FRANCISCO
[01732-ES.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
«Alegres na esperança» (Rm 12, 12)
Queridos jovens!
No passado mês de agosto, encontrei centenas de milhares de vossos coetâneos que, vindos de todo o mundo, se reuniram em Lisboa para a Jornada Mundial da Juventude. Nos dias da pandemia alimentámos, no meio de muitas incertezas, a esperança de que esta grande celebração do encontro com Cristo e com outros jovens se pudesse realizar. Esta esperança concretizou-se e, para mim e muitos de quantos lá estiveram presentes, superou todas as expetativas! Como foi lindo o nosso encontro em Lisboa! Uma verdadeira e real experiência de transfiguração, uma explosão de luz e alegria!
No final da Missa conclusiva no «Campo da Graça», indiquei a próxima etapa da nossa peregrinação intercontinental: Seul, na Coreia, em 2027. Mas antes disso marquei encontro convosco em Roma, para o Jubileu dos jovens em 2025, onde também vós sereis «peregrinos da esperança».
De facto vós, jovens, sois a esperança jubilosa duma Igreja e duma humanidade sempre a caminho. Quero tomar-vos pela mão e, junto convosco, percorrer a senda da esperança. Quero falar convosco das nossas alegrias e esperanças, mas também das tristezas e angústias dos nossos corações e da humanidade que sofre (cf. Conc. Ecum. Vat. II, Const. past. Gaudium et spes, 1). Nestes dois anos de preparação para o Jubileu, meditaremos, primeiro, sobre a expressão paulina «Alegres na esperança» (Rm 12, 12) e, depois, aprofundaremos a frase do profeta Isaías: «Aqueles que esperam no Senhor, caminham sem se cansar» (cf. Is 40, 31).
Donde vem esta alegria?
«Alegres na esperança» (Rm 12, 12) é uma exortação de São Paulo à comunidade de Roma, que se encontra num período de intensa perseguição. E na realidade a «alegria na esperança», pregada pelo Apóstolo, brota do mistério pascal de Cristo, da força da sua ressurreição. Não é fruto do esforço humano, do engenho ou da arte. É a alegria que deriva do encontro com Cristo. A alegria cristã vem do próprio Deus, de nos sabermos amados por Ele.
Refletindo sobre a experiência vivida na Jornada Mundial da Juventude de Madrid, em 2011, Bento XVI perguntava-se: a alegria «donde brota? Como se explica? Seguramente são muitos os fatores que interagem; mas, a meu ver, o fator decisivo é (...) a certeza que deriva da fé: eu sou desejado; tenho uma tarefa; sou aceite; sou amado». E especificou: «No fim de contas, precisamos de um acolhimento incondicional; somente se Deus me acolher e eu estiver seguro disso mesmo é que sei definitivamente: é bom que eu exista; (…) é bom existir como pessoa humana, mesmo em tempos difíceis. A fé faz-nos felizes a partir de dentro» (Discurso à Cúria Romana, 22/XII/2011).
Onde está a minha esperança?
A juventude é um tempo cheio de esperanças e sonhos, alimentados pelas realidades belas que enriquecem a nossa vida: o esplendor da criação, as relações com os nossos entes queridos e com os amigos, as experiências artísticas e culturais, os conhecimentos científicos e técnicos, as iniciativas que promovem a paz, a justiça e a fraternidade, e assim por diante. Contudo vivemos num tempo em que para muitos, mesmo jovens, a esperança parece ser a grande ausente. Infelizmente muitos dos vossos coetâneos, que vivem experiências de guerra, violência, bulling e várias formas de mal-estar, veem-se afligidos pelo desespero, o medo e a depressão. Sentem-se como que encerrados numa prisão escura, incapazes de ver os raios do sol. Demonstra-o dramaticamente a elevada taxa de suicídio entre os jovens de vários países. Em semelhante contexto, como se pode experimentar a alegria e a esperança, de que fala São Paulo? Antes, pelo contrário, há o risco de se impor o desespero, a convicção de ser inútil fazer o bem, porque ninguém o apreciará nem reconhecerá, como lemos no Livro de Job: «Onde está a minha esperança? A minha esperança, quem a viu?» (Job 17, 15).
À vista dos dramas da humanidade, sobretudo do sofrimento dos inocentes, também nós – como rezamos em alguns Salmos – perguntamos ao Senhor: «Porquê?» Pois bem! Uma parte da resposta de Deus, podemos sê-la nós. Criados por Ele à sua imagem e semelhança, podemos ser expressão do seu amor que faz nascer a alegria e a esperança, mesmo onde parece impossível. Vem-me à mente o protagonista do filme «A vida é bela»: um pai jovem que consegue, com delicadeza e imaginação, transformar a dura realidade numa espécie de aventura e de jogo e, assim, dá ao filho «olhos de esperança», protegendo-o dos horrores do campo de concentração, salvaguardando a sua inocência e impedindo que a maldade humana lhe roube o futuro. Mas não se trata apenas de histórias inventadas! É o que vemos na vida de muitos Santos, que foram testemunhas de esperança mesmo no meio da maldade humana mais cruel. Pensemos em São Maximiliano Maria Kolbe, em Santa Josefina Bakhita ou nos Beatos esposos Józef e Wiktoria Ulma com os seus sete filhos.
A possibilidade de acender uma esperança no coração dos homens, a partir do testemunho cristão, foi magistralmente evidenciada por São Paulo VI, quando nos recordou que «um cristão ou punhado de cristãos, no seio da comunidade humana em que vivem, (…) irradiam, dum modo absolutamente simples e espontâneo, a sua fé em valores que estão para além dos valores correntes, e a sua esperança em qualquer coisa que não se vê nem se ousaria sequer imaginar» (Exort. ap. Evangelii nuntiandi, 21).
A «pequena» esperança
O poeta francês Charles Péguy, no início do poema sobre a esperança, fala das três virtudes teologais – fé, esperança e caridade – como se fossem três irmãs que caminham juntas:
«A pequena esperança avança no meio de suas duas irmãs grandes
E não se nota sequer. (…).
Ela, a pequenita, é que arrasta tudo.
Porque a Fé não vê senão o que é
E ela vê aquilo que será.
A Caridade não ama senão aquilo que é
E ela, sim ela, ama aquilo que será. (…).
É ela que faz caminhar as outras duas
Que puxa por elas.
E que nos faz caminhar a todos»
(O pórtico do mistério da segunda virtude, Milão 1978, 17-19).
Também eu estou convencido deste caráter humilde, «menor», e todavia fundamental da esperança. Tentai imaginar: Como poderíamos viver sem esperança? Como seriam os nossos dias? A esperança é o sal da quotidianidade.
Esperança, luz que brilha na noite
Na tradição cristã do Tríduo Pascal, o Sábado Santo é o dia da esperança. Situado entre a Sexta-Feira Santa e o Domingo de Páscoa, é como um meio-termo entre o desespero dos discípulos e a sua alegria pascal. É o ponto onde nasce a esperança. Neste dia, a Igreja comemora em silêncio a descida de Cristo à mansão dos mortos. Isto, podemos vê-lo pintado em muitos ícones. Mostram-nos Cristo refulgente de luz que desce às trevas mais profundas e atravessa-as. É assim: Deus não se limita a olhar com compaixão para as nossas zonas de morte ou a chamar-nos de longe, mas entra nas nossas experiências da mansão dos mortos como luz que brilha nas trevas e as vence (cf. Jo 1, 5). Bem o expressa um poema na língua sul-africana xhosa: «Mesmo que acabem as esperanças, com este poema acordo a esperança. A minha esperança acorda, porque espero no Senhor. Espero que havemos de nos unir! Permanecei fortes na esperança, porque o bom êxito está próximo».
Se pensarmos bem, esta foi a esperança da Virgem Maria, que permaneceu forte aos pés da cruz de Jesus, certa de que estava próximo o «bom êxito». Maria é a mulher da esperança, a Mãe da esperança. No Calvário, firme «numa esperança para além do que se podia esperar» (Rm 4, 18), não deixou apagar no seu coração a certeza da Ressurreição anunciada pelo seu Filho. É Ela que preenche o silêncio do Sábado Santo com uma amorosa expetativa cheia de esperança, incutindo nos discípulos a certeza de que Jesus venceria a morte e que o mal não seria a última palavra.
A esperança cristã não é otimismo fácil nem uma panaceia para simplórios: é a certeza, radicada no amor e na fé, de que Deus nunca nos deixa sozinhos e mantém a sua promessa: «Ainda que atravesse vales tenebrosos, de nenhum mal terei medo porque Tu estás comigo» (Sal 23, 4). A esperança cristã não é negação da dor nem da morte, mas celebração do amor de Cristo Ressuscitado que está sempre connosco, mesmo quando parece distante. «O próprio Cristo é, para nós, a grande luz de esperança e guia na nossa noite, porque Ele é “a brilhante estrela da manhã” (Ap 22, 16)» (Francisco, Exort. ap. Christus vivit, 33).
Alimentar a esperança
Quando a centelha da esperança se acende em nós, existe às vezes o risco de ser sufocada pelas preocupações, os medos e as tarefas da vida diária. Mas uma centelha precisa de ar para continuar a brilhar e reavivar-se num grande fogo de esperança. E é a suave brisa do Espírito Santo que alimenta a esperança. Podemos colaborar de diversos modos para a alimentar.
A esperança é alimentada pela oração. Rezando, salvaguarda-se e renova-se a esperança. Rezando, mantemos acesa a centelha da esperança. «A oração é a primeira força da esperança. Rezas e a esperança cresce, avança» (Francisco, Catequese, 20/V/2020). Rezar é como subir a grande altitude: quando estamos na terra, muitas vezes não conseguimos ver o sol, porque o céu está coberto de nuvens. Mas se subirmos acima das nuvens, envolvem-nos a luz e o calor do sol; e, nesta experiência, encontramos a certeza de que o sol está sempre presente, mesmo quando tudo se apresenta cinzento.
Queridos jovens, quando o nevoeiro espesso do medo, da dúvida e da opressão vos envolve e já não conseguis ver o sol, embocai o caminho da oração. Pois, «quando já ninguém me escuta, Deus ainda me ouve» (Bento XVI, Carta enc. Spe salvi, 32). Reservemos diariamente o tempo para descansar em Deus, face às ansiedades que nos assaltam: «Só em Deus descansa a minha alma; d’Ele vem a minha esperança» (Sal 62, 6).
A esperança é alimentada pelas nossas opções quotidianas. O convite a serem alegres na esperança, que São Paulo dirige aos cristãos de Roma (cf. Rm 12, 12), exige escolhas muito concretas na vida de cada dia. Por isso, exorto-vos a escolher um estilo de vida baseado na esperança. Dou um exemplo: nas redes sociais, parece mais fácil compartilhar notícias más do que notícias de esperança. Assim deixo-vos uma proposta concreta: tentai compartilhar cada dia uma palavra de esperança. Tornai-vos semeadores de esperança na vida dos vossos amigos e de quantos vos rodeiam. Com efeito, «a esperança é humilde e é uma virtude que se trabalha – por assim dizer – todos os dias (…). Todos os dias é preciso lembrar-nos que temos o penhor, que é o Espírito e que trabalha em nós através de pequenas coisas» (Francisco, Meditação matutina, 29/X/2019).
Acender a lanterna da esperança
Às vezes, à noite, saís com os vossos amigos e, se estiver escuro, tomais o smartphone e acendeis a lanterna para iluminar. Nos grandes concertos, milhares movem aquelas luzinhas modernas ao ritmo da música, criando um belo cenário. De noite, a luz faz-nos ver as coisas dum modo novo e, mesmo na escuridão, emerge uma dimensão de beleza. O mesmo se passa com a luz da esperança, que é Cristo. Por Ele, pela sua ressurreição, é iluminada a nossa vida. Com Ele, vemos tudo sob uma nova luz.
Diz-se que, quando as pessoas se dirigiam a São João Paulo II para lhe falar de um problema, a sua primeira pergunta era: «Como se apresenta isso à luz da fé?» Também um olhar iluminado pela esperança faz com que as coisas apareçam sob uma luz diferente. Por isso, convido-vos a assumir este olhar na vossa vida diária. Animado pela esperança divina, o cristão encontra-se repleto duma alegria diversa, que vem de dentro. Os desafios e as dificuldades existem e sempre existirão, mas se estivermos dotados duma esperança «cheia de fé», enfrentá-los-emos sabendo que não têm a última palavra e nós próprios tornamo-nos uma pequena lanterna de esperança para os outros.
E podeis sê-lo, também cada um de vós, na medida em que a própria fé se fizer concreta, aderente à realidade e às histórias dos irmãos e irmãs. Pensemos nos discípulos de Jesus, que um dia, num alto monte, O viram resplandecer de luz gloriosa. Se tivessem ficado lá em cima, teria sido um momento muito belo para eles, mas os outros teriam sido excluídos. Era necessário que descessem. Não devemos fugir do mundo, mas amar o nosso tempo, no qual Deus nos colocou não sem motivo. Só se pode ser feliz partilhando a graça recebida com os irmãos e as irmãs que o Senhor nos dá dia após dia.
Queridos jovens, não tenhais medo de partilhar com todos a esperança e a alegria de Cristo Ressuscitado! A centelha que se acendeu em vós, conservai-a, mas ao mesmo tempo comunicai-a: dar-vos-eis conta de que ela crescerá! A esperança cristã, não a podemos guardar para nós, como um belo sentimento, visto que se destina a todos. Aproximai-vos em particular dos vossos amigos que talvez aparentemente sorriam, mas por dentro choram, carentes de esperança. Não vos deixeis contagiar pela indiferença e pelo individualismo: permanecei abertos como canais por onde a esperança de Jesus possa fluir e difundir-se nos ambientes onde viveis.
«Cristo vive: é Ele a nossa esperança e a mais bela juventude deste mundo!» (Exort. ap. Christus vivit, 1). Assim vos escrevi, há quase cinco anos, depois do Sínodo dos Jovens. Convido-vos a todos, especialmente àqueles que estão envolvidos na pastoral juvenil, a voltarem a pegar no Documento Final de 2018 e na Exortação apostólica Christus vivit. Os tempos estão maduros para fazermos, juntos, o ponto da situação e trabalharmos com esperança para a plena implementação daquele Sínodo inesquecível.
Confiemos toda a nossa vida a Maria, Mãe da Esperança. Ela ensina-nos a trazer dentro de nós Jesus, nossa alegria e esperança, e a dá-Lo aos outros. Boa caminhada, queridos jovens! Abençoo-vos e acompanho-vos com a oração. E vós rezai também por mim!
Roma, São João de Latrão, na Festa da Dedicação da Basílica Lateranense, 9 de novembro de 2023.
FRANCISCO
[01732-PO.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
„Weselcie się nadzieją” (Rz 12, 12)
Drodzy Młodzi!
W sierpniu spotkałem się z setkami tysięcy waszych rówieśników z całego świata, zgromadzonych w Lizbonie na Światowych Dniach Młodzieży. W czasie pandemii, pośród tak wielu niepewności, żywiliśmy nadzieję, że to wielkie święto spotkania z Chrystusem i młodymi ludźmi będzie mogło dojść do skutku. Ta nadzieja spełniła się i przerosła wszelkie oczekiwania wielu z nas tam obecnych – w tym także moje! Jakże piękne było nasze spotkanie w Lizbonie! Było ono prawdziwym doświadczeniem przemienienia, eksplozją światła i radości!
Na zakończenie Mszy św. na „Polu Łaski” wskazałem kolejny etap naszej międzykontynentalnej pielgrzymki: Seul w Korei w 2027 r. Ale wcześniej wyznaczyłem wam spotkanie w Rzymie, w 2025 r., z okazji Jubileuszu Młodzieży, gdzie również będziecie „pielgrzymami nadziei”.
Wy, młodzi, jesteście bowiem radosną nadzieją Kościoła i ludzkości, będącej nieustannie w drodze. Chciałbym wziąć was za rękę, żeby wraz z wami wędrować drogą nadziei. Chciałbym rozmawiać z wami o naszych radościach i nadziejach, ale także o smutku i lęku naszych serc i o cierpiącej ludzkości (por. Konst. duszp. Gaudium et spes, 1). W ciągu tych dwóch lat przygotowań do Jubileuszu będziemy najpierw rozważać Pawłowe wezwanie „Weselcie się nadzieją” (Rz 12, 12), a następnie pogłębimy słowa proroka Izajasza: „Ci, co zaufali Panu, biegną bez zmęczenia” (por. Iz 40, 31).
Skąd bierze się ta radość?
„Weselcie się nadzieją” (Rz 12, 12) jest wezwaniem św. Pawła skierowanym do wspólnoty w Rzymie, w czasie gdy stawiała ona czoła poważnym prześladowaniom. Istotnie, głoszona przez Apostoła „radość w nadziei” wypływa z tajemnicy paschalnej Chrystusa, z mocy Jego zmartwychwstania. Nie jest owocem ludzkiego wysiłku, talentu czy sztuki. Jest to radość płynąca ze spotkania z Chrystusem. Chrześcijańska radość pochodzi od samego Boga, ze świadomości, że jesteśmy przez Niego miłowani.
Benedykt XVI, zastanawiając się nad swoim doświadczeniem, podczas Światowych Dni Młodzieży w Madrycie w 2011 r., pytał: radość, „Skąd się bierze? Jak ją wytłumaczyć? Z pewnością istnieje wiele czynników, które oddziałują razem. Ale tym decydującym jest […] pewność wypływająca z wiary: jestem chciany. Mam zadanie w historii. Jestem akceptowany, jestem miłowany”. I uściślał: „w ostateczności potrzebujemy bezwarunkowej akceptacji. Jedynie jeśli Bóg mnie akceptuje, a ja nabieram co do tego pewności, wiem definitywnie: dobrze, że jestem. [...] Dobrze jest żyć jako osoba ludzka, także w trudnych czasach. Wiara czyni nas od wewnątrz radosnymi” (Przemówienie do Kurii Rzymskiej, 22 grudnia 2011 r.).
Gdzie jest moja nadzieja?
Młodość to czas pełen nadziei i marzeń, karmiących się pięknem, które wzbogaca nasze życie: wspaniałością stworzenia, relacjami z naszymi bliskimi i przyjaciółmi, przeżyciami artystycznymi i kulturalnymi, wiedzą naukową i techniczną, inicjatywami promującymi pokój, sprawiedliwość i braterstwo, i tak dalej. Jednak w dzisiejszych czasach, w życiu wielu osób, w tym także ludzi młodych, nadzieja zdaje się być wielką nieobecną. Niestety, wielu waszych rówieśników, którzy doświadczają wojny, przemocy, zastraszania i różnych niedogodności, są nękani przez rozpacz, lęk i depresję. Czują się jakby zamknięci w mrocznym więzieniu, nie mogąc ujrzeć promieni słońca. Dramatycznie ukazuje to wysoki wskaźnik samobójstw wśród ludzi młodych w różnych krajach. Jak w takiej sytuacji można doświadczyć radości i nadziei, o których mówi św. Paweł? Pojawia się raczej ryzyko, że zapanują rozpacz i myśl, że nie ma sensu czynić dobra, ponieważ nikt go nie rozpozna i nie doceni – tak, jak czytamy w Księdze Hioba: „Po cóż nadzieja, kto dojrzy nadziei mej przedmiot?” (Hi 17, 15).
W obliczu dramatów ludzkości, a zwłaszcza cierpienia niewinnych, także i my, na wzór niektórych Psalmów, którymi się modlimy, pytamy Pana: „Dlaczego?”. I to my możemy stawać się częścią odpowiedzi, jakiej udzieli Bóg. My, stworzeni przez Niego na Jego obraz i podobieństwo, możemy być wyrazem Jego miłości, która rodzi radość i nadzieję nawet tam, gdzie wydaje się to niemożliwe. Przychodzi mi na myśl główny bohater filmu pt. „Życie jest piękne”. Młody ojciec, któremu z delikatnością i wyobraźnią udaje się przekształcić surową rzeczywistość w rodzaj przygody i zabawy, w ten sposób daje swojemu synowi „spojrzenie nadziei”, chroniąc go przed horrorem obozu koncentracyjnego, ocalając jego niewinność i nie dopuszczając do tego, aby ludzka niegodziwość skradła jego przyszłość. Ale nie chodzi tu jedynie o fikcyjne historie! Tę samą postawę widzimy bowiem w życiu wielu świętych, którzy byli świadkami nadziei nawet pośród najokrutniejszej ludzkiej niegodziwości. Myślimy o św. Maksymilianie Marii Kolbem, św. Józefinie Bakhicie czy błogosławionych małżonkach Józefie i Wiktorii Ulmach z siedmiorgiem ich dzieci.
Możliwość rozpalania nadziei w ludzkich sercach za sprawą chrześcijańskiego świadectwa, w mistrzowski sposób została ukazana w nauczaniu św. Pawła VI, kiedy przypomniał nam: „chrześcijanin albo grupa chrześcijan, którzy wpośród społeczności ludzkiej, w której żyją, [...] z własnej woli szerzą wiarę w pewne dobra duchowe, stojące wyżej ponad wartościami pospolitymi, oraz nadzieję w rzeczywistość niewidzialną, jakiej nawet odważna myśl wytworzyć nie może” (Adhort. apost. Evangelii nuntiandi, 21).
„Mała” nadzieja
Francuski poeta Charles Péguy, na początku swojego wiersza o nadziei mówi o trzech cnotach teologalnych – wierze, nadziei i miłości – jako o trzech wspólnie wędrujących siostrach:
„Malutka nadzieja kroczy między dwiema dorosłymi siostrami i nikt na nią nawet nie zwraca uwagi.
[...]
To ona, ta malutka wprawia wszystko w ruch.
Bo wiara widzi tylko to, co jest.
A ona widzi to, co będzie.
Miłość miłuje tylko to, co jest.
A ona kocha to, co będzie.
[...]
A w istocie to ona prowadzi tamte.
I je ciągnie.
I dzięki niej wszystko się porusza”.
(Przedsionek tajemnicy drugiej cnoty, przeł. Leon Zaręba, Kraków 2007, s. 40-43).
Ja również jestem przekonany o tym pokornym, „mniejszym”, ale fundamentalnym charakterze nadziei. Spróbujcie pomyśleć: jak moglibyśmy żyć bez nadziei? Jak wyglądałyby nasze dni? Nadzieja jest niezbędna dla codziennego życia.
Nadzieja, światło jaśniejące w nocy
W chrześcijańskiej tradycji Triduum Paschalnego, Wielka Sobota jest dniem nadziei. Pomiędzy Wielkim Piątkiem a Niedzielą Wielkanocną, jest ona pomostem między rozpaczą uczniów a ich radością paschalną. Jest miejscem, w którym rodzi się nadzieja. Tego dnia, Kościół w milczeniu upamiętnia zstąpienie Chrystusa do piekieł. Możemy to zobaczyć przedstawione na wielu ikonach, ukazujących nam Chrystusa jaśniejącego światłem, który zstępuje w najgłębsze ciemności i je przenika. Tak właśnie jest: Bóg nie tylko spogląda ze współczuciem na nasze obszary śmierci, nie tylko woła z oddali, lecz wkracza w nasze doświadczenia piekieł jako światło, które świeci w ciemności i je pokonuje (por. J 1, 5). Dobrze to wyraża wiersz w południowoafrykańskim języku xhosa: „Nawet jeśli nadzieje się wyczerpały, tym wierszem rozbudzam nadzieję. Moja nadzieja się budzi, ponieważ pokładam nadzieję w Panu. Mam nadzieję, że się zjednoczymy! Trwajcie mocni w nadziei, bo pomyślny kres jest bliski”.
Jeśli się dobrze zastanowić, taka była nadzieja Dziewicy Maryi, trwającej mocno pod krzyżem Jezusa, pewnej, że „pomyślny kres” jest bliski. Maryja jest niewiastą nadziei, Matką nadziei. Na Kalwarii, „wbrew nadziei uwierzyła nadziei” (Rz 4, 18), nie pozwoliła, aby zgasła w Jej sercu pewność zmartwychwstania zapowiedzianego przez Jej Syna. To Ona wypełnia milczenie Wielkiej Soboty miłosnym oczekiwaniem pełnym nadziei, zaszczepiając w uczniach pewność, że Jezus zwycięży śmierć i że zło nie będzie miało ostatniego słowa.
Chrześcijańska nadzieja nie jest łatwym optymizmem ani jakimś placebo dla naiwnych: to pewność, zakorzeniona w miłości i wierze, że Bóg nigdy nie zostawia nas samych i dotrzymuje obietnicy: „Chociażbym chodził ciemną doliną, zła się nie ulęknę, bo Ty jesteś ze mną" (Ps 23, 4). Chrześcijańska nadzieja nie jest zaprzeczeniem cierpienia i śmierci, ale jest celebracją miłości Chrystusa Zmartwychwstałego, który jest zawsze z nami, nawet gdy zdaje się być daleko. „Sam Chrystus jest dla nas wspaniałym światłem nadziei i przewodnictwa w naszej nocy, ponieważ On jest «Gwiazdą świecącą, poranną»” (Adhort. apost. Christus vivit, 33).
Podsycanie nadziei
Odkąd została w nas rozpalona iskra nadziei, od czasu do czasu pojawia się zagrożenie, że zostanie ona stłumiona zmartwieniami, lękami i ciężarami codziennego życia. Tymczasem iskra potrzebuje powietrza, aby nadal świecić i odradzać się w wielkim ogniu nadziei. To właśnie delikatny powiew Ducha Świętego podsyca nadzieję. A my na różne sposoby możemy pomóc w jej podsycaniu.
Nadzieja jest podsycana przez modlitwę. Modląc się, zachowujemy i odnawiamy nadzieję. Modląc się, podtrzymujemy iskrę nadziei. „Modlitwa jest pierwszą siłą nadziei. Modlisz się, a nadzieja rośnie, trwa” (Katecheza, 20 maja 2020: L’Osservatore Romano, wyd. polskie, n. 6 (423)/2020, s. 13). Modlitwa jest jak wspinaczka wysokogórska: kiedy jesteśmy na ziemi, często nie widzimy słońca, ponieważ niebo jest pokryte chmurami. Ale jeśli wzniesiemy się ponad chmury, ogarnie nas światło i ciepło słońca; i w tym doświadczeniu odnajdujemy pewność, że słońce jest zawsze obecne, nawet gdy wszystko wydaje się szare.
Drodzy młodzi, kiedy otaczają was gęste mgły strachu, zwątpienia i ucisku, i nie widzicie już słońca, wybierajcie drogę modlitwy. Ponieważ „jeśli nikt mnie już więcej nie słucha, Bóg mnie jeszcze słucha” (Benedykt XVI, Enc. Spe salvi, 32). Każdego dnia, w obliczu niepokojów, które nas atakują, poświęćmy czas na odpoczynek w Bogu: „Odpocznij jedynie w Bogu, duszo moja, bo od Niego pochodzi moja nadzieja” (Ps 62, 6).
Nadzieja jest podsycana naszymi codziennymi wyborami. Zaproszenie do radowania się nadzieją, które św. Paweł kieruje do chrześcijan w Rzymie (por. Rz 12, 12), wymaga bardzo konkretnych wyborów w codziennym życiu. Dlatego zachęcam was do wyboru stylu życia opartego na nadziei. Podam przykład: w mediach społecznościowych wydaje się, że łatwiej dzielić się złymi wiadomościami niż tymi, które niosą nadzieję. Dlatego składam wam konkretną propozycję: spróbujcie dzielić się słowem nadziei każdego dnia. Stańcie się siewcami nadziei w życiu waszych przyjaciół i wszystkich, którzy was otaczają. Bo rzeczywiście, „nadzieja jest pokorna i jest ona cnotą, którą się wypracowuje – powiedzmy to tak – każdego dnia; [...] każdego dnia trzeba sobie przypominać, że mamy zadatek, że to Duch, pracuje w nas w drobnych rzeczach" (Homilia poranna, 29 października 2019: L’Osservatore Romano, wyd. polskie, n. 12 (418)/2019, s. 34).
Zapalić pochodnię nadziei
Czasami wieczorem wychodzicie z przyjaciółmi i, jeśli jest ciemno, bierzecie smartfon i włączacie latarkę, żeby zapewnić światło. Na dużych koncertach tysiące z was porusza tymi nowoczesnymi latarkami w rytm muzyki, tworząc wspaniałą scenerię. W nocy światło sprawia, że widzimy rzeczy na nowo, że nawet z ciemności wyłania się oblicze piękna. Podobnie jest ze światłem nadziei, którym jest Chrystus. Dzięki Niemu, dzięki Jego zmartwychwstaniu zostaje rozświetlone nasze życie. Z Nim widzimy wszystko w nowym świetle.
Podobno, kiedy ludzie zwracali się do św. Jana Pawła II, aby porozmawiać z nim o jakimś problemie, jego pierwsze pytanie brzmiało: „A jak to wygląda w świetle wiary?”. Spojrzenie oświetlone nadzieją sprawia również, że rzeczy ukazują się w innym świetle. Zachęcam was zatem do przyjęcia tego spojrzenia w waszym codziennym życiu. Chrześcijanin ożywiony Bożą nadzieją jest wypełniony inną radością; radością, która pochodzi z jego wnętrza. Wyzwania i trudności są i zawsze będą, ale jeśli jesteśmy obdarzeni nadzieją „pełną wiary”, stawiamy im czoła, wiedząc, że nie mają one ostatniego słowa, a my sami stajemy się, tym samym, małą pochodnią nadziei dla innych.
Również każdy z was może nią być, w takim stopniu, w jakim wasza wiara staje się konkretna, spójna z rzeczywistością i losami waszych braci i sióstr. Pomyślmy o uczniach Jezusa, którzy pewnego dnia na wysokiej górze ujrzeli Go jaśniejącego chwalebnym światłem. Gdyby pozostali na górze, tylko oni przeżyliby ten piękny moment, ale inni pozostaliby z niego wykluczeni. Trzeba było, żeby zeszli na dół. Nie możemy uciekać od świata, ale musimy ukochać ten czas, w którym Bóg umieścił nas nie bez powodu. Możemy być szczęśliwi tylko wtedy, gdy będziemy dzielić się otrzymaną łaską z naszymi braćmi i siostrami, których Pan daje nam dzień po dniu.
Drodzy młodzi, nie bójcie się dzielić ze wszystkimi nadzieją i radością Chrystusa Zmartwychwstałego! Strzeżcie iskry, która została w was zapalona, ale jednocześnie nieście ją naprzód. Zobaczycie, że będzie wzrastała! Nie możemy zatrzymać chrześcijańskiej nadziei dla siebie, jako pięknego uczucia, ponieważ ona jest przeznaczona dla wszystkich. Bądźcie blisko zwłaszcza tych waszych przyjaciół, którzy na pozór się uśmiechają, ale w swoim wnętrzu płaczą, będąc ubogimi w nadzieję. Nie dajcie się zarazić obojętnością i indywidualizmem: pozostańcie otwarci, jako nurty, którymi może płynąć nadzieja Jezusa i rozprzestrzeniać się w środowiskach, w których żyjecie.
„Chrystus żyje. On jest naszą nadzieją, jest najpiękniejszą młodością tego świata!” (Adhort. apost. Christus vivit, 1). Tak pisałem do was prawie pięć lat temu, po Synodzie poświęconym młodzieży. Zachęcam was wszystkich, zwłaszcza osoby zaangażowane w duszpasterstwo młodzieży, do wzięcia do ręki Dokumentu Końcowego z 2018 r. i adhortacji apostolskiej Christus vivit. Nadszedł czas, aby wspólnie określić, w jakim miejscu się znajdujemy i z nadzieją zaangażować się na rzecz całkowitego przełożenia na praktykę tego niezapomnianego Synodu.
Zawierzmy całe nasze życie Maryi, Matce Nadziei. Ona uczy nas nosić w naszym wnętrzu Jezusa, naszą radość i nadzieję, i dawać Go innym. Dobrej drogi, drodzy młodzi! Błogosławię was i towarzyszę wam w modlitwie. Wy także módlcie się za mnie!
W Rzymie, u św. Jana na Lateranie, dnia 9 listopada 2023 roku, w święto rocznicy poświęcenia Bazyliki Laterańskiej.
FRANCISZEK
[01732-PL.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
رسالة قداسة البابا فرنسيس
في مناسبة اليوم العالمي الثّامن والثّلاثين للشّبيبة
26 تشرين الثّاني/ نوفمبر 2023"
"كُونوا في الرَّجاءِ فَرِحين" (رومة 12، 12)
أيّها الشّباب الأعزّاء،
التقيت في آب/أغسطس الماضي بمئات الآلاف من الشّباب في أعماركم، من جميع أنحاء العالم، اجتمعوا في لشبونة لليوم العالميّ للشّبيبة. في زمن الجائحة، ووسط الشّكوك الكثيرة، ظلَّ رجاؤنا قويًّا في أنّ يتحقَّق هذا الاحتفال الكبير باللقاء مع المسيح ومع الشّباب الآخرين. وقد تحقّق هذا الرّجاء، وبالنّسبة للكثيرين منّا الذين حضروا هناك - بما فيهم أنا - فقد تجاوز كلّ التّوقعات! كم كان جميلًا لقاؤنا في لشبونة! خبرة حقيقيّة لتجلِّي الرّوح، وتدفّق النّور والفرح!
في نهاية القداس الختامي في ”ميدان النّعمة“، أشرت إلى المرحلة القادمة في حجّنا العابر للقارات: في سيول، كوريا، في سنة 2027. ولكن قبل ذلك، حدّدت لكم موعدًا في روما، في سنة 2025، لحضور يوبيل الشّباب، حيث ستكونون أنتم أيضًا ”حجاج الرّجاء“.
في الواقع، أنتم الشّباب رجاءُ فرحِ الكنيسة والإنسانيّة في مسيرتهما الدّائمة. أودّ أن آخذ بيدكم وأسير معكم في طريق الرّجاء. أودّ أن أتكلّم معكم على أفراحنا وآمالنا، ولكن أيضًا على الأحزان والقلق في قلوبنا وفي البشريّة المتألّمة (راجع دستور رعائي، فرح ورجاء، 1). في هاتَين السّنتَين للتّحضير لليوبيل، سنتأمّل أوّلًا في عبارة القدّيس بولس "كُونوا في الرَّجاءِ فَرِحين" (رومة 12، 12)، ثمّ سنتعمّق في عبارة النّبي أشعيا: "أَمَّا الرَّاجونَ لِلرَّبّ [...] فَيَسيرونَ ولا يَتعَبون" (أشعيا 40، 31).
من أين يأتي هذا الفرح؟
"كُونوا في الرَّجاءِ فَرِحين" (رومة 12، 12) هذه وصيّة القدّيس بولس لجماعة روما، التي كانت تعيش في فترة اضطهاد شديد. وفي الواقع، ”الفرح في الرّجاء“، الذي بشّر به الرّسول، ينبع من سرّ المسيح الفصحيّ، من قوّة قيامته. ليس ثمرة التزام بشريّ أو براعة أو فنّ من الفنون. إنّه الفرح الذي يأتي من اللقاء مع المسيح. الفرح المسيحيّ يأتي من الله نفسه، من معرفتنا أنّه يحبّنا.
البابا بندكتس السّادس عشر، عندما كان يتأمّل في الخبرة التي عاشها في اليوم العالمي للشّبيبة في مدريد سنة 2011، تساءل: "من أين يأتي الفرح؟ كيف نفسّر ذلك؟ هناك بالتّأكيد عوامل عديدة التي تعمل معًا. لكن العامل الحاسم هو (...) اليقين الذي يأتي من الإيمان: الله يريدني. ولي مهمّة في التّاريخ. قَبِلَني، وأحبّني". وأوضح البابا فكره قال: "في آخر الأمر، نحن بحاجة إلى أن يقبلنا الله قبولًا غير مشروط. فقط إن قَبِلني الله وتأكّدت من ذلك، عرفت بالتّأكيد: أنّه حسنٌ أن أكون أنا هنا. […] وحسنٌ أن أكون إنسانًا، حتّى في الأوقات الصّعبة. فالإيمان يملأك بالفرح، في داخلك" (كلمة إلى الكوريا الرّومانيّة، 22 كانون الأوّل/ ديسمبر 2011).
أين رجائي؟
زمن الشّباب وقت مليء بالآمال والأحلام، تغذِّيه حقائق جميلة تُغنِي حياتنا: جمال الخلق، والعلاقات مع أحبائنا وأصدقائنا، والخبرات الفنيّة والثّقافيّة، والمعرفة العلميّة والتّقنيّة، والمبادرات من أجل السّلام والعدل والأخوّة، وما إلى ذلك. لكنّنا نعيش في زمن يبدو فيه أنّ الرّجاء، بالنّسبة للكثيرين، حتّى الشّباب، هو الغائب الكبير. للأسف، كثيرون من الشّباب في أعماركم، يعيشون خبرات الحرب والعنف والاعتداء ومختلف أنواع الشّدائد، وهم مصابون باليأس والخوف والاكتئاب. يشعرون وكأنّهم منغلقون على أنفسهم في سجن مظلم، غيرَ قادرين على رؤية أشعة الشّمس. ويظهر ذلك بشكل كبير في ارتفاع معدل الانتحار بين الشّباب في البلدان العديدة. وفي مثل هذا السّياق، كيف يمكننا أن نختبر الفرح والرّجاء الذي يتكلّم عليهما القدّيس بولس؟ بل يوشك أن يغلبنا اليأس، والتّفكير أنْ لا فائدة في عمل الخير، لأنّه لن يقدّره أحد ولن يعترف به، كما نقرأ في سفر أيوب: "إِذَنْ أَينَ رَجائي؟ رَجائي مَن يَراه؟" (أيوب 17، 15).
أمام مآسي الإنسانيّة، وخاصّة آلام الأبرياء، نحن أيضًا، عندما نصلّي في بعض المزامير، نسأل الله: ”لماذا؟“. ويمكننا أن نكون نحن جزءًا من جواب الله. خَلَقنا على صورته ومثاله، ويمكن أن نعبِّر عن حُبِّه الذي يولّد الفرح والرّجاء حتّى حيث يبدو ذلك مستحيلًا. تتبادر إلى ذهني الشّخصيّة الرّئيسيّة في الفيلم "الحياة جميلة"، وهو أب شاب ينجح بلطفه وخياله في تحويل الواقع القاسيّ إلى نوع من المغامرة واللعبة، وبالتّالي يمنح ابنه ”عيون الرّجاء“، ويحميه من أهوال معسكر الاعتقال، ويصون براءته، ويمنع شرّ الإنسان مِن أن يقضي على مستقبله. هذه القصة وغيرها ليست مجرّد قصص مستنبطة! بل هي ما نراه في حياة القدّيسين الكثيرين الذين كانوا شهود رجاء حتّى في وسط أقسى الإساءات من قبل الإنسان. لنفكّر في القدّيس ماكسيميليان ماريا كولبي (Massimiliano Maria Kolbe)، أو القدّيسة جوزفين باخيتا (Giuseppina Bakhita)، أو الزّوجَين الطّوباويّين جوزيف وفكتوريا أولما (Józef e Wiktoria Ulma) مع أبنائهما السّبعة.
يمكن أن نضرم الرّجاء في قلوب البشر، انطلاقًا من الشّهادة المسيحيّة، وقد بيّن ذلك ببراعة القدّيس بولس السّادس، عندما قال: "المسيحيّ أو مجموعة المسيحيّين، ضمن جماعة البشر التي يعيشون فيها، [...] يشّعون بطريقة بسيطة جدًّا وعفوية الإيمان في بعض القِيَم التي تتجاوز القِيَم الحاليّة، وكذلك الرّجاء في بعض الأمور حيث لا يمكن أن نراه ولا نجرؤ على أن نتصوَّره" (الإرشاد الرسولي، Evangelii nuntiandi، 21).
الرّجاء ”الصّغير“
الشّاعر الفرنسيّ شارل بيغي (Charles Péguy)، في بداية قصيدته عن الرّجاء، تكلّم على الفضائل اللاهوتيّة الثّلاث – الإيمان والرّجاء والمحبّة – كأنّها ثلاث أخوات تسير معًا:
"الرّجاء الأخت الصّغرى تتقدّم بين أختيها الكبيرتين، ولا يُلحَظُ حتّى وجودها.
[...]
هي الصّغيرة، التي تحرِّك كلّ شيء.
لأنّ الإيمان لا ترى إلّا ما هو موجود.
وأمّا هي فترى ما سيكون.
والمحبّة لا تحبّ إلّا ما هو موجود.
وأمّا هي فتحبّ ما سيكون.
[...]
هي التي تجعل الاثنتَين تسيران.
وتدفعهما.
وتجعلهما تسيران"
(رواق سرّ الفضيلة الثّانية، ميلانو 1978، 17-19).
أنا أيضًا مقتنع بهذه السِّمة المتواضعة، ”الصّغيرة“، لكنّها الأساسيّة في الرّجاء. حاولوا أن تفكّروا: كيف يمكننا أن نعيش بلا رجاء؟ كيف ستكون أيامنا؟ الرّجاء هو ملح الحياة اليوميّة.
الرّجاء، نورٌ يشعُّ في الليل
في التّقليد المسيحيّ لثلاثيّة الفصح، يُعتبر يومُ سَبت النّور يومَ الرّجاء. بين الجمعة العظيمة وأحد الفصح، يُعتبر السّبت المقدّس وكأنّه أرض متوسّطة بين يأس التّلاميذ وفرحهم الفصحيّ. إنّه المكان الذي فيه يولد الرّجاء. في هذا اليوم، تحتفل الكنيسة بصمت بذكرى نزول المسيح إلى الجحيم. يمكن أن نرى هذا المشهد مصوَّرًا في أيقونات كثيرة، تبيِّن لنا المسيح ساطعًا بالنّور، ينزل إلى أعمق الظّلمات ويجتازها. وهكذا فإنّ الله لا يكتفي بأن ينظر برأفة إلى أماكن الموت التي نحن فيها أو أن يدعونا من بعيد، بل يدخل في اختباراتنا للجحيم نورًا يضيء في الظّلمة ويغلبها (راجع يوحنّا 1، 5). وتعبِّر عن هذا الواقع تعبيرًا جيّدًا قصيدة باللغة الهوسيّة في جنوب إفريقيّة: "حتّى لو انتهت الآمال، بهذه القصيدة أُوقظ الرّجاء. يستيقظ رجائي من جديد لأنّ رجائي في الرّبّ يسوع. أرجو أن نتَّحد! ابقوا أقوياء في الرّجاء، لأنّ الفرج قريب".
إن فكّرنا جيّدًا، هذا كان رجاء سيّدتنا مريم العذراء، التي بقيت قويّة عند صليب يسوع، واثقة أنّ ”الانتصار“ كان قريبًا. مريم هي المرأة التي ترجو، إنّها أمّ الرّجاء. على الجُلجُلة، "راجية على غير رجاء" (رومة 4، 18)، لم تسمح ليقين القيامة التي تنبّأ بها ابنها ينطفئ في قلبها. هي التي تملأ صمت سبت النّور بانتظارٍ مليءٍ بالحبّ والرّجاء، وتغرس في التّلاميذ اليقين بأنّ يسوع سينتصر على الموت وأنّ الشّرّ لن يكون الكلمة الأخيرة.
الرّجاء المسيحيّ ليس تفاؤلًا سهلًا وليس مهدِّئًا للسُّذَّج: بل هو يقيننا، المتأصِّل في المحبّة وفي الإيمان، بأنّ الله لا يتركنا وحدنا أبدًا وهو يفي بوعده لنا: "إِنِّي ولَو سِرتُ في وادي الظُّلُمات، لا أَخافُ سُوءًا لأَنَّكَ مَعي" (المزامير 23، 4). الرّجاء المسيحيّ ليس إنكارًا للألم وللموت، بل هو احتفال بمحبّة المسيح القائم من بين الأموات وهو معنا دائمًا، حتّى ولو بدا لنا بعيدًا. "المسيح نفسه هو نور رجائنا العظيم ومرشدنا في الليل، لأنّه الكَوكَب الزَّاهِرُ في الصَّباح" (الإرشاد الرّسولي ما بعد السّينودس، المسيح يحيا، 33).
تغذّية الرّجاء
عندما تشتعل فينا شرارة الرّجاء، قد يكون أحيانًا هناك خطرٌ وهو أن تختنق بسبب همومنا ومخاوفنا وانشغالات حياتنا اليوميّة. تحتاج الشّرارة إلى الهواء لكي تبقى تضيء وتنتعش فتصير نار رجاءٍ كبيرة. وهي نسمة الرّوح القدس العَذْبة التي تغذّي الرّجاء. ويمكن أن نتعاون في تغذيتها بطرق مختلفة.
الرّجاء تُغذّيه الصّلاة. عندما نصلّي نحفظ الرّجاء ونجدّده. عندما نصلّي نُبقي شرارة الرّجاء مشتعلة. "الصّلاة هي أوّل قوّة تسند الرّجاء. أنت تصلّي والرّجاء ينمو ويتقدّم". (المقابلة العامّة، تعليم في سرّ الخلق، 20 أيّار/مايو 2020). الصّلاة هي مثل صعودنا إلى ارتفاعٍ عالٍ: عندما نكون على الأرض، لا نستطيع أحيانًا أن نرى الشّمس، لأنّ السّماء تغطّيها الغيوم. لكن إن ارتفعنا فوق السّحاب، سيحيط بنا نور الشّمس وحرارتها، وفي هذه الخبرة سنجد من جديد يقيننا بأنّ الشّمس موجودة دائمًا، حتّى عندما يبدو كلّ شيء رماديًّا.
أيّها الشّباب الأعزّاء، عندما يحيط بكم ضباب الخوف الكثيف والشّك والظّلم، فلا تستطيعون أن تَرَوا الشّمس، اسلكوا طريق الصّلاة. لأنّه "ولو رفض الجميع أن يُصغوا إليّ، يبقى الله مصغيًا إليّ" (الرّسالة العامّة، بالرّجاء مخلّصون، للحبر الأعظم بندكتس السّادس عشر، 32). لنأخذ كلّ يوم وقتًا لنستريح في الله أمام الهموم التي تهاجمنا: "إِلى اللهِ وَحدَه اطمَئِنِّي يا نَفْسي، فإِنَّ مِنه رَجائي" (المزامير 62، 6).
الرّجاء تغذّيه خياراتنا اليوميّة. الدّعوة إلى الفرح في الرّجاء، التي يوجِّهُها القدّيس بولس إلى مسيحيّيّ رومة (راجع رومة 12، 12)، تتطلّب خيارات عمليّة جدًّا في الحياة اليوميّة. لذلك أدعوكم إلى أن تختاروا أسلوب حياةٍ مبني على الرّجاء. سأعطي مثلًا: على وسائل التّواصل الاجتماعيّ، يبدو أنّه من الأسهل أن نتشارك أخبارًا سيّئة بدلًا من الأخبار التي تدعو إلى الرّجاء. لهذا السّبب، سأقدّم لكم اقتراحًا عمليًّا: حاولوا أن تتشاركوا كلّ يوم كلمة رجاء. بذلك تصيرون زارعي رجاء في حياة أصدقائكم وفي حياة كلّ الذين هُم حولكم. في الواقع، "الرّجاء متواضع، وهو فضيلة نجتهد كلّ يوم لنحصل عليها، – إن صحّ التّعبير – […]. من الضّروري أن نتذكّر كلّ يوم أنّنا نملك العربون، وهو الرّوح القدس، الذي يعمل فينا في الأمور الصّغيرة" (التّأمّل الصّباحي، 29 تشرين الأوّل/أكتوبر 2019).
إشعال مصباح الرّجاء
أحيانًا تخرجون في المساء مع أصدقائكم، وإن حلّ الظّلام، تأخذون هاتفكم المحمول وتشعلون المصباح لتستضيئوا. في الحفلات الموسيقيّة الكبيرة، يحرّك الآلاف منكم هذه الأضواء الحديثة على إيقاع الموسيقى، وتخلقون مشهدًا له دلالات وإيحاءات. النّور يجعلنا نرى الأشياء في الليل بطريقة جديدة، وحتّى في الظّلام، يظهر نوع من الجمال. كذلك هو نور الرّجاء، الذي هو المسيح. به، وبقيامتِه، تستضيء حياتنا. معه نرى كلّ شيء في نورٍ جديد.
يُقال إنّه عندما كان النّاس يتوجّهون إلى القدّيس يوحنّا بولس الثّاني ليكلّموه على مشكلة ما، كان سؤاله الأوّل لهم هو: "كيف تظهر في نور الإيمان؟" كذلك النّظر في نور الرّجاء، فإنّها تجعل الأشياء تظهر في نور مختلف. لذلك أدعوكم إلى أن تنظروا هذه النّظرة في حياتكم اليوميّة. المسيحيّ إذا انتعش بالرّجاء الإلهيّ، وجد نفسه ممتلئًا بفرح مختلف، يأتيه من الدّاخل. التّحدّيات والصّعوبات تبقى، وستبقى دائمًا، لكن إن كان لنا رجاء ”ممتلئ بالإيمان“، سنواجهها إذ نعلَم أنّ الكلمة الأخيرة ليست لها، وسنصير نحن أنفسنا مصباح رجاءٍ صغير للآخرين.
يمكن لكلِّ واحدٍ منكم أيضًا أن يكون مصباح رجاء، بقدر ما يصير إيمانه عمليًّا وملتصقًا بالواقع وبقصص إخوته وأخواته. لنفكّر في تلاميذ يسوع، الذين رأوه يومًا، على جبل عالٍ، يسطع بنور مجيد. لو أنّهم بقوا هناك فوق، لكانت لحظة جميلة جدًّا بالنّسبة لهم، ولكن لحُرِمَ الآخرون منها. كان من الضّروري أن ينزلوا. يجب ألّا نهرب من العالم، بل أن نحبّ زمننا الذي فيه وضعنا الله، وليس من دون سبب. يمكننا أن نكون سعداء فقط إن تقاسمنا النّعمة التي ننالها مع الإخوة والأخوات الذين يعطينا إيّاهم الله كلّ يوم.
أيّها الشّباب الأعزّاء، لا تخافوا أن تتشاركوا مع الجميع رجاء وفرح المسيح القائم من بين الأموات! الشّرارة التي اشتعلت فيكم، حافظوا عليها، وفي الوقت نفسه أعطوها للآخرين: ستَرَوْن أنّها تنمو! لا يمكننا أن نحتفظ بالرّجاء المسيحيّ لأنفسنا، مثل مشاعر جميلة، لأنّه موجّه للجميع. ابقُوا قريبين خصوصًا من أصدقائكم الذين ربّما يبدون في الخارج مبتسمين، وهم في داخلهم يبكون، لأنّ لا رجاء لهم. لا تتركوا عدوى اللامبالاة تصل إليكم، ولا الفرديّة: بل ابقوا منفتحين، مثل قنوات فيها يمكن أن يتدفّق رجاء يسوع وينتشر في البيئات التي تعيشون فيها.
"المسيح حيّ. وهو رجاؤنا، وهو الشابّ الأجمل في هذا العالم (الإرشاد الرّسوليّ ما بعد السّينودس، المسيح يحيا، 1). هكذا كتبت إليكم منذ خمس سنوات تقريبًا، بعد سينودس الشّباب. أدعوكم جميعًا، وخاصّة المشاركين في العمل الرّعوي للشّباب، إلى تناول الوثيقة الختاميّة لسنة 2018 والإرشاد الرّسوليّ ”المسيح يحيا“. لقد حان الوقت لتقيّيم الوضع معًا والعمل برجاء من أجل التّحقيق الكامل لهذا السّينودس الذي لا يُنسى.
لنوكِل حياتنا كلّها إلى مريم، أمّ الرّجاء. هي تعلّمنا أن نحمل يسوع، فرحنا ورجائنا، في داخلنا ونعطيه للآخرين. مسيرة موفقة، أيّها الشّباب الأعزّاء! أبارككم وأرافقكم بالصّلاة. وأنتم أيضا صلّوا من أجلي!
روما، بازيليكا القدّيس يوحنّا في اللاتران، يوم 9 تشرين الثّاني/نوفمبر 2023، عيد تدشين بازيليكا القدّيس يوحنّا في اللاتران.
فرنسيس
[01732-AR.01] [Testo originale: Italiano]
[B0794-XX.01]