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Synod23 – Santa Messa a conclusione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (4-29 ottobre 2023), 29.10.2023


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 10 di questa mattina, XXX Domenica del Tempo ordinario, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Santa Messa in occasione della conclusione della prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (4-29 ottobre 2023) sul tema: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Vangelo:

Omelia del Santo Padre

È proprio un pretesto quello con cui un dottore della Legge si presenta a Gesù, e solo per metterlo alla prova. Tuttavia, la sua è una domanda importante, una domanda sempre attuale, che a volte si fa strada nel nostro cuore e nella vita della Chiesa: «Qual è il grande comandamento?» (Mt 22,36). Anche noi, immersi nel fiume vivo della Tradizione, ci chiediamo: qual è la cosa più importante? Qual è il centro propulsore? Che cosa conta di più, tanto da essere il principio ispiratore di tutto? E la risposta di Gesù è chiara: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua animae con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Mt 22,37-39).

Fratelli Cardinali, confratelli Vescovi e sacerdoti, religiose e religiosi, sorelle e fratelli, a conclusione di questo tratto di cammino che abbiamo percorso, è importante guardare al “principio e fondamento” da cui tutto comincia e ricomincia: amare. Amare Dio con tutta la vita e amare il prossimo come sé stessi. Non le nostre strategie, non i calcoli umani, non le mode del mondo, ma amare Dio e il prossimo: ecco il cuore di tutto. Ma come tradurre tale slancio di amore? Vi propongo due verbi, due movimenti del cuore su cui vorrei riflettere: adorare e servire. Amare Dio si fa con l’adorazione e con il servizio.

Il primo verbo, adorare. Amare è adorare. L’adorazione è la prima risposta che possiamo offrire all’amore gratuito, all’amore sorprendente di Dio. Lo stupore dell’adorazione è essenziale nella Chiesa, soprattutto in questo momento in cui abbiamo perso l’abitudine dell’adorazione. Adorare, infatti, significa riconoscere nella fede che solo Dio è il Signore e che dalla tenerezza del suo amore dipendono le nostre vite, il cammino della Chiesa, le sorti della storia. Lui è il senso del vivere.

Adorando Lui ci riscopriamo liberi noi. Per questo l’amore al Signore nella Scrittura è spesso associato alla lotta contro ogni idolatria. Chi adora Dio rifiuta gli idoli perché, mentre Dio libera, gli idoli rendono schiavi. Ci ingannano e non realizzano mai ciò che promettono, perché sono «opera delle mani dell’uomo. (Sal 115,4). La Scrittura è severa contro l’idolatria perché gli idoli sono opera dell’uomo e da lui sono manipolati, mentre Dio è sempre il Vivente, che è qui e oltre, «che non è fatto come lo penso io, che non dipende da quanto io attendo da lui, che può dunque sconvolgere le mie attese, proprio perché è vivo. La riprova che non sempre abbiamo la giusta idea di Dio è che talvolta siamo delusi: mi aspettavo questo, mi immaginavo che Dio si comportasse così, e invece mi sono sbagliato. In tal modo ripercorriamo il sentiero dell’idolatria, volendo che il Signore agisca secondo l’immagine che ci siamo fatta di lui» (C.M. Martini, I grandi della Bibbia. Esercizi spirituali con l’Antico Testamento, Firenze 2022, 826-827). E questo è un rischio che possiamo correre sempre: pensare di “controllare Dio”, di rinchiudere il suo amore nei nostri schemi. Invece, il suo agire è sempre imprevedibile, va oltre, e perciò questo agire di Dio domanda stupore e adorazione. Lo stupore, è tanto importante!

Sempre dobbiamo lottare contro le idolatrie; quelle mondane, che spesso derivano dalla vanagloria personale, come la brama del successo, l’affermazione di sé ad ogni costo, l’avidità di denaro – il diavolo entra dalle tasche, non dimentichiamolo –, il fascino del carrierismo; ma anche quelle idolatrie camuffate di spiritualità: la mia spiritualità, le mie idee religiose, la mia bravura pastorale... Vigiliamo, perché non ci succeda di mettere al centro noi invece che Lui. E torniamo all’adorazione. Che sia centrale per noi pastori: dedichiamo tempo ogni giorno all’intimità con Gesù buon Pastore davanti al tabernacolo. Adorare. La Chiesa sia adoratrice: in ogni diocesi, in ogni parrocchia, in ogni comunità si adori il Signore! Perché solo così ci rivolgeremo a Gesù e non a noi stessi; perché solo attraverso il silenzio adorante la Parola di Dio abiterà le nostre parole; perché solo davanti a Lui saremo purificati, trasformati e rinnovati dal fuoco del suo Spirito. Fratelli e sorelle, adoriamo il Signore Gesù!

Il secondo verbo è servire. Amare è servire. Nel grande comandamento Cristo lega Dio e il prossimo, perché non siano mai disgiunti. Non esiste un’esperienza religiosa che sia sorda al grido del mondo, una vera esperienza religiosa. Non c’è amore di Dio senza coinvolgimento nella cura del prossimo, altrimenti si rischia il fariseismo. Magari abbiamo davvero tante belle idee per riformare la Chiesa, ma ricordiamo: adorare Dio e amare i fratelli col suo amore, questa è la grande e perenne riforma. Essere Chiesa adoratrice e Chiesa del servizio, che lava i piedi all’umanità ferita, accompagna il cammino dei fragili, dei deboli e degli scartati, va con tenerezza incontro ai più poveri. Dio lo ha comandato, l’abbiamo sentito, nella prima Lettura.

Fratelli e sorelle, penso a quanti sono vittime delle atrocità della guerra; alle sofferenze dei migranti, al dolore nascosto di chi si trova da solo e in condizioni di povertà; a chi è schiacciato dai pesi della vita; a chi non ha più lacrime, a chi non ha voce. E penso a quante volte, dietro belle parole e suadenti promesse, vengono favorite forme di sfruttamento o non si fa nulla per impedirle. È un peccato grave sfruttare i più deboli, un peccato grave che corrode la fraternità e devasta la società. Noi, discepoli di Gesù, vogliamo portare nel mondo un altro lievito, quello del Vangelo: Dio al primo posto e insieme a Lui coloro che Lui predilige, i poveri e i deboli.

È questa, fratelli e sorelle, la Chiesa che siamo chiamati a sognare: una Chiesa serva di tutti, serva degli ultimi. Una Chiesa che non esige mai una pagella di “buona condotta”, ma accoglie, serve, ama, perdona. Una Chiesa dalle porte aperte che sia porto di misericordia. «L’uomo misericordioso – disse il Crisostomo – è un porto per chi è nel bisogno: il porto accoglie e libera dal pericolo tutti i naufraghi; siano essi malfattori, buoni, o siano come siano […], il porto li mette al riparo all’interno della sua insenatura. Anche tu, dunque, quando vedi in terra un uomo che ha sofferto il naufragio della povertà, non giudicare, non chiedere conto della sua condotta, ma liberalo dalla sventura» (Discorsi sul povero Lazzaro, II, 5).

Fratelli e sorelle, si conclude l’Assemblea Sinodale. In questa “conversazione dello Spirito” abbiamo potuto sperimentare la tenera presenza del Signore e scoprire la bellezza della fraternità. Ci siamo ascoltati reciprocamente e soprattutto, nella ricca varietà delle nostre storie e delle nostre sensibilità, ci siamo messi in ascolto dello Spirito Santo. Oggi non vediamo il frutto completo di questo processo, ma con lungimiranza possiamo guardare all’orizzonte che si apre davanti a noi: il Signore ci guiderà e ci aiuterà ad essere Chiesa più sinodale e più missionaria, che adora Dio e serve le donne e gli uomini del nostro tempo, uscendo a portare a tutti la consolante gioia del Vangelo.

Fratelli e sorelle, per tutto questo che avete fatto nel Sinodo e che continuate a fare vi dico grazie! Grazie per il cammino fatto insieme, per l’ascolto e per il dialogo. E nel ringraziarvi vorrei fare un augurio a tutti noi: che possiamo crescere nell’adorazione di Dio e nel servizio al prossimo. Adorare e servire. Il Signore ci accompagni. E avanti, con gioia!

[01650-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

C’est vraiment avec un prétexte qu’un docteur de la Loi se présente à Jésus, et seulement pour le mettre à l'épreuve. Il s'agit cependant d'une question importante, une question toujours actuelle, qui se fraye parfois un chemin dans nos cœurs et dans la vie de l'Église : « Quel est le grand commandement ? » (Mt 22, 36). Nous aussi, plongés dans le fleuve vivant de la Tradition, nous nous demandons : quelle est la chose la plus importante ? Quel est le centre propulseur ? Qu'est-ce qui compte le plus, au point d'être le principe inspirateur de tout ? Et la réponse de Jésus est claire : « Tu aimeras le Seigneur ton Dieu de tout ton cœur, de toute ton âme et de tout ton esprit. Voilà le grand, le premier commandement. Et le second lui est semblable : Tu aimeras ton prochain comme toi-même » (Mt 22, 37-39).

Frères cardinaux, frères évêques et prêtres, religieuses et religieux, sœurs et frères, au terme de cette étape du chemin que nous avons parcouru, il est important de regarder le “principe et le fondement” sur lequel tout commence et recommence : aimer. Aimer Dieu par toute notre vie et aimer notre prochain comme soi-même. Non pas nos stratégies, non pas les calculs humains, non pas les manières du monde, mais aimer Dieu et le prochain : voilà le cœur de tout. Mais comment traduire cet élan d'amour ? Je vous propose deux verbes, deux mouvements du cœur sur lesquels je voudrais réfléchir : adorer et servir. Aimer Dieu se fait à travers l'adoration et le service.

Le premier verbe, adorer. Aimer, c'est adorer. L'adoration est la première réponse que nous pouvons donner à l'amour gratuit, à l’amour surprenant de Dieu. L'émerveillement de l'adoration est essentiel dans l'Église, surtout à notre époque où nous avons perdu l'habitude de l'adoration. Adorer c’est en effet reconnaître dans la foi que Dieu seul est Seigneur et que notre vie, le chemin de l'Église, le destin de l'histoire dépendent de la tendresse de son amour. Il est le sens de la vie.

En l'adorant, nous nous redécouvrons libres. C'est pourquoi l'amour du Seigneur dans l'Écriture est souvent associé à la lutte contre l’idolâtrie. Ceux qui adorent Dieu rejettent les idoles car, alors que Dieu libère, les idoles asservissent. Elles nous trompent et ne tiennent jamais leurs promesses car elles sont « ouvrages de mains humaines » (Ps 113b, 4). L'Écriture est sévère à l'égard de l'idolâtrie parce que les idoles sont l'œuvre de l'homme qui les manipule, alors que Dieu est toujours le Vivant, qui est ici et au-delà, « qui n'est pas fait comme je le pense, qui ne dépend pas de ce que j'attends de lui, qui peut donc bouleverser mes attentes, précisément parce qu'il est vivant. La preuve que nous n'avons pas toujours une idée juste de Dieu, c'est que nous sommes parfois déçus : je m'attendais à ceci, j'imaginais que Dieu se comportait ainsi, et je me suis trompé. Nous nous engageons ainsi sur la voie de l'idolâtrie en voulant que le Seigneur agisse selon l'image que nous nous sommes faite de lui » (C.M. Martini, I grandi della Bibbia. Esercizi spirituali con l’Antico Testamento, Firenze 2022, 826-827). Et c'est un risque que nous pouvons toujours courir : penser que nous “contrôlons Dieu”, enfermer son amour dans nos schémas. Au contraire, son action est toujours imprévisible, elle va au-delà, et c'est pourquoi cet agir de Dieu exige émerveillement et adoration. L'émerveillement est si important !

Nous devons toujours lutter contre les idolâtries ; les idolâtries mondaines qui découlent souvent de la vanité personnelle, comme la soif de succès, l'affirmation de soi à tout prix, l'avidité pour l'argent - le diable entre par la poche, ne l'oublions pas -, l'attrait du carriérisme ; mais aussi les idolâtries déguisées en spiritualité : ma propre spiritualité, mes propres idées religieuses, mes prouesses pastorales... Soyons vigilants pour ne pas nous mettre au centre plutôt que Lui. Et revenons à l'adoration. Qu'elle soit centrale pour nous, pasteurs : consacrons chaque jour du temps à l'intimité avec Jésus Bon Pasteur devant le tabernacle. Adorer. Que l'Église soit adoratrice : dans chaque diocèse, dans chaque paroisse, dans chaque communauté, adorons le Seigneur ! Parce que ce n'est que de cette manière que nous nous tournerons vers Jésus et non vers nous-mêmes ; parce que ce n'est qu'à travers un silence d'adoration que la Parole de Dieu habitera nos paroles ; parce que ce n'est que devant Lui que nous serons purifiés, transformés et renouvelés par le feu de son Esprit. Frères et sœurs, adorons le Seigneur Jésus !

Le second verbe est servir. Aimer, c'est servir. Dans le grand commandement, le Christ lie Dieu et le prochain pour qu'ils ne soient jamais séparés. Il n'existe pas d'expérience religieuse qui soit sourde aux cris du monde, une véritable expérience religieuse. Il n'y a pas d'amour de Dieu sans implication dans le soin du prochain, sous peine de pharisaïsme. Nous pouvons en effet avoir beaucoup de belles idées pour réformer l'Église, mais rappelons-nous : adorer Dieu et aimer nos frères de son amour, voilà la grande et durable réforme. Être une Église adoratrice et une Église du service qui lave les pieds de l'humanité blessée, qui accompagne le chemin des personnes fragiles, faibles et laissées-pour-compte, qui va tendrement à la rencontre des plus pauvres. C'est ce que Dieu a ordonné, nous l’avons entendu, dans la première lecture.

Frères et sœurs, je pense à ceux qui sont victimes des atrocités de la guerre ; aux souffrances des migrants, à la douleur cachée de ceux qui se retrouvent seuls et dans la pauvreté ; à ceux qui sont écrasés par les fardeaux de la vie ; à ceux qui n'ont plus de larmes, à ceux qui n'ont plus de voix. Et je pense à combien de fois, derrière de belles paroles et de douces promesses, des formes d'exploitation sont encouragées ou rien n'est fait pour les empêcher. C'est un péché grave que d'exploiter les plus faibles, un péché grave qui ronge la fraternité et dévaste la société. Nous, disciples de Jésus, nous voulons apporter au monde un autre levain, celui de l'Évangile : Dieu à la première place, et avec Lui ceux qu'Il préfère, les pauvres et les faibles.

Telle est, frères et sœurs, l'Église dont nous sommes appelés à rêver : une Église au service de tous, au service des derniers. Une Église qui n'exige jamais un bulletin de “bonne conduite”, mais qui accueille, sert, aime, pardonne. Une Église aux portes ouvertes qui soit un port de miséricorde. « L'homme miséricordieux - dit Chrysostome - est un port pour ceux qui sont dans le besoin : le port accueille et sauve du danger tous les naufragés ; qu'ils soient méchants, bons, ou qu'ils soient ce qu'ils sont [...], le port les abrite dans son anse. Toi donc aussi, quand tu verras à terre un homme qui a fait naufrage dans la pauvreté, ne le juge pas, ne lui demande pas compte de sa conduite, mais délivre-le du malheur » (Discours sur le pauvre Lazare, II, 5).

Frères et sœurs, l'Assemblée synodale s'achève. Dans cette "conversation de l'Esprit", nous avons pu expérimenter la tendre présence du Seigneur et découvrir la beauté de la fraternité. Nous nous sommes écoutés les uns les autres et surtout, dans la riche variété de nos histoires et de nos sensibilités, nous nous sommes mis à l'écoute de l'Esprit-Saint. Aujourd'hui, nous ne voyons pas le fruit complet de ce processus, mais avec anticipation, nous pouvons regarder l'horizon qui s'ouvre devant nous : le Seigneur nous guidera et nous aidera à être une Église plus synodale et plus missionnaire, qui adore Dieu et sert les femmes et les hommes de notre temps, en allant porter à tous la joie consolatrice de l'Évangile.

Frères et sœurs : pour tout ce que vous avez fait au sein du Synode et continuez à faire, je vous dis merci ! Merci pour le chemin que nous avons parcouru ensemble, pour l'écoute et le dialogue. En vous remerciant, je voudrais formuler un vœu pour nous tous : que nous puissions grandir dans l'adoration de Dieu et dans le service au prochain. Adorer et servir. Que le Seigneur nous accompagne. Et en avant, dans la joie !

[01650-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

A doctor of the Law comes to Jesus under a pretext, in order to test him. The question he asks, however, is an important and enduring one that, at times, arises in our own hearts and in the life of the Church: “Which commandment in the law is the greatest?” (Mt 22:36). We too, immersed in the living stream of Tradition, can ask: “What is the most important thing? What is the driving force?” What matters so much as to be the guiding principle of everything? Jesus’ answer is clear: “You shall love the Lord your God with all your heart, and with all your soul, and with all your mind. This is the greatest and first commandment. And a second is like it: You shall love your neighbor as yourself” (Mt 22:37-39).

Brother Cardinals, Bishops and priests, men and women Religious, dear brothers and sisters, at the conclusion of this stage of our journey, it is important to look at the “principle and foundation” from which everything begins ever anew: by loving. Loving God with our whole life and loving our neighbour as ourselves. Not our strategies, our human calculations, the ways of the world, but love of God and neighbour: that is the heart of everything. And how do we channel this momentum of love? I would propose two verbs, two movements of the heart, on which I would like to reflect: to adore and to serve. We love God through adoration and service.

The first verb, adore. To love is to adore. Adoration is the first response we can offer to God’s gratuitous and astonishing love. The amazement of adoration, the wonder of worship, is something essential in the life of the Church, especially in our own day in which we have abandoned the practice of adoration. To adore God means to acknowledge in faith that he alone is Lord and that our individual lives, the Church’s pilgrim way and the ultimate outcome of history all depend on the tenderness of his love. He gives meaning to our lives.

In worshiping God, we rediscover that we are free. That is why the Scriptures frequently associate love of the Lord with the fight against every form of idolatry. Those who worship God reject idols because whereas God liberates, idols enslave. Idols deceive us and never bring to pass what they promise, because they are “the work of men’s hands” (Ps 115:4). Scripture is unbending with regard to idolatry, because idols are made and manipulated by men, while God, the Living God, is present and transcendent; he is the one “who is not what I imagine him to be, who does not depend on what I expect from him and who can thus upset my expectations, precisely because he is alive. The proof that we do not always have the right idea about God is that at times we are disappointed: We think: ‘I expected one thing, I imagined that God would behave like this, and instead I was wrong’. But in this way, we turn back to the path of idolatry, wanting the Lord to act according to the image we have of him” (C.M. Martini, I grandi della Bibbia. Esercizi spirituali con l’Antico Testamento, Florence, 2022, 826-827). We are always at risk of thinking that we can “control God”, that we can confine his love to our own agenda. Instead, the way he acts is always unpredictable, it transcends our thinking, and God’s way of acting consequently demands amazement and adoration. Amazement is very important!

We must constantly struggle against all types of idolatry; not only the worldly kinds, which often stem from vainglory, such as lust for success, self-centredness, greed for money – let us not forget that the devil enters “through the pockets”, the enticements of careerism; but also those forms of idolatry disguised as spirituality – my own spirituality: my own religious ideas, my own pastoral skills... Let us be vigilant, lest we find that we are putting ourselves at the centre rather than him. And let us return to worship. May worship be central for those of us who are pastors: let us devote time every day to intimacy with Jesus the Good Shepherd, adoring him in the tabernacle. May the Church adore: in every diocese, in every parish, in every community, let us adore the Lord! Only in this way will we turn to Jesus and not to ourselves. For only through silent adoration will the Word of God live in our words; only in his presence will we be purified, transformed and renewed by the fire of his Spirit. Brothers and sisters, let us adore the Lord Jesus!

The second verb is to serve. To love is to serve. In the great commandment, Christ binds God and neighbour together so that they will never be disconnected. There can be no true religious experience that is deaf to the cry of the world. There is no love of God without care and concern for our neighbour; otherwise, we risk becoming pharisaic. We may have plenty of good ideas on how to reform the Church, but let us remember: to adore God and to love our brothers and sisters with his love, that is the great and perennial reform. To be a worshiping Church and a Church of service, washing the feet of wounded humanity, accompanying those who are frail, weak and cast aside, going out lovingly to encounter the poor. We heard in the first reading how God commanded this.

Brothers and sisters, I think of the victims of the atrocities of war; the sufferings of migrants, the hidden pain of those who are living alone and in poverty; those who are crushed by the burdens of life; those who have no more tears to shed, those who have no voice. And I think too of how often, behind fine words and attractive promises, people are exploited or nothing is done to prevent that from happening. It is a grave sin to exploit the vulnerable, a grave sin that corrodes fraternity and devastates society. As disciples of Jesus, we desire to bring to the world a different type of leaven, that of the Gospel. To put God in first place and, together with him, those whom he especially loves: the poor and the weak.

This, brothers and sisters, is the Church we are called to “dream”: a Church that is the servant of all, the servant of the least of our brothers and sisters. A Church that never demands an attestation of “good behaviour,” but welcomes, serves, loves and forgives. A Church with open doors that is a haven of mercy. “The merciful man”, said John Chrysostom, “is as a harbour to those who are in need; and the harbour receives all who are escaping shipwreck, and frees them from danger, whether they be evil or good; whatsoever kind of men they be that are in peril, it receives them into its shelter. You also, when you see a man suffering shipwreck on land through poverty, do not sit in judgment on him, nor require explanations, but relieve his distress.” (In pauperem Lazarum, II, 5).

Brothers and sisters, the General Assembly of the Synod has now concluded. In this “conversation of the Spirit,” we have experienced the loving presence of the Lord and discovered the beauty of fraternity. We have listened to one another and above all, in the rich variety of our backgrounds and concerns, we have listened to the Holy Spirit. Today we do not see the full fruit of this process, but with farsightedness we look to the horizon opening up before us. The Lord will guide us and help us to be a more synodal and missionary Church, a Church that adores God and serves the women and men of our time, going forth to bring to everyone the consoling joy of the Gospel.

Brothers and sisters, I thank you for all that you have done during the Synod and for all you continue to do. Thank you for the journey we have made together, for your listening and your dialogue. In expressing my gratitude, I would also like to offer a prayer for all of us: may we grow in our worship of God and in our service to our neighbour. To adore and to serve. May the Lord accompany us. Let us go forward with joy!

[01650-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Es ist in der Tat ein Vorwand, unter dem ein Gesetzeslehrer zu Jesus kommt, nur um ihn auf die Probe zu stellen. Doch seine Frage ist wichtig und stets aktuell, es ist eine Frage, die sich immer wieder den Weg in unsere Herzen und in das Leben der Kirche bahnt: »Welches Gebot im Gesetz ist das wichtigste?« (Mt 22,36). Auch wir, die wir in den lebendigen Strom der Tradition eingetaucht sind, fragen uns: Was ist das Wichtigste? Was ist die treibende Mitte? Worauf kommt es am meisten an, so sehr, dass es das allem zugrundeliegende Prinzip ist? Und die Antwort Jesu ist eindeutig: »Du sollst den Herrn, deinen Gott, lieben mit ganzem Herzen, mit ganzer Seele und mit deinem ganzen Denken. Das ist das wichtigste und erste Gebot. Ebenso wichtig ist das zweite: Du sollst deinen Nächsten lieben wie dich selbst « (Mt 22,37-39).

Liebe Kardinäle, liebe Mitbrüder im Bischofs- und Priesteramt, Ordensmänner und -frauen, Schwestern und Brüder, am Ende dieses Wegabschnitts, den wir zurückgelegt haben, ist es wichtig, auf das „Prinzip und Fundament“ zu schauen, von dem aus alles beginnt und wieder neu beginnt: die Liebe. Gott mit dem ganzen Leben zu lieben und den Nächsten zu lieben wie sich selbst. Nicht unsere Strategien, nicht menschliches Kalkül, nicht die Moden der Welt, sondern Gott und den Nächsten lieben – das ist die Mitte von allem. Aber wie können wir diesen Impuls der Liebe umsetzen? Ich schlage euch zwei Verben vor, zwei Bewegungen des Herzens, über die ich gerne nachdenken möchte: anbeten und dienen. Gott lieben – das tut man in der Anbetung und im Dienen.

Das erste Verb: anbeten. Lieben ist anbeten. Die Anbetung ist die erste Antwort, die wir auf die ungeschuldete, auf die erstaunliche Liebe Gottes geben können. Das Staunen der Anbetung ist wesentlich in der Kirche, besonders in dieser Zeit, in der uns die Gewohnheit der Anbetung abhandengekommen ist. Anbeten bedeutet nämlich, im Glauben anzuerkennen, dass nur Gott der Herr ist und dass unser Leben, der Weg der Kirche und die Wendungen der Geschichte von der Zärtlichkeit seiner Liebe abhängen. Er ist der Sinn des Lebens.

Indem wir ihn anbeten, erfahren wir uns selbst wieder als frei. Deshalb wird die Liebe zum Herrn in der Heiligen Schrift oft mit dem Kampf gegen jeglichen Götzendienst in Verbindung gebracht. Diejenigen, die Gott anbeten, lehnen die Götzen ab, denn während Gott befreit, machen die Götzen zu Sklaven. Sie täuschen uns und erfüllen nie, was sie versprechen, denn sie sind ein »Machwerk von Menschenhand« (Ps 115,4). Die Heilige Schrift ist rigoros gegen den Götzendienst, denn die Götzen sind ein Machwerk des Menschen und werden von ihm gelenkt, während Gott stets der Lebendige ist, der hier und darüber hinaus ist, »der nicht so gemacht ist, wie ich ihn mir vorstelle, der nicht von dem abhängt, was ich von ihm erwarte, der also meine Erwartungen durchkreuzen kann, gerade weil er lebendig ist. Die Bestätigung dafür, dass wir nicht immer die richtige Vorstellung von Gott haben, ist, dass wir manchmal enttäuscht sind: Ich habe dies erwartet, ich habe mir vorgestellt, dass Gott sich so verhalten würde, aber ich habe mich geirrt. Auf diese Weise begeben wir uns wieder auf den Weg des Götzendienstes, wenn wir wollen, dass der Herr nach dem Bild handelt, das wir uns von ihm gemacht haben« (C.M. Martini, I grandi della Bibbia. Esercizi spirituali con l’Antico Testamento, Florenz 2022, 826-827). Und dieses Risiko besteht immer: dass wir meinen, wir könnten „Gott kontrollieren“ und seine Liebe in unsere Schemata zwängen. Sein Handeln ist jedoch immer unvorhersehbar, er übersteigt alles und deshalb verlangt dieses Wirken Gottes Staunen und Anbetung. Das Staunen ist so wichtig!

Stets müssen wir gegen den Götzendienst ankämpfen; gegen den weltlichen, der oft von persönlicher Eitelkeit herrührt, wie etwa die Erfolgssucht, die Selbstbehauptung um jeden Preis, die Geldgier – der Teufel tritt ein durch die Taschen, vergessen wir das nicht –, die Verlockung des Karrierismus; aber auch gegen jenen Götzendienst der sich unter dem Deckmantel der Spiritualität verbirgt: meine Spiritualität, meine religiösen Vorstellungen, mein pastorales Geschick... Seien wir wachsam, damit wir nicht uns selbst an seiner Stelle in den Mittelpunkt stellen. Und lasst uns zur Anbetung zurückkehren. Sie sollte für uns Hirten von zentraler Bedeutung sein: Nehmen wir uns jeden Tag Zeit für die innige Begegnung mit Jesus, dem Guten Hirten, vor dem Tabernakel. Anbeten. Die Kirche möge eine anbetende Kirche sein: In jeder Diözese, in jeder Pfarrei, in jeder Gemeinschaft möge der Herr angebetet werden! Denn nur so werden wir uns Jesus zuwenden und nicht uns selbst; denn nur durch die Stille der Anbetung wird das Wort Gottes unseren Worten innewohnen; denn nur vor ihm werden wir durch das Feuer seines Geistes gereinigt, verwandelt und erneuert. Brüder und Schwestern, lasst uns Jesus, den Herrn, anbeten!

Das zweite Verb ist dienen. Lieben ist dienen. Im wichtigsten Gebot stellt Christus eine Verbindung zwischen Gott und dem Nächsten her, damit sie nie voneinander getrennt werden können. Es gibt keine religiöse Erfahrung, keine echte religiöse Erfahrung, die taub ist für den Hilferuf der Welt. Es gibt keine Gottesliebe, ohne Fürsorge für den Nächsten, sonst riskiert man ein Pharisäertum. Wir haben vielleicht wirklich viele schöne Ideen, mit denen wir die Kirche reformieren wollen, aber denken wir daran: Gott anzubeten und die Brüder und Schwestern mit seiner Liebe zu lieben, dies ist die große und immerwährende Reform. Eine anbetende und dienende Kirche zu sein, die der verwundeten Menschheit die Füße wäscht, die die Zerbrechlichen, Schwachen und Ausgestoßenen auf ihrem Weg begleitet und den Ärmsten liebevoll begegnet. Gott hat dies geboten, wie wir in der ersten Lesung gehört haben.

Brüder und Schwestern, ich denke an die Opfer der Gräuel des Krieges; an die Leiden der Migranten, an den verborgenen Schmerz derer, die in Einsamkeit und Armut leben; an diejenigen, die von den Lasten des Lebens erdrückt werden; an diejenigen, die keine Tränen mehr haben, an diejenigen, die keine Stimme haben. Und ich denke daran, wie oft hinter schönen Worten und schmeichelnden Versprechungen Formen der Ausbeutung begünstigt werden beziehungsweise nichts unternommen wird, um diese zu verhindern. Es ist eine schwere Sünde, die Schwächeren auszubeuten, eine schwere Sünde, die die Geschwisterlichkeit zersetzt und die Gesellschaft zugrunde richtet. Wir, die Jünger Jesu, wollen einen anderen Sauerteig in die Welt bringen, den des Evangeliums: Gott an erster Stelle und zusammen mit ihm diejenigen, die er besonders liebt, die Armen und die Schwachen.

Und das, Brüder und Schwestern, ist die Kirche, von der wir träumen sollen: eine Kirche, die Dienerin aller ist, Dienerin der Geringsten. Eine Kirche, die niemals ein „gutes Führungszeugnis“ verlangt, sondern annimmt, dient, liebt und vergibt. Eine Kirche mit offenen Türen, die ein Hafen der Barmherzigkeit ist. »Der barmherzige Mensch – sagte Chrysostomus – ist ein Hafen für die Bedürftigen: Der Hafen nimmt alle Schiffbrüchigen auf und befreit sie aus der Gefahr; seien es Übeltäter, gute Menschen oder was auch immer [...], der Hafen gewährt ihnen Unterschlupf in seinem Becken. Wenn du also an Land einen Menschen siehst, der den Schiffbruch der Armut erlitten hat, dann verurteile ihn nicht und verlange keine Rechenschaft über sein Verhalten, sondern befreie ihn aus seinem Unglück» (Über den armen Lazarus, II, 5).

Brüder und Schwestern, die Synodenversammlung neigt sich dem Ende zu. In diesem „Gespräch des Geistes“ konnten wir die liebevolle Gegenwart des Herrn erfahren und die Schönheit der Geschwisterlichkeit entdecken. Wir haben einander zugehört, und vor allem haben wir durch die reiche Vielfalt unserer Geschichten und Empfindungen hindurch auf den Heiligen Geist gehört. Heute sehen wir noch nicht die volle Frucht dieses Prozesses, aber wir können mit Weitsicht auf den Horizont blicken, der sich vor uns auftut: Der Herr wird uns leiten und uns helfen, eine synodalere und missionarischere Kirche zu sein, die Gott anbetet und den Frauen und Männern unserer Zeit dient und hinausgeht, um allen die tröstliche Freude des Evangeliums zu bringen.

Brüder und Schwestern, für all das, was ihr während der Synode getan habt und weiterhin tun werdet, sage ich euch danke! Danke für den Weg, den wir gemeinsam zurückgelegt haben, für das Zuhören und für den Dialog. Und indem ich euch danke, möchte ich uns allen einen Wunsch mit auf den Weg geben: dass wir in der Anbetung Gottes und im Dienst am Nächsten wachsen. Anbeten und dienen. Möge der Herr uns begleiten. Auf geht's, mit Freude!

[01650-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Es ciertamente un pretexto lo que usa un doctor de la Ley para presentarse a Jesús, y sólo para ponerlo a prueba. Sin embargo, su pregunta es importante, una pregunta siempre actual, que a veces se abre camino en nuestro corazón y en la vida de la Iglesia: «¿Cuál es el mandamiento más grande?» (Mt 22,36). También nosotros, sumergidos en el río vivo de la Tradición, nos preguntamos: ¿Qué es lo más importante? ¿Cuál es la fuerza motriz? ¿Qué es lo más valioso, hasta el punto de ser el principio rector de todo? Y la respuesta de Jesús es clara: «Amarás al Señor, tu Dios, con todo tu corazón, con toda tu alma y con todo tu espíritu. Este es el más grande y el primer mandamiento. El segundo es semejante al primero: Amarás a tu prójimo como a ti mismo» (Mt 22,37-39).

Hermanos cardenales, hermanos obispos y sacerdotes, religiosas y religiosos, hermanas y hermanos, al finalizar este tramo de camino que hemos recorrido, es importante contemplar el “principio y fundamento” del que todo comienza y vuelve a comenzar: amar. Amar a Dios con toda la vida y amar al prójimo como a nosotros mismos. No nuestras estrategias, no los cálculos humanos, no las modas del mundo, sino amar a Dios y al prójimo; ese es el centro de todo. Pero, ¿cómo traducir ese impulso de amor? Les propongo dos verbos, dos movimientos del corazón sobre los que quisiera reflexionar: adorar y servir. Se ama a Dios con la adoración y con el servicio.

El primer verbo es adorar. Amar es adorar. La adoración es la primera respuesta que podemos ofrecer al amor gratuito, al amor sorprendente de Dios. El asombro de la adoración es esencial en la Iglesia, sobre todo en este tiempo en el que hemos perdido el hábito de la adoración. Adorar, de hecho, significa reconocer en la fe que sólo Dios es el Señor y que de la ternura de su amor dependen nuestras vidas, el camino de la Iglesia, los destinos de la historia. Él es el sentido de la vida.

Adorándolo a Él redescubrimos que somos libres. Por eso el amor al Señor en la Escritura con frecuencia está asociado a la lucha contra toda idolatría. Quien adora a Dios rechaza a los ídolos porque Dios libera, mientras que los ídolos esclavizan, nos engañan y nunca realizan aquello que prometen, porque son «obra de las manos de los hombres» (Sal 115,4). La Escritura es severa contra la idolatría porque los ídolos son obra del hombre, y son manipulados por él; en cambio, Dios es siempre el Viviente, que está aquí y más allá, «que no es en absoluto como yo lo pienso, que no depende de cuanto espero de él, que puede, por consiguiente, alterar mis expectativas, precisamente porque está vivo. La confirmación de que no siempre tenemos la idea justa de Dios es que a veces nos decepcionamos: me esperaba esto, me imaginaba que Dios se comportaría así, pero me he equivocado. De esta manera volvemos a recorrer el sendero de la idolatría, pretendiendo que el Señor actúe según la imagen que nos hemos hecho de él» (C. M. Martini, El jardín interior. Un camino para creyentes y no creyentes, Sal Terrae 2015, 71). Y esto es un riesgo que podemos correr siempre: pensar que podemos “controlar a Dios”, encerrando su amor en nuestros esquemas; en cambio, su obrar es siempre impredecible, va más allá, y por eso este obrar de Dios requiere asombro y adoración. El asombro es muy importante.

Debemos luchar siempre contra las idolatrías; las mundanas, que a menudo proceden de la vanagloria personal, —como el ansia de éxito, la autoafirmación a toda costa, la avidez del dinero —el diablo entra por los bolsillos, no lo olvidemos—, la seducción del carrerismo—; pero también las idolatrías disfrazadas de espiritualidad: mi espiritualidad, mis ideas religiosas, mis habilidades pastorales. Estemos vigilantes, no vaya a ser que nos pongamos nosotros mismos en el centro, en lugar de poner a Dios. Y ahora volvamos a la adoración. Que sea central para nosotros como pastores; dediquémosle cada día tiempo a la intimidad con Jesús buen Pastor ante el sagrario. Adorar. Que la Iglesia sea adoradora; que se adore al Señor en cada diócesis, en cada parroquia, en cada comunidad. Porque sólo así nos dirigiremos a Jesús y no a nosotros mismos; porque sólo a través del silencio adorador la Palabra de Dios habitará en nuestras palabras; porque sólo ante Él seremos purificados, transformados y renovados por el fuego de su Espíritu. Hermanos y hermanas, ¡adoremos al Señor Jesús!

El segundo verbo es servir. Amar es servir. En el gran mandamiento, Cristo une a Dios y al prójimo para que no estén nunca separados. No existe una experiencia religiosa que permanezca sorda al clamor del mundo, una verdadera experiencia religiosa. No hay amor de Dios sin compromiso por el cuidado del prójimo, de otro modo se corre el riesgo del fariseísmo. Quizás tengamos realmente muchas ideas hermosas para reformar la Iglesia, pero recordemos: adorar a Dios y amar a los hermanos con su mismo amor, esta es la mayor e incesante reforma. Ser Iglesia adoradora e Iglesia del servicio, que lava los pies a la humanidad herida, que acompaña el camino de los frágiles, los débiles y los descartados, que sale con ternura al encuentro de los más pobres. Dios lo ha ordenado —lo hemos escuchado— en la primera Lectura.  

Hermanos y hermanas, pienso en los que son víctimas de las atrocidades de la guerra; en los sufrimientos de los migrantes; en el dolor escondido de quienes se encuentran solos y en condiciones de pobreza; en quienes están aplastados por el peso de la vida; en quienes no tienen más lágrimas, en quienes no tienen voz. Y pienso en cuántas veces, detrás de hermosas palabras y persuasivas promesas, se fomentan formas de explotación o no se hace nada para impedirlas. Es un pecado grave explotar a los más débiles, un pecado grave que corroe la fraternidad y devasta la sociedad. Nosotros, discípulos de Jesús, queremos llevar al mundo otro fermento, el del Evangelio. Dios en el centro y junto a Él aquellos que Él prefiere, los pobres y los débiles.

Es esta, hermanos y hermanas, la Iglesia que estamos llamados a soñar: una Iglesia servidora de todos, servidora de los últimos. Una Iglesia que no exige nunca un expediente de “buena conducta”, sino que acoge, sirve, ama, perdona. Una Iglesia con las puertas abiertas que sea puerto de misericordia. «El hombre misericordioso —dijo san Juan Crisostomo— es un puerto para quien está en necesidad: el puerto acoge y libera del peligro a todos los náufragos; sean ellos malvados, buenos, o sean como sean […], el puerto los protege dentro de su bahía. Por tanto, también tú, cuando veas en tierra a un hombre que ha sufrido el naufragio de la pobreza, no juzgues, no pidas cuentas de su conducta, sino libéralo de la desgracia» (Discursos sobre el pobre Lázaro, II, 5).

Hermanos y hermanas, se concluye la Asamblea sinodal. En esta “conversación del Espíritu” hemos podido experimentar la tierna presencia del Señor y descubrir la belleza de la fraternidad. Nos hemos escuchado mutuamente y, sobre todo, en la rica variedad de nuestras historias y nuestras sensibilidades, nos hemos puesto a la escucha del Espíritu Santo. Hoy no vemos el fruto completo de este proceso, pero con amplitud de miras podemos contemplar el horizonte que se abre ante nosotros. El Señor nos guiará y nos ayudará a ser una Iglesia más sinodal y más misionera, que adora a Dios y sirve a las mujeres y a los hombres de nuestro tiempo, saliendo a llevar la reconfortante alegría del Evangelio a todos.

Hermanos y hermanas, por todo esto que han hecho en el Sínodo y que siguen haciendo les digo gracias. Gracias por el camino que hemos hecho juntos, por la escucha y por el diálogo. Y al agradecerles quisiera expresarles un deseo para todos nosotros: que podamos crecer en la adoración a Dios y en el servicio al prójimo. Adorar y servir. Que el Señor nos acompañe. Y adelante, ¡con alegría!

[01650-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

É precisamente um pretexto que leva o doutor da Lei a apresentar-se a Jesus; pretende unicamente pô-Lo à prova. Todavia a dele é uma pergunta importante, uma pergunta sempre atual, surgindo de vez em quando no nosso coração e na vida da Igreja: «Qual é o maior mandamento?» (Mt 22, 36). Mergulhados no rio vivo da Tradição, também nós nos interrogamos: Qual é a coisa mais importante? Qual é o centro propulsor? Qual é a coisa que conta tanto a ponto de ser o princípio inspirador de tudo? E a resposta de Jesus é clara: «Amarás ao Senhor, teu Deus, com todo o teu coração, com toda a tua alma e com toda a tua mente. Este é o maior e o primeiro mandamento. O segundo é semelhante: Amarás ao teu próximo como a ti mesmo» (Mt 22, 37-39).

Prezados Cardeais, Bispos e sacerdotes, religiosas e religiosos, irmãs e irmãos, ao concluirmos este pedaço de caminho que percorremos, é importante fixar o «princípio e fundamento», do qual uma vez e outra tudo começa: amar. Amar a Deus com toda a vida e amar o próximo como a si mesmo. Não está nas nossas estratégias, nos cálculos humanos, nem nas modas do mundo, mas no amor a Deus e ao próximo: é aqui que está o coração de tudo. Mas como traduzir tal impulso de amor? Proponho-vos dois verbos, dois movimentos do coração, sobre os quais quero refletir convosco: adorar e servir. Ama-se a Deus com a adoração e o serviço.

O primeiro verbo: adorar. Amar é adorar. A adoração é a primeira resposta que podemos oferecer ao amor gratuito, ao amor surpreendente de Deus. A maravilha própria da adoração é essencial na Igreja, sobretudo neste tempo em que perdemos o hábito da adoração. De facto, adorar significa reconhecer na fé que só Deus é Senhor e que, da ternura do seu amor, dependem as nossas vidas, o caminho da Igreja, as sortes da história. Ele é o sentido do nosso viver.

Ao adorá-Lo, redescobrimo-nos livres. Por isso, na Sagrada Escritura, o amor ao Senhor aparece frequentemente associado à luta contra toda a idolatria. Quem adora a Deus rejeita os ídolos, pois, enquanto Deus liberta, os ídolos tornam-nos escravos. Enganam-nos e nunca realizam o que prometem, porque são «obra das mãos dos homens» (Sal 115, 4). A Escritura é severa contra a idolatria, porque os ídolos são obra do homem e, por este, manipulados, ao passo que Deus é sempre o Vivente, que está aqui e no além, «que não é feito como eu O penso, que não depende de quanto eu espero d’Ele e pode, por conseguinte, transtornar as minhas expetativas, precisamente porque está vivo. E a prova de que nem sempre temos a ideia certa de Deus é o facto de às vezes ficarmos dececionados: eu esperava isto, imaginava que Deus Se comportasse assim, mas enganei-me. Deste modo trilhamos de novo o caminho da idolatria, querendo que o Senhor atue segundo a imagem que nos fizemos d’Ele» (C. M. Martini, Os grandes da Bíblia. Exercícios Espirituais com o Antigo Testamento, Florença 2022, 826-827). Isto é um risco que sempre podemos correr: pensar em «controlar Deus», encerrar o seu amor nos nossos esquemas, quando, pelo contrário, o seu agir é sempre imprevisível, ultrapassa-nos e por isso este agir de Deus suscita maravilha e exige adoração. Como é importante este maravilhar-se!

Sempre devemos lutar contra as idolatrias: sejam as mundanas, que muitas vezes derivam da vanglória pessoal, como a ânsia do sucesso, a autoafirmação a todo custo, a ganância do dinheiro (o diabo entra pelos bolsos, não o esqueçamos!), o encanto do carreirismo; sejam as disfarçadas de espiritualidade, como a minha espiritualidade, as minhas ideias religiosas, a minha habilidade pastoral... Vigiemos para não acontecer colocarmo-nos no centro a nós em vez d’Ele. Mas voltamos à adoração... Que esta seja uma atividade central para nós, pastores: dediquemos diariamente um tempo à intimidade com Jesus, Bom Pastor, diante do sacrário. Adorar. Que a Igreja seja adoradora! Adore-se o Senhor em cada diocese, em cada paróquia, em cada comunidade! Porque só assim nos voltaremos para Jesus, e não para nós mesmos; porque só através do silêncio adorador é que a Palavra de Deus habitará as nossas palavras; porque só diante d’Ele seremos purificados, transformados e renovados pelo fogo do seu Espírito. Irmãos e irmãs, adoremos ao Senhor Jesus!

O segundo verbo: servir. Amar é servir. No mandamento maior, Cristo liga Deus e o próximo, para que não apareçam jamais separados. Não existe experiência religiosa que seja surda ao grito do mundo; falo duma verdadeira experiência religiosa. Não há amor a Deus sem envolvimento no cuidado do próximo, caso contrário corre-se o risco do farisaísmo. Talvez tenhamos de verdade muitas e belas ideias para reformar a Igreja, mas lembremo-nos: adorar a Deus e amar os irmãos com o seu amor, esta é a grande e perene reforma. Ser Igreja adoradora e Igreja do serviço, que lava os pés à humanidade ferida, acompanha o caminho dos mais frágeis, dos débeis e dos descartados, sai com ternura ao encontro dos mais pobres. Assim no-lo ordena Deus, como ouvimos na primeira Leitura.

Irmãos e irmãs, penso naqueles que são vítimas das atrocidades da guerra; nas tribulações dos migrantes, no sofrimento escondido de quem se encontra sozinho e em condições de pobreza; em quem é esmagado pelos fardos da vida; em quem já não tem mais lágrimas, em quem não tem voz. E penso nas vezes sem conta em que, por trás de lindas palavras e eloquentes promessas, se favorecem formas de exploração, ou então nada se faz para as evitar. É um pecado grave explorar os mais frágeis, pecado grave que corrói a fraternidade e destrói a sociedade. Nós, discípulos de Jesus, queremos levar ao mundo outro fermento, o do Evangelho: Deus no primeiro lugar e, juntamente com Ele, aqueles para quem vão as suas predileções, ou seja, os pobres e os mais frágeis.

É esta, irmãos e irmãs, a Igreja que somos chamados a sonhar: uma Igreja serva de todos, serva dos últimos. Uma Igreja que acolhe, serve, ama, perdoa, sem nunca exigir antes um atestado de «boa conduta». Uma Igreja com as portas abertas, que seja porto de misericórdia. «O homem misericordioso – disse Crisóstomo – é um porto para os necessitados: o porto acolhe e liberta do perigo todos os náufragos; sejam eles malfeitores, bons ou o que quer que sejam (...), o porto abriga-os dentro da sua enseada. Assim também tu, quando vires por terra um homem que sofreu o naufrágio da pobreza, não julgues, não peças contas da sua conduta, mas livra-o da desgraça» (Discursos sobre o pobre Lázaro, II, 5).

Irmãos e irmãs, assim se conclui a Assembleia Sinodal. Nesta «conversação do Espírito», pudemos experimentar a terna presença do Senhor e descobrir a beleza da fraternidade. Ouvimo-nos reciprocamente e sobretudo, na rica variedade das nossas histórias e sensibilidades, pusemo-nos à escuta do Espírito Santo. Hoje não vemos o fruto completo deste processo, mas podemos com clarividência olhar o horizonte que se abre diante de nós: o Senhor guiar-nos-á e ajudar-nos-á a ser Igreja mais sinodal e mais missionária, que adora a Deus e serve as mulheres e os homens do nosso tempo, saindo para levar a todos a alegria consoladora do Evangelho.

Irmãos e irmãs, por tudo o que fizestes no Sínodo e continuais a fazer, digo-vos obrigado! Obrigado pelo caminho que fizemos juntos, pela escuta e pelo diálogo. E, a par do agradecimento, quero formular um voto para todos nós: o voto de que possamos crescer na adoração a Deus e no serviço ao próximo. Adorar e servir. Que o Senhor nos acompanhe. Avante, com alegria!

[01650-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

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[01650-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

 

عظة قداسة البابا فرنسيس

في الأحد الثّلاثين من الزّمن العادي

في اختتام الجمعيّة العامة العادية لسينودس الأساقفة

الأحد 29 تشرين الأوّل/أكتوبر 2023

بازيليكا القدّيس بطرس

جاء أحد معلّمي الشّريعة يسأل يسوع، فقط ليُحرجَه. مع ذلك، سؤاله له أهميّة كبيرة، وفي أيامنا أيضًا. هذا السّؤال يراود قلوبنا أحيانًا، ويظهر في حياة الكنيسة أيضًا: "ما هي الوَصِيَّةُ الكُبرى؟" (متّى 22، 36). نحن أيضًا، المغمورين في نهر التَّقليد الحيّ، لنسأل أنفسنا: ما هو الأمر الأهمّ؟ وما هو الدّافع الأكبر؟ وما هو الأهمّ، الذي يمكنه أن يكون المبدأ المُلهِم لكلّ شيء؟ جواب يسوع واضح: "أَحبِبِ الرَّبَّ إِلٰهَكَ بِكُلِّ قَلبِكَ وكُلِّ نَفْسِكَ وكُلِّ ذِهنِكَ. تِلكَ هي الوَصِيَّةُ الكُبرى والأُولى. والثَّانِيَةُ مِثلُها: أَحبِبْ قَريبَكَ حُبَّكَ لِنَفْسِكَ" (متّى 22، 37-39).

أيّها الإخوة الكرادلة، والأساقفة، والكهنة، والرّهبان والرّاهبات، والإخوة والأخوات، في ختام هذه المسيرة التي سِرناها، من المهمّ أن ننظر إلى ”المبدأ والأساس“ الذي منه يبدأ ويعود فيبدأ كلّ شيء: أن نُحبّ. أن نُحبّ الله بكلّ حياتنا وأن نُحبّ قريبنا حُبّنا لنفسنا. لا أن نُحبّ استراتيجيّاتنا، ولا حساباتنا البشريّة، ولا موضة العالم، بل أن نحبّ الله والقريب: هذا هو القلب والجوهر لكلّ شيء. كيف يمكننا أن نعبِّر عن انطلاقة الحبّ هذه؟ أقترح عليكم فِعلَين، حركتَين في القلب، أودّ أن أتأمّل فيهما: السّجود والخدمة. محبّتنا لله تكون بالسّجود والخدمة.

الفعل الأوّل هو سجد. المحبّة سجود. السّجود هو الجواب الأوّل الذي يمكننا أن نقدّمه لمحبّة الله المجّانيّة والتي تفاجِئُنا. الاندهاش في السّجود أمرٌ أساسيّ في الكنيسة، خصوصًا في هذا الوقت الذي فيه فقدنا عادة السّجود. في الواقع، السّجود يعني أن نعترف بالإيمان أنّ الله وحده هو الرّبّ، وأنّ حياتنا، ومسيرة الكنيسة، ومصير التّاريخ، كلّ ذلك يعتمد على حنان محبّته. هو معنى الحياة.

عندما نسجد له نكتشف أنّنا أحرارٌ. لهذا، ترتبط مرارًا محبّة الله في الكتاب المقدّس مع مكافحة كلّ عبادة للأصنام. مَن يسجد لله يرفض الأصنام، لأنّ الله يحرّر، بينما الأصنام تستعبد. إنّها تخدعنا ولا تحقّق أبدًا ما تَعِدُنا به، لأنّها "صُنعُ أَيدي البَشَر" (المزامير 115، 4). الكتاب المقدّس صارم ضدَّ عبادة الأصنام لأنّ الأصنام من صنع الإنسان وهو يتلاعب بها، بينما الله هو الحَيُّ دائمًا، وهو هنا وفي كلّ مكان "ولا يكون بحسب ما أفكّر أنا، ولا يتوقَّف على ما أتوقّعه منه، وبالتّالي يمكنه أن يقلب توقّعاتي، لأنّه هو الحَيّ. الدَّليل على أنّ فكرتنا عن الله ليست دائمًا صحيحة، هو أنّنا أحيانًا نشعر بخيبة أمل: كنت أتوقّع هذا الأمر، وكنت أتخيّل أنّ الله سيتعامل معي بهذه الطّريقة، ولكن كنت مخطئًا. كذلك نسير في طريق عبادة الأصنام، عندما نُريد أن يعاملنا الله بحسب الصّورة التي صنعناها له" (كارلو ماريّا مارتيني، كِبَار الكتاب المقدّس. رياضات روحيّة مع العهد القديم، فيرنسه 2022، 826-827). إنّها مخاطرة يمكننا دائمًا أن نقع فيها: أن نفكّر في أن ”نتحكّم بالله“، وأن نُغلق محبّته في مخطّطاتنا. لكنّ أعماله لا يمكن التّنبّؤ بها، وهي تذهب إلى أبعد من هذا، ولذلك تحمل أعمال الله هذه على الدّهشة والسّجود. الدّهشة مهمّة جدًّا!

يجب علينا دائمًا أن نكافح عبادات الأصنام، العبادات الدّنيويّة، والتي تنبع مرارًا من طلب المجد الباطل، مثل الرّغبة في النّجاح، وتأكيد الذّات بأيّ ثمن، والجشع في المال – الشّرّير يدخل من جُيوبِنَا، لا ننسَ ذلك -، والافتتان في ”طلب المناصب“؛ وأيضًا الأصنام المخفيّة في مظاهر روحانيّة: روحانيَّتي، وأفكاري الدّينيّة، ومهارتي في العمل الرّعويّ... لننتبه، حتّى لا ينتهي بنا الأمر إلى أن نضع أنفسنا في المركز بدلًا من الله. ولنعد إلى السّجود. ليكن مركزيًّا لنا نحن الرّعاة: لنخصّص وقتًا يوميًّا لنغذِّيَ صلة حميمة مع يسوع الرّاعي الصّالح، أمام بيت القربان. لنسجُد. لتسجد الكنيسة: في كلّ أبرشيّة، وفي كلّ رعيّة، وفي كلّ جماعة، لنسجد لله! لأنّه بهذه الطّريقة فقط سنلجأ إلى يسوع، وليس إلى أنفسنا، ولأنّه فقط بالصّمت والسّجود ينعش كلامُ الله كلامَنا. ولأنّنا فقط أمامه نتطهّر ونتغيّر ونتجدّد بنار روحه. أيّها الإخوة والأخوات، لنسجد للرّبّ يسوع!

الفعل الثّاني هو خدم. المحبّة خدمة. في الوصيّة الكبرى، يربط المسيح الله والقريب، حتّى لا ينفصلا أبدًا. لا توجد خبرة دينيّة صمّاء لا تسمع صرخة العالم، وخبرة دينيّة حقيقيّة. لا توجد محبّة لله بدون المشاركة في الاهتمام بالقريب، وإلّا فهناك خطر الفريسيّة. يا ليت لدينا حقًّا أفكار جميلة كثيرة لإصلاح الكنيسة، لكن لنتذكّر: السّجود لله ومحبّة إخوتنا بمحبّة الله، هذا هو الإصلاح الكبير والدّائم. أن نكون كنيسة ساجدة وكنيسة خادمة، تغسل أقدام البشريّة الجريحة، وترافق مسيرة الضّعفاء والهزيلين والمهمشين، وتذهب بحنان للقاء الفقراء. أوصى الله بذلك في القراءة الأولى التي سمعناها.

أيّها الإخوة والأخوات، أفكّر في الذين وقعوا ضحايا لفظائع الحرب، وفي آلام المهَجَّرِين، وفي الألم المخفيّ في الذين يجدون أنفسهم وحيدين وفي ظروف الفقر، والذين يرزحون تحت أعباء الحياة، والذين جفَّتْ الدّموع في عيونهم، والذين ليس لهم صوت. وأفكّر في المرات الكثيرة التي يتمّ فيها تفضيل أشكال الاستغلال، خلف الكلام الجميل والوعود المقنعة، أو لا يتمّ عمل أيّ شيء لمنعها. إنّ استغلال الأضعفين خطيئة جسيمة، هي خطيئة جسيمة تقضي على الأخُوّة وتدمّر المجتمع. نحن، تلاميذ يسوع، نريد أن نحمل إلى العالم خميرة أخرى، وهي خميرة الإنجيل: الله في المقام الأوّل ومعه الذين يحبّهم، الفقراء والضّعفاء.

أيّها الإخوة والأخوات، هذه هي الكنيسة التي نحن مدعوّون إلى أن نحلم بها: كنيسة تخدم الجميع، وتخدم الأخيرين. كنيسة لا تطلب أبدًا شهادة ”حسن السّيرة والسّلوك“، بل تستقبل وتخدم وتحبّ، وتَغفر. كنيسة لها أبواب مفتوحة، وهي ميناء الرّحمة. قال القدّيس يوحنّا الذّهبي الفمّ: "الإنسان الرّحيم هو ميناء للمحتاجين: الميناء يستقبل ويحرّر جميع الغرقى من الخطر، سواء كانوا أشرارًا أو صالحين أو أيًّا كانوا [...]، والميناء يؤويهم داخل أبنيته. لذلك، أنت أيضًا، عندما ترى إنسانًا على الأرض يعاني من غرق الفقر، لا تحكم عليه، ولا تسأله أن يؤدّي حسابًا عن سلوكه، بل حرّره من بلواه" (خطابات عن لعازر المسكين، الجزء الثاني، 5).

أيّها الإخوة والأخوات، اختتمنا الجمعيّة السّينوديّة. في ”حِوارِ الرّوح“ هذا، استطعنا أن نختبر حضور الرّبّ يسوع الحنون وأن نكتشف جمال الأخوّة. أصغينا بعضنا إلى بعض، وخصوصًا في التّنوّع الغنيّ لقِصَصِنا ومشاعرنا، وأصغينا إلى الرّوح القدس. اليوم لا نَرَ ثمرة هذه المسيرة كاملة، لكن بِبُعدِ نَظَر يمكننا أن ننظر إلى الأفق الذي ينفتح أمامنا: سيقودنا الرّبّ يسوع وسيساعدنا لنكون كنيسة أكثر سينوديّة وأكثر إرساليّة، كنيسة تسجد لله وتخدم نساء ورجال عصرنا، وتخرج لتحمل للجميع فرح الإنجيل المعزّي.

أيّها الإخوة والأخوات، أشكركم على كلّ ما صنعتموه في السّينودس، والذي تستمرّون في صُنعِهِ! شكرًا على المسيرة التي سِرناها معًا وعلى الإصغاء وعلى الحوار. وبينما أشكركم، أودّ أن أتمنّى لنا جميعًا: أن نتمكَّن من أن ننمو في سجودنا لله وفي خدمتنا للقريب. السّجود والخدمة. ليرافقنا الرّبّ يسوع. ولنستمرّ بفرح!

[01650-AR.02] [Testo originale: Italiano]

 

[B0753-XX.02]