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Concistoro Ordinario Pubblico per la creazione di 21 nuovi Cardinali, 30.09.2023


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 10 di questa mattina, sul Sagrato della Basilica di San Pietro, il Santo Padre Francesco ha tenuto un Concistoro Ordinario Pubblico per la creazione di nuovi Cardinali, l’imposizione della berretta, la consegna dell’anello e l’assegnazione del Titolo o Diaconia.

I 21 nuovi Cardinali creati che hanno ricevuto l’imposizione della berretta, la consegna dell’anello e l’assegnazione del Titolo o Diaconia sono: Robert Francis Prevost, O.S.A., Prefetto del Dicastero per i Vescovi; Claudio Gugerotti, Prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali; Víctor Manuel Fernández, Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede; Emil Paul Tscherrig, Nunzio Apostolico; Christophe Louis Yves Georges Pierre, Nunzio Apostolico; S.B. Pierbattista Pizzaballa, O.F.M., Patriarca Latino di Gerusalemme; Stephen Brislin, Arcivescovo di Città del Capo (Kaapstad); Ángel Sixto Rossi, S.I., Arcivescovo di Córdoba (Argentina); Luis José Rueda Aparicio, Arcivescovo di Bogotá; Grzegorz Ryś, Arcivescovo di Łódź; Stephen Ameyu Martin Mulla, Arcivescovo di Juba; José Cobo Cano, Arcivescovo di Madrid; Protase Rugambwa, Arcivescovo coadiutore di Tabora; Sebastian Francis, Vescovo di Penang; Stephen Chow Sau-yan, S.I., Vescovo di Hong Kong; François-Xavier Bustillo, O.F.M. Conv., Vescovo di Ajaccio; Américo Manuel Alves Aguiar, Vescovo ausiliare di Lisbona; Ángel Fernández Artime, S.D.B., Rettor Maggiore dei Salesiani; Agostino Marchetto, Nunzio Apostolico; Diego Rafael Padrón Sánchez, Arcivescovo emerito di Cumaná; Luis Pascual Dri, O.F.M. Cap., Confessore nel Santuario di Nostra Signora di Pompei, Buenos Aires.

All’inizio della celebrazione il primo dei nuovi Cardinali, l’Em.mo Card. Robert Francis Prevost, O.S.A., Prefetto del Dicastero per i Vescovi, ha rivolto al Papa, a nome di tutti, un indirizzo di omaggio e di ringraziamento. Quindi dopo l’orazione e la lettura di un Brano biblico dagli Atti degli Apostoli (12,1-11) il Santo Padre ha pronunciato la sua omelia.

Il Papa ha letto poi la formula di creazione e ha proclamato solennemente i nomi dei nuovi Cardinali, annunciandone l’Ordine presbiterale o diaconale.

Il Rito è proseguito con la professione di fede dei nuovi Cardinali davanti al popolo di Dio e il giuramento di fedeltà e obbedienza a Papa Francesco e ai Suoi successori.

I nuovi Cardinali, secondo l’ordine di creazione, si sono inginocchiati dinanzi al Santo Padre che ha imposto loro lo zucchetto e la berretta cardinalizia, ha consegnato l’anello cardinalizio e ha assegnato a ciascuno una chiesa di Roma quale segno di partecipazione alla sollecitudine pastorale del Papa nell’Urbe, consegnando loro la Bolla di creazione cardinalizia e di assegnazione del Titolo o della Diaconia.

Dopo la consegna della Bolla di creazione cardinalizia e di assegnazione del Titolo o della Diaconia, il Santo Padre Francesco ha scambiato con ciascuno dei nuovi Cardinali l’abbraccio di pace.

Tra i nuovi Cardinali creati questa mattina, non era presente l’Em.mo Card. Luis Pascual Dri, O.F.M. Cap.

Pubblichiamo di seguito il testo dell’Omelia che il Santo Padre Francesco ha pronunciato nel corso del Concistoro:

Omelia del Santo Padre

Pensando a questa celebrazione e in particolare a voi, cari fratelli, che sareste diventati Cardinali, mi è venuto in mente questo testo degli Atti degli Apostoli (cfr 2,1-11). È un testo fondamentale: il racconto della Pentecoste, il battesimo della Chiesa… Ma in realtà il mio pensiero era attratto da una cosa particolare: da quell’espressione uscita dalla bocca dei Giudei che «abitavano allora a Gerusalemme» (v. 5). Essi dicono: «Siamo Parti, Medi, Elamiti…» (v. 9) e così via. Questo lungo elenco di popoli mi ha fatto pensare ai Cardinali, che grazie a Dio sono di tutte le parti del mondo, delle nazioni più diverse. Ecco il motivo per cui ho scelto questo brano biblico.

Meditando poi su di esso, mi sono accorto di una specie di “sorpresa” che era nascosta in questa associazione d’idee, una sorpresa nella quale, con gioia, mi è sembrato di riconoscere, per così dire, l’umorismo dello Spirito Santo, scusatemi l’espressione.

Che cos’è questa “sorpresa”? Essa consiste nel fatto che normalmente noi pastori, quando leggiamo il racconto della Pentecoste, ci identifichiamo con gli Apostoli. È naturale che sia così. Invece quei “Parti, Medi, Elamiti” eccetera, che nella mia mente avevo associato ai Cardinali, non appartengono al gruppo dei discepoli, sono fuori dal cenacolo, sono parte di quella «folla» che «si radunò» sentendo il rumore provocato dal vento impetuoso (cfr v. 6). Gli Apostoli erano “tutti Galilei” (cfr v. 7), mentre la gente che si era radunata era «di ogni nazione che è sotto il cielo» (v. 5), proprio come sono i Vescovi e i Cardinali nel nostro tempo.

Questa specie di inversione di ruoli fa riflettere e, a guardarla bene, rivela una prospettiva interessante, che vorrei condividere con voi. Si tratta di applicare a noi – mi ci metto anch’io per primo – l’esperienza di quei Giudei che per un dono di Dio si trovarono ad essere protagonisti dell’evento della Pentecoste, cioè del “battesimo” dello Spirito Santo che fece nascere la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Riassumerei così questa prospettiva: riscoprire con stupore il dono di aver ricevuto il Vangelo «nelle nostre lingue» (v. 11), come dice quella gente. Ripensare con gratitudine al dono di essere stati evangelizzati e di essere stati tratti da popoli che, ciascuno a suo tempo, hanno ricevuto il Kerygma, l’annuncio del mistero di salvezza, e accogliendolo sono stati battezzati nello Spirito Santo e sono entrati a far parte della Chiesa. La Chiesa Madre, che parla in tutte le lingue, che è una ed è cattolica.

Ecco, questa Parola del Libro degli Atti ci fa pensare che, prima di essere “apostoli”, prima di essere sacerdoti, vescovi, cardinali, siamo “Parti, Medi, Elamiti” eccetera eccetera. E questo dovrebbe risvegliare in noi lo stupore e la riconoscenza per aver ricevuto la grazia del Vangelo nei nostri rispettivi popoli di origine. Ritengo che ciò sia molto importante e da non dimenticare. Perché lì, nella storia del nostro popolo, direi nella “carne” del nostro popolo, lo Spirito Santo ha operato il prodigio della comunicazione del mistero di Gesù Cristo morto e risorto. Ed è arrivato a noi “nelle nostre lingue”, sulle labbra e nei gesti dei nostri nonni e dei nostri genitori, dei catechisti, dei sacerdoti, dei religiosi… Ognuno di noi può ricordare voci e volti concreti. La fede viene trasmessa “in dialetto”. Non dimenticatevi questo: la fede viene trasmessa in dialetto, dalle mamme e dalle nonne.

In effetti, siamo evangelizzatori nella misura in cui conserviamo nel cuore lo stupore e la gratitudine di essere stati evangelizzati. Anzi, di essere evangelizzati, perché in realtà si tratta di un dono sempre attuale, che chiede di essere continuamente rinnovato nella memoria e nella fede. Evangelizzatori evangelizzati, e non funzionari.

Fratelli e sorelle, carissimi Cardinali, la Pentecoste – come il Battesimo di ciascuno di noi – non è un fatto del passato, è un atto creativo che Dio rinnova continuamente. La Chiesa – e ogni suo membro – vive di questo mistero sempre attuale. Non vive “di rendita”, no, e tanto meno di un patrimonio archeologico, per quanto prezioso e nobile. La Chiesa, e ogni battezzato, vive dell’oggi di Dio, per l’azione dello Spirito Santo. Anche l’atto che stiamo compiendo qui adesso, ha senso se lo viviamo in questa prospettiva di fede. E oggi, alla luce della Parola, possiamo cogliere questa realtà: voi neo-Cardinali siete venuti da diverse parti del mondo e lo stesso Spirito che fecondò l’evangelizzazione dei vostri popoli, ora rinnova in voi la vostra vocazione e missione nella Chiesa e per la Chiesa.

Da questa riflessione, ricavata da una “sorpresa” feconda, vorrei trarre semplicemente una conseguenza per voi, fratelli Cardinali, e per il vostro Collegio. E vorrei esprimerla con un’immagine, quella dell’orchestra: il Collegio Cardinalizio è chiamato ad assomigliare a un’orchestra sinfonica, che rappresenta la sinfonicità e la sinodalità della Chiesa. Dico anche la “sinodalità”, non solo perché siamo alla vigilia della prima Assemblea del Sinodo che ha proprio questo tema, ma perché mi pare che la metafora dell’orchestra possa illuminare bene il carattere sinodale della Chiesa.

Una sinfonia vive della sapiente composizione dei timbri dei diversi strumenti: ognuno dà il suo apporto, a volte da solo, a volte unito a qualcun altro, a volte con tutto l’insieme. La diversità è necessaria, è indispensabile. Ma ogni suono deve concorrere al disegno comune. E per questo è fondamentale l’ascolto reciproco: ogni musicista deve ascoltare gli altri. Se uno ascoltasse solo sé stesso, per quanto sublime possa essere il suo suono, non gioverà alla sinfonia; e lo stesso avverrebbe se una sezione dell’orchestra non ascoltasse le altre, ma suonasse come se fosse da sola, come se fosse il tutto. E il direttore dell’orchestra è al servizio di questa specie di miracolo che ogni volta è l’esecuzione di una sinfonia. Egli deve ascoltare più di tutti gli altri, e nello stesso tempo il suo compito è aiutare ciascuno e tutta l’orchestra a sviluppare al massimo la fedeltà creativa, fedeltà all’opera che si sta eseguendo, ma creativa, capace di dare un’anima a quello spartito, di farlo risuonare nel qui e ora in maniera unica.

Cari fratelli e sorelle, ci fa bene rispecchiarci nell’immagine dell’orchestra, per imparare sempre meglio ad essere Chiesa sinfonica e sinodale. La propongo in particolare a voi, membri del Collegio Cardinalizio, nella consolante fiducia che abbiamo come maestro lo Spirito Santo – Lui è il protagonista –: maestro interiore di ognuno e maestro del camminare insieme. Lui crea la varietà e l’unità, Lui è la stessa armonia. San Basilio cerca una sintesi quando dice: “Ipse harmonia est”, Lui è la stessa armonia. Alla sua guida dolce e forte ci affidiamo, e alla custodia premurosa della Vergine Maria.

[01496-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

En pensant à cette célébration et en particulier à vous, chers frères qui allez devenir Cardinaux, ce texte des Actes des Apôtres (cf. 2, 1-11) m’est venu à l’esprit. C’est un texte fondamental : le récit de la Pentecôte, le baptême de l’Église... Mais en réalité une chose particulière a attiré mon attention : cette expression sortie de la bouche des juifs «résidant à Jérusalem» (v. 5). Ils disent : «Nous sommes Parthes, Mèdes et Élamites...» (v. 9) et ainsi de suite. Cette longue liste de peuples m’a fait penser aux Cardinaux qui, grâce à Dieu, sont originaires de toutes les parties du monde, des nations les plus diverses. C’est la raison pour laquelle j’ai choisi ce passage biblique.

En le méditant ensuite, je me suis rendu compte qu’une sorte de “surprise” se cachait dans cette association d’idées. Une surprise dans laquelle il m’a semblé reconnaître avec joie, pour ainsi dire, l’humour de l’Esprit Saint, pardonnez-moi l’expression.

Quelle est cette “surprise” ? Elle consiste dans le fait que normalement, nous, pasteurs, lorsque nous lisons le récit de la Pentecôte, nous nous identifions aux Apôtres. Il est normal qu’il en soit ainsi. Par contre, ces “Parthes, Mèdes, Elamites”, etc., que dans mon esprit j’avais associés aux Cardinaux, n’appartiennent pas au groupe des disciples, ils sont hors du cénacle, ils font partie de cette “foule” qui s’est “rassemblée” en entendant le bruit causé par le vent impétueux (cf. v. 6). Les Apôtres étaient “tous Galiléens” (cf. v. 7), tandis que les gens qui s’étaient rassemblés étaient « de toutes les nations sous le ciel » (v. 5), comme le sont les Évêques et les Cardinaux à notre époque.

Une telle inversion des rôles donne à réfléchir et, en la regardant de plus près, elle révèle une perspective intéressante que je voudrais partager avec vous. Il s’agit de nous appliquer - moi le premier – l’expérience de ces juifs qui, par un don de Dieu, se sont trouvés protagonistes de l’événement de la Pentecôte, c’est-à-dire du “baptême” dans l’Esprit Saint, donnant naissance à l’Église une, sainte, catholique et apostolique. Je résumerais cette perspective de la manière suivante : redécouvrir avec étonnement le don d’avoir reçu l’Évangile «dans nos langues» (v. 11), comme le disent ces gens. Repenser avec gratitude au don d’avoir été évangélisés et d’avoir été tirés de peuples qui, chacun en son temps, ont reçu le Kérygme, l’annonce du mystère du salut, et qui, en l’accueillant, ont été baptisés dans l’Esprit Saint et sont entrés dans l’Église. L’Église mère qui parle dans toutes les langues, qui est une et qui est catholique.

Alors, cette Parole du Livre des Actes nous fait penser qu’avant d’être “apôtres”, avant d’être prêtres, évêques, cardinaux, nous sommes “Parthes, Mèdes, Élamites” etc. etc. Et cela devrait éveiller en nous l’étonnement et la gratitude pour avoir reçu la grâce de l’Évangile dans nos peuples d’origine respectifs. Je pense que cela est très important et qu’il ne faut pas l’oublier. Car c’est là, dans l’histoire de notre peuple, je dirais dans la “chair” de notre peuple, que l’Esprit Saint a opéré le miracle de la communication du mystère de Jésus-Christ mort et ressuscité. Et il nous est parvenu “dans nos langues”, sur les lèvres et dans les gestes de nos grands-parents et de nos parents, des catéchistes, des prêtres, des religieux... Chacun de nous peut se souvenir de voix et de visages concrets. La foi est transmise “en dialecte”. N’oubliez pas cela: La foi est transmise “en dialecte”, par les mères et les grands-mères.

Nous sommes en effet des évangélisateurs dans la mesure où nous gardons dans notre cœur l’émerveillement et la gratitude d’avoir été évangélisés; ou plutôt d’être évangélisés, parce qu’en réalité il s’agit d’un don toujours actuel qui demande à être continuellement renouvelé dans la mémoire et dans la foi. Des évangélisateurs évangélisés, pas de fonctionnaires.

Frères et sœurs, chers Cardinaux, la Pentecôte - comme le Baptême de chacun d’entre nous – n’appartient pas au passé, c’est un acte créateur que Dieu renouvelle continuellement. L’Église - et chacun de ses membres - vit de ce mystère toujours actuel. Elle ne vit pas de “rente”, non, encore moins d’un patrimoine archéologique aussi précieux et noble soit-il. L’Église, et chaque baptisé, vit dans l’aujourd’hui de Dieu par l’action de l’Esprit Saint. Même l’acte que nous accomplissons ici en ce moment a un sens si nous le vivons dans cette perspective de foi. Et aujourd’hui, à la lumière de la Parole, nous pouvons saisir cette réalité : vous, nouveaux Cardinaux, vous êtes venus de différentes parties du monde, et le même Esprit qui féconda l’évangélisation de vos peuples renouvelle maintenant en vous votre vocation et votre mission dans l’Église et pour l’Église.

De cette réflexion à partir d’une “surprise” féconde, je voudrais simplement tirer une conséquence pour vous, frères Cardinaux, et pour votre Collège. Et je voudrais l’exprimer par une image, celle de l’orchestre : le Collège Cardinalice est appelé à ressembler à un orchestre symphonique représentant la symphonie et la synodalité de l’Église. Je dis aussi “synodalité”, non seulement parce que nous sommes à la veille de la première Assemblée du Synode, qui porte précisément sur ce thème, mais aussi parce qu’il me semble que la métaphore de l’orchestre peut bien éclairer le caractère synodal de l’Église.

Une symphonie vit de la composition savante des timbres des différents instruments : chacun apporte sa contribution, parfois seul, parfois uni à un autre, parfois avec tout l’ensemble. La diversité est nécessaire, elle est indispensable. Mais chaque son doit concourir au dessein commun. Et pour cela, l’écoute mutuelle est fondamentale : chaque musicien doit écouter les autres. Si l’on écoutait que soi-même, aussi sublime que puisse être son propre son, cela ne servirait en rien la symphonie; et il en serait de même si une partie de l’orchestre n’écoutait pas les autres mais jouait comme si elle était seule, comme si elle était le tout. Et le chef d’orchestre est au service de cette sorte de miracle qu’est chaque fois l’exécution d’une symphonie. Il doit écouter plus que tous les autres, et en même temps sa tâche est d’aider chacun et tout l’orchestre à développer au maximum la fidélité créative, une fidélité à l’œuvre qui est exécutée, mais créative, capable de donner une âme à la partition, de la faire résonner dans l’ici et le maintenant, d’une manière unique.

Chers frères et sœurs, il nous est bon de nous reconnaître dans l’image de l’orchestre, pour apprendre davantage à être Église symphonique et synodale. Je la propose en particulier à vous, membres du Collège cardinalice, dans la consolante confiance que nous avons pour maître l’Esprit Saint – c’est Lui le protagoniste - : le maître intérieur de chacun et le maître du cheminement commun. Il crée la variété et l’unité, il est l’harmonie même. Saint Basile cherche une synthèse lorsqu’il dit «Ipse harmonia est», Il est l’harmonie même. Nous nous confions à sa conduite douce et forte, et à la protection prévenante de la Vierge Marie.

[01496-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Thinking of this celebration and particularly of you, dear brothers, who would become Cardinals, a text from the Acts of the Apostles came to mind (cf. 2:1-11). It is a fundamental text: the story of Pentecost, the baptism of the Church… But my thoughts were really drawn to one detail: the expression spoken by the Jews who “were dwelling in Jerusalem” (v. 5). They said: We are “Parthians and Medes and Elamites” (v. 9) and so on. This long list of peoples made me think of the Cardinals, who thanks be to God, are from all parts of the world, from the most diverse nations. That is the reason I chose this biblical passage.

Meditating on this, I became aware of a kind of “surprise” hidden in this association of ideas, a surprise in which, with joy, I seemed to recognize the humor of the Holy Spirit, so to speak. Please excuse the expression.

What is this “surprise”? It consists in the fact that normally we pastors, when we read the account of Pentecost, identify ourselves with the Apostles. It is natural to do so. Instead, those “Parthians, Medes, Elamites” et cetera, associated in my mind with the Cardinals, do not belong to the group of disciples. They are outside the Upper Room; they are part of the “crowd” that “gathered” upon hearing the noise of the rushing wind (cf. v. 6). The Apostles were “all Galileans” (cf. v. 7), while the people who gathered were “from every nation under heaven” (v. 5), just like the Bishops and Cardinals of our time.

This kind of role reversal gives us pause for thought and, when we look closely, it reveals an interesting perspective, which I would like to share with you. It is a matter of applying to ourselves – I will put myself first – the experience of those Jews who by a gift of God found themselves protagonists of the event of Pentecost, that is of the “baptism” by the Holy Spirit that gave birth to the One, Holy, Catholic and Apostolic Church. I would summarize the perspective in this way: to rediscover with amazement the gift of having received the Gospel “in our own tongues” (v.11), as the Jews said. To think back with gratitude on the gift of having been evangelized and having been drawn from various peoples who, each in their own time received the Kerygma, the proclamation of the mystery of salvation, and in welcoming it, were baptized in the Holy Spirit and became part of the Church. Mother Church, who speaks all languages, is One and is Catholic.

This word from the Acts of the Apostles makes us reflect that, before being “apostles”, before being priests, Bishops, Cardinals, we are “Parthians, Medes, Elamites”, et cetera, et cetera. And this should awaken awe and gratitude in us for having received the grace of the Gospel among our respective peoples of origin. I think this is very important and not to be forgotten. Because there, in the history of our people, I would say in the “flesh” of our people, the Holy Spirit has worked the wonder of communicating the mystery of Jesus Christ who died and rose again. And this came to us “in our language”, from the lips and the gestures of our grandparents and our parents, of catechists, priests, and religious… Every one of us can remember concrete voices and faces. The faith is transmitted “in dialect”. Don’t forget this: the faith is transmitted in dialect, by mothers and grandmothers.

Indeed, we are evangelizers to the extent we cherish in our hearts the wonder and gratitude of having been evangelized, even of being evangelized, because this is really a gift always present, that must be continually renewed in our memories and in faith. Evangelizers who have been evangelized, not functionaries.

Brothers and sisters, dearest Cardinals, Pentecost – like the Baptism of each one of us – is not a thing of the past; it is a creative act that God continually renews. The Church – and each of her members - lives this ever-present mystery. She does not live “off of her name”, still less does she live off of an archeological patrimony, however precious and noble. The Church, and every baptized member, lives the today of God, through the action of the Holy Spirit. Even the act we are carrying out now makes sense if we live it from this perspective of faith. And today, in the light of the Word, we can grasp this reality: you new Cardinals have come from different parts of the world, and the same Spirit that made the evangelization of your peoples fruitful now renews in you your vocation and mission in and for the Church.

From this reflection, drawn from a fruitful "surprise”, I would simply like to draw a consequence for you, brother Cardinals, and for your College. I would like to express this with an image, that of the orchestra: the College of Cardinals is called to resemble a symphony orchestra, representing the harmony and synodality of the Church. I also say "synodality", not only because we are on the eve of the first Assembly of the Synod that has precisely this theme, but also because it seems to me that the metaphor of the orchestra can well illuminate the synodal character of the Church.

A symphony thrives on the skillful composition of the timbres of different instruments: each one makes its contribution, sometimes alone, sometimes united with someone else, sometimes with the whole ensemble. Diversity is necessary; it is indispensable. However, each sound must contribute to the common design. This is why mutual listening is essential: each musician must listen to the others. If one listens only to himself, however sublime his sound may be, it will not benefit the symphony; and the same would be the case if one section of the orchestra did not listen to the others, but played as if it were alone, as if it were the whole. In addition, the conductor of the orchestra is at the service of this kind of miracle that is each performance of a symphony. He has to listen more than anyone else, and at the same time his job is to help each person and the whole orchestra develop the greatest creative fidelity: fidelity to the work being performed, but also creative, able to give a soul to the score, to make it resonate in the here and now in a unique way.

Dear brothers and sisters, it does us good to reflect upon ourselves as the image of the orchestra, in order to learn to be an ever more symphonic and synodal Church. I propose this especially to you, members of the College of Cardinals, in the consoling confidence that we have the Holy Spirit – he is the protagonist – as our master: the interior master of each one of us and the master of walking together. He creates variety and unity; He is harmony itself. Saint Basil was looking for a synthesis when he said: “Ipse harmonia est”, he is harmony itself. We entrust ourselves to his gentle and strong guidance, and to the gracious care of the Virgin Mary.

[01496-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Als ich an diese Feier gedacht habe und insbesondere an euch, liebe Brüder, die ihr Kardinäle werdet, kam mir dieser Text aus der Apostelgeschichte (vgl. 2,1-11) in den Sinn. Es ist ein grundlegender Text: die Pfingstgeschichte, die Taufe der Kirche... Aber in Wirklichkeit hat mich eine bestimmte Sache angesprochen: die Aussage, die aus dem Mund der Juden kam, die damals in Jerusalem lebten (vgl. V. 5). Sie sagen: Wir sind „Parther, Meder und Elamiter...“ (V. 9) und so weiter. Diese lange Liste von Völkern ließ mich an die Kardinäle denken, die Gott sei Dank aus allen Teilen der Welt stammen, aus den unterschiedlichsten Nationen. Deshalb habe ich diese Bibelstelle gewählt.

Bei der Betrachtung darüber bemerkte ich dann eine Art „Überraschung“, die in dieser Verknüpfung von Gedanken verborgen war, eine Überraschung, in der ich, mit Freude, sozusagen den Humor des Heiligen Geistes – entschuldigt bitte diesen Ausdruck – zu erkennen meinte.

Worin nun besteht diese „Überraschung“? Sie besteht darin, dass wir Hirten uns normalerweise, wenn wir den Pfingstbericht lesen, mit den Aposteln identifizieren. Das ist auch ganz selbstverständlich. Die Parther, Meder, Elamiter usw., die ich in meinen Gedanken mit den Kardinälen in Verbindung gebracht hatte, gehören dagegen nicht zur Gruppe der Jünger, sie befinden sich außerhalb des Abendmahlssaals, sie sind Teil jener „Menge“, die „zusammenströmte“, als sie das Getöse des Sturmes hörte (vgl. V. 6). Die Apostel waren „alle Galiläer“ (vgl. V. 7), während die Menschen, die sich versammelt hatten, „aus allen Völkern unter dem Himmel“ (V. 5) stammten, genau wie die Bischöfe und Kardinäle in unserer Zeit.

Diese Art von Rollentausch gibt zu denken und offenbart bei näherer Betrachtung eine interessante Perspektive, die ich gerne mit euch teilen möchte. Es geht darum, die Erfahrung jener Juden auf uns zu übertragen – ich tue das an erster Stelle auch selbst –, die durch eine Gabe Gottes zu Protagonisten des Pfingstereignisses wurden, d.h. der „Taufe“ mit dem Heiligen Geist, aus der die eine, heilige, katholische und apostolische Kirche hervorging. Ich würde diese Perspektive wie folgt zusammenfassen: mit Staunen das Geschenk wiederentdecken, das Evangelium »in unseren Sprachen« (V. 11) empfangen zu haben, wie diese Menschen sagen. Sich mit Dankbarkeit an das Geschenk erinnern, das Evangelium empfangen zu haben und aus Völkern hervorgegangen zu sein, die, jedes zu seiner Zeit, das Kerygma, die Botschaft des Heilsgeheimnisses, empfangen haben und durch die Annahme des Kerygmas im Heiligen Geist getauft wurden und Teil der Kirche geworden sind. Der Mutter Kirche, die in allen Sprachen spricht, die eine ist und katholisch ist.

Dieses Wort aus der Apostelgeschichte lässt uns daran denken, dass wir, bevor wir „Apostel“ sind, bevor wir Priester, Bischöfe, Kardinäle sind, „Parther, Meder, Elamiter“ usw. sind. Und das sollte in uns ein Staunen und Dankbarkeit dafür wecken, dass wir die Gnade des Evangeliums in unseren jeweiligen Herkunftsvölkern empfangen haben. Ich denke, das ist sehr wichtig und sollte nicht vergessen werden. Denn dort, in der Geschichte unseres Volkes, ich würde sagen im „Fleisch“ unseres Volkes, wirkte der Heilige Geist das Wunder der Mitteilung des Geheimnisses Jesu Christi, der gestorben und auferstanden ist. Und es ist „in unseren Sprachen“ zu uns gelangt, über die Lippen und die Gesten unserer Großeltern und Eltern, von Katecheten, Priestern, Ordensleuten ... Jeder von uns kann sich an konkrete Stimmen und Gesichter erinnern. Der Glaube wird „im Dialekt“ weitergegeben. Vergesst das nicht: Der Glaube wird im Dialekt weitergegeben, von den Müttern und Großmüttern.

Wir sind in der Tat in dem Maße Verkünder des Evangeliums, in dem wir das Staunen und die Dankbarkeit darüber, das Evangelium empfangen zu haben, in unseren Herzen bewahren. Oder besser gesagt, das Evangelium zu empfangen, denn in Wirklichkeit ist es ein Geschenk, das stets gegenwärtig ist und das danach verlangt, in der Erinnerung und im Glauben kontinuierlich erneuert zu werden. Verkünder des Evangeliums, denen das Evangelium selbst verkündet wurde – und nicht Funktionäre.

Brüder und Schwestern, liebe Kardinäle, Pfingsten ist – wie die Taufe eines jeden von uns – keine Sache der Vergangenheit, sondern ein schöpferischer Akt, den Gott ständig erneuert. Die Kirche – und jedes ihrer Glieder – lebt von diesem stets aktuellen Geheimnis. Sie lebt nicht „von der Rendite“, nein, und schon gar nicht von einem archäologischen Erbe, so wertvoll und edel es auch sein mag. Die Kirche und jeder Getaufte lebt im Heute Gottes, durch das Wirken des Heiligen Geistes. Auch die Handlung, die wir hier und jetzt vollziehen, ergibt einen Sinn, wenn wir sie in dieser Perspektive des Glaubens erleben. Und heute, im Licht des Wortes Gottes, können wir diese Wirklichkeit begreifen: Ihr neuen Kardinäle seid aus verschiedenen Teilen der Welt gekommen, und derselbe Geist, der die Evangelisierung eurer Völker bewirkte, erneuert nun in euch eure Berufung und Sendung in der Kirche und für die Kirche.

Aus diesen Überlegungen, die aus einer fruchtbaren „Überraschung“ entstanden sind, möchte ich einfach eine Konsequenz für euch, Brüder Kardinäle, und für euer Kollegium ableiten. Und ich möchte sie mit einem Bild ausdrücken, dem eines Orchesters: Das Kardinalskollegium sollte einem Symphonieorchester ähneln, das die Symphonik und die Synodalität der Kirche symbolisiert. Ich spreche auch von der „Synodalität“, nicht nur, weil wir uns am Vorabend der ersten Synodenvollversammlung befinden, die genau dies zum Thema hat, sondern weil mir scheint, dass die Metapher des Orchesters den synodalen Charakter der Kirche gut verdeutlichen kann.

Eine Sinfonie lebt von der geschickten Komposition der Klangfarben der verschiedenen Instrumente: Jedes leistet seinen Beitrag, manchmal allein, manchmal in Kombination mit einem anderen, manchmal mit dem gesamten Ensemble. Die Vielfalt ist notwendig, sie ist unverzichtbar. Aber jeder Klang muss sich in das gemeinsame Konzept einfügen. Und dafür ist das gegenseitige Zuhören von grundlegender Bedeutung: Jeder Musiker muss auf die anderen hören. Wenn einer nur auf sich selbst hören würde, wie erhaben sein Spiel auch klingen mag, käme das der Symphonie nicht zugute; und dasselbe würde passieren, wenn ein Teil des Orchesters nicht auf die anderen hören, sondern so spielen würde, als ob es nur diesen Teil gäbe, als ob dieser das Ganze wäre. Und der Dirigent des Orchesters steht im Dienst dieser Art von Wunder, das die Aufführung einer Sinfonie jedes Mal darstellt. Er muss mehr zuhören als alle anderen und gleichzeitig ist es seine Aufgabe, jedem Einzelnen und dem ganzen Orchester zu helfen, eine möglichst große kreative Treue zu entwickeln, eine Treue zum aufgeführten Werk, aber kreativ, fähig, dieser Partitur eine Seele zu geben, sie im Hier und Jetzt auf einzigartige Weise zum Klingen zu bringen.

Liebe Brüder und Schwestern, es tut uns gut, uns im Bild des Orchesters zu reflektieren, um immer besser zu lernen, eine symphonische und synodale Kirche zu sein. Dies lege ich insbesondere euch, den Mitgliedern des Kardinalskollegiums, in dem tröstlichen Vertrauen nahe, dass der Heilige Geist – er ist der Protagonist – unser Lehrmeister ist: der innere Lehrmeister eines jeden und der Lehrmeister des gemeinsamen Gehens. Er schafft die Vielfalt und die Einheit, er ist die Harmonie selbst. Der heilige Basilius versucht eine Synthese, wenn er sagt: „Ipse harmonia est“, er ist die Harmonie selbst. Seiner sanften und starken Führung vertrauen wir uns an, und der fürsorglichen Obhut der Jungfrau Maria.

[01496-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Al pensar en esta celebración y particularmente en ustedes, queridos hermanos, que se convertirían en cardenales, me vino a la mente este texto de los Hechos de los Apóstoles (cf. 2,1-11). Es un texto fundamental: el relato de Pentecostés, el bautismo de la Iglesia. Pero en realidad me llamó la atención un detalle en particular, las palabras expresadas por los judíos que «había en Jerusalén» (v. 5). Ellos dijeron: somos «partos, medos y elamitas» (v. 9), entre otros. Esta larga enumeración de pueblos me hizo pensar en los cardenales, que gracias a Dios provienen de todas partes del mundo, de las naciones más diversas. Ese es el motivo por el cual elegí este pasaje bíblico.

Meditando luego sobre este punto, me di cuenta de una especie de “sorpresa” que estaba escondida en esta asociación de ideas, una sorpresa en la que, con alegría, me pareció reconocer, por así decirlo, el humorismo del Espíritu Santo, disculpen la expresión.

¿En qué consiste esta “sorpresa”? En el hecho de que normalmente nosotros pastores, cuando leemos el relato de Pentecostés nos identificamos con los Apóstoles. Es natural que sea así. En cambio, esos “partos, medos, elamitas”, etcétera, que en mi mente había asociado a los cardenales, no pertenecían al grupo de los discípulos, estaban fuera del cenáculo, eran parte de esa «multitud» que «se congregó» al oír el ruido semejante a una fuerte ráfaga de viento (cf. v. 6). Los Apóstoles eran “todos galileos” (cf. v. 7), mientras que la gente allí congregada había venido «de todas las naciones del mundo» (v. 5), precisamente como los obispos y cardenales de nuestro tiempo.

Esta especie de inversión de roles nos hace reflexionar y, prestando atención, revela una perspectiva interesante, que quisiera compartir con ustedes. Se trata de que hagamos nuestra —y me incluyo también yo— la experiencia de esos judíos que por un don de Dios se encontraron siendo protagonistas del acontecimiento de Pentecostés, es decir, del “bautismo” del Espíritu Santo que hizo nacer a la Iglesia una, santa, católica y apostólica. Resumiría esta perspectiva así: redescubrir con asombro el don de haber recibido el Evangelio «en nuestras lenguas» (v. 11), como dijo aquella gente. Recordar con gratitud el don de haber sido evangelizados y de haber sido sacados de pueblos que, cada uno en su momento, recibió el Kerigma, el anuncio del misterio de la salvación, y acogiéndolo fueron bautizados en el Espíritu Santo y entraron a formar parte de la Iglesia. La Iglesia Madre, que habla en todas las lenguas, que es una y es católica.

Así, esta Palabra del Libro de los Hechos nos hace pensar que, antes de ser “apóstoles”, antes de ser sacerdotes, obispos, cardenales, somos “partos, medos, elamitas”, etc., etc. Y esto debería reavivar en nosotros el asombro y el agradecimiento por haber recibido la gracia del Evangelio en nuestros respectivos pueblos de origen. Creo que esto es muy importante y no debemos olvidarlo. Porque allí, en la historia de nuestro pueblo, yo diría en la “carne” de nuestro pueblo, el Espíritu Santo ha obrado el prodigio de la comunicación del misterio de Jesucristo muerto y resucitado. Y ha llegado hasta nosotros “en nuestras lenguas”, a través de los labios y los gestos de nuestros abuelos y de nuestros padres, de los catequistas, de los sacerdotes, de los religiosos. Cada uno de nosotros puede recordar voces y rostros concretos. La fe es transmitida “en dialecto”. No se olviden de esto: la fe es transmitida en dialecto, por las madres y las abuelas.

En efecto, somos evangelizadores en la medida que conservamos en el corazón el asombro y la gratitud de haber sido evangelizados; más aún, de ser evangelizados, porque en realidad se trata de un don siempre actual, que requiere ser renovado continuamente en la memoria y en la fe. Evangelizadores evangelizados y no funcionarios

Hermanos y hermanas, queridos cardenales, Pentecostés —como el bautismo de cada uno de nosotros— no es un hecho del pasado, es un acto creativo que Dios renueva continuamente. La Iglesia —y cada uno de sus miembros— vive de este misterio siempre actual. No vive “de rentas”, no, ni mucho menos de un patrimonio arqueológico, por valioso y noble que sea. La Iglesia —y cada bautizado— vive del presente de Dios, por la acción del Espíritu Santo. También el acto que estamos realizando aquí ahora tiene sentido si lo vivimos en esta perspectiva de fe. Y hoy, a la luz de la Palabra, podemos comprender esta realidad: ustedes, neocardenales, han venido de diversas partes del mundo y el mismo Espíritu Santo que fecundó la evangelización de sus pueblos ahora renueva en ustedes su vocación y misión en la Iglesia y para la Iglesia.

De esta reflexión, obtenida de una “sorpresa” fecunda, quisiera extraer sencillamente una consecuencia para ustedes, hermanos cardenales, y para vuestro Colegio. Y quisiera expresarla con una imagen, la de la orquesta. El Colegio Cardenalicio está llamado a asemejarse a una orquesta sinfónica, que representa la sinfonía y la sinodalidad de la Iglesia. Digo también la “sinodalidad” no sólo porque estamos en la vigilia de la primera Asamblea del Sínodo que tiene precisamente este tema, sino porque me parece que la metáfora de la orquesta puede iluminar bien el carácter sinodal de la Iglesia.

Una sinfonía cobra vida de la sabia composición de sonidos de los diferentes instrumentos. Cada uno brinda su aporte, a veces solo, a veces unido a algún otro, a veces con todo el conjunto. La diversidad es necesaria, es indispensable. Pero cada sonido debe contribuir al proyecto común. Y para eso es fundamental la escucha recíproca. Cada músico debe escuchar a los demás. Si uno sólo se escuchase a sí mismo, por más sublime que pudiera ser su sonido, no beneficiará a la sinfonía; y lo mismo sucedería si una sección de la orquesta no escuchase a las otras, sino que sonara como si estuviera sola, como si fuera el todo. Y el director de la orquesta está al servicio de esta especie de milagro que representa cada ejecución de una sinfonía. Él debe escuchar más que todos los demás y al mismo tiempo su tarea es ayudar a cada uno y a toda la orquesta a desarrollar al máximo su fidelidad creativa, fidelidad a la obra que se está ejecutando, pero creativa, capaz de darle un alma a esa partitura, de hacerla sonar en el aquí y ahora de una manera única.

Queridos hermanos y hermanas, nos hace bien reflejarnos en la imagen de la orquesta, para aprender cada vez mejor a ser Iglesia sinfónica y sinodal. La propongo particularmente a ustedes, miembros del Colegio Cardenalicio, en la reconfortante confianza de que tenemos como maestro al Espíritu Santo, —Él es el protagonista—: maestro interior de cada uno y maestro del caminar juntos. Él crea la variedad y la unidad, Él es la misma armonía. San Basilio busca una síntesis cuando dice: “Ipse harmonia est”, Él es la misma armonía. Nos encomendamos a su guía dulce y fuerte, y a la protección solícita de la Virgen María.

[01496-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Pensando nesta celebração e de modo particular em vós, queridos irmãos que haveríeis de vos tornar Cardeais, veio-me à mente este texto dos Atos dos Apóstolos (cf. 2,1-11). Trata-se dum texto fundamental, a narração do Pentecostes, o batismo da Igreja. Mas aquilo que, na realidade, atraiu o meu pensamento foi um ponto particular, ou seja, aquela constatação saída da boca dos judeus, que então «residiam em Jerusalém» (2, 5): são «partos, medos, elamitas...» (2, 9) e assim por diante. Esta longa lista de povos fez-me pensar nos Cardeais, que, graças a Deus, são de todas as partes do mundo, das mais diversas nações. Por isso mesmo escolhi esta passagem bíblica.

Depois, ao meditar sobre isto, dei-me conta duma espécie de «surpresa» escondida nesta associação de ideias, uma surpresa na qual, com alegria, me parecia reconhecer, por assim dizer, o humorismo do Espírito Santo. Desculpai a expressão!

Qual é essa «surpresa»? É o facto de que nós, pastores, ao lermos a narração do Pentecostes, normalmente nos identificamos com os Apóstolos. É natural que assim seja. Ao passo que aqueles «partos, medos, elamitas», etc. que, na minha mente, associava aos Cardeais, não pertencem ao grupo dos discípulos, estão fora do Cenáculo, fazem parte daquela «multidão» que se reuniu quando ouviu o ruído causado pela forte rajada de vento (cf. 2, 2.6). Os Apóstolos eram «todos galileus» (2, 7), enquanto o povo que se reunira era «proveniente de todas as nações que há debaixo do céu» (2, 5), precisamente como o são os Bispos e os Cardeais no nosso tempo.

Esta espécie de inversão de papéis faz pensar e, se olharmos com atenção, revela uma interessante perspetiva, que quero partilhar convosco. Trata-se de nos aplicar (coloco-me a mim, primeiro, no caso) a experiência daqueles judeus que, por dom de Deus, se viram protagonistas do acontecimento do Pentecostes, isto é, do «batismo» do Espírito Santo, que fez nascer a Igreja una, santa, católica e apostólica. Tal perspetiva, resumi-la-ia assim: redescobrir, maravilhado, o dom de ter recebido o Evangelho «na nossa língua» (2, 11), como dizem aquelas pessoas. Repensar com gratidão no dom de ter sido evangelizados e de ter sido tirados de povos que, cada um no seu tempo, receberam o Kerygma, o anúncio do mistério de salvação, e acolhendo-o foram batizados no Espírito Santo e passaram a fazer parte da Igreja: a Igreja Mãe, que fala em todas as línguas, que é una e é católica.

Assim esta Palavra do livro dos Atos faz-nos pensar que, antes de ser «apóstolos», antes de ser sacerdotes, bispos, cardeais, somos «partos, medos, elamitas», etc., etc. Isto deveria despertar em nós a maravilha e a gratidão por termos recebido a graça do Evangelho nos nossos respetivos povos de origem. Considero isto muito importante e que não se deve esquecer. Porque lá, na história do nosso povo – diria na «carne» do nosso povo –, o Espírito Santo operou o prodígio da comunicação do mistério de Jesus Cristo morto e ressuscitado. E chegou até nós «na própria língua», nos lábios e nos gestos dos nossos avós e dos nossos pais, dos catequistas, dos sacerdotes, dos religiosos... Cada um de nós pode recordar vozes e rostos concretos. Não vos esqueçais disto: a fé é transmitida «em dialeto» pelas mães e as avós.

Com efeito, somos evangelizadores na medida em que conservamos no coração a maravilha e a gratidão de ter sido evangelizados; melhor, de ser evangelizados, porque trata-se, na realidade, de um dom sempre atual, que pede para ser continuamente renovado na memória e na fé. Evangelizadores evangelizados, e não funcionários.

Irmãos e irmãs, queridos Cardeais, o Pentecostes – tal como o Batismo de cada um de nós – não é um facto do passado, é um ato criador que Deus renova continuamente. A Igreja – e cada um dos seus membros – vive deste mistério sempre atual. Ele não vive «de rendimentos» e muito menos dum património arqueológico, por mais precioso e nobre que pudesse ser. A Igreja, e cada batizado, vive do hoje de Deus, pela ação do Espírito Santo. E o próprio ato que agora estamos a realizar aqui, tem sentido se o vivermos nesta perspetiva de fé. E hoje, à luz da Palavra, podemos individuar esta realidade: vós, novos Cardeais, viestes de diversas partes do mundo, e o mesmo Espírito que fecundou a evangelização dos vossos povos, agora renova em vós a vossa vocação e missão na Igreja e para a Igreja.

Desta reflexão, derivada duma fecunda «surpresa», quero tirar simplesmente uma consequência para vós, irmãos Cardeais, e para o vosso Colégio. E quero expressá-la com uma imagem, a da orquestra: o Colégio Cardinalício é chamado a assemelhar-se a uma orquestra sinfónica, que representa a dimensão sinfónica e a sinodalidade da Igreja. Digo também «sinodalidade», não só por estarmos nas vésperas da primeira Assembleia do Sínodo que tem precisamente este tema, mas porque me parece que a metáfora da orquestra pode muito bem iluminar o caráter sinodal da Igreja.

Uma sinfonia vive da sábia composição dos timbres dos diversos instrumentos: cada um dá o seu contributo, ora sozinho, ora combinado com outro, ora com todo o conjunto. A diversidade é necessária, é indispensável. Mas cada som deve concorrer para o resultado comum. E, para isso, é fundamental a escuta mútua: cada músico deve ouvir os outros. Se alguém ouvisse apenas a si mesmo, por mais sublime que possa ser o seu som, não seria de proveito à sinfonia; e o mesmo aconteceria se uma parte da orquestra não ouvisse as outras, mas tocasse como se estivesse sozinha, como se fosse o todo. E o diretor da orquestra está ao serviço desta espécie de milagre que é sempre a execução duma sinfonia. Ele deve ouvir mais do que todos os outros e, ao mesmo tempo, a sua tarefa é ajudar cada um e a orquestra inteira a desenvolver ao máximo a fidelidade criativa, a fidelidade à obra que se está a executar, mas criativa, capaz de dar uma alma àquela partitura, de fazê-la ressoar duma forma única aqui e agora.

Queridos irmãos e irmãs, faz-nos bem espelhar-nos na imagem da orquestra, para aprendermos cada vez melhor a ser Igreja sinfónica e sinodal. Proponho-a de modo particular a vós, membros do Colégio Cardinalício, na consoladora confiança de que temos como maestro o Espírito Santo (é Ele o protagonista): maestro interior de cada um e maestro do caminhar juntos. Ele cria a variedade e a unidade, Ele é a própria harmonia: assim o sintetizou Basílio, quando afirma «Ipse harmonia est – Ele é a própria harmonia». Confiemo-nos à sua doce e forte guia e à guarda solícita da Virgem Maria.

[01496-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Myśląc o tej uroczystości, a zwłaszcza o was, drodzy bracia, którzy zostaniecie Kardynałami, przyszedł mi na myśl tekst z Dziejów Apostolskich (por. 2, 1-11). Jest to tekst fundamentalny: opis Pięćdziesiątnicy, chrztu Kościoła... Ale tak naprawdę, moje myśli przyciągnął pewien szczegół: wyrażenie, które wyszło z ust Żydów, którzy „przebywali wtedy w Jerozolimie” (w. 5). Powiedzieli to: „Partowie, Medowie, Elamici...” (w. 9) i tak dalej. Ta długa lista ludów sprawiła, że pomyślałem o Kardynałach, którzy dzięki Bogu pochodzą ze wszystkich części świata, z najróżniejszych narodów. Dlatego też wybrałem ten fragment biblijny.

Rozważając go później, zdałem sobie sprawę z pewnego rodzaju „niespodzianki” ukrytej w tym skojarzeniu idei, niespodzianki, w której z radością zdawało mi się rozpoznać, jeśli tak można powiedzieć, humor Ducha Świętego, wybaczcie mi to określenie.

Czym jest ta „niespodzianka”? Polega ona na tym, że zwykle my, pasterze, czytając opis Pięćdziesiątnicy utożsamiamy się z Apostołami. To naturalne, że tak jest. Z drugiej strony, ci „Partowie, Medowie, Elamici” i tak dalej, których w mojej myśli kojarzyłem z Kardynałami, nie należą do grupy uczniów, znajdują się poza Wieczernikiem, są częścią tego „tłumu”, który „zebrał się” usłyszawszy szum wywołany przez porywisty wiatr (por. w. 6). Apostołowie byli „wszyscy Galilejczykami” (por. w. 7), podczas gdy zgromadzeni ludzie byli „ze wszystkich narodów pod słońcem” (w. 5), podobnie jak biskupi i kardynałowie w naszych czasach.

Tego rodzaju odwrócenie ról skłania do zastanowienia, a przyglądając się temu bliżej, ujawnia interesującą perspektywę, którą chciałbym się z wami podzielić. Chodzi o odniesienie tego do nas – czynię to jako pierwszy – doświadczenia tych Żydów, którzy dzięki darowi Bożemu stali się protagonistami wydarzenia Pięćdziesiątnicy, to znaczy „chrztu” Duchem Świętym, który dał początek jednemu, świętemu, katolickiemu i apostolskiemu Kościołowi. Podsumowałbym tę perspektywę w następujący sposób: odkrycie na nowo ze zdumieniem daru otrzymania Ewangelii «w naszych językach» (w. 11), jak mówią ci ludzie. Pomyślmy raz jeszcze z wdzięcznością o darze otrzymania ewangelizacji i o tym, że wywodzimy się z ludów, które w swoim czasie przyjęły kerygmat, głoszenie tajemnicy zbawienia, a przyjmując go, zostały ochrzczone w Duchu Świętym i stały się częścią Kościoła. Kościoła Matki, który mówi we wszystkich językach, który jest jeden i katolicki.

Otóż, to słowo z Księgi Dziejów Apostolskich każe nam myśleć, że zanim staniemy się „apostołami”, zanim staliśmy się kapłanami, biskupami, kardynałami, jesteśmy „Partami, Medami, Elamitami” i tak dalej, i tak dalej. A to powinno rozbudzić w nas poczucie podziwu i wdzięczności za to, że otrzymaliśmy łaskę Ewangelii w poszczególnych narodach, z których się wywodzimy. Myślę, że jest to bardzo ważne i nie należy o tym zapominać. Ponieważ tam, w historii naszego ludu, powiedziałbym w „ciele” naszego ludu, Duch Święty dokonał cudu przekazania tajemnicy Jezusa Chrystusa, który umarł i zmartwychwstał. I przyszedł do nas „w naszych własnych językach”, na ustach i w gestach naszych dziadków i naszych rodziców, katechetów, księży, zakonników... Każdy z nas może sobie przypomnieć konkretne głosy i twarze. Wiara jest przekazywana „w dialekcie”. Nie zapominajcie o tym: wiara jest przekazywana „w dialekcie”, przez matki i babcie.

Istotnie, jesteśmy ewangelizatorami w takim stopniu, w jakim zachowujemy w naszych sercach zdumienie i wdzięczność za to, że otrzymaliśmy Ewangelię. A raczej z bycia ewangelizowanymi, ponieważ w rzeczywistości chodzi o dar nieustannie obecny, który domaga się ciągłego odnawiania w pamięci i w wierze. Ewangelizatorzy ewangelizowani, a nie funkcjonariusze.

Bracia i siostry, najmilsi Kardynałowie, Pięćdziesiątnica – podobnie jak chrzest każdego z nas – nie należy do przeszłości, lecz jest aktem stwórczym, który Bóg nieustannie ponawia. Kościół – i każdy z jego członków – żyje tą tajemnicą wciąż aktualną. Nie żyje „z dochodu”, nie, a tym bardziej z dziedzictwa archeologicznego, jakkolwiek cennego i szlachetnego. Kościół i każdy ochrzczony żyje każdym Bożym dniem, mocą działania Ducha Świętego. Także czynność, którą tutaj teraz spełniamy ma sens, jeśli przeżywamy ją w tej perspektywie wiary. A dzisiaj, w świetle słowa, możemy pojąć tę rzeczywistość: wy, nowi Kardynałowie, przybyliście z różnych stron świata, a ten sam Duch, który uczynił płodną ewangelizację waszych narodów, teraz odnawia w was wasze powołanie i misję w Kościele i dla Kościoła.

Z tej refleksji, zaczerpniętej z owocnej „niespodzianki”, chciałbym po prostu wyciągnąć konsekwencję dla was, bracia Kardynałowie, i dla waszego Kolegium. Chciałbym ją wyrazić za pomocą obrazu orkiestry: Kolegium Kardynalskie jest powołane, aby przypominać orkiestrę symfoniczną, reprezentującą symfoniczność i synodalność Kościoła. Mówię także „synodalność” nie tylko dlatego, że jesteśmy w przededniu pierwszego Zebrania Synodu, które ma właśnie taki temat, ale dlatego, że wydaje mi się, iż metafora orkiestry może dobrze naświetlić synodalny charakter Kościoła.

Symfonia żyje dzięki umiejętnej kompozycji barw różnych instrumentów: każdy z nich wnosi swój wkład, czasem sam, niekiedy w połączeniu z jakimś innym, czasem z całym zespołem. Różnorodność jest konieczna, jest niezbędna. Ale każdy dźwięk musi przyczyniać się do wspólnego projektu. W tym celu fundamentalne jest wzajemne słuchanie: każdy muzyk musi słuchać innych. Jeśli ktoś słuchałby tylko samego siebie, niezależnie od tego, jak wysublimowany byłby jego dźwięk, nie wyszłoby to symfonii na dobre; to samo stałoby się, gdyby jedna sekcja orkiestry nie słuchała innych, ale grała tak, jakby była sama, jakby była całością. A dyrygent orkiestry jest w służbie tego rodzaju cudu, jakim za każdym razem jest wykonanie symfonii. Musi słuchać bardziej niż ktokolwiek inny, a jednocześnie jego zadaniem jest pomóc każdej osobie i całej orkiestrze rozwinąć twórczą wierność do maksimum, wierność wykonywanemu dziełu, ale twórcza, zdolna nadać duszę tej partyturze, sprawić, by rozbrzmiewała tu i teraz w sposób wyjątkowy.

Drodzy bracia i siostry, dobrze nam robi spojrzenie na siebie w obrazie orkiestry, aby uczyć się być zawsze coraz bardziej Kościołem symfonicznym i synodalnym. Proponuję to w szczególności wam, członkom Kolegium Kardynalskiego, z pocieszającą wiarą, że mamy Ducha Świętego jako naszego nauczyciela - On jest głównym bohaterem -: nauczyciela dla każdego wnętrza i nauczyciela podążania razem. On tworzy różnorodność i jedność, On jest samą harmonią. Święty Bazyli szuka syntezy, gdy mówi: “Ipse harmonia est”, On jest samą harmonią. Powierzmy siebie Jego łagodnemu i silnemu przewodnictwu, a także troskliwej opiece Maryi Dziewicy.

[01496-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

عظة قداسة البابا فرنسيس

في مناسبة انعقاد اجتماع مجمع الكرادلة لتعيّين الكرادلة الجدد

السّبت 30 أيلول/سبتمبر 2023

ساحة القدّيس القدّيس بطرس

بينما كنت أفكّر في هذا الاحتفال، وخاصّة فيكم، أيّها الإخوة الأعزّاء، الذين ستصيرون كرادلة، تبادر إلى ذِهني هذا النَّص من أعمال الرّسل (راجع 2، 1-11). إنّه نَصٌّ أساسيّ: وهو حَدَث العنصرة، أي معموديَّة الكنيسة... وما لفت انتباهي هو هذا التّفصيل: العبارة التي خرجت من فمّ اليهود الذين "كانوا يُقيمُون في أُورَشَليمَ" (الآية 5). قالوا: "نحنُ الفَرثِيِّين والميدِيِّين والعَيْلامِيِّين..." (الآية 9) وما يلي ذلك. هذه القائمة الطّويلة من الشّعوب جعلتني أفكّر في الكرادلة، الذين هم، بحمد الله، مِن كلِّ أنحاء العالم، ومن أُمَمٍ مُختلفة. هذا هو السّبب الذي جعلني أختار هذا المقطع من الكتاب المقدّس.

وأنا أتأمَّل فيه، أدركْتُ نوعًا من ”المفاجأة“ التي كانت مُختبئة في هذا التّرابط من الأفكار، مفاجأةٌ بَدَا لِي أنّي أرى فيها، وبفرح، نوعًا من مخاطبة الرّوح القدس لنا.

ما هي هذه ”المفاجأة“؟ هي أنّنا نرى أنفسنا عادةً في الرّسل، عندما نقرأ رواية حَدَث العنصرة. وهذا أمرٌ طبيعيّ. بينما هؤلاء ”الفَرثِيِّون والميدِيِّون والعَيْلامِيِّون“ وما إلى ذلك، الذين رَبَطْتُهم في ذِهني بالكرادلة، ليسوا من جماعة التّلاميذ. هُم خارج العُلّيَّة، وهُم جزءٌ من هؤلاء ”النّاس“ الذين ”تَجَمْهَروا“ لما سمعوا الصّوت الذي صَدَرَ عن الرِّيح العاصفة (راجع الآية 6). كان الرّسل ”جليليِّينَ بِأَجمَعِهم“ (راجع الآية 7)، بينما النّاس الذين تَجَمهَرَوا كانوا "مِن كُلِّ أُمَّةٍ تَحتَ السَّماء" (الآية 5)، تمامًا مثل الأساقفة والكرادلة في عصرنا.

عكسُ الأدوار هذا يبعث على التّفكير، وإن نظرنا في الأمر جيّدًا، فإنّه يكشف عن رؤية لافتة، أودّ أن أشاركها معكم. إنّها تطبيق خبرة هؤلاء اليهود على أنفسنا - وأضع نفسي أنا أيضًا في الأوّل -، الذين وَجَدُوا أنفسهم، وبعطيّة من الله، شخصيّات رئيسيّة في حَدَثِ العنصرة، أيْ ”معموديّة“ الرّوح القدس التي وَلَدَت الكنيسة الواحدة والمقدّسة والجامعة والرّسوليّة. سألخِّص هذه الرّؤية كما يلي: نكتشف من جديد وباندهاش عطيّة تلقّينا للإنجيل "بِلُغاتِنا" (الآية 11)، كما قال هؤلاء النّاس. ثمّ نفكّر شاكرين في أنّ البشارة بالإنجيل وصلت إلينا وأخذتنا من الشّعوب التي تلقّت، كُلّ شعب في وقته، الإعلان الأوّل (كيريجما)، وإعلان سرّ الخلاص، وبعد سماع الإعلان الأوّل اعتمدوا في الرّوح القدس وصاروا جزءًا من الكنيسة. الكنيسة الأمّ، التي تتكلّم بجميع اللغات، وهي واحدة وجامعة.

هذه الكلمة من سِفرِ أعمال الرّسل تجعلنا نفكّر في أنّنا، قبل أن نكون ”رُسُلًا“، وقبل أن نكون كهنة وأساقفة وكرادلة، نحن ”فَرثِيِّون وميدِيِّون وعَيْلامِيِّون“ وما إلى ذلك. وهذا الأمر يجب أن يُوقظ فينا الدّهشة والشُّكر لأنّنا تلقّينا نعمة الإنجيل في شعوبنا الأصليّة. وهذا أمرٌ مهمّ ويجب ألّا ننساه، لأنّ الرّوح القدس صنع أعجوبة إشراكنا في سرّ يسوع المسيح الذي مات ثمّ قام من الموت، هناك، في تاريخ شعبنا، وأقول في ”جَسَدِ“ شعبنا. وَوَصَلَ إلينا ”بلغاتنا“، وعلى شِفاه أجدادنا ووالدِينا، وبأعمالهم، وبواسطة معلّمي التّعليم المسيحيّ، والكهنة، والرّهبان... يمكن لكلّ واحدٍ منّا أن يتذكّر أصواتًا ووجوهًا حقيقيّة. الإيمان ينتقل ”باللغة المحكيّة“. لا تَنسوا ذلك: الإيمان ينتقل باللغة المحكيّة، مِنَ الأمّهات والجدّات.

في الواقع، نحن نحمل البشارة بالإنجيل بمقدار ما نحتفظ في قلوبنا بالدّهشة والشّكر لكوننا تلقّينا إعلان البشارة بالإنجيل، بل، لكوننا نتلقّى إعلان البشارة بالإنجيل، لأنّها في الحقيقة عطيّة نُعطَاها دائمًا، وتتطلَّب أن تتَجَدَّد باستمرار في الذّاكرة وفي الإيمان. نحن نحمل البشارة بالإنجيل التي تلقّينا إعلانها ولسنا موظّفين.

أيّها الإخوة والأخوات، وأيّها الكرادلة الأعزّاء، حَدَث العنصرة - مثل معموديّة كلّ واحدٍ منّا - ليس حدثًا من الماضي، بل هو عملٌ مُبدِع يجدّده الله باستمرار. الكنيسة – وكلّ عُضوٍ من أعضائها – تَعيش بهذا السِّرّ الحاضر دائمًا. الكنيسة لا تَعيش ”مِن مواردها“، لا، ولا حتّى مِن تراثها الأثريّ، مهما كان ثمينًا ونبيلًا. الكنيسة، وكلّ مُعمّد، يَعيش في حاضر الله، وبعمل الرّوح القدس. والعمل الذي نقوم به هنا الآن أيضًا، له معنى إن عشناه في هذه الرّؤية الإيمانيّة. واليوم، وعلى ضوء الكلمة، يمكننا أن نفهم هذه الحقيقة: أنتم أيّها الكرادلة الجُدُد جِئتم من أماكن مختلفة من العالم، والرّوح القدس نفسه الذي أخصَبَ عمل البشارة بين شعوبكم، يجدّد الآن فيكم دعوتكم ورسالتكم في الكنيسة وللكنيسة.

من هذا التّأمّل، الذي نجَمَ عن ”المفاجأة“ الخصبة، أودّ ببساطة أن أستخلص نتيجة لكم، أيّها الإخوة الكرادلة، ولمجمعكم، مجمع الكرادلة. وأودّ أن أعبّر عنها بصورة، وهي صورة الأوركسترا: مجمع الكرادلة مدعو إلى أن يشبه أوركسترا سيمفونيّة، تمثِّل طابع السّيمفونيّة وطابع السّينودس في الكنيسة. أقول ”طابع السّينودس“ أيضًا، ليس فقط لأنّنا في عشيّة انعقاد الجمعيّة العامّة الأولى للسّينودس، وموضوعها هو هذا الموضوع بالتّحديد، بل لأنّه يبدو لِي أنّ التّشبيه بالأوركسترا يمكن أن يلقي ضوءًا على طابع السّينودس للكنيسة.

تقوم السّيمفونيّة بالمزج المسنجم بين أنغام الآلات المختلفة: كلّ آلة تُقدّم مساهمتها، أحيانًا بمفردها، وأحيانًا مجتمعة مع آلة أخرى، وأحيانًا مع المجموعة بأكملها. التّنوّع ضروريّ، ولا غِنَى عنه. لكن كلّ صوت عليه أن يساهم في الخِطَّة العامّة. ولهذا السّبب يكون الإصغاء المتبادل أمرًا أساسيًّا: يجب على كلّ موسيقيّ أن يصغي إلى الآخرين. إن أصغى أحدهم إلى نفسه فقط، مهما كان عزفه ساميًا، لن يفيد السّيمفونيّة. والأمر نفسه يحدث إن لم يُصغِ قِسمٌ من أقسام الأوركسترا إلى الآخرين، بل يعزف كما لو كان وحده، وكما لو كان هو الكلُّ بالكلّ. ومدير الأوركسترا هو في خدمة هذا النّوع من المعجزة كلّما يتِمّ عزف سيمفونيّة. وعليه هو أن يُصغي أكثر من كلّ الآخرين، ووظيفته هي أن يساعد، في الوقت نفسه، كلّ واحدٍ، والأوركسترا كلّها، حتّى يُنَمِّيَ كلّ واحد إلى أقصى حدّ الأمانة المُبدعة، والأمانة في العمل الذي يقوم به الجميع، وبصورة مُبدعة، فيكون قادرًا أن يعطي روحًا لكلّ مقطع، ويجعل صداه يتردّد هنا والآن وبطريقة فريدة.

أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء، حسنٌ لنا أن نرى انعكاس أنفسنا في صورة الأوركسترا، لنتعلّم دائمًا بطريقة أفضل أن نكون كنيسة سيمفونيّة وسينوديّة. أقترح هذا الأمر عليكم بشكل خاصّ، أنتم أعضاء مجمع الكرادلة، ويعزِّينا أنّ معلّمنا هو الرّوح القدس – هو الشّخصيّة الرّئيسيّة -: المعلِّم في داخل كلّ واحدٍ منَّا ومعلِّم المسيرة كلّها معًا. هو يخلق التّنوّع والوَحدة، وهو الانسجام نفسه. هذا ما لخّصه القدّيس باسيليوس عندما قال: هو نفسه انسجام (Ipse harmonia est). لنوكِل أنفسنا إلى توجيهاته العذبة والقويّة، وإلى رعاية سيّدتنا مريم العذراء الحنونة.

[01496-AR.02] [Testo originale: Italiano]

 

[B0681-XX.02]