Incontro privato con alcune persone in situazioni di disagio economico nella Casa delle Missionarie della Carità
Sessione Conclusiva dei Rencontres Méditerranéennes presso il Palais du Pharo
Incontro con il Presidente della Repubblica Francese presso il Palais du Pharo
Incontro privato con alcune persone in situazioni di disagio economico nella Casa delle Missionarie della Carità
Questa mattina, prima di lasciare l’Arcivescovado di Marsiglia, Papa Francesco ha salutato il Vice Presidente della Commissione Europea, Margaritis Schinas e successivamente ha incontrato alcune persone appartenenti a varie organizzazioni impegnate nell’assistenza e nel soccorso ai migranti nel Mediterraneo.
Al termine, il Santo Padre Francesco si è trasferito in auto alla Casa delle Missionarie della Carità a Saint Mauront dove ha incontrato in forma privata alcune persone che si trovano in situazioni di disagio economico. Quindi, sempre in auto, si è diretto al Palais du Pharo per la Sessione Conclusiva dei Rencontres Méditerranéennes.
[01432-IT.02]
Sessione Conclusiva dei Rencontres Méditerranéennes presso il Palais du Pharo
Discorso del Santo Padre
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Traduzione in lingua araba
Questa mattina, alle ore 10.05, presso il Palais du Pharo, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Sessione Conclusiva dei Rencontres Méditerranéennes, iniziativa promossa dall’Arcidiocesi di Marsiglia dal 18 al 24 settembre.
Erano presenti alla Sessione i Vescovi della Francia e di altre Diocesi del Mediterraneo, una rappresentanza di giovani provenienti dal Nord Africa, dai Balcani, dall’Europa Latina, dal Mar Nero e dal Medio Oriente, alcune Autorità politiche e associazioni.
Al Suo arrivo, Papa Francesco è stato accolto all’ingresso dell’Auditorium dal Presidente della Repubblica Francese Emmanuel Macron e dalla Consorte, dall’Arcivescovo di Marsiglia, Card. Jean-Marc Aveline e dal Sindaco della Città. Due bambini gli hanno offerto un dono.
La Sessione Conclusiva è iniziata con il saluto di benvenuto del Cardinale Arcivescovo. Dopo la proiezione di un filmato e gli interventi di un Vescovo e di una giovane, il Papa ha pronunciato il Suo discorso.
Al termine, dopo le parole di ringraziamento del Presidente della Conferenza Episcopale Francese, l’Arcivescovo di Reims S.E. Mons. Éric de Moulins-Beaufort e, dopo aver salutato i Vescovi del Mediterraneo, il Papa si è trasferito al Salon d’honneur du Maire del Palais du Pharo per l’incontro con il Presidente della Repubblica Francese Emmanuel Macron.
Pubblichiamo di seguito il discorso del Santo Padre alla Sessione Conclusiva dei Rencontres Méditerranéennes:
Discorso del Santo Padre
Signor Presidente della Repubblica,
cari fratelli Vescovi,
illustri Sindaci e Autorità che rappresentate città e territori bagnati dal Mar Mediterraneo,
amiche e amici tutti!
Vi saluto cordialmente, grato a ciascuno di voi per aver accolto l’invito del Cardinal Aveline a partecipare a questi incontri. Grazie per il vostro lavoro e per le preziose riflessioni che avete condiviso. Dopo Bari e Firenze, il cammino al servizio dei popoli mediterranei progredisce: anche qui, responsabili ecclesiastici e civili sono insieme non per trattare reciproci interessi, ma animati dal desiderio di prendersi cura dell’uomo; grazie perché lo fate con i giovani, presente e futuro della Chiesa e della società.
La città di Marsiglia è molto antica. Fondata da navigatori greci venuti dall’Asia Minore, il mito la fa risalire alla storia d’amore tra un marinaio emigrato e una principessa nativa. Fin dalle origini essa presenta un carattere composito e cosmopolita: accoglie le ricchezze del mare e dona una patria a chi non l’ha più. Marsiglia ci dice che, nonostante le difficoltà, la convivialità è possibile ed è fonte di gioia. Sulla carta geografica, tra Nizza e Montpellier, sembra quasi disegnare un sorriso; e mi piace pensarla così: Marsiglia è “il sorriso del Mediterraneo”. Vorrei dunque proporvi alcuni pensieri attorno a tre realtà che caratterizzano Marsiglia: il mare, il porto e il faro. Sono tre simboli.
1. Il mare. Una marea di popoli ha fatto di questa città un mosaico di speranza, con la sua grande tradizione multietnica e multiculturale, rappresentata dai più di 60 Consolati presenti sul suo territorio. Marsiglia è città al tempo stesso plurale e singolare, in quanto è la sua pluralità, frutto di incontro con il mondo, a renderne singolare la storia. Spesso oggi si sente ripetere che la storia mediterranea sarebbe un intreccio di conflitti tra civiltà, religioni e visioni differenti. Non ignoriamo i problemi – ce ne sono! –, ma non lasciamoci ingannare: gli scambi intercorsi tra i popoli hanno reso il Mediterraneo culla di civiltà, mare straripante di tesori, al punto che, come scrisse un grande storico francese, esso non è «un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma una successione di mari»; «da millenni tutto vi confluisce, complicandone e arricchendone la storia» (F. Braudel, La Méditerranée, Paris 1985, 16). Il mare nostrum è spazio di incontro: tra le religioni abramitiche; tra il pensiero greco, latino e arabo; tra la scienza, la filosofia e il diritto, e tra molte altre realtà. Ha veicolato nel mondo l’alto valore dell’essere umano, dotato di libertà, aperto alla verità e bisognoso di salvezza, che vede il mondo come una meraviglia da scoprire e un giardino da abitare, nel segno di un Dio che stringe alleanze con gli uomini.
Un grande sindaco leggeva nel Mediterraneo non una questione conflittuale, ma una risposta di pace, anzi «l’inizio e il fondamento della pace fra tutte le nazioni del mondo» (G. La Pira, Parole a conclusione del primo Colloquio Mediterraneo, 6 ottobre 1958). Disse infatti: «La risposta […] è possibile se si considera la comune vocazione storica e per così dire permanente che la Provvidenza ha assegnato nel passato, assegna nel presente e, in un certo senso, assegnerà nell’avvenire ai popoli e alle nazioni che vivono sulle rive di questo misterioso lago di Tiberiade allargato che è il Mediterraneo» (Discorso di apertura del I Colloquio Mediterraneo, 3 ottobre 1958). Lago di Tiberiade, ovvero Mare di Galilea, un luogo cioè nel quale, ai tempi di Cristo, si concentrava una grande varietà di popolazioni, culti e tradizioni. Proprio lì, nella «Galilea delle genti» (cfr Mt 4,15) attraversata dalla Via del mare, si svolse la maggior parte della vita pubblica di Gesù. Un contesto multiforme e per molti versi instabile fu la sede dell’annuncio universale delle Beatitudini, nel nome di un Dio Padre di tutti, che «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45). Era anche l’invito ad allargare le frontiere del cuore, superando barriere etniche e culturali. Ecco allora la risposta che viene dal Mediterraneo: questo perenne mare di Galilea invita a opporre alla divisività dei conflitti la «convivialità delle differenze» (T. Bello, Benedette inquietudini, Milano 2001, 73). Il mare nostrum, al crocevia tra Nord e Sud, tra Est e Ovest, concentra le sfide del mondo intero, come testimoniano le sue “cinque rive”, su cui avete riflettuto: Nord Africa, vicino Oriente, Mar Nero-Egeo, Balcani ed Europa latina. È avamposto di sfide che riguardano tutti: pensiamo a quella climatica, con il Mediterraneo che rappresenta un hotspot dove i cambiamenti si avvertono più rapidamente; quanto è importante custodire la macchia mediterranea, scrigno di biodiversità! Insomma, questo mare, ambiente che offre un approccio unico alla complessità, è “specchio del mondo” e porta in sé una vocazione globale alla fraternità, vocazione unica e unica via per prevenire e superare le conflittualità.
Fratelli e sorelle, nell’odierno mare dei conflitti, siamo qui per valorizzare il contributo del Mediterraneo, perché torni a essere laboratorio di pace. Perché questa è la vocazione, essere luogo dove Paesi e realtà diverse si incontrino sulla base dell’umanità che tutti condividiamo, non delle ideologie che contrappongono. Sì, il Mediterraneo esprime un pensiero non uniforme e ideologico, ma poliedrico e aderente alla realtà; un pensiero vitale, aperto e conciliante: un pensiero comunitario, questa è la parola. Quanto ne abbiamo bisogno nel frangente attuale, dove nazionalismi antiquati e belligeranti vogliono far tramontare il sogno della comunità delle nazioni! Ma – ricordiamolo – con le armi si fa la guerra, non la pace, e con l’avidità di potere sempre si torna al passato, non si costruisce il futuro.
Da dove dunque iniziare per radicare la pace? Sulle rive del Mare di Galilea Gesù cominciò col dare speranza ai poveri, proclamandoli beati: ne ascoltò i bisogni, ne sanò le ferite, proclamò anzitutto a loro il buon annuncio del Regno. Da lì occorre ripartire, dal grido spesso silenzioso degli ultimi, non dai primi della classe che, pur stando bene, alzano la voce. Ripartiamo, Chiesa e comunità civile, dall’ascolto dei poveri, che «si abbracciano, non si contano» (P. Mazzolari, La parola ai poveri, Bologna 2016, 39), perché sono volti, non numeri. Il cambio di passo delle nostre comunità sta nel trattarli come fratelli di cui conoscere le storie, non come problemi fastidiosi, cacciandoli via, mandandoli a casa; sta nell’accoglierli, non nel nasconderli; nell’integrarli, non nello sgomberarli; nel dar loro dignità. E Marsiglia, voglio ripeterlo, è la capitale dell’integrazione dei popoli. Questo è un orgoglio vostro! Oggi il mare della convivenza umana è inquinato dalla precarietà, che ferisce pure la splendida Marsiglia. E dove c’è precarietà c’è criminalità: dove c’è povertà materiale, educativa, lavorativa, culturale e religiosa, il terreno delle mafie e dei traffici illeciti è spianato. L’impegno delle sole istituzioni non basta, serve un sussulto di coscienza per dire “no” all’illegalità e “sì” alla solidarietà, che non è una goccia nel mare, ma l’elemento indispensabile per purificarne le acque.
In effetti, il vero male sociale non è tanto la crescita dei problemi, ma la decrescita della cura. Chi oggi si fa prossimo dei giovani lasciati a sé stessi, facili prede della criminalità e della prostituzione? Chi se ne prende carico? Chi è vicino alle persone schiavizzate da un lavoro che dovrebbe renderle più libere? Chi si prende cura delle famiglie impaurite, timorose del futuro e di mettere al mondo nuove creature? Chi presta ascolto al gemito degli anziani soli che, anziché esser valorizzati, vengono parcheggiati, con la prospettiva falsamente dignitosa di una morte dolce, in realtà più salata delle acque del mare? Chi pensa ai bambini non nati, rifiutati in nome di un falso diritto al progresso, che è invece regresso nei bisogni dell’individuo? Oggi abbiamo il dramma di confondere i bambini con i cagnolini. Il mio segretario mi diceva che, passando per Piazza San Pietro, aveva visto qualche donna che portava i bambini nella carrozzina… ma non erano bambini, erano cagnolini! Questa confusione ci dice qualcosa di brutto. Chi guarda con compassione oltre la propria riva per ascoltare le grida di dolore che si levano dal Nord Africa e dal Medio Oriente? Quanta gente vive immersa nelle violenze e patisce situazioni di ingiustizia e di persecuzione! E penso a tanti cristiani, spesso costretti a lasciare le loro terre oppure ad abitarle senza veder riconosciuti i loro diritti, senza godere di piena cittadinanza. Per favore, impegniamoci perché quanti fanno parte della società possano diventarne cittadini a pieno diritto. E poi c’è un grido di dolore che più di tutti risuona, e che sta tramutando il mare nostrum in mare mortuum, il Mediterraneo da culla della civiltà a tomba della dignità. È il grido soffocato dei fratelli e delle sorelle migranti, a cui vorrei dedicare attenzione riflettendo sulla seconda immagine che ci offre Marsiglia, quella del suo porto.
2. Il porto di Marsiglia è da secoli una porta spalancata sul mare, sulla Francia e sull’Europa. Da qui molti sono partiti per trovare lavoro e futuro all’estero, e da qui tanti hanno varcato la porta del continente con bagagli carichi di speranza. Marsiglia ha un grande porto ed è una grande porta, che non può essere chiusa. Vari porti mediterranei, invece, si sono chiusi. E due parole sono risuonate, alimentando le paure della gente: “invasione” ed “emergenza”. E si chiudono i porti. Ma chi rischia la vita in mare non invade, cerca accoglienza, cerca vita. Quanto all’emergenza, il fenomeno migratorio non è tanto un’urgenza momentanea, sempre buona per far divampare propagande allarmiste, ma un dato di fatto dei nostri tempi, un processo che coinvolge attorno al Mediterraneo tre continenti e che va governato con sapiente lungimiranza: con una responsabilità europea in grado di fronteggiare le obiettive difficoltà. Sto guardando, qui, in questa mappa, i porti privilegiati per i migranti: Cipro, la Grecia, Malta, Italia e Spagna… Sono affacciati sul Mediterraneo e ricevono i migranti. Il mare nostrum grida giustizia, con le sue sponde che da un lato trasudano opulenza, consumismo e spreco, mentre dall’altro vi sono povertà e precarietà. Anche qui il Mediterraneo rispecchia il mondo, con il Sud che si volge al Nord, con tanti Paesi in via di sviluppo, afflitti da instabilità, regimi, guerre e desertificazione, che guardano a quelli benestanti, in un mondo globalizzato nel quale tutti siamo connessi ma i divari non sono mai stati così profondi. Eppure, questa situazione non è una novità degli ultimi anni, e non è questo Papa venuto dall’altra parte del mondo il primo ad avvertirla con urgenza e preoccupazione. La Chiesa ne parla con toni accorati da più di cinquant’anni.
Si era da poco concluso il Concilio Vaticano II e San Paolo VI, nell’Enciclica Populorum progressio, scrisse: «I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza. La chiesa trasale davanti a questo grido d’angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello» (n. 3). Papa Montini enumerò “tre doveri” delle nazioni più sviluppate, «radicati nella fraternità umana e soprannaturale»: «dovere di solidarietà, cioè l’aiuto che le nazioni ricche devono prestare ai Paesi in via di sviluppo; dovere di giustizia sociale, cioè il ricomponimento in termini più corretti delle relazioni commerciali difettose tra popoli forti e popoli deboli; dovere di carità universale, cioè la promozione di un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri» (n. 44). Alla luce del Vangelo e di queste considerazioni, Paolo VI, nel 1967, sottolineò il «dovere dell’accoglienza», sul quale, scrisse, «non insisteremo mai abbastanza» (n. 67). A questo, quindici anni prima, aveva incoraggiato Pio XII, scrivendo che «la Famiglia di Nazaret in esilio, Gesù, Maria e Giuseppe emigranti in Egitto […] sono il modello, l’esempio ed il sostegno di tutti gli emigranti e pellegrini di ogni età e di ogni paese, di tutti i profughi di qualsiasi condizione che, incalzati dalla persecuzione o dal bisogno, si vedono costretti ad abbandonare la patria, i cari parenti, […] e a recarsi in terra straniera» (Cost. Ap. Exsul Familia de spirituali emigrantium cura, 1° agosto 1952).
Certo, sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà nell’accogliere. I migranti vanno accolti, protetti o accompagnati, promossi e integrati. Se non si arriva fino alla fine, il migrante finisce nell’orbita della società. Accolto, accompagnato, promosso e integrato: questo è lo stile. È vero che non è facile avere questo stile o integrare persone non attese, però il criterio principale non può essere il mantenimento del proprio benessere, bensì la salvaguardia della dignità umana. Coloro che si rifugiano da noi non vanno visti come un peso da portare: se li consideriamo fratelli, ci appariranno soprattutto come doni. Domani si celebrerà la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Lasciamoci toccare dalla storia di tanti nostri fratelli e sorelle in difficoltà, che hanno il diritto sia di emigrare sia di non emigrare, e non chiudiamoci nell’indifferenza. La storia ci interpella a un sussulto di coscienza per prevenire il naufragio di civiltà. Il futuro, infatti, non sarà nella chiusura, che è un ritorno al passato, un’inversione di marcia nel cammino della storia. Contro la terribile piaga dello sfruttamento di esseri umani, la soluzione non è respingere, ma assicurare, secondo le possibilità di ciascuno, un ampio numero di ingressi legali e regolari, sostenibili grazie a un’accoglienza equa da parte del continente europeo, nel contesto di una collaborazione con i Paesi d’origine. Dire “basta”, invece, è chiudere gli occhi; tentare ora di “salvare sé stessi” si tramuterà in tragedia domani, quando le future generazioni ci ringrazieranno se avremo saputo creare le condizioni per un’imprescindibile integrazione, mentre ci incolperanno se avremo favorito soltanto sterili assimilazioni. L’integrazione, anche dei migranti, è faticosa, ma lungimirante: prepara il futuro che, volenti o nolenti, sarà insieme o non sarà; l’assimilazione, che non tiene conto delle differenze e resta rigida nei propri paradigmi, fa invece prevalere l’idea sulla realtà e compromette l’avvenire, aumentando le distanze e provocando la ghettizzazione, che fa divampare ostilità e insofferenze. Abbiamo bisogno di fraternità come del pane. La stessa parola “fratello”, nella sua derivazione indoeuropea, rivela una radice legata alla nutrizione e al sostentamento. Sosterremo noi stessi solo nutrendo di speranza i più deboli, accogliendoli come fratelli. «Non dimenticate l’ospitalità» (Eb 13,2), ci dice la Scrittura. E nell’Antico Testamento si ripete: la vedova, l’orfano e lo straniero. I tre doveri della carità: assistere la vedova, assistere l’orfano e assistere lo straniero, il migrante.
A tale proposito, il porto di Marsiglia è anche una “porta di fede”. Secondo la tradizione, qui approdarono i Santi Marta, Maria e Lazzaro, che seminarono il Vangelo in queste terre. La fede viene dal mare, come rievoca la suggestiva tradizione marsigliese della Candelora con la processione marittima. Lazzaro, nel Vangelo, è l’amico di Gesù, ma è anche il nome del protagonista di una sua parabola attualissima, la quale apre gli occhi sulla disuguaglianza che corrode la fraternità e ci parla della predilezione del Signore per i poveri. Ebbene, noi cristiani, che crediamo nel Dio fatto uomo, nell’unico e inimitabile Uomo che sulle rive del Mediterraneo si è detto via, verità e vita (cfr Gv 14,6), non possiamo accettare che le vie dell’incontro siano chiuse. Non chiudiamo le vie dell’incontro, per favore! Non possiamo accettare che la verità del dio denaro prevalga sulla dignità dell’uomo, che la vita si tramuti in morte! La Chiesa, confessando che Dio in Gesù Cristo «si è unito in certo modo ad ogni uomo» (Gaudium et spes, 22), crede, con San Giovanni Paolo II, che la sua via è l’uomo (cfr Lett. enc. Redemptor hominis, 14). Adora Dio e serve i più fragili, che sono i suoi tesori. Adorare Dio e servire il prossimo, ecco cosa conta: non la rilevanza sociale o la consistenza numerica, ma la fedeltà al Signore e all’uomo!
Questa è la testimonianza cristiana, e tante volte è pure eroica; penso ad esempio a San Charles de Foucauld, “fratello universale”, ai martiri dell’Algeria, ma anche a tanti operatori di carità di oggi. In questo stile di vita scandalosamente evangelico, la Chiesa ritrova il porto sicuro a cui attraccare e da cui ripartire per intessere legami con la gente di ogni popolo, ricercando ovunque le tracce dello Spirito e offrendo quanto per grazia ha ricevuto. Ecco la realtà più pura della Chiesa, ecco – scrisse Bernanos – «la Chiesa dei santi», aggiungendo che «tutto questo grande apparato di saggezza, di forza, di disciplina elastica, di magnificenza e di maestà, non è nulla di per sé, se la carità non lo anima» (Jeanne relapse et sainte, Paris 1994, 74). Mi piace esaltare questa perspicacia francese, genio credente e creativo, che ha affermato tali verità attraverso una moltitudine di gesti e scritti. San Cesareo di Arles diceva: «Se hai la carità, hai Dio; e se hai Dio, che cosa ti manca?» (Sermo 22,2). Pascal riconosceva che «l’unico oggetto della Scrittura è la carità» (Pensieri, n. 301) e che «la verità fuori della carità non è Dio, ma è la sua immagine e un idolo che non bisogna amare, né adorare» (Pensieri, n. 767). E San Giovanni Cassiano, che qui morì, scrisse che «tutto, anche ciò che si stima utile e necessario, val meno di quel bene che è la pace e la carità» (Conferenze spirituali XVI,6).
È bello dunque che i cristiani non siano secondi a nessuno nella carità; e che il Vangelo della carità sia la magna charta della pastorale. Non siamo chiamati a rimpiangere i tempi passati o a ridefinire una rilevanza ecclesiale, siamo chiamati alla testimonianza: non a ricamare il Vangelo di parole, ma a dargli carne; non a misurare la visibilità, ma a spenderci nella gratuità, credendo che «la misura di Gesù è l’amore senza misura» (Omelia, 23 febbraio 2020). San Paolo, l’Apostolo delle genti che trascorse buona parte della vita sulle rotte mediterranee, da un porto all’altro, insegnava che per adempiere la legge di Cristo occorre portare gli uni i pesi degli altri (cfr Gal 6,2). Cari fratelli Vescovi, non carichiamo di pesi le persone, ma alleviamo le loro fatiche in nome del Vangelo della misericordia, per distribuire con gioia il sollievo di Gesù a un’umanità stanca e ferita. La Chiesa non sia un insieme di prescrizioni, la Chiesa sia porto di speranza per gli sfiduciati. Allargate il cuore, per favore! La Chiesa sia porto di ristoro, dove le persone si sentano incoraggiate a prendere il largo nella vita con la forza impareggiabile della gioia di Cristo. La Chiesa non sia dogana. Ricordiamo il Signore: tutti, tutti, tutti sono invitati.
3. E vengo brevemente così all’ultima immagine, quella del faro. Esso illumina il mare e fa vedere il porto. Quali scie luminose possono orientare la rotta delle Chiese nel Mediterraneo? Pensando al mare, che unisce tante comunità credenti diverse, credo si possa riflettere su percorsi più sinergici, forse valutando anche l’opportunità di una Conferenza ecclesiale del Mediterraneo, come ha detto il Cardinale [Aveline]. che permetta ulteriori possibilità di scambio e dia maggiore rappresentatività ecclesiale alla regione. Anche pensando al porto e al tema migratorio, potrebbe essere proficuo lavorare per una pastorale specifica ancora più collegata, così che le Diocesi più esposte possano assicurare migliore assistenza spirituale e umana alle sorelle e ai fratelli che giungono bisognosi.
Il faro, in questo prestigioso palazzo che ne porta il nome, mi fa infine pensare soprattutto ai giovani: sono loro la luce che indica la rotta futura. Marsiglia è una grande città universitaria, sede di quattro campus; dei circa 35.000 studenti che li frequentano, 5.000 sono stranieri. Da dove cominciare a tessere i rapporti tra le culture, se non dall’università? Lì i giovani non sono ammaliati dalle seduzioni del potere, ma dal sogno di costruire l’avvenire. Le università mediterranee siano laboratori di sogni e cantieri di futuro, dove i giovani maturino incontrandosi, conoscendosi e scoprendo culture e contesti vicini e diversi al tempo stesso. Così si abbattono i pregiudizi, si sanano le ferite e si scongiurano retoriche fondamentaliste. State attenti alla predica di tanti fondamentalismi che oggi sono alla moda! Giovani ben formati e orientati a fraternizzare potranno aprire porte insperate di dialogo. Se vogliamo che si dedichino al Vangelo e all’alto servizio della politica, occorre prima di tutto che noi siamo credibili: dimentichi di noi stessi, liberi da autoreferenzialità, dediti a spenderci senza sosta per gli altri. Ma la sfida prioritaria dell’educazione riguarda ogni età formativa: già da bambini, “mischiandosi” con gli altri, si possono superare tante barriere e preconcetti, sviluppando la propria identità nel contesto di un mutuo arricchimento. A ciò può ben contribuire la Chiesa, mettendo al servizio le sue reti formative e animando una “creatività della fraternità”.
Fratelli e sorelle, la sfida è anche quella di una teologia mediterranea – la teologia dev’essere radicata nella vita; una teologia da laboratorio non funziona –, che sviluppi un pensiero aderente al reale, “casa” dell’umano e non solo del dato tecnico, in grado di unire le generazioni legando memoria e futuro, e di promuovere con originalità il cammino ecumenico tra i cristiani e il dialogo tra credenti di religioni diverse. È bello avventurarsi in una ricerca filosofica e teologica che, attingendo alle fonti culturali mediterranee, restituisca speranza all’uomo, mistero di libertà bisognoso di Dio e dell’altro per dare senso alla propria esistenza. Ed è necessario pure riflettere sul mistero di Dio, che nessuno può pretendere di possedere o padroneggiare, e che anzi va sottratto ad ogni utilizzo violento e strumentale, consci che la confessione della sua grandezza presuppone in noi l’umiltà dei cercatori.
Cari fratelli e sorelle, sono contento di essere qui a Marsiglia! Una volta il Signor Presidente mi ha invitato a visitare la Francia e mi ha detto così: “Ma è importante che venga a Marsiglia!”. E l’ho fatto. Vi ringrazio per il vostro paziente ascolto e per il vostro impegno. Andate avanti, coraggiosi! Siate mare di bene, per far fronte alle povertà di oggi con una sinergia solidale; siate porto accogliente, per abbracciare chi cerca un futuro migliore; siate faro di pace, per fendere, attraverso la cultura dell’incontro, gli abissi tenebrosi della violenza e della guerra. Grazie tante!
[01424-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Monsieur le Président de la République,
chers frères Évêques,
Mesdames et Messieurs les Maires et Autorités représentant les villes et territoires bordés par la Méditerranée,
Vous tous chers amis !
Je vous salue cordialement et vous suis, à chacun, reconnaissant d'avoir accepté l'invitation du cardinal Aveline à participer à ces rencontres. Je vous remercie pour votre travail et pour les réflexions précieuses que vous avez partagées. Après Bari et Florence, le chemin au service des peuples méditerranéens se poursuit : les responsables ecclésiastiques et civils sont encore ici réunis, non pas pour traiter d’intérêts mutuels, mais animés par le désir de s’occuper de l'homme ; merci de le faire avec les jeunes qui sont le présent et l'avenir de l'Église comme de la société.
La ville de Marseille est très ancienne. Fondée par des navigateurs grecs venus d'Asie Mineure, le mythe la fait remonter à une histoire d'amour entre un marin émigré et une princesse locale. Elle présente dès ses origines un caractère composite et cosmopolite : elle accueille les richesses de la mer et donne une patrie à ceux qui n'en ont plus. Marseille nous dit que, malgré les difficultés, la convivialité est possible et qu’elle est source de joie. Sur la carte, entre Nice et Montpellier, elle semble presque dessiner un sourire ; et j'aime à la considérer ainsi : Marseille est "le sourire de la Méditerranée". Je voudrais donc vous proposer quelques réflexions autour de trois réalités qui caractérisent Marseille : la mer, le port et le phare. Ce sont trois symboles.
1. La mer. Une marée de peuples a fait de cette ville une mosaïque d'espérance, avec sa grande tradition multiethnique et multiculturelle, représentée par plus de 60 consulats présents sur son territoire. Marseille est une ville à la fois plurielle et singulière, car c'est sa pluralité, fruit de sa rencontre avec le monde, qui rend son histoire singulière. On entend souvent dire aujourd'hui que l'histoire de la Méditerranée est un entrelacement de conflits entre différentes civilisations, religions et visions. Nous n’ignorons pas les problèmes – il y en a - mais ne nous y trompons pas : les échanges entre peuples ont fait de la Méditerranée un berceau de civilisations, une mer qui regorge de trésors, au point que, comme l'écrivait un grand historien français, elle n'est pas « un paysage, mais d'innombrables paysages. Ce n'est pas une mer, mais une succession de mers » ; « depuis des millénaires, tout s'y est engouffré, compliquant et enrichissant son histoire » (F. Braudel, La Méditerranée, Paris 1985, p. 16). La mare nostrum est un espace de rencontres : entre les religions abrahamiques, entre les pensées grecque, latine et arabe, entre la science, la philosophie et le droit, et entre bien d'autres réalités. Elle a diffusé dans le monde la haute valeur de l'être humain, doté de liberté, ouvert à la vérité et en mal de salut, qui voit le monde comme une merveille à découvrir et un jardin à habiter, sous le signe d'un Dieu qui fait alliance avec les hommes.
Un grand Maire voyait dans la Méditerranée non pas une question conflictuelle, mais une réponse de paix, mieux encore, « le commencement et le fondement de la paix entre toutes les nations du monde » (G. La Pira, Paroles en conclusion du premier Colloque Méditerranéen, 6 octobre 1958). Il disait en effet : « La réponse [...] est possible si l'on considère la vocation historique commune et pour ainsi dire permanente que la Providence a assignée dans le passé, assigne dans le présent et, en un certain sens, assignera dans l'avenir aux peuples et aux nations qui vivent sur les rives de ce mystérieux lac de Tibériade élargi qu'est la Méditerranée » (Discours d'ouverture du 1er Colloque méditerranéen, 3 octobre 1958). Lac de Tibériade, ou Mer de Galilée : un lieu, c’est-à-dire, où se concentrait à l'époque du Christ une grande variété de peuples, de cultes et de traditions. C'est là, dans la « Galilée des nations » (cf. Mt 4, 15), traversée par la Route de la Mer, que se déroula la plus grande partie de la vie publique de Jésus. Un contexte multiforme et, à bien des égards, instable, fut le lieu de la proclamation universelle des Béatitudes, au nom d'un Dieu Père de tous, qui « fait lever son soleil sur les méchants et sur les bons, et fait tomber la pluie sur les justes et sur les injustes » (Mt 5, 45). C'était aussi une invitation à élargir les frontières du cœur, en dépassant les barrières ethniques et culturelles. Voici donc la réponse qui vient de la Méditerranée : cette mer pérenne de Galilée invite à opposer la « convivialité des différences » à la division des conflits (T. Bello, Benedette inquietudini, Milano 2001, p. 73). La mare nostrum, au carrefour du Nord et du Sud, de l'Est et de l'Ouest, concentre les défis du monde entier comme en témoignent ses “cinq rives” sur lesquelles vous avez réfléchi : l'Afrique du Nord, le Proche-Orient, la mer Noire-Égée, les Balkans et l'Europe latine. Elle est à l’avant-poste de défis qui concernent tout le monde : nous pensons au défi climatique, la Méditerranée représentant un hotspot où les changements se font sentir plus rapidement. Comme il est important de sauvegarder le maquis méditerranéen, écrin unique de biodiversité ! Bref, cette mer, environnement qui offre une approche unique de la complexité, est un “miroir du monde”, et elle porte en elle une vocation mondiale à la fraternité, vocation unique et unique voie pour prévenir et surmonter les conflits.
Frères et sœurs, sur la mer actuelle des conflits, nous sommes ici pour valoriser la contribution de la Méditerranée, afin qu'elle redevienne un laboratoire de paix. Car telle est sa vocation : être un lieu où des pays et des réalités différentes se rencontrent sur la base de l'humanité que nous partageons tous, et non d'idéologies qui opposent. Oui, la Méditerranée exprime une pensée qui n'est pas uniforme ni idéologique, mais polyédrique et adhérente à la réalité ; une pensée vitale, ouverte et conciliante : une pensée communautaire, c'est le mot. Comme nous avons besoin de cela dans les circonstances actuelles où des nationalismes archaïques et belliqueux veulent faire disparaître le rêve de la communauté des nations ! Mais - rappelons-le - avec les armes on fait la guerre, pas la paix, et avec l'avidité du pouvoir on retourne toujours au passé, on ne construit pas l'avenir.
Par où commencer alors pour enraciner la paix ? Sur les rives de la Mer de Galilée, Jésus commença par donner de l’espérance aux pauvres, en les proclamant bienheureux : il écouta leurs besoins, il soigna leurs blessures, il leur annonça avant tout la bonne nouvelle du Royaume. C'est de là qu’il faut repartir, du cri souvent silencieux des derniers, et non des premiers de la classe qui élèvent la voix même s'ils sont bien lotis. Repartons, Église et communauté civile, de l'écoute des pauvres qui sont à « s'embrasser, et non pas à compter » (P. Mazzolari, La parola ai poveri, Bologne 2016, p. 39), car ils sont des visages et non des numéros. Le changement de rythme de nos communautés consiste à les traiter comme des frères dont nous devons connaître l'histoire, et non comme des problèmes gênants, en les expulsant, en les renvoyant chez eux ; il consiste à les accueillir, et non les cacher ; à les intégrer, et non s’en débarrasser ; à leur donner de la dignité. Et Marseille, je veux le répéter, est la capitale de l'intégration des peuples. C'est votre fierté ! Aujourd'hui, la mer de la coexistence humaine est polluée par la précarité qui blesse même la splendide Marseille. Et là où il y a précarité il y a criminalité : là où il y a pauvreté matérielle, éducative, professionnelle, culturelle, religieuse, le terrain des mafias et des trafics illicites est déblayé. L'engagement des seules institutions ne suffit pas, il faut un sursaut de conscience pour dire “non” à l'illégalité et “oui” à la solidarité, ce qui n'est pas une goutte d'eau dans la mer, mais l'élément indispensable pour en purifier les eaux.
En effet, le véritable mal social n'est pas tant l'augmentation des problèmes que le déclin de la prise en charge. Qui aujourd'hui est proche des jeunes livrés à eux-mêmes, proies faciles de la délinquance et de la prostitution ? Qui les prend en charge ? Qui est proche des personnes asservies par un travail qui devrait les rendre plus libres ? Qui s'occupe des familles effrayées, qui ont peur de l'avenir et de mettre au monde de nouvelles créatures ? Qui écoute les gémissements des personnes âgées isolées qui, au lieu d'être valorisées, sont parquées dans la perspective faussement digne d'une mort douce, en réalité plus salée que les eaux de la mer ? Qui pense aux enfants à naître, rejetés au nom d'un faux droit au progrès, qui est au contraire une régression de l'individu ? Aujourd'hui, nous avons le drame de confondre les enfants avec les petits chiens. Mon secrétaire me disait qu'en passant par la place Saint-Pierre, il avait vu des femmes qui portaient des enfants dans des poussettes... mais ce n'étaient pas des enfants, c'étaient des petits chiens ! Cette confusion nous dit quelque chose de mauvais. Qui regarde avec compassion au-delà de ses frontières pour entendre les cris de douleur qui montent d'Afrique du Nord et du Moyen-Orient ? Combien de personnes vivent plongées dans les violences et souffrent de situations d'injustice et de persécution ! Et je pense à tant de chrétiens, souvent contraints de quitter leur terre ou d'y vivre sans que leurs droits soient reconnus, sans qu'ils jouissent d’une citoyenneté à part entière. S'il vous plaît, engageons-nous pour que ceux qui font partie de la société puissent en devenir les citoyens de plein droit. Et puis il y a un cri de douleur qui résonne plus que tout autre, et qui transforme la mare nostrum en mare mortuum, la Méditerranée, berceau de la civilisation en tombeau de la dignité. C'est le cri étouffé des frères et sœurs migrants, auxquels je voudrais consacrer mon attention en réfléchissant sur la deuxième image que nous offre Marseille, celle de son port.
2. Le port de Marseille est depuis des siècles une porte grand-ouverte sur la mer, sur la France et sur l'Europe. C'est d'ici que beaucoup sont partis chercher du travail et un avenir à l'étranger, c'est d'ici que beaucoup ont franchi la porte du continent avec des bagages chargés d'espérance. Marseille a un grand port et elle est une grande porte qui ne peut être fermée. Plusieurs ports méditerranéens, en revanche, se sont fermés. Et deux mots ont résonné, alimentant la peur des gens : “invasion” et “urgence”. Et on ferme les ports. Mais ceux qui risquent leur vie en mer n'envahissent pas, ils cherchent hospitalité, ils cherchent la vie. Quant à l'urgence, le phénomène migratoire n'est pas tant une urgence momentanée, toujours bonne à susciter une propagande alarmiste, mais un fait de notre temps, un processus qui concerne trois continents autour de la Méditerranée et qui doit être géré avec une sage prévoyance, avec une responsabilité européenne capable de faire face aux difficultés objectives. Je regarde, ici, sur cette carte, les ports privilégiés pour les migrants : Chypre, la Grèce, Malte, l'Italie et l'Espagne... Ils font face à la Méditerranée et accueillent les migrants. La mare nostrum crie justice, avec ses rivages où, d’un côté, règnent l'opulence, le consumérisme et le gaspillage et, de l’autre, la pauvreté et la précarité. Là encore, la Méditerranée est un reflet du monde : le Sud qui se tourne vers le Nord, avec beaucoup de pays en développement, en proie à l'instabilité, aux régimes, aux guerres et à la désertification, qui regardent les plus aisés, dans un monde globalisé où nous sommes tous connectés mais où les fossés n'ont jamais été aussi profonds. Pourtant, cette situation n'est pas nouvelle de ces dernières années, et ce n'est pas ce Pape venu de l'autre bout du monde à avoir le premier à l'alerté, avec urgence et préoccupation. Cela fait plus de cinquante ans que l'Église en parle de manière pressante.
Le concile Vatican II venait de se conclure lorsque saint Paul VI, dans l’encyclique Populorum progressio, écrivait : « Les peuples de la faim interpellent aujourd'hui de façon dramatique les peuples de l'opulence. L’Église tressaille devant ce cri d’angoisse et appelle chacun à répondre avec amour à l’appel de son frère » (n. 3). Le Pape Montini énuméra “trois devoirs” des nations les plus développées, « enracinés dans la fraternité humaine et surnaturelle » : « devoir de solidarité, c’est à dire l’aide que les nations riches doivent apporter aux pays en voie de développement ; devoir de justice sociale, c’est-à-dire le redressement des relations commerciales défectueuses entre peuples forts et peuples faibles ; devoir de charité universelle, c’est-à-dire la promotion d’un monde plus humain pour tous, où tous auront à donner et à recevoir, sans que le progrès des uns soit un obstacle au développement des autres » (n. 44). À la lumière de l’Évangile et de ces considérations, Paul VI, en 1967, soulignait le « devoir de l’accueil », sur lequel il écrivait : « nous ne saurions trop insister » (n. 67). Pie XII avait encouragé à cela quinze années auparavant en écrivant que : « La famille de Nazareth en exile, Jésus, Marie et Joseph émigrés en Egypte […] sont le modèle, l’exemple et le soutien de tous les émigrés et pèlerins de tous les temps et de tous les pays, de tous les réfugiés de toute condition qui, poussés par la persécution ou par le besoin, se voient contraints d’abandonner leur patrie, les personnes qui leurs sont chères, […] et se rendre en terre étrangère » (Const. ap. Exsul Familia de spirituali emigrantium cura, 1er août 1952).
Certes, les difficultés d’accueil sont sous les yeux de tous. Les migrants doivent être accueillis, protégés ou accompagnés, promus et intégrés. Dans le cas contraire, le migrant se retrouve dans l'orbite de la société. Accueillis, accompagnés, promus et intégrés : tel est le style. Il est vrai qu'il n'est pas facile d'avoir ce style ou d'intégrer des personnes non attendues. Cependant le critère principal ne peut être le maintien de leur bien-être, mais la sauvegarde de la dignité humaine. Ceux qui se réfugient chez nous ne doivent pas être considérés comme un fardeau à porter : si nous les considérons comme des frères, ils nous apparaîtront surtout comme des dons. La Journée Mondiale du Migrant et du Réfugié sera célébrée demain. Laissons-nous toucher par l’histoire de tant de nos frères et sœurs en difficulté qui ont le droit tant d’émigrer que de ne pas émigrer, et ne nous enfermons pas dans l’indifférence. L’histoire nous interpelle à un sursaut de conscience pour prévenir le naufrage de civilisation. L’avenir, en effet, ne sera pas dans la fermeture qui est un retour au passé, une inversion de marche sur le chemin de l’histoire. Contre le terrible fléau de l’exploitation des êtres humains, la solution n’est pas de rejeter, mais d’assurer, selon les possibilités de chacun, un grand nombre d’entrées légales et régulières, durables grâce à un accueil équitable de la part du continent européen, dans le cadre d’une collaboration avec les pays d’origine. Dire “assez” c’est au contraire fermer les yeux ; tenter maintenant de “se sauver” se transformera demain en tragédie. Alors que les générations futures nous remercieront pour avoir su créer les conditions d’une intégration indispensable, elles nous accuseront pour n’avoir favorisé que des assimilations stériles. L’intégration, même des migrants, est difficile, mais clairvoyante : elle prépare l’avenir qui, qu’on le veuille ou non, se fera ensemble ou ne sera pas ; l’assimilation, qui ne tient pas compte des différences et reste rigide dans ses paradigmes, fait prévaloir l’idée sur la réalité et compromet l’avenir en augmentant les distances et en provoquant la ghettoïsation, provoquant hostilité et intolérance. Nous avons besoin de fraternité comme de pain. Le mot même “frère”, dans sa dérivation indo-européenne, révèle une racine liée à la nutrition et à la subsistance. Nous ne nous soutiendrons qu’en nourrissant d’espérance les plus faibles, en les accueillant comme des frères. « N’oubliez pas l’hospitalité » (He 13, 2), nous dit l’Écriture. Et dans l'Ancien Testament, il est répété : la veuve, l'orphelin et l'étranger. Les trois devoirs de charité : assister la veuve, assister l'orphelin et assister l'étranger, le migrant.
À cet égard, le port de Marseille est aussi une “porte de la foi”. Selon la tradition, les saints Marthe, Marie et Lazare ont débarqué ici, et ont semé l’Évangile sur ces terres. La foi vient de la mer, comme l’évoque la suggestive tradition marseillaise de la chandeleur avec la procession maritime. Lazare, dans l’Évangile, est l’ami de Jésus, mais c’est aussi le nom du protagoniste d’une parabole très actuelle qui ouvre les yeux sur l’inégalité qui ronge la fraternité et nous parle de la prédilection du Seigneur pour les pauvres. Eh bien, nous chrétiens qui croyons au Dieu fait homme, à l’homme unique et inimitable qui, sur les rives de la Méditerranée, s’est dit chemin, vérité et vie (cf. Jn 14, 6), nous ne pouvons pas accepter que les voies de la rencontre soient fermées. Ne fermons pas les voies de la rencontre, s'il vous plaît ! Nous ne pouvons accepter que la vérité du dieu argent l’emporte sur la dignité de l’homme, que la vie se transforme en mort ! L’Église, en confessant que Dieu, en Jésus Christ, « s’est en quelque sorte uni à tout homme » (Gaudium et spes, n. 22), croit, avec saint Jean-Paul II, que son chemin est l’homme (cf. Lett. enc. Redemptor hominis, n. 14). Elle adore Dieu et sert les plus fragiles qui sont ses trésors. Adorer Dieu et servir le prochain, voilà ce qui compte : non pas la pertinence sociale ou l’importance numérique, mais la fidélité au Seigneur et à l’homme !
Voilà le témoignage chrétien et, bien souvent, il est héroïque. Je pense par exemple à saint Charles de Foucauld, le “frère universel”, aux martyrs de l’Algérie, mais aussi à tant d’artisans de la charité d’aujourd’hui. Dans ce style de vie scandaleusement évangélique, l’Église retrouve le port sûr auquel accoster et d’où repartir pour tisser des liens avec les personnes de tous les peuples, en recherchant partout les traces de l’Esprit et en offrant ce qu’elle a reçu par grâce. Voilà la réalité la plus pure de l’Église, voilà - écrivait Bernanos - « l’Église des saints », ajoutant que « tout ce grand appareil de sagesse, de force, de souple discipline, de magnificence et de majesté n’est rien de lui-même, si la charité ne l’anime » (Jeanne d’Arc relapse et sainte, Paris 1994, p. 74). J’aime exalter cette perspicacité française, génie croyant et créatif qui a affirmé ces vérités à travers une multitude de gestes et d’écrits. Saint Césaire d’Arles disait : « Si tu as la charité, tu as Dieu ; et si tu as Dieu, que ne possèdes-tu pas ? » (Sermo 22, 2). Pascal reconnaissait que « l’unique objet de l’Écriture est la charité » (Pensées, n. 301) et que « la vérité hors de la charité, n’est pas Dieu ; elle est son image, et une idole qu’il ne faut point aimer, ni adorer » (Pensées, n. 767). Et saint Jean Cassien, qui est mort ici, écrivait que « tout, même ce qu’on estime utile et nécessaire, vaut moins que ce bien qu’est la paix et la charité » (Conférences spirituelles XVI, 6).
Il est bon, par conséquent, que les chrétiens ne viennent pas en deuxième position en matière de charité ; et que l’Évangile de la charité soit la magna charta de la pastorale. Nous ne sommes pas appelés à regretter les temps passés ou à redéfinir une importance ecclésiale, nous sommes appelés au témoignage : non pas broder l’Évangile de paroles, mais lui donner de la chair ; non pas mesurer la visibilité, mais nous dépenser dans la gratuité, croyant que « la mesure de Jésus est l’amour sans mesure » (Homélie, 23 février 2020). Saint Paul, l’Apôtre des nations qui passa une bonne partie de sa vie à traverser la Méditerranée d’un port à l’autre, enseignait que pour accomplir la loi du Christ, il faut porter mutuellement le poids des uns des autres (cf. Ga 6, 2). Chers frères évêques, ne chargeons pas les personnes de fardeaux, mais soulageons leurs efforts au nom de l’Évangile de la miséricorde, pour distribuer avec joie le soulagement de Jésus à une humanité fatiguée et blessée. Que l’Église ne soit pas un ensemble de prescriptions, que l’Église soit un port d’espérance pour les personnes découragées. Élargissez vos cœurs, s'il vous plaît ! Que l'Église soit un port de ravitaillement, où les personnes se sentent encouragées à prendre le large dans la vie avec la force incomparable de la joie du Christ. Que l'Église ne soit pas une douane. Souvenons-nous du Seigneur : tous, tous, tous sont invités.
3. Et j’en viens brièvement ainsi à la dernière image, celle du phare. Il illumine la mer et fait voir le port. Quelles traces lumineuses peuvent orienter le cap des Églises dans la Méditerranée ? En pensant à la mer qui unit tant de communautés croyantes différentes, je pense que l’on peut réfléchir sur des parcours plus synergiques, en évaluant peut-être aussi l’opportunité d’une Conférence ecclésiale de la Méditerranée, comme l’a dit le Cardinal [Aveline], qui permettrait de nouvelles possibilités d’échanges et qui donnerait une plus grande représentativité ecclésiale à la région. En pensant au port et au thème migratoire, il pourrait être profitable de travailler à une pastorale spécifique encore plus reliée, afin que les diocèses les plus exposés puissent assurer une meilleure assistance spirituelle et humaine aux sœurs et aux frères qui arrivent dans le besoin.
Le phare, dans ce prestigieux palais qui porte son nom, me fait enfin penser surtout aux jeunes : ce sont eux la lumière qui indique la route de l’avenir. Marseille est une grande ville universitaire qui abrite quatre campus : sur les quelque 35000 étudiants qui les fréquentent, 5000 sont étrangers. Par où commencer à tisser des liens entre les cultures, sinon par l’université ? Là, les jeunes ne sont pas fascinés par les séductions du pouvoir, mais par le rêve de construire l’avenir. Que les universités méditerranéennes soient des laboratoires de rêves et des chantiers d’avenir, où les jeunes grandissent en se rencontrant, en se connaissant et en découvrant des cultures et des contextes à la fois proches et différents. On abat ainsi les préjugés, on guérit les blessures et on conjure des rhétoriques fondamentalistes. Faites attention à la prédication de tant de fondamentalismes qui sont à la mode aujourd'hui ! Des jeunes bien formés et orientés à fraterniser pourront ouvrir des portes inespérées de dialogue. Si nous voulons qu’ils se consacrent à l’Évangile et au haut service de la politique, il faut avant tout que nous soyons crédibles : oublieux de nous-mêmes, libérés de l’autoréférentialité, prêts à nous dépenser sans cesse pour les autres. Mais le défi prioritaire de l’éducation concerne tous les âges de la formation : dès l’enfance, “en se mélangeant” avec les autres, on peut surmonter beaucoup de barrières et de préjugés en développant sa propre identité dans le contexte d’un enrichissement mutuel. L’Église peut bien y contribuer en mettant au service ses réseaux de formation et en animant une “créativité de la fraternité”.
Frères et sœurs, le défi est aussi celui d’une théologie méditerranéenne - la théologie doit être enracinée dans la vie ; une théologie de laboratoire ne fonctionne pas - qui développe une pensée qui adhère au réel, “maison” de l’humain et pas seulement des données techniques, en mesure d’unir les générations en reliant mémoire et avenir, et de promouvoir avec originalité le chemin œcuménique entre chrétiens et le dialogue entre croyants de religions différentes. Il est beau de s’aventurer dans une recherche philosophique et théologique qui, en puisant aux sources culturelles méditerranéennes, redonne espérance à l’homme, mystère de liberté en mal de Dieu et de l’autre, pour donner un sens à son existence. Et il est également nécessaire de réfléchir sur le mystère de Dieu, que personne ne peut prétendre posséder ou maîtriser, et qui doit même être soustrait à tout usage violent et instrumental, conscients que la confession de sa grandeur présuppose en nous l’humilité des chercheurs.
Chers frères et sœurs, je suis heureux d’être ici à Marseille ! Un jour, Monsieur le Président m'a invité à visiter la France et m'a dit : "Mais il est important que vous veniez à Marseille !”. Et je l’ai fait. Je vous remercie de votre écoute patiente et de votre engagement. Allez de l’avant, courageux ! Soyez une mer de bien, pour faire face aux pauvretés d’aujourd’hui avec une synergie solidaire ; soyez un port accueillant, pour embrasser ceux qui cherchent un avenir meilleur ; soyez un phare de paix, pour anéantir, à travers la culture de la rencontre, les abîmes ténébreux de la violence et de la guerre. Merci beaucoup !
[01424-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Mr President,
Dear brother Bishops,
Distinguished Mayors and Authorities representing cities and territories bordered by the Mediterranean Sea,
Dear friends all!
I offer my cordial greetings and I am grateful to each of you for having accepted the invitation of Cardinal Aveline to participate in these meetings. Thank you for your work and the valuable reflections that you shared. After Bari and Florence, the journey in service to the Mediterranean peoples is moving forward: here also, Church and civil leaders are gathered not to deal with mutual interests, but animated by the desire to care for men and women. Thank you for involving young people, who are the present and future of the Church and society.
Marseille is a very ancient city. Founded by Greek sailors who came from Asia Minor, legend traces it back to a love story between an emigrant sailor and a native princess. From its beginnings, it has displayed a diverse and cosmopolitan character: it welcomes the riches of the sea and gives a homeland to those who no longer have one. Marseilles tells us that, despite difficulties, coexistence is possible and is a source of joy. On the map, it almost seems to draw a smile between Nice and Montpellier. I like to think of it that way: Marseilles as “the smile of the Mediterranean”. So I want to offer you some thoughts centred around three aspects that characterize Marseille, three symbols: the sea, the port and the lighthouse.
1. The sea. A tide of peoples has made this city a mosaic of hope, with its great multiethnic and multicultural tradition, represented by the more than sixty Consulates in its territory. Marseille is both a diverse and distinct city, for it is its diversity, the fruit of an encounter with the world, that makes its history distinct. Nowadays we often hear that Mediterranean history is an intertwining of conflicts between different civilizations, religions and visions. Let us not ignore the problems that exist, yet let us not be misled: the exchanges that have taken place between peoples have made the Mediterranean the cradle of civilization, a sea overflowing with treasures, to the point that, as a great French historian wrote, it is “not one landscape, but countless landscapes. Not one sea, but a succession of seas,… for millennia everything has flowed into it, complicating and enriching its history” (F. BRAUDEL, La Méditerranée, Paris 1985, 16). Our sea (mare nostrum) is a place of encounter: among the Abrahamic religions; among Greek, Latin and Arabic thought; among science, philosophy and law; and among many other realities. It has conveyed to the world the lofty value of the human being, endowed with freedom, open to the truth and in need of salvation, who sees the world as a wonder to be discovered and as a garden to be inhabited, under the imprint of a God who makes covenants with men and women.
A great mayor saw in the Mediterranean not a question of conflict but a response of peace, indeed “the beginning and foundation of peace among all the nations of the world” (G. LA PIRA, Remarks at the Conclusion of the First Mediterranean Colloquium, 6 October 1958). He said: “The answer… is possible if we consider the common and, so to speak, permanent vocation that Providence assigned in the past, assigns in the present and, in a certain sense, will assign in the future to the peoples and nations who live on the shores of this mysterious enlarged Lake of Tiberias that is the Mediterranean” (Address at the Opening of the First Mediterranean Colloquium, 3 October 1958). At the time of Christ, the Lake of Tiberias, or the Sea of Galilee, had a concentration of various populations, beliefs and traditions. Precisely there, in “Galilee of the Gentiles” (cf. Mt 4:15), crossed by the Sea Route, the greater part of Jesus’ public life took place. A multifaceted and in many ways unstable context was the place for the universal proclamation of the Beatitudes, in the name of a God who is Father of all, who “makes his sun rise on the evil and on the good, and sends rain on the just and on the unjust” (Mt 5:45). This was also an invitation to broaden the frontiers of the heart, overcoming ethnic and cultural barriers. Here then is the answer that comes from the Mediterranean: this perennial Sea of Galilee urges us to oppose the divisiveness of conflicts with the “coexistence of differences” (T. BELLO, Benedette inquietudini, Milan 2001, 73). Our sea, at the crossroads of North and South, East and West, brings together the challenges of the whole world, as the “five shores” on which you have reflected bear witness: North Africa, the Near East, the Black and Aegean Seas, the Balkans and Latin Europe. It is an outpost of challenges that concern everyone: let us think of the climate, with the Mediterranean representing a hotspot where changes are felt more quickly. How important it is to safeguard the Mediterranean patchwork, a unique treasure-trove of biodiversity! In short, this sea, an environment that offers a unique approach to complexity, is a “mirror of the world” and bears within itself a global vocation to fraternity, a unique vocation and the only way to prevent and overcome conflict.
Brothers and sisters, amidst today’s sea of conflicts, we are here to enhance the contribution of the Mediterranean, so that it can return to being a laboratory of peace. For this is its vocation, to be a place where different countries and realities can encounter each other on the basis of the humanity we all share, and not on the basis of contrasting ideologies. Indeed, the Mediterranean expresses a way of thinking that is not uniform and ideological, but multifaceted and consistent with the way things are; a vital, open and accommodating way of thinking, one that is communitarian, which is the correct word. How greatly we need this at the present juncture, when antiquated and belligerent nationalisms want to make the dream of the community of nations fade! Yet – let us remember this – with weapons we make war, not peace, and with greed for power we always return to the past, rather than building the future.
Where should we begin, then, in order for peace to take root? On the banks of the Sea of Galilee, Jesus began by giving hope to the poor and proclaiming them blessed: he listened to their needs, healed their wounds and above all announced to them the good news of the Kingdom. We need to start again from there, from the often silent cry of the least among us, not from the more fortunate ones who have no need of help yet still raise their voices. Let us, the Church and civil society, start anew by listening to the poor who “should be embraced, not counted” (P: MAZZOLARI, La parola ai poveri, Bologna 2016, 39), for they are faces, not numbers. The change of direction in our communities lies in treating them as brothers and sisters whose stories we know, not as troublesome problems or chasing them away, sending them home; it lies in welcoming them, not hiding them; in integrating them, not evicting them; in giving them dignity. I wish to repeat that Marseilles is the capital of integrating peoples. You can be proud of this! Today the sea of human coexistence is polluted by instability, which even assails beautiful Marseille. Where there is instability there is crime. Where there is lack of work together with material, educational, cultural and religious poverty, the path is opened up for gangs and illicit trafficking. The commitment of institutions alone is not enough, we need a jolt of conscience to say “no” to lawlessness and “yes” to solidarity, which is not a drop in the ocean, but the indispensable element for purifying its waters.
Indeed, the real social evil is not so much the increase of problems, but the decrease of care. Who nowadays becomes a neighbour to the young people left to themselves, who are easy prey for crime and prostitution? Who is taking care of them? Who is close to people enslaved by work that should make them freer? Who cares for the frightened families, afraid of the future and of bringing children into the world? Who listens to the groaning of our isolated elderly brothers and sisters, who, instead of being appreciated, are pushed aside, under the false pretenses of a supposedly dignified and “sweet” death that is more “salty” than the waters of the sea? Who thinks of the unborn children, rejected in the name of a false right to progress, which is instead a retreat into the selfish needs of the individual? Today we see the tragedy of confusing children for animals. My secretary told me that as he passed through Saint Peter’s Square he saw some women carrying children in prams... but they were not children, they were dogs! This confusion tells us something ominous. Who looks with compassion beyond their own shores to hear the cry of pain rising from North Africa and the Middle East? How many people live immersed in violence and endure situations of injustice and persecution! Here I am thinking of the many Christians who are frequently forced to leave their homelands or dwell in them without recognition of their rights, and not enjoying full citizenship. Please, let us commit ourselves so that all who are part of society can become citizens with full rights. Finally, there is a cry of pain that resonates most of all, and it is turning the Mediterranean, the mare nostrum, from the cradle of civilization into the mare mortuum, the graveyard of dignity: it is the stifled cry of migrant brothers and sisters. I want to devote attention to this cry by reflecting on the second image Marseille offers us, that of its port.
2. The port of Marseille has been a wide-open gateway to the sea, to France and to Europe for centuries. From here many have left to find work and a future abroad, and from here many have passed through the gateway to the continent with luggage laden with hope. Marseille has a large port and is a grand gateway, which cannot be closed. Several Mediterranean ports, on the other hand, have closed. And there were two words that resounded, fueling people’s fears: “invasion” and “emergency”. Thus they closed the ports. Yet those who risk their lives at sea do not invade, they look for welcome, they are looking for life. As for the emergency, the phenomenon of migration is not so much a short-term urgency, always good for fueling alarmist propaganda, but a reality of our times, a process that involves three continents around the Mediterranean and that must be governed with wise foresight, including a European response capable of coping with the objective difficulties. I am looking here, on this map, at the ports preferred by migrants: Cyprus, Greece, Malta, Italy and Spain... They face the Mediterranean and receive migrants. The mare nostrum cries out for justice, with its shores that, on the one hand, exude affluence, consumerism and waste, while on the other there is poverty and instability. Here also the Mediterranean mirrors the world, with the South turning to the North, with many developing countries, plagued by instability, regimes, wars and desertification, looking to those that are well-off, in a globalized world in which we are all connected, but one in which the disparities have never been so wide. Yet, this situation is not a novelty of recent years, and this Pope who came from the other side of the world is not the first to warn of it with urgency and concern. The Church has been speaking about it in heartfelt tones for more than fifty years.
Shortly after the conclusion of the Second Vatican Council, Saint Paul VI, in his Encyclical Populorum Progressio, wrote: “The hungry nations of the world cry out to the peoples blessed with abundance. And the Church, cut to the quick by this cry, asks each and every man to hear his brother’s plea and answer it lovingly” (No. 3). Pope Paul listed “three duties” of the more developed nations, “stemming from the human and supernatural brotherhood of man… mutual solidarity – the aid that the richer nations must give to developing nations; social justice – the rectification of trade relations between strong and weak nations; universal charity – the effort to build a more human world community, where all can give and receive, and where the progress of some is not bought at the expense of others” (No. 44). In 1967, in the light of the Gospel and of these considerations, Paul VI stressed the “duty of giving foreigners a hospitable reception”, a duty on which, he wrote, “we cannot insist too much” (No. 67). Fifteen years earlier, Pope Pius XII had encouraged this, writing that “the Holy Family in exile, Jesus, Mary and Joseph emigrating to Egypt… is the model, example and support for all emigrants and pilgrims of every time and country, and of all refugees of whatever condition who, whether compelled by persecution or by want, are forced to leave their native land and beloved parents… and to seek a foreign soil” (Apostolic Constitution Exsul Familia de spirituali emigrantium cura, 1 August 1952).
Certainly, no one can fail to see the difficulties involved in offering welcome. Migrants must be welcomed, protected or accompanied, promoted and integrated. If this does not take place then migrants end up on the margins of society. Welcomed, accompanied, promoted and integrated: this is the style. It is true that it is not easy to have this style or to integrate unexpected persons, yet the principal criterion cannot be the preservation of one’s own well-being, but rather the safeguarding of human dignity. Those who take refuge in our midst should not be viewed as a heavy burden to be borne: if we consider them instead as brothers and sisters, they will appear to us above all as gifts. Tomorrow we celebrate the World Day of Migrants and Refugees. May we let ourselves be moved by the stories of so many of our unfortunate brothers and sisters who have the right both to emigrate and not to emigrate, and not become closed in indifference. History is challenging us to make a leap of conscience in order to prevent the shipwreck of civilization. For the future will not lie in being closed, which is a return to the past, a turnaround in the journey of history. In the face of the terrible scourge of the exploitation of human beings, the solution is not to reject but to ensure, according to the possibilities of each, an ample number of legal and regular entrances. This would be sustainable with an equitable welcome on the part of the European continent, in the context of cooperation with the countries of origin. Whereas, merely crying “enough!” is to close our eyes; attempting now to “save ourselves” will turn into tragedy tomorrow. Future generations will thank us if we were able to create the conditions for a necessary integration. Otherwise, they will censure us if we favour only sterile forms of assimilation. Integration of migrants is a tiring effort but farsighted; an assimilation that does not take into account differences and remains rigidly fixed in its own paradigms only makes ideas prevail over reality and jeopardizes the future, increasing distances and provoking ghettoization, which in turn sparks hostility and forms of intolerance. We need fraternity as much as we need bread. The very word “brother” in its Indo-European etymology derives from a root associated with nutrition and sustenance. We will support ourselves only by nourishing with hope the most vulnerable, accepting them as brothers and sisters. “Do not neglect to show hospitality” (Heb 13:2), Scripture tells us. And in the Old Testament it is repeated: the widow, the orphan and the stranger. The three duties of charity: assist the widow, assist the orphan and assist the stranger, the migrant
In this regard, the port of Marseille is also a “door of faith”. According to tradition, it was here that Saints Martha, Mary and Lazarus landed and then sowed the seed of the Gospel in these lands. Faith comes from the sea, as we are reminded by the evocative Marseille tradition of Candlemas and its maritime procession. In the Gospel, Lazarus is Jesus’ friend, but also the name of the protagonist of one of his most timely parables, one that opens our eyes to the inequality that corrodes fraternity and speaks to us of the Lord’s preference for the poor. As Christians, who believe in God made man, in the one inimitable Man who on the shores of the Mediterranean called himself the way, the truth and the life (cf. Jn 14:6), we cannot accept that the paths of encounter should be closed. Please, let us not close the paths of encounter! We cannot accept that the truth of Mammon should prevail over human dignity, that life should turn into death! The Church proclaims that God in Jesus Christ “in a certain way united himself to every man and woman” (Gaudium et Spes, 22) and believes, with Saint John Paul II, that humanity is her way (cf. Encyclical Letter Redemptor Hominis, 14). Worship God and serve the most vulnerable, who are his treasures. Adore God and serve your neighbour, that is what counts: not social importance or vast numbers, but fidelity to the Lord and to humanity!
This is Christian witness, and frequently it is even heroic: I think for example of Saint Charles de Foucauld, the “universal brother”, of the martyrs of Algeria, but also of all those agents of charity in our own day. In this scandalously evangelical style of life, the Church discovers the sure port in which to dock and from which to set out in order to weave bonds with the people of every nation, seeking everywhere the traces of the Spirit and offering all that she herself has received by grace. This is the purest reality of the Church, this is – as Bernanos wrote – “the Church of the saints”, adding that “this great apparatus of wisdom, strength, elastic discipline, magnificence and majesty, is nothing by itself, unless inspired by charity” (Jeanne, relapse et sainte, Paris, 1994, 74). I am happy to celebrate this particularly French insight, this creative Christian genius that has reaffirmed so many truths through a multitude of actions and writings. Saint Caesarius of Arles said: “If you have charity, you have God; and if you have God, what do you lack?” (Sermo 22, 2). Pascal recognized that “the sole object of Scripture is charity” (Pensées, No. 301) and that “truth apart from charity is not God but his image and an idol that one must not love or adore” (ibid., No. 767). Hence Saint John Cassian, who died here, wrote that “Everything, even what we consider useful and necessary, is of less value than that good which is peace and charity” (Collationes, XVI, 6).
It is right, then, that Christians should be second to none in charity; and that the Gospel of charity be the magna carta of all pastoral work. We are not called to grieve over times past, or to redefine the Church’s role in society; we are called to bear witness, not to embroider the Gospel with words, but to give it flesh; not to worry about our visibility but to spend ourselves in utter gratuity, believing that “the measure of Jesus is love without measure” (Homily, 23 February 2020). Saint Paul, the apostle of the nations, who spent much of his life crossing the Mediterranean from one port to another, taught that in order to fulfill the law of Christ it is necessary to bear one another’s burdens (cf. Gal 6:2). Dear brother Bishops, let us not burden others, but relieve their burdens in the name of the Gospel of mercy, in order to spread joyfully the consolation of Jesus to a weary and wounded humanity. May the Church not be a list of regulations but a port of hope for those who have lost their confidence. Please, open wide your hearts! May the Church be a port of refreshment, where people feel encouraged to embark upon life with the incomparable strength born of Christian joy. May the Church not be a customs house. Let us remember what the Lord has told us: everyone, everyone, everyone is invited.
3. I now come, briefly, to my last image, that of the lighthouse, which sheds its beam upon the sea and enables the port to be seen. What luminous beacons of light can guide the route of the Mediterranean Churches? Thinking of the sea, which unites so many different believing communities, I believe that one can reflect on more cooperative ways forward, perhaps considering also the expediency of a Mediterranean ecclesial conference, as Cardinal Aveline mentioned, that could offer greater possibilities for regional dialogue and representation. Also, thinking of ports and the theme of migration, it could be profitable to work towards a specific pastoral plan that is even more interconnected, so that those dioceses that are most exposed can provide the best spiritual and human assistance to our sisters and brothers who arrive there in great need.
Finally, the lighthouse, in this prestigious palace that bears its name, makes me think especially of young people. They are the light that indicates the way of the future. Marseille is a great university city, home to four campuses; of its 35,000 students, 5,000 are foreigners. Where do we start to weave relationships between cultures, if not from the universities? There, young people are not attracted by the seductions of power, but by the dream of building the future. May the Mediterranean universities be laboratories of dreams and workshops of the future, where young people mature by encountering one another, coming to know one another, and discovering cultures and contexts both near and diverse. In this way, prejudices are dismantled, wounds are healed and fundamentalist rhetoric is rejected. Be aware of the preaching of so many fundamentalisms that are fashionable today! Young people, well prepared and used to socializing will be able to open unexpected doors of dialogue. If we want them to devote themselves to the Gospel and the lofty service of politics, we first need to be credible: forgetful of ourselves, free from self-referentiality, dedicated to spending ourselves tirelessly for others. Yet the primary challenge of education has to do with every age level: starting with children, by “mixing” with others, they can surmount barriers, overcome preconceptions, and develop their own identity in a context of mutual enrichment. The Church can certainly contribute to this by offering her educational networks and encouraging a “creativity of fraternity”.
Brothers and sisters, the challenge is also one of a Mediterranean theology – theology must be rooted in life, a laboratory theology does not work – capable of developing ways of thinking rooted in reality, a “home” to human and not only technical data, poised to unite generations by linking memory and future, and promoting with originality the ecumenical journey of Christians and dialogue between believers of different religions. It can be exciting to set out on this adventurous quest, both philosophical and theological, which, by drawing from the Mediterranean cultural sources, can restore hope to men and women, a mystery of freedom, in need of God and others in order to give meaning to their lives. It is likewise necessary to reflect on the mystery of God, whom no one can claim to possess or control, and who must instead be preserved from all violent and instrumental misuse, in the awareness that the confession of his grandeur demands of us the humility of seekers.
Dear brothers and sisters, I am happy to be here in Marseilles! The President had invited me to visit France, but he said: “It is important that you come to Marseilles!” So I have! I thank you for your patience in listening to me and for all your efforts. Continue your courageous good work! Be a sea of good, in order to confront the poverty of today in solidarity and cooperation; be a welcoming port, in order to embrace all those who seek a better future; be a lighthouse of peace, in order to pierce, through the culture of encounter, the dark abysses of violence and war. Thank you very much!
[01424-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Herr Staatspräsident,
liebe Mitbrüder im Bischofsamt,
verehrte Bürgermeister und Repräsentanten von Städten und Gebieten am Mittelmeer,
liebe Freundinnen und Freunde!
Ich grüße Sie herzlich und bin Ihnen allen dankbar, dass Sie die Einladung von Kardinal Aveline zur Teilnahme an diesen Treffen angenommen haben. Ich danke Ihnen für Ihre Arbeit und für die wertvollen Überlegungen, die Sie miteinander geteilt haben. Nach Bari und Florenz geht der Prozess im Dienste der Mittelmeervölker weiter: Auch hier sind kirchliche und zivile Führungspersönlichkeiten zusammengekommen, nicht um gegenseitige Interessen zu verhandeln, sondern angetrieben von dem Wunsch, sich um die Menschen zu kümmern; danke, dass Sie dies gemeinsam mit jungen Menschen tun, der Gegenwart und Zukunft der Kirche und der Gesellschaft.
Die Stadt Marseille ist sehr alt. Sie wurde von griechischen Seefahrern aus Kleinasien gegründet und geht dem Mythos nach auf eine Liebesgeschichte zwischen einem ausgewanderten Seemann und einer einheimischen Prinzessin zurück. Seit ihren Anfängen hat sie einen vielfältigen und kosmopolitischen Charakter: sie nimmt die Reichtümer des Meeres in sich auf und gibt denjenigen eine Heimat, die keine mehr haben. Marseille zeigt uns, dass trotz aller Schwierigkeiten ein Zusammenleben möglich ist und dass es eine Quelle der Freude ist. Auf der Landkarte scheint die Stadt Marseille, zwischen Nizza und Montpellier, fast ein Lächeln darzustellen; und so möchte ich sie auch sehen: Marseille ist „das Lächeln des Mittelmeers“. So möchte ich Ihnen ein paar Gedanken zu drei Gegebenheiten darlegen, die Marseille charakterisieren: das Meer, der Hafen und der Leuchtturm. Es sind drei Symbole.
1. Das Meer. Eine Vielzahl von Völkern hat diese Stadt zu einem Mosaik der Hoffnung gemacht, mit ihrer großen multiethnischen und multikulturellen Tradition, die durch die mehr als 60 Konsulate auf dem Stadtgebiet repräsentiert wird. Marseille ist sowohl eine plurale als auch eine singuläre Stadt, denn es ist gerade diese Pluralität, die sich aus der Begegnung mit der Welt ergibt, die ihre Geschichte so einzigartig macht. Wir hören heute oft, dass die Geschichte des Mittelmeerraums ein Geflecht aus Konflikten zwischen verschiedenen Zivilisationen, Religionen und Weltanschauungen sei. Wir verkennen die Probleme nicht – es gibt sie –, aber lassen wir uns nicht täuschen: Der Austausch zwischen den Völkern hat den Mittelmeerraum zu einer Wiege der Zivilisation gemacht, zu einem Meer voller Schätze, so dass er, wie ein großer französischer Historiker schrieb, »nicht eine Landschaft, sondern zahllose Landschaften ist. Es ist nicht ein Meer, sondern eine Reihe von Meeren«; »seit Jahrtausenden fließt darin alles zusammen, was seine Geschichte kompliziert und reich macht« (F. Braudel, La Méditerranée, Paris 1985, 8). Das mare nostrum ist ein Ort der Begegnung: zwischen den abrahamitischen Religionen, dem griechischen, lateinischen und arabischen Denken, der Wissenschaft, der Philosophie, dem Recht und vielem anderen. Es hat der Welt den hohen Wert des mit Freiheit ausgestatteten, für die Wahrheit offenen und erlösungsbedürftigen Menschen vermittelt, der die Welt als ein zu entdeckendes Wunder und einen zu bewohnenden Garten sieht, im Zeichen eines Gottes, der mit den Menschen Bünde schließt.
Ein bedeutender Bürgermeister sah im Mittelmeerraum nicht eine Konfliktfrage, sondern eine Antwort des Friedens, ja »den Anfang und das Fundament des Friedens unter allen Völkern der Welt« (G. La Pira, Parole a conclusione del primo Colloquio Mediterraneo, 6. Oktober 1958). So sagte er: »Die Antwort [...] ist möglich, wenn man die gemeinsame historische und sozusagen dauerhafte Berufung bedenkt, die die Vorsehung den Völkern und Nationen, welche an den Ufern dieses geheimnisvollen, erweiterten Sees von Tiberias leben, der das Mittelmeer ist, in der Vergangenheit zugewiesen hat, in der Gegenwart zuweist und in gewissem Sinne auch in der Zukunft zuweisen wird« (Discorso di apertura del I Colloquio Mediterraneo, 3. Oktober 1958). See von Tiberias oder Galiläisches Meer: ein Ort also, an dem sich zur Zeit Jesu eine große Vielfalt an Völkern, Kulten und Traditionen konzentrierte. Genau dort, im »heidnischen Galiläa« (vgl. Mt 4,15), das von der Straße am Meer durchquert wird, spielte sich der Großteil des öffentlichen Lebens Jesu ab. Ein vielgestaltiger und in vielerlei Hinsicht instabiler Kontext war der Ort der universalen Verkündigung der Seligpreisungen im Namen eines Gottes, der Vater aller ist, der „seine Sonne aufgehen lässt über Bösen und Guten und es regnen lässt über Gerechte und Ungerechte“ (vgl. Mt 5,45). Er stellte auch eine Einladung dar, die Grenzen des Herzens zu weiten und ethnische und kulturelle Barrieren zu überwinden. Das also ist die Antwort, die vom Mittelmeer ausgeht: Dieses immerwährende Galiläische Meer lädt dazu ein, der Spaltung durch Konflikte die »Geselligkeit der Unterschiede« entgegenzusetzen (T. Bello, Benedette inquietudini, Milano 2001, 73). Im mare nostrum, an der Schnittstelle zwischen Nord und Süd, Ost und West, bündeln sich die Herausforderungen der ganzen Welt, wie seine „fünf Ufer“ bezeugen, über die Sie nachgedacht haben: Nordafrika, der Nahe Osten, die Schwarzmeer-Ägäis, der Balkan und Lateineuropa. Es ist ein Vorposten jener Herausforderungen, die alle betreffen: Man denke nur an die Klimaproblematik, bei der das Mittelmeer ein Hotspot ist, an dem die Veränderungen am schnellsten spürbar werden; wie wichtig ist der Erhalt der mediterranen Macchia, dieser einzigartigen Schatztruhe der Artenvielfalt! Kurz gesagt, dieses Meer, welches einen einzigartigen Zugang zur Komplexität bietet, ist ein „Spiegel der Welt“ und trägt in sich eine globale Berufung zur Geschwisterlichkeit, einer einzigartigen Berufung, die der einzige Weg ist, um Konflikten vorzubeugen und sie zu überwinden.
Brüder und Schwestern, im heutigen Meer der Konflikte sind wir hier, um den Beitrag des Mittelmeerraums zur Geltung zu bringen, damit er wieder zu einer Werkstatt des Friedens werden kann. Denn das ist seine Berufung: ein Ort zu sein, an dem sich verschiedene Länder und Wirklichkeiten auf der Grundlage unseres gemeinsamen Menschseins und nicht aufgrund widerstreitender Ideologien begegnen. Ja, der Mittelmeerraum ist Ausdruck eines nicht uniformen und ideologischen, sondern eines vielgestaltigen und realitätsgerechten Denkens; eines lebendigen, offenen und versöhnlichen Denkens: eines Gemeinschaftsdenkens, das ist das Wort. Wie sehr brauchen wir dies in der gegenwärtigen Situation, in der antiquierte und kriegstreibende Nationalismen den Traum von der Gemeinschaft der Nationen zunichtemachen wollen! Aber – lasst uns das nicht vergessen – mit Waffen macht man Krieg, nicht Frieden, und mit Machtgier kehrt man immer in die Vergangenheit zurück, statt die Zukunft zu gestalten.
Wo soll man also anfangen, wenn man Frieden stiften will? Am Ufer des Galiläischen Meeres begann Jesus damit, dass er den Armen Hoffnung gab und sie seligpries: Er hörte sich ihre Nöte an, heilte ihre Wunden und verkündete ihnen als erstes die gute Nachricht vom Reich Gottes. Dort müssen wir wieder ansetzen, bei dem oft stummen Schrei der Letzten, nicht bei den Klassenbesten, die ihre Stimme erheben, obwohl es ihnen gut geht. Lasst uns, als Kirche und Zivilgesellschaft, wieder damit anfangen, den Armen zuzuhören, die »man nicht zählen soll, sondern umarmen« (P. Mazzolari, La parola ai poveri, Bologna 2016, 39), weil sie nicht Nummern, sondern Gesichter sind. Der Wandel unsere Gemeinschaften vollzieht sich, wenn wir sie als Brüder und Schwestern behandeln, deren Geschichten man kennt, und nicht als lästige Probleme, die man verjagt, die man nach Hause schickt; er besteht darin, sie anzunehmen, statt sie zu verstecken; sie zu integrieren, statt sie beiseite zu schieben; ihnen Würde zu verleihen. Und Marseille, das möchte ich wiederholen, ist die Hauptstadt der Integration der Völker. Das ist euer Stolz! Heute ist das Meer des menschlichen Zusammenlebens durch das Prekariat verschmutzt, worunter auch das wunderschöne Marseille leidet. Und wo es Prekarität gibt, gibt es auch Kriminalität: Wo es materielle, bildungsbezogene, arbeitsbezogene, kulturelle und religiöse Armut gibt, ist das Terrain für Mafiabanden und illegalen Handel geebnet. Das Engagement der Institutionen allein reicht nicht aus, wir brauchen eine Aufrüttelung des Gewissens, um „Nein“ zur Illegalität und „Ja“ zur Solidarität zu sagen, die nicht ein Tropfen im Ozean ist, sondern ein unverzichtbares Element, um seine Wasser zu reinigen.
Das eigentliche soziale Übel ist tatsächlich nicht so sehr die Zunahme der Probleme, sondern der Rückgang der Fürsorge. Wer macht sich heute zum Nächsten der jungen Menschen, die sich selbst überlassen sind und leicht Opfer von Kriminalität und Prostitution werden? Wer nimmt sich ihrer an? Wer ist den Menschen nahe, die von der Arbeit versklavt werden, die sie eigentlich freier machen sollte? Wer kümmert sich um die verunsicherten Familien, die Angst vor der Zukunft haben und davor, neues Leben in die Welt zu setzen? Wer hört sich die Klagen der einsamen alten Menschen an, die, anstatt Wertschätzung zu erfahren, aufs Abstellgleis geschoben werden, mit der trügerischen Aussicht auf einen süßen Tod, der in Wirklichkeit salziger ist als das Wasser des Meeres? Wer denkt an die ungeborenen Kinder, die im Namen eines falschen Rechts auf Fortschritt abgelehnt werden, welches jedoch einen Rückschritt in Bezug auf die Bedürfnisse des Einzelnen darstellt? Heute stehen wir vor dem Drama, dass die Kinder mit den Hündchen verwechselt werden. Mein Sekretär sagte mir dass er, als über den Petersplatz ging, eine Frau mit einem Kinderwagen gesehen hatte… Aber es waren keine Kinder, es waren kleine Hunde! Diese Verwechslung sagt uns etwas Schlechtes. Wer blickt mit Mitgefühl über die eigenen Ufer hinaus und hört die Schmerzensschreie aus Nordafrika und dem Nahen Osten? Wie viele Menschen leben inmitten von Gewalt und leiden unter Ungerechtigkeit und Verfolgung! Und ich denke an die vielen Christen, die oft gezwungen sind, ihr Land zu verlassen oder dort zu leben, ohne dass ihre Rechte anerkannt werden und ohne die vollen Bürgerrechte zu besitzen. Bitte, setzen wir uns dafür ein, dass diejenigen, die Teil der Gesellschaft sind, ihre vollen Bürgerrechte erhalten. Und dann gibt es noch einen Schmerzensschrei, der am lautesten erschallt und der das mare nostrum in ein mare mortuum verwandelt und das Mittelmeer, die Wiege der Zivilisation, zum Grab der Menschenwürde macht. Es ist der erstickte Schrei unserer Brüder und Schwestern Migranten, dem ich meine Aufmerksamkeit widmen möchte, wenn ich über das zweite Bild nachdenke, das Marseille uns bietet: das seines Hafens.
2. Der Hafen von Marseille ist seit Jahrhunderten ein weit geöffnetes Tor zum Meer, zu Frankreich und zu Europa. Viele sind von hier aus aufgebrochen, um im Ausland Arbeit und eine Zukunft zu finden, und viele haben hier das Tor des Kontinents mit einem Gepäck voller Hoffnung durchschritten. Marseille hat einen großen Hafen und ist ein großes Tor, das nicht geschlossen werden kann. Verschiedene Mittelmeerhäfen hingegen haben geschlossen. Und zwei Worte waren immer wieder zu hören und schürten die Ängste der Menschen: „Invasion“ und „Notsituation“. Und man schließt die Häfen. Aber diejenigen, die ihr Leben auf dem Meer riskieren, sind keine Invasoren, sie suchen Aufnahme, sie suchen Leben. Was die Notsituation angeht, so ist das Migrationsphänomen nicht so sehr eine momentane Notlage, die immer gerne für panikmachende Propaganda herhalten muss, sondern eine Gegebenheit unserer Zeit, ein Prozess, der drei Kontinente rund um das Mittelmeer betrifft und der mit kluger Weitsicht gestaltet werden muss: mit einer europäischen Verantwortung, die in der Lage ist, die objektiven Schwierigkeiten anzugehen. Ich schaue gerade hier auf dieser Karte auf die für die Flüchtlinge bevorzugten Häfen: Zypern, Griechenland, Malta, Italien und Spanien … Sie liegen am Mittelmeer und nehmen die Flüchtlinge auf. Das mare nostrum schreit nach Gerechtigkeit, denn an seinen Ufern herrschen auf der einen Seite Überfluss, Konsum und Verschwendung, auf der anderen Seite hingegen Armut und Prekarität. Auch hier spiegelt der Mittelmeerraum die Welt wider: Der Süden wendet sich dem Norden zu, so viele Entwicklungsländer, die von Instabilität, Regimen, Kriegen und Verödung geplagt sind, blicken auf die wohlhabenden Länder in einer globalisierten Welt, in der wir alle miteinander verbunden sind, aber die Kluft noch nie so tief war wie heute. Und doch ist diese Situation nicht erst in den letzten Jahren entstanden, und dieser Papst, der vom anderen Ende der Welt kommt, ist nicht der erste, der sie als dringlich und besorgniserregend empfindet. Die Kirche spricht schon seit mehr als fünfzig Jahren eindringlich davon.
Kurz nach dem Ende des Zweiten Vatikanischen Konzils schrieb Paul VI. in seiner Enzyklika Populorum progressio: »Die Völker, die Hunger leiden, bitten die Völker, die im Wohlstand leben, dringend und inständig um Hilfe. Die Kirche erzittert vor diesem Schrei der Angst und wendet sich an jeden einzelnen, dem Hilferuf seines Bruders in Liebe zu antworten« (Nr. 3). Papst Montini zählte „drei Pflichten“ der stärker entwickelten Nationen auf, die »in der natürlichen und übernatürlichen Brüderlichkeit der Menschen« wurzeln: er spricht von der »Pflicht zur Solidarität, der Hilfe, die die reichen Völker den Entwicklungsländern leisten müssen; sodann […] der Pflicht zur sozialen Gerechtigkeit, das, was an den Wirtschaftsbeziehungen zwischen den mächtigen und schwachen Völkern ungesund ist, abzustellen; endlich […] der Pflicht zur Liebe zu allen, zur Schaffung einer menschlicheren Welt für alle, wo alle geben und empfangen können, ohne dass der Fortschritt der einen ein Hindernis für die Entwicklung der anderen ist«(Nr. 44). Im Lichte des Evangeliums und dieser Erwägungen betonte Paul VI. 1967 die »Pflicht zur Gastfreundschaft«, über die er schrieb: „Wir können nicht genug drauf hinweisen“ (vgl. Nr. 67). Dazu hatte Pius XII. bereits fünfzehn Jahre zuvor ermutigt, als er schrieb, dass »die Familie von Nazaret im Exil, Jesus, Maria und Josef, die nach Ägypten auswanderten [...] das Vorbild, das Beispiel und der Halt aller Auswanderer und Pilger jeden Alters und aus jedem Land sind, aller Flüchtlinge jeglicher Art, die sich aufgrund Verfolgung oder Not gezwungen sehen, ihre Heimat, ihre lieben Verwandten zu verlassen [...] und in ein fremdes Land zu gehen« (Apostolische Konstitution Exsul Familia. De spirituali emigrantium cura, 1. August 1952).
Natürlich sind die Schwierigkeiten bei der Aufnahme nicht zu übersehen. Die Flüchtlinge müssen aufgenommen, geschützt oder begleitet, gefördert und integriert werden. Geschieht dies nicht, gerät der Flüchtling in die Umlaufbahn der Gesellschaft. Aufgenommen, begleitet, gefördert und integriert: Das ist der Stil. Es ist wahr, dass es nicht einfach ist, diesen Stil zu haben oder Personen zu integrieren, aber das Hauptkriterium kann nicht der Erhalt des eigenen Wohlstandes sein, sondern vielmehr die Wahrung der Menschenwürde. Diejenigen, die bei uns Zuflucht suchen, sollten nicht als eine Last angesehen werden, die wir zu tragen haben: Wenn wir sie als Brüder und Schwestern ansehen, werden sie uns vor allem als Geschenk erscheinen. Morgen ist der Welttag der Migranten und Flüchtlinge. Lassen wir uns von der Geschichte unserer vielen Brüder und Schwestern in Not berühren, die das Recht haben, sowohl auszuwandern als auch nicht auszuwandern, und verschließen wir uns nicht in Gleichgültigkeit. Die Geschichte verlangt von uns eine Aufrüttlung des Gewissens, um dem Schiffbruch der Zivilisation vorzubeugen. Die Zukunft liegt nicht in der Abschottung, die eine Rückkehr in die Vergangenheit ist, eine Kehrtwende auf dem Weg der Geschichte. Im Hinblick auf die schreckliche Geißel der Ausbeutung von Menschen besteht die Lösung nicht in der Ablehnung, sondern –den jeweiligen Möglichkeiten entsprechend – in der Sicherstellung einer Vielzahl von legalen und regulären Einreisemöglichkeiten, die dank einer ausgewogenen Aufnahme in Europa in Zusammenarbeit mit den Herkunftsländern möglich sind. Zu sagen „genug“, bedeutet hingegen die Augen zu verschließen; der Versuch, sich heute „selbst zu retten“, wird sich morgen in eine Tragödie verwandeln. Künftige Generationen werden uns danken, wenn es uns gelungen ist, die Bedingungen für eine unvermeidliche Integration zu schaffen, während sie uns die Schuld geben werden, wenn wir lediglich eine sterile Assimilation betrieben haben. Integration, auch die der Flüchtlinge, ist mühsam, aber weitsichtig: Sie bereitet die Zukunft vor, die, ob man will oder nicht, entweder eine gemeinsame sein wird oder gar nicht sein wird; Assimilation, die keine Rücksicht auf Unterschiede nimmt und starr in ihren eigenen Paradigmen verharrt, führt dagegen dazu, dass die Idee die Wirklichkeit beherrscht und sie gefährdet die Zukunft, indem sie die Distanzen vergrößert und eine Ghettoisierung provoziert, die Feindseligkeit und Unduldsamkeit hervorruft. Wir brauchen Geschwisterlichkeit so sehr wie das tägliche Brot. Schon das Wort „Bruder“, das aus dem Indoeuropäischen stammt, offenbart eine Herkunft, die mit Ernährung und Lebensunterhalt zu tun hat. Wir erhalten uns nur selbst, wenn wir die Schwächsten mit Hoffnung nähren, indem wir sie als Brüder und Schwestern willkommen heißen. »Vergesst die Gastfreundschaft nicht« (Hebr 13,2), sagt uns die Heilige Schrift. Und im Alten Testament wird wiederholt: die Witwe, die Waise und der Fremde. Die drei Pflichten der Liebe: der Witwe beistehen, der Waisen beistehen und dem Fremden, dem Flüchtling beistehen.
In dieser Hinsicht ist der Hafen von Marseille auch ein „Tor des Glaubens“. Der Überlieferung nach landeten die Heiligen Marta, Maria und Lazarus hier und säten das Evangelium in dieser Gegend aus. Der Glaube kommt vom Meer, wie die stimmungsvolle Marseiller Lichtmess-Tradition mit einer maritimen Prozession zeigt. Lazarus ist im Evangelium der Freund Jesu, aber den gleichen Namen trägt auch der Protagonist eines sehr aktuellen Gleichnisses, das uns die Augen für die Ungleichheit öffnet, die die Geschwisterlichkeit zerstört, und uns von der Vorliebe des Herrn für die Armen erzählt. So können wir Christen, die wir an den menschgewordenen Gott glauben, an den einen und einzigen Menschensohn, der an den Ufern des Mittelmeers von sich als dem Weg, der Wahrheit und dem Leben sprach (vgl. Joh 14,6), nicht akzeptieren, dass die Wege der Begegnung versperrt werden. Versperren wir nicht die Wege der Begegnung, bitte! Wir können nicht hinnehmen, dass die Wahrheit des Gottes Geld über die Würde des Menschen siegt, dass sich das Leben in Tod verwandelt! Die Kirche, die bekennt, dass Gott sich in Jesus Christus »gewissermaßen mit jedem Menschen vereinigt« hat (Gaudium et spes, 22), glaubt mit Johannes Paul II. daran, dass ihr Weg der Mensch ist (vgl. Enzyklika Redemptor hominis, 14). Sie betet Gott an und dient den Schwächsten, die ihre Reichtümer darstellen. Gott anbeten und dem Nächsten dienen, das ist es, was zählt: nicht die gesellschaftliche Bedeutung oder die zahlenmäßige Stärke, sondern die Treue zum Herrn und zum Menschen!
Darin besteht das christliche Zeugnis, und oft ist es sogar heroisch; ich denke da zum Beispiel an den heiligen Charles de Foucauld, den „Bruder aller“, an die Märtyrer von Algerien, aber auch an die vielen Wohltäter von heute. In dieser unerhört evangeliumsgemäßen Lebensweise findet die Kirche den sicheren Hafen, in dem sie anlegen und aus dem sie wieder auslaufen kann, um sich mit den Menschen aller Völker zu verbinden sowie überall nach den Spuren des Heiligen Geistes zu suchen und das weiterzugeben, was sie aus Gnade empfangen hat. Das ist die reinste Wirklichkeit der Kirche, das ist – so schrieb Bernanos – »die Kirche der Heiligen«, und er fügte hinzu, dass »dieser ganze große Organismus der Weisheit, der Stärke, der geschmeidigen Disziplin, der Pracht und der Majestät für sich genommen nichts ist, wenn er nicht beseelt ist von der Liebe« (Jeanne, relapse et sainte, Paris 1994, 74). Ich möchte diesen französischen Scharfsinn loben, diesen gläubigen und schöpferischen Genius, der diese Wahrheiten durch eine Vielzahl von Gesten und Schriften zum Vorschein gebracht hat. Der heilige Caesarius von Arles sagte: »Wenn du die Nächstenliebe besitzt, besitzt du Gott; und wenn du Gott besitzt, was fehlt dir?“ (Sermo 22,2). Pascal erkannte: »der einzige Gegenstand der Schrift ist die Liebe« (Gedanken, Nr. 15) und: »Die Wahrheit ohne die Liebe ist nicht Gott, sie ist ein Bild und ein Götze, den man nicht lieben noch anbeten soll« (Gedanken, Nr. 74). Und der heilige Johannes Cassian, der hier starb, schrieb, dass »alles, auch das, was als nützlich und notwendig angesehen wird, weniger wert ist als das Gut des Friedens und der Nächstenliebe« (Collationes Patrum, XVI, 6).
Deshalb ist es gut, dass Christen in der Nächstenliebe niemandem nachstehen und dass das Evangelium der Nächstenliebe die Magna Charta der Seelsorge ist. Wir haben nicht den Auftrag, vergangenen Zeiten nachzutrauern oder eine neue kirchliche Relevanz zu suchen, sondern wir sind aufgerufen, Zeugnis abzulegen: nicht das Evangelium mit Worten zu besticken, sondern es zu verwirklichen; nicht die Sichtbarkeit zum Maßstab zu machen, sondern uns uneigennützig zu verausgaben, im Glauben, dass »das Maß Jesu […] die Liebe ohne Maßen« ist (Homilie, 23. Februar 2020). Paulus, der Apostel der Heiden, der einen großen Teil seines Lebens auf den Mittelmeerrouten von einem Hafen zum anderen verbrachte, lehrte, dass, um das Gesetz Christi zu erfüllen, einer des anderen Last tragen muss (vgl. Gal 6,2). Liebe Mitbrüder im Bischofsamt, bürden wir den Menschen keine Lasten auf, sondern entlasten wir sie im Namen des Evangeliums der Barmherzigkeit, um die Wohltaten Jesu freudig an eine müde und verwundete Menschheit weiterzugeben. Möge die Kirche nicht eine Ansammlung von Vorschriften sein, die Kirche möge ein Hafen der Hoffnung für die Entmutigten sein. Macht das Herz weit, bitte! Die Kirche möge ein Hafen der Stärkung sein, in dem die Menschen sich ermutigt fühlen, sich auf die hohe See des Lebens mit der unvergleichlichen Kraft der Freude Christi hinauszuwagen. Die Kirche sein kein Zoll. Erinnern wir uns an den Herrn: alle, alle, alle sind eingeladen.
3. So komme ich kurz zum letzten Bild, dem des Leuchtturms. Er leuchtet auf das Meer hinaus und zeigt den Hafen an. Welche Lichtzeichen können den Kurs der Kirchen am Mittelmeer leiten? Wenn wir an das Meer denken, das so viele verschiedene Glaubensgemeinschaften vereint, glaube ich, dass wir über mehr synergetische Wege nachdenken könnten und vielleicht sogar, wie der Kardinal [Aveline] sagte, die Möglichkeit einer kirchlichen Konferenz für den Mittelmeerraum in Betracht ziehen könnten, die weitere Möglichkeiten des Austauschs bieten und der Region eine größere kirchliche Präsenz bescheren würde. Auch mit Blick auf den Hafen und die Migrationsfrage könnte es fruchtbar sein, sich für eine spezifische Pastoral einzusetzen, die noch stärker vernetzt ist, damit die besonders betroffenen Diözesen ihren ankommenden Schwestern und Brüdern in Not besser geistlich und menschlich beistehen können.
Der Leuchtturm in diesem berühmten Gebäude, das seinen Namen trägt, lässt mich schließlich vor allem an die jungen Menschen denken: Sie sind das Licht, das den zukünftigen Kurs anzeigt. Marseille ist eine große Universitätsstadt mit vier Campus; von den rund 35.000 Studierenden, die sie besuchen, sind 5.000 Ausländer. Wo könnte man besser mit dem Aufbau von Beziehungen zwischen den Kulturen beginnen als an den Universitäten? Dort werden die jungen Menschen nicht von den Verlockungen der Macht verzaubert, sondern von dem Traum, die Zukunft zu gestalten. Die mediterranen Universitäten mögen zu Werkstätten der Träume und Baustellen des Zukünftigen werden, in denen junge Menschen reifen, indem sie sich treffen, kennenlernen und Kulturen und Zusammenhänge entdecken, die vertraut und zugleich anders sind. Auf diese Weise werden Vorurteile abgebaut, Wunden geheilt und fundamentalistische Rhetorik eingedämmt. Gut ausgebildete und einander geschwisterlich gesinnte junge Menschen können unverhoffte Türen des Dialogs öffnen. Wenn wir wollen, dass sie sich dem Evangelium und dem hohen Dienst der Politik widmen, müssen wir zuallererst glaubwürdig sein: selbstvergessen, frei von Selbstbezogenheit, bereit, uns unermüdlich für andere einzusetzen. Aber die wichtigste Herausforderung der Bildung betrifft jedes Alter: Schon als Kind kann man, indem man sich unter die anderen „mischt“, viele Barrieren und Vorurteile überwinden und seine eigene Identität in gegenseitiger Bereicherung entwickeln. Dazu kann die Kirche einen guten Beitrag leisten, indem sie ihre Ausbildungsnetzwerke zur Verfügung stellt und eine „Kreativität der Geschwisterlichkeit“ anregt.
Eine weitere Herausforderung besteht in einer mediterranen Theologie, die ein Denken entwickelt, das sich an der Realität orientiert, der „Heimat“ des Menschen und nicht nur der technischen Daten, und das in der Lage ist, die Generationen zu vereinen, indem es Erinnerung und Zukunft miteinander verbindet, und mit Originalität den ökumenischen Weg zwischen den Christen und den Dialog zwischen den Gläubigen der verschiedenen Religionen fördert. Es ist schön, eine philosophische und theologische Forschung zu wagen, die aus den kulturellen Quellen des Mittelmeerraums schöpft und dem Menschen die Hoffnung zurückgibt; dem Menschen, der ein Geheimnis der Freiheit ist und Gott und den Nächsten braucht, um seiner Existenz einen Sinn zu geben. Und es ist auch notwendig, über das Geheimnis Gottes nachzudenken, von dem niemand behaupten kann, es zu besitzen oder zu beherrschen, und das in der Tat jedem gewaltvollen und instrumentellen Gebrauch entzogen werden muss, in dem Bewusstsein, dass das Bekenntnis seiner Größe in uns die Demut der Suchenden voraussetzt.
Liebe Brüder und Schwestern, ich danke euch für euer geduldiges Zuhören und euer Engagement. Macht weiter! Seid ein Meer des Guten, um der gegenwärtigen Armut mit einer solidarischen Synergie zu begegnen; seid ein einladender Hafen, um diejenigen aufzunehmen, die eine bessere Zukunft suchen; seid ein Leuchtturm des Friedens, um durch die Kultur der Begegnung die dunklen Abgründe von Gewalt und Krieg zu durchbrechen. Danke.
[01424-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Señor Presidente de la República,
queridos hermanos obispos,
distinguidos Alcaldes y Autoridades representantes de las ciudades y territorios bañados por el mar Mediterráneo,
¡amigas y amigos todos!
Los saludo cordialmente, agradecido con cada uno de ustedes por haber aceptado la invitación del cardenal Aveline para participar en estos encuentros. Gracias por vuestro trabajo y por las valiosas reflexiones que han compartido. Después de Bari y Florencia, el camino del servicio a los pueblos mediterráneos avanza: también aquí, responsables eclesiásticos y civiles están juntos no para tratar intereses recíprocos, sino animados por el deseo del cuidado del hombre; gracias porque lo hacen con los jóvenes, presente y futuro de la Iglesia y de la sociedad.
La ciudad de Marsella es muy antigua. Fundada por navegantes griegos procedentes de Asia Menor, el mito la remonta a la historia de amor entre un marinero emigrado y una princesa del lugar. Desde sus orígenes, ha tenido un carácter heterogéneo y cosmopolita: acoge las riquezas del mar y da una patria a quienes ya no la tienen. Marsella nos dice que, a pesar de las dificultades, la convivencia cordial es posible y es fuente de alegría. En el mapa —entre Niza y Montpellier— casi parece dibujar una sonrisa; y me gusta considerarla así, Marsella es “la sonrisa del Mediterráneo”. Por eso quisiera proponerles algunas reflexiones en torno a tres realidades que caracterizan a Marsella: el mar, el puerto y el faro. Son tres símbolos.
1. El mar. Una multitud de pueblos ha hecho de esta ciudad un mosaico de esperanza, con su gran tradición multiétnica y multicultural, representada por más de 60 consulados presentes en su territorio. Marsella es a la vez una ciudad plural y singular, ya que su pluralidad, fruto de su encuentro con el mundo, es lo que hace singular su historia. A menudo oímos decir hoy que la historia mediterránea es un entramado de conflictos entre civilizaciones, religiones y visiones diferentes. No ignoramos los problemas ―que los hay―, pero no nos dejemos engañar: los intercambios que han tenido lugar entre los pueblos han hecho del Mediterráneo una cuna de civilización, un mar rebosante de tesoros, hasta el punto de que, como escribió un gran historiador francés, «no es un paisaje, sino innumerables paisajes. No un mar, sino una serie de mares»; «desde hace milenios todo ha confluido en él, complicando y enriqueciendo su historia» (Braudel Fernand, El Mediterráneo: tierra, mar, historia, en El Correo, París, diciembre 1985, 4). El mare nostrum es un espacio de encuentro: entre las religiones abrahámicas; entre el pensamiento griego, latino y árabe; entre la ciencia, la filosofía y el derecho, y entre muchas otras realidades. Ha transmitido al mundo el alto valor del ser humano, dotado de libertad, abierto a la verdad y necesitado de salvación, que ve el mundo como una maravilla por descubrir y un jardín por habitar, en el signo de un Dios que hace alianzas con los hombres.
Un gran alcalde percibió el Mediterráneo no como una cuestión de conflicto, sino como una respuesta de paz, es más, como «el principio y el fundamento de la paz entre todas las naciones del mundo» (G. La Pira, Parole a conclusione del primo Colloquio Mediterraneo, 6 de octubre de 1958). En efecto, dijo: «La respuesta [...] es posible si consideramos la común vocación histórica y, por así decirlo, permanente que la Providencia ha asignado en el pasado, asigna en el presente y, en cierto sentido, asignará en el futuro a los pueblos y naciones que viven a orillas de este misterioso lago Tiberíades ampliado que es el Mediterráneo» (Discurso de apertura del Primer Coloquio Mediterráneo, 3 de octubre de 1958). Lago de Tiberíades, o Mar de Galilea, un lugar donde, en tiempos de Cristo, se concentraba una gran variedad de pueblos, tradiciones y cultos. Justo allí, en la “Galilea de los gentiles” (cf. Mt 4,15) atravesada por la Vía del mar, se desarrolló la mayor parte de la vida pública de Jesús. Un contexto multiforme y —en muchos sentidos inestable— fue el lugar de la proclamación universal de las Bienaventuranzas, en nombre de un Dios Padre de todos, que «hace salir el sol sobre malos y buenos y hace caer la lluvia sobre justos e injustos» (Mt 5,45). Era también una invitación a ensanchar las fronteras del corazón, superando las barreras étnicas y culturales. He aquí, pues, la respuesta que viene del Mediterráneo: este permanente mar de Galilea invita a oponer a la división de los conflictos la «convivialidad de las diferencias» (Cf. T. Bello, Benedette inquietudini, Milano 2001, 73). El mare nostrum, en la encrucijada entre Norte y Sur, Este y Oeste, concentra los desafíos del mundo entero, como atestiguan sus “cinco costas” sobre las cuales ustedes han reflexionado: Norte de África, Oriente Próximo, Mar Negro-Egeo, Balcanes y Europa Latina. Es un frente de retos que atañe a todos: pensemos en el desafío climático, en el que el Mediterráneo representa un hotspot donde los cambios se dejan sentir con mayor rapidez. ¡Qué importante es cuidar la maquia mediterránea, tesoro único de biodiversidad! En resumen, este mar, entorno que ofrece un enfoque único de la complejidad, es un “espejo del mundo” y lleva en sí mismo una vocación global a la fraternidad, única vocación y único camino para prevenir y superar los conflictos.
Hermanos y hermanas, en el actual mar de conflictos, estamos aquí para reconocer el valor de la contribución del Mediterráneo, y que vuelva a ser un laboratorio de paz. Porque ésta es su vocación, ser un lugar donde países y realidades diferentes se encuentren sobre la base de la común humanidad que todos compartimos, y no de ideologías contrapuestas. En efecto, el Mediterráneo no expresa un pensamiento uniforme e ideológico, sino un pensamiento polifacético y adherido a la realidad; un pensamiento vital, abierto y conciliador: un pensamiento comunitario, esta es la palabra. ¡Cuánta necesidad tenemos de él en la coyuntura actual, en la que nacionalismos anacrónicos y beligerantes quieren acabar con el sueño de la comunidad de naciones! Pero recordémoslo, con las armas se hace la guerra, no la paz, y con la ambición de poder se vuelve siempre al pasado, no se construye el futuro.
¿Por dónde empezar, pues, para que la paz eche raíces? A orillas del mar de Galilea, Jesús comenzó por dar esperanza a los pobres, proclamándolos bienaventurados: escuchó sus necesidades, curó sus heridas, les anunció ante todo la buena nueva del Reino. Es desde el grito de los últimos, a menudo silencioso, que debemos partir de nuevo; no de los primeros de la clase que, aun estando bien, levantan la voz. Comencemos de nuevo, Iglesia y comunidad civil, de la escucha de los pobres, que «se abrazan, no se cuentan» (P. Mazzolari, La parola ai poveri, Bolonia 2016, 39), porque son rostros, no números. El cambio de tono en nuestras comunidades radica en tratarlos como hermanos cuyas historias debemos conocer y no como problemas fastidiosos, expulsándolos, mandándolos de regreso a casa; ese cambio radica en acogerlos, no en esconderlos; en integrarlos, no en desalojarlos; en darles dignidad. Marsella, quisiera repetirlo, es la capital de la integración de los pueblos. ¡Y esto es un orgullo para ustedes! Hoy el mar de la convivencia humana está contaminado por la precariedad, que hiere incluso a la espléndida Marsella. Y donde hay precariedad hay criminalidad: donde hay pobreza material, educativa, laboral, cultural y religiosa, se allana el terreno de las mafias y de los tráficos ilegales. El compromiso de las instituciones no es suficiente, se necesita una sacudida de conciencia para decir “no” a la ilegalidad y “sí” a la solidaridad, que no es una gota en el océano, sino el elemento indispensable para purificar sus aguas.
De hecho, el verdadero mal social no estriba tanto en el crecimiento de los problemas, sino en el declive de la atención. ¿Quién se hace cercano hoy en día a los jóvenes abandonados a su suerte, presa fácil de la delincuencia y la prostitución? ¿Quién se hace cargo de ellos? ¿Quién está cerca de las personas esclavizadas por un trabajo que debería hacerlas más libres? ¿Quién se ocupa de las familias asustadas, temerosas del futuro y de traer nuevas criaturas al mundo? ¿Quién escucha los gemidos de los ancianos solos que, en lugar de ser valorados, son aparcados, con la perspectiva falsamente digna de una muerte dulce, pero que en realidad es más salada que las aguas del mar? ¿Quién piensa en los niños no nacidos, rechazados en nombre de un falso derecho al progreso, que es en cambio un retroceso en las necesidades del individuo? En la actualidad enfrentamos el drama de confundir a los niños con los perritos. Mi secretario me contaba que, pasando por la Plaza de san Pedro, había visto a una mujer que parecía llevar niños en un cochecito. ¡Pero no eran niños sino perritos! Esta confusión nos indica que algo malo está pasando. ¿Quién mira con compasión, más allá de sus propios intereses, para escuchar los gritos de dolor que se elevan desde África del Norte y Oriente Próximo? ¡Cuántas personas viven inmersas en la violencia y sufren situaciones de injusticia y persecución! Pienso en tantos cristianos, a menudo obligados a abandonar sus tierras o a habitarlas sin que se les reconozcan sus derechos, sin gozar de plena ciudadanía. Por favor, comprometámonos para que los que forman parte de la sociedad puedan convertirse en ciudadanos de pleno derecho. Y luego, hay un grito de dolor que es el que más retumba de todos, y que está convirtiendo el mare nostrum en mare mortuum, el Mediterráneo de cuna de la civilización en tumba de la dignidad. Es el grito sofocado de los hermanos y hermanas migrantes, al que quisiera dedicarle atención reflexionando sobre la segunda imagen que Marsella nos ofrece, la de su puerto.
2. El puerto de Marsella, durante siglos ha sido una puerta abierta de par en par al mar, a Francia y a Europa. Desde aquí muchos han partido al extranjero en busca de trabajo y de futuro, y desde aquí muchos han atravesado la puerta del continente con equipajes cargados de esperanza. Marsella tiene un gran puerto y es una gran puerta que no se puede cerrar. Varios puertos mediterráneos, en cambio, se han cerrado. Dos palabras han resonado, alimentando los temores de la gente: “invasión” y “emergencia” Y se cierran los puertos. Pero quien arriesga su vida en el mar no invade, busca acogida, busca vida. En cuanto a la emergencia, el fenómeno migratorio no es tanto una urgencia momentánea, siempre oportuna para agitar la propaganda alarmista, sino una realidad de nuestro tiempo, un proceso que involucra a tres continentes en torno al Mediterráneo y que debe ser gobernado con sabia clarividencia: con una responsabilidad europea capaz de afrontar las dificultades objetivas. Estoy viendo aquí, en este mapa, los puertos privilegiados para los inmigrantes: Chipre, Grecia, Malta, Italia y España… Se asoman al Mediterráneo y acogen inmigrantes. El mare nostrum clama justicia, con sus riberas rezumantes de opulencia, consumismo y despilfarro, por un lado, y de pobreza y precariedad, por otro. También en este caso el Mediterráneo es un espejo del mundo, con el Sur volviéndose hacia el Norte; con tantos países en vías de desarrollo, afligidos por la inestabilidad, los regímenes, las guerras y la desertificación, que miran a aquellos acaudalados, en un mundo globalizado, en el que todos estamos conectados, pero en el que las diferencias nunca habían sido tan profundas. Sin embargo, esta situación no es una novedad de estos últimos años, ni es este Papa venido del otro lado del mundo el primero en advertirla con urgencia y preocupación. La Iglesia lleva más de cincuenta años hablando de ella en tono apremiante.
Poco tiempo después de la conclusión del Concilio Vaticano II, san Pablo VI, en su Encíclica Populorum progressio, escribió: «Los pueblos hambrientos interpelan hoy, con acento dramático, a los pueblos opulentos. La Iglesia sufre ante esta crisis de angustia, y llama a todos, para que respondan con amor al llamamiento de sus hermanos» (n. 3). El Papa Montini enumeró “tres deberes” de las naciones más desarrolladas, «[que]tienen sus raíces en la fraternidad humana y sobrenatural»: «deber de solidaridad, en la ayuda que las naciones ricas deben aportar a los países en vías de desarrollo; deber de justicia social, enderezando las relaciones comerciales defectuosas entre los pueblos fuerte y débiles; deber de caridad universal, por la promoción de un mundo más humano para todos, en donde todos tengan que dar y recibir, sin que el progreso de los unos sea un obstáculo para el desarrollo de los otros» (n. 44). A la luz del Evangelio y de estas consideraciones, Pablo VI, en 1967, insistió en el «deber de hospitalidad», sobre el cual, escribió, «no insistiremos nunca demasiado» (n. 67). Quince años antes, Pío XII había animado a ello, escribiendo que “la Familia de Nazaret desterrada, Jesús, María y José emigrantes a Egipto […] son el modelo, el ejemplo y el consuelo de los emigrantes y peregrinos de todos los tiempos y lugares, y de todos los prófugos de cualquier condición que, por miedo a las persecuciones o acuciados por la necesidad, se ven obligados a abandonar la patria, los parientes queridos […] para dirigirse a tierra extranjera” (Const. Ap. Exsul Familia, de spirituali emigrantium cura, 1º agosto 1952)
Por supuesto, las dificultades para acoger. A los inmigrantes se les acoge, se les protege o se les acompaña, se les promueve e se les integra. Si no se logra llegar hasta el final, el inmigrante termina en la órbita de la sociedad. Acogido, acompañado, promovido e integrado: éste sería el estilo. No es fácil, en efecto, adquirir este estilo o integrar a las personas no deseadas están a la vista de todos, pero el criterio principal no puede ser la conservación del propio bienestar, sino la salvaguardia de la dignidad humana. Quienes se refugian con nosotros no deben ser vistos como una carga que hay que llevar; si los vemos como hermanos, se nos manifestarán sobre todo como dones. Mañana se celebrará la Jornada Mundial del Migrante y del Refugiado. Dejémonos conmover por la historia de tantos hermanos y hermanas nuestros en dificultad, que tienen derecho tanto a emigrar como a no emigrar, y no nos encerremos en la indiferencia. La Historia nos llama a una sacudida de conciencia para evitar el naufragio de civilización. Ciertamente, el futuro no estará en la cerrazón, que es una vuelta al pasado, un retroceso en el camino de la historia. Contra la terrible lacra de la explotación de los seres humanos, la solución no es rechazar, sino garantizar, en la medida de las posibilidades de cada uno, un amplio número de entradas legales y regulares, sostenibles gracias a una acogida justa por parte del continente europeo, en el marco de la cooperación con los países de origen. Decir “basta”, por el contrario, es cerrar los ojos; intentar “salvarse a sí mismos” ahora, se convertirá en una tragedia mañana, cuando las generaciones futuras nos agradecerán si habremos sido capaces de crear las condiciones para una imprescindible integración, mientras que nos culparán si sólo habremos fomentado una asimilación infecunda. La integración, también de los inmigrantes, es laboriosa, pero de amplias miras: prepara el futuro, que, nos guste o no, será juntos o no lo será. La asimilación que no tiene en cuenta las diferencias y permanece rígida en sus propios paradigmas, deja, en cambio, que la idea prevalezca sobre la realidad y compromete el futuro, aumentando las distancias y provocando la formación de guetos, que provoca hostilidad e intolerancia. Necesitamos la fraternidad como el pan. La propia palabra “hermano”, en su derivación indoeuropea, revela una raíz relacionada con la nutrición y la subsistencia. Nos sostendremos a nosotros mismos sólo alimentando de esperanza a los más débiles, acogiéndolos como hermanos. «No se olviden de practicar la hospitalidad» (Hb 13,2), nos dice la Escritura. Y en el Antiguo testamento se repite: la viuda, el huérfano y el extranjero. Estos son los tres deberes de la caridad: asistir a la viuda, asistir al huérfano y asistir al extranjero, al emigrante.
En este sentido, el puerto de Marsella es también una “puerta de la fe”. Según la tradición, los santos Marta, María y Lázaro desembarcaron aquí y sembraron el Evangelio en estas tierras. La fe viene del mar, como evoca la sugestiva tradición marsellesa de la Candelaria con su procesión marítima. Lázaro, en el Evangelio, es el amigo de Jesús, pero también es el nombre del protagonista de una parábola suya muy actual, que nos abre los ojos ante desigualdad que corroe la fraternidad y nos habla de la predilección del Señor por los pobres. Pues bien, nosotros, cristianos, que creemos en el Dios hecho hombre, en el Hombre único e inimitable que a orillas del Mediterráneo se presentó como camino, verdad y vida (cf. Jn 14,6), no podemos aceptar que se cierren los caminos del encuentro. ¡Por favor, no cerremos los caminos del encuentro! ¡No podemos aceptar que la verdad del dios dinero prevalezca sobre la dignidad humana que la vida se convierta en muerte! La Iglesia, confesando que Dios en Jesucristo «se ha unido, en cierto modo, con todo hombre» (Gaudium et spes, 22), cree, con san Juan Pablo II, que su camino es el hombre (cf. Carta enc. Redemptor hominis, 14). Adora a Dios y sirve a los más frágiles, que son su tesoro. Adorar a Dios y servir al prójimo, eso es lo que cuenta: ¡no la relevancia social o la importancia numérica, sino la fidelidad al Señor y al hombre!
Este es el testimonio cristiano que muchas veces es incluso heroico; pienso, por ejemplo, en san Charles de Foucauld, el “hermano universal”, en los mártires de Argelia, pero también en tantos operadores de caridad de hoy. En esta forma de vida escandalosamente evangélica, la Iglesia encuentra el puerto seguro en el cual atracar y del cual partir para forjar vínculos con la gente de todos los pueblos, buscando en todas partes las huellas del Espíritu y ofreciendo lo que ha recibido por gracia. He aquí la realidad más pura de la Iglesia, he aquí ―escribió Bernanos― «la Iglesia de los santos», añadiendo que «todo este gran aparato de sabiduría, de fuerza, de disciplina elástica, de magnificencia y majestad, no es nada en sí mismo, si la caridad no lo anima» (Juana, relapsa y santa, Granada, 2019). Me gusta ensalzar esta perspicacia francesa, genio creyente y creador, que ha afirmado estas verdades a través de multitud de gestos y escritos. San Cesáreo de Arlés decía: «Si tienes caridad, tienes a Dios; y si tienes a Dios, ¿qué te falta?» (Sermo 22,2). Pascal reconocía que «el único objeto de la Escritura es la caridad» (Pensamientos, n. 583) y que «la verdad sin la caridad no es Dios, y es su imagen y un ídolo al que no hay que amar ni adorar» (Pensamientos, n. 597). Y san Juan Casiano, que murió aquí, escribió que «todo, incluso lo que se estima útil y necesario, vale menos que aquel bien que es la paz y la caridad» (Conferenze spirituali XVI, 6).
Por eso es bueno que, en lo que se refiere a la caridad, los cristianos no estemos por debajo a ninguno; y que el Evangelio de la caridad sea la magna charta de la pastoral. No estamos llamados a añorar los tiempos pasados ni a redefinir una relevancia eclesial, estamos llamados a dar testimonio: no a bordar el Evangelio con palabras, sino a darle carne; no a cuantificar la visibilidad, sino a gastarnos en gratuidad, creyendo que «la medida de Jesús es el amor sin medida» (Homilía, 23 de febrero de 2020). San Pablo, el Apóstol de los gentiles, que pasó buena parte de su vida en las rutas del Mediterráneo, de un puerto a otro, enseñó que, para cumplir la ley de Cristo, debemos llevar las cargas los unos de los otros (cf. Ga 6,2). Queridos hermanos obispos, no agobiemos a las personas con cargas, sino aligeremos sus fatigas en nombre del Evangelio de la misericordia, para distribuir con alegría el consuelo de Jesús a una humanidad cansada y herida. Que la Iglesia no sea un conjunto de prescripciones, sino un puerto de esperanza para los desalentados. ¡Ensanchen el corazón, por favor! Que la Iglesia sea un puerto de consuelo, donde la gente se sienta animada a navegar por la vida con la fuerza incomparable de la alegría de Cristo. Que la Iglesia no sea una aduano. Recordemos lo que dice el Señor: todos, todos, absolutamente todos estamos invitados.
3. Esto me lleva brevemente a la última imagen, la del faro. Éste ilumina el mar y permite ver el puerto. ¿Què estelas de luz pueden orientar el rumbo de las Iglesias en el Mediterráneo? Pensando en el mar, que une a tantas comunidades creyentes diferentes, creo que podemos reflexionar sobre rutas más sinérgicas, quizás incluso considerando la oportunidad de una Conferencia eclesial del Mediterráneo ―como ha dicho el cardenal Aveline―, que permita más posibilidades de intercambio y que dé mayor representatividad eclesial a la región. Pensando también en la cuestión portuaria y migratoria, podría ser fructífero trabajar por una pastoral específica aún más coordinada, de manera que las diócesis más expuestas puedan asegurar una mejor asistencia espiritual y humana a las hermanas y hermanos que llegan necesitados.
El faro, en este prestigioso edificio que lleva su nombre, me hace finalmente pensar, sobre todo, en los jóvenes: ellos son la luz que señala el rumbo futuro. Marsella es una gran ciudad universitaria, que alberga cuatro campus. De los aproximadamente 35.000 estudiantes que acuden a ellos, 5.000 son extranjeros. ¿Qué mejor lugar para empezar a construir relaciones entre culturas que la universidad? Allí, los jóvenes no se dejan cautivar por las seducciones del poder, sino por el sueño de construir el porvenir. Que las universidades mediterráneas sean laboratorios de sueños y astilleros del futuro, donde los jóvenes maduren encontrándose, conociéndose y descubriendo culturas y contextos cercanos y diferentes al mismo tiempo. Así se rompen prejuicios, se curan heridas y se evitan retóricas fundamentalistas. ¡Estén atentos a la prédica de muchos fundamentalistas, que están de moda hoy en día! Jóvenes bien formados y orientados para confraternizar podrán abrir puertas inesperadas de diálogo. Si queremos que se dediquen al Evangelio y al alto servicio de la política, es necesario, ante todo, que seamos creíbles: olvidándonos de nosotros mismos, libres de la autoreferencialidad, dedicados a gastarnos sin descanso por los demás. Pero el reto primordial de la educación concierne a todas las edades formativas: ya desde niños, al “mezclarse” con los demás, se pueden superar muchas barreras y prejuicios, desarrollando la propia identidad en un contexto de enriquecimiento mutuo. La Iglesia bien puede contribuir a ello poniendo sus redes de formación al servicio y animando una “creatividad de la fraternidad”.
Hermanos y hermanas, el desafío es también el de una teología mediterránea ―la teología debe estar enraizada en la vida; una teología de laboratorio no funciona―, que desarrolle un pensamiento adherido a la realidad, “casa” de lo humano y no sólo del dato técnico, capaz de unir a las generaciones vinculando memoria con futuro, y de promover con originalidad el camino ecuménico entre cristianos, así como el diálogo entre creyentes de distintas religiones. Es bueno aventurarse en una investigación filosófica y teológica que, recurriendo a las fuentes culturales mediterráneas, restituya la esperanza al hombre, misterio de libertad que está necesitado de Dios y del otro para dar sentido a su existencia. Y también es necesario reflexionar sobre el misterio de Dios, que nadie puede pretender poseer ni dominar, y que, de hecho, debe sustraerse a todo uso violento e instrumental, conscientes de que la confesión de su grandeza presupone en nosotros la humildad del que busca.
¡Queridos hermanos y hermanas, me siento feliz de estar aquí, en Marsella! En una ocasión el Señor Presidente me invitó a visitar Francia y me dijo “!Pero es importante que vaya a Marsella!”. Y así lo he hecho. Les agradezco su escucha paciente y su compromiso. ¡Sigan adelante, con valentía! Sean un mar de bien, para hacer frente a la pobreza de hoy con una sinergia solidaria; sean un puerto acogedor, para abrazar a los que buscan un futuro mejor; sean un faro de paz, para quebrantar, mediante la cultura del encuentro, los oscuros abismos de la violencia y de la guerra. Muchas gracias.
[01424-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Senhor Presidente da República,
Amados irmãos Bispos,
Ilustres Autarcas e autoridades que representais cidades e territórios banhados pelo Mar Mediterrâneo,
Todos vós, amigas e amigos!
Saúdo-vos cordialmente, agradecido a cada um de vós por ter acolhido o convite do Cardeal Aveline para participar nestes encontros. Obrigado pelo vosso trabalho e as valiosas reflexões que compartilhastes. Depois de Bari e Florença, prossegue o caminho ao serviço dos povos mediterrânicos: também aqui estão juntos responsáveis eclesiásticos e civis, não para tratar de interesses recíprocos, mas animados pelo desejo de cuidar do homem. Obrigado por o fazerdes com os jovens, presente e futuro da Igreja e da sociedade.
A cidade de Marselha é muito antiga. Fundada por navegadores gregos vindos da Ásia Menor, o mito fá-la remontar à história de amor entre um marinheiro emigrante e uma princesa nativa. Desde as suas origens, apresenta um caráter compósito e cosmopolita: acolhe as riquezas do mar e dá uma pátria a quem já não a tem. Marselha diz-nos que, apesar das dificuldades, a convivência é possível e geradora de alegria. No mapa, entre Niza e Montpellier, parece quase desenhar-se um sorriso; e assim me apraz pensá-la: Marselha é «o sorriso do Mediterrâneo». Quero, pois, propor-vos algumas reflexões sobre três realidades que caraterizam Marselha: o mar, o porto e o farol. São três símbolos.
1. O mar. Uma maré de povos fez desta cidade um mosaico de esperança, com a sua grande tradição multiétnica e multicultural, representada pelos mais de 60 Consulados presentes no seu território. Marselha é cidade simultaneamente plural e singular, pois é a sua pluralidade, fruto de encontro com o mundo, que torna singular a sua história. Hoje, frequentemente, ouve-se repetir que a história mediterrânica seria um enredo de conflitos entre civilizações, religiões e pontos de vista diferentes. Não ignoramos os problemas – eles existem! –, mas não nos deixemos enganar: os intercâmbios entre os povos tornaram o Mediterrâneo berço de civilizações, mar transbordante de tesouros, a tal ponto que o mesmo – como escreveu um grande historiador francês – não é «uma paisagem, mas inumeráveis paisagens. Não é um mar, mas uma sucessão de mares; (…) desde há milénios que tudo conflui para ele, complicando e enriquecendo a sua história» (F. Braudel, La Méditerranée, Paris 1985, 16). O mare nostrum é espaço de encontro: entre as religiões abraâmicas, entre o pensamento grego, latino e árabe, entre a ciência, a filosofia e o direito, e entre muitas outras realidades. Transmitiu ao mundo o valor sublime do ser humano, dotado de liberdade, aberto à verdade e carecido de salvação, que vê o mundo como uma maravilha a descobrir e um jardim a habitar, sob o signo de um Deus que estabelece alianças com os homens.
Um grande autarca lia, no Mediterrâneo, não uma questão conflitual, mas uma resposta de paz; mais, «o início e o fundamento da paz entre todas as nações do mundo» (G. La Pira, Palavras na conclusão do I Colóquio do Mediterrâneo, 06/X/1958). Antes, tinha ele dito: «A resposta (…) é possível, se se considera a vocação histórica comum e, por assim dizer, permanente que a Providência atribuiu no passado, atribui no presente e, em certo sentido, atribuirá no futuro aos povos e nações que vivem nas margens deste misterioso lago de Tiberíades alargado que é o Mediterrâneo» (Discurso de abertura do I Colóquio do Mediterrâneo, 03/X/1958). Lago de Tiberíades ou Mar da Galileia, isto é, um lugar onde se concentrava, na época de Cristo, uma grande variedade de populações, cultos e tradições. Foi lá precisamente, na «Galileia dos gentios» (cf. Mt 4, 15), atravessada pela Via do Mar, que se desenrolou a maior parte da vida pública de Jesus. Um contexto multiforme e, sob vários aspetos, instável foi o local do anúncio universal das Bem-aventuranças, em nome de um Deus, Pai de todos, que «faz com que o sol se levante sobre os bons e os maus e faz cair a chuva sobre os justos e os injustos» (Mt 5, 45). E era também o convite a alargar as fronteiras do coração, superando barreiras étnicas e culturais. Eis, pois, a resposta que nos vem do Mediterrâneo: este perene mar da Galileia convida a contrapor, à divisão dos conflitos, a «convivência das diferenças» (T. Bello, Benedette inquietudini, Milão 2001, 73). O mare nostrum, na encruzilhada entre Norte e Sul, entre Este e Oeste, concentra os desafios do mundo inteiro, como testemunham as suas «cinco margens», sobre as quais refletistes: Norte de África, Médio Oriente, Mar Negro-Egeu, Balcãs e Europa latina. Está na primeira-linha de desafios que afetam a todos: pensemos no desafio climático, com o Mediterrâneo a representar um ponto crítico onde as mudanças se notam mais rapidamente. Como é importante salvaguardar a floresta mediterrânea, um tesouro único de biodiversidade! Em suma, este mar, ambiente que oferece uma abordagem única da complexidade, é «espelho do mundo» e traz em si uma vocação global à fraternidade, vocação ímpar e única via para prevenir e superar a conflitualidade.
Irmãos e irmãs, no mar dos conflitos de hoje, estamos aqui a fim de valorizar a contribuição do Mediterrâneo, para que volte a ser laboratório de paz. Pois esta é a vocação: ser lugar onde países e realidades diferentes se encontrem com base na humanidade que todos partilhamos, e não nas ideologias que nos contrapõem. É verdade que o Mediterrâneo exprime um pensamento que não é uniforme e ideológico, mas poliédrico e aderente à realidade; um pensamento vital, aberto e conciliador: um pensamento comunitário, esta é a palavra. Quanto necessitamos dele no momento atual, quando nacionalismos antiquados e belicosos querem fazer cair o sonho da comunidade das nações! Mas lembremo-nos de que, com as armas, se faz a guerra, não a paz; e com a ganância de poder volta-se sempre ao passado, não se constrói o futuro.
Donde começar, então, para radicar a paz? Nas margens do Mar da Galileia, Jesus começou por dar esperança aos pobres, proclamando-os bem-aventurados: atendeu às suas necessidades, curou as suas feridas e, antes de tudo, proclamou-lhes a boa nova do Reino. É preciso recomeçar daqui: do grito muitas vezes silencioso dos últimos, e não dos primeiros da turma que, apesar de estarem bem, levantam a voz. Recomecemos, Igreja e comunidade civil, da escuta dos pobres que «se abraçam, não se contam» (P. Mazzolari, A palavra aos pobres, Bolonha 2016, 39), porque são rostos, não números. A mudança de ritmo das nossas comunidades consiste em tratá-los como irmãos, cujas histórias devemos conhecer, e não como problemas molestos, expulsando-os, mandando-os para casa; consiste em acolhê-los, não em escondê-los; em integrá-los, não em desembaraçar-se deles; em dar-lhes dignidade. E Marselha, quero repeti-lo, é a capital da integração dos povos. Este é um orgulho para vós! Hoje o mar da convivência humana está poluído pela precariedade, que fere também esta esplêndida Marselha. E onde há precariedade, há criminalidade: onde há pobreza material, educativa, laboral, cultural e religiosa, encontram terreno propício as máfias e os tráficos ilícitos. O mero empenho das instituições não basta; é preciso um sobressalto de consciência para dizer «não» à ilegalidade e «sim» à solidariedade, que não é uma gota no mar, mas o elemento indispensável para purificar as suas águas.
Com efeito, o verdadeiro mal social não é tanto o crescimento dos problemas, como sobretudo a diminuição do cuidado que se lhes presta. Hoje, quem se faz próximo dos jovens abandonados a si mesmos, presa fácil da criminalidade e da prostituição? Quem se responsabiliza por eles? Quem se faz próximo das pessoas escravizadas por um trabalho que deveria torná-las mais livres? Quem cuida das famílias amedrontadas, com medo do futuro e de trazer ao mundo novas criaturas? Quem presta ouvidos ao gemido dos idosos abandonados que, em vez de ser valorizados, acabam estacionados, com a perspetiva falsamente dignificante duma morte doce, quando na realidade é mais salgada que as águas do mar? Quem pensa nos bebés não nascidos, recusados em nome dum falso direito ao progresso, que é, ao contrário, um retrocesso nas necessidades do indivíduo? Hoje temos o drama de se confundirem as crianças com os cachorrinhos. O meu secretário contava-me que, ao passar pela Praça de São Pedro, tinha visto uma senhora que traria bebés no carrinho... mas não eram bebés, eram cachorrinhos! Esta confusão fala-nos de algo que não está bem. Quem olha com compaixão para além da própria margem a fim de ouvir os gritos de dor que se levantam do Norte de África e do Médio Oriente? Quanta gente vive imersa em violências e padece situações de injustiça e perseguição! Penso em tantos cristãos, muitas vezes obrigados a abandonar as suas terras ou a habitá-las sem ver reconhecidos os seus direitos, sem gozar de plena cidadania. Por favor, empenhemo-nos para que quantos fazem parte da sociedade possam tornar-se cidadãos de pleno direito. E depois há um grito de dor que ressoa mais do que qualquer outro e está a transformar o mare nostrum em mare mortuum, a mudar o Mediterrâneo de berço da civilização em túmulo da dignidade. É o grito sufocado dos irmãos e irmãs migrantes, sobre o qual quero agora debruçar-me ao refletir sobre a segunda imagem que nos oferece Marselha: o seu porto.
2. O porto de Marselha é, há séculos, uma porta aberta para o mar, para a França e para a Europa. Daqui muitos partiram para encontrar trabalho e futuro no estrangeiro, e daqui muitos cruzaram a porta do continente com bagagens cheias de esperança. Marselha tem um grande porto e é uma grande porta, que não pode ser fechada. E, no entanto, fecharam-se vários portos do Mediterrâneo. E ressoaram duas palavras, alimentando os temores das pessoas: «invasão» e «emergência». E fecham-se os portos. Mas, quem arrisca a vida no mar não invade, procura acolhimento, procura vida. Quanto à emergência, o fenómeno migratório não é tanto uma emergência momentânea, sempre boa para difundir propaganda alarmista, como sobretudo um dado real dos nossos tempos, um processo que envolve em torno do Mediterrâneo três continentes e que deve ser governado com sábia clarividência: com uma responsabilidade europeia capaz de enfrentar as dificuldades objetivas. Estou a olhar, aqui, neste mapa os portos privilegiados para os migrantes: Chipre, Grécia, Malta, Itália e Espanha… Encontram-se voltados para o Mediterrâneo e recebem migrantes. O mare nostrum clama por justiça, com as suas margens que dum lado transudam opulência, consumismo e desperdício, enquanto do outro há pobreza e precariedade. Também aqui o Mediterrâneo espelha o mundo, com o Sul que faz apelo ao Norte: tantos países em vias de desenvolvimento, atribulados por instabilidade, regimes, guerras e desertificação, que olham para os países que estão bem, num mundo globalizado onde estamos todos conectados, mas onde os desníveis nunca foram tão acentuados. E, todavia, esta situação não é uma novidade dos últimos anos, nem este Papa vindo da outra parte do mundo é o primeiro a senti-la com urgência e preocupação. A Igreja fala disto com tons vivos há mais de cinquenta anos.
Tinha terminado há pouco o Concílio Vaticano II, quando São Paulo VI escreveu, na Encíclica Populorum progressio: «Os povos da fome dirigem-se, hoje, de modo dramático aos povos da opulência. A Igreja estremece perante este grito de angústia e convida cada um a responder com amor ao apelo do seu irmão» (n. 3). O Papa Montini enumerou «três deveres» das nações mais desenvolvidas, enraizados «na fraternidade humana e sobrenatural»: o «dever de solidariedade, ou seja, o auxílio que as nações ricas devem prestar aos países em vias de desenvolvimento; o dever de justiça social, isto é, a retificação das relações comerciais defeituosas, entre povos fortes e povos fracos; o dever de caridade universal, quer dizer, a promoção, para todos, de um mundo mais humano e todos tenham qualquer coisa a dar e a receber, sem que o progresso de uns seja obstáculo ao desenvolvimento dos outros» (n. 44). À luz do Evangelho e destas considerações, em 1967, Paulo VI sublinhou o «dever do acolhimento», sobre o qual – escrevia ele – nunca «é demasiado insistir» (n. 67). A isto mesmo havia encorajado Pio XII, quinze anos antes, escrevendo que «a Família de Nazaré no exílio, Jesus, Maria e José, emigrantes no Egito, (…) são o modelo, o exemplo e o sustentáculo de todos os emigrantes e peregrinos das mais diversas idades e países, de todos os refugiados de qualquer condição que, forçados pela perseguição ou pela necessidade, se veem obrigados a abandonar a pátria, os entes queridos, (...) e partir para uma terra estrangeira» (Const. ap. Exsul Familia de spirituali emigrantium cura, 01/VIII/1952).
É certo que estão à vista de todos as dificuldades em acolher. Os migrantes devem ser acolhidos, protegidos ou acompanhados, promovidos e integrados. Se isto não for feito na sua inteireza, o migrante acaba por ficar na órbita da sociedade. Acolhido, acompanhado, promovido e integrado: este é o estilo. É verdade que não é fácil assumir este estilo ou integrar pessoas não esperadas; porém, o critério principal não pode ser a manutenção do próprio bem-estar, mas a salvaguarda da dignidade humana. Aqueles que se refugiam junto de nós não devem ser vistos como um peso a carregar: se os considerarmos irmãos, aparecer-nos-ão sobretudo como dons. Amanhã celebrar-se-á o Dia Mundial do Migrante e do Refugiado. Deixemo-nos tocar pela história de tantos nossos irmãos e irmãs em dificuldade, que têm o direito seja de emigrar seja de não emigrar, e não nos fechemos na indiferença. A história chama-nos a um sobressalto de consciência para prevenir o naufrágio de civilização. Com efeito, o futuro não há de estar no fechamento, que é um regresso ao passado, uma inversão de marcha no caminho da história. Contra a terrível chaga da exploração de seres humanos, a solução não é rejeitar, mas assegurar, segundo as possibilidades de cada qual, um largo número de entradas legais e regulares, sustentáveis graças a um acolhimento équo por parte do continente europeu, no contexto duma colaboração com os países de origem. Pelo contrário, dizer «basta» é fechar os olhos; tentar agora «salvar-se a si mesmo» transformar-se-á em tragédia amanhã. É que as gerações futuras agradecer-nos-ão se tivermos conseguido criar as condições para uma imprescindível integração, mas culpar-nos-ão se tivermos apenas favorecido estéreis assimilações. A integração, inclusive dos migrantes, é fadigosa, mas clarividente: prepara o futuro que, quer queiramos quer não, ou será juntos ou não existirá; ao passo que a assimilação, que não tem em conta as diferenças e permanece rígida nos próprios paradigmas, faz com que a ideia prevaleça sobre a realidade e compromete o futuro, aumentando as distâncias e gerando a formação de guetos, que fazem crescer hostilidades e impaciências. Precisamos de fraternidade como do pão. A própria palavra «irmão», na sua derivação indo-europeia, mostra uma raiz ligada à nutrição e ao sustento. Só nos sustentaremos a nós mesmos, nutrindo de esperança os mais frágeis, acolhendo-os como irmãos. «Não vos esqueçais da hospitalidade» (Heb 13, 2), diz-nos a Sagrada Escritura. E no Antigo Testamento repete-se: a viúva, o órfão e o estrangeiro. Os três deveres da caridade: assistir a viúva, assistir o órfão e assistir o estrangeiro, o migrante.
Neste sentido, o porto de Marselha é também uma «porta de fé». Segundo a tradição, aqui desembarcaram os Santos Marta, Maria e Lázaro que semearam o Evangelho nestas terras. A fé vem do mar, como recorda a sugestiva tradição marselhesa da Candelária com a procissão marítima. No Evangelho, Lázaro é o amigo de Jesus, mas é também o nome do protagonista duma sua parábola muito atual, abrindo-nos os olhos para a desigualdade que corrói a fraternidade e falando-nos da predileção do Senhor pelos pobres. Pois bem, nós cristãos que acreditamos em Deus feito homem, naquele Homem único e inimitável que nas margens do Mediterrâneo se apresentou como caminho, verdade e vida (cf. Jo 14, 6), não podemos aceitar que os caminhos do encontro sejam fechados. Por favor, não fechemos os caminhos do encontro! Não podemos aceitar que a verdade do deus-dinheiro prevaleça sobre a dignidade do homem, que a vida se transforme em morte! A Igreja, ao confessar que Deus em Jesus Cristo «Se uniu de certo modo a cada homem» (Gaudium et spes, 22), acredita, com São João Paulo II, que o caminho dela é o homem (cf. Carta enc. Redemptor hominis, 14). Adora a Deus e serve os mais frágeis, que são os seus tesouros. Adorar a Deus e servir os outros é o que conta: não a relevância social ou a consistência numérica, mas a fidelidade ao Senhor e ao homem.
Trata-se dum testemunho cristão, frequentemente heroico; penso, por exemplo, em São Carlos de Foucauld, «irmão universal», nos mártires da Argélia, mas também em tantos agentes de caridade de hoje. Neste estilo de vida escandalosamente evangélico, a Igreja encontra o porto seguro onde atracar e donde partir novamente para tecer laços com a população de cada povo, procurando em toda a parte os vestígios do Espírito e oferecendo o que gratuitamente recebeu. Aqui está a realidade mais pura da Igreja, aqui está – escreveu Bernanos – «a Igreja dos santos», acrescentando que «todo este grande aparato de sabedoria, força, disciplina elástica, magnificência e majestade, de por si nada é se a caridade não o animar» (Jeanne relapse et sainte, Paris 1994, 74). Apraz-me exaltar esta perspicácia francesa, génio crente e criativo, que afirmou tais verdades através duma infinidade de gestos e escritos. São Cesário de Arles dizia: «Se tens a caridade, tens Deus; e se tens Deus, que te falta?» (Sermão 22, 2). Pascal reconhecia que «o único objeto da Escritura é a caridade» (Pensamentos, n. 301) e que «a verdade fora da caridade não é Deus, mas é a sua silhueta e um ídolo que não deve ser amado nem adorado» (Pensamentos, n. 767). E São João Cassiano, aqui falecido, escreveu que «tudo, mesmo aquilo que se considera útil e necessário, vale menos do que aquele bem que é a paz e a caridade» (Conferências espirituais XVI, 6).
Por isso é bom que os cristãos sejam insuperáveis na caridade; e o Evangelho da caridade seja a magna charta da pastoral. Não somos chamados a chorar os tempos passados nem a redefinir uma relevância eclesial, somos chamados ao testemunho: não a bordar as palavras do Evangelho, mas a dar-lhes carne; não a medir a visibilidade, mas a gastarmo-nos na gratuidade, acreditando que «a medida de Jesus é o amor sem medida» (Francisco, Homilia, 23/II/2020). São Paulo, o Apóstolo dos gentios, que passou boa parte da sua vida dum porto para outro nas rotas do Mediterrâneo, ensinava que, para cumprir a lei de Cristo, é preciso carregar os fardos uns dos outros (cf. Gal 6, 2). Queridos irmãos Bispos, não sobrecarreguemos as pessoas, mas aliviemos as suas fadigas em nome do Evangelho da misericórdia, para distribuir com alegria o alívio de Jesus a uma humanidade cansada e ferida. Que a Igreja não seja um conjunto de preceitos; a Igreja seja porto de esperança para os desanimados. Por favor, ampliai o coração! A Igreja seja porto de restabelecimento, onde as pessoas se sintam encorajadas a fazerem-se ao largo na vida com a força incomparável da alegria de Cristo. Que a Igreja não seja uma alfândega. Recordemos o Senhor: todos, todos, todos são convidados.
3. E chego assim à última imagem: o farol. Este ilumina o mar e indica o porto. Que rastos luminosos podem orientar a rota das Igrejas no Mediterrâneo? Pensando no mar, que une tantas comunidades crentes diversas, creio que se possa refletir sobre percursos de maior sinergia, talvez avaliando mesmo a oportunidade duma Conferência eclesial do Mediterrâneo, como disse o Cardeal [Aveline], que permita novas possibilidades de intercâmbio e dê maior representatividade eclesial à região. E pensando ainda no porto e na questão migratória, poderia ser proveitoso trabalhar em prol duma pastoral específica ainda mais conectada, de modo que as dioceses mais expostas pudessem assegurar melhor assistência espiritual e humana às irmãs e aos irmãos que chegam necessitados de tudo.
O farol, neste prestigioso palácio que tem o seu nome, faz-me pensar ainda e sobretudo nos jovens: são eles a luz que indica a rota futura. Marselha é uma grande cidade universitária, sede de quatro campus; dos 35 mil alunos que os frequentam, aproximadamente 5 mil são estrangeiros. Donde começar a tecer as relações entre as culturas, senão das universidades? Aqui os jovens são fascinados, não pela sedução do poder, mas pelo sonho de construir o futuro. Que as universidades mediterrânicas sejam laboratórios de sonhos e estaleiros de construção de futuro, onde os jovens amadureçam encontrando-se, conhecendo-se e descobrindo culturas e contextos simultaneamente vizinhos e diversos. Assim se abatem os preconceitos, curam as feridas e evitam retóricas fundamentalistas. Cuidado com a pregação de tantos fundamentalismos que, hoje em dia, estão na moda! Jovens bem formados e orientados para fraternizar poderão abrir portas inesperadas de diálogo. Se queremos que se consagrem ao Evangelho e ao nobre serviço da política, é preciso antes de tudo que nós próprios sejamos credíveis: esquecidos de nós mesmos, livres de autorreferencialidade, dedicados a gastar-nos incansavelmente pelos outros. Mas o desafio prioritário da educação diz respeito a todas as idades educativas: já desde criança, «misturando-se» com as outras, podem-se superar muitas barreiras e preconceitos, desenvolvendo a própria identidade no contexto dum enriquecimento mútuo. Para isso bem pode contribuir a Igreja, colocando ao serviço as suas redes de formação e dando vida a uma «criatividade da fraternidade».
Irmãos e irmãs, um outro desafio é o de uma teologia mediterrânica – a teologia deve estar radicada na vida; uma teologia de laboratório não funciona –, que desenvolva um pensamento aderente à realidade, «casa» do humano e não apenas do dado técnico, capaz de unir as gerações ligando memória e futuro, e de promover com originalidade o caminho ecuménico entre os cristãos e o diálogo entre crentes de diferentes religiões. É bom aventurar-se numa investigação filosófica e teológica que, bebendo nas fontes culturais mediterrânicas, restitua esperança ao homem, mistério de liberdade, que tem necessidade de Deus e do outro para dar sentido à sua existência. E é preciso também refletir sobre o mistério de Deus, que ninguém pode pretender possuir ou dominar, antes deve ser subtraído a todo o uso violento e instrumental, cientes de que a confissão da sua grandeza pressupõe em nós a humildade dos indagadores.
Queridos irmãos e irmãs, estou feliz por estar aqui em Marselha! Uma vez, o Senhor Presidente convidou-me a visitar a França e disse-me: “Mas é importante que venha a Marselha!”. E aqui estou. Agradeço-vos pela vossa escuta paciente e o vosso compromisso. Continuai para diante, com coragem! Sede mar de bem, para fazer frente às pobrezas de hoje com uma sinergia solidária; sede porto acolhedor, para abraçar quem procura um futuro melhor; sede farol de paz, para atravessar, através da cultura do encontro, os tenebrosos abismos da violência e da guerra. Muito obrigado!
[01424-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Panie Prezydencie Republiki,
Drodzy Bracia Biskupi,
Dostojni Burmistrzowie i Przedstawiciele władz, reprezentujący miasta i terytoria leżące nad Morzem Śródziemnym,
Przyjaciele!
Serdecznie was pozdrawiam, wdzięczny każdemu z was, za przyjęcie zaproszenia kardynała Aveline'a do udziału w tych spotkaniach. Dziękuję za waszą pracę i za cenne refleksje, którymi się podzieliliście. Po Bari i Florencji, droga służąca narodom śródziemnomorskim postępuje naprzód: także tutaj przywódcy kościelni i życia obywatelskiego są razem nie po to, by zajmować się wzajemnymi interesami, ale ożywieni pragnieniem troski o ludzkość; dziękuję, że czynicie to razem z młodymi ludźmi, będącymi teraźniejszością i przyszłością Kościoła i społeczeństwa.
Marsylia jest bardzo stara. Została założona przez greckich żeglarzy z Azji Mniejszej, mit nawiązuje do dziejów miłości żeglarza emigranta i miejscowej księżniczki. Od samego początku ma złożony i kosmopolityczny charakter: przyjmuje bogactwa morza i daje ojczyznę tym, którzy już jej nie mają. Marsylia mówi nam, że pomimo trudności, współistnienie jest możliwe i jest źródłem radości. Na mapie, między Niceą a Montpellier, zdaje się niemal kreślić uśmiech. Lubię o niej myśleć, w ten sposób: Marsylia jest „uśmiechem Morza Śródziemnego”. Chciałbym zatem podzielić się z wami kilkoma przemyśleniami na temat trzech rzeczy, które charakteryzują Marsylię: morza, portu i latarni morskiej. To trzy symbole.
1. Morze. Przypływ ludów uczynił z tego miasta mozaikę nadziei, z jego wielką tradycją wieloetniczną i wielokulturową, reprezentowaną przez ponad 60 Konsulatów obecnych na jego terytorium. Marsylia jest miastem zarówno w liczbie mnogiej, jak i pojedynczej, ponieważ to właśnie jego wielość, będąca wynikiem spotkania ze światem, czyni jego historię wyjątkową. Często słyszymy dziś, że historia śródziemnomorska miałaby być splotem konfliktów między różnymi cywilizacjami, religiami i wizjami. Nie lekceważmy problemów – nie brak ich! – ale też nie dajmy się zwieść: wymiana, która miała miejsce między narodami, uczyniła z Morza Śródziemnego kolebkę cywilizacji, morze pełne skarbów, do tego stopnia, że, jak napisał wielki francuski historyk, nie jest to „jeden pejzaż, ale niezliczone pejzaże. Nie jedno morze, lecz szereg mórz”; „przez tysiąclecia wszystko do niego wpływało, gmatwając i ubogacając jego historię” (F. Braudel, La Méditerranée, Paris 1985, 16). Nasze morze jest przestrzenią spotkań: między religiami Abrahamowymi; między myślą grecką, łacińską i arabską; między nauką, filozofią i prawem oraz między wieloma innymi rzeczywistościami. Przekazało światu wzniosłą wartość istoty ludzkiej, obdarzonej wolnością, otwartej na prawdę i potrzebującej zbawienia, która postrzega świat jako cud do odkrycia i ogród do zamieszkania, w znaku Boga, który zawiera przymierza z ludźmi.
Wybitny burmistrz odczytał w basenie Morza Śródziemnego nie kwestię konfliktową, lecz odpowiedź pokoju, wręcz „początek i fundament pokoju między wszystkimi narodami świata” (G. La Pira, Parole a conclusione del primo Colloquio Mediterraneo, 6 października 1958 r.). Powiedział wręcz: „Odpowiedź [...] jest możliwa, jeśli weźmiemy pod uwagę wspólne historyczne i, że tak powiem, stałe powołanie, które Opatrzność wyznaczyła w przeszłości, wyznacza w teraźniejszości i, w pewnym sensie, wyznaczy w przyszłości ludom i narodom, które żyją na brzegach tego tajemniczego powiększonego Jeziora Tyberiadzkiego, jakim jest Morze Śródziemne” (Discorso di apertura del I Colloquio Mediterraneo, 3 października 1958 r.). Jezioro Tyberiadzkie czyli Morze Galilejskie, to znaczy miejsce, w którym w czasach Chrystusa koncentrowała się wielka różnorodność ludów, kultów i tradycji. To właśnie tam, w „Galilei pogan” (por. Mt 4, 15), którą przecina Droga morska miała miejsce większość publicznego życia Jezusa. Wielopostaciowy i pod różnymi względami niestabilny kontekst był miejscem powszechnego głoszenia Błogosławieństw w imię Boga, Ojca wszystkich, który „sprawia, że słońce Jego wschodzi nad złymi i nad dobrymi, i On zsyła deszcz na sprawiedliwych i niesprawiedliwych” (Mt 5, 45). Było to również zaproszenie do poszerzenia granic serca, przezwyciężenia barier etnicznych i kulturowych. Oto zatem odpowiedź, która pochodzi z Morza Śródziemnego: to odwieczne Morze Galilejskie zaprasza do przeciwstawienia się podziałowi konfliktów „wspólnotą różnic” (T. Bello, Benedette inquietudini, Milano 2001, 73). Nasze morze, na rozdrożu między Północą a Południem, Wschodem a Zachodem koncentruje wyzwania całego świata, o czym świadczy jego „pięć wybrzeży”: Afryka Północna, Bliski Wschód, Morze Czarne i Egejskie, Bałkany i Europa Łacińska. Jest to przyczółek wyzwań, które dotykają wszystkich: pomyślmy o wyzwaniach klimatycznych, a Morze Śródziemne stanowi hotspot, w którym zmiany są najszybciej odczuwalne; jak ważne jest zachowanie roślinności śródziemnomorskiej, unikalnego skarbca bioróżnorodności! Krótko mówiąc, to morze, środowisko, które oferuje wyjątkowe podejście do złożoności, jest „odzwierciedleniem świata” i niesie w sobie globalne powołanie do braterstwa, wyjątkowe powołanie i jedyny sposób zapobiegania i przezwyciężania konfliktów.
Bracia i siostry, w dzisiejszym morzu konfliktów jesteśmy tutaj, aby docenić wkład Morza Śródziemnego, aby ponownie stało się ono laboratorium pokoju. Takie jest bowiem jego powołanie – bycie miejscem, w którym różne kraje i rzeczywistości spotykają się w oparciu o człowieczeństwo, które wszyscy dzielimy, a nie o ideologie, które przeciwstawiają się sobie. Tak, Morze Śródziemne wyraża myśl, która nie jest jednolita i ideologiczna, lecz wieloaspektowa i zgodna z rzeczywistością; myśl żywotną, otwartą i jednoczącą: myśl wspólnotową, oto właściwe słowo. Jak bardzo jej potrzebujemy w obecnym momencie, w którym staromodne i wojownicze nacjonalizmy chcą zniweczyć marzenie o wspólnocie narodów! Ale – pamiętajmy – za pomocą broni prowadzi się wojnę, a nie pokój, a żądza władzy zawsze powoduje powrót do przeszłości, a nie budowanie przyszłości.
Od czego zatem zacząć, aby zaprowadzić pokój? Na brzegu Jeziora Galilejskiego Jezus zaczął od dawania nadziei ubogim, ogłaszając ich błogosławionymi: wysłuchiwał ich potrzeb, leczył ich rany, głosił im dobrą nowinę o Królestwie. Od tego musimy zacząć, od często milczącego krzyku ostatnich, a nie od prymusów, którzy będąc dobrze sytuowani, podnoszą głos. Zacznijmy na nowo, Kościół i wspólnota obywatelska, od słuchania ubogich, których „bierze się w ramiona, a nie liczy” (P. Mazzolari, La parola ai poveri, Bologna 2016, 39), ponieważ są twarzami, nie liczbami. Zmiana podejścia naszych wspólnot polega na traktowaniu ich jako braci, których historie trzeba poznawać, nie jako kłopotliwe problemy, wypędzając ich, odsyłając do domu; polega na przyjmowaniu ich, nie ukrywaniu; na integrowaniu ich, nie eksmitowaniu; na obdarzaniu ich godnością. A Marsylia, chcę powtórzyć, jest stolicą integracji narodów. To jest wasza duma! Dziś morze ludzkiego współistnienia jest zanieczyszczone przez niepewność, która rani także wspaniałą Marsylię. A tam, gdzie panuje niepewność, pojawia się przestępczość: tam, gdzie panuje ubóstwo materialne, edukacyjne, brak pracy, ubóstwo kulturowe i religijne, przygotowuje się teren dla mafii i handlu ludźmi. Samo zaangażowanie instytucji nie wystarczy, potrzebujemy wstrząsu sumienia, aby powiedzieć „nie” bezprawiu, a „tak” solidarności, która nie jest kroplą w morzu, lecz niezbędnym elementem do oczyszczenia jego wód.
Rzeczywiście, prawdziwym złem społecznym jest nie tyle wzrost problemów, co osłabienie troski. Kto dziś staje się bliskim ludzi młodych, pozostawionych samym sobie, będących łatwym łupem przestępczości i prostytucji? Kto się o to troszczy? Kto jest blisko ludzi zniewolonych pracą, która powinna czynić ich bardziej wolnymi? Kto troszczy się o zatrwożone rodziny, obawiające się przyszłości i przyjścia na świat nowych istot? Kto wsłuchuje się w jęk samotnych osób starszych, które zamiast być doceniane, są odstawiane, z fałszywie godną perspektywą słodkiej śmierci, w rzeczywistości bardziej słonej niż wody morskie? Kto myśli o nienarodzonych dzieciach, odrzuconych w imię fałszywego prawa do postępu, które zamiast tego, jest regresem w potrzebach jednostki? Dziś mamy dramat mylenia dzieci ze szczeniakami. Mój sekretarz powiedział mi, że przechodząc przez Plac Świętego Piotra, widział kilka kobiet wiozących dzieci w wózkach... ale to nie były dzieci, to były małe pieski! To pomieszanie mówi nam o czymś okropnym. Kto spogląda ze współczuciem poza swoje brzegi, by usłyszeć krzyki cierpienia dobiegające z Afryki Północnej i Bliskiego Wschodu? Jak wielu ludzi żyje zanurzonych w przemocy i cierpi z powodu niesprawiedliwości i prześladowań! I myślę o bardzo wielu chrześcijanach, często zmuszonych do opuszczenia swoich ziem lub żyjących tam bez uznania ich praw, bez pełnego obywatelstwa. Proszę, zaangażujmy się, aby ci, którzy są częścią społeczeństwa, mogli stać się jego pełnoprawnymi obywatelami. A ponadto jest krzyk cierpienia, który rozbrzmiewa najbardziej ze wszystkich i który zmienia nasze morze w morze śmierci, Morze Śródziemne z kolebki cywilizacji w grobowiec godności. Jest to przytłumiony krzyk braci i sióstr migrantów, któremu chciałbym poświęcić uwagę, zastanawiając się nad drugim obrazem, jaki oferuje nam Marsylia, obrazem jej portu.
2. Port w Marsylii był przez wieki otwartą na oścież bramą na morze, ku Francji i ku Europie. Stąd wyruszyło wielu w poszukiwaniu pracy i przyszłości za granicą, stąd wielu przekroczyło bramę kontynentu z bagażami pełnymi nadziei. Marsylia ma wielki port i jest wielką bramą, która nie może być zamknięta. Natomiast różne porty śródziemnomorskie zostały zamknięte. I zabrzmiały dwa słowa, podsycając obawy ludzi: „inwazja” i „sytuacja nadzwyczajna”. I zamykają porty. Ale ci, którzy ryzykują życie na morzu, nie najeżdżają, szukają gościny, szukają życia. Jeśli chodzi o sytuację nadzwyczajną, zjawisko migracji jest nie tyle chwilowym pilnym wyzwaniem, zawsze dobrym do podsycania panicznej propagandy, ale faktem naszych czasów, procesem, który obejmuje trzy kontynenty wokół Morza Śródziemnego i który musi być zarządzany z mądrą dalekowzrocznością: z odpowiedzialnością europejską zdolną do stawienia czoła obiektywnym trudnościom. Patrzę tutaj, na tej mapie, na uprzywilejowane porty dla migrantów: Cypr, Grecję, Maltę, Włochy i Hiszpanię... Są one zwrócone w stronę Morza Śródziemnego i przyjmują migrantów. Nasze morze woła o sprawiedliwość, a jego wybrzeża z jednej strony zioną bogactwem, konsumpcjonizmem i marnotrawstwem, podczas gdy z drugiej ubóstwem i niepewnością. Również tutaj Morze Śródziemne odzwierciedla świat, z Południem zwracającym się ku Północy, z wieloma krajami rozwijającymi się, nękanymi niestabilnością, reżimami, wojnami i wyludnieniem, ze spoglądającymi ku zamożnym, w zglobalizowanym świecie, w którym wszyscy jesteśmy połączeni, ale gdzie różnice nigdy nie były tak głębokie. A jednak sytuacja ta nie jest niczym nowym w ostatnich latach i to nie ten Papież, który przybył z drugiego krańca świata, jest pierwszym, który ostrzega przed nią w trybie pilnym i z niepokojem. Kościół mówi o tym z ubolewaniem od ponad pięćdziesięciu lat.
Wkrótce po zakończeniu Soboru Watykańskiego II, św. Paweł VI w encyklice Populorum progressio napisał: „narody głodujące podnoszą dziś bolesny głos w stronę narodów opływających w bogactwa. Dlatego Kościół wstrząśnięty tym pełnym udręki wołaniem wzywa wszystkich i każdego z osobna, aby poruszeni miłością dali wreszcie posłuch braciom błagającym o pomoc” (n. 3). Papież Montini wymienił „trzy obowiązki” narodów bardziej rozwiniętych, „mieszczące się w ludzkim i nadprzyrodzonym braterstwie podającym potrójne ich uzasadnienie: po pierwsze – to obowiązek solidarności, czyli niesienia przez narody bogatsze pomocy tym ludom, które zdążają dopiero do rozwoju; następnie – to obowiązek sprawiedliwości społecznej, polegającej na konieczności poprawy stosunków handlowych między narodami silniejszymi i słabszymi; wreszcie – to obowiązek powszechnej miłości, która stara się dla wszystkich o bardziej ludzką wspólnotę, gdzie wszyscy będą mogli dawać i pobierać, a postęp jednych nie będzie przeszkadzał rozwojowi drugich” (n. 44). W świetle Ewangelii i tych rozważań, Paweł VI, w 1967 r. zaakcentował „obowiązek gościnności”, którego, jak napisał, „nie przestaniemy podkreślać” (n. 67). Piętnaście lat wcześniej Pius XII zachęcał do tego, pisząc, że „Rodzina z Nazaretu: Jezus, Maryja i Józef, uciekając do Egiptu […], stanowi pierwowzór, przykład i ostoję dla wszystkich emigrantów w każdym czasie i miejscu, dla cudzoziemców i wszelkiego rodzaju uchodźców, którzy w obawie przed prześladowaniem lub z powodu niedostatku muszą opuścić rodzinną ziemię, drogich rodziców i krewnych oraz serdecznych przyjaciół […] i podążać w obce strony” (Konst. apost. Exsul Familia de spirituali emigrantium cura (1 sierpnia 1952)).
Oczywiście, są trudności w przyjmowaniu. Migranci muszą być przyjmowani, chronieni lub wspierani, promowani i integrowani. Jeśli tak się nie stanie, migrant znajdzie się w marginesie społeczeństwa. Przyjęty, wspierany, promowany i integrowany: oto styl. Prawdą jest, że nie jest łatwo mieć taki styl lub zintegrować osoby niechciane, ale głównym kryterium nie może być utrzymanie własnego dobrobytu, lecz raczej ochrona ludzkiej godności. Ci, którzy u nas szukają schronienia, nie powinni być postrzegani jako ciężar, który trzeba dźwigać: jeśli będziemy ich postrzegali jako braci, będą dla nas przede wszystkim darem. Jutro obchodzimy Światowy Dzień Migranta i Uchodźcy. Bądźmy poruszeni historią wielu naszych braci i sióstr przeżywających trudności, którzy mają prawo zarówno do migracji, jak i do nie migrowania, i nie zamykajmy się w obojętności. Historia wzywa nas do wstrząsu sumienia, aby zapobiec zatonięciu cywilizacji. Przyszłość nie będzie bowiem w zamknięciu, co jest powrotem do przeszłości, zawróceniem na drodze dziejów. Rozwiązaniem straszliwej plagi ludzkiego wyzysku nie jest odrzucenie, lecz zapewnienie, zgodnie z możliwościami każdego kraju, dużej liczby legalnych i regularnych wjazdów, zrównoważonych dzięki sprawiedliwemu przyjęciu przez kontynent europejski, w kontekście współpracy z krajami pochodzenia. Natomiast powiedzenie „dość”, to zamknięcie oczu; próba „ratowania siebie samych” teraz, zamieni się w tragedię jutro, kiedy przyszłe pokolenia będą nam dziękować, jeśli byliśmy w stanie stworzyć warunki do trwałej integracji, natomiast będą nas winić, jeśli sprzyjaliśmy jedynie jałowym asymilacjom. Integracja migrantów jest także procesem żmudnym, ale dalekowzrocznym: przygotowuje przyszłość, która, czy nam się to podoba, czy też nie, będzie wspólna albo nie będzie. Asymilacja, która nie uwzględnia różnic i trwa rygorystycznie we własnych paradygmatach, sprawia natomiast, że idea przeważa nad rzeczywistością i zagraża przyszłości, powiększając dystanse i prowokując gettoizację, która podsyca wrogość i nietolerancję. Potrzebujemy braterstwa jak chleba. Samo słowo „brat”, wywodzące się z języka indoeuropejskiego, ujawnia źródło związane z odżywianiem i utrzymaniem. Utrzymamy się tylko wtedy, gdy będziemy karmić najsłabszych nadzieją, przyjmując ich jako braci. „Nie zapominajcie też o gościnności” (Hbr 13, 2), mówi nam Pismo. A w Starym Testamencie jest to powtarzane: wdowa, sierota i cudzoziemiec. Trzy obowiązki miłosierdzia: pomoc wdowie, pomoc sierocie i pomoc cudzoziemcowi, migrantowi.
Pod tym względem port w Marsylii jest również „bramą wiary”. Zgodnie z tradycją, tutaj przybyli święci Marta, Maria i Łazarz, którzy na tych ziemiach zasiali Ewangelię. Wiara pochodzi z morza, co przywołuje sugestywna marsylska tradycja Matki Bożej Gromnicznej z procesją morską. Łazarz w Ewangelii jest przyjacielem Jezusa, ale jest to również imię bohatera bardzo aktualnej przypowieści otwierającej nam oczy na nierówności, które niszczą braterstwo, i mówi nam o szczególnym umiłowaniu ubogich przez Pana. A zatem my, chrześcijanie wierzący w Boga, który stał się człowiekiem, w jedynego i wyjątkowego Człowieka, który na brzegu Morza Śródziemnego mówił o sobie, że jest drogą, prawdą i życiem (por. J 14, 6), nie możemy zgodzić się na to, aby drogi spotkania zostały zamknięte. Nie zamykajmy dróg spotkania, proszę! Nie możemy zaakceptować tego, aby prawda bożka pieniądza zwyciężyła nad godnością człowieka, aby życie zamieniło się w śmierć! Kościół, wyznając, że Bóg w Jezusie Chrystusie „zjednoczył się w pewien sposób z każdym człowiekiem” (Gaudium et spes, 22), wierzy, wraz ze św. Janem Pawłem II, że jego drogą jest człowiek (por. Enc. Redemptor hominis, 14). Oddaje cześć Bogu i służy najbardziej kruchym, którzy są jego skarbami. Oddawać cześć Bogu i służyć bliźniemu, oto co się liczy: nie znaczenie społeczne czy liczebność, ale wierność Panu i człowiekowi!
To jest chrześcijańskie świadectwo, często nawet heroiczne; myślę na przykład o św. Karolu de Foucauld, „bracie wszystkich ludzi”, męczennikach z Algierii, ale także o wielu dzisiejszych pracownikach organizacji charytatywnych. W tym skandalicznie ewangelicznym sposobie życia Kościół znajduje bezpieczną przystań, w której może zacumować i z której może wypłynąć, aby nawiązać więzi z ludźmi wszystkich narodów, szukając wszędzie śladów Ducha i ofiarowując to, co otrzymał przez łaskę. Oto najczystsza rzeczywistość Kościoła, oto – jak pisał Bernanos – „Kościół świętych”, dodając, że „cały ten wielki aparat mądrości, siły, elastycznej dyscypliny, wspaniałości i majestatu jest niczym sam w sobie, jeśli nie ożywia go miłość” (Jeanne relapse et sainte, Paris 1994, 74). Lubię chwalić tę francuską przenikliwość wierzącego i twórczego geniusza, który potwierdzał te prawdy wieloma czynami i pismami. Święty Cezary z Arles powiedział: „Jeżeli posiadasz miłość, posiadasz Boga. Jeśli posiadasz Boga, czego ci brak?” (Kazanie 22,2, tłum. ks. Stefan Ryznar, Warszawa 1989, s. 106). Pascal uznał, że „jedynym przedmiotem Pisma świętego jest miłość” (Myśli, n. 301) i że „prawda poza miłością nie jest Bogiem, jest jego obrazem i bałwanem, którego nie trzeba kochać ani ubóstwiać” (Myśli, n. 767). A św. Jan Kasjan, który tutaj umarł pisał, że „wszystko, nawet to, co uważamy za pożyteczne i konieczne, musi ustąpić przed takimi wartościami, jak miłość i pokój” (Rozmowy z Ojcami, XVI, 6, przekł. ks. Arkadiusz Nocoń, Tyniec 2015, s. 278).
Dlatego dobrze, że chrześcijanie nie mają sobie równych w miłości, i że Ewangelia miłosierdzia jest magna charta duszpasterstwa. Nie jesteśmy powołani do opłakiwania minionych czasów ani do przedefiniowania wielkiego znaczenia kościelnego, jesteśmy wezwani do świadectwa: nie do koloryzowania Ewangelii słowami, lecz do jej ucieleśniania; nie do mierzenia widzialności, lecz do bezinteresownego dawania siebie, wierząc, że „miarą Jezusa jest miłość bez miary” (Homilia, 23 lutego 2020 r.). Święty Paweł, Apostoł pogan, który spędził znaczną część swojego życia na szlakach śródziemnomorskich, od jednego portu do drugiego, nauczał, że aby wypełnić prawo Chrystusa, musimy nosić brzemiona jedni drugich (por. Ga 6, 2). Drodzy bracia Biskupi, nie obciążajmy ludzi brzemionami, ale odciążajmy ich w imię Ewangelii miłosierdzia, aby z radością nieść ulgę Jezusa zmęczonej i zranionej ludzkości. Niech Kościół nie będzie zestawem nakazów, niech Kościół będzie dla przygnębionych przystanią nadziei. Proszę, poszerzcie swoje serca! Niech Kościół będzie przystanią pokrzepienia, gdzie ludzie poczują się zachęceni do wypłynięcia w życiu na głębię z niezrównaną mocą radości Chrystusa. Niech Kościół nie będzie urzędem celnym. Pamiętajmy o Panu: każdy, wszyscy są zaproszeni.
3. I tak przechodzę pokrótce do ostatniego obrazu, latarni morskiej. Oświetla ona morze i pokazuje port. Jakie smugi światła mogą ukierunkować bieg Kościołów w basenie Morza Śródziemnego? Myśląc o morzu, które jednoczy tak wiele różnych wspólnot wierzących, sądzę, że możemy zastanowić się nad bardziej zsynchronizowanymi drogami, być może nawet rozważając stosowność utworzenia Śródziemnomorskiej Konferencji Kościelnej, jak powiedział Ksiądz Kardynał [Aveline], która pozwoliłaby na dalsze możliwości wymiany i zapewniłaby większą reprezentatywność kościelną w regionie. Mając również na uwadze port i kwestię migracji, owocna mogłaby być praca na rzecz jeszcze bardziej powiązanej specyficznej opieki duszpasterskiej, tak aby diecezje najbardziej narażone mogły zapewnić lepszą pomoc duchową i ludzką swoim siostrom i braciom w potrzebie.
Latarnia morska, w tym prestiżowym budynku, który nosi jej nazwę, sprawia wreszcie, że myślę przede wszystkim o ludziach młodych: są oni światłem, które wskazuje drogę naprzód. Marsylia to duże miasto uniwersyteckie, w którym znajdują się cztery kampusy z około 35 tysiącami studentów, którzy tam studiują; 5 tysięcy z nich to obcokrajowcy. Skąd lepiej rozpocząć budowanie relacji między kulturami niż od uniwersytetu? Tam młodzi ludzie nie są zafascynowani pokusami władzy, ale marzeniem o budowaniu przyszłości. Uniwersytety śródziemnomorskie to laboratoria marzeń i miejsca budowania przyszłości, gdzie młodzi ludzie dojrzewają spotykając się, poznając się nawzajem i odkrywając kultury i konteksty, które są zarówno bliskie, jak i różne. W ten sposób przełamuje się uprzedzenia, leczy rany i odpiera retorykę fundamentalistyczną. Bądźcie ostrożni wobec nauczania tak wielu modnych dziś fundamentalizmów! Dobrze uformowani i ukierunkowani na braterstwo młodzi ludzie, mogą otworzyć nieoczekiwane drzwi dialogu. Jeśli chcemy, aby poświęcili się Ewangelii i szlachetnej służbie polityce, musimy przede wszystkim być wiarygodni: zapomnieć o sobie samym, uwolnić się od autoreferencyjności, poświęcić się niestrudzenie dla innych. Ale priorytetowe wyzwanie edukacji dotyczy każdego wieku formacyjnego: już od dzieciństwa, „mieszając się” z innymi, można pokonać wiele barier i uprzedzeń, rozwijając własną tożsamość w kontekście wzajemnego ubogacania się. Kościół może się do tego przyczynić, oddając do dyspozycji swoje struktury formacyjne i animując „kreatywność braterstwa”.
Bracia i siostry, teologia musi być radykalna w życiu; teologia z laboratorium nie działa. Wyzwaniem jest teologia śródziemnomorska, która rozwijałaby myśl przystającą do rzeczywistości, „dom” tego co ludzkie, a nie tylko danych technicznych, zdolny do jednoczenia pokoleń poprzez łączenie pamięci i przyszłości oraz do promowania w oryginalny sposób ekumenicznej drogi między chrześcijanami, i dialogu między wyznawcami różnych religii. Dobrze jest podjąć badania filozoficzne i teologiczne, które czerpiąc ze śródziemnomorskich źródeł kulturowych, przywracałyby człowiekowi nadzieję, tajemnicę wolności potrzebującej Boga i drugiego, aby nadać sens swojemu istnieniu. Konieczna jest także refleksja nad tajemnicą Boga, o której nikt nie może twierdzić, że ją posiada lub kontroluje i którą należy wręcz odsunąć od wszelkiego wykorzystania przemocowego i instrumentalnego, będąc świadomi, że wyznanie jej wielkości zakłada w nas pokorę poszukiwaczy.
Drodzy bracia i siostry, cieszę się, że jestem tutaj, w Marsylii! Kiedyś Pan Prezydent zaprosił mnie do Francji i powiedział: „Ale ważne jest, aby Wasza Świątobliwość przyjechał do Marsylii!”. I tak zrobiłem. Dziękuję wam za cierpliwe słuchanie i za wasze zaangażowanie. Idźcie odważnie naprzód! Bądźcie morzem dobra, aby stawić czoła dzisiejszemu ubóstwu z solidarną harmonią. Bądźcie gościnnym portem, aby wziąć w ramiona tych, którzy szukają lepszej przyszłości. Bądźcie latarnią pokoju, aby poprzez kulturę spotkania rozproszyć mroczne otchłanie przemocy i wojny. Dziękuję bardzo!
[01424-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
الزيارة الرّسوليّة إلى مرسيليا
كلمة قداسة البابا فرنسيس
في الجلسة الختامية ”للقاءات البحر الأبيض المتوسط“
قصر ”المنارة“، 23 أيلول/سبتمبر 2023
السّيّد رئيس الجمهوريّة،
الإخوة الأساقفة،
رؤساء البلديّات والسُّلُطات التي تمثّل المدن والمناطق على شاطئ البحر الأبيض المتوسط،
أيّها الأصدقاء،
أحيّيكم تحيّة قلبيّة، وأشكر كلّ واحد منكم لقبولكم دعوة الكاردينال أفلين (Aveline) للمشاركة في هذه اللقاءات. شكرًا لأتعابكم ولأفكاركم الثّمينة التي أدليتم بها. بعد باري وفيرينسي (Bari e Firenze)، مسيرة خدمة شعوب البحر الأبيض المتوسط تتقدّم: هنا أيضًا، القادة الكنسيّون والمدنيّون معًا يلتقون لا للنظر في المصالح المشتركة، إنّما يريدون فقط خدمة الإنسان. شكرًا لأنّكم تعملون مع الشّباب أيضًا، الذين هم حاضر ومستقبل الكنيسة والمجتمع.
مدينة مرسيليا قديمة جدًّا. أسَّسها ملاحون يونانيّون أتوا من آسيا الصّغرى، وتقول الأسطورة إنّ تأسيسها يعود إلى قصة حبّ بين بحَّار مهاجر وأميرة محليّة. ولها منذ نشأتها طابع متعدِّد وعالمي: ترحِّب بثروات البحر وتقدِّم وطنًا للذين لا وطن لهم. مرسيليا تقول لنا إنّ العيش معًا أمر ممكن وهو مصدر فرح، على الرّغم من الصّعاب. على الخريطة، بين نيس ومونبلييه (Nizza e Montpellier)، يبدو وكأنّها ترسم ابتسامة. ويَسُرُّني أن أتخيَّلها كذلك، أنّها ”ابتسامة البحر الأبيض المتوسط“. والآن أريد أن أقدِّم لكم بعض الأفكار حول ثلاثة أمور تميِّز مرسيليا: البحر والميناء والمنارة.
1. البحر. بحر من الشّعوب جعل من هذه المدينة فسيفساء من الأمل، بتقاليدها العريقة المتعدّدة الأعراق والثّقافات، تمثِّلها أكثر من 60 قنصلية متواجدة فيها. مرسيليا هي مدينة متعدّدة وفريدة في الوقت نفسه، وتعدديتها، التي هي نتيجة اللقاء مع العالم، جعلت تاريخها فريدًا. كثيرًا ما نسمع اليوم من يكرِّرون أنّ تاريخ البحر الأبيض المتوسط هو مزيج من الصّراعات بين الحضارات والأديان والرّؤى المختلفة. طبعًا لا نتجاهَلْ المشاكل، ولكن أيضًا لا ننخدِعْ: فالتبادلات بين الشّعوب جعلت من البحر الأبيض المتوسط مهدًا للحضارة، وبحرًا يفيض بالكنوز، إلى درجة أنّ مؤرّخًا فرنسيًّا كبيرًا كتب: "البحر ليس مشهدًا، بل مشاهد تتوالى ولا تُحصَى. ليس بحرًا، بل سلسلة من البحار"، "منذ آلاف السّنين، يتدفَّق كلّ شيء إليه، ويؤدي إلى تعدُّد الأوجه في تاريخه وإلى إثرائه" (ف. بروديل - F. Braudel، البحر الأبيض المتوسط، باريس 1985، 16). ”بحرنا“ هو مساحة لقاء، بين الدّيانات الإبراهيميّة، وبين الفكر اليونانيّ واللاتينيّ والعربيّ، وبين العِلم والفلسفة والقانون، وحقائق أخرى عديدة. نقل للعالم قيمة الإنسان السّامية، وحريته، وانفتاحه على الحقيقة، وحاجته إلى الخلاص، وهو يرى العالم أعجوبة عليه أن يكتشفها وحديقة يسكنها، تحت علامة إله يقطع العهود مع الإنسان.
كان رئيس بلدية كبير يرى في البحر الأبيض المتوسط، لا قضية صراع، بل استجابة سلام، بل "بداية وأساسًا للسّلام بين جميع دول العالم" (ج. لا بيرا، كلمات في ختام الندوة الأولى للبحر الأبيض المتوسط، 6 تشرين الأوّل/أكتوبر 1958). قال: "الإجابة […] ممكنة، إن أخذنا بعين الاعتبار الدّعوة التّاريخيّة المشتركة، بل هي دعوة دائمة خصَّتْه بها العناية الإلهيّة في الماضي، وتوجِّهها في الحاضر، وبمعنى ما، ستوجِّهها في المستقبل، إلى الشّعوب والأمم التي تعيش على ضفاف ”بحيرة طبرية“ الموسعة في سرِّها، والتي هي البحر الأبيض المتوسط" (الخطاب الافتتاحي في الندوة الأولى، 3 تشرين الأوّل/أكتوبر 1958). بحيرة طبريا، أو بحر الجليل: المكان الذي تركّزت فيه، في زمن المسيح، مجموعة كبيرة متنوعة من السّكان والعبادات والتّقاليد. هناك، في "جليل الأمم" (راجع متّى 4، 15) الذي كان يجتازه ”طريق البحر“، كانت معظم أحداث حياة يسوع العامة. مكان إعلان التّطويبات للعالم، باسم الله أبي الجميع، الذي "يُطلِعُ شَمسَهُ عَلَى الأَشرَارِ وَالأَخيَارِ، وَيُنزِلُ المـَطَرَ عَلَى الأَبرَارِ وَالفُجَّارِ" (متّى 5، 45)، كان بيئة متعدِّدة، وغير مستقرَّة في كثير من النّواحي. وكان ذلك الإعلان أيضًا دعوة لتوسيع حدود القلب، والتّغلّب على الحواجز العرقيّة والثّقافيّة. هذا هو الجواب من البحر الأبيض المتوسط: إنّ بحر الجليل الأبدي يدعونا إلى مقاومة الصّراعات المختلفة بإمكانية "العيش معًا مع كلّ الاختلافات" (ت. بيلو - T. Bello، القلق المبارك، ميلان، 2001، 73). البحر الأبيض المتوسط، على مفترق طرق بين الشّمال والجنوب، بين الشّرق والغرب، ويستقبل تحديات العالم بأسره، كما تشهد بذلك ”شواطئه الخمسة“، التي تأملتم فيها: شمال أفريقيا، والشّرق الأدنى، وبحر إيجيا اليونان، والبلقان وأوروبا اللاتينيّة. إنّها تحديات متراكمة تؤثّر على الجميع: لنفكِّر مثلًا في قضية المناخ، حيث البحر الأبيض المتوسط هو نقطة ساخنة تظهر فيه التّغيّرات بسرعة أكبر. كَم هو مُهمّ أن نحرس رُقعة البحر الأبيض المتوسّط، هذا الصّندوق الفريد من التّنوّع البيولوجيّ! باختصار، هذا البحر، وهو بيئة فريدة للتعدّد والتّعقيد، هو ”مرآة للعالم“، ويحمل في مساحته دعوة عالميّة للأخُوّة، دعوة فريدة وطريقة فريدة لتدارك الصّراعات والتّغلُّب عليها.
أيّها الإخوة والأخوات، في خضَمِّ صراعات اليوم، نحن هنا لنؤكّد قيمة مساهمة البحر الأبيض المتوسط، حتّى يعود ليكون مختبرًا للسلام. لأنّ دعوته هذه هي، أن يكون مكانًا تلتقي فيه بلدان ووقائع مختلفة على أساس الإنسانيّة الواحدة والمشتركة بيننا جميعًا، وليس على أساس الأيديولوجيّات التي تتعارض. نعم، البحر الأبيض المتوسط يعبّر عن فكر غير موحَّدٍ، وليس أيديولوجيّة، بل هو متعدد الأوجه ولاصق بالواقع، فِكرٌ حيُّ ومنفتح يدعو إلى المصالحة: فكر جماعيّ، هذه هي الكلمة. كم نحن بحاجة إليه في الوضع الحالي المتكسِّر، حيث القوميات القديمة والمتحاربة تريد تدمير حلم هيئة الأمم! لكن - لنتذكّر - أنّ الأسلحة تصنع الحرب، لا السّلام، وجشَعُ السُّلطة يعيدنا إلى الماضي، ولا يبني المستقبل.
فمن أين يجب أن نبدأ إذًا لنضع أسس السّلام؟ على ضفاف بحيرة الجليل، بدأ يسوع بمنح الرّجاء للفقراء، وقال لهم: طوبى لكم. أصغى إلى احتياجاتهم، وشفى جراحاتهم، وأوَّلًا بشَّرهم بملكوت الله. من هنا، ننطلق، من صراخ الضّعفاء الصّامت الذي لا يسمعه أحد في كثير من الأحيان. لا يمكن البدء بالاستماع إلى ”أوائل الصّف“، الذين مع كونهم في وضع جيّد، يرفعون صوتهم عاليًا. لنبدأ من جديد، الكنيسة والمجتمع المدني، بالاستماع إلى الفقراء، "لنعانقهم، لا لنعرف عددهم" (ب. مازولاري، الكلمة للفقراء، بولونيا، 2016، 39)، لأنّهم ليسوا أرقامًا بل هم وجوه. التّغيير في مجتمعاتنا يقوم بمعاملتهم كإخوة نعرف قصصهم، وليس لنرى فيها قضايا مزعجة، ويقوم بالتّرحيب بهم، لا بإخفائهم، وبدمجهم، لا بإبعادهم، وبمنحهم كرامتهم. واليوم، بحر العيش معًا صار ملوَّثًا بعدم الاستقرار، وهو يجرح مرسيليا الجميلة أيضًا. فحيثما يوجد عدم الاستقرار توجد الجريمة: وحيثما يوجد الفقر في المادة وفي التّعلِيم وفي العمل وفي الثّقافة وفي الدّين، تُسهَّل الأرض أمام المافيا والاتِّجار بالبشر غير المشروع. إنّ التّزام المؤسّسات وحده لا يكفي، نحن بحاجة إلى انتفاضة في الضّمير لنقول ”لا“ لعدم الشّرعية و”نعم“ للتضامن، ولا يكُنْ كلامنا قطرة في المحيط، بل عنصرًا لا بدَّ منه لتنقية المياه.
في الواقع، الشّرّ الاجتماعيّ الحقيقيّ ليس في تزايد المشاكل، بل هو في قلّة الاهتمام بها. من هو اليوم القريب للشّباب المتروكين لأنفسهم، فريسة سهلة للجريمة والدّعارة؟ من هو القريب للأشخاص المستعبدين في عملهم، الذي كان يجب أن يجعلهم أحرارًا؟ من يعتني بالعائلات الخائفة والمرتعبة من المستقبل، والتي تخشى أن تنجب مخلوقات جديدة في العالم؟ من يستمع إلى أنين كبار السّن الوحيدين الذين، بدلًا من أن يتمّ تقديرهم، يقفون في انتظار الكرامة الزائفة بموت رحيم، في واقع أشدَّ ملوحة من مياه البحر؟ من يفكِّر في الأطفال الذين لم يولدوا، المرفوضين باسم الحق الزائف في التّقدّم، والذي هو، عكس ذلك، تراجع في احتياجات الفرد؟ اليوم لدينا مأساة الخلط بين الأطفال والكلاب. قال لي سكرتيرتي إنّه أثناء مروره في ساحة القدّيس بطرس، رأى بعض النّساء يحملن أطفالًا في عربات الأطفال... لكنّهم لم يكونوا أطفالًا، بل كانوا كلابًا! هذه الفوضى تقول لنا بشيء سيء. ومن ينظر بشفقة إلى ما هو أبعد من شاطئه ليسمع صرخات الألم المتصاعدة من شمال أفريقيا والشّرق الأوسط؟ كم من الناس يعيشون غارقين في العنف ويعانون من الظّلم والاضطهاد! وأفكّر في المسيحيّين الكثيرين، الذين غالبًا ما يُجبرون على ترك أراضيهم أو العيش فيها دون الاعتراف بحقوقهم، ودون التّمتع بالمواطنة الكاملة. من فضلكم، دعونا نلتزم حتّى يتمكّن الذين هم جزء من المجتمع من أن يكونوا مواطنين كاملين. ثمّ هناك صرخة ألَم مُدَوِّية أكثر من أيّ شيء آخر، والتي تحوِّل ”بحرنا“ إلى ”بحر الأموات“، وتحوِّل البحر الأبيض المتوسط من مهد الحضارة إلى قبر الكرامة. إنّها الصّرخة المختنقة للإخوة والأخوات المهاجرين، والتي أودّ أن ألفِتَ النّظر إليها بالتّفكير في الصّورة الثّانية التي تقدِّمُها لنا مرسيليا، وهي صورة الميناء.
2. كان ميناء مرسيليا، منذ قرون، بمثابة باب مفتوح على البحر، على فرنسا وأوروبا. ومن هنا غادر الكثيرون بحثًا عن عمل ومستقبل في الخارج، ومن هنا عبر الكثيرون باب القارّة يحملون معهم الأمل. في مرسيليا ميناء كبير وهو باب كبير لا يمكن إغلاقه. موانئ كثيرة على البحر الأبيض المتوسط أُغلقت. وترددت كلمتان تغذِّيان المخاوف في قلوب الناس: ”الغزو“ و”الطّوارئ“. لكن الذين يخاطرون بحياتهم في البحر ليسوا غزاة، بل هم طالبو ضيافة. أمّا بالنّسبة للطوارئ، فإنّ ظاهرة الهجرة ليست حالة طوارئ عابرة، تصلح لنشر إشاعات الذعر والقلق، بل هي واقع ثابت في زمننا، وهي ظاهرة تشمل ثلاث قارات حول البحر الأبيض المتوسط، ويجب التّعامل معها بحكمة وبُعد نظر: بمسؤوليّة أوروبيّة تقدر أن تواجه الصّعوبات الواقعية. إنّني أنظر هنا إلى هذه الخريطة، إلى الموانئ المميّزة للمهاجرين: موانئ قبرص واليونان ومالطا وإيطاليا وإسبانيا... وهي تطلّ على البحر الأبيض المتوسط وتستقبل المهاجرين. البحر الأبيض المتوسط يصرخ يطلب عدلًا. على شواطئه، من جهة، ثراء وبذخ واستهلاك وتبذير، ومن جهة أخرى، فقر وعدم استقرار. هنا أيضًا يعكس البحر الأبيض المتوسط صورة العالم، حيث يتجه الجنوب نحو الشّمال، وبلدان كثيرة على طريق النّمُوّ، تعاني من أنظمة غير مستقرة ومن الحروب والتّصحُّر، وهي تتطلَّع إلى البلدان الغنية، في عالم معولَم، كلّنا فيه مترابطون، لكن الفجوات بيننا عميقة، لم تبلغ مثل هذا العمق فيما مضى. ومع ذلك، فإنّ هذا الوضع ليس جديدًا في السّنوات الأخيرة، وهذا البابا القادم من الجانب الآخر من العالم ليس أوّل من يشعر به ويتكلّم عنه بإلحاح واهتمام. لقد تكلَّمَتْ الكنيسة عن هذا الموضوع بقلق واهتمام منذ أكثر من خمسين سنة.
كان المجمع الفاتيكاني الثّاني قد انتهى قبل قليل، لمّا كتب القدّيس بولس السّادس رسالته العامّة ”تقدُّم الشّعوب“، وقال فيها: "إنّ شعوب الجوع اليوم تخاطب بصورة مأسوية الشّعوب الغنية. إنّ الكنيسة ترتجف أمام صرخة الألم هذه والقلق، وتدعو كلّ واحد إلى أن يستجيب بمحبة لأخيه" (رقم 3). وقد عدَّد البابا مونتيني ”ثلاثة واجبات“ على الدّول المتقدّمة، "كلُّها متجذرة في الأخُوّة البشريّة والفائقة الطبيعة": "واجب التّضامن، أي المساعدة التي يجب على الدّول الغنية تقديمها للدول النّامية. وواجب العدالة الاجتماعية، أي إعادة بناء وتصحيح العلاقات التجارية المعتلَّة بين الشّعوب القوّية والضّعيفة. وواجب المحبة العالمية الشّاملة، أي ضرورة إيجاد عالم أكثر إنسانيّة للجميع، عالم يكون فيه كلّ فرد قادرًا على العطاء والأخذ، من غير أن يكون تقدُّم البعض عائقًا دون تنمية الآخرين" (رقم 44). في ضوء الإنجيل وفي ضوء هذه الاعتبارات، أكّد بولس السّادس، عام 1967، على "واجب الاستقبال"، وقال فيه: "لن نتكلّم بما فيه الكفاية على هذا الواجب" (رقم 67). وشجَّعَ البابا بيوس الثّاني عشر على ذلك، قبل خمسة عشر سنة، وكَتَبَ ما يلي: "عائلة النّاصرة في المنفى، يسوع ومريم ويوسف المهاجرين إلى مصر […] هُم نموذج ومِثَال وسنَد لجميع المهاجرين والحجَّاج، من جميع الأعمار ومن كلّ بلد، ولجميع اللاجئين مهما كانت حالتهم، الذين يجدون أنفسهم مُجبرين على أن يتركوا وطنهم وأقاربهم الأعزّاء، تحت ضغط الاضطهاد أو الحاجة، [...] وأن يذهبوا إلى أرض غريبة" (الدّستور الرّسوليّ، Exsul Familia de spirituali emigrantium cura، 1 آب/أغسطس 1952).
وبطبيعة الحال، كلّنا نرى الصّعوبات في التّرحيب. يجب أن نرحّب بالمهاجرين وحمايتهم ومرافقتهم ودعمهم ودمجهم. وإذا لم نصل إلى النّهاية، فسينتهي الأمر بالمهاجر في دائرة المجتمع. التّرحيب والمرافقة والدّعم والدّمج في مجتمعنا: هذا هو الأسلوب. صحيح أنّه ليس سهلًا أن يكون لدينا هذا الأسلوب أو دمج أشخاص لا ننتظر قدومهم، ومع ذلك، لا يجوز أن يكون المعيار الرّئيسيّ في ذلك الحفاظ على الرّفاهية الخاصّة لكلّ شعب، بل الحفاظ على الكرامة الإنسانيّة. لا يجوز أن نعتبر الذين لجأوا إلينا عبئًا علينا: إذا اعتبرناهم إخوة، سنرى فيهم عطيةً من الله. غدًا سنحتفل باليوم العالميّ للمهاجرين واللاجئين. دعونا نسمح لأنفسنا بأن نتأثّر بقصة العديد من إخوتنا وأخواتنا الذين يعانون من صعوبات، والذين لهم الحق في أن يهاجروا أو لا، ودعونا لا ننغلق في اللامبالاة. إنّ التّاريخ يدعونا إلى انتفاضة في الضّمير حتّى نمنع ”غرق الحضارة“. المستقبل، في الواقع، لن يكون في الانغلاق، فهو عودة إلى الماضي، وعكس لمسيرة التّاريخ. في مواجهة آفة استغلال البشر الرّهيبة والمتاجرة بهم، الرّفض ليس الحلّ، بل الحلّ في أن نضمن دخول عدد كبير بصورة قانونية ونظامية، حسب إمكانيات كلّ بلد، ويمكن أن يتمّ ذلك بفضل استقبال متساوٍ من جانب القارّة الأوروبية، في إطار التّعاون مع بلدان المنشأ. أمَّا أن نقول ”كفى“، فهذا يعني أن نغلق أعيننا حتّى لا نرى. ومحاولة ”خلاص نفسنا“ اليوم، سوف تتحوّل إلى مأساة غدًا. ستشكرنا أجيال المستقبل إذا تمكَّنَّا من خلق الظّروف اللازمة للاندماج الأساسي، وستلومنا إذا سرنا مع عمليات استيعاب سطحية وعقيمة. الدّمج الصّحيح أمر متعب، ولكنّه بعيد النّظر: فهو يهيِّئُ المستقبل الذي سيكون معًا أو لا يكون، شئنا أم أبَيْنا. إن الاستيعاب الذي لا يأخذ بعين الاعتبار الاختلافات ويبقى جامدًا في نماذجه الخاصّة، يجعل الفكرة تسود على الواقع ويفسد المستقبل، ويزيد المسافات ويسبِّب تقوقع الجماعات، ما يؤدي إلى اشتعال العداوات والتّعصب. نحن بحاجة إلى الأخوة مثلَ حاجتِنا إلى الخبز. نفس كلمة ”أخ“، في اشتقاقها الهندي الأوروبي، فيه معنى الغذاء والسّند. سنكون سندًا لأنفسنا إن غذَّيْنا الرّجاء في الضّعفاء، وإن رحَّبنا بهم كإخوة. ويذكِّرنا الكتاب المقدس بذلك حين يقول: "لا تنسوا الضّيافة" (عبرانيين 13، 2).
وفي هذا الصّدد، ميناء مرسيليا هو أيضًا ”باب للإيمان“. وبحسب التّقليد، أرسى هنا القدّيسون مرتا ومريم ولعازر ونشروا الإنجيل في هذه الأراضي. الإيمان يأتي من البحر، كما يذكِّرُنا تقليد مرسيليا في عيد تطواف الشّموع في البحر. لعازر، في الإنجيل، هو صديق يسوع، وهو أيضًا اسم شخصيّة في أحد أمثاله له معناه حتّى اليوم، ويفتح أعيننا على عدم المساواة الذي يفسد الأخُوّة، ويكلِّمُنا على محبة الله للفقراء. نحن المسيحيّين، نؤمن بالله الذي صار إنسانًا، في شخص الإنسان الوحيد الذي لا مثيل له، والذي قال على ضفاف البحر الأبيض المتوسط: ”أنا الطّريق والحق والحياة“ (راجع يوحنا 14، 6)، فلا يمكننا أن نقبل أن تكون طرق اللقاء مغلقة، وأن تنتصر حقيقة إله المال على كرامة الإنسان، وأن تتحوّل الحياة إلى موت! الكنيسة التي تعترف بأنّ الله في يسوع المسيح "اتّحد بطريقةٍ ما بكل إنسان" (فرح ورجاء، 22)، تؤمن، مع القدّيس يوحنا بولس الثّاني، أنّ الإنسان هو الطّريق إلى الله (راجع الرّسالة العامة، فادي الإنسان، 14). أن نعبد الله ونخدم الضّعفاء الذين هم كنوز الله. أن نعبد الله ونخدم القريب، هذا هو الأهمّ: لا المكانة الاجتماعيّة ولا كثرة العدد، بل الأمانة لله وللإنسان!
هذه هي الشّهادة المسيحيّة، وفي كثير من الأحيان إنّها شهادة بطولية. أفكّر على سبيل المثال في القدّيس شارل دو فوكو، ”الأخ العالمي“، وفي شهداء الجزائر، ولكن أيضًا في أهل المحبّة وصانعي الخير الكثيرين اليوم. في أسلوب الحياة الإنجيليّ هذا، والذي يبدو شكًّا ومعثرة، تجد الكنيسة المرفأ الآمن الذي ترسو فيه وتنطلق منه من جديد لتنسج الرّوابط مع الإنسان في كلّ شعب، باحثة في كلّ مكان عن آثار الرّوح ومقدِّمة ما منحها الله بنعمته. هذه حقيقة الكنيسة النقية. كتب برنانوس: هذه "كنيسة القدّيسين"، وأضاف أنّ "كلّ هذا الجهاز العظيم من الحكمة، والقوّة، والنّظام المرن، والعظمة والجلال، ليس شيئًا في حد ذاته، إن لم تكن فيه المحبّة" (Jeanne relapse et sainte, Paris 1994). أودّ أن أشيد بحدة النّظر الفرنسيّة، وبعبقريتها المؤمنة والمبدعة التي أكّدت على هذه الحقائق، بأعمال وكتابات كثيرة. قال القديس سيزار من أرل: "إن كنت تُحِبّ، فأنت مع الله، وإن كان الله معك فماذا ينقصك؟" (العظة 22، 2). وكان باسكال يقول إنّ "الموضوع الوحيد في الكتاب المقدس هو المحبّة" (أفكار، رقم 301) وإنّ "الحقيقة من دون المحبّة ليست الله، بل هي صورته وصنم له يجب ألّا نُحِبَّه ولا نعبده" (أفكار، 767). وقد كتب القدّيس يوحنا كاسيان، الراقد هنا، أن "كلّ شيء، حتّى ما يُعتَبَر نافعًا وضروريًا، إنّما هو أقل قيمة من الخير الذي هو السّلام والمحبّة" (المؤتمرات الروحية 16، 6).
من الجميل إذًا ألّا يكون المسيحيّون متأخرين عن أحد في المحبّة، وأن يكون إنجيل المحبّة هو ميثاق العمل الرّعوي. نحن لسنا مدعُوِّين للبكاء على الماضي أو لإعادة إظهار أمجاد الكنيسة. نحن مدعوّون إلى الشّهادة: لا أن نزيِّن الإنجيل بالكلمات، بل لإعطائه جسدًا وحياة، لا لنهتم بأن يرانا الناس، بل لنبذل أنفسنا مجَّانًا، مؤمنين أنّ "القياس مع يسوع هو المحبّة بلا قياس" (عظة، 23 شباط/فبراير 2020). علَّم القدّيس بولس، رسول الأمم، الذي قضى جزءًا كبيرًا من حياته على طرق البحر الأبيض المتوسط، متنقِّلًا من ميناء إلى آخر، أنّه من الضّروريّ أن نحمل بعضنا أثقال بعض، لكي نعمل بشريعة المسيح (راجع غلاطية 6، 2). الإخوة الأساقفة الأعزاء، لا نُثقِلْ الأحمال على كاهل النّاس، بل لنخفِّفْ أتعابهم باسم إنجيل الرّحمة، لنوزِّعْ بفرح الرّاحة التي يقدِّمُها يسوع للبشريّة المتعبّة والجريحة. لتكن الكنيسة ميناء رجاء للذين فقدوا الرّجاء. لتكن ميناءً للراحة وتجديد القوى، حيث يشعر النّاس بالتّشجيع للانطلاق إلى الحياة بقوّة فرح المسيح التي لا تضاهى.
3. يقودني هذا إلى الصّورة الأخيرة، صورة المنارة. المنارة تضيء البحر وتُظهِر الميناء. ما هي الأشعة المضيئة التي يمكن أن ترشد طريق الكنائس حول المتوسط؟ إن فكَّرنا في البحر، الذي يوحِّد بين العديد من الجماعات المؤمنة المتنوعة، يمكن التّفكير في مسارات فيها المزيد من التّنسيق، وقد يكون من المناسب النّظر في إمكانية إقامة مجلس كنسيّ حول البحر الأبيض المتوسط، كما قال الكاردينال أفلين (Aveline)، الذي يتيح المزيد من إمكانيّات التّبادل ويُوجِدُ في المنطقة حضورًا كنسيًا أوثق. وأيضًا إذا فكَّرْنا في الميناء وفي قضية الهجرة، قد يكون من المفيد العمل من أجل عمل رعوي مميَّز وأكثر ترابطًا، حتّى تتمكّن الأبرشيّات المقصودة أكثر من غيرها من تقديم مساعدة روحيّة وإنسانيّة أفضل للأخوات والإخوة الذين يأتون محتاجين.
وأخيرًا، المنارة، في هذا القصر العامر الذي يحمل اسم المنارة، تجعلني أفكِّر قبل كلّ شيء في الشّباب: هم النّور الذي يشير إلى طريق المستقبل. مرسيليا مدينة جامعية كبيرة، موطن لأربع جامعات، ومن بين 35000 طالب يدرسون فيها، هناك 5000 طالب أجنبي. من أين نبدأ لنسج العلاقات بين الثّقافات إن لم يكن من الجامعة؟ هناك الشّباب ليس مفتونًا بإغراءات السّلطة، بل بحلم بناء المستقبل. لتكن جامعات البحر الأبيض المتوسط مختبرات للأحلام، ومواقع بناء للمستقبل، حيث ينضج الشّباب بلقاء بعضهم البعض وبالتّعرف بعضهم على بعض، وباكتشاف الثّقافات والسّياقات المتقاربة والمختلفة في نفس الوقت. وبهذه الطّريقة، يتمّ تحطيم الأحكام المسبقة، وتُشفَى الجراح، وتتوقَّف الخطابات الأصوليّة. الشّباب المدرَّبون جيّدًا والموجَّهون نحو التّآخي يمكنهم فتح أبواب حوار غير متوقعة. إذا أردنا أن يكرّسوا أنفسهم للإنجيل ولخدمة السّياسة الرّفيعة، فنحن أنفسنا بحاجة إلى أن نكون ذوي مصداقية: أن ننسى أنفسنا، ونتحرَّرَ من مرجعيتنا الذّاتية، ونبذل أنفسنا بلا كلل من أجل الآخرين. والتّحدي الأساسيّ للتربية يشمل كلّ مراحل التّنشئة: منذ مرحلة الطّفولة، ”الاختلاط“ مع الآخرين، يساعد للتّغلّب على الحواجز الكثيرة والأحكام المسبقة، ويمكِّن من تطوير الهوية الشّخصيّة في بيئة من الإثراء المتبادل. ويمكن للكنيسة أن تساهم في هذا، وتوظِّف لهذا الغرض شبكاتها التّربوية، وتعمل على تحفيز ”إبداع الأخوّة“.
أيّها الإخوة والأخوات، التّحدي هو أيضًا في إيجاد لاهوت البحر الأبيض المتوسط، الذي يطوِّر فكرًا ملتصقًا بالواقع، الذي هو ”بيت“ للإنسان، وليس فقط للوقائع التّقنية، والذي يوحِّد الأجيال ويربط بين الذاكرة والمستقبل، ويعزِّز بصورة مبتكرة المسار المسكونيّ بين المسيحيّين، والحوار بين المؤمنين من مختلف الدّيانات. من الجميل المغامرة في بحث فلسفي ولاهوتي يستمِدُّ من المصادر الثّقافية المتوسطية، ليعيد الأمل للإنسان، وسرّ الحرّيّة التي تحتاج إلى الله وإلى القريب، لتعطي معنى للوجود نفسه. ومن الضّروريّ أيضًا أن نتأمّل في سرّ الله، الذي لا يمكن لأحد أن يدَّعي أنّه يمتلكه أو يسيطر عليه، والذي يجب إبعاده عن أيّ استخدام للعنف أو تسخير لمآربنا، ونحن مدركون أنّ الاعتراف بعظمة الله يعني تواضعنا في البحث عنه.
أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء، أنا سعيد لوجودي هنا في مرسيليا! ذات مرّة دعاني السّيّد الرّئيس لزيارة فرنسا وقال لي ما يلي: ”من المهمّ أن تأتي إلى مرسيليا!“. وقد حققت ذلك. أشكركم على استماعكم الصّبور والتّزامكم. تقدّموا، تشجّعوا! كونوا بحرًا من الخير، لمواجهة فقر اليوم بتضامن يُنسِّق جهود الجميع. كونوا ميناءً مضيافًا يستقبل الباحثين عن مستقبل أفضل، كونوا منارة للسلام، لتخترقوا، بثقافة اللقاء، مهاوي الظّلام والعنف والحرب. شكرًا جزيلًا
[01424-AR.02] [Testo originale: Italiano]
Incontro con il Presidente della Repubblica Francese presso il Palais du Pharo
Alle ore 11.30 di questa mattina, il Santo Padre Francesco ha incontrato il Presidente della Repubblica Francese, S.E. il Signor Emmanuel Macron nel Salon d’honneur du Maire del Palais du Pharo.
Dopo la foto ufficiale, ha avuto luogo il colloquio privato cui ha fatto seguito la presentazione della famiglia e lo scambio dei doni. Parallelamente, nella sala adiacente, ha avuto luogo un breve incontro tra il Cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, e il Primo Ministro di Francia, S.E. la Signora Élisabeth Borne, alla presenza del Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, S.E. Mons. Edgar Peña Parra, del Nunzio Apostolico in Francia, Arcivescovo titolare di Canosa, S.E. Mons. Celestino Migliore, e di un Consigliere di Nunziatura.
Al termine dell’incontro il Santo Padre è rientrato in auto all’Arcivescovado dove ha pranzato in privato.
[01433-IT.01]
[B0660-XX.02]