Incontro con gli Operatori della Carità e Inaugurazione della Casa della Misericordia
Discorso del Santo Padre
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Traduzione in lingua spagnola
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Traduzione in lingua polacca
Traduzione in lingua araba
Questa mattina, prima di lasciare la Prefettura Apostolica di Ulaanbaatar, Papa Francesco ha incontrato l’ex Presidente della Mongolia, il Sig. Nambar Enkhbayar, con cui si è intrattenuto in una cordiale conversazione.
Quindi, dopo essersi congedato dal personale e dai benefattori della Prefettura Apostolica, il Santo Padre si è trasferito in auto alla Casa della Misericordia dove – alle ore 9.30 (03.30 ora di Roma) – ha incontrato gli Operatori della Carità e inaugurato la struttura.
Al Suo arrivo all’ingresso della Casa della Misericordia Papa Francesco è stato accolto dal Direttore della struttura, Padre Andrew Tran Le Phuong, S.D.B..
Dopo il canto iniziale e il saluto di benvenuto del Direttore della Casa della Misericordia, ha avuto luogo la testimonianza della rappresentante del gruppo Sanità cui ha fatto seguito il ballo dei giovani delle strutture educative cattoliche. Quindi, dopo la testimonianza di un’operatrice, il Papa ha pronunciato il Suo discorso.
Al termine dell’incontro, dopo la recita dell’Ave Maria, la benedizione e il canto finale, il Santo Padre ha benedetto la targa che denominerà la struttura caritativa. Quindi si è trasferito in auto all’Aeroporto Internazionale Chinggis Khaan di Ulaanbaatar per la cerimonia di congedo dalla Mongolia.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha pronunciato nel corso dell’incontro con gli Operatori della Carità:
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Vi ringrazio di cuore per l’accoglienza, il canto e la danza, per le vostre parole di benvenuto e per le vostre testimonianze! Credo che si possano ben riassumere con alcune parole di Gesù: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere» (Mt 25,35). Così il Signore ci offre il criterio per riconoscerlo, per riconoscerlo presente nel mondo e la condizione per entrare nella gioia definitiva del suo Regno al momento dell’ultimo giudizio.
Fin dalle sue origini la Chiesa ha preso sul serio questa verità, dimostrando nei fatti che la dimensione caritativa fonda la sua identità. La dimensione caritativa fonda l’identità della Chiesa. Penso ai racconti degli Atti degli Apostoli, con le numerose iniziative prese dalla prima comunità cristiana per realizzare le parole di Gesù, dando vita a una Chiesa costruita su quattro colonne: comunione, liturgia, servizio e testimonianza. È meraviglioso vedere che, dopo tanti secoli, lo stesso spirito permea la Chiesa in Mongolia: nella sua piccolezza, essa vive di comunione fraterna, di preghiera, di servizio disinteressato all’umanità sofferente e di testimonianza della propria fede. Proprio come le quattro colonne delle grandi ger, che sostengono il tondo centrale superiore, permettendo alla struttura di reggersi e di offrire spazio accogliente al suo interno.
Eccoci dunque dentro questa casa che avete costruito e che oggi ho la gioia di benedire e inaugurare. È un’espressione concreta di quel prendersi cura dell’altro in cui i cristiani si riconoscono; perché dove c’è accoglienza, ospitalità e apertura all’altro si respira il buon profumo di Cristo (cfr 2 Cor 2,15). Lo spendersi per il prossimo, per la sua salute, i suoi bisogni primari, la sua formazione e la sua cultura, appartiene fin dagli inizi a questa vivace porzione del Popolo di Dio. Da quando i primi missionari sono arrivati a Ulaanbaatar negli anni novanta, hanno sentito subito l’appello alla carità, che li ha portati a prendersi cura dell’infanzia derelitta, di fratelli e sorelle senza fissa dimora, dei malati, delle persone con disabilità, dei carcerati e di quanti nella loro condizione di sofferenza chiedevano di essere accolti.
Oggi vediamo come da quelle radici è cresciuto un tronco, sono spuntati dei rami e sono sbocciati tanti frutti: numerose e lodevoli iniziative benefiche, sviluppatesi in progetti a lungo termine, portati avanti per lo più dai diversi Istituti missionari qui presenti e apprezzati dalla popolazione e dalle autorità civili. D’altronde, era stato lo stesso Governo mongolo a chiedere l’aiuto dei missionari cattolici per fronteggiare le numerose emergenze sociali di un Paese che al tempo versava in una delicata fase di transizione politica, segnata da diffusa povertà. Questi progetti vedono impegnati tutt’oggi missionari e missionarie di tanti Paesi, che mettono al servizio della società mongola le loro conoscenze, la loro esperienza, le loro risorse e soprattutto il loro amore. A loro, e a quanti sostengono queste numerose opere di bene, vanno la mia ammirazione e il mio più sentito “grazie”.
La Casa della Misericordia si propone come punto di riferimento per una molteplicità di interventi caritativi, mani tese verso i fratelli e le sorelle che faticano a navigare tra i problemi della vita. È una sorta di porto dove attraccare, dove poter trovare ascolto e comprensione. Questa nuova iniziativa, però, mentre si aggiunge alle numerose altre sostenute dalle varie istituzioni cattoliche, ne rappresenta una versione inedita: qui, infatti, è la Chiesa particolare a portare avanti l’opera, nella sinergia di tutte le componenti missionarie ma con una chiara identità locale, come genuina espressione della Prefettura Apostolica nel suo insieme. E mi piace molto il nome che avete voluto darle: Casa della Misericordia. In queste due parole c’è la definizione della Chiesa, chiamata a essere dimora accogliente dove tutti possono sperimentare un amore superiore, che smuove e commuove il cuore: l’amore tenero e provvidente del Padre, che ci vuole fratelli, ci vuole sorelle nella sua casa. Auspico allora che possiate trovarvi tutti attorno a questa realizzazione, che le varie comunità missionarie vi partecipino attivamente, impegnando personale e risorse.
Perché ciò si realizzi è indispensabile il volontariato, il servizio, cioè, puramente gratuito e disinteressato, che le persone liberamente decidono di offrire a chi è nel bisogno: non sulla base di un compenso economico o di una qualsiasi forma di ritorno individuale, ma per puro amore al prossimo. Questo è lo stile di servizio che Gesù ci ha insegnato dicendo: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Servire così sembra una scommessa perdente, ma quando ci si mette in gioco si scopre che ciò che si dona senza aspettare contraccambio non è sprecato; anzi, diventa una grande ricchezza per chi offre tempo ed energie. La gratuità, infatti, alleggerisce l’animo, risana le ferite del cuore, avvicina a Dio, dischiude la fonte della gioia e mantiene giovani dentro. In questo Paese pieno di giovani dedicarsi al volontariato può essere una via di crescita personale e sociale decisiva.
È poi un fatto che, anche nelle società altamente tecnologizzate e con un alto standard di vita, il sistema della previdenza sociale da solo non basta a erogare tutti i servizi ai cittadini, se in aggiunta non ci sono schiere di volontari e volontarie che impegnano tempo, capacità e risorse per amore dell’altro. Il vero progresso delle nazioni, infatti, non si misura sulla ricchezza economica e tanto meno su quanto investono nell’illusoria potenza degli armamenti, ma sulla capacità di provvedere alla salute, all’educazione e alla crescita integrale della gente. Vorrei dunque incoraggiare tutti i cittadini mongoli, noti per la loro magnanimità e capacità di abnegazione, a impegnarsi nel volontariato, mettendosi a disposizione degli altri. Qui, presso la Casa della Misericordia, avete una “palestra” sempre aperta dove esercitare i vostri desideri di bene e allenare il cuore.
Vorrei, infine, sfatare alcuni “miti”. In primo luogo, quello per cui solo le persone benestanti possono impegnarsi nel volontariato. Questa è una “fantasia”. La realtà dice il contrario: non è necessario essere ricchi per fare del bene, anzi quasi sempre sono le persone comuni a dedicare tempo, conoscenze e cuore per occuparsi degli altri. Un secondo mito da sfatare: quello per cui la Chiesa cattolica, che nel mondo si distingue per il grande impegno in opere di promozione sociale, fa tutto questo per proselitismo, come se occuparsi dell’altro fosse una forma di convincimento per attirare “dalla propria parte”. No, la Chiesa non va avanti per proselitismo, va avanti per attrazione. I cristiani riconoscono chi è nel bisogno e fanno il possibile per alleviarne le sofferenze perché lì vedono Gesù, il Figlio di Dio, e in Lui la dignità di ogni persona, chiamata a essere figlio o figlia di Dio. Mi piace immaginare questa Casa della Misericordia come il luogo dove persone di “credo” diversi, e anche non credenti, uniscono i propri sforzi a quelli dei cattolici locali per soccorrere con compassione tanti fratelli e sorelle in umanità. È questa la parola, compassione: capacità di patire con l’altro. E questo lo Stato saprà custodire e promuovere adeguatamente. Perché si realizzi questo sogno è infatti indispensabile, qui e altrove, che chi detiene la responsabilità pubblica sostenga tali iniziative umanitarie, dando prova di una sinergia virtuosa per il bene comune. Infine, un terzo mito da sfatare: quello secondo cui a contare sarebbero solo i mezzi economici, come se l’unico modo per prendersi cura dell’altro fosse l’impiego di personale stipendiato e l’investimento in grandi strutture. Certo, la carità richiede professionalità, però le iniziative benefiche non devono diventare imprese, ma conservare la freschezza di opere di carità, dove chi è nel bisogno trova persone capaci di ascolto, capaci di compassione, al di là di qualsiasi compenso.
In altre parole, per fare davvero del bene, ciò che è indispensabile è un cuore buono, un cuore determinato nel cercare ciò che è meglio per l’altro. Impegnarsi solo dietro remunerazione non è vero amore; solo l’amore vince l’egoismo e fa andare avanti il mondo. A questo proposito, mi piace concludere ricordando un episodio legato a Santa Teresa di Calcutta. Pare che un giornalista, guardandola ricurva sulla ferita maleodorante di un malato, una volta le abbia detto: «Quello che fate è bellissimo, ma personalmente non lo farei neanche per un milione di dollari». Madre Teresa rispose: «Per un milione di dollari non lo faccio neanch’io. Lo faccio per amore di Dio!» Prego che questo stile di gratuità sia il valore aggiunto della Casa della Misericordia. Per tutto il bene che avete fatto e che farete, io vi ringrazio di cuore – grazie, grazie tante! – e vi benedico. E per favore, abbiate anche la carità di pregare per me. Grazie.
[01300-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Chers frères et sœurs, bonjour!
Je vous remercie de tout cœur pour l’accueil, le chant et la danse, pour vos mots de bienvenue et pour vos témoignages! Je crois qu’ils peuvent être bien résumés par certaines paroles de Jésus: «J’avais faim, et vous m’avez donné à manger; j’avais soif, et vous m’avez donné à boire» (Mt 25, 35). Le Seigneur nous offre ainsi le critère pour le reconnaître, pour le reconnaître présent dans le monde et la condition pour entrer dans la joie ultime de son Royaume au moment du jugement dernier.
Depuis ses débuts l’Église a pris au sérieux cette vérité, démontrant en actes que la dimension caritative fonde son identité. La dimension caritative fonde l’identité de l’Église. Je pense aux récits des Actes des Apôtres, aux nombreuses initiatives prises par la communauté chrétienne primitive pour réaliser les paroles de Jésus, donnant vie à une Église construite sur quatre piliers: la communion, la liturgie, le service et le témoignage. Il est merveilleux de constater qu’après tant de siècles, le même esprit imprègne l’Église en Mongolie: dans sa petitesse, elle vit de communion fraternelle, de prière, du service désintéressé à l’humanité souffrante et du témoignage de sa foi. Tout comme les quatre colonnes des grandes ger, qui soutiennent l’ouverture centrale supérieure, permettant à la structure de tenir debout et d’offrir un espace accueillant à l’intérieur.
Nous voici donc à l’intérieur de cette maison que vous avez construite et que j’ai aujourd’hui la joie de bénir et d’inaugurer. C’est une expression concrète de l’attention aux autres dans laquelle les chrétiens se reconnaissent, car là où il y a l’accueil, l’hospitalité et l’ouverture aux autres, on respire la bonne odeur du Christ (cf. 2 Co 2, 15). Se dépenser pour son prochain, pour sa santé, ses besoins fondamentaux, sa formation et sa culture, fait partie depuis ses débuts de cette portion vivante du Peuple de Dieu. Dès leur arrivée à Oulan-Bator dans les années 1990, les premiers missionnaires ont immédiatement ressenti l’appel à la charité, qui les a amenés à s’occuper des enfants abandonnés, des frères et sœurs sans abri, des malades, des personnes vivant avec un handicap, des prisonniers et de tous ceux qui, dans leur état de souffrance, demandaient à être accueillis.
Aujourd’hui, nous voyons comment un tronc a poussé de ces racines, des branches ont poussé et de nombreux fruits ont éclos: de nombreuses et louables initiatives caritatives, développées en projets à long terme, réalisées principalement par les différents Instituts missionnaires présents ici et appréciés par la population et les autorités civiles. D’autre part, c’est le gouvernement mongol lui-même qui avait demandé l’aide des missionnaires catholiques pour faire face aux nombreuses urgences sociales d’un pays qui, à l’époque, se trouvait dans une phase délicate de transition politique marquée par une pauvreté généralisée. Aujourd’hui encore, ces projets impliquent des missionnaires de nombreux pays, qui mettent leurs connaissances, leur expérience, leurs ressources et surtout leur amour au service de la société mongole. À eux, et à ceux qui soutiennent ces nombreuses bonnes œuvres, vont mon admiration et mes “remerciements” les plus sincères.
La Maison de la Miséricorde se veut un point de référence pour une multiplicité d’interventions caritatives, de mains tendues vers les frères et sœurs qui peinent à naviguer au milieu des problèmes de la vie. C’est une sorte de port où accoster, où pouvoir trouver écoute et compréhension. Mais cette nouvelle initiative, alors qu’elle s’ajoute aux nombreuses autres initiatives soutenues par les différentes institutions catholiques, en représente une version inédite: ici, en effet, c’est l’Église particulière qui porte le projet, dans la synergie de toutes les composantes missionnaires, mais avec une identité locale claire, comme une véritable expression de la Préfecture Apostolique dans son ensemble. Et j’aime beaucoup le nom que vous avez voulu lui donner: Maison de la Miséricorde. Dans ces deux mots se trouve la définition de l’Église, appelée à être une demeure accueillante où tous peuvent faire l’expérience d’un amour supérieur, qui remue et touche le cœur: l’amour tendre et providentiel du Père, qui veut que nous soyons frères, que nous soyons sœurs dans sa maison. Je souhaite donc que vous puissiez tous vous mobiliser autour de cette œuvre et que les différentes communautés missionnaires y participent activement, en y engageant des personnes et ressources.
Pour que cela se réalise, le volontariat est indispensable, c’est-à-dire le service purement gratuit et désintéressé, que les personnes décident librement d’offrir à ceux qui sont dans le besoin: non pas sur la base d’une compensation financière ou d’une quelconque forme de retour individuel, mais par pur amour pour le prochain. C’est le style de service que Jésus nous a enseigné en disant: «Vous avez reçu gratuitement: donnez gratuitement» (Mt 10, 8). Servir ainsi semble un pari perdant, mais lorsqu’on risque, on découvre que ce qu’on donne sans attendre en retour n’est pas perdu; au contraire, cela devient une grande richesse pour ceux qui offrent leur temps et leur énergie. En effet, la gratuité allège l’âme, guérit les blessures du cœur, rapproche de Dieu, ouvre la source de la joie et maintient la jeunesse intérieure. Dans ce pays plein de jeunes, se consacrer au volontariat peut être un chemin décisif pour la croissance personnelle et sociale.
C’est aussi un fait que, même dans les sociétés hautement technologiques et à haut niveau de vie, le système de protection sociale ne suffit pas à lui seul à fournir tous les services aux citoyens, s’il n’y a pas en plus des légions de bénévoles qui consacrent leur temps, leurs compétences et leurs ressources à l’amour du prochain. En effet, le véritable progrès des nations ne se mesure pas à la richesse économique, et encore moins à celle des investissements dans le pouvoir illusoire des armements, mais à leur capacité à assurer la santé, l’éducation et la croissance intégrale de leur peuple. Je voudrais donc encourager tous les citoyens mongols, connus pour leur magnanimité et leur capacité d’abnégation, à s’engager dans le bénévolat, en se mettant à la disposition des autres. Ici, à la Maison de la Miséricorde, vous disposez d’un “gymnase” toujours ouvert où vous pouvez exercer vos désirs de bien et entraîner votre cœur.
Enfin, je voudrais démentir certains “mythes”. Tout d’abord, celui selon lequel seules les personnes aisées peuvent s’engager dans le volontariat. C’est une “fantaisie”. La réalité dit le contraire: il n’est pas nécessaire d’être riche pour faire le bien, au contraire, ce sont presque toujours les personnes ordinaires qui consacrent leur temps, leurs connaissances et leur cœur à s’occuper des autres. Deuxième mythe à briser: celui selon lequel l’Église catholique, qui se distingue dans le monde entier par son grand engagement dans les œuvres de promotion sociale, fait tout cela par prosélytisme, comme si le fait de s’occuper des autres était une forme de conviction pour attirer “de son côté”. Non, l’Église ne va pas de l’avant par prosélytisme, elle va de l’avant par attraction. Les chrétiens reconnaissent ceux qui sont dans le besoin et font tout leur possible pour soulager leurs souffrances parce qu’ils y voient Jésus, le Fils de Dieu, et en lui la dignité de chaque personne, appelée à être un fils ou une fille de Dieu. J’aime imaginer cette Maison de la Miséricorde comme le lieu où des personnes de différentes “croyances”, et même des non-croyants, unissent leurs efforts à ceux des catholiques locaux pour secourir avec compassion de nombreux frères et sœurs en humanité. C’est le mot, compassion: la capacité de souffrir avec l’autre. Et l’État saura protéger et promouvoir cela de manière adéquate. Pour que ce rêve devienne réalité, il est en effet indispensable, ici et ailleurs, que les responsables publics soutiennent ces initiatives humanitaires, faisant preuve d’une synergie vertueuse pour le bien commun. Enfin, un troisième mythe à casser: celui selon lequel seuls les moyens économiques comptent, comme si la seule façon de s’occuper des autres était d’employer des salariés et d’investir dans de grandes infrastructures. Certes, la charité exige du professionnalisme, mais les initiatives caritatives ne doivent pas devenir des entreprises, mais conserver la fraîcheur des œuvres de charité, où ceux qui sont dans le besoin trouvent des personnes capables d’écoute, capables de compassion, au-delà de toute rémunération.
En d’autres termes, pour faire vraiment le bien, ce qui est indispensable, c’est un cœur bon, un cœur déterminé à chercher le meilleur pour l’autre. S’engager uniquement en vue d’une rémunération n’est pas un véritable amour; seul l’amour permet de surmonter l’égoïsme et fait avancer le monde. À cet égard, j’aimerais conclure en rappelant un épisode lié à sainte Teresa de Calcutta. Il semble qu’un journaliste, la regardant courbée sur la plaie malodorante d’un malade, lui ait dit un jour: «Ce que vous faites est beau, mais personnellement je ne le ferais pas même pour un million de dollars». Mère Teresa répondit: «Pour un million de dollars, je ne le ferais pas non plus. Je le fais pour l’amour de Dieu!» Je prie pour que ce style de gratuité soit la valeur ajoutée de la Maison de la Miséricorde. Pour tout le bien que vous avez fait et que vous ferez, je vous remercie de tout cœur – Merci, merci beaucoup! – et je vous bénis. Et s’il vous plaît, ayez aussi la charité de prier pour moi. Merci.
[01300-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Dear brothers and sisters, good morning!
Thank you very much for the warm welcome you have given me and for your song and dance, your words of greeting and your testimonies! I think that it can all be summed up in those words of Jesus: “I was hungry and you gave me food, I was thirsty and you gave me drink” (Mt 25:35). In those words, the Lord gives us the criterion for recognizing him present in our world and the condition for entering into the supreme joy of his kingdom at the Last Judgement,
From the very beginning, the Church took those words seriously, demonstrating in action that charity is a fundamental element of her identity. Charity is a fundamental element of the Church’s identity. I think of the accounts in the Acts of the Apostles and the various ways in which the first Christian community put Jesus’ words into practice, in order to build up a Church firmly established on four pillars: communion, liturgy, service and witness. It is wonderful to see how, after so many centuries, that same spirit pervades the Church in Mongolia: though small in size, its life is marked by fraternal communion, prayer, selfless service to those in need, and witness to its faith. Like the four columns of a great “ger” that support the central upper ring, they allow the whole structure to stand upright and provide a welcoming space within.
So here we are, together, in this house that you have built and that today I have the joy of blessing and inaugurating. It stands as a concrete expression of that care for others that is the hallmark of the Christian community; for where we find welcome, hospitality and openness to others, we breathe in “the fragrance of Christ” (cf. 2 Cor. 2:15). Generous service to our neighbours – concern for their good health, basic needs, education and culture – has distinguished this vibrant portion of the People of God from its inception. From the time of their arrival in Ulaanbaatar in the 1990s, the first missionaries immediately sensed a summons to works of charity, which led them to care for abandoned children, our homeless brothers and sisters, the sick, the disabled, prisoners and all those who, amid suffering, sought their care.
Today we see that, from those roots, a tree has grown, branches have spread out and much fruit has appeared in the form of a variety of praiseworthy charitable initiatives. These in turn have developed into long-term projects, carried out mostly by the various missionary Institutes present here and much appreciated by the population and civil authorities. Indeed, the Mongolian government itself had sought help from Catholic missionaries in confronting the numerous social emergencies of a country that, at the time, was in a delicate phase of political transition and marked by widespread poverty. Those projects continue to draw upon the dedication of missionaries from many countries who put their knowledge, experience, resources and especially their love, at the service of Mongolian society. To them, and to all those who support these many good works, I express my appreciation and offer my heartfelt thanks.
This House of Mercy is meant to be the point of reference for a variety of charitable works: hands outstretched toward our brothers and sisters struggling to navigate life’s problems. A safe haven, in other words, where people can find a listening ear and an understanding heart. While not unlike many other initiatives supported by various Catholic institutions, this new undertaking is also special, since here it is the particular Church that carries out the work, coordinating the efforts of all the missionary groups, while preserving a clearly local identity, as an authentic expression of the Apostolic Prefecture as a whole. I very much like the name you chose to give it: the House of Mercy. Those two words contain a definition of the Church, which is called to be a home where all are welcome and can experience a higher love that stirs and moves the heart: the tender and provident love of the Father, who wants us to be brothers and sisters in his house. It is my hope, then, that all of you can contribute to this project and that the various missionary communities will take active part in it through the commitment of personnel and resources.
For this to happen, the contribution of volunteers is indispensable. A purely generous and selfless service that people freely choose to offer to those in need, not out of concern for financial remuneration or personal benefit, but out of pure love of their neighbour. This is the “style” of service that Jesus taught us when he told his disciples: “Freely you have received, freely give” (Mt 10:8). Serving others in this way may seem like a lost cause, but once they put themselves on the line, those who sacrifice their time and effort discover that whatever they give without expecting anything in return is never lost, but becomes instead a great treasure. Indeed, generosity unburdens the soul, heals the wounds of the heart, brings us closer to God, becomes a source of joy, and keeps us young inside. In this country so full of young people, volunteer work can be a decisive path towards personal and societal growth.
Then too, even in technologically advanced societies with high standards of living, social welfare systems alone are insufficient to provide all the services that are needed. To do so demands legions of volunteers who are willing to commit their time, skills and resources out of love for others. The true progress of a nation is not gauged by economic wealth, much less by investment in the illusory power of armaments, but by its ability to provide for the health, education and integral development of its people. For this reason, I would like to encourage all the citizens of Mongolia, who are well known for their generosity and capacity for self-sacrifice, to engage in volunteer work, placing themselves at the service of others. Here, at the House of Mercy, you have a “training ground” that is always open, where you can exercise your desires for good and train your hearts.
Finally, I would like to reject certain “myths.” First, the myth that only the wealthy can engage in volunteer work. That is indeed a “fantasy”, whereas reality tells us the opposite. It is not necessary to be wealthy to do good; rather, almost always it is people of modest means who choose to devote their time, skills and generosity to caring for others. Another myth needing to be dispelled is that the Catholic Church, distinguished throughout the world for its great commitment to works of social promotion, does all this to proselytize, as if caring for others were a way of enticing people to “join up.” No! The Church does not go forward by proselytism, it goes forward by attraction. Christians do whatever they can to alleviate the suffering of the needy, because in the person of the poor they acknowledge Jesus, the Son of God, and, in him, the dignity of each person, called to be a son or daughter of God. I would like to envision this House of Mercy as a place where people of different creeds, and non-believers as well, can join efforts with local Catholics in order to offer compassionate assistance to our many brothers and sisters in the one human family. Indeed. the word “compassion” means the ability to suffer with others, and the State will rightly seek to protect and promote it. For this dream to come true, it is essential, here and elsewhere, that those in public office support such humanitarian initiatives, encouraging a virtuous synergy for the sake of the common good. Finally, a third myth needs to be discredited: the notion that only money counts, as if the only way to care for others is to employ a salaried staff and invest in large facilities. Certainly, charity demands professionalism, but charitable works should not turn into businesses. Rather, they should retain their freshness as works of charity where those in need can find people ready to listen to them with compassion, regardless of whatever pay they may receive.
In a word, to truly do good, goodness of heart is essential: a commitment to seeking what is best for others. Commitment for the sake of remuneration is not true love; only love can overcome selfishness and keep this world going. In this regard, I would like to conclude with an anecdote from the life of Saint Teresa of Calcutta. A journalist, seeing her bent over the foul-smelling sores of a sick person, once told her, “What you do is beautiful, but, personally, I wouldn’t do it even for a million dollars”. Mother Teresa replied, “I wouldn’t do it for a million dollars either. I do it for the love of God!” I pray that this kind of gratuitous love will be the “value added” of the House of Mercy. For all the good you have done and continue to do, I offer my heartfelt thanks – many, many thanks – and I give you my blessing. And I ask you, please, in your charity, to pray for me. Thank you.
[01300-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Liebe Brüder und Schwestern, guten Morgen!
Ich danke euch von Herzen für den Empfang, den Gesang und den Tanz, für eure Willkommensgrüße und für eure Zeugnisse! Ich glaube, sie lassen sich gut mit einigen Worten Jesu zusammenfassen: »Ich war hungrig und ihr habt mir zu essen gegeben; ich war durstig und ihr habt mir zu trinken gegeben« (Mt 25,35). Damit zeigt uns der Herr das Kriterium für das Erkennen seiner Gegenwart in der Welt, und die Voraussetzung, um beim Jüngsten Gericht in die endgültige Freude seines Reiches einzugehen.
Die Kirche hat diese Wahrheit von Beginn an ernst genommen und durch ihr Tun bekundet, dass die karitative Dimension identitätsstiftend für sie ist. Die karitative Dimension ist identitätsstiftend für die Kirche. Ich denke an die Erzählungen in der Apostelgeschichte mit den zahlreichen Initiativen, die von der ersten christlichen Gemeinschaft ergriffen wurden, um die Worte Jesu zu verwirklichen und so eine Kirche ins Leben zu rufen, die auf vier Säulen ruht: Gemeinschaft, Liturgie, Dienst und Zeugnis. Es ist wunderbar zu sehen, dass nach so vielen Jahrhunderten derselbe Geist die Kirche in der Mongolei durchdringt: In ihrer Kleinheit lebt sie von geschwisterlicher Gemeinschaft, Gebet, selbstlosem Dienst an der leidenden Menschheit und dem Zeugnis für den eigenen Glauben. Genau wie die vier Säulen der großen Ger, die das mittige obere Rund stützen, so dass die Konstruktion aufgerichtet bleibt und in ihrem Inneren einen gastlichen Raum bietet.
Hier sind wir also in diesem Haus, das ihr erbaut habt und das ich heute die Freude habe, zu segnen und zu eröffnen. Es ist ein konkreter Ausdruck jener Fürsorge für die Mitmenschen, mit der sich die Christen identifizieren; denn wo es Aufnahme, Gastfreundschaft und Offenheit für den Anderen gibt, atmet man den Wohlgeruch Christi (vgl. 2 Kor 2,15). Sich für den Nächsten hinzugeben, für seine Gesundheit, seine Grundbedürfnisse, seine Bildung und seine Kultur, gehört von Anfang an zu diesem lebendigen Teil des Volkes Gottes. Seit die ersten Missionare in den 1990er Jahren in Ulaanbaatar ankamen, spürten sie sofort den Aufruf zur Nächstenliebe, der sie veranlasste, sich um verwahrloste Kinder, obdachlose Brüder und Schwestern, Kranke, Menschen mit Behinderungen, Gefangene und all jene zu kümmern, die in ihren Leiden danach verlangten, aufgenommen zu werden.
Heute sehen wir, wie aus jenen Wurzeln ein Stamm gewachsen ist, Äste gesprossen und viele Früchte daraus hervorgegangen sind: Zahlreiche und lobenswerte wohltätige Initiativen, die sich zu langfristigen Projekten entwickelt haben, die hauptsächlich von den verschiedenen hier anwesenden Missionsgemeinschaften durchgeführt und von der Bevölkerung und den zivilen Behörden geschätzt werden. Im Übrigen war es die mongolische Regierung selbst, die die katholischen Missionare um Hilfe gebeten hatte, um die zahlreichen sozialen Notlagen eines Landes zu bewältigen, das sich damals in einer heiklen Phase des politischen Übergangs befand, die geprägt war von weit verbreiteter Armut. An diesen Projekten sind auch heute noch Missionare und Missionarinnen aus vielen Ländern beteiligt, die ihr Wissen, ihre Erfahrung, ihre Ressourcen und vor allem ihre Liebe in den Dienst der mongolischen Gesellschaft stellen. Ihnen und allen, die diese vielen guten Werke unterstützen, gilt meine Bewunderung und mein sehr herzliches „Danke“.
Das Haus der Barmherzigkeit möchte ein Bezugspunkt für eine Vielzahl von karitativen Maßnahmen sein, die sich wie ausgestreckte Hände den Brüdern und Schwestern anbieten, die Mühe haben, die Probleme des Lebens zu bestehen. Es ist eine Art Hafen, in dem man festmachen kann, wo man ein offenes Ohr und Verständnis finden kann. Diese neue Initiative reiht sich zwar in die vielen anderen ein, die von den verschiedenen katholischen Einrichtungen unterhalten werden, und doch handelt es sich hier um eine neue Form: Hier ist es nämlich die Ortskirche, die das Werk betreibt, im Zusammenwirken aller missionarischen Gruppierungen, aber mit einer eindeutigen lokalen Identität, als echtem Ausdruck der Apostolischen Präfektur in ihrer Gesamtheit. Und sehr gut gefällt mir auch der Name, den ihr gewählt habt: Haus der Barmherzigkeit. In diesen zwei Worten steckt die Definition der Kirche, die dazu berufen ist, ein gastfreundliches Haus zu sein, in dem alle eine höhere Liebe erfahren können, die das Herz bewegt und anrührt: Die zärtliche und sorgende Liebe des Vaters, der möchte, dass wir Brüder, der möchte, dass wir Schwestern in seinem Haus sind. Ich hoffe also, dass ihr euch alle um dieses neu errichtete Werk herum scharen könnt und sich die verschiedenen Missionsgemeinschaften aktiv daran beteiligen, indem sie Personal und Mittel bereitstellen.
Damit dies geschehen kann, ist der Dienst freiwilliger Helfer unabdingbar, d.h. ein unentgeltlicher und uneigennütziger Dienst, den Menschen aus freien Stücken für die Notleidenden anbieten: nicht auf der Grundlage einer finanziellen Entschädigung oder irgendeiner Form individueller Belohnung, sondern aus reiner Liebe zum Nächsten. Das ist die Haltung des Dienens, die Jesus uns gelehrt hat, als er sagte: »Umsonst habt ihr empfangen, umsonst sollt ihr geben« (Mt 10,8). Eine solche Art von Dienst scheint ein verlorener Einsatz zu sein, aber wenn man sich selbst einbringt, entdeckt man, dass das, was man ohne Erwartung einer Gegenleistung gibt, nicht vergeudet ist; es wird vielmehr zu einem großen Reichtum für diejenigen, die Zeit und Energie investieren. Unentgeltlichkeit erleichtert nämlich den Geist, heilt die Wunden des Herzens, bringt uns näher zu Gott, legt die Quelle der Freude frei und hält innerlich jung. In diesem Land voller junger Menschen kann das Engagement als freiwilliger Helfer ein Weg für ein entscheidendes persönliches und soziales Wachstum sein.
Es ist des Weiteren eine Tatsache, dass auch in hoch technologisierten Gesellschaften mit einem hohen Lebensstandard das Sozialversicherungssystem allein nicht ausreicht, um alle Dienstleistungen für die Bürger zu erbringen, wenn es nicht zusätzlich Scharen von Freiwilligen gibt, die Zeit, Fähigkeiten und Ressourcen aus Liebe zu ihren Mitmenschen einsetzen. Der wahre Fortschritt der Nationen bemisst sich nämlich nicht am wirtschaftlichen Reichtum, geschweige denn daran, wie viel sie in die trügerische Macht von Waffen investieren, sondern an ihrer Fähigkeit, für die Gesundheit, die Bildung und die ganzheitliche Entwicklung der Menschen zu sorgen. Ich möchte daher alle mongolischen Bürger, die für ihre Großherzigkeit und ihre Fähigkeit zur Hingabe bekannt sind, ermutigen, sich als freiwillige Helfer zu engagieren und sich anderen zur Verfügung zu stellen. Hier, im Haus der Barmherzigkeit, habt ihr einen immer geöffneten „Fitnessraum“, wo ihr eure Sehnsucht nach Gutem üben und euer Herz trainieren könnt.
Abschließend möchte ich einige „Mythen“ ausräumen. Als erstes die Annahme, dass nur reiche Leute sich im Freiwilligendienst engagieren können. Dies ist eine „Phantasie“. Die Wirklichkeit sagt das Gegenteil: Man muss nicht reich sein, um Gutes zu tun, ja, es sind fast immer die einfachen Leute, die ihre Zeit, ihren Sachverstand und ihr Herz einsetzen, um sich um andere zu kümmern. Ein zweiter Mythos, den es zu entkräften gilt ist jener, wonach die katholische Kirche, die sich in der ganzen Welt durch das große Engagement ihrer sozialen Hilfswerke auszeichnet, all dies nur zum Zwecke eines Proselytismus tut, so als ob die Sorge für andere eine Form von Überzeugungskunst wäre, mit der man andere „auf seine Seite“ zieht. Nein, die Kirche kommt nicht voran durch Proselytismus, sie kommt voran durch Attraktivität. Christen erkennen diejenigen, die in Not sind, und tun das Mögliche, um deren Leiden zu lindern, weil sie darin Jesus sehen, den Sohn Gottes, und in ihm die Würde eines jeden Menschen, der dazu berufen ist, ein Sohn oder eine Tochter Gottes zu sein. Mir gefällt die Vorstellung, dass dieses Haus der Barmherzigkeit zu einem Ort wird, an dem Menschen verschiedenen Glaubens und auch Nichtgläubige mit den Katholiken vor Ort zusammenarbeiten, um vielen Menschenbrüdern und -schwestern mit Mitleid beizustehen. Das ist das Wort, Mitleid: die Fähigkeit mit dem Anderen zu leiden. Und dies wird der Staat gewiss angemessen zu schützen und zu fördern wissen. Damit dieser Traum wahr wird, ist es hier und anderswo in der Tat unabdingbar, dass diejenigen, die die öffentliche Verantwortung innehaben, solche humanitären Initiativen unterstützen und sich damit zu einer tugendhaften Zusammenarbeit für das Gemeinwohl bekennen. Schließlich gilt es noch einen dritten Mythos zu zerstreuen, nämlich den, wonach nur die wirtschaftlichen Mittel zählen, so als ob die einzige Möglichkeit, sich um andere zu kümmern, darin bestünde, bezahlte Mitarbeiter zu beschäftigen und in große Einrichtungen zu investieren. Natürlich verlangt karitatives Handeln Professionalität, aber wohltätige Initiativen müssen nicht zu Unternehmen werden, sondern sollen die „frische Lebendigkeit“ der Werke der Nächstenliebe behalten, wo diejenigen, die in Not sind, Personen finden, die fähig sind zuzuhören, die fähig sind mitzuleiden, jenseits einer wie auch immer gearteten Vergütung.
Mit anderen Worten: Um wirklich Gutes zu tun, ist es unerlässlich, ein gutes Herz zu haben, ein Herz, das entschlossen ist, das zu suchen, was für den Anderen am besten ist. Sich nur gegen Bezahlung zu engagieren, ist keine wahre Liebe; nur die Liebe überwindet den Egoismus und lässt die Welt voranschreiten. In diesem Zusammenhang möchte ich abschließend gern an eine Episode erinnern, die mit der heiligen Teresa von Kalkutta verbunden ist. Es scheint, dass ein Journalist, der sie über die übelriechende Wunde eines Kranken gebeugt sah, einmal zu ihr sagte: »Was ihr tut, ist sehr schön, aber ich persönlich würde es nicht einmal für eine Million Dollar tun«. Mutter Teresa antwortete: »Für eine Million Dollar tue ich es ebenfalls nicht. Ich tue es aus Liebe zu Gott!« Ich bete, dass diese Haltung der Unentgeltlichkeit der Mehrwert des Hauses der Barmherzigkeit sein möge. Für all das Gute, das ihr getan habt und tun werdet, danke ich euch von Herzen – danke, vielen Dank! – und ich segne euch. Und bitte seid so lieb und betet für mich. Danke.
[01300-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Queridos hermanos y hermanas: ¡Buenos días!
Les agradezco de corazón la acogida, el canto y la danza, así como sus palabras de bienvenida y sus testimonios, los cuales creo que bien pueden resumirse con algunas palabras de Jesús: «Tuve hambre, y ustedes me dieron de comer; tuve sed, y me dieron de beber» (Mt 25,35). De este modo, el Señor nos ofrece el criterio para reconocerlo, para reconocerlo presente en el mundo y la condición para entrar en la alegría definitiva de su Reino en el momento del juicio final.
Desde sus orígenes, la Iglesia se tomó en serio esta verdad, demostrando con obras que la dimensión caritativa fundamenta su identidad. La dimensión caritativa funda la identidad de la Iglesia. Pienso en los relatos de los Hechos de los Apóstoles, en las numerosas iniciativas adoptadas por la primera comunidad cristiana para realizar las palabras de Jesús, dando vida a una Iglesia construida sobre cuatro columnas: la comunión, la liturgia, el servicio y el testimonio. Es maravilloso ver que, después de tantos siglos, el mismo espíritu impregna la Iglesia en Mongolia. En su pequeñez, esta vive de la comunión fraterna, de la oración, del servicio desinteresado a la humanidad que sufre y del testimonio de la propia fe. Precisamente como las cuatro columnas que sostienen el centro de la parte superior de las grandes ger, permitiendo que la estructura se sostenga y ofrezca un espacio acogedor en su interior.
Aquí estamos, por tanto, en esta casa que ustedes han construido y que hoy tengo la alegría de bendecir e inaugurar. Es una expresión concreta de ese hacerse cargo del otro en el que los cristianos se reconocen; porque donde hay acogida, hospitalidad y apertura a los demás se respira el buen olor de Cristo (cf. 2 Co 2,15). El gastarse por el prójimo, por su salud, sus necesidades básicas, su formación y su cultura, pertenece desde los inicios a esta vivaz porción del Pueblo de Dios. Desde que los primeros misioneros llegaron a Ulán Bator en los años noventa, sintieron inmediatamente la llamada a la caridad, que los llevó a hacerse cargo de la infancia desamparada, de los hermanos y hermanas sin hogar, de los enfermos, de las personas con discapacidades, de los presos y de quienes, en su situación de sufrimiento, pedían ser acogidos.
Hoy vemos cómo de esas raíces ha crecido un tronco, han brotado ramas y han crecido muchos frutos: numerosas y laudables iniciativas benéficas, desarrolladas en proyectos a largo plazo, llevadas adelante en su mayoría por los diversos Institutos misioneros aquí presentes y valorados por la población y las autoridades civiles. Por otra parte, fue el mismo gobierno mongol el que pidió la ayuda de los misioneros católicos para afrontar las numerosas emergencias sociales de un país que en ese tiempo se hallaba en una delicada fase de transición política, marcada por una pobreza generalizada. En estos proyectos están comprometidos hasta el día de hoy misioneros y misioneras procedentes de muchos países, que ponen al servicio de la sociedad mongola sus conocimientos, su experiencia, sus recursos y sobre todo su amor. A ellos, y a cuantos colaboran con estas numerosas obras de bien, se dirige mi admiración y mi más sentido “gracias”.
La Casa de la Misericordia se propone como punto de referencia para un gran número de acciones caritativas; manos tendidas hacia los hermanos y hermanas que tienen dificultad para navegar en medio de los problemas de la vida. Es una especie de puerto donde atracar, donde poder encontrar escucha y comprensión. Pero esta nueva iniciativa, que se agrega a tantas otras que sostienen las diferentes instituciones católicas, representa una versión inédita: aquí, en efecto, es la Iglesia particular la que lleva adelante la obra, con la sinergia de todos los elementos misioneros, pero con una clara identidad local, como genuina expresión de la Prefectura apostólica en su conjunto. Y me gusta mucho el nombre que han querido darle: Casa de la Misericordia. En estas dos palabras está la definición de la Iglesia, que está llamada a ser hogar acogedor donde todos pueden experimentar un amor superior, que mueve y conmueve el corazón; el amor tierno y providente del Padre, que nos quiere en su casa como hermanos y hermanas. Deseo entonces que todos puedan encontrarse en torno a esta realización, que las diversas comunidades misioneras participen en ella activamente, destinando personal y recursos.
Para que eso se realice es indispensable el voluntariado, es decir, el servicio, puramente gratuito y desinteresado, que las personas libremente deciden ofrecer a quienes lo necesitan; no en base a una compensación económica o cualquier otra forma de retribución individual, sino por puro amor al prójimo. Este es el estilo de servicio que Jesús nos ha enseñado al decir: «Han recibido gratuitamente, den también gratuitamente» (Mt 10,8). Servir de este modo parece una mala apuesta, pero al arriesgar se descubre que lo que se da sin esperar recompensa no es en vano; más bien, se convierte en una gran riqueza para el que ofrece tiempo y energías. La gratuidad, en efecto, aligera el alma, sana las heridas del corazón, acerca a Dios, desvela la fuente de la alegría y nos mantiene interiormente jóvenes. En este país lleno de jóvenes, dedicarse al voluntariado puede ser un camino decisivo de crecimiento personal y social.
Es además un hecho que, también en las sociedades altamente tecnologizadas y con un elevado nivel de vida, el sistema de previsión social por sí solo no es suficiente para suministrar todos los servicios a los ciudadanos, si no hay adicionalmente grupos de voluntarios y voluntarias que dediquen tiempo, capacidad y recursos por amor a los demás. El verdadero progreso de las naciones, en efecto, no se mide en base a la riqueza económica ni mucho menos a los que invierten en la ilusoria potencia de los armamentos, sino a la capacidad de hacerse cargo de la salud, la educación y el crecimiento integral de la gente. Quisiera, por tanto, animar a todos los ciudadanos mongoles, conocidos por su magnanimidad y capacidad de abnegación, a comprometerse en el voluntariado, poniéndose a disposición de los demás. Aquí, en la Casa de la Misericordia, tienen un “gimnasio” siempre abierto donde ejercitar sus deseos de bien y entrenar el corazón.
Por último, quisiera refutar algunos “mitos”. En primer lugar, aquel por el cual sólo las personas pudientes pueden comprometerse en el voluntariado. Esto es una “fantasía”. La realidad dice lo contrario: no es necesario ser ricos para hacer el bien, es más, casi siempre son las personas comunes las que dedican tiempo, conocimientos y corazón para ocuparse de los demás. Un segundo mito que se debe desmontar es aquel por el cual la Iglesia católica, que se distingue en el mundo por su gran compromiso en obras de promoción social, hace todo esto por proselitismo, como si ocuparse de los otros fuera una forma de convencerlos y ponerlos “de su lado”. No, la Iglesia no avanza por proselitismo, avanza por atracción. Los cristianos reconocen a quienes pasan necesidad y hacen lo posible para aliviar sus sufrimientos porque allí ven a Jesús, el Hijo de Dios, y en Él la dignidad de toda persona, llamada a ser hijo o hija de Dios. Me gusta imaginar esta Casa de la Misericordia como el lugar donde personas de “credos” diferentes, y también no creyentes, unen los propios esfuerzos a los de los católicos locales para socorrer con compasión a tantos hermanos y hermanas en humanidad. Esta es la palabra, compasión: capacidad de sufrir con el otro. Y el Estado sabrá custodiar y promover esto adecuadamente. De hecho, para que se realice este sueño es indispensable, aquí y en cualquier otro sitio, que quien posee la responsabilidad pública favorezca tales iniciativas humanitarias, dando prueba de una sinergia virtuosa para el bien común. Por último, un tercer mito a desenmascarar es aquel según el cual lo que cuenta serían sólo los medios económicos, como si el único modo para hacerse cargo de los demás fuera la contratación de personal asalariado y el equipamiento de grandes estructuras. Ciertamente, la caridad requiere profesionalidad, pero las iniciativas benéficas no deben convertirse en empresas, sino conservar la frescura de las obras de caridad, donde quien pasa necesidad encuentre personas capaces de escucha, capaces de compasión, más allá de cualquier tipo de retribución.
En otras palabras, para hacer realmente el bien, lo indispensable es un corazón bueno, un corazón determinado a buscar lo que es mejor para el otro. Comprometerse sólo a cambio de una remuneración no es amor verdadero; porque sólo el amor vence el egoísmo y hace que el mundo avance. A este propósito, quiero concluir recordando un episodio relacionado con santa Teresa de Calcuta. Parece ser que una vez un periodista, mirándola inclinarse sobre la herida maloliente de un enfermo, le dijo: “Lo que ustedes hacen es hermosísimo, pero personalmente no lo haría ni por un millón de dólares”. La Madre Teresa le respondió: “Tampoco yo lo haría por un millón de dólares; ¡lo hago por amor a Dios!”. Pido que este estilo de gratuidad sea el valor agregado de la Casa de la Misericordia. Por todo el bien que han hecho y que harán, les agradezco de corazón —¡gracias, muchas gracias!— y los bendigo. Y, por favor, tengan también la caridad de rezar por mí. Gracias.
[01300-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Queridos irmãos e irmãs, bom dia!
De coração vos agradeço o acolhimento, o canto, a dança, a saudação de boas-vindas e os vossos testemunhos. Creio que estes se podem resumir nas seguintes palavras de Jesus: «Tive fome e destes-Me de comer, tive sede e destes-Me de beber» (Mt 25, 35). Assim nos ofereceu, o Senhor, o critério para O reconhecermos, para O reconhecermos presente no mundo, e a condição para entrarmos na alegria definitiva do seu Reino no momento do Juízo Final.
Esta verdade foi tomada a sério pela Igreja desde as suas origens, demonstrando nos factos que a dimensão caritativa está na base da sua identidade. A dimensão caritativa está na base da identidade da Igreja. Penso nas narrações dos Atos dos Apóstolos, com as numerosas iniciativas tomadas pela primeira comunidade cristã para realizar as palavras de Jesus, dando vida a uma Igreja construída sobre quatro colunas: comunhão, liturgia, serviço e testemunho. É maravilhoso ver que, depois de tantos séculos, o mesmo espírito permeia a Igreja na Mongólia: na sua pequenez, vive de comunhão fraterna, oração, serviço desinteressado à humanidade sofredora e testemunho da própria fé. Precisamente como as quatro colunas das grandes ger, que sustentam o cone central superior, permitindo que a estrutura se aguente de pé e proporcione dentro dela um espaço acolhedor.
E aqui estamos dentro desta casa que construístes e que hoje tenho a alegria de benzer e inaugurar. É uma expressão concreta daquele cuidar do outro que identifica os cristãos; porque, onde há acolhimento, hospitalidade e abertura ao outro, respira-se o bom odor de Cristo (cf. 2 Cor 2, 15). Desde o início que se encontra, nesta dinâmica porção do Povo de Deus, o gastar-se pelo próximo, pela sua saúde, suas necessidades primárias, sua formação e cultura. Desde que os primeiros missionários chegaram a Ulaanbaatar, na década de 1990, sentiram imediatamente o apelo à caridade, que os levou a cuidar da infância abandonada, irmãos e irmãs sem abrigo, doentes, pessoas portadoras de deficiência, reclusos e quantos na sua condição de sofrimento pediam para ser acolhidos.
Hoje vemos como daquelas raízes cresceu um tronco, brotaram ramos e desabrocharam muitos frutos: numerosas e louváveis iniciativas de beneficência que se desenvolveram em projetos de longo prazo, sustentados na sua maioria pelos vários Institutos missionários aqui presentes e apreciados pela população e pelas autoridades civis. Aliás, fora o próprio Governo mongol que pediu a ajuda dos missionários católicos para enfrentar as numerosas emergências sociais dum país que então se encontrava numa delicada fase de transição política, marcada por pobreza generalizada. Ainda hoje estão envolvidos nestes projetos missionários e missionárias de tantos países, que colocam ao serviço da sociedade mongol os seus conhecimentos, a sua experiência, os seus recursos e sobretudo o seu amor. Para eles e quantos mais apoiam estas numerosas obras de bem-fazer, vai a minha admiração e o meu mais sentido «obrigado».
A Casa da Misericórdia propõe-se como ponto de referência para uma multiplicidade de intervenções sociocaritativas, mãos estendidas aos irmãos e irmãs que lutam para enfrentar os problemas da vida. É uma espécie de porto onde podem atracar, onde encontram escuta e compreensão. Mas esta nova iniciativa, se, por um lado, vem juntar-se a tantas outras sustentadas pelas várias instituições católicas, por outro, representa uma versão inédita: aqui, de facto, é a Igreja particular que dirige a obra, na sinergia de todos os componentes missionários, mas com uma clara identidade local, genuína expressão da Prefeitura Apostólica como um todo. E gosto muito do nome que lhe quisestes dar: Casa da Misericórdia. No binómio «casa» e «misericórdia», temos a definição da Igreja, chamada a ser morada acolhedora onde todos podem experimentar um amor superior, que toca e comove o coração: o amor terno e providente do Pai, que nos quer irmãos, que nos quer irmãs na sua casa. Espero, pois, que possais todos vós congregar-vos à volta desta realização, que nela participem ativamente as várias comunidades missionárias, empenhando pessoal e recursos.
Para a concretização disto, é indispensável o voluntariado, ou seja, o serviço gratuito e desinteressado que as pessoas decidem livremente oferecer a quem é necessitado: não na base duma compensação financeira ou qualquer forma de retribuição individual, mas por puro amor ao próximo. Tal é o estilo de serviço que Jesus nos ensinou, dizendo: «Recebestes de graça, dai de graça» (Mt 10, 8). Este modo de servir parece uma aposta perdedora, mas, quando apostamos, descobre-se que aquilo que se dá sem esperar retribuição não é desperdiçado; pelo contrário, torna-se uma grande riqueza para quem oferece tempo e energias. De facto, a gratuidade torna leve o espírito, cura as feridas do coração, aproxima de Deus, descerra a fonte da alegria e mantém intimamente jovem. Neste país cheio de jovens, dedicar-se ao voluntariado pode ser uma via decisiva de crescimento pessoal e social.
Pode-se constatar também que, mesmo nas sociedades altamente tecnológicas e com um elevado padrão de vida, o sistema de segurança social por si só não é suficiente para fornecer todos os serviços aos cidadãos; requerem-se ainda grupos de voluntários e voluntárias que dediquem tempo, capacidades e recursos por amor do outro. Com efeito, o verdadeiro progresso das nações não se mede pela riqueza económica e menos ainda pelo valor investido na força ilusória dos armamentos, mas pela capacidade de prover à saúde, à educação e ao crescimento integral do povo. Quero, pois, encorajar todos os cidadãos mongóis, conhecidos pela sua magnanimidade e capacidade de abnegação, a empenharem-se no voluntariado, colocando-se à disposição dos outros. Aqui, na Casa da Misericórdia, tendes um «ginásio» sempre aberto onde é possível exercitar os vossos desejos de bem-fazer e treinar o coração.
Gostava, enfim, de dissipar alguns «mitos». Em primeiro lugar, o mito segundo o qual só as pessoas ricas se podem comprometer no voluntariado. É uma “ilusão”. A realidade aponta para o contrário: não é preciso ser rico para fazer bem; aliás, são quase sempre as pessoas comuns que dedicam tempo, conhecimentos e coração para cuidar dos outros. Um segundo mito a dissipar: a Igreja Católica, que se distingue no mundo pelo seu grande empenho em obras de promoção social, não o faz por proselitismo, como se cuidar do outro fosse uma forma de convencer visando atrair «para o seu lado». Não é isso! A Igreja não avança através do proselitismo, avança através da atração. Os cristãos identificam a pessoa necessitada e fazem todo o possível por aliviar as suas tribulações, porque nela veem Jesus, o Filho de Deus, e n’Ele a dignidade de cada pessoa, chamada a ser filho ou filha de Deus. Apraz-me imaginar esta Casa da Misericórdia como o lugar onde pessoas de diferentes «credos» e mesmo não-crentes unem os seus esforços aos dos católicos locais para socorrer compassivamente tantos irmãos e irmãs em humanidade. A palavra é esta: compaixão, a capacidade de sofrer com o outro. E isto o Estado saberá adequadamente preservar e promover. Com efeito, para que este sonho se torne realidade é indispensável, aqui e em toda a parte, que os responsáveis públicos apoiem estas iniciativas humanitárias, dando provas duma virtuosa sinergia em prol do bem comum. Por fim, um terceiro mito a dissipar: os únicos que contariam seriam os meios económicos, como se a única forma de cuidar do outro fosse o recurso a pessoal assalariado e o investimento em grandes estruturas. Claro que a caridade exige profissionalismo, mas as iniciativas de beneficência não devem tornar-se empresas, mas conservar o frescor de obras de caridade, onde o necessitado encontra pessoas capazes de escuta, capazes de compaixão, independentemente de qualquer compensação.
Por outras palavras, indispensável para fazer verdadeiramente o bem é um coração bom, um coração decidido a procurar aquilo que é melhor para o outro. Comprometer-se apenas por remuneração não é verdadeiro amor; só o amor vence o egoísmo e faz avançar o mundo. A propósito gostava de concluir recordando um episódio ligado a Santa Teresa de Calcutá. Uma vez um jornalista, vendo-a curvada sobre a ferida mal odorante dum paciente, disse-lhe: «Aquilo que fazeis é belíssimo, mas eu pessoalmente não o faria nem por um milhão de dólares». Madre Teresa sorriu e respondeu: «Por um milhão de dólares, eu também não! Faço-o por amor de Deus!» Rezo para que este estilo de gratuidade seja a mais-valia da Casa da Misericórdia. Por todo o bem que fizestes e fareis, eu vos agradeço de coração – obrigado, muito obrigado! – e vos abençoo. E, por favor, tende também a caridade de rezar por mim. Obrigado.
[01300-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Drodzy bracia i siostry, dzień dobry!
Dziękuję wam z serca za wasze przyjęcie, za śpiew i taniec, za wasze słowa przywitania i za wasze świadectwa! Myślę, że można je dobrze podsumować słowami Jezusa: „Byłem głodny, a daliście Mi jeść, byłem spragniony, a daliście Mi pić” (Mt 25, 35). W ten sposób Pan daje nam kryterium, aby rozpoznać Go, aby rozpoznać Go obecnego w świecie, i warunek wejścia do ostatecznej radości Jego Królestwa w chwili sądu ostatecznego.
Od samego początku Kościół poważnie traktował tę prawdę, ukazując czynami, że wymiar charytatywny stanowi fundament jego tożsamości. Wymiar charytatywny wyraża tożsamość Kościoła. Myślę o opowiadaniach Dziejów Apostolskich, o licznych inicjatywach podjętych przez wspólnotę pierwszych chrześcijan, w celu realizacji słów Jezusa, dających życie Kościołowi zbudowanemu na czterech filarach: komunii, liturgii, służbie i świadectwie. Wspaniale widzieć, że po tylu wiekach ten sam duch przenika Kościół w Mongolii: w swojej małości żyje on braterską komunią, modlitwą, bezinteresowną służbą cierpiącej ludzkości i świadectwem swej wiary. Podobnie jak cztery kolumny dużych jurt, które wspierają górny krąg centralny, pozwalając konstrukcji wspierać się i oferować gościnną przestrzeń w swoim wnętrzu.
Oto jesteśmy wewnątrz tego domu, który zbudowaliście, i który dziś mam radość poświęcić i zainaugurować. Jest to konkretny wyraz tej troski o innych, po której rozpoznają się chrześcijanie; ponieważ tam, gdzie jest przyjęcie, gościnność i otwartość na innych, oddycha się dobrą wonnością Chrystusa (por. 2 Kor 2, 15). Poświęcanie się dla bliźniego, dla jego zdrowia, podstawowych potrzeb, edukacji i kultury, od samego początku należy do tej żywej części Ludu Bożego. Od czasu, gdy pierwsi misjonarze przybyli do Ułan Bator w latach 90-tych, natychmiast usłyszeli wezwanie do miłosierdzia, które doprowadziło ich do zaopiekowania się opuszczonymi dziećmi, bezdomnymi braćmi i siostrami, chorymi, osobami niepełnosprawnymi, więźniami i tymi, którzy w swojej sytuacji cierpienia prosili o przyjęcie.
Dziś widzimy, jak z tych korzeni wyrósł pień, wyrosły gałęzie i zakwitło wiele owoców: liczne i godne pochwały inicjatywy dobroczynne, rozwinięte w długoterminowe projekty, realizowane głównie przez różne instytuty misyjne obecne tutaj i doceniane przez ludność i władze cywilne. Z drugiej strony, to sam rząd mongolski poprosił o pomoc misjonarzy katolickich, żeby stawić czoła licznym kryzysom społecznym w kraju, który w tym czasie znajdował się w delikatnej fazie transformacji politycznej, naznaczonej powszechnym ubóstwem. Dziś projekty te nadal angażują misjonarzy z wielu krajów, którzy wykorzystują swoją wiedzę, doświadczenie, zasoby, a przede wszystkim swoją miłość w służbie społeczeństwu mongolskiemu. Do nich i do wszystkich, którzy wspierają te liczne dzieła dobroczynne kieruję mój podziw i moje najserdeczniejsze „dziękuję”.
Dom Miłosierdzia pragnie być punktem odniesienia dla wielu działań charytatywnych, rękoma wyciągniętymi ku braciom i siostrom zmagającym się z problemami życiowymi. Jest to swego rodzaju port, w którym można zacumować, gdzie można znaleźć wysłuchanie i zrozumienie. Jednak ta nowa inicjatywa, choć dołącza do wielu innych wspieranych przez różne instytucje katolickie, stanowi bezprecedensową wersję: tutaj bowiem Kościół partykularny prowadzi pracę we współpracy wszystkich elementów misyjnych, ale z wyraźną tożsamością lokalną, jako autentyczny wyraz Prefektury Apostolskiej jako całości. I bardzo mi się podoba nazwa, jaką zechcieliście jej nadać: Dom Miłosierdzia. W tych dwóch słowach zawarta jest definicja Kościoła, powołanego do bycia gościnnym mieszkaniem, w którym wszyscy mogą doświadczyć doskonalszej miłości, jaka pobudza i porusza serce: czułej i opatrznościowej miłości Ojca, który chce, abyśmy byli braćmi, abyśmy byli siostrami w Jego domu. Pragnę więc, abyście wszyscy mogli się spotkać wokół tej realizacji, aby różne wspólnoty misyjne czynnie w niej uczestniczyły, angażując personel i zasoby.
Aby to się dokonało konieczny jest wolontariat, czyli całkowicie bezpłatna i bezinteresowna służba, którą osoby postanawiają dobrowolnie ofiarować potrzebującym: nie na podstawie rekompensaty finansowej lub jakiejkolwiek formy korzyści indywidualnej, lecz z czystej miłości bliźniego. Jest to styl służby, którego nauczył nas Jezus, mówiąc: „Darmo otrzymaliście, darmo dawajcie” (Mt 10, 8). Służenie w ten sposób wydaje się przegraną, ale kiedy ktoś się poświęci, odkrywa, że to, co daje, nie oczekując wzajemności, nie jest zmarnowane. Wręcz przeciwnie, staje się wielkim bogactwem dla tych, którzy ofiarowują czas i siły. Bezinteresowność podnosi na duchu, leczy rany serca, zbliża do Boga, odkrywa źródło radości i zachowuje młodość wewnętrzną. W tym kraju pełnym ludzi młodych poświęcenie się wolontariatowi może być znaczącą drogą rozwoju osobistego i społecznego.
Ponadto faktem jest również, że nawet w społeczeństwach wysoko rozwiniętych technologicznie, o wysokim standardzie życia, sam system opieki społecznej nie wystarczy, by zapewnić obywatelom wszystkie usługi, jeśli dodatkowo nie ma zastępów wolontariuszy, którzy poświęcają czas, umiejętności i zasoby z powodu miłości do innych. Prawdziwy postęp narodów nie jest mierzony bogactwem ekonomicznym, nie mówiąc już o tym, ile inwestują w złudną siłę zbrojeń, lecz ich zdolnością do zapewnienia zdrowia, edukacji i integralnego rozwoju ludzi. Dlatego chciałbym zachęcić wszystkich obywateli Mongolii, znanych ze swojej wielkoduszności i zdolności do poświęcania się, do zaangażowania się w wolontariat, dając siebie innym. Tutaj, w Domu Miłosierdzia, macie zawsze otwartą „siłownię”, w której możecie ćwiczyć swoje pragnienia dobra i kształtować swoje serce.
Na koniec chciałbym obalić kilka „mitów”. Po pierwsze, ten, że tylko osoby zamożne mogą angażować się w wolontariat. Jest to „fantazja”. Rzeczywistość mówi coś zupełnie przeciwnego: nie trzeba być bogatym, żeby czynić dobro. Przeciwnie, prawie zawsze są zwyczajni ludzie, którzy poświęcają swój czas, wiedzę i serce, żeby zatroszczyć się o innych. Drugim mitem, który należy obalić, jest ten, według którego Kościół katolicki, który wyróżnia się na całym świecie wielkim zaangażowaniem w dzieła promocji społecznej, czyni to wszystko ze względu na prozelityzm, tak jakby troska o innych była formą perswazji, żeby przyciągnąć „na swoją stronę”. Nie, Kościół nie idzie do przodu poprzez prozelityzm, idzie do przodu poprzez przyciąganie. Chrześcijanie szanują potrzebujących i robią, co mogą, aby ulżyć ich cierpieniu, ponieważ widzą w nich Jezusa, Syna Bożego, a w Nim godność każdej osoby, powołanej do bycia synem lub córką Boga. Chciałbym wyobrażać sobie ten Dom Miłosierdzia jako miejsce, gdzie ludzie różnych religii, a także niewierzący, łączą swoje wysiłki z miejscowymi katolikami, aby ze współczuciem pomagać wielu braciom i siostrom w człowieczeństwie. To jest słowo – współczucie: zdolność do cierpienia z innymi. A to Państwo będzie umiało tego strzec i właściwie promować. Aby to marzenie się rzeczywiście spełniło, faktycznie konieczne jest tutaj i gdzie indziej, aby osoby odpowiedzialne za życie publiczne wspierały takie inicjatywy humanitarne, udowadniając doskonałe współdziałanie na rzecz dobra wspólnego. Wreszcie trzeci mit, który trzeba obalić to ten, zgodnie z którym liczą się jedynie środki ekonomiczne, tak jakby jedynym sposobem troski o innych było zatrudnianie wynagradzanych pracowników i inwestowanie w duże struktury. Oczywiście dobroczynność wymaga profesjonalizmu, ale inicjatywy charytatywne nie mogą stać się biznesem, lecz winny zachować świeżość uczynków miłosierdzia, w których potrzebujący znajdują ludzi zdolnych do słuchania, zdolni do współczucia, wykraczającego poza jakiekolwiek wynagrodzenie.
Innymi słowy, aby naprawdę czynić dobro, to, co jest niezbędne to dobre serce, serce zdeterminowane, by szukać tego, co najlepsze dla drugiego. Angażowanie się wyłącznie za wynagrodzenie nie jest prawdziwą miłością; tylko miłość przezwycięża egoizm i sprawia, że świat postępuje naprzód. W związku z tym chciałbym na zakończenie przypomnieć wydarzenie związane ze św. Teresą z Kalkuty. Podobno pewien dziennikarz, patrząc na nią pochyloną nad cuchnącą raną chorego, powiedział jej kiedyś: „To, co Matka czyni, jest piękne, ale osobiście nie zrobiłbym tego nawet za milion dolarów”. Matka Teresa odpowiedziała: „Za milion dolarów też bym tego nie zrobiła. Czynię to z miłości do Boga!”. Modlę się, aby ten styl bezinteresowności był wartością dodaną Domu Miłosierdzia. Za wszelkie dobro, które uczyniliście i będziecie czynić, dziękuję wam z serca – dziękuję, bardzo dziękuję! – i błogosławię was. I proszę, miejcie również miłosierdzie, by modlić się za mnie. Dziękuję.
[01300-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
الزيارة الرّسوليّة إلى منغوليا
كلمة قداسة البابا فرنسيس
في اللقاء مع العاملين في أعمال المحبّة وتدشين ”بيت الرّحمة“
أُولانْباتار، الاثنين 4 أيلول، سبتمبر 2023
أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء، صباح الخير!
أشكركم من كلّ قلبي على الاستقبال النّشيد والرَّقص، وعلى كلمات التّرحيب وعلى شهاداتكم! أعتقد أنّه يمكننا أن نلخّصها جيّدًا ببعض الكلمات من كلمات يسوع: "جُعتُ فأَطعَمتُموني، وعَطِشتُ فسَقَيتُموني" (متّى 25، 35). هكذا قدّم لنا الرّبّ يسوع الدّليل لنتعرّف عليه حاضرًا في العالم، وشرط الدّخول في فرح ملكوته النّهائي في الدّينونة الأخيرة.
أخذت الكنيسة منذ نشأتها هذه الحقيقة بجِدِّيَّة، وأظهرت بالأعمال أنّ أعمال المحبّة هي أساس هويّتها. أفكّر في روايات أعمال الرّسل، والمُبادرات الكثيرة التي اتَّخذتها الجماعة المسيحيّة الأولى لتحقِّق كلمات يسوع، ولتنشئ كنيسة مبنيَّة على أربعة أعمدة: الشَّركة والليتورجيّا والخِدمة والشّهادة. وجميل جدًّا أن نرى، بعد قرون كثيرة، أنّ الرّوح نفسها ما زالت تملأ الكنيسة في منغوليا: إنّها صغيرة لكنّها تعيش الشَّركة والوَحدة الأخويّة، والصّلاة، والخِدمة المتفانية للبشريّة المتألِّمة، والشَّهادة لإيمانها. تمامًا مثل الأعمدة الأربعة لِلخِيمة الكبيرة (ger)، التي تدعم الدّائرة المركزيّة في أعلى الخيمة، وتسمح للبناء أن يقوم بنفسه ويقدِّم مساحة للاستقبال في داخله.
نحن هنا داخل هذا البيت الذي بنيتمُوه والذي يُسعدني اليوم أن أباركه وأدشّنه. إنّه تعبيرٌ عمليّ عن الاهتمام بالآخر الذي به يُعرَف المسيحيّون، لأنّه حيث يكون الاستقبال والضّيافة والانفتاح على الآخر، هناك تفوح رائحة المسيح الطَّيِّبَة (راجع 2 قورنتس 2، 15). أن نَبذل أنفسنا من أجل القريب، ومن أجل صحَّته، واحتياجاته الأساسيّة، وتكوينه وثقافته، كان منذ البدايات ميزة هذا الجزء الحيّ من شعب الله. مُنذ أن وصل المُرسلون الأوائل في التِّسعينات إلى أولانْباتار، شعروا مباشرة بنداء أعمال المحبّة، الذي حملهم على أن يهتمّوا بالطّفولة المُهمَلة، وبالإخوة والأخوات الذين ليس لهم مسكن ثابت، وبالمرضى، وبالأشخاص ذوي الاحتياجات الخاصّة، وبالسّجناء، وبكلّ الذين طلبوا المعونة في حالة معاناتهم.
نرى اليوم كيف نمى جذعٌ من تلك الجذور، وتفرّعت منه أغصان أعطت ثمارًا كثيرة: مبادرات خيريّة كثيرة تستحق الثَّناء، تطوَّرت وصارت مشاريع طويلة الأمد، وحقّقتها على الأغلب الجمعيّات الإرساليّة المختلفة والحاضرة هنا والتي يقدّرها السُّكان والسُّلطات المدنيّة. من ناحية أخرى، كانت الحكومة المنغوليّة نفسها هي التي طلبت مساعدة المُرسلين الكاثوليك لمواجهة حالات الطّوارئ الاجتماعيّة الكثيرة في بَلَدٍ كان يمرُّ في ذلك الوقت بمرحلة حسَّاسة من التَّحوُّل السِّياسيّ، اتَّسَمَ بانتشار الفَقر. حتّى اليوم، يلتزم المُرسلون والمُرسلات من بلاد كثيرة في هذه المشاريع، وهم يضعون معارفهم وخبراتهم ومواردهم، وقبل كلّ شيء محبَّتهم في خدمة المجتمع المنغوليّ. لهم، ولكلّ من يدعم أعمال المحبّة هذه الكثيرة، أعبِّر عن تقديري وشُكري.
يُعتبر ”بيت الرّحمة“ نُقطة مرجعيَّة لأعمال محبّة واستغاثة كثيرة، فهي الأيدي الممدودة نحو الإخوة والأخوات الذين يكِدُّون ويبحرون بين مشاكل الحياة. إنّه نوعًا ما مِيناء حيث يمكن الإرساء، وحيث يمكن أن تجد من يُصغي إليك ويفهمك. هذه المبادرة الجديدة، التي تُضاف إلى المؤسّسات الأخرى الكثيرة التي تقوم بها المؤسّسات الكاثوليكيّة المختلفة، إنّما هي مُبادرة فيها شيء جديد: هنا، في الواقع، الكنيسة الخاصّة هي التي تدير العمل فيها، بتضافر قِوَى جميع المكوّنات الإرساليّة، لكن بهويَّة محليّة واضحة، وهي تعبير أصيل عن المدبِّرِيّة الرّسوليّة بأكملها. وأحببتُ كثيرًا الاسم الذي أردتم أن تطلقوه عليها: بيت الرّحمة. في هاتَين الكلمتَين، يوجد تعريف الكنيسة، المدعوّة لتكون بيتًا يستقبل، وحيث يمكن للجميع أن يختبروا حُبًّا أسمى، يحرّك القلب ويؤثّر فيه: حبّ الآب الحنون والذي يعتني، الذي يريدنا إخوة وأخوات في بيته. لذلك، أتمنّى أن تتجمّعوا كلّكم حول هذه الحقيقة، وأن تشارككم مُختلف الجماعات الإرساليّة بنشاط، بالأشخاص والموارد.
حتّى يتحقّق ذلك، لا بُدَّ من العمل التّطوُّعي، أيْ الخدمة المجّانيّة بصورة كاملة ومن غير مصلحة، حيث يقرّر الأشخاص بحرّيّة أن يقدّموا للمحتاجين: لا على أساس التّعويض المالي أو أيّ شكلٍ من أشكال العائد الفردي، بل من أجل الحبّ الصّافي للقريب. هذا هو أسلوب الخدمة الذي علّمنا إيّاه يسوع عندما قال: "أَخَذتُم مَجَّانًا فَمَجَّانًا أَعطوا" (متّى 10، 8). الخدمة بهذه الطّريقة تبدو كأنّها رهان خاسر، لكن عندما نبدأ فنعطي، نكتشف أنّ ما نقدمه من دون أن ننتظر أي مقابل ليس عملًا ضائعًا، على العكس، بل يصير غِنًى كبيرًا لمن يقدّم وقته وطاقته. في الواقع، المجّانيّة تُخفِّف عن النَّفس، وتَشفي جراح القلب، وتقرّبنا من الله، وتفتح ينبوع الفرح، وتُحافظ على شبابنا في الدّاخل. في هذا البلد المليء بالشّباب، تكريس الذّات للعمل التّطوُّعي يمكن أن يكون طريقة حاسمة لنمُوِّ الأشخاص والمجتمع.
وفي الواقع، حتّى في المجتمعات ذات التّقنيّات العالية والمستوى المعيشي المرتفع، فإنّ نظام الضّمان الاجتماعي وحده لا يكفي لتقديم جميع الخدمات للمواطنين، إن لم تنضمّ إليه حشودٌ من المتطوّعين الذين يكرّسون وقتهم ومهاراتهم ومواردهم من أجل محبّة الآخر. التّقدّم الحقيقيّ للدّول، لا يُقاس بالغِنى الاقتصاديّ، ولا حتّى بكم يستثمرون في قوّة التّسلّح الوهميّة، بل بقدرتهم على توفير الصِّحة والتّربية والنّمو المتكامل للنّاس. لذلك، أودّ أن أشجّع المواطنين المنغوليّين كلّهم، والمعروفين بشهامتهم وقدرتهم على إنكار الذّات، على أن يلتزموا في العمل التّطوّعي، وأن يكونوا في خدمة الآخرين. هنا، في ”بيت الرّحمة“، عندكم ”مكان تدريب“ مفتوح دائمًا، حيث يمكنكم أن تمارسوا رغباتكم في عمل الخير وتدريب قلوبكم.
أخيرًا، أودّ أن أبدّد بعض ”الأساطير“. أوّلًا، الفكرة أنّ الأشخاص الأغنياء فقط يمكنهم أن يلتزموا في العمل الطّوعي. هذا الأمر هو ”وَهْم“. الواقع هو العكس: ليس من الضّروريّ أن تكون غنيًّا لتصنع الخير، بل الأشخاص العاديّون هم تقريبًا دائمًا الذين يكرّسون وقتهم ومعرفتهم وقلبهم لرعاية الآخرين. الأسطورة الثّانية التي عليَّ أن أبدّدها: الفكرة أنّ الكنيسة الكاثوليكيّة، التي تتميّز في العالم بالتزامها الكبير بأعمال التّقدّم والتّنمية الاجتماعيّة، تصنع كلّ ذلك من أجل البحث عن أتباعٍ لها، كما لو كان الاهتمام بالآخر شكلًا من أشكال الإقناع لجذب الأخرين ”إليها“. لا، الكنيسة لا تستمرّ من أجل البحث عن أتباعٍ لها، بل من أجل جَذبِ الآخرين إليها. المسيحيّون يعرفون المحتاجين ويصنعون ما في وسعهم ليخفّفوا من معاناتهم، لأنّهم يرون فيهم يسوع، ابن الله، وفيهِ يرون الكرامة لكلّ إنسان، وهو مدعوّ إلى أن يكون ابنًا أو ابنة لله. أحبّ أن أتخيّل بيت الرّحمة هذا مثل المكان الذي فيه يوجد أشخاص من ”معتقدات“ مختلفة، ومن غير المؤمنين أيضًا، يبذلون جهودًا واحدة مع الكاثوليك المحليّين ليشفقوا ويساعدوا العديد من الإخوة والأخوات في الإنسانيّة. هذه هي الكلمة، الرّحمة: وهي القدرة على أن نتألّم مع الآخر. وهذا الأمر، ستعرف الدّولة أن تحرسه وتعزّزه بشكلٍ مناسب. لذلك، لكي يتحقّق هذا الحلم، من الضّروريّ، هنا وفي أيّ مكان آخر، أن يدعم الذين يتحمّلون المسؤوليّة العامّة هذه المبادرات الإنسانيّة، ويعطوا مثالًا على تضافر القِوَى من أجل الخير العام. أخيرًا، الأسطورة الثّالثة التي عليّ أن أبدّدها: الفكرة أنّ الوسائل الاقتصاديّة فقط هي المهمّة، كما لو أنّ الطّريقة الوحيدة للاعتناء بالآخر هي توظيف أشخاصٍ بأجرٍ شهريّ والاستثمار في البُنى الكبيرة. بالتّأكيد، أعمال المحبّة تتطلّب خبرة مهنية. لكن يجب ألّا تصير المبادرات الخيريّة مشاريع تجاريّة، بل عليها أن تحافظ على حيويّة أعمال المحبّة، حيث المحتاج يجد أشخاصًا قادرين على الاصغاء والرّأفة، فوق كلّ تعويض.
بكلمات أخرى، ولنصنع الخير حقًّا، المطلوب والضّروريّ هو قلب طيِّب، وعازم على أن يبحث عمّا هو أفضل للآخر. الالتزام فقط من أجل المكافأة هذا ليس حُبًّا حقيقيًّا، لأنّ الحبَّ فقط ينتصر على الأنانيّة ويجعل العالم يسير ويتقدَّم. في هذا الصّدد، أحبّ أن أختتم بذكر حادثة تتصل بالقدّيسة تيريزا دي كالكوتا. على ما يبدو أنّ أحد الصّحفيّين، في إحدى المرّات، كان ينظر إليها مُنحنية على مريض كانت تنبعث من جروحه رائحة كريهة، فقال لها: "ما تقومين به جميل جدًّا، أمّا أنا شخصيًّا فلن أعمله حتّى مقابل مليون دولار". أجابت الأم تيريزا: "ولا أنا أقبل أن أعمله مقابل مليون دولار. أنا أعمله من أجل محبّة الله!" أصلّي لأن يكون هذا الأسلوب المجّاني هو القيمة المضافة لبيت الرّحمة. أشكركم من كلّ قلبي – شكرًا، شكرًا جزيلًا! - وأبارككم على كلّ الخير الذي صنعتموه والذي ستصنعونه. ومن فضلكم، لتكن لديكم المحبّة لأن تصلّوا من أجلي. شكرًا.
[01300-AR.02] [Testo originale: Italiano]
[B0604-XX.02]