Santa Messa nella Steppe Arena
Saluto del Santo Padre al termine della Santa Messa
Santa Messa nella Steppe Arena
Omelia del Santo Padre
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Traduzione in lingua araba
Questo pomeriggio, lasciata la Prefettura Apostolica, il Santo Padre Francesco si è trasferito in auto alla Steppe Arena per la Santa Messa.
Al Suo arrivo, dopo aver effettuato il cambio di vettura, il Papa ha compiuto alcuni giri in golf car tra gli oltre 2000 fedeli presenti e alle ore 16.00 (10.00 ora di Roma) ha presieduto la Celebrazione Eucaristica in lingua inglese, nella XXII Domenica del Tempo Ordinario.
Nel corso della Santa Messa, dopo la proclamazione del Vangelo, il Santo Padre ha pronunciato l’omelia.
Al termine, dopo l’indirizzo di omaggio del Prefetto Apostolico di Ulaanbaatar, Em.mo Card. Giorgio Marengo, I.M.C., e prima della benedizione finale, il Papa ha rivolto ai fedeli e ai pellegrini presenti un saluto finale e alcune parole di ringraziamento. Quindi è rientrato in auto alla Prefettura Apostolica dove ha cenato in privato.
Pubblichiamo di seguito l’omelia e il saluto finale che il Santo Padre ha pronunciato nel corso della Santa Messa:
Omelia del Santo Padre
Con le parole del Salmo abbiamo pregato: «O Dio, […] ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua» (Sal 63,2). Questa stupenda invocazione accompagna il viaggio della nostra vita, in mezzo ai deserti che siamo chiamati ad attraversare. E proprio in questa terra arida ci raggiunge una buona notizia: nel nostro cammino non siamo soli; le nostre aridità non hanno il potere di rendere sterile per sempre la nostra vita; il grido della nostra sete non rimane inascoltato. Dio Padre ha mandato il suo Figlio a donarci l’acqua viva dello Spirito Santo per dissetare la nostra anima (cfr Gv 4,10). E Gesù – lo abbiamo appena ascoltato nel Vangelo – ci mostra la via per essere dissetati: è la via dell’amore, che Lui ha percorso fino in fondo, fino alla croce, e sulla quale ci chiama a seguirlo “perdendo la vita per ritrovarla” nuova (cfr Mt 16,24-25).
Soffermiamoci insieme su questi due aspetti: la sete che ci abita e l’amore che ci disseta.
Anzitutto, siamo chiamati a riconoscere la sete che ci abita. Il salmista grida a Dio la propria arsura perché la sua vita assomiglia a un deserto. Le sue parole hanno una risonanza particolare in una terra come la Mongolia: un territorio immenso, ricco di storia, una terra piena di cultura, ma anche segnato dall’aridità della steppa e del deserto. Tanti di voi sono abituati alla bellezza e alla fatica del camminare, azione che richiama un aspetto essenziale della spiritualità biblica, rappresentato dalla figura di Abramo e, più in generale, proprio del popolo d’Israele e di ogni discepolo del Signore: tutti, tutti noi infatti, siamo “nomadi di Dio”, pellegrini alla ricerca della felicità, viandanti assetati d’amore. Il deserto evocato dal salmista si riferisce, dunque, alla nostra vita: siamo noi quella terra arida che ha sete di un’acqua limpida, di un’acqua che disseta in profondità; è il nostro cuore che desidera scoprire il segreto della vera gioia, quella che anche in mezzo alle aridità esistenziali, può accompagnarci e sostenerci. Sì, ci portiamo dentro una sete inestinguibile di felicità; siamo alla ricerca di un significato e una direzione della nostra vita, di una motivazione per le attività che portiamo avanti ogni giorno; e soprattutto siamo assetati di amore, perché è solo l’amore che ci appaga davvero, che ci fa stare bene – l’amore ci fa stare bene –, che ci apre alla fiducia facendoci gustare la bellezza della vita. Cari fratelli e sorelle, la fede cristiana risponde a questa sete; la prende sul serio; non la rimuove, non cerca di placarla con palliativi o surrogati: no! Perché in questa sete c’è il nostro grande mistero: essa ci apre al Dio vivente, al Dio Amore che ci viene incontro per farci figli suoi e fratelli e sorelle tra di noi.
E veniamo così al secondo aspetto: l’amore che ci disseta. Primo era la nostra sete, esistenziale, profonda, e adesso pensiamo all’amore che ci disseta. Questo è il contenuto della fede cristiana: Dio, che è amore, nel suo Figlio Gesù si è fatto vicino a te, a me, a tutti noi, desidera condividere la tua vita, le tue fatiche, i tuoi sogni, la tua sete di felicità. È vero, a volte ci sentiamo come una terra deserta, arida e senz’acqua, ma è altrettanto vero che Dio si prende cura di noi e ci offre l’acqua limpida e dissetante, l’acqua viva dello Spirito che sgorgando in noi ci rinnova liberandoci dal pericolo della siccità. Quest’acqua ce la dona Gesù. Come afferma Sant’Agostino, «se ci riconosceremo nell’assetato, ci riconosceremo anche nel dissetato» (Sul Salmo 62, 3). Infatti, se tante volte nella nostra vita sperimentiamo il deserto, la solitudine, la fatica, la sterilità, non dobbiamo però dimenticare questo: «Affinché non veniamo meno in questo deserto – aggiunge Agostino – Dio ci irrora con la rugiada della sua Parola […]. Ci fa, sì, provare la sete ma poi viene ad appagarla. […] Dio ha avuto misericordia di noi e ha aperto per noi una via nel deserto: il Signore nostro Gesù Cristo», e questa è la via nel deserto della vita. «E ci ha procurato una consolazione nel deserto: i predicatori della sua Parola. Ci ha offerto dell’acqua nel deserto, ricolmando di Spirito Santo i suoi predicatori affinché si formasse in essi una fonte di acqua che sale fino alla vita eterna» (ibid., 3.8). Queste parole, carissimi, richiamano la vostra storia: nei deserti della vita e nella fatica di essere una comunità piccola, il Signore non vi fa mancare l’acqua della sua Parola, specialmente attraverso i predicatori e i missionari che, unti dallo Spirito Santo, ne seminano la bellezza. E la Parola sempre, sempre ci riporta all’essenziale, all’essenziale della fede: lasciarsi amare da Dio per fare della nostra vita un’offerta d’amore. Perché solo l’amore ci disseta veramente. Non dimentichiamo: solo l’amore disseta veramente.
È ciò che Gesù, nel Vangelo di oggi, dice con tono forte all’apostolo Pietro. Questi non accetta il fatto che Gesù dovrà soffrire, essere accusato dai capi del popolo, attraversare la passione e poi morire sulla croce. Pietro reagisce, Pietro protesta, vorrebbe convincere Gesù che si sbaglia, perché secondo lui – e così spesso pensiamo anche noi – il Messia non può finire sconfitto, assolutamente non può morire crocifisso, come un malfattore abbandonato da Dio. Ma il Signore rimprovera Pietro, perché questo suo modo di pensare è “secondo il mondo”, dice il Signore, e non secondo Dio (cfr Mt 16,21-23). Se pensiamo che a dissetare le arsure della nostra vita bastino il successo, il potere, le cose materiali, questa è una mentalità mondana, che non porta a nulla di buono e, anzi, ci lascia più aridi di prima. Gesù invece ci indica la via: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16,24-25).
Fratelli, sorelle, la via migliore di tutte è questa: abbracciare la croce di Cristo. Al cuore del cristianesimo c’è questa notizia sconvolgente, notizia straordinaria: quando perdi la tua vita, quando la offri con generosità in servizio, quando la rischi impegnandola nell’amore, quando ne fai un dono gratuito per gli altri, allora essa ti ritorna in abbondanza, riversa dentro di te una gioia che non passa, una pace del cuore, una forza interiore che ti sostiene. E abbiamo bisogno di pace interiore.
Questa è la verità che Gesù ci invita a scoprire, che Gesù vuole svelare a voi tutti, a questa terra di Mongolia: non serve essere grandi, ricchi o potenti per essere felici: no! Solo l’amore ci disseta il cuore, solo l’amore guarisce le nostre ferite, solo l’amore ci dà la vera gioia. E questa è la via che Gesù ci ha insegnato e ha aperto per noi.
Anche noi, fratelli e sorelle, allora ascoltiamo la parola che il Signore dice a Pietro: «Va’ dietro a me» (Mt 16,23), vale a dire: diventa mio discepolo, fai la stessa strada che faccio io e non pensare più secondo il mondo. Allora, con la grazia di Cristo e dello Spirito Santo, potremo camminare sulla via dell’amore. Anche quando amare significa rinnegare sé stessi, lottare contro gli egoismi personali e mondani, correre il rischio di vivere la fraternità. Perché se è vero che tutto ciò costa fatica e sacrificio e a volte significa dover salire sulla croce, è ancora più vero che quando perdiamo la vita per il Vangelo, il Signore ce la dona in abbondanza, piena di amore e di gioia, per l’eternità.
[01298-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Avec les paroles du psaume, nous avons prié : « Ô Dieu, [...] mon âme a soif de toi ; après toi languit ma chair, terre aride, altérée, sans eau » (Ps 63, 2). Cette merveilleuse invocation accompagne le voyage de notre vie, au milieu des déserts que nous sommes appelés à traverser. Et c’est précisément dans cette terre aride que nous parvient une bonne nouvelle : nous ne sommes pas seuls sur notre chemin ; nos aridités n’ont pas le pouvoir de rendre notre vie stérile à jamais ; le cri de notre soif n’est pas ignoré. Dieu le Père a envoyé son Fils pour nous donner de l’eau vive de l’Esprit Saint afin de désaltérer notre âme (cf. Jn 4, 10). Et Jésus – nous venons de l’entendre dans l’Évangile – nous montre le chemin pour être désaltérés : c’est le chemin de l’amour, qu’il a parcouru jusqu’au bout, jusqu’à la croix, et sur lequel il nous appelle à le suivre “en perdant la vie pour la retrouver” à nouveau (cf. Mt 16, 24-25).
Arrêtons-nous ensemble sur ces deux aspects : la soif qui nous habite et l’amour qui nous désaltère.
Avant tout, nous sommes appelés à reconnaître la soif qui nous habite. Le psalmiste crie à Dieu sa soif ardente parce que sa vie ressemble à un désert. Ses mots ont une résonance particulière dans une terre comme la Mongolie : un territoire immense, riche d’histoire, une terre pleine de culture, mais aussi marqué par l’aridité de la steppe et du désert. Beaucoup d’entre vous sont habitués à la beauté et à la difficulté de marcher, une action qui rappelle un aspect essentiel de la spiritualité biblique, représentée par la figure d’Abraham et, plus généralement, précisément du peuple d’Israël et de tout disciple du Seigneur : en effet, tous, nous sommes tous des “nomades de Dieu”, des pèlerins en quête du bonheur, des voyageurs assoiffés d’amour. Le désert évoqué par le psalmiste se réfère donc à notre vie : nous sommes cette terre aride qui a soif d’une eau limpide, d’une eau qui désaltère en profondeur ; c’est notre cœur qui aspire à découvrir le secret de la vraie joie, celle qui, même au milieu des aridités existentielles, peut nous accompagner et nous soutenir. Oui, nous portons en nous une soif inextinguible de bonheur ; nous sommes à la recherche d’un sens et d’une orientation pour notre vie, d’une motivation pour les activités que nous menons chaque jour ; et surtout nous sommes assoiffés d’amour, car c’est seulement l’amour qui nous satisfait vraiment, qui nous fait sentir bien - l'amour nous fait nous sentir bien -, qui nous ouvre à la confiance, en nous faisant goûter la beauté de la vie. Chers frères et sœurs, la foi chrétienne répond à cette soif ; elle la prend au sérieux ; elle ne la supprime pas, elle ne cherche pas à l’étancher avec des palliatifs ou des substituts : non ! Car notre grand mystère se trouve dans cette soif : elle nous ouvre au Dieu vivant, au Dieu Amour qui vient à notre rencontre pour faire de nous ses enfants et des frères et sœurs entre nous.
Nous en arrivons ainsi au deuxième aspect : l’amour qui nous désaltère. Il y a d'abord eu notre soif, existentielle, profonde, et pensons maintenant à l'amour qui nous désaltère. C’est le contenu de la foi chrétienne : Dieu, qui est amour, dans son Fils Jésus, s’est fait proche de toi, de moi, de nous tous, il veut partager ta vie, tes peines, tes rêves, ta soif de bonheur. Certes, nous nous sentons parfois comme une terre déserte, aride et sans eau, mais il est tout aussi vrai que Dieu prend soin de nous et nous offre l’eau limpide et rafraîchissante, l’eau vive de l’Esprit qui, jaillissant en nous, nous renouvelle, en nous libérant du danger de la sécheresse. Cette eau nous est donnée par Jésus. Comme l’affirme saint Augustin, « si nous nous reconnaissons dans l’assoiffé, nous nous reconnaîtrons aussi dans le désaltéré » (Sur le Psaume 62, 3). En effet, si tant de fois dans notre vie nous faisons l’expérience du désert, de la solitude, de la fatigue, de la stérilité, nous ne devons cependant pas oublier ceci : « Pour que nous ne tombions pas en défaillance dans ce désert – ajoute Augustin – le Seigneur répand en nos cœurs la divine rosée de sa parole [...]. Nous sommes altérés et nous pouvons nous rafraîchir au moyen de la grâce que Dieu nous accorde. […] Le Seigneur a pris pitié de notre infortune ; il a tracé pour nous une voie dans le désert de notre vie, il nous a donné Notre-Seigneur Jésus-Christ », qui est la voie dans le désert de la vie. « Pour nous consoler dans ce désolant pèlerinage, des prédicateurs de sa parole ont été envoyés par lui vers nous ; il nous a donné de l’eau pour nous désaltérer dans cette aride solitude, car il a rempli ses Apôtres de l’Esprit-Saint qui est devenu en eux une source d’eau vive, jaillissant jusqu’à la vie éternelle » (ibid. 3.8). Ces paroles, chers frères et sœurs, rappellent votre histoire : dans les déserts de la vie et dans la difficulté d’être une petite communauté, le Seigneur ne vous laisse pas manquer de l’eau de sa Parole, surtout à travers les prédicateurs et les missionnaires qui, oints par l’Esprit Saint, en sèment la beauté. Et la Parole toujours, toujours nous ramène à l’essentiel, à l’essentiel de la foi : se laisser aimer par Dieu pour faire de notre vie une offrande d’amour. Car seul l’amour nous désaltère vraiment. N'oublions pas que seul l'amour désaltère vraiment.
C’est ce que Jésus dit d’un ton fort à l’apôtre Pierre dans l’Évangile d’aujourd’hui. Celui-ci n’accepte pas que Jésus doive souffrir, être accusé par les chefs du peuple, passer par la passion et mourir sur la croix. Pierre réagit, Pierre proteste, il voudrait convaincre Jésus qu’il a tort, car selon lui – et c’est ce que nous pensons si souvent nous aussi – le Messie ne peut pas finir vaincu, et ne peut absolument pas mourir crucifié, comme un malfaiteur abandonné par Dieu. Mais le Seigneur réprimande Pierre, parce que sa façon de penser est “selon le monde”, dit le Seigneur, et non selon Dieu (cf. Mt 16, 21-23). Si nous pensons que le succès, le pouvoir, les choses matérielles, suffisent à étancher la soif ardente de notre vie, c’est une mentalité mondaine qui ne conduit à rien de bon et, bien plus, nous laisse plus arides qu’auparavant. Jésus, au contraire, nous montre le chemin : « Si quelqu’un veut marcher à ma suite, qu’il renonce à lui-même, qu’il prenne sa croix et qu’il me suive. Car celui qui veut sauver sa vie la perdra, mais qui perd sa vie à cause de moi la trouvera » (Mt 16, 24-25).
Frères et sœurs, le meilleur chemin est celui-ci : embrasser la croix du Christ. Au cœur du christianisme, se trouve cette nouvelle bouleversante, cette nouvelle extraordinaire : lorsque tu perds ta vie, lorsque tu l’offres généreusement dans le service, lorsque tu la risques en l’engageant dans l’amour, lorsque tu en fais un don gratuit pour les autres, alors elle te revient en abondance, elle répand en toi une joie qui ne passe pas, une paix du cœur, une force intérieure qui te soutient. Et nous avons besoin de paix intérieure.
C’est la vérité que Jésus nous invite à découvrir, que Jésus veut vous révéler à tous, à cette terre de Mongolie : il n’est pas nécessaire d’être grand, riche ou puissant pour être heureux : non ! Seul l’amour désaltère notre cœur, seul l’amour guérit nos blessures, seul l’amour nous donne la vraie joie. Et c’est la voie que Jésus a enseignée et ouverte pour nous.
Écoutons donc frères et sœurs, nous aussi, la parole que le Seigneur dit à Pierre : « Passe derrière moi » (Mt 16, 23), c’est-à-dire : deviens mon disciple, fais le même chemin que moi et ne pense plus selon le monde. Alors, avec la grâce du Christ et de l’Esprit Saint, nous pourrons marcher sur le chemin de l’amour. Même quand aimer signifie se renier soi-même, lutter contre les égoïsmes personnels et mondains, prendre le risque de vivre la fraternité. Car s’il est vrai que tout cela exige des efforts et des sacrifices et signifie parfois devoir monter sur la croix, il est encore plus vrai que lorsque nous perdons notre vie pour l’Évangile, le Seigneur nous la donne en abondance, pleine d’amour et de joie, pour l’éternité.
[01298-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
With the words of the Responsorial Psalm, we prayed: “O God... my soul thirsts for you; my flesh faints for you, as in a dry and weary land where there is no water” (Ps 63:2). This magnificent plea accompanies our journey through life, amid all the deserts we are called to traverse. It is precisely in those deserts that we hear the good news that we are not alone in our journey; those times of dryness cannot render our lives barren forever; our cry of thirst does not go unheard. God the Father has sent his Son to give us the living water of the Holy Spirit to satisfy our souls (cf. Jn 4:10). Jesus, as we heard in the Gospel, shows us the way to quench our thirst. It is the way of love, which he followed even to the cross, and on which he calls us to follow him, losing our lives in order to find them (cf. Mt 16:24-25).
Let us reflect together on these two things: the thirst within us, and the love that quenches that thirst.
First, we are called to acknowledge the thirst within us. The Psalmist cries out to God in his aridity, for his life has become like a desert. His words have a particular resonance in a land like Mongolia: immense, rich in history and culture, yet a land also marked by the aridity of the steppes and the desert. Many of you know both the satisfaction and the fatigue of journeying, which evokes a fundamental aspect of biblical spirituality represented by Abraham and, in a broader sense, by the people of Israel and indeed every disciple of the Lord. For all of us are “God’s nomads”, pilgrims in search of happiness, wayfarers thirsting for love. The desert of which the Psalmist speaks, then, is our life. We are that dry land thirsting for fresh water, water that can slake our deepest thirst. Our hearts long to discover the secret of true joy, a joy that even in the midst of existential aridity, can accompany and sustain us. Deep within us, we have an insatiable thirst for happiness; we seek meaning and direction in our lives, a reason for all that we do each day. More than anything, we thirst for love, for only love can truly satisfy us, bring us fulfilment; only love can make us happy, inspire inner assurance and allow us to savour the beauty of life. Dear brothers and sisters, the Christian faith is the answer to this thirst; it takes it seriously, without dismissing it or trying to replace it with tranquilizers or surrogates. For in this thirst lies the great mystery of our humanity: it opens our hearts to the living God, the God of love, who comes to meet us and to make us his children, brothers and sisters to one another.
This brings us to the second thing: the love that quenches our thirst. First was our deep, existential thirst, and now we reflect on the love that quenches our thirst. This is the heart of the Christian faith: God, who is Love, has drawn near to you, to me, to everyone, in his Son Jesus, and wants to share in your life, your work, your dreams and your thirst for happiness. It is true that, at times, we feel like a “dry and weary land where there is no water”, yet it is equally true that God cares for us and offers us clear, refreshing water, the living water of the Spirit, springing up within us to renew us and free us from the risk of drought. Jesus gives us that water. As Saint Augustine tells us, “…if we recognize ourselves in those who thirst, we can also recognize ourselves in those who quench that thirst” (On the Psalms, 63:1). Indeed, if in this life we often experience the desert with loneliness, fatigue and emptiness, we should also remember, with Augustine, that, “lest we grow faint in this desert, God refreshes us with the dew of his word… True, he makes us feel thirst, but then comes to satisfy that thirst… God has been merciful to us; he has opened for us a highway in the desert: our Lord Jesus Christ”. And that is the path through the desert of our lives. “He has offered us a source of consolation in that desert: the preachers of his word. He has offered us water in that desert, by filling those preachers with the Holy Spirit, so as to create, in them, a fount of water springing up to life everlasting” (ibid., 1, 6). These words, dear friends, speak to you of your own history. Amid the deserts of life and in the difficulties associated with being a small community, the Lord has ensured that you not lack the water of his word, thanks especially to the preachers and missionaries who, anointed by the Holy Spirit, sow among you the seeds of its beauty. That word always brings us back to what is essential, to the very heart of our faith: allowing ourselves to be loved by God and in turn to make our lives an offering of love. For love alone truly quenches our thirst. Let us never forget: love alone truly quenches our thirst.
That is precisely what Jesus tells the apostle Peter in today’s Gospel. Peter cannot accept the fact that Jesus must suffer, be charged by the leaders of the people, undergo his passion and then die on the cross. Peter reacts, he protests, he tries to convince Jesus that he is wrong, because, in Peter’s mind – and we too often have the same idea – the Messiah cannot possibly end in failure, dying on a cross like a criminal forsaken by God. The Lord then rebukes Peter because he thinks “as the world does”, and not as God does (cf. Mt 16:21-23). If we think that success, power, or material things suffice to satisfy the thirst in our lives, then we are thinking as the world does. That kind of worldliness leads nowhere; indeed, it leaves us thirstier than before. Jesus instead shows us the way: “If any want to become my followers, let them deny themselves and take up their cross and follow me. For those who want to save their life will lose it, and those who lose their life for my sake will find it” (Mt 16:24-25).
This, dear brothers and sisters, is surely the best way: to embrace the cross of Christ. At the heart of Christianity is an amazing and extraordinary message. If you lose your life, if you make it a generous offering in service, if you risk it by choosing to love, if you make it a free gift for others, then it will return to you in abundance, and you will be overwhelmed by endless joy, peace of heart, and inner strength and support; and we need inner peace.
This is the truth that Jesus wants us to discover, the truth he wants to reveal to all of you and to this land of Mongolia. You need not be famous, rich or powerful to be happy. No! Only love satisfies our hearts’ thirst, only love heals our wounds, only love brings us true joy. This is the way that Jesus taught us; this is the path that he opened up before us.
May we too, dear brothers and sisters, heed what the Lord said to Peter in response: “Get behind me” (Mt 16:23). In other words, be my disciple, walk in my footsteps and stop thinking as the world does. If we do this, we will be able, with the grace of Christ and the Holy Spirit, to journey along the path of love. Even when love calls for denying ourselves, combatting our personal and worldly forms of selfishness, and taking the risk of living a life of genuine fraternity. For while it is true that all these things entail effort and sacrifice, and sometimes taking up the cross, it is even more true that, when we lose our lives for the sake of the Gospel, the Lord gives them back to us abundantly, in the fullness of love and joy for all eternity.
[01298-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Mit den Worten des Psalms haben wir gebetet: »Gott, […], es dürstet nach dir meine Seele. Nach dir schmachtet mein Fleisch wie dürres, lechzendes Land ohne Wasser« (Ps 63,2). Diese wunderbare Gebetsanrufung begleitet unsere Lebensreise durch alle Wüsten, die wir durchqueren müssen. Und gerade in diesem dürren Land erreicht uns eine gute Nachricht: Wir sind auf unserer Reise nicht allein; unsere Dürren haben nicht die Macht, unser Leben für immer öde werden zu lassen; der Schrei unseres Durstes bleibt nicht ungehört. Gott, der Vater, hat seinen Sohn gesandt, uns lebendiges Wasser zu geben, um den Durst unserer Seele zu stillen (vgl. Joh 4,10). Und Jesus – wir haben es gerade im Evangelium gehört – zeigt uns den Weg, um den Durst zu stillen: Es ist der Weg der Liebe, den er bis zum Ende, bis zum Kreuz, gegangen ist. Er ruft uns, ihm auf diesem Weg zu folgen, „indem wir das Leben verlieren, um es neu zu finden“ (vgl. Mt 16,24-25).
Verweilen wir gemeinsam bei diesen beiden Aspekten: Der Durst, der uns innewohnt, und die Liebe, die unseren Durst stillt.
Zunächst einmal geht es für uns darum, den Durst zu erkennen, der uns innewohnt. Der Psalmist klagt Gott seine innere Trockenheit, weil sein Leben einer Wüste gleicht. Seine Worte haben in einem Land wie der Mongolei einen besonderen Klang: Ein riesiges Gebiet, reich an Geschichte, ein Land reich an Kultur, aber auch gezeichnet von der Einsamkeit der Steppe und von der Trockenheit der Wüste. Viele von euch sind an die Schönheit und die Mühsal des Wanderns gewöhnt, eine Betätigung, die an einen wesentlichen Aspekt der biblischen Spiritualität erinnert, der durch die Gestalt Abrahams verkörpert wird und ganz allgemein dem Volk Israel und jedem Jünger des Herrn eigen ist: Alle, wir alle sind nämlich „Nomaden Gottes“, Pilger auf der Suche nach Glück, Wanderer, die nach Liebe dürsten. Die Wüste, die der Psalmist anspricht, bezieht sich also auf unser Leben: Wir sind jenes dürre Land, das nach klarem Wasser dürstet, nach einem Wasser, das unseren Durst in der Tiefe stillt. Es ist unser Herz, das sich danach sehnt, das Geheimnis wahrer Freude zu entdecken, jener Freude, die uns selbst inmitten existenzieller Dürre begleiten und Halt geben kann. Ja, wir haben einen unstillbaren Durst nach Glück in uns; wir sind auf der Suche nach einem Sinn und einer Richtung in unserem Leben, nach einer Motivation für die Tätigkeiten, denen wir jeden Tag nachgehen; und vor allem dürsten wir nach Liebe, denn nur die Liebe erfüllt uns wirklich. Sie macht, dass es uns gut geht – die Liebe macht, dass es uns gut geht – sie öffnet uns für das Vertrauen, indem sie uns die Schönheit des Lebens kosten lässt. Liebe Brüder und Schwestern, der christliche Glaube entspricht diesem Durst; er nimmt ihn ernst; er beseitigt ihn nicht, er versucht nicht, ihn mit Palliativa oder Surrogaten zu lindern: nein! Denn in diesem Durst liegt unser großes Geheimnis: Er öffnet uns für die Begegnung mit dem lebendigen Gott, dem Gott der Liebe, der uns entgegenkommt, um uns zu seinen Kindern und untereinander zu Brüdern und Schwestern zu machen.
Und damit kommen wir zum zweiten Aspekt: die Liebe, die unseren Durst stillt. Zuerst war da unser existenzieller, tiefer Durst, und jetzt denken wir an die Liebe, die unseren Durst löscht. Das ist der Inhalt des christlichen Glaubens: Gott, der Liebe ist, ist dir, mir und uns allen in seinem Sohn Jesus nah geworden, er möchte dein Leben, deine Mühen, deine Träume, deinen Durst nach Glück teilen. Es ist wahr, manchmal fühlen wir uns wie ein wüstes Land, vertrocknet und ohne Wasser, aber es ist ebenso wahr, dass Gott für uns sorgt und uns klares, durststillendes Wasser anbietet, das lebendige Wasser, das in uns hervorsprudelt, sodass es uns erneuert und uns von der Gefahr des Vertrocknens befreit. Dieses Wasser schenkt uns Jesus. Wie der heilige Augustinus sagt: »Wenn wir uns im Dürstenden erkennen, werden wir uns auch in jenem erkennen, dessen Durst gestillt ist« (Zu Psalm 62, 3). Wenn wir auch die Wüste, die Einsamkeit, die Mühsal, die Öde viele Male in unserem Leben erleben, so dürfen wir dies nicht vergessen: »Damit wir in dieser Wüste nicht scheitern – ergänzt Augustinus – benetzt Gott uns mit dem Tau seines Wortes [...]. Er lässt uns zwar Durst verspüren, aber dann kommt er, um ihn zu stillen. [...] Gott hat sich unserer erbarmt und uns einen Weg in der Wüste eröffnet: unseren Herrn Jesus Christus«, und dies ist der Weg in der Wüste des Lebens. »Und er hat uns einen Trost in der Wüste besorgt: die Prediger seines Wortes. Er hat uns Wasser in der Wüste angeboten, indem er seine Prediger mit Heiligem Geist erfüllt hat, damit in ihnen eine Quelle des Wassers entsteht, die bis zum ewigen Leben reicht« (ebd.). Diese Worte, meine Lieben, erinnern an eure Geschichte: In den Wüsten des Lebens und in der Mühsal, eine kleine Gemeinschaft zu sein, lässt der Herr euch das Wasser seines Wortes nicht fehlen, insbesondere durch Prediger und Missionare, die gesalbt vom Heiligen Geist, dessen Schönheit aussäen. Und das Wort führt uns immer wieder zum Wesentlichen, zum Wesentlichen des Glaubens zurück: sich von Gott lieben zu lassen, um aus unserem Leben eine Gabe der Liebe zu machen. Denn nur die Liebe stillt wirklich unseren Durst. Vergessen wir nicht: nur die Liebe stillt unseren Durst wirklich.
Das ist es, was Jesus dem Apostel Petrus im heutigen Evangelium sehr eindrücklich sagt. Dieser akzeptiert nicht, dass Jesus leiden, von den Anführern des Volkes angeklagt werden, den Leidensweg durchschreiten und dann am Kreuz sterben muss. Petrus reagiert, Petrus protestiert, er möchte Jesus davon überzeugen, dass er sich irrt, denn seiner Meinung nach – und so hätten wir auch gedacht – darf der Messias nicht als Besiegter enden und schon gar nicht als Gekreuzigter sterben, wie ein von Gott verlassener Übeltäter. Aber der Herr weist Petrus zurecht, denn diese seine Denkweise ist „der Welt gemäß“, sagt der Herr, und nicht Gott gemäß (vgl. Mt 16,21-23). Wenn wir glauben, dass Erfolg, Macht und materielle Dinge genügen, um die Dürre unseres Lebens zu beheben, ist dies eine weltliche Mentalität, die zu nichts Gutem führt, sondern uns noch vertrockneter zurücklässt als zuvor. Jesus hingegen weist uns den Weg: »Darauf sagte Jesus zu seinen Jüngern: Wenn einer hinter mir hergehen will, verleugne er sich selbst, nehme sein Kreuz auf sich und folge mir nach. Denn wer sein Leben retten will, wird es verlieren; wer aber sein Leben um meinetwillen verliert, wird es finden« (Mt 16,24-25).
Brüder, Schwestern, der beste Weg von allen ist dieser: das Kreuz Christi zu umarmen. Das Herzstück des Christentums ist diese verstörende Nachricht, diese außerordentliche Nachricht: Wenn du dein Leben verlierst, wenn du es im Dienen großzügig hingibst, wenn du es riskierst, indem du es in Liebe einsetzt, wenn du es zu einem kostenlosen Geschenk für andere machst, dann erhältst du es überreich zurück, es gießt eine Freude in dich ein, die nicht vergeht, einen Frieden im Herzen, eine innere Stärke, die dich erhält. Und wir brauchen inneren Frieden.
Das ist die Wahrheit, die Jesus zu entdecken uns einlädt, die Jesus euch allen, dem Land der Mongolei, offenbaren möchte: Es nützt nicht groß, reich oder mächtig zu sein, wenn man glücklich sein möchte. Nein! Nur die Liebe stillt den Durst unseres Herzens, nur die Liebe heilt unsere Wunden, nur die Liebe schenkt uns wahre Freude. Und das ist der Weg, den Jesus uns gelehrt und uns eröffnet hat.
Brüder und Schwestern, hören also auch wir auf das Wort, das der Herr zu Petrus sagt: »Tritt hinter mich« (Mt 16,23), das heißt: Werde mein Jünger, geh denselben Weg, den ich gehe, und denke nicht mehr nach Art der Welt. Dann werden wir mit der Gnade Christi und des Heiligen Geistes auf dem Weg der Liebe gehen können. Auch dann, wenn lieben bedeutet, sich selbst zu verleugnen, gegen persönliche und weltliche Egoismen zu kämpfen sowie das Risiko einzugehen, in Geschwisterlichkeit zu leben. Denn wenn es auch stimmt, dass all das Mühe und Verzicht verlangt und manchmal bedeutet, das Kreuz zu besteigen, so ist es doch noch zutreffender, dass, wenn wir unser Leben um des Evangeliums willen verlieren, es der Herr uns im Überfluss schenkt, voller Liebe und Freude, für die Ewigkeit.
[01298-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Con las palabras del Salmo hemos rezado: «Oh Dios, […] mi alma tiene sed de ti, por ti suspira mi carne como tierra sedienta, reseca y sin agua» (Sal 63,2). Esta estupenda invocación acompaña el viaje de nuestra vida, en medio de los desiertos que estamos llamados a atravesar. Y es precisamente en esa tierra árida donde llega hasta nosotros la buena noticia. En nuestro camino no estamos solos; nuestras sequedades no tienen el poder de hacer estéril para siempre nuestra vida; el grito de nuestra sed no permanece sin respuesta. Dios Padre ha enviado a su Hijo para darnos el agua viva del Espíritu Santo que apague la sed de nuestra alma (cf. Jn 4,10). Y Jesús —lo hemos escuchado hace un momento en el Evangelio— nos muestra el camino para apagar nuestra sed: es el camino del amor, que Él ha recorrido hasta el final, hasta la cruz, desde la cual nos llama a seguirlo “perdiendo la vida para encontrarla” nuevamente (cf. Mt 16,24-25).
Detengámonos juntos en estos dos aspectos: la sed que nos habita y el amor que apaga la sed.
Ante todo, estamos llamados a reconocer la sed que nos habita. El salmista grita a Dios la propia aridez porque su vida se asemeja a un desierto. Sus palabras tienen una resonancia particular en una tierra como Mongolia; un territorio inmenso, rico de historia, una tierra rebosante de cultura, pero marcado también por la aridez de la estepa y del desierto. Muchos de ustedes están acostumbrados a la belleza y a la fatiga de tener que caminar, una acción que evoca un aspecto esencial de la espiritualidad bíblica, representado por la figura de Abrahán y, más en general, algo distintivo del pueblo de Israel y de cada discípulo del Señor. Todos, todos nosotros, en efecto, somos “nómadas de Dios”, peregrinos en búsqueda de la felicidad, caminantes sedientos de amor. El desierto evocado por el salmista se refiere, entonces, a nuestra vida; somos nosotros esa tierra árida que tiene sed de un agua límpida, de un agua que apaga la sed profundamente. Es nuestro corazón el que desea descubrir el secreto de la verdadera alegría, la que incluso en medio de las sequedades existenciales, puede acompañarnos y sostenernos. Sí, arrastramos una sed inextinguible de felicidad, buscamos un significado y un sentido para nuestra vida, una motivación para las actividades que llevamos a cabo cada día; y sobre todo estamos sedientos de amor, porque sólo el amor apaga verdaderamente nuestra sed, nos hace estar bien —el amor nos hace estar bien—, nos abre a la confianza haciéndonos saborear la belleza de la vida. Queridos hermanos y hermanas, la fe cristiana responde a esta sed; la toma en serio; no la descarta, no intenta aplacarla con paliativos o sustitutos. Porque en esta sed está nuestro gran misterio; esta sed nos abre al Dios vivo, al Dios amor que viene a nuestro encuentro para hacernos hijos suyos y hermanos y hermanas entre nosotros.
Y llegamos así al segundo aspecto: el amor que apaga la sed. El primero era nuestra sed, existencial, profunda, y ahora reflexionamos sobre el amor que apaga nuestra sed. Este es el contenido de la fe cristiana: Dios, que es amor, en su Hijo Jesús se ha hecho cercano a ti, a mí, a todos nosotros. Él desea compartir tu vida, tus trabajos, tus sueños, tu sed de felicidad. Es verdad, a veces nos sentimos como una tierra sedienta, reseca y sin agua, pero también es verdad que Dios se hace cargo de nosotros y nos ofrece el agua límpida que apaga la sed, el agua viva del Espíritu que, brotando en nosotros, nos renueva y nos libra del peligro de la sequedad. Esta agua nos la da Jesús. Como afirma san Agustín, «si nos reconocemos como sedientos, nos reconoceremos también como quienes beben» (Comentarios a los Salmos, 62,3). Efectivamente, si tantas veces en nuestra vida experimentamos el desierto, la soledad, el cansancio, la esterilidad, no debemos olvidar esto: «Pero a fin de que no desfallezcamos en este desierto —añade san Agustín—, Dios nos envió el rocío de su Palabra […], [para] que de tal manera sintamos sed, que podamos beber […]. Dios se ha compadecido de nosotros, y nos ha abierto un camino en el desierto: el mismo Señor nuestro Jesucristo —Él es el camino en desierto de la vida—; y nos ha brindado un consuelo en el desierto, enviándonos predicadores de su Palabra; nos dio a beber agua en el desierto, colmando del Espíritu Santo a sus predicadores, para que surgiese en ellos la fuente de agua que brota hasta la vida eterna» (ibíd., 3.8). Estas palabras, queridos hermanos, evocan nuestra historia. En el desierto de la vida, en el trabajo de ser una comunidad pequeña, el Señor no nos hace faltar el agua de su Palabra, especialmente a través de los predicadores y los misioneros que, ungidos por el Espíritu Santo, siembran su belleza. Y la Palabra siempre, siempre nos lleva a lo esencial, a lo esencial de la fe: dejarnos amar por Dios para hacer de nuestra vida una ofrenda de amor. Porque sólo el amor apaga verdaderamente nuestra sed. No lo olvidemos: sólo el amor apaga verdaderemente nuestra sed.
Es lo que Jesús dice, con un tono fuerte, al apóstol Pedro en el Evangelio de hoy. Él no acepta el hecho de que Jesús tenga que sufrir, ser acusado por los jefes del pueblo, pasar por la pasión para después morir en la cruz. Pedro reacciona, Pedro protesta, quisiera convencer a Jesús de que se equivoca, porque según él —y a menudo también nosotros pensamos así— el Mesías no puede acabar derrotado, de ningún modo puede morir crucificado, como un delincuente abandonado por Dios. Pero el Señor reprende a Pedro, porque su modo de pensar es “el de los hombres” —dice el Señor— y no el de Dios (cf. Mt 16,21-23). Si pensamos que para apagar la sed de la aridez de nuestra vida sean suficientes el éxito, el poder, las cosas materiales, esta es una mentalidad mundana, que no lleva a nada bueno, sino que además nos deja más secos que antes. Jesús, sin embargo, nos indica el camino: «El que quiera venir detrás de mí, que renuncie a sí mismo, que cargue con su cruz y me siga. Porque el que quiera salvar su vida, la perderá; pero el que pierda su vida a causa de mí, la encontrará» (Mt 16,24-25).
Hermanos, hermanas, este es el mejor camino de todos: abrazar la cruz de Cristo. En el corazón del cristianismo se encuentra esta noticia desconcertante, esta noticia extraordinaria: cuando pierdes tu vida, cuando la ofreces sirviendo con generosidad, cuando la arriesgas comprometiéndola en el amor, cuando haces de ella un don gratuito para los demás, entonces vuelve a ti abundantemente, derrama dentro de ti una alegría que no pasa, una paz en el corazón, una fuerza interior que te sostiene. Tenemos necesidad de paz interior.
Esta es la verdad que Jesús nos invita a descubrir, que Jesús quiere revelar a todos, a esta tierra de Mongolia: para ser felices no hace falta ser grandes, ricos o poderosos. Sólo el amor apaga la sed de nuestro corazón, sólo el amor cura nuestras heridas, sólo el amor nos da la verdadera alegría. Y este es el camino que Jesús nos ha enseñado y ha abierto para nosotros.
Entonces, también nosotros, hermanos y hermanas, escuchemos la palabra que el Señor dice a Pedro: «Ve detrás de mí» (Mt 16,23), es decir: sé mi discípulo, realiza el mismo camino que hago yo y no pienses más como el mundo. De ese modo, con la gracia de Cristo y del Espíritu Santo, podremos transitar por el camino del amor. Incluso cuando amar conlleve negarse a sí mismos, luchar contra los egoísmos personales y mundanos, atreverse a vivir fraternalmente. Porque si es verdad que todo esto cuesta esfuerzo y sacrificio, y a veces implique tener que subir a la cruz, no es menos cierto que cuando perdemos la vida por el Evangelio, el Señor nos la da en abundancia, llena de amor y alegría, para la eternidad.
[01298-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Com as palavras do Salmo, rezámos assim: «Ó Deus, (...) a minha alma tem sede de Ti, todo o meu ser anela por Ti, como terra árida, exausta, sem água» (63, 2). Trata-se duma invocação estupenda que acompanha a viagem da nossa vida, no meio dos desertos que somos chamados a atravessar. E é precisamente nesta terra árida que recebemos uma boa notícia: no nosso caminho, não estamos sozinhos; a nossa aridez não pode tornar estéril para sempre a nossa vida; o grito da nossa sede não passa despercebido. Deus Pai enviou seu Filho para nos dar a água viva do Espírito Santo a fim de saciar a sede da nossa alma (cf. Jo 4, 10). E Jesus – acabámos de o ouvir no Evangelho – mostra-nos o caminho para ficarmos saciados: é o caminho do amor, que Ele percorreu até ao fim, até à cruz; e de lá chama-nos a segui-Lo, perdendo a nossa vida para a reavermos nova (cf. Mt 16, 24-25).
Detenhamo-nos juntos a pensar nestes dois aspetos: a sede que nos habita e o amor que nos dessedenta.
Antes de mais, somos chamados a reconhecer a sede que nos habita. O salmista grita para Deus a sua secura, porque a sua vida se assemelha a um deserto. As suas palavras têm uma ressonância particular numa terra como a Mongólia: um território imenso, rico de história, uma terra cheia de cultura, mas caraterizado também pela aridez da estepe e do deserto. Muitos de vós estão habituados ao encanto e à fadiga de caminhar, atividade que recorda um aspeto essencial da espiritualidade bíblica, presente na figura de Abraão e, de forma mais geral, também no povo de Israel e em todo o discípulo do Senhor: com efeito, todos, todos nós somos «nómadas de Deus», peregrinos à procura da felicidade, viandantes sedentos de amor. Assim o deserto evocado pelo salmista refere-se à nossa vida: somos aquela terra árida que tem sede de água límpida, de água que mata a sede em profundidade; é o nosso coração que deseja descobrir o segredo da verdadeira alegria, aquela que nos pode acompanhar e sustentar mesmo no meio da aridez existencial. É verdade! Trazemos dentro de nós uma sede inextinguível de felicidade; andamos à procura de significado e orientação para a nossa vida, de motivação para as atividades que realizamos cada dia; e sobretudo temos sede de amor, porque só o amor nos sacia verdadeiramente, nos faz sentir bem – o amor faz-nos sentir bem –, abre à confiança fazendo-nos saborear a beleza da vida. Queridos irmãos e irmãs, a fé cristã é resposta a esta sede; toma-a a sério; não a remove, não procura aplacá-la com paliativos ou substituintes. Não! Porque, nesta sede, reside o nosso grande mistério: ela abre-nos ao Deus vivo, ao Deus Amor que vem ao nosso encontro para nos fazer filhos seus e irmãos e irmãs entre nós.
E assim chegamos ao segundo aspeto: o amor que nos dessedenta. Primeiro pensámos na nossa sede, existencial, profunda, e agora pensemos no amor que nos dessedenta. Este é o conteúdo da fé cristã: Deus, que é amor, no seu Filho Jesus, fez-Se próximo de ti, de mim, de todos, deseja partilhar a tua vida, as tuas fadigas, os teus sonhos, a tua sede de felicidade. É verdade que, às vezes, nos sentimos como terra deserta, árida e sem água, mas é igualmente verdade que Deus cuida de nós e nos oferece a água límpida e refrescante, a água viva do Espírito que, brotando em nós, nos renova, libertando-nos do perigo da secura. Esta água é Jesus quem no-la dá. Como afirma Santo Agostinho, «se nos reconhecermos no sedento, reconhecer-nos-emos também no dessedentado» (Coment.º ao Salmo 62, 3). Embora tantas vezes na nossa vida experimentemos o deserto, a solidão, o cansaço, a esterilidade, contudo nunca nos devemos esquecer disto: «Para que não desfaleçamos neste deserto – acrescenta Agostinho – Deus irriga-nos com o orvalho da sua Palavra (...). É verdade que nos faz sentir a sede, mas depois vem saciá-la. (...) Deus teve misericórdia de nós e abriu-nos um caminho no deserto: nosso Senhor Jesus Cristo», e é este o caminho no deserto da vida. «E proporcionou-nos uma consolação no deserto: os pregadores da sua Palavra. Ofereceu-nos água no deserto, enchendo de Espírito Santo os seus pregadores para que neles se formasse uma fonte de água que jorra para a vida eterna» (ibid., 3.8). Estas palavras, queridos amigos, recordam a vossa história: nos desertos da vida e nas limitações por serdes uma comunidade pequena, o Senhor não vos deixa faltar a água da sua Palavra, especialmente através dos pregadores e missionários que, ungidos pelo Espírito Santo, a semeiam em toda a sua beleza. E a Palavra sempre, sempre nos remete para o essencial, para o essencial da fé: deixar-se amar por Deus para fazer da nossa vida uma oferta de amor. Porque só o amor sacia verdadeiramente a nossa sede. Não esqueçamos: só o amor verdadeiramente dessedenta.
É o que Jesus, no Evangelho de hoje, diz em tom forte ao apóstolo Pedro. Este não aceita o facto de Jesus ter que sofrer, ser acusado pelos chefes do povo, passar pela paixão e, depois, morrer na cruz. Pedro reage, Pedro protesta, queria convencer Jesus que estava no erro, porque, segundo ele (e, muitas vezes, pensamos assim também nós), o Messias não pode acabar derrotado, nem de forma alguma morrer crucificado, como um malfeitor abandonado por Deus. Mas o Senhor repreende Pedro, porque este modo de pensar é dos homens, diz o Senhor, e não o de Deus (cf. Mt 16, 21-23). Se pensamos que, para dessedentar a aridez da nossa vida, bastem o sucesso, o poder, as coisas materiais, isso é uma mentalidade mundana, que não leva a nada de bom, antes pelo contrário deixa-nos mais áridos do que antes. Mas Jesus indica-nos o caminho: «Se alguém quiser vir comigo, renuncie a si mesmo, tome a sua cruz e siga-Me. Quem quiser salvar a sua vida, vai perdê-la; mas, quem perder a sua vida por minha causa, há de encontrá-la» (Mt 16, 24-25).
Irmãos, irmãs, o melhor caminho de todos é este: abraçar a cruz de Cristo. No coração do cristianismo, temos esta notícia impressionante, esta notícia extraordinária: quando perdes a tua vida, quando no serviço a ofereces generosamente, quando a pões em risco comprometendo-a no amor, quando fazes dela um dom gratuito para os outros, então a vida volta para ti em abundância, derrama dentro de ti uma alegria que não passa, uma paz do coração, uma força interior que te sustenta. E temos necessidade de paz interior.
Esta é a verdade que Jesus nos convida a descobrir, que Jesus quer desvendar a todos vós, nesta terra da Mongólia: para ser feliz, não serve ser grande, rico ou poderoso. Não! Só o amor nos dessedenta o coração, só o amor cura as nossas feridas, só o amor nos dá a verdadeira alegria. E este é o caminho que Jesus nos ensinou e abriu para nós.
Então também nós, irmãos e irmãs, ouvimos a palavra que o Senhor disse a Pedro: Segue atrás de Mim (cf. Mt 16, 23), ou seja, torna-te meu discípulo, segue o mesmo caminho que sigo Eu e deixa de pensar segundo o mundo. Então, com a graça de Cristo e do Espírito Santo, poderemos caminhar pelo caminho do amor. Mesmo quando amar significa renunciar a si mesmo, lutar contra os egoísmos pessoais e mundanos, correr o risco de viver a fraternidade. Pois, se é verdade que tudo isto custa fadiga e sacrifício e por vezes significa ter de subir à cruz, é ainda mais verdade que, quando perdemos a nossa vida pelo Evangelho, o Senhor no-la dá em abundância, cheia de amor e alegria, por toda a eternidade.
[01298-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Modliliśmy się słowami Psalmu: „Boże, [...]Ciebie pragnie moja dusza, za Tobą tęskni moje ciało, jak ziemia zeschła, spragniona, bez wody” (Ps 63, 2). Ta wspaniała inwokacja towarzyszy podróży naszego życia, pośród pustyń, do przejścia których zostaliśmy wezwani. I właśnie na tej zeschłej ziemi dociera do nas dobra nowina: na naszej drodze nie jesteśmy sami; nasze oschłości nie mają mocy, by uczynić nasze życie bezowocnym na zawsze; krzyk naszego pragnienia nie pozostanie niewysłuchany. Bóg Ojciec posłał swojego Syna, aby dał nam wodę żywą Ducha Świętego, aby ugasić pragnienie naszej duszy (por. J 4, 10). A Jezus – słyszeliśmy to przed chwilą w Ewangelii – wskazuje nam drogę, na której możemy ugasić nasze pragnienie: jest to droga miłości, którą On przebył aż do końca, aż po krzyż, i na którą wzywa nas, abyśmy szli za Nim, „tracąc swe życie, aby je odnaleźć” nowym (por. Mt 16, 24-25).
Zatrzymajmy się razem nad tymi dwoma aspektami: pragnieniem, które jest w nas i miłością, która gasi nasze pragnienie.
Przede wszystkim jesteśmy wezwani do rozpoznania pragnienia, które jest w nas. Psalmista wykrzykuje Bogu swoje pragnienie, ponieważ jego życie przypomina pustynię. Jego słowa mają szczególny wydźwięk w kraju takim jak Mongolia: ogromnym terytorium, bogatym w historię, kraju przenikniętym kulturą, ale także naznaczonym suchością stepu i pustyni. Wielu z was jest przyzwyczajonych do piękna i trudu pieszej wędrówki, czynności, która przypomina istotny aspekt duchowości biblijnej, reprezentowanej przez postać Abrahama, a bardziej ogólnie, właściwej ludowi Izraela i każdemu uczniowi Pana: wszyscy, my wszyscy w istocie, jesteśmy „koczownikami Boga”, pielgrzymami poszukującymi szczęścia, wędrowcami spragnionymi miłości. Pustynia przywołana przez psalmistę odnosi się zatem do naszego życia: jesteśmy tą zeschłą ziemią, która pragnie czystej wody, wody, która dogłębnie ugasi nasze pragnienie; to nasze serce pragnie odkryć tajemnicę prawdziwej radości, tej, która nawet pośród egzystencjalnej suchości może nam towarzyszyć i nas podtrzymywać. Tak, nosimy w sobie nieugaszone pragnienie szczęścia; poszukujemy sensu i ukierunkowania w naszym życiu, motywacji do działań, które podejmujemy każdego dnia; a przede wszystkim jesteśmy spragnieni miłości, ponieważ tylko miłość naprawdę nas zaspokaja, sprawia, że czujemy się dobrze – miłość sprawia, że czujemy się dobrze – otwiera nas na zaufanie, sprawiając, że rozkoszujemy się pięknem życia. Drodzy bracia i siostry, wiara chrześcijańska odpowiada na to pragnienie, traktuje je poważnie, nie usuwa go, nie próbuje go ugasić środkami łagodzącymi lub zastępczymi. W tym pragnieniu leży bowiem nasza wielka tajemnica: otwiera nas ono na Boga żywego, na Boga Miłości, który wychodzi nam na spotkanie, aby uczynić nas swoimi dziećmi i braćmi i siostrami między sobą.
I tak dochodzimy do drugiego aspektu: miłości, która gasi nasze pragnienie. Najpierw było nasze pragnienie, egzystencjalne, dogłębne, a teraz myślimy o miłości, która gasi nasze pragnienie. To jest treść wiary chrześcijańskiej: Bóg, który jest miłością, w swoim Synu Jezusie zbliżył się do ciebie, pragnie dzielić twoje życie, twoje trudy, twoje marzenia, twoje pragnienie szczęścia. To prawda, że czasami czujemy się jak ziemia pustynna, sucha i bez wody, ale prawdą jest również to, że Bóg troszczy się o nas i daje nam wodę krystaliczną, gaszącą pragnienie, żywą wodę Ducha Świętego, która tryska w nas i nas odnawia, uwalniając nas od niebezpieczeństwa suszy. Tę wodę daje nam Jezus. Jak stwierdza św. Augustyn, „jeżeli rozpoznamy nas spragnionych, rozpoznamy i siebie pijących” (Objaśnienia Psalmów 62, 3, tłum. Jan Sułowski, Warszawa 1986, s. 75). Istotnie, jeśli wiele razy w naszym życiu doświadczamy pustyni, samotności, znużenia, jałowości, nie możemy o tym zapominać: „Żebyśmy nie ustali na tej pustyni – dodaje Augustyn – Bóg pokropił nas rosą swojego słowa [...]. Sprawia, że owszem, odczuwamy pragnienie, ale potem przychodzi, by je ugasić. [...] Bóg ulitował się nad nami i wskazał nam drogę na pustyni: samego Pana naszego Jezusa Chrystusa” i to jest droga na pustyni naszego życia. „I dał nam również pociechę na pustyni: posyłając do nas głosicieli słowa swojego. I dał nam na pustyni wodę, napełniając Duchem Świętym swoich wysłanników, ażeby w nich stał się źródłem wody bijącym ku żywotowi wiecznemu" (tamże, 3.8, s. 75,79). Te słowa, umiłowani, przypominają waszą historię: na pustyniach życia i w trudzie bycia małą wspólnotą, Pan sprawia, że nie brakuje wam wody Jego słowa, zwłaszcza poprzez kaznodziejów i misjonarzy, którzy namaszczeni Duchem Świętym, sieją Jego piękno. A Słowo zawsze, zawsze prowadzi nas z powrotem do istoty, do istoty wiary: pozwolić Bogu, by nas miłował, aby nasze życie stało się ofiarą miłości. Ponieważ jedynie miłość prawdziwie gasi nasze pragnienie. Nie zapominajmy: jedynie miłość prawdziwie gasi pragnienie.
To właśnie mówi Jezus w dzisiejszej Ewangelii mocno do apostoła Piotra. Nie akceptuje on faktu, że Jezus będzie musiał cierpieć, być oskarżonym przez przywódców ludu, przejść przez mękę, a następnie umrzeć na krzyżu. Piotr reaguje, Piotr protestuje, chciałby przekonać Jezusa, że się myli, bo według niego – i tak również my często myślimy – Mesjasz nie może skończyć jako pokonany i w żadnym razie nie może umrzeć ukrzyżowany, jak złoczyńca opuszczony przez Boga. Pan jednak gani Piotra, ponieważ jego sposób myślenia jest „po ludzku”, a nie według Boga (por. Mt 16, 21-23). Jeśli myślimy, że sukces, władza, rzeczy materialne wystarczą, aby ugasić pragnienie w naszym życiu, jest to mentalność światowa, która nie prowadzi do niczego dobrego, a wręcz pozostawia nas bardziej jałowymi niż wcześniej. Jezus natomiast wskazuje nam drogę: „Jeśli ktoś chce pójść za Mną, niech się zaprze samego siebie, niech weźmie krzyż swój i niech Mnie naśladuje. Bo kto chce zachować swoje życie, straci je; a kto straci swe życie z mego powodu, znajdzie je” (Mt 16, 24-25).
Bracia, siostry, najlepszą drogą ze wszystkich jest ta: przyjęcie krzyża Chrystusa. W sercu chrześcijaństwa jest ta wstrząsająca i niezwykła wiadomość, wiadomość nadzwyczajna: kiedy tracisz swoje życie, kiedy ofiarowujesz je wielkodusznie na służbę, kiedy ryzykujesz, poświęcając je dla miłości, kiedy czynisz z niego darmowy dar dla innych, powraca ono do ciebie w obfitości, wlewa w ciebie radość, która nie przemija, pokój serca, wewnętrzną siłę, która cię podtrzymuje. A mamy potrzebę wewnętrznego pokoju.
To jest prawda, do odkrycia której Jezus zaprasza nas, którą Jezus chce objawić wam wszystkim, tej mongolskiej ziemi: nie trzeba być wielkim, bogatym ani potężnym, aby być szczęśliwym. Tylko miłość zaspokaja pragnienie naszych serc, tylko miłość leczy nasze rany, tylko miłość daje nam prawdziwą radość. I to jest droga, której Jezus nas nauczył i którą dla nas otworzył.
My również, bracia i siostry, wsłuchujemy się w słowo, które Pan wypowiada do Piotra: „Pójdź za Mną” (Mt 16, 23), to znaczy: zostań moim uczniem, idź tą samą drogą co Ja i nie myśl już według świata. Wtedy, dzięki łasce Chrystusa i Ducha Świętego, będziemy mogli kroczyć drogą miłości. Także wówczas, gdy miłość oznacza zaparcie się siebie, walkę z osobistym i światowym egoizmem, podejmowanie ryzyka życia w braterstwie. Bo choć prawdą jest, że wszystko to wymaga wysiłku i poświęcenia, a czasem oznacza konieczność wstąpienia na krzyż, to jeszcze bardziej prawdą jest, że kiedy tracimy życie dla Ewangelii, Pan daje nam je w obfitości, pełne miłości i radości, na wieczność.
[01298-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
الزيارة الرّسوليّة إلى منغوليا
عظة قداسة البابا فرنسيس
في القدّاس الإلهي داخل بناء ”Steppe Arena“ الرّياضي في أُولانْباتار
الأحد 3 أيلول/سبتمبر 2023
بكلمات المزمور صلّينا: "أَللَّهُمَّ [...] إِلَيكَ ظَمِئَت نَفْسي وتاقَ جَسَدي. كأَرضٍ قاحِلةٍ مُجدِبَةٍ لا ماءَ فيها" (مزمور 63، 2). هذه الصّلاة الرّائعة ترافق رحلة حياتنا، في وسط الصّحاري التي نحن مدعوّون إلى أن نعبرها. في هذه الأرض القاحلة ندرك البشرى السّارّة: لسنا وحدنا في مسيرتنا؛ ولن تقدر مناطقنا القاحلة أن تجعل حياتنا جرداء إلى الأبد. ولن يبقى صراخ عطشنا غير مسموع. أرسل الله الآب ابنه ليمنحنا ماء الرّوح القدس الحيّ لإرواء عطش نفوسنا (راجع يوحنّا 4، 10). ويسوع - لقد سمعناه قبل قليل في الإنجيل – يبيّن لنا الطّريق لإرواء عطشنا: إنّه طريق الحبّ، الذي سار فيه هو حتّى النّهاية، حتّى الصّليب، وهو يدعونا من على الصّليب إلى اتباعه ”وإلى أن نفقد حياتَنا لنجدها من جديد“ (راجع متّى 16، 24-25).
لنتوقّف معًا عند هاتَين الفكرتَين: العطش الذي يسكن فينا والحب الذي يروي عطشنا.
أوّلًا، نحن مدعوّون إلى أن نَعرِف العطش الذي يسكن فينا. صاحب المزمور يصرخ إلى الله لأن العطش يحرقه، وحياته تشبه الصّحراء. كلماته لها صدى خاصّ في أرض مثل منغوليا: أرض شاسعة، غنيّة بالتّاريخ وأرض مليئة بالثّقافة، ولكنّها تتميّز أيضًا بأنّها قاحلة في سهوبها وصحاريها. لقد اعتاد الكثيرون منكم على جَمال السّير وتعبه، وهو أمر يذكِّر بوجه أساسيّ من أوجه روحانيّة الكتاب المقدّس، المتمثّلة في صورة ابراهيم، وبشكل عام، في شعب إسرائيل، وفي كلّ تلميذ ليسوع المسيح: في الحقيقة، كلّنا ”رُحَّلٌ مرتحلون إلى الله“، حجّاج باحثون عن السّعادة، ومسافرون متعطّشون إلى الحب. لذلك فإنّ الصّحراء التي يذكّرنا بها صاحب المزمور تشير إلى حياتنا: نحن الأرض القاحلة العَطِشة إلى الماء النقّي، إلى ماء يروي عطشنا العميق. هو قلبنا الذي يرغب في اكتشاف سرّ الفرح الحقيقيّ، الذي يمكن أن يرافقنا ويسندنا حتّى في وسط صحاري حياتنا. نَعَم، نحن نحمل في داخلنا عطشًا إلى السّعادة لا يرتوي. نحن في حالة بحث عن معنى وهدف حياتنا، وعن الدّافع لنشاطاتنا التي نقوم بها كلّ يوم. ونحن بشكل خاصّ متعطشون إلى الحبّ، لأن الحبّ وَحده هو الذي يشبعنا حقًّا، ويجعلنا نعيش حقًّا، ويفتح أنفسنا على الثّقة، ويجعلنا نستمتع بجمال الحياة. أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء، الإيمان المسيحيّ يجيب على هذا العطش. يأخذ الأمر على محمل الجدّ. ولا يزيله ولا يحاول تهدئته بالمسكنات أو بالبدائل: لا! لأنّ سرّنا الكبير يكمن في هذا العطش: إنّه يفتح أنفسنا على الله الحيّ، إله المحبّة الذي يأتي للقائنا ليجعلنا أبناءه وإخوة وأخوات فيما بيننا.
ونأتي الآن إلى الفكرة الثّانية: الحبّ الذي يروي عطشنا. الفكرة الأولى كانت عطشنا في الحياة والعميق، والآن لنفكّر في الحبّ الذي يروي عطشنا. هذا هو مضمون الإيمان المسيحي: الله، الذي هو محبّة، صار قريبًا منكَ، ومِنّي، ومِنَّا كلّنا، بابنه يسوع المسيح، ويريد أن يشاركك في حياتك، وتعبك، وأحلامك، وعطشك إلى السّعادة. هذا صحيح، نشعر أحيانًا وكأنّنا أرض مقفرة، وقاحلة وبدون ماء، لكن صحيحٌ أيضًا أنّ الله يعتني بنا ويقدّم لنا الماء الصّافي الذي يروي عطشنا، وماء الرّوح الحيّ الذي يتدفّق فينا ويجدّدنا ويحرّرنا من خطر الجفاف. يسوع يعطينا هذا الماء. يقول القدّيس أغسطينس، "إن عرفنا أنفسنا أنّنا نحن العطاش، سنعرف أنفسنا أيضًا حين نرتوي". (في المزمور 62، 3). في الواقع، إن اختبرنا مرارًا في حياتنا الصّحراء والوِحدة والتّعب والأرض القاحلة، يجب ألّا ننسى ما أضافه القدّيس أغسطينس: "حتّى لا نقع ولا نخور في هذه الصّحراء يرسل الله إلينا ندى كلمته [...]. نَعَم، يجعلنا نشعر بالعطش، لكنّه يأتي بعد ذلك لإروائه. [...] رَحِمَنا الله وفَتَحَ لنا طريقًا في الصّحراء هو رَبُّنا يسوع المسيح، وهذا هو طريق الحياة في الصّحراء. وأعطانا التّعزية في الصّحراء وهم الواعظون بكلمته. قدَّم لنا الماء في الصّحراء، وملأ واعظيه بالرّوح القدس حتّى يتكوَّن فيهم ينبوع ماء يصعد إلى الحياة الأبديّة" (المرجع نفسه، 3. 8). هذه الكلمات، أيّها الأعزّاء، تُذكِّر بتاريخكم: في صحاري الحياة وفي المتاعب التي تشعر بها الجماعة الصّغيرة، لا يسمح الله بأن ينقصكم ماء كلمته، وخاصّة من خلال الواعظين والمُرسَلين الذين مسحهم الرّوح القدس، وبه يزرعون جمال الكلمة. والكلمة تعيدنا دائمًا إلى أساس الإيمان: أن ندع الله يحبّنا لنصنع من حياتنا تقدمة محبّة. لأنّ الحبَّ وحده يروي عطشنا حقًّا. لا نَنسَ: الحبّ وحده يروي عطشنا حقًّا.
هذا ما قاله يسوع في إنجيل اليوم وبكلام شديد لبطرس الرّسول. لم يقبل بطرس كلام يسوع أنّه (هو يسوع) يجب أن يتألّم، وأن يتّهمه قادة الشّعب، وأن يجتاز الآلام والموت على الصّليب. عارضه بطرس، واحتجَّ، وكان يودّ أن يقنع يسوع بأنّه على خطأ، لأنّه بالنّسبة له – ونحن أيضًا نفكّر مرارًا هكذا - لا يمكن للمسيح أن يُهزم، ولا يمكن أن يموت على الصّليب إطلاقًا، مثل مجرم تخلّى عنه الله. وبّخَ الرّبّ يسوع بطرس، لأنّ طريقة تفكيره هذه هي ”بحسب العالم“، لا بحسب الله (راجع متّى 16، 21-23). ونحن، إن فكّرنا أنّ النّجاح والسّلطة والأمور المادّيّة هي التي تروي عطش حياتنا، فهذه عقليّة روح الدّنيا، التي لا تؤدّي إلى أيّ خير، بل على العكس، تتركنا أكثر جفافًا من ذي قبل. أمّا يسوع فيدلّنا على الطّريق: "مَن أَرادَ أَن يَتبَعَني، فَلْيَزْهَدْ في نَفْسِهِ ويَحمِلْ صَليبَه ويَتبَعْني، لأَنَّ الَّذي يُريدُ أَن يُخَلِّصَ حَياتَه يَفقِدُها، وأَمَّا الَّذي يَفقِدُ حَياتَه في سبيلي فإِنَّه يَجِدُها" (متّى 16، 24-25).
أيّها الإخوة والأخوات، الطّريق الأفضل هو هذا الطّريق: أن نقبل صليب المسيح. يوجد في قلب المسيحيّة هذا الخَبَر الصّادم والذي لم نَعتَدْ عليه: عندما تفقد حياتك، وعندما تبذلها بسخاء في الخدمة، وعندما تخاطر بها وأنت تلتزم بالمحبّة، وعندما تقدّمها عطيّة مجّانيّة للآخرين، حينئذ تعود إليك وافرةً، وتسكبُ في داخلك فرحًا لا يفنى، وسلامًا في قلبك، وقوّة في نفسك تسندك. ونحنُ بحاجةٍ إلى سلامٍ داخليّ.
هذه هي الحقيقة التي يدعونا يسوع إلى أن نكتشفها، والتي يريد يسوع أن يكشفها لكم جميعًا، ولأرض منغوليا هذه: لا داعي لأن نكون كبارًا أو أثرياءً أو ذوي سلطان لنكون سُعداء: لا! الحبّ فقط يروي قلوبنا، والحبّ فقط يشفي جراحنا، والحبّ فقط يمنحنا الفرح الحقيقيّ. وهذا هو الطّريق الذي علّمنا إيّاه يسوع وفتحه لنا.
إذن نحن أيضًا، أيّها الإخوة والأخوات، لنصغِ إلى الكلمة التي قالها الرّبّ يسوع لبطرس: "انسَحِبْ! وَرائي!" (متّى 16، 23)، أي كُن تلميذي، واذهب بنفس الطّريق التي أسير فيها، ولا تعد تفكّر بحسب العالم. ثمّ، بنعمة المسيح والرّوح القدس، سنتمكّن من السّير على طريق المحبّة. حتّى عندما تعني المحبّة إنكار الذّات، ومحاربة الأنانيّة الشّخصيّة والدّنيويّة، والمخاطرة بأن نعيش الأخوّة. لأنّه إن كان صحيحًا أنّ كلّ هذا يكلّف جهدًّا وتضحيّة وأحيانًا يعني الاضطرار إلى أن نصعد على الصّليب، فإنّه صحيحٌ أكثر أنّه عندما نفقد حياتنا من أجل الإنجيل، يمنحنا الرّبّ يسوع إياها وافرة، مليئة بالحب والفرح إلى الأبد.
[01298-AR.02] [Testo originale: Italiano]
Saluto del Santo Padre al termine della Santa Messa
Saluto del Santo Padre
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Traduzione in lingua araba
Saluto del Santo Padre
Questi due fratelli vescovi, l’emerito di Hong Kong e l’attuale vescovo di Hong Kong: io vorrei approfittare della loro presenza per inviare un caloroso saluto al nobile popolo cinese. A tutto il popolo auguro il meglio, e andare avanti, progredire sempre! E ai cattolici cinesi chiedo di essere buoni cristiani e buoni cittadini. A tutti. Grazie
Grazie, Eminenza, per le sue parole, e grazie per il vostro dono! Lei ha detto che in questi giorni avete toccato con mano quanto mi sia caro il Popolo di Dio che è in Mongolia. È vero, sono partito per questo pellegrinaggio con molta attesa, con il desiderio di incontrarvi e di conoscervi, e ora ringrazio Dio per voi perché, attraverso di voi, Egli ama compiere grandi cose nella piccolezza. Grazie, perché siete buoni cristiani e onesti cittadini. Andate avanti, con mitezza e senza paura, avvertendo la vicinanza e l’incoraggiamento di tutta la Chiesa, e soprattutto lo sguardo tenero del Signore, che non dimentica nessuno e guarda con amore ciascuno dei suoi figli.
Saluto i fratelli Vescovi, i sacerdoti, i consacrati e le consacrate, e tutti gli amici venuti qui da diversi Paesi, in particolare da varie regioni dell’immenso continente asiatico, nel quale sono onorato di trovarmi e che abbraccio con grande affetto. Esprimo particolare gratitudine a quanti aiutano la Chiesa locale, sostenendola spiritualmente e materialmente.
In questi giorni significative delegazioni del Governo hanno presenziato ad ogni evento: ringrazio il Signor Presidente e le Autorità per l’accoglienza e per la cordialità, così come per tutti i preparativi svolti. Ho toccato con mano la tradizionale cordialità: grazie!
Saluto poi di cuore i fratelli e le sorelle di altre Confessioni cristiane e religioni: continuiamo a crescere insieme nella fraternità, come semi di pace in un mondo tristemente funestato da troppe guerre e conflitti.
E il mio “grazie” sentito va a tutti coloro che qui hanno lavorato, tanto e da tanto tempo, per rendere bello, per rendere possibile questo viaggio, e a quanti lo hanno preparato con la preghiera.
Eminenza, ci ha ricordato che la parola “grazie” in lingua mongola deriva dal verbo “rallegrarsi”. Il mio grazie si accorda con questa meravigliosa intuizione della lingua locale, perché è pieno di gioia. È un grazie grande a te, popolo mongolo, per il dono dell’amicizia che ho ricevuto in questi giorni, per la tua capacità genuina di apprezzare anche gli aspetti più semplici della vita, di custodire con sapienza le relazioni e le tradizioni, di coltivare la quotidianità con cura e attenzione.
La Messa è azione di grazie, “Eucaristia”. Celebrarla in questa terra mi ha fatto ricordare la preghiera del padre gesuita Pierre Teilhard de Chardin, elevata a Dio esattamente 100 anni fa, nel deserto di Ordos, non molto lontano da qui. Dice così: «Mi prostro, o Signore, dinanzi alla tua Presenza nell’Universo diventato ardente e, sotto le sembianze di tutto ciò che incontrerò, e di tutto ciò che mi accadrà, e di tutto ciò che realizzerò in questo giorno, io Ti desidero, io Ti attendo». Padre Teilhard era impegnato in ricerche geologiche. Desiderava ardentemente celebrare la Santa Messa, ma non aveva con sé né pane né vino. Ecco, allora, che compose la sua “Messa sul mondo”, esprimendo così la sua offerta: «Ricevi, o Signore, questa Ostia totale che la Creazione, mossa dalla tua attrazione, presenta a Te nell’alba nuova». E una preghiera simile era già nata in lui mentre si trovava al fronte durante la Prima guerra mondiale, dove operava come barelliere. Questo sacerdote, spesso incompreso, aveva intuito che «l’Eucaristia è sempre celebrata, in un certo senso – in un certo senso –, sull’altare del mondo» ed è «il centro vitale dell’universo, il centro traboccante di amore e di vita inesauribile» (Enc. Laudato si’, 236), anche in un tempo come il nostro di tensioni e di guerre. Preghiamo, dunque, oggi con le parole di padre Teilhard: «Verbo sfavillante, Potenza ardente, o Tu che plasmi il molteplice per infondergli la tua Vita, abbassa su di noi, Te ne supplico, le tue Mani potenti, le tue Mani premurose, le tue Mani onnipresenti».
Fratelli e sorelle della Mongolia, grazie per la vostra testimonianza, bayarlalaa! [grazie!]. Dio vi benedica. Siete nel mio cuore e nel mio cuore rimarrete. Ricordatemi, per favore, nelle vostre preghiere e nei vostri pensieri. Grazie.
[01299-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Je voudrais profiter de la présence de ces deux frères évêques, l'évêque émérite de Hong Kong et l'évêque actuel de Hong Kong, pour saluer chaleureusement le noble peuple chinois. À tout le peuple, je souhaite le meilleur, et d’aller toujours de l'avant, de toujours progresser ! Et aux catholiques chinois, je demande d'être de bons chrétiens et de bons citoyens. À tous. Merci.
Merci, Éminence, pour vos paroles, et merci pour votre don ! Vous avez dit qu’en ces jours vous avez touché du doigt combien m’est cher le Peuple de Dieu qui est en Mongolie. Certes, je suis parti pour ce pèlerinage avec beaucoup d’attente, avec le désir de vous rencontrer et de vous connaître, et maintenant je remercie Dieu pour vous parce que, à travers vous, Il aime accomplir de grandes choses dans la petitesse. Merci, parce que vous êtes de bons chrétiens et d’honnêtes citoyens. Allez de l’avant, avec douceur et sans peur, en ressentant la proximité et l’encouragement de toute l’Église, et surtout le regard tendre du Seigneur qui n’oublie personne et qui regarde avec amour chacun de ses enfants.
Je salue les frères évêques, les prêtres, les personnes consacrées et tous les amis venus ici de différents pays, en particulier de diverses régions de l’immense continent asiatique, où je suis honoré de me trouver et que j’étreins avec une grande affection. J’exprime ma gratitude particulière à ceux qui aident l’Église locale, en la soutenant spirituellement et matériellement.
Ces jours-ci, d’importantes délégations du gouvernement ont participé à chaque événement : je remercie Monsieur le Président et les Autorités pour l’accueil et leur cordialité, ainsi que pour tous les préparatifs effectués. J'ai touché du doigt la traditionnelle cordialité : merci !
Je salue également de tout cœur les frères et sœurs d’autres Confessions chrétiennes et religions : continuons à grandir ensemble dans la fraternité, comme des semences de paix dans un monde tristement endeuillé par trop de guerres et de conflits.
Et je voudrais adresser une pensée reconnaissante à tous ceux qui ont travaillé ici, beaucoup et depuis si longtemps, pour rendre ce voyage beau, pour rendre ce voyage possible, et à tous ceux qui l’ont préparé par la prière.
Éminence, vous nous avez rappelé que le mot “merci” en langue mongole vient du verbe “se réjouir”. Mes remerciements s’accordent avec cette merveilleuse intuition de la langue locale, parce qu’ils sont pleins de joie. C’est un grand merci à toi, peuple mongol, pour le don de l’amitié que j’ai reçu ces jours-ci, pour ta capacité authentique d’apprécier même les aspects les plus simples de la vie, de garder avec sagesse les relations et les traditions, de cultiver le quotidien avec soin et attention.
La Messe est action de grâce, “Eucharistie”. La célébrer sur cette terre m’a rappelé la prière du père jésuite Pierre Teilhard de Chardin, adressée à Dieu il y a exactement 100 ans, dans le désert d’Ordos, non loin d’ici. Il dit ainsi : « Je me prosterne, ô Seigneur, devant votre Présence dans l’Univers devenu ardent et, sous les traits de tout ce que je rencontrerai, et de tout ce qui m’arrivera, et de tout ce que je réaliserai en ce jour, je vous désire, je vous attends ». Le Père Teilhard était engagé dans des recherches géologiques. Il désirait ardemment célébrer la Messe, mais il n’avait ni pain ni vin avec lui. C’est alors qu’il composa sa “Messe sur le monde”, exprimant ainsi son offrande : « Recevez, Seigneur, cette Hostie totale que la Création, mue par votre attrait, vous présente à l’aube nouvelle ». Et une prière similaire était déjà née en lui alors qu’il se trouvait au front pendant la Première Guerre mondiale, où il travaillait comme brancardier. Ce prêtre, souvent incompris, avait l’intuition que « l’Eucharistie est toujours célébrée, en un sens – dans un certain sens –, sur l’autel du monde » et qu’elle est « le centre vital de l’univers, le foyer débordant d’amour et de vie inépuisables » (Enc. Laudato si’, n. 236), même à notre époque de tensions et de guerres. Prions donc aujourd’hui avec les paroles du père Teilhard : « Verbe étincelant, Puissance ardente, Vous qui pétrissez le Multiple pour lui insuffler votre vie, abaissez, je vous prie, sur nous, vos mains puissantes, vos mains prévenantes, vos mains omniprésentes».
Frères et sœurs de la Mongolie, merci pour votre témoignage, bayarlalaa ! [merci !]. Que Dieu vous bénisse. Vous êtes dans mon cœur et vous y resterez. Souvenez-vous de moi, s’il vous plaît, dans vos prières et dans vos pensées. Merci.
[01299-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
I would like to take this opportunity, in the presence of these two brother bishops – the Emeritus of Hong Kong and the current Bishop of Hong Kong – to send a heartfelt greeting to the noble Chinese people. I send my good wishes to them all: always move forward, always advance! And to Chinese Catholics: I ask you to be good Christians and good citizens. To all of you, thank you.
Thank you, Your Eminence, for your kind words, and thank you for your gift! You mentioned that in these days you could feel how dear the people of God in Mongolia are to my heart. That is true: I embarked on this pilgrimage with great anticipation, with the desire to meet all of you and to get to know you. Now I thank God for you, since, through you, he loves to use what is little to achieve great things. Thank you, because you are good Christians and honest citizens. Go forward, gently and without fear, conscious of the closeness and the encouragement of the entire Church, and above all the tender gaze of the Lord, who forgets no one and looks with love upon each of his children.
I greet my brother bishops, the priests, the consecrated men and women, and all the friends who have come here from different countries, particularly from various regions of the immense continent of Asia, in which I am honoured to find myself. I embrace all of you with great affection. I am especially grateful to all those who assisted the local Church with their spiritual and material support.
In these days, important Government delegations have been present at every event. I thank the President and the Authorities for their welcome and hospitality, and for all of the preparations that were made. I felt at first hand your traditional friendliness; thank you!
I also offer a warm greeting to our brothers and sisters of other Christian confessions and other religions. May we continue to grow closer in fraternity, as seeds of peace in a world tragically devastated by all too many wars and conflicts.
My heartfelt thanks likewise go to all those who have worked, so hard and for such a long time, to make my Journey possible and successful, and to all those who prepared for it by their prayers.
Your Eminence, you reminded us that in the Mongolian language the word for “Thank you” comes from the verb “to rejoice”. My own “Thank you” dovetails perfectly with this marvellous insight of the local language, for it is full of joy. It is a great “Thank you” to the Mongolian people, for the gift of friendship that I received in these days, for your genuine capacity to value even the most simple aspects of life, to wisely preserve relationships and traditions, and to cultivate daily life with care and attention.
The Mass is itself a way of giving thanks: “Eucharistía”. To celebrate Mass in this land brought to my mind the prayer that the Jesuit Father Pierre Teilhard de Chardin offered to God exactly a hundred years ago, in the desert of Ordos, not far from here. He prayed: “My God, I prostrate myself before your presence in the universe that has now become living flame: beneath the lineaments of all that I shall encounter this day, all that happens to me, all that I achieve, it is you I desire, you I await”. Father Teilhard de Chardin was engaged in geological research. He fervently desired to celebrate Holy Mass, but lacked bread and wine. So he composed his “Mass on the World”, expressing his oblation in these words: “Receive, O Lord, this all-embracing host, which your whole creation, moved by your magnetism, offers you at the dawn of this new day”. A similar prayer had already taken shape in him when he served as a stretcher-bearer on the front lines during the First World War. This priest, often misunderstood, had intuited that “the Eucharist is always in some way celebrated on the altar of the world” and is “the living centre of the universe, the overflowing core of love and of inexhaustible life” (Laudato Sì, 236), even in times like our own, marked by conflicts and wars. Let us pray this day, then, in the words of Father Teilhard de Chardin: “Radiant Word, blazing Power, you who mould the manifold so as to breathe life into it, I pray you, lay on us those your hands – powerful, considerate, omnipresent”.
Dear brothers and sisters of Mongolia, thank you for your witness. Bayarlalaa! [Thank you!]. May God bless you. You are in my heart, and in my heart you will remain. Remember me, please, in your prayers and in your thoughts. Thank you.
[01299-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Diese beiden Brüder im Bischofsamt, der emeritierte Bischof von Hongkong und der derzeitige Bischof von Hongkong: Ich möchte ihre Anwesenheit zum Anlass nehmen, einen herzlichen Gruß an das edle chinesische Volk zu richten. Dem ganzen Volk wünsche ich das Beste und dass es immer vorwärts geht, immer vorankommt! Und die chinesischen Katholiken bitte ich, gute Christen und gute Bürger zu sein. Zu allen. Dankeschön.
Danke für Ihre Worte, Eminenz, und danke für euer Geschenk! Sie haben gesagt, dass in diesen Tagen mit Händen greifbar war, wie lieb mir das Volk Gottes in der Mongolei ist. Es ist wahr, ich bin voller Erwartung zu dieser Pilgerreise aufgebrochen, mit dem Wunsch, euch zu begegnen und euch kennenzulernen und nun danke ich Gott für euch, denn er liebt es, durch euch im Kleinen große Dinge zu vollbringen. Danke, denn ihr seid gute Christen und rechtschaffene Bürger. Geht voran, mit Sanftmut und ohne Angst, da ihr die Nähe und die Unterstützung der ganzen Kirche spürt und vor allem den zärtlichen Blick des Herrn, der niemanden vergisst und mit Liebe auf jedes seiner Kinder blickt.
Ich grüße die Mitbrüder im Bischofsamt, die Priester, die gottgeweihten Brüder und Schwestern und alle Freunde, die aus verschiedenen Ländern hierhergekommen sind, besonders aus den verschiedenen Regionen des riesigen asiatischen Kontinents, in welchem ich die Ehre habe, mich aufzuhalten und den ich mit großer Zuneigung umarme. Mein besonderer Dank gilt denjenigen, die dieser Ortskirche mit ihrer geistlichen und materiellen Unterstützung helfen.
In diesen Tagen waren zu allen Ereignissen bedeutende Regierungsdelegationen anwesend. Ich danke dem Herrn Präsidenten und den Autoritäten für die herzliche Aufnahme und alle geleistete Vorbereitungsarbeit. Eure traditionelle Herzlichkeit war für mich mit Händen zu greifen. Danke!
Dann grüße ich von Herzen die Brüder und Schwestern anderer christlichen Konfessionen und Religionen: Lasst uns weiterhin gemeinsam in der Geschwisterlichkeit wachsen, als Samenkörner des Friedens in einer Welt, die trauriger Weise von zu vielen Kriegen und Konflikten heimgesucht wird.
Und mein aufrichtiger Dank gilt all denen, die hier viel und lange gearbeitet haben, um diese Reise schön und möglich zu machen und denjenigen, die sie mit ihrem Gebet vorbereitet haben.
Eminenz, Sie haben uns daran erinnert, dass das Wort „Danke“ in der mongolischen Sprache vom Verb „sich freuen“ kommt. Mein Dank entspricht dieser wunderbaren Intuition der Landessprache, denn er ist voller Freude. Mein großer Dank gilt euch, dem mongolischen Volk: für das Geschenk der Freundschaft, das ich in diesen Tagen empfangen habe, für eure authentische Fähigkeit, auch die einfachsten Aspekte des Lebens zu schätzen, die Beziehungen und Traditionen mit Weisheit zu bewahren und das Alltagsleben mit Sorgfalt und Aufmerksamkeit zu pflegen.
Die Messe ist Danksagung, „Eucharistie“. Sie in diesem Land zu feiern, hat mich an das Gebet des Jesuitenpaters Pierre Teilhard de Chardin erinnert, das er vor genau 100 Jahren in der Wüste Ordos, nicht weit von hier, an Gott gerichtet hat. Es lautet so: »Mein Gott, ich werfe mich vor Deiner Gegenwart in dem brennend gewordenen Universum nieder, und unter den Zügen all dessen, dem ich heute begegnen werde, und all dessen, was mir heute geschehen wird, und all dessen, was ich heute verwirklichen werde, verlange ich Dich und erwarte ich Dich». Pater Teilhard war mit geologischen Studien beschäftigt. Er verlangte brennend danach, die Heilige Messe zu feiern, aber er hatte weder Brot noch Wein bei sich. Also verfasste er seine „Messe über die Welt“, in der er seine Opfergabe folgendermaßen zum Ausdruck brachte: »Empfange, Herr, diese totale Hostie, die die von deiner Anziehung bewegte Schöpfung Dir im neuen Sonnenaufgang darbietet». Und ein ähnliches Gebet war in ihm bereits gereift, als er sich während des Ersten Weltkrieges an der Front befand, wo er als Krankenträger tätig war. Dieser oft unverstandene Priester hatte erkannt, dass die Eucharistie immer «in einem gewissen Sinn – in einem gewissen Sinn – auf dem Altar der Welt» gefeiert wird und dass sie «das Lebenszentrum des Universums, der überquellende Ausgangspunkt von Liebe und unerschöpflichem Leben» (Enzyklika Laudato si’, 236) ist, auch in einer Zeit wie unserer, die von Spannungen und Kriegen geprägt ist. Beten wir daher heute mit den Worten von Pater Teilhard: »Funkelndes Wort, brennende Macht, Du, der Du das Viele knetest, um ihm Dein Leben einzuhauchen, senke, ich bitte Dich, auf uns Deine mächtigen Hände, Deine zuvorkommenden Hände, Deine allgegenwärtigen Hände herab».
Brüder und Schwestern in der Mongolei, danke für euer Zeugnis, bayarlalaa! [Danke!]. Gott segne euch. Ihr seid in meinem Herzen und ihr werdet in meinem Herzen bleiben. Bitte erinnert euch meiner in euren Gebeten und in euren Gedanken. Danke.
[01299-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Quisiera aprovechar la presencia de estos dos hermanos obispos, el emérito y el actual obispo de Hong-Kong, para enviar un caluroso saludo al noble pueblo chino. A todo ese pueblo le deseo lo mejor, que siga adelante y progrese siempre. Y a los católicos chinos les pido que sean buenos cristianos y buenos ciudadanos. A todos les doy las gracias.
Gracias por sus palabras, Eminencia, y gracias por vuestro regalo. Usted ha dicho que en estos días han podido experimentar mi afecto hacia el Pueblo de Dios que peregrina en Mongolia. Es verdad, he venido a esta peregrinación con gran expectativa, con el deseo de encontrarme con ustedes y de conocerlos, y ahora agradezco a Dios por ustedes; porque, por medio de ustedes, Él se complace en realizar cosas grandes en la pequeñez. Gracias, porque son buenos cristianos y ciudadanos honestos. Sigan adelante, con mansedumbre y sin miedo, sintiendo la cercanía y el aliento de toda la Iglesia, y sobre todo la mirada tierna del Señor, que no se olvida de nadie y mira con amor a cada uno de sus hijos.
Saludo a los hermanos obispos, a los sacerdotes, consagrados y consagradas, y a todos los amigos que han venido de diferentes países, en particular de distintas regiones del inmenso continente asiático, en el que me siento honrado de estar y que abrazo con gran estima. Expreso un agradecimiento particular a las personas que colaboran con la Iglesia local, sosteniéndola espiritual y materialmente.
Durante estos días, significativas delegaciones del gobierno han estado presentes en cada evento. Agradezco al señor Presidente y a las demás autoridades por la acogida y la cordialidad, así como también por todo el trabajo de preparación que han realizado. He podido experimentar vuestra tradicional cordialidad: gracias.
Saludo de corazón, además, a los hermanos y hermanas de otras confesiones cristianas y religiones. Sigamos creciendo juntos en la fraternidad, como semillas de paz en un mundo tristemente asolado por tantas guerras y conflictos.
Y quisiera dedicar un recuerdo agradecido a todos aquellos que han trabajado, tanto y desde hace tanto tiempo, para hacer hermoso y para hacer posible este viaje, y a cuantos lo han preparado con la oración.
Eminencia, nos ha recordado que la palabra “gracias” en lengua mongola deriva del verbo “alegrarse”. Mi “gracias” está en sintonía con esta maravillosa intuición de la lengua local, porque está lleno de alegría. Es un “gracias” grande a ti, pueblo mongol, por el don de la amistad que he recibido en estos días, por tu auténtica capacidad de valorar también los aspectos más sencillos de la vida, de custodiar con sabiduría las relaciones y las tradiciones, de cultivar la cotidianidad con cuidado y atención.
La Misa es acción de gracias, “Eucaristía”. Celebrarla en esta tierra me ha hecho recordar la oración del padre jesuita Pierre Teilhard de Chardin, elevada a Dios hace exactamente cien años, en el desierto de Ordos, no muy lejos de aquí. Dice así: «Me prosterno, Dios mío, ante tu Presencia en el Universo, que se ha hecho ardiente, y en los rasgos de todo lo que encuentre, y de todo lo que me suceda, y de todo lo que realice en el día de hoy, te deseo y te espero». El padre Teilhard trabajaba en investigaciones geológicas. Deseaba ardientemente celebrar la Santa Misa, pero no tenía consigo ni pan ni vino. Fue entonces cuando compuso su “Misa sobre el mundo”, expresando su ofrenda de este modo: «Recibe, Señor, esta Hostia total que la Creación, atraída por Ti, te presenta en esta nueva aurora». Y una oración similar había nacido ya en él durante la Primera guerra mundial, mientras estaba en el frente, ejerciendo como camillero. Este sacerdote, a menudo incomprendido, había intuido que «la Eucaristía se celebra, en cierto sentido —en cierto sentido—, sobre el altar del mundo» y que es «el centro vital del universo, el foco desbordante de amor y de vida inagotable» (Carta enc. Laudato si’, 236), incluso en un tiempo de tensiones y de guerras como el nuestro. Recemos hoy, por tanto, con las palabras del padre Teilhard: «Verbo resplandeciente, Potencia ardiente, Tú que amasas lo múltiple para infundirle tu vida, abate sobre nosotros, te lo ruego, tus manos poderosas, tus manos previsoras, tus manos omnipresentes».
Hermanos y hermanas de Mongolia, gracias por su testimonio, bayarlalaa! [¡gracias!]. Que Dios los bendiga. Están en mi corazón y permanecen en él. Acuérdense de mí, por favor, en sus oraciones y en sus pensamientos. Gracias.
[01299-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Estes dois irmãos bispos são o bispo emérito e o atual de Hong Kong: gostaria de aproveitar a sua presença para enviar uma saudação calorosa ao nobre povo chinês. A todo o povo, desejo o melhor e encorajo a seguir em frente, a progredir sempre! E aos católicos chineses peço que sejam bons cristãos e bons cidadãos. A todos, obrigado!
Obrigado pelas suas palavras, Eminência! Obrigado pelo presente que me deste! Disseste que, nestes dias, experimentaste pessoalmente quanto amo o Povo de Deus que está na Mongólia. É verdade! Parti para esta peregrinação animado de grande esperança, no desejo de vos encontrar e conhecer, e agora dou graças a Deus por vós porque Ele gosta de realizar grandes coisas na pequenez, como faz convosco. Obrigado, por serdes bons cristãos e honestos cidadãos! Continuai a sê-lo, com mansidão e sem medo, sentindo a proximidade e o encorajamento de toda a Igreja, e sobretudo o olhar terno do Senhor que não Se esquece de ninguém e olha com amor para cada um dos seus filhos.
Saúdo os irmãos Bispos, os sacerdotes, os consagrados e as consagradas, e todos os amigos que vieram até aqui de diversos países, em particular de várias regiões deste imenso continente asiático, onde tenho a honra de me encontrar e que abraço com grande carinho. Exprimo particular reconhecimento a quantos ajudam a Igreja local, apoiando-a espiritual e materialmente.
Nestes dias, importantes delegações do Governo assistiram aos diversos eventos: agradeço ao Senhor Presidente e às Autoridades o seu acolhimento e cordialidade, bem como por todos os preparativos realizados. Toquei com as minhas mãos a cordialidade tradicional: obrigado!
Depois, saúdo de coração os irmãos e irmãs doutras Confissões cristãs e religiões: continuemos a crescer juntos na fraternidade, como sementes de paz num mundo tristemente funestado por demasiadas guerras e conflitos.
E o meu pensamento agradecido vai para todos aqueles que tanto tiveram de trabalhar, durante muito tempo, para tornar frutuosa, para tornar possível esta viagem, e a quantos a prepararam com a oração.
Eminência, lembrou-nos que a palavra «obrigado», na língua mongol, deriva do verbo «regozijar-se». O meu obrigado corresponde a esta bela intuição da língua local, pois é cheio de alegria. É um obrigado grande a vós, povo mongol, pelo dom da amizade que recebi nestes dias, pela vossa capacidade genuína de apreciar até os aspetos mais simples da vida, de preservar sabiamente as relações e as tradições, de cultivar com cuidado e solicitude a vida do dia-a-dia.
A missa é ação de graças, “Eucaristia”. Celebrá-la nesta terra fez-me lembrar a oração do padre jesuíta Pierre Teilhard de Chardin, elevada a Deus exatamente há 100 anos, no Deserto de Ordos, não muito distante daqui. Diz assim: “Prostro-me, meu Deus, diante da Vossa Presença no Universo volvido ardente e, sob os traços de tudo o que eu encontrar, e de tudo o que me acontecer, e de tudo o que realizar no dia de hoje, desejo-Vos e espero-Vos”. O Padre Teilhard estava ocupado com pesquisas geológicas. Desejava ardentemente celebrar a Santa Missa, mas não trazia consigo nem pão nem vinho. Eis, então, que compôs a sua “Missa sobre o Mundo”, expressando assim a sua oferenda: “Recebei, Senhor, esta Hóstia total que a Criação, movida pelo Vosso apelo, Vos apresenta na nova aurora”. E uma oração semelhante tinha já surgido na sua mente, enquanto se encontrava no front, durante a Primeira Guerra Mundial, servindo como carregador de macas. Este sacerdote, muitas vezes incompreendido, tinha percebido que “a Eucaristia é sempre celebrada, em certo sentido – em certo sentido –, sobre o altar do mundo” e é “o centro vital do Universo, o centro transbordante de amor e de vida inexaurível” (Enc. Laudato Si’, n. 236), inclusive num tempo como o nosso, de tensões e de guerras. Rezemos hoje, portanto, com as palavras do Padre Teilhard: “Verbo cintilante, Força ardente, Vós que amassais o múltiplo para lhe insuflar a vossa Vida, baixai, rogo-Vos, sobre nós as vossas Mãos poderosas, as vossas Mãos protetoras, as vossas Mãos omnipresentes”.
Irmãos e irmãs da Mongólia, obrigado pelo vosso testemunho, bayarlalaa [obrigado]! Que Deus vos abençoe. Estais no meu coração e, no meu coração, permanecereis. Por favor, lembrai-vos de mim nas vossas orações e nos vossos pensamentos. Obrigado!
[01299-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Ci dwaj bracia biskupi, emerytowany biskup Hongkongu i obecny biskup Hongkongu: chciałbym skorzystać z ich obecności, aby przesłać serdecznie pozdrowić szlachetny naród chiński. Całemu narodowi życzę wszystkiego najlepszego, stałego kroczenia naprzód, rozwoju! A chińskich katolików proszę, aby byli dobrymi chrześcijanami i dobrymi obywatelami. Dla wszystkich. Dziękuję.
Eminencjo, dziękuję za twoje słowa, i dziękuję za wasz dar! Powiedziałeś, że w tych dniach namacalnie przekonaliście się, jak jest mi drogi Lud Boży, który jest w Mongolii. To prawda, wyruszyłem w tę pielgrzymkę z wielkim oczekiwaniem, z pragnieniem spotkania i poznania was, a teraz dziękuję za was Bogu, ponieważ przez was lubi On dokonywać wielkich rzeczy w małości. Dziękuję, ponieważ jesteście dobrymi chrześcijanami i prawymi obywatelami. Łagodnie i bez lęku idźcie naprzód, odczuwając bliskość i wsparcie całego Kościoła, a przede wszystkim czułe spojrzenie Pana, który o nikim nie zapomina i spogląda z miłością na każde ze swoich dzieci.
Pozdrawiam braci biskupów, kapłanów, osoby konsekrowane i wszystkich przyjaciół, którzy tu przybyli z różnych krajów, zwłaszcza z różnych regionów ogromnego kontynentu azjatyckiego, na którym mam zaszczyt się znaleźć i który obejmuję z wielką miłością. Wyrażam szczególną wdzięczność wszystkim, którzy pomagają Kościołowi lokalnemu, wspierając go duchowo i materialnie.
W tych dniach we wszystkich wydarzeniach uczestniczyły znaczące delegacje rządowe: dziękuję Panu Prezydentowi i Władzom za ich przyjęcie i serdeczność, a także za wszystkie poczynione przygotowania. Namacalnie doświadczyłem tradycyjnej życzliwości: dziękuję!
Serdecznie pozdrawiam również naszych braci i siostry z innych wyznań chrześcijańskich i religii: nadal wzrastajmy razem w braterstwie, jako ziarna pokoju w świecie, niestety spustoszonym przez nazbyt wiele wojen i konfliktów.
A Moje serdeczne „dziękuję” kieruję do wszystkich tych, którzy pracowali tutaj tak wiele i od tak dawna, żeby uczynić piękną, by uczynić możliwą tę podróż, oraz tym, którzy ją przygotowali modlitwą.
Eminencja przypomniał nam, że słowo „dziękuję” w języku mongolskim pochodzi od czasownika „radować się”. Moje podziękowanie jest zgodne z tą wspaniałą intuicją tutejszego języka, ponieważ jest ono pełne radości. To wielkie podziękowanie dla was, narodu mongolskiego, za dar przyjaźni, który otrzymałem w tych dniach, za waszą autentyczną zdolność doceniania nawet najprostszych aspektów życia, mądrego pielęgnowania relacji i tradycji, kultywowania codziennego życia z troską i uwagą.
Msza św. jest dziękczynieniem, „Eucharystią”. Celebrowanie jej na tej ziemi przypomniało mi modlitwę jezuity ojca Pierre'a Teilharda de Chardin, wzniesioną do Boga dokładnie 100 lat temu na pustyni Ordos, niedaleko stąd. Mówi on tak: „Padam Boże mój, przed Twoją obecnością w świecie, który stał się teraz żywym płomieniem. W kształcie wszystkiego, co napotkam, co mi się zdarzy, wszystkiego, czego dokonam dzisiejszego dnia, Ciebie tylko pragnę, na Ciebie tylko czekam”. Ojciec Teilhard był zaangażowany w badania geologiczne. Żarliwie pragnął odprawić Mszę Świętą, ale nie miał przy sobie ani chleba, ani wina. Tutaj więc skomponował swoją „Mszę na świecie”, wyrażając swoją ofiarę w następujący sposób: „Przyjmij Panie tę Hostię, którą Twoje stworzenie, poruszone Twym pięknem, u świtu dnia Tobie składa”. Podobna modlitwa zrodziła się w nim już wcześniej, gdy był na froncie podczas pierwszej wojny światowej, gdzie pracował jako sanitariusz. Ten kapłan, często niezrozumiany, przeczuwał, że „Eucharystia jest … zawsze sprawowana, w pewnym sensie – w pewnym sensie – na ołtarzu świata” i jest „centrum życia wszechświata, centrum wypełnionym miłością i niewyczerpanym życiem” (Enc. Laudato si', 236), także w czasach takich jak nasze, pełnych napięć i wojen. Módlmy się zatem dzisiaj słowami Ojca Teilharda: „Słowo roziskrzone, płomienna Mocy, Ty, co kształtujesz wielość tchnąc w nią Twoje życie, połóż na nas, proszę, Twoje dłonie silne, Twoje dłonie przewidujące, Twoje dłonie wszechobecne, wszechmocne” (por. Moja wizja świata, Warszawa 1987, s. 54; 48; 49).
Bracia i siostry z Mongolii, dziękuję wam za wasze świadectwo, bayarlalaa! [dziękuję!]. Niech Bóg was błogosławi. Jesteście w moim sercu i w moim sercu pozostaniecie. Proszę, pamiętajcie o mnie w waszych modlitwach i myślach. Grazie.
[01299-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
الزيارة الرّسوليّة إلى منغوليا
كلمة شكر لقداسة البابا فرنسيس
في ختام القدّاس الإلهيّ داخل بناء ”Steppe Arena“ الرّياضي في أُولانْباتار
الأحد 3 أيلول/سبتمبر 2023
أودّ أن أنتهز حضور هذَين الأخوَين الأسقفَين، أسقف هونج كونج السّابق، وأسقف هونج كونج الحاليّ، لأُرسلَ تحيّة حارّة إلى الشّعب الصّينيّ النّبيل. أتمنّى للشّعب كلّه الأفضل، والاستمرار، والتّقدّم دائمًا! وأطلب من الكاثوليك الصّينيّين أن يكونوا مسيحيّين صالحين ومواطنين صالحين. شكرًا لكم جميعًا.
شكرًا على كلماتكم، صاحب النّيافة، وشكرًا على هديّتكم! قلتم إنّكم في هذه الأيّام لمستم لمس اليد كَم هو عزيزٌ عليَّ شعب الله الذي في منغوليا. هذا صحيح، لقد انطلقت في رحلة الحجِّ هذه بترقُّب كبير، ورغبة في أن ألتقي بكم وأتعرّف عليكم، والآن أشكر الله من أجلكم، لأنّه من خلالكم هو يُحِبُّ أن يحقّق أمورًا عظيمة في من كان صغيرًا. شكرًا لأنّكم مسيحيّون صالحون ومواطنون صادقون. سيروا إلى الأمام بوداعة وبدون خوف، وكونوا أكيدين أنّ الكنيسة كلّها قريبة منكم وتشجّعكم، وتأكّدوا أنّ نظر الله الحنون لا ينسى أحدًا وينظر بحبّ إلى كلّ واحدٍ من أبنائه.
أحيّي الإخوة الأساقفة والكهنة والمكرّسين والمكرّسات، وكلّ الأصدقاء الذين قَدِمُوا إلى هنا من بلدانٍ مختلفة، وخاصّة من مناطق متنوّعة من القارّة الآسيويّة الشّاسعة، والتي يُشَرِّفُني أن أكون فيها اليوم وأُعانِقُها بمودة كبيرة. أُعبّر عن شكري الخاصّ للذين يساعدون الكنيسة المحليّة ويسندونها روحيًّا وماديًّا.
في هذه الأيّام، حضَرَتْ، في كلّ لقاء، وفودٌ مهمّة من الحكومة: أشكر السّيّد الرّئيس والسُّلطات على استقبالهم وكرمهم، وعلى كلّ التّحضيرات التي قاموا بها. لَمَستُ لَمْسَ اليَدّ الكرم التّقليديّ: شكرًا!
أحيّي أيضًا بحرارة الإخوة والأخوات من الطّوائف المسيحيّة الأخرى ومن سائر الأديان: لنستمرّ في النّمو معًا في الأخوّة، ولنَكُنْ بذور سلام في عالم تشوبه للأسف حروبٌ وصراعاتٌ كثيرة.
وأودُّ أن أوجّه فكرة خاصّة مع شكري إلى كلّ الذين عمِلوا هنا، عمِلوا كثيرًا ومدّة طويلة، ليجعلوا هذه الزّيارة ممكنة وجميلة، وإلى كلّ الذين حضّروا لها بالصّلاة.
صاحب النّيافة، لقد ذكّرتنا بأن كلمة ”شكرًا“ في اللغة المنغولية تَشتَقّ من الفعل ”ابتهج“. شكري ينسجم مع هذا الحدس الرّائع للغة المحليّة، لأنّ شكري مليء بالبهجة والسّرور. إنّه شكر جزيل لكم، أيّها الشّعب المنغولي، لأنّكم قدَّمْتُم لي في هذه الأيام صداقتكم، وشكرًا على القدرة المطبوعة فيكم لتقدير أبسط جوانب الحياة، ولأنّكم تحافظون بحكمتكم على العلاقات مع التّقاليد، ولأنّكم تُولُون دقائق الحياة اليوميّة كلّ عناية واهتمام.
القداس هو فعل شكر، هو ”الإفخارستيا“. الاحتفال به في هذه الأرض يذكّرني بصلاة الأب اليسوعيّ بيير تيلار دي شاردان (Pierre Teilhard de Chardin)، الذي رفعه إلى الله قبل 100 سنة بالضّبط، في صحراء أوردوس، ليس بعيدًا من هنا. قال ما يلي: "أسجد، يا ربّ، لحضورك في هذا الكون الذي بدأت الحرارة تشتدّ فيه، وفي صورة كلّ ما سألتقيه، وكلّ ما سيحدث لي، وكلّ ما سأحقّقه في هذا اليوم. إنّي أحبّك وانتظرك". كان الأب تيلار ملتزمًا في الأبحاث الجيولوجيّة. كان يحبّ حبًّا شديدًا أن يقيم القداس الإلهيّ، لكن لم يكن معه خبز ولا خمر. فألف قداسه على مائدة العالم، وعبّر عن تقدمته بهذه الكلمات: "اقبل يا ربّ هذا القربان الجامع الذي تقدّمه لك الخليقة المنجذبة إليك مع هذا الفجر الجديد". وقد وُلِدَت في ذهنه من قبل صلاة مماثلة عندما كان في الجبهة خلال الحرب العالميّة الأولى، حيث كان يعمل حامل نقالة. هذا الكاهن، الذي أُسيء فهمه مرارًا، قد أدرك أنّ " الإفخارستيا يُحتفل بها دائمًا، نوعًا ما، على مذبح العالم" وأنّها "مركز الكون الحيويّ، ومصدرٌ فائضٌ بالمحبةِ وبحياةٍ لا تنضب" (رسالة عامة بابوية، كُنْ مُسَبَّحًا، 236)، حتّى في وقت مثل عصرنا، عصر التّوترات والحروب. لذلك لنصلِّ اليوم بكلمات الأب تيلار ولنقل: "أيّها الكلمة المتلألئ، أيّتها القدرة المتّقدة، أنت الذي تخلق المتعدّد لتسكب حياتك فيه، إنّا نبتهل إليك، ابسُطْ علينا يدَيك القديرَتَين، يديك الحنونَتَين، يدَيك الحاضرَتَين في كلّ مكان".
أيّها الإخوة والأخوات المنغوليّون، شكرًا لكم على شهادتكم، bayarlalaa! [شكرًا!]. بارككم الله. أنتم في قلبي وستبقون في قلبي. من فضلكم، أذكروني في صلواتكم وأفكاركم. شكرًا.
[01299-AR.02] [Testo originale: Italiano]
[B0603-XX.02]