Incontro Ecumenico e Interreligioso presso l’Hun Theatre
Discorso del Santo Padre
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Traduzione in lingua araba
Questa mattina, lasciata la Prefettura Apostolica, il Santo Padre si è trasferito in auto all’Hun Theatre dove, alle ore 10.10 (04.10 ora di Roma), ha avuto luogo l’Incontro Ecumenico e Interreligioso.
Al Suo arrivo, il Papa è stato accolto all’ingresso dal Prefetto Apostolico di Ulaanbaatar, Em.mo Card. Giorgio Marengo, I.M.C., e da un leader religioso. Quindi, dopo il discorso di benvenuto di Sua Eminenza Khamba Lama Gabju Demberel Choijamts, Abate del Monastero di Gandan Tegchenling, e la lettura dei messaggi di 11 leader delle diverse religioni, Papa Francesco ha pronunciato il Suo discorso.
Al termine, dopo la foto di gruppo, il Santo Padre è rientrato in auto alla Prefettura Apostolica dove ha pranzato in privato.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha pronunciato nel corso dell’Incontro Ecumenico e Interreligioso:
Discorso del Santo Padre
Buongiorno a tutti voi, cari fratelli e sorelle!
Permettetemi di rivolgermi a voi così, come fratello nella fede con i credenti in Cristo e come fratello di tutti voi, in nome della comune ricerca religiosa e dell’appartenenza alla stessa umanità. L’umanità, nel suo anelito religioso, può essere paragonata a una comunità di viandanti che cammina in terra con lo sguardo rivolto al cielo. È significativo in proposito quanto un credente, venuto da lontano, affermò della Mongolia, scrivendo che vi viaggiò «non vedendo niente se non cielo e terra» (Guglielmo di Rubruk, Viaggio in Mongolia, XIII/3, Milano 2014, 63). Il cielo, così limpido e, così azzurro, qui abbraccia infatti la terra vasta e imponente, evocando le due dimensioni fondamentali della vita umana: quella terrena, fatta di relazioni con gli altri, e quella celeste, fatta di ricerca dell’Altro, che ci trascende. La Mongolia ricorda insomma il bisogno, per tutti noi, pellegrini e viandanti, di volgere lo sguardo verso l’alto per trovare la rotta del cammino in terra.
Sono dunque felice di essere con voi in questo importante momento di incontro. Vivamente ringrazio ciascuno e ciascuna per la presenza e per ogni intervento che ha arricchito la riflessione comune. Il fatto di essere insieme nello stesso luogo è già un messaggio: le tradizioni religiose, nella loro originalità e diversità, rappresentano un formidabile potenziale di bene a servizio della società. Se chi ha la responsabilità delle nazioni scegliesse la strada dell’incontro e del dialogo con gli altri, contribuirebbe certamente in maniera determinante alla fine dei conflitti che continuano ad arrecare sofferenza a tanti popoli.
A fornirci l’occasione di stare insieme per conoscerci e arricchirci reciprocamente è l’amato popolo mongolo, che può vantare una storia di convivenza tra esponenti di varie tradizioni religiose. È bello ricordare la virtuosa esperienza dell’antica capitale imperiale Kharakhorum, al cui interno si trovavano luoghi di culto appartenenti a diversi “credo”, a testimonianza di una encomiabile armonia. Armonia: vorrei sottolineare questa parola dal sapore tipicamente asiatico. Essa è quel particolare rapporto che si viene a creare tra realtà diverse, senza sovrapporle e omologarle, ma nel rispetto delle differenze e a beneficio del vivere comune. Mi chiedo: chi, più dei credenti, è chiamato a lavorare per l’armonia di tutti?
Fratelli, sorelle, da quanto riusciamo ad armonizzarci con gli altri pellegrini sulla terra e da come riusciamo a diffondere armonia, lì dove viviamo, si misura la valenza sociale della nostra religiosità. Ogni vita umana, infatti, e a maggior ragione ogni religione, è tenuta a “misurarsi” in base all’altruismo: non un altruismo astratto, ma concreto, che si traduca nella ricerca dell’altro e nella collaborazione generosa con l’altro, perché «l’uomo saggio si rallegra nel donare, e solo per questo diventa felice» (The Dhammapada: The Buddha’s Path of Wisdom, Sri Lanka 1985, n. 177; cfr le parole di Gesù riferite in At 20,35). Una preghiera, ispirata a Francesco d’Assisi, recita: «Dove è odio, ch’io porti amore, dove è offesa, ch’io porti il perdono, dov’è discordia ch’io porti l’unione». L’altruismo costruisce armonia e dove c’è armonia c’è intesa, c’è prosperità, c’è bellezza. Anzi, armonia è forse il sinonimo più appropriato di bellezza. Al contrario, la chiusura, l’imposizione unilaterale, il fondamentalismo e la forzatura ideologica rovinano la fraternità, alimentano tensioni e compromettono la pace. La bellezza della vita è frutto dell’armonia: è comunitaria, cresce con la gentilezza, con l’ascolto e con l’umiltà. E a coglierla è il cuore puro, perché «la vera bellezza, dopo tutto, sta nella purezza del cuore» (M.K. Gandhi, Il mio credo, il mio pensiero, Roma 2019, 94).
Le religioni sono chiamate a offrire al mondo questa armonia, che il progresso tecnico da solo non può dare, perché, mirando alla dimensione terrena, orizzontale dell’uomo, rischia di dimenticare il cielo per il quale siamo fatti. Sorelle e fratelli, oggi siamo qui insieme come umili eredi di antiche scuole di sapienza. Incontrandoci, ci impegniamo a condividere il tanto bene che abbiamo ricevuto, per arricchire un’umanità che nel suo cammino è spesso disorientata da miopi ricerche di profitto e benessere. Essa è spesso incapace di trovare il filo: rivolta ai soli interessi terreni, finisce per rovinare la terra stessa, confondendo il progresso con il regresso, come mostrano tante ingiustizie, tanti conflitti, tante devastazioni ambientali, tante persecuzioni, tanto scarto della vita umana.
L’Asia ha moltissimo da offrire in tal senso e la Mongolia, che di questo continente si trova al cuore, custodisce un grande patrimonio di sapienza, che le religioni qui diffuse hanno contribuito a creare e che vorrei invitare tutti a scoprire e valorizzare. Mi limito a citare, senza approfondirli, dieci aspetti di questo patrimonio sapienziale. Dieci aspetti: il buon rapporto con la tradizione, nonostante le tentazioni del consumismo; il rispetto per gli anziani e gli antenati – quanto bisogno abbiamo oggi di un’alleanza generazionale tra loro e i più giovani, di dialogo tra nonni e nipoti! E poi, la cura per l’ambiente, nostra casa comune, altra necessità tremendamente attuale: siamo in pericolo. E ancora: il valore del silenzio e della vita interiore, antidoto spirituale a tanti malanni del mondo odierno. Quindi, un sano senso di frugalità; il valore dell’accoglienza; la capacità di resistere all’attaccamento alle cose; la solidarietà, che nasce dalla cultura dei legami tra le persone; l’apprezzamento per la semplicità. E, infine, un certo pragmatismo esistenziale, che tende a ricercare con tenacia il bene del singolo e della comunità. Questi dieci sono alcuni elementi del patrimonio di sapienza che questo Paese può offrire al mondo.
A proposito delle vostre usanze, ho già parlato di come, preparandomi a questo viaggio, mi abbiano affascinato le dimore tradizionali attraverso cui il popolo mongolo rivela una sapienza sedimentata in millenni di storia. La ger costituisce infatti uno spazio umano: al suo interno si svolge la vita della famiglia, è luogo di convivialità amicale, di incontro e di dialogo dove, anche quando si è in tanti, si sa fare spazio a qualcun altro. E poi è un punto di riferimento concreto, facilmente identificabile nelle immense distese del territorio mongolo; è motivo di speranza per chi ha smarrito la strada: se c’è una ger c’è vita. La si trova sempre aperta, pronta ad accogliere l’amico, ma anche il viandante e persino lo straniero, per offrirgli un tè fumante che fa riprendere le forze nel freddo dell’inverno o un fresco latte fermentato che dona ristoro nelle calde giornate estive. Questa è anche l’esperienza dei missionari cattolici, provenienti da altri Paesi, che qui sono accolti come pellegrini e ospiti, ed entrano in punta di piedi in questo mondo culturale, per offrire l’umile testimonianza del Vangelo di Gesù Cristo.
Ma, insieme allo spazio umano, la ger evoca l’essenziale apertura al divino. La dimensione spirituale di questa dimora è rappresentata dalla sua apertura verso l’alto, con un solo punto dal quale entra la luce, nella forma di un lucernario a spicchi. Così, l’interno diventa una grande meridiana, in cui luce e ombra si rincorrono, segnando le ore del giorno e della notte. C’è un bell’insegnamento in questo: il senso del tempo che scorre giunge dall’alto, non dal mero fluire delle attività terrene. In certi momenti dell’anno, poi, il raggio che penetra dall’alto illumina l’altare domestico, richiamando il primato della vita spirituale. L’umana convivenza che si attua nello spazio circolare è così costantemente rimandata alla sua vocazione verticale, alla sua vocazione trascendente e spirituale.
L’umanità riconciliata e prospera, che come esponenti di diverse religioni contribuiamo a promuovere, è simbolicamente rappresentata da questo stare insieme armonioso e aperto al trascendente, in cui l’impegno per la giustizia e la pace trovano ispirazione e fondamento nel rapporto col divino. Qui, cari sorelle e fratelli, la nostra responsabilità è grande, specialmente in quest’ora della storia, perché il nostro comportamento è chiamato a confermare nei fatti gli insegnamenti che professiamo; non può contraddirli, diventando motivo di scandalo. Nessuna confusione dunque tra credo e violenza, tra sacralità e imposizione, tra percorso religioso e settarismo. La memoria delle sofferenze patite nel passato – penso soprattutto alle comunità buddiste – dia la forza di trasformare le ferite oscure in fonti di luce, l’insipienza della violenza in saggezza di vita, il male che rovina in bene che costruisce. Così sia per noi, discepoli entusiasti dei rispettivi maestri spirituali e servitori coscienziosi dei loro insegnamenti, disposti ad offrirne la bellezza a quanti accompagniamo, come amichevoli compagni di strada. Questo sia vero, perché in società pluralistiche e che credono nei valori democratici, come la Mongolia, ogni istituzione religiosa, regolarmente riconosciuta dall’autorità civile, ha il dovere e in primo luogo il diritto di offrire quello che è e quello che crede, nel rispetto della coscienza altrui e avendo come fine il maggior bene di tutti.
In tal senso io vorrei confermarvi che la Chiesa cattolica vuole camminare così, credendo fermamente nel dialogo ecumenico, nel dialogo interreligioso e nel dialogo culturale. La sua fede si fonda sull’eterno dialogo tra Dio e l’umanità, incarnatosi nella persona di Gesù Cristo. Con umiltà e nello spirito di servizio che ha animato la vita del Maestro, venuto nel mondo non «per farsi servire ma per servire» (Mc 10,45), la Chiesa oggi offre il tesoro che ha ricevuto ad ogni persona e cultura, rimanendo in atteggiamento di apertura e ascolto di quanto le altre tradizioni religiose hanno da offrire. Il dialogo, infatti, non è antitetico all’annuncio: non appiattisce le differenze, ma aiuta a comprenderle, le preserva nella loro originalità e le mette in grado di confrontarsi per un arricchimento franco e reciproco. Così si può ritrovare nell’umanità benedetta dal Cielo la chiave per camminare sulla terra. Fratelli e sorelle, abbiamo un’origine comune, che conferisce a tutti la stessa dignità, e abbiamo un cammino condiviso, che non possiamo percorrere se non insieme, dimorando sotto il medesimo cielo che ci avvolge e ci illumina.
Fratelli e sorelle, il nostro trovarci qui oggi è segno che sperare è possibile. Sperare è possibile. In un mondo lacerato da lotte e discordie, ciò potrebbe sembrare utopico; eppure, le imprese più grandi iniziano nel nascondimento, con dimensioni quasi impercettibili. Il grande albero nasce dal piccolo seme, nascosto nella terra. E se “la fragranza dei fiori si diffonde solo nella direzione del vento, il profumo di chi vive secondo virtù si diffonde in tutte le direzioni” (cfr The Dhammapada, n. 54). Facciamo fiorire questa certezza, che i nostri sforzi comuni per dialogare e costruire un mondo migliore non sono vani. Coltiviamo la speranza. Come ebbe a dire un filosofo: «Ognuno fu grande secondo quello che sperò. Uno fu grande sperando il possibile; un altro sperando l’eterno; ma chi sperò l’impossibile fu il più grande di tutti» (S.A. Kierkegaard, Timore e tremore, Milano 2021, 16). Le preghiere che eleviamo al cielo e la fraternità che viviamo in terra nutrano la speranza; siano la testimonianza semplice e credibile della nostra religiosità, del camminare insieme con lo sguardo rivolto verso l’alto, dell’abitare il mondo in armonia – non dimentichiamo la parola “armonia” – come pellegrini chiamati a custodire l’atmosfera di casa, per tutti. Grazie.
[01297-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Bonjour à vous tous, chers frères et sœurs !
Permettez-moi de m’adresser à vous comme frère dans la foi avec les croyants en Christ et comme frère pour vous tous, au nom de la quête religieuse commune et de l’appartenance à la même humanité. L’humanité, dans son aspiration religieuse, peut être comparée à une communauté de voyageurs marchant sur la terre avec le regard tourné vers le ciel. À cet égard, ce qu’un croyant, venu de loin, a dit de la Mongolie est significatif : il a écrit qu’il a voyagé « sans rien voir d’autre que le ciel et la terre » (Guglielmo di Rubruk, Viaggio in Mongolia, XIII/3, Milano 2014, 63). Le ciel, si limpide, si bleu, étreint ici la terre vaste et imposante, évoquant les deux dimensions fondamentales de la vie humaine : la dimension terrestre, faite de relations avec les autres, et la dimension céleste, faite de la recherche de l’Autre, qui nous transcende. La Mongolie rappelle en somme le besoin, pour nous tous, pèlerins et voyageurs, de tourner le regard vers le haut pour trouver le cap de la marche sur la terre.
Je suis donc heureux d’être avec vous en ce moment important de rencontre. Je remercie chaleureusement chacun et chacune pour sa présence et pour chaque intervention qui a enrichi notre réflexion commune. Le fait d’être ensemble dans le même lieu est déjà un message : les traditions religieuses, dans leur originalité et leur diversité, représentent un formidable potentiel de bien au service de la société. Si les responsables des nations choisissaient la voie de la rencontre et du dialogue avec les autres, ils contribueraient certainement de manière décisive à mettre fin aux conflits qui continuent à faire souffrir tant de peuples.
Le bien-aimé peuple mongol, qui peut se targuer d’une histoire de coexistence entre les membres de diverses traditions religieuses, nous donne l’occasion de nous réunir pour apprendre à nous connaître et à nous enrichir mutuellement. Il est bon de rappeler cette expérience vertueuse de l’ancienne capitale impériale, Kharakorum, dans laquelle se trouvaient des lieux de culte appartenant à différentes croyances, témoignant d’une harmonie louable. Harmonie : je voudrais insister sur ce mot au goût typiquement asiatique. Elle est cette relation particulière qui se crée entre des réalités différentes, sans les superposer ni les homologuer, mais dans le respect des différences et au profit de la vie commune. Je me demande : qui, plus que les croyants, est appelé à travailler pour l’harmonie de tous ?
Frères, sœurs, la valeur sociale de notre religiosité se mesure à la manière dont nous parvenons à nous harmoniser avec les autres pèlerins sur terre, et à la manière dont nous parvenons à répandre l’harmonie là où nous vivons. Toute vie humaine, en effet, et à plus forte raison toute religion, est appelée à “se mesurer” en fonction de l’altruisme : non pas un altruisme abstrait, mais concret, se traduisant par la recherche de l’autre et la collaboration généreuse avec l’autre, parce que « le sage se réjouit dans le don, et c’est par là seulement qu’il devient heureux » (The Dhammapada : The Buddha's Path of Wisdom, Sri Lanka 1985, n. 177 ; cf. les paroles de Jésus rapportées dans Ac 20, 35). Une prière, inspirée par François d’Assise, récite : « Là où il y a de la haine, que je mette l’amour, là où il y a l’offense, que je mette le pardon, là où il y a la discorde, que je mette l’union ». L’altruisme construit l’harmonie et là où il y a l’harmonie, il y a l’entente, il y a la prospérité, il y a la beauté. En effet, harmonie est peut-être le synonyme le plus approprié de beauté. En revanche, la fermeture, l’imposition unilatérale, le fondamentalisme et la contrainte idéologique ruinent la fraternité, alimentent les tensions et sapent la paix. La beauté de la vie est le fruit de l’harmonie : elle est communautaire, elle grandit avec la gentillesse, l’écoute et l’humilité. Et c’est le cœur pur qui la saisit, car « la vraie beauté, après tout, réside dans la pureté du cœur » (M.K. Gandhi, Il mio credo, il mio pensiero, Roma 2019, 94).
Les religions sont appelées à offrir au monde cette harmonie que le progrès technique à lui seul ne peut assurer, car, en visant la dimension terrestre, horizontale de l’homme, il risque d’oublier le ciel pour lequel nous sommes faits. Sœurs et frères, nous sommes ici aujourd’hui en tant qu’humbles héritiers d’anciennes écoles de sagesse. En nous rencontrant, nous nous engageons à partager tout le bien que nous avons reçu, afin d’enrichir une humanité qui, dans son cheminement, est souvent désorientée par des recherches à court terme du profit et du bien-être. Elle est souvent incapable de trouver le fil conducteur : tournée uniquement vers les intérêts terrestres, elle finit par ruiner la terre elle-même, confondant progrès et régression, comme le montrent tant d’injustices, tant de conflits, tant de dévastations environnementales, tant de persécutions, tant de rejet de la vie humaine.
L’Asie a beaucoup à offrir à cet égard et la Mongolie, qui se trouve au cœur de ce continent, conserve un grand patrimoine de sagesse, que les religions répandues ici ont contribué à créer et que je voudrais inviter chacun à découvrir et à valoriser. Je ne ferai qu’évoquer, sans les approfondir, dix aspects de cet héritage de sagesse. Dix aspects : le bon rapport avec la tradition, malgré les tentations consuméristes ; le respect des anciens et des ancêtres – combien avons-nous besoin aujourd’hui d’une alliance générationnelle entre eux et les plus jeunes, de dialogue entre les grands-parents et les petits-enfants ! Et puis, le respect de l’environnement, notre maison commune, une autre nécessité d’une actualité brûlante : nous sommes en danger. Et encore : la valeur du silence et de la vie intérieure, antidote spirituel à tant de maux du monde d’aujourd’hui. Ensuite, un sens sain de la sobriété ; la valeur de l’accueil ; la capacité de résister à l’attachement aux choses ; la solidarité, qui découle de la culture des liens entre les personnes ; l’appréciation de la simplicité. Et, enfin, un certain pragmatisme existentiel, qui tend à rechercher avec ténacité le bien de l’individu et de la communauté. Ces dix aspects sont là quelques éléments du patrimoine de sagesse que ce pays peut offrir au monde.
À propos de vos traditions, j’ai déjà dit combien, en préparant ce voyage, j’avais été fasciné par les habitations traditionnelles à travers lesquelles le peuple mongol révèle une sagesse sédimentée par des millénaires d’histoire. La ger constitue en effet un espace humain : en son sein se déroule la vie de la famille, c’est un lieu de convivialité amicale, de rencontre et de dialogue où, même lorsqu’on est nombreux, on sait faire de la place à quelqu’un d’autre. Et puis c’est un point de repère concret, facilement identifiable dans les vastes étendues du territoire mongol ; c’est un motif d’espérance pour ceux qui se sont égarés : s’il y a une ger, il y a la vie. On la trouve toujours ouverte, prête à accueillir l’ami, mais aussi le voyageur et même l’étranger, pour lui offrir un thé fumant qui fait reprendre des forces dans le froid de l’hiver ou un lait fermenté frais qui apporte un rafraîchissement durant les chaudes journées d’été. C’est aussi l’expérience des missionnaires catholiques, provenant d’autres pays, qui sont accueillis ici comme pèlerins et hôtes, et qui entrent sur la pointe des pieds dans ce monde culturel, pour offrir l’humble témoignage de l’Évangile de Jésus-Christ.
Mais, en plus de l’espace humain, la ger évoque l’essentielle ouverture au divin. La dimension spirituelle de cette habitation est représentée par son ouverture vers le haut, avec un seul point d’où la lumière entre, sous la forme d’une lucarne en tranches. L’intérieur devient ainsi un grand cadran solaire, dans lequel la lumière et l’ombre se succèdent, marquant les heures du jour et de la nuit. Il y a là une belle leçon à tirer : le sens du temps qui passe vient d’en haut, et non du simple flux des activités terrestres. Ainsi, à certaines périodes de l’année, le rayon qui pénètre d’en haut illumine l’autel domestique, rappelant la primauté de la vie spirituelle. La coexistence humaine qui se déroule dans l'espace circulaire est ainsi constamment renvoyée à sa vocation verticale, transcendante et spirituelle.
L’humanité réconciliée et prospère, que nous contribuons à promouvoir en tant que représentants de différentes religions, est symboliquement représentée par cette convivialité harmonieuse ouverte à la transcendance, où l’engagement pour la justice et la paix trouve inspiration et fondement dans la relation avec le divin. Ici, chers sœurs et frères, notre responsabilité est grande, surtout en cette heure de l’histoire, car notre comportement est appelé à confirmer dans les faits les enseignements que nous professons ; il ne peut pas les contredire, en devenant un motif de scandale. Aucune confusion donc entre croyance et violence, entre sacré et imposition, entre parcours religieux et sectarisme. Que la mémoire des souffrances endurées dans le passé – je pense en particulier aux communautés bouddhistes - donne la force de transformer les sombres blessures en sources de lumière, l’absurdité de la violence en sagesse de vie, le mal qui détruit en bien qui construit. Qu’il en soit ainsi pour nous, disciples enthousiastes de nos maîtres spirituels respectifs et serviteurs consciencieux de leurs enseignements, disposés à offrir la beauté à ceux que nous accompagnons, en compagnons de route amicaux. Cela est vrai, parce que dans les sociétés pluralistes qui croient aux valeurs démocratiques, comme la Mongolie, toute institution religieuse, dûment reconnue par l’autorité civile, a le devoir et en premier lieu le droit d’offrir ce qu’elle est et ce qu’elle croit, dans le respect de la conscience d’autrui et avec pour objectif le plus grand bien de tous.
En ce sens, je voudrais vous confirmer que l’Église catholique veut marcher dans cette voie, en croyant fermement au dialogue œcuménique, au dialogue interreligieux et au dialogue culturel. Sa foi est fondée sur le dialogue éternel entre Dieu et l’humanité, incarné dans la personne de Jésus-Christ. Avec humilité et dans l’esprit de service qui a animé la vie du Maître, venu dans le monde non pas « pour être servi, mais pour servir » (Mc 10, 45), l’Église aujourd’hui offre le trésor qu’elle a reçu à toute personne et à toute culture, en restant dans une attitude d’ouverture et d’écoute de ce que les autres traditions religieuses ont à offrir. Le dialogue, en effet, n’est pas antithétique à l’annonce : il n’aplatit pas les différences, mais aide à les comprendre, les préserve dans leur originalité et leur permet de se confronter pour un enrichissement franc et réciproque. Ainsi, on peut trouver dans l’humanité bénie par le Ciel la clé pour marcher sur la terre. Frères et sœurs, nous avons une origine commune, qui confère à tous la même dignité, et nous avons un chemin commun, que nous ne pouvons parcourir qu’ensemble, en demeurant sous le même ciel qui nous enveloppe et nous illumine.
Frères et sœurs, notre présence ici aujourd’hui est signe qu’espérer est possible. Espérer est possible. Dans un monde déchiré par les conflits et les discordes, cela pourrait sembler utopique ; pourtant, les plus grandes entreprises commencent dans la discrétion, presque imperceptibles. Le grand arbre naît de la petite graine, enfoui dans la terre. Et si “le parfum des fleurs ne se répand que dans la direction du vent, le parfum de ceux qui vivent selon la vertu se répand dans toutes les directions” (cf. The Dhammapada, n. 54). Faisons fleurir cette certitude que nos efforts communs pour dialoguer et construire un monde meilleur ne sont pas vains. Cultivons l’espérance. Comme l’a dit un philosophe : « Chacun fut grand selon ce qu’il a espéré. L’un fut grand en espérant le possible, un autre en espérant l’éternel, mais celui qui espéra l’impossible fut le plus grand de tous » (S.A. Kierkegaard, Crainte et tremblement, Milan 2021, 16). Que les prières que nous élevons vers le ciel et la fraternité que nous vivons sur la terre nourrissent l’espérance ; qu’elles soient le témoignage simple et crédible de notre religiosité, de notre marche ensemble avec le regard fixé vers le haut, de notre façon d'habiter le monde en harmonie - n'oublions pas le mot "harmonie" - en tant que pèlerins appelés à garder l’atmosphère de la maison, pour tous. Merci.
[01297-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Good morning to all of you, dear brothers and sisters!
Allow me to address you in this way, as a brother in faith to those who believe in Christ, and as a brother to all of you in the name of our shared religious quest and our membership in the one human family. In terms of that religious quest, humanity can be compared to a band of wayfarers treading the earth with eyes lifted to heaven. A traveler from afar once observed that here in Mongolia he saw “nothing but the sky and earth.” (cf. WILLIAM OF RUBRUK, Viaggio in Mongolia, XIII/3, Milan 2014, 63). Here indeed, the sky, so clear and blue, embraces these vast and imposing lands, as if to remind us of the two essential aspects of human life: the earthly, made up of our relationships with others, and the heavenly, consisting in our quest for the transcendent Other. Mongolia thus reminds all of us, as pilgrims and wayfarers, to lift our gaze on high in order to discern which path to follow on our journey here below.
I am happy to be with you for this significant moment of encounter. I thank each of you most heartily for your presence and for every one of the talks that have enriched our common reflection. The fact that we are meeting together in one place already sends a message: it shows that the religious traditions, for all their distinctiveness and diversity, have impressive potential for the benefit of society as a whole. If the leaders of nations were to choose the path of encounter and dialogue with others, it would certainly be a decisive contribution to ending the conflicts continuing to afflict so many of the world’s peoples.
The beloved Mongolian people have made it possible for us to come together for our mutual enrichment, for they can vaunt a history of coexistence between the followers of various religious traditions. It is impressive to think of Kharakorum, the ancient imperial capital, which admirably housed within its walls places of worship belonging to different creeds, thus exemplifying a commendable harmony. Harmony. I would like to stress this word, in its typically Asian accents. Harmony is that special relationship born of the creative interplay of differing realties, without imposition or amalgamation, but with complete respect for their differences, in view of a serene life in common. I ask myself: Who, more than believers, is called to work for harmony among all?
Brothers and sisters, the social significance of our religious traditions can be gauged by the extent to which we are capable of living in harmony with other pilgrims on this earth and can foster that harmony in the places where we live. Every human individual, and even more every religion, must be measured by the standard of altruism. Not altruism in the abstract, but in the concrete: an altruism that translates into concern for others and generous cooperation with them. For “the wise man rejoices in giving, and by that alone does he become happy” (The Dhammapada: The Buddha’s Path of Wisdom, Sri Lanka 1985, n. 177; cp. the saying of Jesus found in Acts 20:35). In the words of a prayer inspired by Francis of Assisi, “Where there is hatred, let me bring love, where there is offence, let me bring pardon, where there is discord, let me bring union”. Altruism builds harmony and wherever there is harmony, we find understanding, prosperity and beauty. Harmony may well be the best synonym of beauty. Whereas narrowness, unilateral imposition, fundamentalism and ideological constraint destroy fraternity, fuel tensions and compromise peace, the beauty of life is born of harmony, which is inherently communitarian: it flourishes through kindness, listening and humility. And those who are pure of heart embrace harmony, for true beauty, as Gandhi said, lies in purity of the heart.
The religions are called to offer the world this harmony, which technological progress alone cannot bestow, since, in its concern with the earthly, horizontal dimension of humanity, it risks forgetting heaven, for which we were made. Sisters and brothers, today we are meeting together as the humble heirs of ancient schools of wisdom. In our encounter with one another, we want to share the great treasure we have received, for the sake of enriching a humanity so often led astray on its journey by the myopic pursuit of profit and material comfort. People in our time are often unable to find the right path: concerned only with earthly interests, humanity ends up destroying the earth and mistaking progress for regress, as attested by so many injustices, conflicts, persecutions, environmental disasters and great disregard for human life.
Here, Asia has much to offer and Mongolia, which lies at the heart of this continent, possesses a great patrimony of wisdom that its various religions have helped to create and that I would like to urge all to explore and appreciate. I will limit myself to mentioning, albeit briefly, ten aspects of this patrimony: a healthy relationship to tradition, despite the temptations of consumerism; respect for your elders and ancestors – today how greatly do we need a generational covenant between old and the young, a dialogue between grandparents and grandchildren! Also, care for the environment, our common home, another great and pressing need, for we are in peril. Then too, the value of silence and the interior life, as a spiritual antidote to so many ills in today’s world. Also, a healthy sense of frugality; the value of hospitality; the ability to resist attachment to material objects; the solidarity born of a culture of interpersonal bonds; and respect for simplicity. Finally, a certain existential pragmatism that tenaciously pursues the good of individuals and of the community. These ten aspects are some elements of the patrimony of wisdom that this country is able to offer to the world.
Speaking of these elements, I have already mentioned how, as I prepared for this journey, I was fascinated by the traditional dwellings that serve as an expression of the Mongolian people’s wisdom accrued over millennia of history. The ger creates a humane space: it is the place for family life, friendly conviviality, encounter and dialogue able to make room, even in a crowd, for each individual. Then too, it is a concrete landmark, easily identifiable in the vast expanses of Mongolian territory, and a source of hope for those who have lost their way, for wherever there is a ger, there is life. It is always open, ready to welcome friends, but also travelers and even strangers, and to offer either a steaming drink of tea to restore strength in the cold of winter, or a sip of fresh milk to provide refreshment on steamy summer days. This was the experience of the Catholic missionaries from other countries who were welcomed here as pilgrims and guests, and gently entered into this culture, bringing their humble testimony to the Gospel of Jesus Christ.
Together with its human space, the ger also expresses an essential openness to the divine. This spiritual dimension is represented by its overhead opening, which admits a beam of light that makes the interior, as it were, a great sundial marking, through an interplay of light and shadow, the hours of day and night. There is a beautiful lesson in this: the sense of the passage of time comes from above, not simply from the flux of earthly activity. At certain times of the year, the ray that penetrates from on high lights up the domestic altar, reminding us of the primacy of the spiritual life. In this way, the sense of human togetherness experienced in this circular space is constantly referred back to its vertical vocation, to its transcendent and spiritual calling.
The reconciled and prosperous humanity that we, as followers of different religions, seek to promote is thus symbolized by this harmony, togetherness and openness to the transcendent. And this, in turn, inspires a commitment to justice and peace, grounded in our relationship to the divine. In this sense, dear sisters and brothers, we share a great responsibility, especially in this period of history, for we are called to testify to the teachings we profess by the way we act; we must not contradict them and thus become a cause of scandal. There can be no mixing, then, of religious beliefs and violence, of holiness and oppression, of religious traditions and sectarianism. May the memory of past suffering – here I think especially of the Buddhist communities – bestow the strength needed to transform dark wounds into sources of light, senseless violence into wisdom of life, devastating evil into constructive goodness. May it be so for us, as committed followers of our respective spiritual masters and faithful stewards of their teachings, ever ready to offer the beauty of those teachings to those whom we daily encounter as friends and companions on our journey. May it be so, for in a pluralistic society committed to democratic values, such as Mongolia is, every religious institution, duly recognized by civil authority, has the duty, and above all the right, to freely express what it is and what it believes, in a way respectful of the conscience of others and in view of the greater good of all.
In this regard, I would like to reassure you that the Catholic Church desires to follow this path, firmly convinced of the importance of ecumenical, interreligious and cultural dialogue. Her faith is grounded in the eternal dialogue between God and humanity that took flesh in the person of Jesus Christ. With humility and in the spirit of service that inspired the life of her Master, who came into the world not “to be served but to serve” (Mk 10:45), the Church today offers the treasure she has received to every person and culture, in a spirit of openness and in respectful consideration of what the other religious traditions have to offer. Dialogue, in fact, is not antithetical to proclamation: it does not gloss over differences, but helps us to understand them, to preserve them in their distinctiveness and to discuss them openly for the sake of mutual enrichment. In this way, we can discover in our common humanity, blessed by heaven, the key to our journey on this earth. Brothers and sisters, we share a common origin that confers equal dignity on everyone, and have a shared path that we can only travel alongside one another, as we dwell under the one sky that surrounds and illumines us.
Brothers and sisters, our coming together here today is a sign that hope is possible. It is possible to hope. In a world rent by conflict and discord, this may seem utopian, yet the greatest undertakings are hidden and almost imperceptible at the outset. While “the fragrance of flowers spreads only in the direction of the wind, the fragrance of those who live according to virtue spreads in all directions” (cf. The Dhammapada, No. 54). Let us make this conviction flourish, so that our common efforts to promote dialogue and the building of a better world will not be in vain. Let us cultivate hope. As a philosopher once said, “Everyone was great in proportion to the object of his hope. One was great by hoping for the possible; another by hoping for the eternal; but he who hoped for the impossible was the greatest of all” (SOREN KIERKEGAARD, Fear and Trembling). May the prayers we raise to heaven and the fraternity we experience here on earth spread seeds of hope. May they be a simple and credible testimony to our religiosity, our walking together with eyes lifted to heaven, our living in this world in harmony – let us never forget the word “harmony” – as pilgrims called to preserve the atmosphere of a home that is open to all people. Thank you.
[01297-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Guten Morgen euch allen, liebe Brüder und Schwestern!
Gestattet mir, dass ich mich auf diese Weise – als Bruder im Glauben für die Christen und als euer aller Bruder – im Namen der gemeinsamen religiösen Suche und der Zugehörigkeit zur selben Menschheit an euch wende. Die Menschheit kann in ihrem religiösen Sehnen mit einer Gemeinschaft von Wanderern verglichen werden, die auf der Erde unterwegs ist und ihren Blick zum Himmel richtet. Diesbezüglich ist bezeichnend, was ein Gläubiger, der aus der Ferne kam, über die Mongolei sagte. Er schrieb, er sei dorthin gereist und habe »nichts als Himmel und Erde gesehen« (Guglielmo di Rubruk, Viaggio in Mongolia, XIII/3, Mailand 2014, 63). Der Himmel, so klar, so blau, küsst hier nämlich die weite und beeindruckende Erde und erinnert an die beiden grundlegenden Dimensionen des menschlichen Lebens: die irdische, die aus den Beziehungen zu den Anderen besteht, und die himmlische, die aus der Suche nach dem Anderen besteht, der uns übersteigt. Kurz gesagt, erinnert uns die Mongolei an die Notwendigkeit für uns alle, Pilger und Wanderer, den Blick nach oben zu richten, um auf Erden den rechten Weg zu finden.
Ich freue mich daher, bei dieser wichtigen Begegnung mit euch zusammen zu sein. Ich danke einem jeden und einer jeden herzlich für die Anwesenheit und für alle Beiträge, die unser gemeinsames Nachdenken bereichert haben. Die Tatsache, dass wir am selben Ort beisammen sind, ist bereits eine Botschaft: Die religiösen Traditionen stellen in ihrer Originalität und Verschiedenheit ein großartiges Potenzial an Gutem im Dienste der Gesellschaft dar. Würden die Verantwortungsträger der Nationen den Weg der Begegnung und des Dialogs mit den Anderen wählen, so wäre dies gewiss ein entscheidender Beitrag zur Beendigung der Konflikte, die fortwährend Leid über viele Völker bringen.
Die Möglichkeit, zusammenzukommen, um einander kennenzulernen und zu bereichern, bietet uns das geliebte mongolische Volk, das sich einer langen Geschichte des Zusammenlebens von Vertretern verschiedener religiöser Traditionen rühmen kann. Es ist schön, sich an die tugendreiche Praxis der einstigen kaiserlichen Hauptstadt Karakorum zu erinnern, in der es Gotteshäuser verschiedener religiöser Bekenntnisse gab, was von einer lobenswerten Harmonie zeugt. Harmonie: Ich möchte dieses in Asien sehr geläufige Wort hervorheben. Es meint jene besondere Beziehung, die sich zwischen verschiedenen Wirklichkeiten entwickelt, diese aber nicht überlagert und vereinheitlicht, sondern die Unterschiede achtet und dem Zusammenleben nützt. Ich frage mich: Wer ist mehr als die Gläubigen dazu berufen, sich für die Harmonie zwischen allen einzusetzen?
Brüder und Schwestern, der soziale Wert unserer Religiosität misst sich daran, wie gut es uns gelingt, uns mit den anderen Pilgern auf der Erde zu harmonisieren, und wie sehr es uns gelingt, dort wo wir leben, Harmonie zu verbreiten. Jedes menschliche Leben, und erst recht jede Religion, muss sich nämlich am Altruismus „messen“: nicht an einem abstrakten Altruismus, sondern an einem konkreten, der sich in der Suche nach dem Anderen und der großherzigen Zusammenarbeit mit dem Anderen ausdrückt, denn »der Weise freut sich am Geben, und allein dadurch wird er glücklich« [»the wise man rejoices in giving, and by that alone does he become happy«] (The Dhammapada: The Buddha’s Path of Wisdom, Sri Lanka 1985, Nr. 177; vgl. die Worte Jesu in Apg 20,35). Ein Gebet, das von Franz von Assisi inspiriert wurde, lautet: »Wo Hass herrscht, lass mich Liebe entfachen. Wo Beleidigung herrscht, lass mich Vergebung entfachen. Wo Zerstrittenheit herrscht, lass mich Einigkeit entfachen.« Der Altruismus schafft Harmonie, und wo es Harmonie gibt, da besteht Einvernehmen, Wohlergehen, Schönheit. Harmonie ist vielleicht sogar das passendste Synonym für Schönheit. Im Gegensatz dazu ruinieren Verschlossenheit, einseitiges Aufoktroyieren, Fundamentalismus und ideologischer Zwang die Geschwisterlichkeit, sie schüren Spannungen und gefährden den Frieden. Die Schönheit des Lebens ist eine Frucht der Harmonie: Sie ist gemeinschaftlich, sie wächst mit der Höflichkeit, mit dem Zuhören und mit der Demut. Und es ist das reine Herz, das sie erfasst, denn »die wahre Schönheit liegt letztlich in der Reinheit des Herzens« (M.K. Gandhi, Il mio credo, il mio pensiero, Rom 2019, 94).
Die Religionen haben die Aufgabe, der Welt diese Harmonie zu geben, die der technische Fortschritt allein nicht bieten kann, denn indem er auf die irdische, horizontale Dimension des Menschen abzielt, läuft er Gefahr, den Himmel zu vergessen, für den wir geschaffen sind. Schwestern und Brüder, wir sind heute hier versammelt als demütige Erben alter Weisheits-Schulen. Dadurch, dass wir uns versammeln, verpflichten wir uns, das viele Gute, das wir empfangen haben, miteinander zu teilen, um eine Menschheit zu bereichern, die auf ihrem Weg oft vom kurzsichtigen Streben nach Profit und Wohlstand desorientiert ist. Sie ist oft nicht in der Lage, den richtigen Weg zu finden: Nur auf irdische Interessen ausgerichtet, ruiniert sie am Ende die Erde, verwechselt sie Fortschritt mit Rückschritt, wie so viele Ungerechtigkeiten, so viele Konflikte, so viel Umweltzerstörung, so viel Verfolgung und so viel Ablehnung des menschlichen Lebens zeigen.
Asien hat in dieser Hinsicht sehr viel zu geben, und die Mongolei, die im Herzen dieses Kontinents liegt, hütet ein großes Erbe an Weisheit, das die hier verbreiteten Religionen mit geschaffen haben und ich möchte alle einladen, es zu entdecken und zur Geltung zu bringen. Ich beschränke mich darauf, zehn Aspekte dieses weisheitlichen Erbes zu nennen, ohne sie zu vertiefen. Zehn Aspekte: Das gute Verhältnis zur Tradition, trotz der Verlockungen des Konsums; der Respekt den Älteren und den Vorfahren gegenüber – wie sehr brauchen wir heute ein Generationenbündnis zwischen ihnen und den Jüngeren, einen Dialog zwischen Großeltern du Enkelkindern! Und dann die Sorge um die Umwelt, unser gemeinsames Haus, ein weiteres äußerst aktuelles Erfordernis: Wir sind in Gefahr. Und weiter: der Wert der Stille und der Innerlichkeit, ein geistliches Gegenmittel für so viele Übel der heutigen Welt. Sodann eine gesunde Gesinnung der Anspruchslosigkeit; der Wert der Gastfreundschaft; die Fähigkeit, sich nicht an Dinge zu klammern; die Solidarität, die aus der Kultur zwischenmenschlicher Beziehungen hervorgeht; und die Wertschätzung der Einfachheit. Und schließlich ein gewisser existenzieller Pragmatismus, der geneigt ist, mit Ausdauer das Wohl des Einzelnen und der Gemeinschaft zu suchen. Diese zehn sind einige Elemente des Erbes an Weisheit, das dieses Land der Welt zu bieten hat.
Was die häuslichen Gegebenheiten anbelangt, so habe ich bereits erwähnt, wie sehr mich bei der Vorbereitung auf diese Reise die traditionellen Behausungen fasziniert haben, durch die das mongolische Volk eine Weisheit offenbart, die sich in Jahrtausenden entwickelt hat. Das Ger schafft nämlich einen menschlichen Raum: In seinem Inneren spielt sich das Familienleben ab, es ist ein Ort freundschaftlicher Geselligkeit, der Begegnung und des Dialogs, wo man auch bei großer Zahl immer noch Platz für eine weitere Person ist. Und dann ist es ein konkreter Bezugspunkt, der in den riesigen Weiten der Mongolei leicht auszumachen ist; es ist ein Grund zur Hoffnung für diejenigen, die sich verirrt haben: wo ein Ger ist, da ist Leben. Man findet es immer offen, bereit, den Freund, aber auch den Reisenden und sogar den Fremden aufzunehmen, um ihm einen dampfenden Tee anzubieten, der in der Kälte des Winters neue Kraft gibt, oder eine kühle fermentierte Milch, die an heißen Sommertagen Erquickung spendet. Dies ist auch die Erfahrung der katholischen Missionare aus anderen Ländern, die hier als Pilger und Gäste empfangen werden und die sich diskret in diese kulturelle Welt hineinbegeben, um das demütige Zeugnis des Evangeliums Jesu Christi anzubieten.
Doch neben dem menschlichen Raum weist das Ger auch die notwendige Offenheit für das Göttliche auf. Die geistliche Dimension dieser Wohnstatt wird durch ihre Öffnung nach oben symbolisiert, durch eine einzige Stelle, durch die das Licht eintritt, und das die Form eines Oberlichts mit Segmenten aufweist. So wird der Innenraum zu einer großen Sonnenuhr, in der Licht und Schatten aufeinanderfolgen und die Stunden des Tages und der Nacht markieren. Darin liegt eine schöne Lehre: Das Gefühl für den Lauf der Zeit kommt von oben, nicht aus dem bloßen Fluss der irdischen Tätigkeiten. Darüber hinaus erhellt der Strahl, der von oben eindringt, zu bestimmten Zeiten des Jahres den Hausaltar und erinnert an den Vorrang des geistlichen Lebens. Das menschliche Zusammenleben, das sich in diesem kreisförmigen Raum abspielt, wird so immer wieder auf seine vertikale Berufung, seine transzendente und geistliche Berufung zurückverwiesen.
Die versöhnte und wohllebende Menschheit, zu deren Förderung wir als Vertreter der verschiedenen Religionen beitragen, wird symbolisch durch dieses harmonische und für das Transzendente offene Miteinander dargestellt, in dem der Einsatz für Gerechtigkeit und Frieden in der Beziehung mit dem Göttlichen Inspiration und sein Fundament findet. Hierbei, liebe Schwestern und Brüder, ist unsere Verantwortung groß, besonders in dieser Stunde der Geschichte, denn unser Verhalten soll die Lehren, die wir bekennen, durch Taten bekräftigen; sie dürfen ihnen nicht widersprechen und so Anstoß erregen. Keine Vermengung, also, von Glaube und Gewalt, von Heiligkeit und Zwang, von Glaubensweg und Sektierertum. Möge die Erinnerung an das in der Vergangenheit erlittene Leid – ich denke insbesondere an die buddhistischen Gemeinschaften – uns die Kraft geben, dunkle Wunden in Lichtquellen zu verwandeln, die Dummheit der Gewalt in Lebensweisheit, das zerstörerische Böse in aufbauendes Gutes. So sei es für uns begeisterte Schüler unserer jeweiligen geistlichen Meister und gewissenhafte Diener ihrer Lehren, die wir bereit sind, denjenigen, die wir als freundliche Weggefährten begleiten, ihre Schönheit anzubieten. Dies ist wahr, denn in pluralistischen Gesellschaften, die an demokratische Werte glauben, wie die Mongolei, hat jede religiöse Institution, die von der staatlichen Autorität ordnungsgemäß anerkannt ist, die Pflicht und vor allem das Recht, das anzubieten, was sie ist und woran sie glaubt, mit Respekt vor dem Gewissen der Anderen und mit dem Ziel des größeren Wohls aller.
In diesem Sinne möchte ich euch versichern, dass die katholische Kirche diesen Weg gehen möchte und fest an den ökumenischen Dialog, an den interreligiösen Dialog und an den kulturellen Dialog glaubt. Ihr Glaube gründet sich auf den ewigen Dialog zwischen Gott und der Menschheit, der in der Person Jesu Christi verkörpert ist. Mit Demut und im Geist des Dienens, der das Leben des Meisters beseelte, der nicht in die Welt kam, »um sich dienen zu lassen, sondern um zu dienen« (Mk 10,45), bietet die Kirche heute den Schatz, den sie empfangen hat, allen Menschen und Kulturen an, wobei sie eine Haltung der Offenheit behält und auf das hört, was andere religiöse Traditionen zu geben haben. Der Dialog steht nämlich nicht im Widerspruch zur Verkündigung: Er ebnet die Unterschiede nicht ein, sondern hilft, sie zu verstehen, er bewahrt sie in ihrer Originalität und ermöglicht es, sich zur aufrichtigen und gegenseitigen Bereicherung auszutauschen. So kann man in der vom Himmel gesegneten Menschheit den Schlüssel für die Wege auf Erden wiederfinden. Brüder und Schwestern, wir haben einen gemeinsamen Ursprung, der allen die gleiche Würde verleiht, und wir haben einen gemeinsamen Weg, den wir nur zusammen gehen können, da wir unter ein und demselben Himmel wohnen, der uns umhüllt und erleuchtet.
Brüder und Schwestern, dass wir heute hier sind, ist ein Zeichen der Hoffnung. Hoffen ist möglich. In einer Welt, die von Streit und Zwietracht zerrissen ist, mag dies utopisch erscheinen; doch die größten Unternehmungen beginnen im Verborgenen, fast unmerklich. Der große Baum entsteht aus dem kleinen Samen, der in der Erde verborgen ist. Und wenn »der Duft der Blumen sich nur in die Richtung des Windes ausbreitet, so verbreitet sich der Duft derer, die tugendhaft leben, doch in alle Richtungen« (vgl. Das Dhammapada, Nr. 54). Lassen wir diese Gewissheit erblühen, dass unsere gemeinsamen Bemühungen miteinander zu sprechen und eine bessere Welt aufzubauen, nicht vergeblich sind. Nähren wir die Hoffnung. Wie ein Philosoph einst sagte: »Jeder war groß, gemäß dem, was er erhoffte. Einer war groß, weil er auf das Mögliche hoffte; ein Anderer, weil er auf das Ewige hoffte; aber derjenige, der auf das Unmögliche hoffte, war von allen am größten« (S.A. Kierkegaard, Timore e tremore, Mailand 2021, 16). Mögen die Gebete, die wir zum Himmel aufsteigen lassen, und die Geschwisterlichkeit, die wir auf der Erde leben, die Hoffnung nähren. Mögen sie das einfache und glaubwürdige Zeugnis unserer Religiosität sein, des gemeinsamen Unterwegsseins mit nach oben gerichtetem Blick, des harmonischen Zusammenlebens in der Welt – vergessen wir nicht das Wort „Harmonie“ – als Pilger, die dazu berufen sind, eine Atmosphäre zu bewahren, in der alle sich zu Hause fühlen können. Danke.
[01297-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
¡Buenos días a todos ustedes, queridos hermanos y hermanas!
Permítanme que me dirija a ustedes así, como un hermano en la fe de los creyentes en Cristo y como hermano de todos ustedes, en nombre de la común búsqueda religiosa y de la pertenencia a la misma humanidad. La humanidad, en su anhelo religioso, puede ser parangonada a una comunidad de peregrinos que camina en la tierra con la mirada puesta en el cielo. A este propósito, es significativo lo que un creyente, venido de lejos, afirmó de Mongolia, escribiendo que viajó por ella “sin ver nada más que el cielo y la tierra” (cf. Guillermo de Rubruquis, Viaje por el Imperio mongol, XIII/3). En efecto, el cielo de aquí, tan claro y tan azul como es, abraza esta tierra vasta e imponente, evocando las dos dimensiones fundamentales de la vida humana: la terrena, formada por las relaciones con los demás, y la celeste, constituida por la búsqueda del Otro, que nos trasciende. En definitiva, Mongolia nos recuerda la necesidad que tenemos todos nosotros, peregrinos y viajeros, de elevar la mirada hacia lo alto para encontrar la ruta del camino en la tierra.
Por eso me alegra estar con ustedes en este importante momento de encuentro. Agradezco vivamente a cada uno y cada una de ustedes por su presencia aquí y por las diferentes intervenciones que han enriquecido la reflexión común. El hecho de estar juntos en el mismo lugar ya es un mensaje. Las tradiciones religiosas, en su originalidad y diversidad, comportan un formidable potencial de bien al servicio de la sociedad. Si quien tiene la responsabilidad de las naciones eligiera el camino del encuentro y del diálogo con los demás, contribuiría sin duda de manera determinante a poner fin a los conflictos que siguen causando sufrimiento a tantos pueblos.
Quien nos ofrece hoy la oportunidad de estar juntos para conocernos y enriquecernos mutuamente es el amado pueblo mongol, que puede presumir de una historia de convivencia entre representantes de diversas tradiciones religiosas. Es hermoso recordar la virtuosa experiencia de la antigua capital imperial Karakórum, donde se albergaban lugares de culto pertenecientes a diferentes “credos”, que daban testimonio de una armonía admirable. Armonía: quisiera subrayar esta palabra de sabor típicamente asiático. Esta se refiere a la relación particular que se crea entre realidades diferentes, sin superponerlas ni homologarlas, sino respetando las diferencias y en beneficio de la convivencia. Me pregunto: ¿quién, con más razón que los creyentes, está llamado a trabajar por la armonía de todos?
Hermanos, hermanas, por el modo en que logremos la armonía con los demás peregrinos sobre la tierra y en la forma que consigamos transmitir armonía, allí donde vivimos, se mide el valor social de nuestra religiosidad. Cada vida humana, en efecto, y con mayor razón cada religión, tiene que “medirse” en base al altruismo; no a un altruismo abstracto, sino concreto, que se traduzca en la búsqueda del otro y en la colaboración generosa con el otro, porque «el sabio se regocija dando. Él alcanzará la felicidad en esta tierra» (El Dhammapada: El Sendero de la Realización Interior, Buenos Aires 2022, 80; cf. las palabras de Jesús referidas en Hch 20,35). Una oración, inspirada en san Francisco de Asís, recita: “Donde haya odio, que lleve yo el amor. Donde haya ofensa, que lleve yo el perdón. Donde haya discordia, que lleve yo la unión”. El altruismo construye armonía y donde hay armonía hay entendimiento, hay prosperidad, hay belleza. Más aún, armonía es quizás el sinónimo más apropiado de belleza. Por el contrario, la cerrazón, la imposición unilateral, el fundamentalismo y la coerción ideológica arruinan la fraternidad, alimentan tensiones y ponen en peligro la paz. La belleza de la vida es fruto de la armonía; es comunitaria, se acrecienta con la amabilidad, con la escucha y con la humildad. Y puede comprenderla el corazón puro, porque “la verdadera belleza, después de todo, reside en la pureza del corazón” (cf. M.K. Gandhi, Il mio credo, il mio pensiero, Roma 2019, 94).
Las religiones están llamadas a ofrecer al mundo esta armonía, que el progreso técnico por sí solo no puede dar, porque, apuntando sólo a la dimensión terrena y horizontal del hombre, corre el riesgo de olvidar el cielo para el cual hemos sido creados. Hermanas y hermanos, hoy estamos aquí juntos como humildes herederos de antiguas escuelas de sabiduría. Al reunirnos hoy, nos comprometemos a compartir todo ese bien que hemos recibido, para enriquecer a una humanidad que, en su caminar, a menudo se encuentra desorientada por miopes búsquedas de lucro y bienestar; y a menudo también es incapaz de volver a encontrar el hilo conductor. Volviendo así su mirada sólo a intereses terrenos, acaba arruinando la misma tierra, confundiendo el progreso con el retroceso, como lo muestran tantas injusticias, tantos conflictos, tantas devastaciones ambientales, tantas persecuciones, tanto descarte de la vida humana.
Asia tiene muchísimo que ofrecer en ese sentido, y Mongolia, que se encuentra en el corazón de este continente, custodia un gran patrimonio de sabiduría, que las religiones que aquí se difundieron han contribuido a crear, y que quisiera invitar a todos a redescubrir y valorar. Me limito a citar, aunque sin profundizarlos, diez aspectos de este patrimonio sapiencial. Diez aspectos: la buena relación con la tradición, no obstante las tentaciones del consumismo; el respeto por los ancianos y los antepasados. ¡Cuánta necesidad tenemos de una alianza generacional entre ellos y los más jóvenes, de dialogo entre los abuelos y los nietos! Y, además, el cuidado por el ambiente, nuestra casa común, otra necesidad tremendamente actual. Estamos en peligro. Y también el valor del silencio y de la vida interior, antídoto espiritual para tantos males del mundo actual. Por tanto, un sano sentido de frugalidad; el valor de la acogida; la capacidad de resistir al apego a las cosas; la solidaridad, que nace de la cultura de los vínculos entre las personas; el aprecio por la sencillez. Y, por último, un cierto pragmatismo existencial, que tiende a buscar con tenacidad el bien del individuo y de la comunidad. Estos diez son algunos elementos del patrimonio de sabiduría que este país puede ofrecer al mundo.
A propósito de sus costumbres, he hablado ya de cómo, al prepararme para este viaje, me han fascinado las viviendas tradicionales con las que el pueblo mongol revela una sabiduría sedimentada a través de milenios de historia. La ger constituye, en efecto, un espacio humano. En su interior se desarrolla la vida de la familia, es lugar de convivencia amistosa, de encuentro y de diálogo en el que, aun cuando ya fuesen muchos, se sabe hacer espacio para alguien más. Y, además, es un punto de referencia concreto, fácilmente identificable en las inmensas extensiones del territorio mongol; es también motivo de esperanza para el que ha perdido el camino. Si hay una ger, hay vida. Se la encuentra siempre abierta, preparada para acoger al amigo, pero también al viajero e incluso al extranjero, para ofrecerles un té caliente que permita recobrar fuerzas en el frío invierno o una fresca leche fermentada que alivie las calurosas jornadas veraniegas. Esta es también la experiencia de los misioneros católicos, provenientes de otros países, que aquí son recibidos como peregrinos y huéspedes, y que entran con prudente tacto en este mundo cultural para ofrecer el humilde testimonio del Evangelio de Jesucristo.
Aún más, junto al espacio humano, la ger evoca la esencial apertura a lo divino. La dimensión espiritual de esta morada está representada por su apertura hacia lo alto, en donde se encuentra un solo punto desde el que entra la luz, formado por una claraboya segmentada. De ese modo, el interior se vuelve un gran reloj solar, donde se suceden luces y sombras, marcando las horas del día y de la noche. Hay una hermosa enseñanza en este aspecto: el sentido del tiempo que pasa proviene de lo alto, no del mero devenir de las actividades terrenas. Además, en ciertos momentos del año, el rayo que penetra de lo alto ilumina el altar familiar, recordando el primado de la vida espiritual. De esa manera, la convivencia humana que se realiza en el espacio circular remite constantemente a su vocación vertical, a su vocación trascendente, y espiritual.
La humanidad reconciliada y próspera, que como representantes de diferentes religiones ayudamos a promover, está representada simbólicamente por ese estar juntos, armonioso y abierto a lo trascendente, donde el compromiso por la justicia y la paz encuentran su inspiración y su fundamento en la relación con lo divino. Aquí, queridos hermanas y hermanos, nuestra responsabilidad es grande, especialmente en esta hora de la historia, porque nuestro comportamiento está llamado a confirmar con obras las enseñanzas que profesamos; de tal modo que no puede contradecirlas, convirtiéndose en motivo de escándalo. Que no haya, por tanto, ninguna confusión entre credo y violencia, entre sacralidad e imposición, entre camino religioso y sectarismo. Que la memoria de los sufrimientos padecidos en el pasado —pienso sobre todo en las comunidades budistas— nos dé la fuerza para transformar las heridas sombrías en fuentes de luz, la ignorancia de la violencia en sabiduría de vida, el mal que arruina en bien que construye. Que así sea para nosotros, discípulos entusiastas de los respectivos maestros espirituales y servidores conscientes de sus enseñanzas, dispuestos a ofrecer su belleza a cuantos acompañamos, como amigables compañeros de camino. Ojalá esto se cumpla, porque en las sociedades pluralistas que creen en los valores democráticos, como Mongolia, cada institución religiosa, reconocida normativamente por la autoridad civil, tiene el deber y, en primer lugar, el derecho de ofrecer aquello que es y aquello que cree, respetando la conciencia de los otros y teniendo como fin el mayor bien de todos.
En ese sentido, quiero confirmarles que la Iglesia católica desea caminar así, creyendo firmemente en el diálogo ecuménico, en el dialogo interreligioso y en el dialogo cultural. Su fe se funda en el diálogo eterno entre Dios y la humanidad, encarnado en la persona de Jesucristo. Con humildad y con el espíritu de servicio que animó la vida del Maestro, que no vino al mundo «para ser servido, sino para servir» (Mc 10,45), la Iglesia ofrece hoy a cada persona y cultura el tesoro que ha recibido, permaneciendo en actitud de apertura y escucha de cuanto las otras tradiciones religiosas tienen para ofrecer. El diálogo, en efecto, no es antitético al anuncio; porque no elimina las diferencias, sino que ayuda a comprenderlas, las preserva en su originalidad y las hace capaces de confrontarse en pos de un enriquecimiento franco y recíproco. Así, en la humanidad bendecida por el Cielo, se puede encontrar la clave para caminar en la tierra. Hermanos y hermanas, tenemos un origen común, que confiere la misma dignidad a todos, y tenemos un camino compartido, que sólo podemos recorrer juntos, viviendo bajo el mismo cielo que nos cobija y nos ilumina.
Hermanos y hermanas, encontrarnos hoy aquí es un signo de que esperar es posible. Esperar es posible. En un mundo lastimado por luchas y discordias, eso podría parecer utópico; sin embargo, los proyectos más grandes comienzan en lo escondido, con dimensiones casi imperceptibles. El gran árbol nace de la semilla pequeña, oculta bajo la tierra. Y “el perfume de las flores no viaja contra el viento, pero sí lo hace la fragancia de la virtud. Quien es virtuoso perfuma todas las regiones de la tierra con su bondad” (cf. El Dhammapada, 40). Hagamos florecer esta certeza, porque nuestro esfuerzo común para dialogar y construir un mundo mejor no son vanos. Cultivemos la esperanza. Como dijo un filósofo: «Cada cual fue grande según el objeto de su esperanza: uno fue grande en la que atiende a lo posible; otro en la de las cosas eternas; pero el más grande de todos fue quien esperó lo imposible» (S.A. Kierkegaard, Temor y temblor, Buenos Aires 1958, 12). Que las oraciones que elevamos al cielo y la fraternidad que vivimos en la tierra alimenten la esperanza; que sean el testimonio sencillo y creíble de nuestra religiosidad, de nuestro caminar juntos con la mirada elevada hacia lo alto, de nuestro habitar este mundo en armonía —no olvidemos la palabra “armonía”—, como peregrinos llamados a proteger el ambiente hogareño, para todos. Gracias.
[01297-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Bom dia a todos vós, queridos irmãos e irmãs!
Permiti que vos trate assim enquanto irmão na fé, relativamente aos crentes em Cristo, e irmão de vós todos em nome da busca religiosa que nos irmana e da pertença à mesma humanidade. Esta, no seu anseio religioso, pode ser comparada a uma comunidade de viandantes que caminha na terra com o olhar voltado para o céu. A propósito, é significativo aquilo que um crente, vindo de longe, afirmou da Mongólia, ou seja, que viajou lá «sem nada mais ver senão céu e terra» (Guilherme de Rubruck, Viagem na Mongólia, XIII/3, Milão 2014, 63). De facto, aqui, este céu tão límpido, tão azul, abraça a terra vasta e imponente, evocando as duas dimensões fundamentais da vida humana: a terrena, feita de relações com os outros, e a celeste, feita de busca do Outro, que nos transcende. Em suma, a Mongólia recorda a todos nós, peregrinos e viandantes, a necessidade de olhar para o alto a fim de encontrar a rota do caminho na terra.
Por isso estou feliz por estar convosco neste importante momento de encontro. Agradeço vivamente a cada um e cada uma pela presença e pelas várias intervenções que enriqueceram a reflexão comum. O próprio facto de estarmos juntos no mesmo lugar já é uma mensagem: as tradições religiosas, na sua originalidade e diversidade, constituem um formidável potencial de bem ao serviço da sociedade. Se quem possui a responsabilidade das nações escolhesse o caminho do encontro e do diálogo com os outros, contribuiria certamente de forma decisiva para acabar com os conflitos que continuam a causar sofrimento a tantos povos.
Esta ocasião de nos juntar para nos conhecermos e enriquecermos mutuamente é-nos proporcionada pelo amado povo mongol, que se pode gloriar duma história de convivência entre expoentes de várias tradições religiosas. É bom recordar a virtuosa experiência da antiga capital imperial de Kharakorum, dentro da qual se encontravam lugares de culto pertencentes a diferentes “credos”, testemunhando uma louvável harmonia. Harmonia: quero sublinhar esta palavra de sabor tipicamente asiático. Trata-se daquela relação particular que se cria entre realidades diversas, sem as sobrepor nem homogeneizar, mas no respeito pelas diferenças e em benefício da convivência. Pergunto-me: Quem, mais do que os crentes, é chamado a trabalhar pela harmonia de todos?
Irmãos, irmãs, a valência social da nossa religiosidade mede-se pela harmonia que conseguimos criar com os outros peregrinos na terra e pelo modo como a difundimos onde vivemos. Com efeito toda a vida humana, e por maior força de razão toda a religião, deve-se medir com base no altruísmo: não um altruísmo abstrato, mas concreto que se traduz na procura do outro e na generosa colaboração com o outro, porque «o homem sábio alegra-se em dar, e só isso o torna feliz» (O Dhammapada: O Caminho da Sabedoria de Buda, Sri Lanka 1985, n.º 177. Vejam-se as palavras de Jesus referidas em At 20, 35). Assim se expressa uma oração, inspirada em Francisco de Assis: «Onde houver ódio, que eu leve o amor, onde houver ofensa, que eu leve o perdão, onde houver discórdia, que eu leve a união». O altruísmo constrói harmonia e, onde houver harmonia, há compreensão, há prosperidade, há beleza. Na realidade, harmonia é talvez o sinónimo mais apropriado de beleza. Ao contrário, o fechamento, a imposição unilateral, o fundamentalismo e o forçamento ideológico arruínam a fraternidade, alimentam tensões e põem em risco a paz. A beleza da vida é fruto da harmonia: é comunitária, cresce com a gentileza, a escuta e a humildade. E é o coração puro que a capta, pois «a verdadeira beleza, afinal, está na pureza do coração» (M. K. Gandhi, O meu Credo, o meu Pensamento, Roma 2019, 94).
As religiões são chamadas a oferecer ao mundo esta harmonia, que o progresso técnico, por si só, não pode dar, pois, ao visar a dimensão terrena e horizontal do homem, corre o risco de esquecer o céu, para o qual fomos feitos. Hoje, irmãs e irmãos, estamos aqui juntos como humildes herdeiros de antigas escolas de sabedoria. Quando nos encontramos, comprometemo-nos a partilhar o muito bem que recebemos, para enriquecer uma humanidade que frequentemente, no seu caminho, é desorientada por buscas míopes de lucro e bem-estar. Muitas vezes mostra-se incapaz de encontrar a linha justa: voltada apenas para os interesses terrenos, acaba por arruinar a própria terra, confundindo o progresso com o retrocesso, como mostram tantas injustiças, tantos conflitos, tantas devastações ambientais, tantas perseguições, tanta rejeição da vida humana.
A Ásia tem muito para nos oferecer neste sentido e a Mongólia, que está no coração do continente, guarda um grande património de sabedoria, que as religiões aqui difundidas contribuíram para criar e, a todos, convido a descobrir e valorizar. Não podendo aqui aprofundá-los, limito-me a citar dez aspetos deste património sapiencial. Dez aspetos: o bom relacionamento com a tradição, não obstante as tentações do consumismo; o respeito pelos idosos e os antepassados (como precisamos hoje de uma aliança geracional entre eles e os mais novos, de diálogo entre avós e netos!). Depois, o cuidado pelo meio ambiente, a nossa casa comum (outra necessidade tremendamente atual: estamos em perigo!). E também o valor do silêncio e da vida interior, antídoto espiritual para tantas mazelas do mundo hodierno. Em seguida, um sentido sadio de frugalidade; o valor do acolhimento; a capacidade de contrastar o apego às coisas; a solidariedade, que nasce da cultura dos vínculos entre as pessoas; o apreço pela simplicidade. E, por fim, um certo pragmatismo existencial, que tende a procurar tenazmente o bem do indivíduo e da comunidade. Estes dez aspetos são alguns elementos do património de sabedoria que este país pode oferecer ao mundo.
A respeito dos vossos costumes, já aludi ao facto de, ao preparar-me para esta viagem, ter ficado fascinado pelas habitações tradicionais nas quais o povo mongol revela uma sabedoria que se foi sedimentando ao longo de milénios de história. De facto, a ger constitui um espaço humano: dentro dela se desenrola a vida familiar; é lugar de convívio amistoso, de encontro e de diálogo onde, mesmo quando são muitos, sempre se consegue arranjar espaço para mais um. Além disso, é um ponto de referência concreto, facilmente identificável nas imensas extensões do território mongol; é motivo de esperança para quem se extraviou: se existe uma ger, há vida. Encontramo-la sempre aberta, pronta a acolher o amigo, mas também o viandante e até o estrangeiro, para lhe oferecer um chá ainda fumegante que faz voltar as forças no frio do inverno ou um leite fresco fermentado que dessedenta nos dias quentes de verão. Assim o experimentaram também os missionários católicos, vindos doutros países, que aqui são acolhidos como peregrinos e hóspedes, e entram em ponta de pés neste mundo cultural, para oferecer o testemunho humilde do Evangelho de Jesus Cristo.
Mas, a par do espaço humano, a ger evoca a essencial abertura ao divino. A dimensão espiritual desta habitação é representada pela sua abertura para o alto, com um único ponto por onde entra a luz, em forma de claraboia aos gomos. Assim, o interior torna-se um grande relógio de sol, no qual se sucedem luz e sombra, marcando as horas do dia e da noite. Encerra-se aqui um ensinamento interessante: o sentido do tempo que passa provém, não do mero fluir das atividades terrenas, mas do alto. Além disso, em certos momentos do ano, o raio que penetra do alto ilumina o altar doméstico, lembrando a primazia da vida espiritual. Assim, a convivência humana que tem lugar no espaço circular é constantemente referida à sua vocação vertical, à sua vocação transcendente e espiritual.
A humanidade reconciliada e próspera que, como expoentes de várias religiões, contribuímos a promover é simbolicamente representada por este conviver harmonioso e aberto ao transcendente, no qual o empenho em prol da justiça e da paz encontram inspiração e fundamento na relação com o divino. Grande é aqui, queridos irmãos e irmãs, a nossa responsabilidade, especialmente nesta hora da história, porque o nosso comportamento é chamado a confirmar nos factos os ensinamentos que professamos; não os pode contradizer, tornando-se motivo de escândalo. Nenhuma confusão, portanto, entre credo e violência, entre sacralidade e imposição, entre percurso religioso e sectarismo. Que a memória dos sofrimentos vividos no passado – penso sobretudo nas comunidades budistas – nos dê a força de transformar as negras feridas em fontes de luz, a insensatez da violência em sabedoria de vida, o mal que arruína em bem que constrói. Assim se cumpra em nós, discípulos entusiastas dos respetivos mestres espirituais e servidores conscienciosos dos seus ensinamentos, dispostos a oferecer a sua beleza a quantos acompanhamos, como companheiros amigos de viagem. Que assim seja, porque em sociedades pluralistas que acreditam nos valores democráticos, como a Mongólia, toda a instituição religiosa, reconhecida regularmente pela autoridade civil, tem o dever e, antes ainda, o direito de oferecer aquilo que é e aquilo que crê, no respeito pela consciência alheia e visando o maior bem de todos.
Neste sentido, quero confirmar-vos que a Igreja católica deseja caminhar assim, crendo firmemente no diálogo ecuménico, no diálogo inter-religioso e no diálogo cultural. A sua fé funda-se no diálogo eterno entre Deus e a humanidade, que encarnou na pessoa de Jesus Cristo. Com humildade e no espírito de serviço que animou a vida do Mestre, o Qual não veio ao mundo para ser servido, mas para servir (cf. Mc 10, 45), a Igreja oferece hoje a cada pessoa e cultura o tesouro que recebeu, permanecendo em atitude de abertura e escuta a quanto têm para oferecer as outras tradições religiosas. Com efeito, o diálogo não se contrapõe ao anúncio: não nivela as diferenças, mas ajuda a compreendê-las, preserva-as na sua originalidade e permite-lhes confrontar-se para um franco e mútuo enriquecimento. Assim, a chave para caminhar na terra pode-se encontrar na humanidade abençoada pelo Céu. Irmãos e irmãs, temos uma origem comum, que confere a todos a mesma dignidade, e temos um caminho compartilhado, que só podemos percorrer juntos, habitando sob o mesmo céu que nos envolve e ilumina.
Irmãos e irmãs, o facto de nos encontrarmos aqui hoje é sinal de que é possível ter esperança. Esperar é possível. Num mundo dilacerado por lutas e discórdias, isto poderia parecer utópico; entretanto, as maiores empresas começam no escondimento, com dimensões quase impercetíveis. A grande árvore nasce da semente pequenina, escondida na terra. E, se «a fragrância das flores se espalha apenas na direção do vento, o perfume de quem vive de acordo com a virtude espalha-se em todas as direções» (O Dhammapada, n.º 54). Façamos florescer a certeza de que não são vãos os nossos esforços comuns para dialogar e construir um mundo melhor. Cultivemos a esperança. Como disse um filósofo: «Cada um foi grande segundo aquilo esperava. Um foi grande esperando o possível; outro esperando o eterno; mas quem esperou o impossível foi o maior de todos» (S. A. Kierkegaard, Temor e tremor, Milão 2021, 16). Que as orações que elevamos ao céu e a fraternidade que vivemos na terra nutram a esperança; sejam o testemunho simples e credível da nossa religiosidade, do caminhar juntos com o olhar voltado para o alto, de habitar o mundo em harmonia – não esqueçamos a palavra “harmonia” – como peregrinos chamados a guardar a atmosfera de casa, para todos. Obrigado!
[01297-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Dzień dobry wam wszystkim, drodzy bracia i siostry!
Pozwólcie mi, że zwrócę się do was w ten sposób, jako brat w wierze dla wierzących w Chrystusa i jako brat was wszystkich, w imię wspólnych poszukiwań religijnych i przynależności do tej samej rodziny ludzkiej. Ludzkość w jej religijnej tęsknocie można porównać do wspólnoty wędrowców przemierzających ziemię ze wzrokiem zwróconym ku niebu. Znamienne w tym względzie jest to, co o Mongolii powiedział pewien wierzący człowiek, który przybył z daleka, pisząc, że podróżował tam „nie widząc nic poza niebem i ziemią” (Wilhelm z Rubruk, Opis podróży, przeł. Mikołaj Olszewski, XIII/3, Kęty 2007, 63). Niebo, tak przejrzyste, tak błękitne, faktycznie obejmuje tutaj ziemię rozległą i imponującą, przywołując dwa podstawowe wymiary ludzkiego życia: ziemski, który tworzą relacje z innymi i niebiański, stanowiący poszukiwanie Innego, który nas przekracza. Krótko mówiąc, Mongolia przypomina nam wszystkim o potrzebie, jako pielgrzymów i wędrowców, wzniesienia spojrzenia w górę, żeby odnaleźć kurs naszej drogi na ziemi.
Dlatego cieszę się, że mogę być z wami na tym ważnym spotkaniu. Serdecznie dziękuję każdemu z was za obecność i za każde wystąpienie, które wzbogaciło naszą wspólną refleksję. Już sam fakt, że jesteśmy razem w tym samym miejscu, jest przesłaniem: tradycje religijne, w swojej oryginalności i różnorodności, stanowią ogromny potencjał dobra w służbie społeczeństwu. Gdyby ci, którzy rządzą narodami, wybrali drogę spotkania i dialogu z innymi, wnieśliby z pewnością w decydujący sposób wkład w zakończenie konfliktów, które nadal przynoszą cierpienie tak wielu narodom.
Okazję do tego spotkania w celu wzajemnego poznania i ubogacenia stwarza nam umiłowany naród mongolski. Może się on poszczycić historią współistnienia przedstawicieli różnych tradycji religijnych. Warto przypomnieć pozytywne doświadczenie starożytnej stolicy cesarskiej Karakorum, w której znajdowały się miejsca kultu należące do różnych religii, świadczące o harmonii godnej pochwały. Harmonia: chciałbym podkreślić to słowo z posmakiem typowo azjatyckim. Jest to szczególna relacja, która powstaje między różnymi rzeczywistościami, bez nakładania się i homologii, ale z poszanowaniem różnic i z korzyścią dla życia wspólnego. Stawiam sobie pytanie: kto bardziej niż ludzie wierzący jest powołany do pracy na rzecz harmonii wszystkich?
Bracia, siostry, zależnie od tego, jak dobrze udaje nam się harmonizować z innymi pielgrzymami na ziemi i jak dobrze udaje nam się szerzyć harmonię tam, gdzie żyjemy, mierzy się społeczna wartość naszej religijności. Każde ludzkie życie, a tym bardziej każdą religię musi się bowiem „mierzyć” na podstawie altruizmu: nie abstrakcyjnego altruizmu, ale konkretnego altruizmu, który przekłada się na poszukiwanie drugiego i szczodrą współpracę z drugim, ponieważ „mądry człowiek raduje się z dawania i jedynie z tego powodu staje się szczęśliwy” [„the wise man rejoices in giving, and by that alone does he become happy”] (The Dhammapada: The Buddha’s Path of Wisdom, Sri Lanka 1985, n. 177; por. Dz 20, 35). Modlitwa zainspirowana przez Franciszka z Asyżu brzmi: „abyśmy siali miłość, tam gdzie panuje nienawiść; wybaczenie, tam gdzie panuje krzywda; jedność, tam gdzie panuje rozłam”. Altruizm buduje harmonię, a tam, gdzie jest harmonia, jest zrozumienie, dobrobyt, piękno. Co więcej, harmonia jest być może najbardziej odpowiednim synonimem piękna. Natomiast zamknięcie, jednostronne narzucanie, fundamentalizm i przymus ideologiczny rujnują braterstwo, podsycają napięcia i podważają pokój. Piękno życia jest owocem harmonii: jest wspólnotowe, wzrasta wraz z życzliwością, słuchaniem i pokorą. I to czyste serce je chwyta, ponieważ „prawdziwe piękno tkwi w czystości serca” (M.K. Gandhi, Il mio credo, il mio pensiero, Roma 2019, 94).
Religie są powołane do zaoferowania światu tej harmonii, której nie może dać sam postęp techniczny, ponieważ zmierzając do ziemskiego, horyzontalnego wymiaru człowieka, grozi mu zapomnienie o niebie, dla którego zostaliśmy stworzeni. Siostry i bracia, jesteśmy tu dzisiaj razem jako pokorni spadkobiercy starożytnych szkół mądrości. Spotykając się, jesteśmy zobowiązani do dzielenia się dobrem, jakie otrzymaliśmy, aby ubogacić ludzkość, która w swojej wędrówce jest często zdezorientowana krótkowzroczną pogonią za zyskiem i dobrobytem. Często nie potrafi ona znaleźć wątku: zwrócona jedynie ku korzyściom doczesnym, w końcu rujnuje samą ziemię, myląc postęp z regresem, jak pokazują liczne niesprawiedliwości, konflikty, dewastacje środowiska, prześladowania, które niszczą ludzkie życie.
Azja ma w tej dziedzinie najwięcej do zaoferowania, a Mongolia, która leży w sercu tego kontynentu, strzeże wielkiego dziedzictwa mądrości, do którego powstania przyczyniły się rozpowszechnione tu religie; i chciałbym zaprosić wszystkich, aby go odkryć i docenić. Ograniczę się do wymienienia, nie wchodząc w szczegóły, dziesięciu aspektów tego dziedzictwa mądrościowego. Dziesięć aspektów: dobra relacja z tradycją, pomimo pokus konsumpcjonizmu; szacunek dla starszych i przodków – jak bardzo potrzebujemy dziś przymierza pokoleniowego między nimi a najmłodszymi, dialogu między dziadkami i wnukami! A potem troska o środowisko, nasz wspólny dom, kolejna potrzeba niezwykle aktualna: jesteśmy w niebezpieczeństwie. I ponadto: wartość milczenia i życia wewnętrznego, duchowego antidotum na tak wiele bolączek dzisiejszego świata. Następnie: zdrowe poczucie oszczędności; wartość gościnności; zdolność opierania się przywiązaniu do rzeczy; solidarność, która wynika z kultury więzi międzyludzkich; uznanie dla prostoty. I wreszcie, pewien pragmatyzm egzystencjalny, zmierzający do wytrwałego poszukiwania dobra jednostki i społeczności. Te dziesięć aspektów, to niektóre elementy dziedzictwa mądrości, które ten kraj może zaoferować światu.
A odnośnie waszych zwyczajów, jak już mówiłem, przygotowując się do tej podróży, byłem zafascynowany tradycyjnymi domami, poprzez które lud mongolski ujawnia mądrość osadzoną w tysiącleciach historii. Jurta stanowi bowiem ludzką przestrzeń: w niej toczy się życie rodziny, jest miejscem przyjaznego współistnienia, spotkań i dialogu, gdzie nawet gdy jest wielu, wiadomo, jak zrobić miejsce dla kogoś innego. Jest to również konkretny punkt odniesienia, łatwy do zidentyfikowania na rozległych obszarach terytorium Mongolii; jest to powód do nadziei dla tych, którzy zgubili drogę: jeśli jest jurta, to jest życie. Jest zawsze otwarta, gotowa na przyjęcie przyjaciela, ale także podróżnika, a nawet cudzoziemca, aby zaoferować mu parującą herbatę, która pozwala odzyskać siły w chłodzie zimy lub świeże zsiadłe mleko, które daje orzeźwienie w upalne letnie dni. Jest to również doświadczenie katolickich misjonarzy z innych krajów, którzy są tu przyjmowani jako pielgrzymi i goście, i wkraczają w ten świat kulturowy, by dawać pokorne świadectwo Ewangelii Jezusa Chrystusa.
Ale oprócz przestrzeni ludzkiej, jurta przywołuje zasadniczą otwartość na boskość. Duchowy wymiar tego mieszkania jest reprezentowany przez jego otwarcie ku górze, z jednym punktem, z którego wpada światło, w postaci świetlika pasmowego. W ten sposób wnętrze staje się wielkim zegarem słonecznym, w którym światło i cień gonią się nawzajem, wyznaczając godziny dnia i nocy. Jest w tym piękna lekcja: poczucie upływającego czasu pochodzi z góry, a nie ze zwykłego upływu działalności doczesnej. W pewnych okresach roku promień przenikający z góry oświetla domowy ołtarz, przypominając o prymacie życia duchowego. Ludzka koegzystencja, która ma miejsce w okrągłej przestrzeni, jest w ten sposób stale odsyłana do jej powołania wertykalnego, do jej powołania transcendentnego i duchowego.
Pojednana i zamożna ludzkość, którą jako przedstawiciele różnych religii wspieramy i promujemy, jest symbolicznie reprezentowana przez to harmonijne bycie razem, otwarte na transcendencję, w której zaangażowanie na rzecz sprawiedliwości i pokoju znajduje inspirację i fundament w relacji z boskością. Tutaj, drodzy siostry i bracia, wielka jest nasza odpowiedzialność, zwłaszcza w tej godzinie dziejów, ponieważ nasze zachowanie ma potwierdzać w czynach nauki, które wyznajemy; nie może im zaprzeczać, stając się przyczyną zgorszenia. Nie można zatem mylić wiary z przemocą, sakralności z narzucaniem, życia religijnego z sekciarstwem. Niech pamięć o cierpieniach znoszonych w przeszłości – myślę zwłaszcza o wspólnotach buddyjskich – daje siłę do przekształcania mrocznych ran w źródła światła, głupoty przemocy w mądrość życia, zła, które rujnuje, w dobro, które buduje. Oby tak było z nami, entuzjastycznymi uczniami naszych poszczególnych duchowych mistrzów i rzetelnymi sługami ich nauk, gotowymi ofiarować ich piękno tym, którym towarzyszymy, jako życzliwi towarzysze drogi. To jest prawdą, ponieważ w społeczeństwach pluralistycznych, które wierzą w wartości demokratyczne, takie jak Mongolia, każda instytucja religijna, należycie uznana przez władze cywilne, ma obowiązek, a przede wszystkim prawo do oferowania tego, czym jest i w co wierzy, z szacunkiem dla sumienia innych i mając na celu większe dobro wszystkich.
W związku z tym ja chciałbym potwierdzić, że Kościół katolicki chce iść tą drogą, mocno wierząc w dialog ekumeniczny, w dialog międzyreligijny i w dialog kulturowy. Jego wiara opiera się na odwiecznym dialogu między Bogiem a ludzkością, wcielonym w osobę Jezusa Chrystusa. Z pokorą i w duchu służby, który ożywiał życie Nauczyciela, który przyszedł na świat nie po to, „aby Mu służono, lecz żeby służyć” (Mk 10, 45), Kościół ofiarowuje dzisiaj otrzymany skarb każdej osobie i każdej kulturze, pozostając w postawie otwartości i wsłuchując się w to, co mają do zaoferowania inne tradycje religijne. Dialog nie jest bowiem sprzeczny z przepowiadaniem: nie niweluje różnic, lecz pomaga je zrozumieć, zachowuje je w ich oryginalności i umożliwia ich konfrontację w celu szczerego i wzajemnego ubogacenia. W ten sposób można odnaleźć w ludzkości pobłogosławionej przez Niebo klucz do kroczenia po ziemi. Bracia i siostry, mamy wspólne pochodzenie, które przyznaje nam wszystkim tę samą godność, i wspólną drogę, którą możemy przebyć tylko razem, mieszkając pod tym samym niebem, które nas otacza i oświetla.
Bracia i siostry, nasze dzisiejsze spotkanie tutaj jest znakiem, że nadzieja jest możliwa. Nadzieja jest możliwa. W świecie rozdartym przez walki i niezgodę może się to wydawać utopią. A jednak największe przedsięwzięcia zaczynają się w ukryciu, w wymiarach prawie niezauważalnych. Wielkie drzewo rodzi się z małego nasionka ukrytego w ziemi. I jeśli „zapach kwiatów rozprzestrzenia się tylko z wiatrem, to aromat tego, który żyje według cnót, szerzy się we wszystkich kierunkach” (por. Dhammapada, n. 54). Sprawmy, aby ta pewność rozkwitła, aby nasze wspólne wysiłki na rzecz dialogu i budowania lepszego świata nie poszły na marne. Pielęgnujmy nadzieję. Jak powiedział kiedyś pewien filozof: „Każdy stał się wielki w zależności od tego, czego oczekiwał. Jeden stał się wielki, gdyż oczekiwał rzeczy możliwych; inny – gdyż oczekiwał rzeczy wiecznych, ale ten, co oczekiwał rzeczy niemożliwych, stał się większy nad innych” (S.A. Kierkegaard, Bojaźń i drżenie, tłum. Jarosław Iwaszkiewicz, Warszawa 1982, s. 14). Niech modlitwy, które wznosimy do nieba i braterstwo, którym żyjemy na ziemi, karmią nadzieję; niech będą prostym i wiarygodnym świadectwem naszej religijności, wspólnego kroczenia ze wzrokiem skierowanym ku górze, harmonijnego zamieszkiwania świata – nie zapominajmy słowa „harmonijnego”, jako pielgrzymi powołani do strzeżenia atmosfery domu dla wszystkich. Dziękuję.
[01297-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
الزيارة الرّسوليّة إلى منغوليا
كلمة قداسة البابا فرنسيس
في اللقاء المسكونيّ وبين الأديان في ”مسرح الهُون“ (Hun Theatre) في أُولانْباتار
الأحد 3 أيلول/سبتمبر 2023
صباح الخير لكم جميعًا أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء!
اسمحوا لي أن أتوجّه إليكم، كأخ في الإيمان مع المؤمنين بالمسيح وكأخ لكم جميعًا، باسم السّعي الدّيني المشترك والانتماء إلى البشريّة الواحدة. البشريّة في تَوقِها الدّيني، يمكن تشبيهها بجماعة من المسافرين الذين يسيرون على الأرض ونظرهم مُتجّه إلى السّماء. هذا ما قاله عن منغوليا مؤمن جاء من بعيد، كتب أنّه سافر فيها "وهو لا يرى شيئًا إلّا السّماء والأرض" (Guglielmo di Rubruk, Viaggio in Mongolia, XIII/3, Milano 2014, 63). السّماء، الصّافية الزرقاء هنا، في الواقع، تعانق الأرض الشّاسعة والرّائعة، وتذكّرنا ببعدَين أساسيَّين للحياة البشريّة: البعد الأرضيّ، ويتكوَّن بالعلاقات مع الآخرين، والبعد السّماويّ، وهو البحث عن ”الآخر“ الأسمى، الذي يعلو فوق إدراكنا. باختصار، منغوليا تذكّرنا باحتياجنا جميعًا، حجّاجًا ومسافرين، إلى النّظر إلى العُلى لنجد طريق مسيرتنا على الأرض.
لذلك يسعدني أن أكون معكم في هذه اللحظة المهمّة من اللقاء. أتقدّم بخالص الشّكر لكلّ واحد وواحدة على حضوره وعلى كلّ مداخلة أغنت التّفكير المشترك. أن نكون معًا في نفس المكان هو بحد ذاته رسالة: التّقاليد الدّينيّة، في أصالتها وتنوّعها، إنّما هي طاقة هائلة للخير في خدمة المجتمع. لو اختار أصحاب المسؤوليّة في الأمم، طريق اللقاء والحوار مع الآخرين، لساهموا بالتّأكيد وبطريقة حاسمة في إنّهاء الصّراعات التي لا تزال تسبّب الآلام للشّعوب الكثيرة.
الشّعب المنغولي الحبيب يمنحنا الفرصة لنكون معًا للتعرّف بعضنا على بعض ولإثراء بعضنا البعض، وهو يمكنه أن يفتخر بتاريخ من العيش معًا بين مؤمنين من مختلف التّقاليد الدّينيّة. جميل أن نتذكّر الخبرة القيّمة لعاصمة الإمبراطورية القدّيمة قراقورم (Kharakorum)، حيث كانت توجد بداخلها أماكن عبادة لديانات مختلفة، وتشهد على انسجام حميد بينها. الانسجام: أودّ التّأكيد على هذه الكلمة التي لها نكهة آسيويّة خاصّة. إنّه العلاقة الخاصّة التي تنشأ بين أمور مختلفة، دون سيطرة بعضها على بعض، ودون التّسوية بينها حتّى تزول الهوية الخاصّة بكلّ واحد، بل تحترم الاختلافات وذلك لصالح الحياة المشتركة. وأتساءل: من هو المدعوّ، أكثر من المؤمنين، إلى العمل من أجل الانسجام بين الجميع؟
أيّها الإخوة والأخوات، يمكن قياس القيمة الاجتماعيّة لتدّيننا بمدى نجاحنا في أن ننسجم معًا مع الحجّاج الآخرين على الأرض، وإلى أيّ مدى ننجح في نشر الانسجام في المكان الذي نعيش فيه. في الواقع، كلّ حياة بشريّة، وبحجّة أولى كلّ ديانة، مطلوب منها أن ”تقيس نفسها“ على أساس العلاقة مع الآخر: ليس علاقة نظريّة، بل عمليّة، والتي تظهر في البحث عن الآخر وفي التّعاون السّخي معه، لأنّ "الإنسان الحكيم يفرح بالعطاء، وبهذا فقط يصير سعيدًا" (The Dhammapada: The Buddha’s Path of Wisdom, Sri Lanka 1985, n. 177; cfr le parole di Gesù riferite in At 20,35). تقول صلاة مستوحاة من فرنسيس الأسيزي: "حيثما وُجد البغض، أعطني أن ازرع الحبّ، وحيثما وُجدت الإساءة، أعطني أن أزرع المغفرة، وحيثما وُجد الخلاف، أعطني أن ازرع الاتفاق". العلاقة السّليمة مع الآخر تبني الانسجام وحيث وُجد الانسجام وُجد التّفاهم والازدهار والجمال. بل الانسجام هو لربما أنسب مرادف للجمال. عكس ذلك، الانغلاق، وفرض الذّات على الآخر، والأصوليّة، والإكراه الأيديولوجيّ، كلّ ذلك يفسد الأخوة، ويؤجّج التّوترات ويعرّض السّلام للخطر. جمال الحياة هو ثمرة الانسجام: والانسجام هو حياة جماعيّة، تنمو بلطف، وبالإصغاء والتّواضع. والقلب النّقي هو الذي يستقبل الانسجام، لأنّ "الجمال الحقيقي، بعد كلّ شيء، يكمن في نقاء القلب" (M.K. Gandhi, Il mio credo, il mio pensiero, Roma 2019, 94).
الأديان مدعوّة إلى أن تقدّم هذا الانسجام إلى العالم. التّقدّم التّقني وحده لا يستطيع أن يقدّمه، لأنّه بتركيزه على البعد الأرضي والأفقي للإنسان، فإنّه يوشك أن ينسى السّماء التي خُلقنا من أجلها. أيّها الإخوة والأخوات، نقف معًا اليوم هنا بكوننا ورثة متواضعين لمدارس الحكمة القديمة. نلتقي بعضنا مع بعض، ونلتزم بمشاركة الخير الكثير الذي تلقيناه، لإغناء البشريّة التي تفقد مرارًا وجهتها، في طريقها، بسبب قصر نظرها في بحثها عن المنفعة والرّفاهية. إنّها غالبًا لا تقدر أن ترى الخيط الذي يدلّ على الطّريق الصّحيح: لأنّها موجّهة فقط إلى المصالح الأرضيّة، وينتهي بها الأمر إلى تدمير الأرض نفسها، وإلى الخلط بين التّقدّم والرّجعيّة، كما تبيّن ذلك المظالم الكثيرة، والصّراعات الكثيرة، والدّمار البيئي الكثير، والاضطهادات الكثيرة، والرّفض الكثير للحياة البشريّة.
آسيا تقدر أن تقدّم الكثير بهذا المعنى، ومنغوليا، التي تقع في قلب هذه القارّة، لها تراث كبير من الحكمة، التي ساهمت الأديان المنتشرة هنا في تكوينها، وأودّ أن أدعو الجميع إلى اكتشافها وتقديرها. أكتفي أن أذكر، بدون تعمّق، عشرة جوانب من تراث الحكمة هذا. عشرة جوانب: العلاقة الجيّدة مع التّقاليد رغم تجارب النّزعة الاستهلاكيّة، واحترام كبار السّن والأجداد - كم نحتاج اليوم إلى تحالف بين الأجيال، بين كبار السّن والشّباب، وإلى حِوار بين الأجداد والأحفاد! وأيضًا، الاهتمام بالبيئة، بيتنا المشترك، وهي اليوم حاجة كبرى وماسة جدًّا: نحن في خَطَر. وأيضًا: قيمة الصّمت والحياة الدّاخليّة، وهو المضادّ الحيوي الرّوحي لأمراض عالم اليوم الكثيرة. ومن ثمَّ، الحِسّ السّليم بالقناعة، وقيمة الضّيافة، والقدرة على مقاومة التّعلق بالأشياء، والتّضامن الذي ينشأ من ثقافة الرّوابط بين الناس، والتّقدير للبساطة. وأخيرًا، بعض البراغماتيّة في الحياة، التي تسعى إلى البحث بإصرار عن خير الفرد والجماعة. هذه الجوانب العشرة هي بعض عناصر تراث الحكمة التي يمكن لهذا البلد أن يقدّمها للعالم.
بالحديث عن عاداتكم، تكلّمت مُسبقًا، وأنا أتهيّأ لهذه الزّيارة، كيف فَتَنَتني البيوت التّقليديّة التي من خلالها أظهر الشّعب المنغولي حكمة مترسّخة في آلاف السّنين من التّاريخ. في الواقع، تُشكّل خيمة ”ger“ مساحة بشريّة: في داخلها تعيش العائلة حياتها، وهي مكان تعايش ودّي، ولقاء وحوار حيث، يوجد دائمًا مكان لضيف آخر، حتّى إذا كان يسكنها أشخاصٌ كثيرون. ثمّ، هي نقطة مرجعيّة ملموسة، من السّهل معرفتها في المساحات الشّاسعة في الأراضي المنغوليّة، وهي سبب رجاء لمن ضلَّ طريقه: إن كان هناك خِيمة ”ger“ ، فهناك حياة. إنّها مفتوحة دائمًا، ومُستعدّة لاستقبال الأصدقاء، والمسافرين أيضًا وحتّى الغرباء، لتقدّم لهم الشَّاي السّاخن الذي يستعيدون به قِواهم في برد الشّتاء، أو الحليب الطّازج المُختمر المنعش في أيّام الصّيف الحارّة. هذه أيضًا هي خبرة المُرسلين الكاثوليك، القادِمين من بلدان أخرى، والذين تمَّ استقبالهم هنا حُجّاجًا وضيوفًا، ودخلوا إلى هذا العالم الثّقافي على رؤوس أصابعهم، ليقدّموا شهادة متواضعة لإنجيل يسوع المسيح.
لكن، مع المساحة البشريّة، تذكِّر خَيمة ”ger“ بالانفتاح الأساسي على الإلهيّ. يظهر البُعد الرّوحي لهذا البيت في انفتاحه في أعلاه، وهو المكان الوحيد الذي يدخل منه النّور، مثل كوَّة مجزَّأة. وهكذا، يصير الجزء الدّاخلي ساعة شمسيّة كبيرة، يتوالى فيها النّور والظِّل، ويشيران إلى ساعات النّهار والليل. وفي هذا تعلِيم جميل: الشّعور بالوقت الذي يمرّ آتيًا من العُلى، لا من مجرّد تدفّق الأنشطة الأرضيّة. ثمَّ، في أوقات معيّنة من السّنة، يُنيرُ الشّعاع القادم من العُلى المذبح البيتيّ، ويذكّر بأولويّة الحياة الرّوحيّة. وهكذا، فإن الحياة البشريّة معًا التي تعاش في المساحة الدّائريّة ترتبط باستمرار بدعوتها العاموديّة، والتي هي فوق الإنسان والرّوحيّة.
الإنسانيّة المُتصالحة والمزدهرة، التي نُساهم في تعزيزها نحن ممثلي الأديان المختلفة، يمثّلها رمزيًّا هذا العيش معًا بانسجام وانفتاح على ما هو أعلى من الإنسان، وفيه يجد الالتزام من أجل العدل والسّلام الإلهام والأساس في العلاقة مع الإلهيّ. هنا، أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء، مسؤوليّتنا كبيرة، وخاصّة في هذه المرحلة من التّاريخ، لأنّنا مدعوُّون إلى أن نؤكّد بأعمالنا التّعاليم التي ننادي بها، ولا يمكننا أن نناقضها، فنصير سببًا للشّكوك والعثرات. لذلك، لا خلط بين الإيمان والعنف، وبين المقدَّس والإكراه، وبين المسيرة الدّينيّة والعصبيّة الطّائفيّة. لتَكُنْ ذكرى الآلام التي تحملتموها في الماضي - أفكّر خصوصًا في الجماعات البوذيّة – مصدر قوّة تحوّل الجراح المظلمة إلى مصادر للنّور، وجهالة العنف إلى حكمة الحياة، والشّرّ الذي يدمّر إلى الخير الذي يبني. ليكن كذلك لنا، نحن التّلاميذ المتحمّسين للمعلّمين الرّوحيّين، والخدَّام الواعين لتعاليمهم، لنكن مستعدّين أن نقدّم جمال هذه التّعاليم للذين نرافقهم، فنكون رفاق سفر وَدُودِين. ليكن هذا الأمر حقيقة، لأنّه في المجتمعات التّعدّديّة التي تؤمن بالقِيَم الدّيمقراطيّة، مثل منغوليا، كلّ مؤسّسة دينيّة، تعترف بها السُّلطة المدنيّة بصورة قانونيّة، عليها الواجب ولها الحقّ أوّلًا أن تقدّم ما هي وما تؤمن به، مع احترام ضمير الآخرين ويكون هدفها الخير الأكبر للجميع.
بهذا المعنى، أودّ أن أؤكّد لكم أنّ الكنيسة الكاثوليكيّة تريد أن تسير هكذا، وتؤمن إيمانًا راسخًا بالحوار المسكونيّ والحوار بين الأديان والحوار بين الثّقافات. إيمانها قائم على الحوار الأبديّ بين الله والبشريّة، والمتجسّد في شخص يسوع المسيح. الكنيسة، بتواضع وبروح الخدمة التي ميَّزت حياة المعلّم، الذي أتى إلى العالم لا "لِيُخدَم، بل لِيَخدُمَ" (مرقس 10، 45)، تقدّم اليوم لكلّ شخص ولكلّ ثقافة الكنز الذي قَبِلَتْه، وتبقى في موقف انفتاح وإصغاء إلى ما تقدّمه التّقاليد الدينيّة الأخرى. لذلك، الحوار لا يتناقض مع البشارة بالإنجيل: ولا يزيل الخلافات، بل يساعد على فهمها، ويحفظها في أصالتها، ويمكِّنُها من أن تتقابل بعضها مع بعض من أجل غِنًى صريح ومتبادل. وهكذا، في البشريّة التي باركتها السّماء، يمكننا أن نجد المفتاح لكي نسير على الأرض. أيّها الإخوة والأخوات، لنا أصلٌ مُشترك، يمنح الجميع الكرامة نفسها، ويدعو إلى مسيرة مشتركة، ولا يمكننا أن نسير إلّا معًا، فيما نعيش تحت السّماء نفسها التي تحُوطُنا وتُنيرُنا.
أيّها الإخوة والأخوات، وجودنا هنا اليوم هو علامة على أنّ الرّجاء ممكن. الرّجاء ممكن. في عالم تمزّقه الصّراعات والخلافات، قد يبدو هذا خياليًّا. مع ذلك، أكبر المشاريع تبدأ في الخفاء، وبأبعاد تكاد لا تُرَى. والشّجرة الكبيرة تولد من البذرة الصّغيرة، المختفية في الأرض. وإن "كانت رائحة الزّهور تنتشر في اتجاه الرّيح فقط، فإنّ رائحة الذين يعيشون بحسب الفضيلة تنتشر في جميع الاتّجاهات" (cfr The Dhammapada, n. 54). لنجعل هذه الحقيقة تُزهر، وهي أنّ جهودنا المشتركة للحوار ولبناء عالم أفضل ليست عبثًا. لنزرع الرّجاء. كما قال أحد الفلاسفة: "كلّ واحدٍ كان كبيرًا بحسب ما كان يتمنّى. واحدٌ كان كبيرًا وكان يتمنّى الممكن، وواحدٌ آخر كان يتمنّى الخلود، لكن الذي تمنّى المستحيل كان الأكبر من الجميع" (S.A. Kierkegaard, Timore e tremore, Milano 2021, 16). لتغذِّ رجاءنا الصّلوات التي نرفعها إلى السّماء والأخوّة التي نعيشها على الأرض. ولتكن كذلك الشّهادة البسيطة والصّادقة لتديّننا ولمسيرتنا معًا ونحن ننظر معًا إلى العُلى، وعيشنا في العالم في انسجام – لا نَنسَ كلمة ”انسجام“ -، مثل حجّاج مدعوّين إلى أن نحرس جَوَّ البيت، من أجل الجميع. شكرًا.
[01297-AR.02] [Testo originale: Italiano]
[B0602-XX.02]