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Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco in Portogallo in occasione della XXXVII Giornata Mondiale della Gioventù (2 – 6 agosto 2023) – Accoglienza Ufficiale, Cerimonia di Benvenuto, Visita di Cortesia al Presidente della Repubblica del Portogallo e Incontro con le Autorità, la Società Civile e il Corpo Diplomatico, 02.08.2023


Accoglienza Ufficiale presso la Base Aerea di Figo Maduro a Lisbona, Cerimonia di benvenuto all’ingresso del Palácio Nacional de Belém e Visita di Cortesia al Presidente della Repubblica del Portogallo

Incontro con le Autorità, la Società Civile e il Corpo Diplomatico presso il Centro Cultural de Belém di Lisbona

Accoglienza Ufficiale presso la Base Aerea di Figo Maduro a Lisbona, Cerimonia di benvenuto all’ingresso del Palácio Nacional de Belém e Visita di Cortesia al Presidente della Repubblica del Portogallo

Al Suo arrivo alla Base Aerea di Figo Maduro a Lisbona, il Santo Padre Francesco è stato accolto dal Presidente della Repubblica del Portogallo, S.E. il Sig. Marcelo Rebelo de Sousa. Due bambini in abito tradizionale gli hanno offerto dei fiori.

Quindi, dopo la Guardia d’Onore e il saluto delle Delegazioni, il Papa e il Presidente si sono diretti dirigono verso la Vip Lounge della Base Aerea dove ha avuto luogo la presentazione delle Delegazioni e dove si sono intrattenuti per un breve incontro.

Al termine Papa Francesco si è trasferito in auto all’ingresso principale del Palácio Nacional de Belém per la Cerimonia di Benvenuto. Al Suo arrivo il Santo Padre è stato accolto dal Presidente della Repubblica, S.E. il Sig. Marcelo Rebelo de Sousa.

Quindi, dopo l’esecuzione degli inni, la Guardia d’Onore e l’Onore alle Bandiere e la presentazione delle rispettive Delegazioni, il Papa e il Presidente della Repubblica si sono trasferiti in auto separate al Palácio Nacional de Belém per la visita di cortesia al Presidente della Repubblica.

Dopo la Foto Ufficiale, la Firma del Libro d’Onore e la Benedizione dei presenti dal terrazzo, nella Sala degli Ambasciatori ha avuto luogo lo scambio dei doni a cui ha fatto seguito l’incontro privato nello Studio del Presidente.

Al termine dell’incontro, il Santo Padre si è trasferito in auto al Centro Cultural de Belém per l’incontro con le Autorità, la Società Civile e il Corpo Diplomatico.

[01202-IT.01]

Incontro con le Autorità, la Società Civile e il Corpo Diplomatico presso il Centro Cultural de Belém di Lisbona

Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in ingua araba

 

Alle ore 12.20 locali (13.20 ora di Roma), il Santo Padre Francesco ha incontrato le Autorità, la Società Civile e il Corpo Diplomatico presso il Centro Cultural de Belém di Lisbona.

Al Suo arrivo il Papa è stato accolto dal Presidente della Repubblica del Portogallo, S.E. il Sig. Marcelo Rebelo de Sousa, all’entrata laterale del Centro ed insieme si sono recati sul palco.

Dopo il discorso introduttivo del Presidente, il Santo Padre ha pronunciato il Suo discorso.

Al termine dell’incontro, dopo essersi congedato dal Presidente della Repubblica, Papa Francesco si è trasferito in auto alla Nunziatura Apostolica di Lisbona dove, dopo l’accoglienza all’ingresso del personale della Nunziatura, ha pranzato in privato.

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha pronunciato nel corso dell’incontro con le Autorità, la Società Civile e il Corpo Diplomatico:

Discorso del Santo Padre

Signor Presidente della Repubblica,
Signor Presidente dell’Assemblea della Repubblica,
Signor Primo Ministro,
Membri del Governo e del Corpo diplomatico,
Autorità, Rappresentanti della società civile e del mondo della cultura,
Signore e Signori!

Vi saluto cordialmente e ringrazio il Signor Presidente per l’accoglienza e per le cortesi parole che mi ha rivolto – è molto accogliente il Presidente, grazie! Sono felice di essere a Lisbona, città dell’incontro che abbraccia vari popoli e culture e che diventa in questi giorni ancora più universale; diventa, in un certo senso, la capitale del mondo, la capitale del futuro, perché i giovani sono futuro. Ciò ben si adatta al suo carattere multietnico e multiculturale – penso al quartiere Mouraria, dove vivono in armonia persone provenienti da più di sessanta Paesi – e rivela il tratto cosmopolita del Portogallo, che affonda le radici nel desiderio di aprirsi al mondo e di esplorarlo, navigando verso orizzonti nuovi e più vasti.

Non lontano da qui, a Cabo da Roca, è scolpita la frase di un grande poeta di questa città: «Aqui… onde a terra se acaba e o mar começa» (L. Vaz de Camões, Os Lusíadas, VIII). Per secoli si credeva che lì vi fosse il confine del mondo, e in un certo senso è vero: ci troviamo ai confini del mondo perché questo Paese confina con l’oceano, che delimita i continenti. Lisbona ne porta l’abbraccio e il profumo. Mi piace associarmi a quanto amano cantare i portoghesi: «Lisboa tem cheiro de flores e de mar» (A. Rodrigues, Cheira bem, cheira a Lisboa, 1972). Un mare che è molto più di un elemento paesaggistico, è una chiamata impressa nell’animo di ogni portoghese: «mar sonoro, mar sem fundo, mar sem fin» l’ha chiamato una poetessa locale (S. de Mello Breyner Andresen, Mar sonoro). Davanti all’oceano, i portoghesi riflettono sugli immensi spazi dell’anima e sul senso della vita nel mondo. E anch’io, lasciandomi trasportare dall’immagine dell’oceano, vorrei condividere alcuni pensieri.

Secondo la mitologia classica, Oceano è figlio del cielo (Urano): la sua vastità porta i mortali a guardare in alto e a elevarsi verso l’infinito. Ma, al contempo, Oceano è figlio della terra (Gea) che abbraccia, invitando così ad avvolgere di tenerezza l’intero mondo abitato. L’oceano, infatti, non collega solo popoli e Paesi, ma terre e continenti; perciò Lisbona, città dell’oceano, richiama all’importanza dell’insieme, a pensare i confini come zone di contatto, non come frontiere che separano. Sappiamo che oggi le grandi questioni sono globali, eppure spesso sperimentiamo l’inefficacia nel rispondervi proprio perché davanti a problemi comuni il mondo è diviso, o per lo meno non abbastanza coeso, incapace di affrontare unito ciò che mette in crisi tutti. Sembra che le ingiustizie planetarie, le guerre, le crisi climatiche e migratorie corrano più veloci della capacità, e spesso della volontà, di fronteggiare insieme tali sfide.

Lisbona può suggerire un cambio di passo. Qui nel 2007 è stato firmato l’omonimo Trattato di riforma dell’Unione Europea. Esso afferma che «l’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli» (Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione Europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea, art. 1,4/2.1); ma va oltre, asserendo che «nelle relazioni con il resto del mondo […] contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani» (art. 1,4/2.5). Non sono solo parole, ma pietre miliari per il cammino della comunità europea, scolpite nella memoria di questa città. Ecco lo spirito dell’insieme, animato dal sogno europeo di un multilateralismo più ampio del solo contesto occidentale.

Secondo un’etimologia discussa, il nome Europa deriverebbe proprio da una parola che indica la direzione di occidente. È certo invece che Lisbona è la capitale più a ovest dell’Europa continentale. Essa richiama dunque la necessità di aprire vie di incontro più vaste, come il Portogallo già fa, soprattutto con Paesi di altri continenti accomunati dalla stessa lingua. Auspico che la Giornata Mondiale della Gioventù sia, per il “vecchio continente” - possiamo dire l’“anziano” continente -, un impulso di apertura universale, cioè un impulso di apertura che lo renda più giovane. Perché di Europa, di vera Europa, il mondo ha bisogno: ha bisogno del suo ruolo di pontiere e di paciere nella sua parte orientale, nel Mediterraneo, in Africa e in Medio Oriente. Così l’Europa potrà apportare, all’interno dello scenario internazionale, la sua specifica originalità, delineatasi nel secolo scorso quando, dal crogiuolo dei conflitti mondiali, fece scoccare la scintilla della riconciliazione, inverando il sogno di costruire il domani con il nemico di ieri, di avviare percorsi di dialogo, percorsi di inclusione, sviluppando una diplomazia di pace che spenga i conflitti e allenti le tensioni, capace di cogliere i segnali di distensione più flebili e di leggere tra le righe più storte.

Nell’oceano della storia, stiamo navigando in un frangente tempestoso e si avverte la mancanza di rotte coraggiose di pace. Guardando con accorato affetto all’Europa, nello spirito di dialogo che la caratterizza, verrebbe da chiederle: verso dove navighi, se non offri percorsi di pace, vie creative per porre fine alla guerra in Ucraina e ai tanti conflitti che insanguinano il mondo? E ancora, allargando il campo: quale rotta segui, Occidente? La tua tecnologia, che ha segnato il progresso e globalizzato il mondo, da sola non basta; tanto meno bastano le armi più sofisticate, che non rappresentano investimenti per il futuro, ma impoverimenti del vero capitale umano, quello dell’educazione, della sanità, dello stato sociale. Preoccupa quando si legge che in tanti luoghi si investono continuamente fondi sulle armi anziché sul futuro dei figli. E questo è vero. Mi diceva l’economo, alcuni giorni fa, che il migliore reddito di investimenti è nella fabbricazione di armi. Si investe più sulle armi che sul futuro dei figli. Io sogno un’Europa, cuore d’Occidente, che metta a frutto il suo ingegno per spegnere focolai di guerra e accendere luci di speranza; un’Europa che sappia ritrovare il suo animo giovane, sognando la grandezza dell’insieme e andando oltre i bisogni dell’immediato; un’Europa che includa popoli e persone con la loro propria cultura, senza rincorrere teorie e colonizzazioni ideologiche. E questo ci aiuterà a pensare ai sogni dei padri fondatori dell’Unione europea: questi sognavano alla grande!

L’oceano, immensa distesa d’acqua, richiama le origini della vita. Nel mondo evoluto di oggi è divenuto paradossalmente prioritario difendere la vita umana, messa a rischio da derive utilitariste, che la usano e la scartano: la cultura dello scarto della vita. Penso a tanti bambini non nati e anziani abbandonati a sé stessi, alla fatica di accogliere, proteggere, promuovere e integrare chi viene da lontano e bussa alle porte, alla solitudine di molte famiglie in difficoltà nel mettere al mondo e crescere dei figli. Verrebbe anche qui da dire: verso dove navigate, Europa e Occidente, con lo scarto dei vecchi, i muri col filo spinato, le stragi in mare e le culle vuote? Verso dove navigate? Dove andate se, di fronte al male di vivere, offrite rimedi sbrigativi e sbagliati, come il facile accesso alla morte, soluzione di comodo che appare dolce, ma in realtà è più amara delle acque del mare? E penso a tante leggi sofisticate sull’eutanasia.

Lisbona, abbracciata dall’oceano, ci dà però motivo di sperare, è città della speranza. Un oceano di giovani si sta riversando in quest’accogliente città; e io vorrei ringraziare per il grande lavoro e il generoso impegno profusi dal Portogallo per ospitare un evento così complesso da gestire, ma fecondo di speranza. Come si dice da queste parti: «Accanto ai giovani, uno non invecchia». Giovani provenienti da tutto il mondo, che coltivano i desideri dell’unità, della pace e della fraternità, giovani che sognano ci provocano a realizzare i loro sogni di bene. Non sono nelle strade a gridare rabbia, ma a condividere la speranza del Vangelo, la speranza della vita. E se da molte parti oggi si respira un clima di protesta e insoddisfazione, terreno fertile per populismi e complottismi, la Giornata Mondiale della Gioventù è occasione per costruire insieme. Rinverdisce il desiderio di creare novità, di prendere il largo e navigare insieme verso il futuro. Vengono in mente alcune parole ardite di Pessoa: «Navigare è necessario, vivere non è necessario […]; quello che serve è creare» (Navegar é preciso). Diamoci dunque da fare con creatività per costruire insieme! Immagino tre cantieri di speranza in cui possiamo lavorare tutti uniti: l’ambiente, il futuro, la fraternità.

L’ambiente. Il Portogallo condivide con l’Europa tanti sforzi esemplari per la protezione del creato. Ma il problema globale rimane estremamente serio: gli oceani si surriscaldano e i loro fondali portano a galla la bruttezza con cui abbiamo inquinato la casa comune. Stiamo trasformando le grandi riserve di vita in discariche di plastica. L’oceano ci ricorda che la vita dell’uomo è chiamata ad armonizzarsi con un ambiente più grande di noi, che va custodito, va custodito con premura, pensando alle giovani generazioni. Come possiamo dire di credere nei giovani, se non diamo loro uno spazio sano per costruire il futuro?

Il futuro è il secondo cantiere. E il futuro sono i giovani. Ma tanti fattori li scoraggiano, come la mancanza di lavoro, i ritmi frenetici in cui sono immersi, l’aumento del costo della vita, la fatica a trovare un’abitazione e, ancora più preoccupante, la paura di formare famiglie e mettere al mondo dei figli. In Europa e, più in generale, in Occidente, si assiste a una fase discendente della curva demografica: il progresso sembra una questione riguardante gli sviluppi della tecnica e gli agi dei singoli, mentre il futuro chiede di contrastare la denatalità e il tramonto della voglia di vivere. La buona politica può fare molto in questo, può essere generatrice di speranza. Essa, infatti, non è chiamata a detenere il potere, ma a dare alla gente il potere di sperare. È chiamata, oggi più che mai, a correggere gli squilibri economici di un mercato che produce ricchezze, ma non le distribuisce, impoverendo di risorse e certezze gli animi. È chiamata a riscoprirsi generatrice di vita e di cura, a investire con lungimiranza sull’avvenire, sulle famiglie e sui figli, a promuovere alleanze intergenerazionali, dove non si cancelli con un colpo di spugna il passato, ma si favoriscano i legami tra giovani e anziani. Questo dobbiamo riprenderlo: il dialogo tra giovani e anziani. A questo richiama il sentimento della saudade portoghese, la quale esprime una nostalgia, un desiderio di bene assente, che rinasce solo a contatto con le proprie radici. I giovani devono trovare le proprie radici negli anziani. In tal senso è importante l’educazione, che non può solo impartire nozioni tecniche per progredire economicamente, ma è destinata a immettere in una storia, a consegnare una tradizione, a valorizzare il bisogno religioso dell’uomo e a favorire l’amicizia sociale.

L’ultimo cantiere di speranza è quello della fraternità, che noi cristiani impariamo dal Signore Gesù Cristo. In tante parti del Portogallo il senso del vicinato e la solidarietà sono molto vivi. Però, nel contesto generale di una globalizzazione che ci avvicina, ma non ci dà la prossimità fraterna, tutti siamo chiamati a coltivare il senso della comunità, a partire dalla ricerca di chi ci abita accanto. Perché, come notò Saramago, «ciò che dà il vero senso all’incontro è la ricerca, e bisogna fare molta strada per raggiungere ciò che è vicino» (Todos os nomes, 1997). Com’è bello riscoprirci fratelli e sorelle, lavorare per il bene comune lasciando alle spalle contrasti e diversità di vedute! Anche qui ci sono d’esempio i giovani che, con il loro grido di pace e la loro voglia di vita, ci portano ad abbattere i rigidi steccati di appartenenza eretti in nome di opinioni e credo diversi. Ho saputo di tanti giovani che qui coltivano il desiderio di farsi prossimi; penso all’iniziativa Missão País, che porta migliaia di ragazzi a vivere nello spirito del Vangelo esperienze di solidarietà missionaria nelle zone periferiche, specialmente nei villaggi all’interno del Paese, andando a trovare molti anziani soli, e questo è un’ “unzione” per la gioventù. Vorrei ringraziare e incoraggiare, accanto ai tanti che nella società portoghese si occupano degli altri, la Chiesa locale, che fa tanto bene, lontana dalla luce dei riflettori.

Fratelli e sorelle, sentiamoci tutti insieme chiamati, fraternamente, a dare speranza al mondo in cui viviamo e a questo magnifico Paese. Deus abençoe Portugal!

[01184-IT.02] [Testo originale: Italiano]

 

Traduzione in lingua portoghese

Senhor Presidente da República,
Senhor Presidente da Assembleia da República,
Senhor Primeiro-Ministro,
Distintos membros do Governo e do Corpo Diplomático,
Ilustres Autoridades, representantes da sociedade civil e do mundo da cultura,
Senhoras e Senhores!

Saúdo-vos cordialmente e agradeço ao Senhor Presidente o acolhimento e as amáveis palavras que me dirigiu. O Senhor Presidente sabe acolher bem. Obrigado! Estou feliz por estar em Lisboa, cidade do encontro que abraça vários povos e culturas e que, nestes dias, se mostra ainda mais universal; torna-se, de certo modo, a capital do mundo, a capital do futuro, porque os jovens são o futuro. Isto condiz bem com o seu caráter multiétnico e multicultural (penso, por exemplo, no bairro da Mouraria, onde convivem pessoas provenientes de mais de sessenta países) e revela os traços cosmopolitas de Portugal, que afunda as suas raízes no desejo de se abrir ao mundo e explorá-lo, navegando rumo a novos e amplos horizontes.

Não muito longe daqui, no Cabo da Roca, está gravada a frase dum grande poeta desta cidade: «Aqui... onde a terra se acaba e o mar começa» (L. Vaz de Camões, Os Lusíadas, canto III, 20). Durante séculos, acreditou-se que lá estivessem os confins do mundo. E em certo sentido é verdade, porque este país confina com o oceano, que delimita os continentes. E, do oceano, Lisboa conserva o abraço e o perfume. Faço meu, com muito gosto, aquilo que os portugueses costumam cantar: «Lisboa tem cheiro de flores e de mar» (A. Rodrigues, Cheira bem, cheira a Lisboa, 1972). Muito mais do que um elemento paisagístico, o mar é um apelo que não cessa de ecoar no ânimo de cada português, podendo uma vossa poetisa celebrá-lo como «mar sonoro, mar sem fundo, mar sem fim» (S. de Mello Breyner Andresen, Mar sonoro). À vista do oceano, os portugueses são levados a refletir sobre os imensos espaços da alma e sobre o sentido da vida no mundo. Nesta linha, gostaria também eu de partilhar convosco algumas reflexões, deixando-me levar pela imagem do oceano.

Segundo a mitologia clássica, Oceano é filho do céu (Urano): a sua vastidão leva os mortais a olharem para cima elevando-se para o infinito. Ao mesmo tempo, porém, Oceano é filho da terra (Gea) que abraça, convidando assim a envolver de ternura todo o mundo habitado. Com efeito, o oceano não liga apenas povos e países, mas também terras e continentes; por isso Lisboa, cidade do oceano, lembra a importância do conjunto, a importância de conceber as fronteiras, não como limites que separam, mas como zonas de contacto. As grandes questões hoje, como sabemos, são globais e já muitas vezes tivemos de fazer experiência da ineficácia da nossa resposta às mesmas, precisamente porque o mundo, diante de problemas comuns, se mantém dividido ou pelo menos não suficientemente unido, incapaz de enfrentar juntos aquilo que nos põe em crise a todos. Parece que as injustiças planetárias, as guerras, as crises climáticas e migratórias correm mais rapidamente do que a capacidade e, muitas vezes, a vontade de enfrentar em conjunto tais desafios.

Lisboa pode sugerir uma mudança de ritmo. Em 2007, foi assinado aqui o homónimo Tratado de reforma da União Europeia. Nele se lê que «a União tem por objetivo promover a paz, os seus valores e o bem-estar dos seus povos» (Tratado de Lisboa que altera o Tratado da União Europeia e o Tratado que institui a Comunidade Europeia, art. 1.4/2.1); mas vai mais longe afirmando que, «nas suas relações com o resto do mundo (...), contribui para a paz, a segurança, o desenvolvimento sustentável do planeta, a solidariedade e o respeito mútuo entre os povos, o comércio livre e equitativo, a erradicação da pobreza e a proteção dos direitos humanos» (art. 1,4/2.5). Não se trata apenas de palavras, mas de marcos miliários no caminho da comunidade europeia, esculpidos na memória desta cidade. Aqui temos o espírito do conjunto, animado pelo sonho europeu dum multilateralismo mais amplo do que o mero contexto ocidental.

Segundo uma etimologia, que é objeto de discussão, o nome Europa derivaria duma palavra que indica a direção do ocidente. O certo é que Lisboa constitui a capital mais ocidental da Europa continental, lembrando a necessidade de abrir caminhos de encontro mais vastos, como aliás Portugal está a fazer sobretudo com os países de outros continentes irmanados pela mesma língua. Espero que a Jornada Mundial da Juventude seja, para o «velho continente» – poderíamos dizer o continente “ancião” –, um impulso de abertura universal, isto é, um impulso que o torne mais jovem. Na verdade, o mundo tem necessidade da Europa, da Europa verdadeira: precisa do seu papel de construtora de pontes e de pacificadora no Leste europeu, no Mediterrâneo, na África e no Médio Oriente. Assim poderá a Europa trazer, para o cenário internacional, a sua originalidade específica; vimo-la delineada no século passado quando, do crisol dos conflitos mundiais, fez saltar a centelha da reconciliação, tornando verdadeiro o sonho de se construir o amanhã juntamente com o inimigo de ontem, o sonho de abrir percursos de diálogo, percursos de inclusão, desenvolvendo uma diplomacia da paz que extinga os conflitos e acalme as tensões, capaz de captar o mais débil sinal de distensão e de o ler por entre as linhas mais distorcidas da realidade.

No oceano da história, estamos a navegar num momento tempestuoso e sente-se a falta de rotas corajosas de paz. Olhando com grande afeto para a Europa, no espírito de diálogo que a carateriza, apetece perguntar-lhe: Para onde navegas, se não ofereces percursos de paz, vias inovadoras para acabar com a guerra na Ucrânia e com tantos conflitos que ensanguentam o mundo? E ainda, alargando o campo: Que rota estás a seguir, Ocidente? A tua tecnologia, que marcou o progresso e globalizou o mundo, sozinha não basta; e muito menos bastam as armas mais sofisticadas, que não representam investimentos para o futuro, mas empobrecimento do verdadeiro capital humano que é a educação, a saúde, o estado social. Fica-se preocupado ao ler que, em muitos lugares, se investem continuamente os recursos em armas e não no futuro dos filhos. Isto é verdade. Ainda há alguns dias, dizia-me o ecónomo que o investimento que rende melhor é na fabricação de armas. Investe-se mais em armas do que no futuro de nossos filhos. Sonho uma Europa, coração do Ocidente, que use o seu engenho para apagar focos de guerra e acender luzes de esperança; uma Europa que saiba reencontrar o seu ânimo jovem, sonhando a grandeza do conjunto e indo além das necessidades imediatas; uma Europa que inclua povos e pessoas com a sua própria cultura, sem correr atrás de teorias e colonizações ideológicas. E isto ajudar-nos-á a pensar nos sonhos dos pais fundadores da União Europeia: eles sonhavam em grande!

Com a sua imensa vastidão de água, o oceano recorda as origens da vida. No mundo evoluído de hoje, paradoxalmente, tornou-se prioritário defender a vida humana, posta em risco por derivas utilitaristas que a usam e descartam: a cultura do descarte da vida. Penso em tantas crianças não-nascidas e idosos abandonados a si mesmos, na dificuldade de acolher, proteger, promover e integrar quem vem de longe e bate às nossas portas, no desamparo em que são deixadas muitas famílias com dificuldade para trazer ao mundo e fazer crescer os filhos. Também aqui apetece perguntar: Para onde navegais, Europa e Ocidente, com o descarte dos idosos, os muros de arame farpado, as mortandades no mar e os berços vazios? Para onde navegais? Para onde ides se, perante o tormento de viver, vos limitais a oferecer remédios rápidos e errados como o fácil acesso à morte, solução cómoda que parece doce, mas na realidade é mais amarga que as águas do mar? Penso em tantas leis sofisticadas sobre a eutanásia!

Mas Lisboa, abraçada pelo oceano, oferece-nos motivos para esperar; é cidade da esperança. Há uma maré de jovens que se espraia sobre esta cidade acolhedora. Quero agradecer o grande trabalho e generoso empenho empreendidos por Portugal para acolher um evento tão complexo de gerir, mas fecundo de esperança, pois – como se diz por aqui – «ao lado dos jovens, não se envelhece». Jovens provenientes de todo o mundo que cultivam anseios de unidade, paz e fraternidade, jovens que sonham desafiam-nos a realizar os seus sonhos bons. Não andam pelas ruas a gritar sua raiva, mas a partilhar a esperança do Evangelho, a esperança da vida. E se, em muitos lugares, se respira hoje um clima de protesto e insatisfação, terreno fértil para populismos e conspirações, a Jornada Mundial da Juventude é ocasião para construir juntos. Reaviva o desejo de criar coisas novas, fazer-se ao largo e navegar juntos rumo ao futuro. Vêm à mente algumas palavras ousadas de Fernando Pessoa: «Navegar é preciso; viver não é preciso (...); o que é necessário é criar» (Navegar é preciso). Trabalhemos, pois, com criatividade para construirmos juntos! Imagino três estaleiros de construção da esperança onde podemos trabalhar todos unidos: o ambiente, o futuro, a fraternidade.

O ambiente. Portugal partilha com a Europa muitos esforços exemplares na defesa da criação. Mas o problema global continua extremamente grave: os oceanos aquecem e, das suas profundezas, sobe à superfície a torpeza com que poluímos a nossa casa comum. Estamos a transformar as grandes reservas de vida em lixeiras de plástico. O oceano lembra-nos que a existência humana é chamada a viver de harmonia com um ambiente maior do que nós; este deve ser guardado; deve ser guardado com cuidado, tendo em conta as gerações mais novas. Como podemos dizer que acreditamos nos jovens, se não lhes dermos um espaço sadio para construir o seu futuro?

O futuro é o segundo estaleiro de obras. E o futuro são os jovens. Mas muitos fatores os desanimam, como a falta de trabalho, os ritmos frenéticos em que se veem imersos, o aumento do custo de vida, a dificuldade de encontrar uma casa e, ainda mais preocupante, o medo de constituir família e trazer filhos ao mundo. Na Europa e em geral no Ocidente, assiste-se a uma fase descendente na curva demográfica: o progresso parece ser uma questão que diz respeito ao desenvolvimento técnico e ao conforto dos indivíduos, enquanto o futuro pede para se contrariar a queda da natalidade e o declínio da vontade de viver. A boa política pode fazer muito neste sentido; pode gerar esperança. Com efeito, não é chamada a conservar o poder, mas a dar às pessoas a possibilidade de esperar. É chamada, hoje mais do que nunca, a corrigir os desequilíbrios económicos dum mercado que produz riquezas mas não as distribui, empobrecendo de recursos e de certezas os ânimos. É chamada a voltar a descobrir-se como geradora de vida e de cuidado da criação, a investir com clarividência no futuro, nas famílias e nos filhos, a promover alianças intergeracionais, onde não se apague o passado mas se favoreçam os laços entre jovens e idosos. É preciso retomar o diálogo ente jovens e idosos. A isto mesmo faz apelo o sentimento da saudade portuguesa, que exprime nostalgia, desejo dum bem ausente, que só renasce em contacto com as próprias raízes. Os jovens devem encontrar as suas próprias raízes nos idosos. Neste sentido, é importante a educação, que não pode limitar-se a fornecer noções técnicas para se progredir economicamente, mas destina-se a introduzir numa história, transmitir uma tradição, valorizar a necessidade religiosa do homem e favorecer a amizade social.

O último estaleiro de esperança é o da fraternidade, que nós, cristãos, aprendemos do Senhor Jesus Cristo. Em muitas partes de Portugal, está ainda muito vivo o sentido de vizinhança e solidariedade. Contudo, no contexto geral duma globalização que nos aproxima mas não nos dá uma proximidade fraterna, somos todos chamados a cultivar o sentido da comunidade, começando por ir ter com quem vive ao nosso lado. Com efeito, como observou Saramago, «o que dá verdadeiro sentido ao encontro é a busca; e é preciso andar muito, para se alcançar o que está perto» (Todos os nomes, 1997). Como é bom voltar a descobrir-nos irmãos e irmãs, trabalhar pelo bem comum, deixando para trás contrastes e diferenças de perspetiva! Também aqui servem de exemplo os jovens que nos levam, com o seu grito de paz e ânsia de vida, a derrubar as rígidas divisórias de pertença erguidas em nome de opiniões e crenças diversas. Soube de muitos jovens que cultivam, aqui, o desejo de se fazerem próximo dos outros; penso na iniciativa «Missão País», que leva milhares de jovens a viver no espírito do Evangelho experiências de solidariedade missionária em zonas periféricas, sobretudo nas aldeias do interior, indo ao encontro de muitos idosos sozinhos, e isto é uma “unção” para a juventude. Quero agradecer e encorajar a tantos que na sociedade portuguesa se preocupam com os outros, nomeadamente a Igreja, e que fazem tanto bem mesmo longe dos holofotes.

Irmãos e irmãs, sintamo-nos chamados, todos juntos fraternalmente, a dar esperança ao mundo em que vivemos e a este magnífico país. Deus abençoe Portugal!

[01184-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Monsieur le Président de la République,
Monsieur le Président de l’Assemblée de la République,
Monsieur le Premier Ministre,
Membres du Gouvernement et du Corps diplomatique,
Autorités, Représentants de la société civile et du monde de la culture,
Mesdames et Messieurs !

Je vous salue cordialement et je remercie Monsieur le Président pour son accueil et pour les aimables paroles qu’il m’a adressées – il est très accueillant le Président, merci ! Je suis heureux d’être à Lisbonne, ville de la rencontre qui embrasse divers peuples et cultures et qui devient, ces jours-ci, encore plus universelle. Elle devient, en un certain sens, la capitale du monde, la capitale de l’avenir, car les jeunes sont l’avenir. Cela correspond bien à son caractère multiethnique et multiculturel – je pense au quartier de Mouraria, où vivent en harmonie des personnes de plus de soixante pays – et révèle la caractéristique cosmopolite du Portugal qui plonge ses racines dans le désir de s’ouvrir au monde et de l’explorer, en naviguant vers des horizons nouveaux et plus vastes.

Non loin d’ici, à Cabo da Roca, la phrase d’un grand poète de cette ville est sculptée : « Ici... où la terre se termine et où commence la mer » (L. Vaz de Camões, Os Lusíadas, III, 20). Pendant des siècles, on a cru que l’extrémité du monde se trouvait là et, en un sens, c’est vrai : nous sommes aux confins du monde parce que ce pays borde l’océan qui délimite les continents. Lisbonne en porte l’étreinte et le parfum. J’aime m’associer à ce que les Portugais se plaisent à chanter : « Lisbonne sent les fleurs et la mer » (A. Rodrigues, Cheira bem, cheira a Lisboa, 1972). Une mer qui, beaucoup plus qu’un élément du paysage, est un appel gravé dans l’âme de chaque Portugais. Une poétesse locale l’a désignée comme « une mer qui résonne, une mer sans fond, une mer sans fin » (S. de Mello Breyner Andresen, Mar sonoro). Face à l’océan, les Portugais réfléchissent sur les immenses espaces de l’âme et sur le sens de la vie dans le monde. Et moi aussi, en me laissant emporter par l’image de l’océan, j’aimerais vous partager quelques pensées.

Selon la mythologie classique, Océan est fils du ciel (Ouranos) : son immensité conduit les mortels à regarder vers le haut et à s’élever vers l’infini. Mais, en même temps, Océan est fils de la terre (Gaia) qu’il étreint, invitant ainsi à envelopper de tendresse l’ensemble du monde habité. L’océan ne relie pas seulement, en effet, les peuples et les pays, mais les terres et les continents. C’est pourquoi Lisbonne, ville de l’océan, rappelle l’importance de l’ensemble, du fait de penser les frontières comme des zones de contact, non comme des frontières qui séparent. Nous savons aujourd’hui que les grandes questions sont mondiales, alors que nous faisons souvent l’expérience de l’inefficacité à y répondre, précisément parce que, face aux problèmes communs, le monde est divisé, ou du moins pas assez uni, incapable d’affronter en commun ce qui met le monde en crise. Il semble que les injustices planétaires, les guerres, les crises climatiques et migratoires aillent plus vite que la capacité, et souvent la volonté, de faire face ensemble à ces défis.

Lisbonne peut suggérer un changement de rythme. Ici, en 2007, a été signé l’homonyme Traité de réforme de l’Union Européenne. Celui-ci affirme que « l’Union a pour but de promouvoir la paix, ses valeurs et le bien-être de ses peuples » (Traité de Lisbonne qui modifie le Traité sur l’Union Européenne et le Traité qui institue la Communauté Européenne, art. 1, 4/2.1) ; mais il va plus loin en affirmant que « dans ses relations avec le reste du monde […] elle contribue à la paix, à la sécurité, au développement durable de la terre, à la solidarité et au respect mutuel entre les peuples, au commerce libre et équitable, à l’élimination de la pauvreté et à la protection des droits de l’homme » (art. 1, 4/2.5). Ce ne sont pas seulement des mots, mais des jalons pour la marche de la communauté européenne, gravés dans la mémoire de cette ville. Voilà l’esprit de l’ensemble, animé par le rêve européen d’un multilatéralisme plus large que le seul contexte occidental.

Selon une étymologie discutée, le nom Europe proviendrait d’un mot indiquant la direction de l’occident. Il est certain que Lisbonne est la capitale la plus à l’ouest de l’Europe continentale. Elle rappelle donc la nécessité d’ouvrir des voies de rencontre plus vastes, comme le Portugal le fait déjà, surtout avec les pays d’autres continents unis par la même langue. Je souhaite que les Journées Mondiales de la Jeunesse soient, pour le “vieux continent” – nous pouvons dire le continent “âgé”, une impulsion d’ouverture universelle, c’est-à-dire une impulsion d’ouverture qui le rende plus jeune. Car de l’Europe, la vraie, le monde a besoin : il a besoin de son rôle de bâtisseur de ponts et d’artisan de paix dans sa partie orientale, en Méditerranée, en Afrique et au Moyen-Orient. L’Europe pourra ainsi apporter sur la scène internationale son originalité spécifique, qui s’est dessinée au siècle dernier lorsque, dans le creuset des conflits mondiaux, elle a fait jaillir l’étincelle de la réconciliation en rêvant de construire l’avenir avec l’ennemi d’hier, engageant des voies de dialogue, des voies d’inclusion, développant une diplomatie de paix qui éteint les conflits et apaise les tensions, capable de saisir les moindres signaux de détente et de lire entre les lignes les plus tordues.

Nous naviguons sur l’océan de l’histoire en des temps tumultueux et nous ressentons le manque de courageux itinéraires de paix. En regardant avec affection l’Europe et l’esprit de dialogue qui la caractérise, on pourrait lui demander : vers où navigues-tu, si tu ne proposes pas d’itinéraires de paix, de voies créatives pour mettre fin à la guerre en Ukraine ainsi qu’à beaucoup d’autres conflits qui ensanglantent le monde ? Et encore une fois, en élargissant le champ : quelle route suis-tu, Occident ? Ta technologie, qui a marqué le progrès et globalisé le monde, ne suffit pas à elle seule ; moins encore les armes les plus sophistiquées qui ne sont en rien des investissements pour avenir, mais qui appauvrissent du véritable capital humain, celui de l’éducation, de la santé, de la protection sociale. Il est inquiétant de lire qu’en de nombreux endroits l’on investit continuellement des fonds dans les armes plutôt que dans l’avenir des enfants. Et c’est vrai. L’économe me disait, il y a quelques jours, que le meilleur revenu d’investissement est dans la fabrication d’armes. On investit plus dans les armes que dans l’avenir de ses enfants. Je rêve d’une Europe, cœur de l’Occident, qui mette à profit son ingéniosité pour éteindre les foyers de guerre et allumer des lueurs d’espérance ; une Europe qui sache retrouver son âme juvénile en rêvant de la grandeur de l’ensemble et en allant au-delà des besoins de l’immédiat ; une Europe qui inclue des peuples et des personnes avec leur propre culture sans poursuivre théories et colonisations idéologiques. Et cela nous aidera à penser aux rêves des pères fondateurs de l’Union européenne : ceux-ci rêvaient en grand !

L’océan, immense étendue d’eau, rappelle les origines de la vie. Dans le monde développé d’aujourd’hui, il est devenu paradoxalement prioritaire de défendre la vie humaine, mise en danger par des dérives utilitaristes qui l’utilisent et l’éliminent : la culture du rejet de la vie. Je pense à tous ces enfants qui ne sont pas nés et ces personnes âgées abandonnés à elles-mêmes, à la difficulté d’accueillir, de protéger, de promouvoir et d’intégrer ceux qui viennent de loin et frappent aux portes, à la solitude de nombreuses familles qui luttent pour mettre au monde et élever des enfants. On serait aussi tenté de dire ici : vers où naviguez-vous, Europe et Occident, avec le rejet des personnes âgées, les murs aux fils barbelés, les tragédies en mer et les berceaux vides ? Vers où naviguez-vous ? Où allez-vous si, face au mal de vivre, vous offrez des remèdes hâtifs et erronés, comme l’accès facile à la mort, solution de facilité qui paraît douce, mais qui est en réalité plus amère que les eaux de la mer ? Et je pense à tant de lois sophistiquées sur l’euthanasie.

Lisbonne, embrassée par l’océan, nous donne cependant des raisons d’espérer, c’est une ville d’espérance. Un océan de jeunes se déverse dans cette ville accueillante ; et je voudrais exprimer ma gratitude pour le grand travail et l’engagement généreux du Portugal pour accueillir un événement si complexe à gérer, mais porteur d’espérance. Comme on dit ici : « À côté des jeunes, on ne vieillit pas ». Des jeunes, venus du monde entier, cultivant les désirs de l’unité, de la paix et de la fraternité, des jeunes qui rêvent nous incitent à réaliser leurs rêves de bien. Ils ne sont pas dans les rues pour crier de colère, mais pour partager l’espérance de l’Évangile, l’espérance de la vie. Et si l’on respire aujourd’hui dans de nombreuses régions un climat de protestation et d’insatisfaction, terreau fertile aux populismes et aux complotismes, les Journées Mondiales de la Jeunesse sont l’occasion de construire ensemble. Elles ravivent le désir de créer de la nouveauté, de prendre le large et de naviguer ensemble vers l’avenir. Des paroles audacieuses de Pessoa me viennent à l’esprit : « Naviguer est nécessaire, mais il n’est pas nécessaire de vivre [...] ; ce qu’il faut c’est créer » (Navegar é preciso). Travaillons donc avec créativité pour construire ensemble ! J’imagine trois chantiers d’espérance où nous pouvons tous travailler unis : l’environnement, l’avenir, la fraternité.

L’environnement. Le Portugal fait avec l’Europe beaucoup d’efforts exemplaires pour la protection de la création. Mais le problème mondial reste extrêmement sérieux : les océans sont surchauffés et, de leurs fonds, remonte à la surface la laideur avec laquelle nous avons pollué la maison commune. Nous transformons ces grandes réserves de vie en décharges de plastique. L’océan nous rappelle que la vie de l’homme est appelée à s’harmoniser avec un environnement plus vaste que nous, qui doit être protégé, doit être protégé avec soin, en pensant aux jeunes générations. Comment pouvons-nous dire que nous croyons en la jeunesse, si nous ne leur donnons pas un espace sain pour construire l’avenir ?

L’avenir est le deuxième chantier. Et l’avenir, ce sont les jeunes. Mais de nombreux facteurs les découragent, comme le manque de travail, les rythmes effrénés dans lesquels ils sont plongés, l’augmentation du coût de la vie, la difficulté à trouver un logement et, plus préoccupant encore, la peur de former une famille et de mettre des enfants au monde. En Europe, et plus généralement en Occident, on assiste à une phase descendante de la courbe démographique : le progrès semble être une question de développement technique et de confort des individus, alors que l’avenir exige de contrer la dénatalité et le déclin de l’envie de vivre. Une bonne politique peut faire beaucoup en cela, elle peut être génératrice d’espérance. Elle n’est pas en effet appelée à détenir le pouvoir, mais à donner aux gens la possibilité d’espérer. Elle est appelée, aujourd’hui plus que jamais, à corriger les déséquilibres économiques d’un marché qui produit des richesses mais ne les distribue pas, appauvrissant les esprits en ressources et en certitudes. Elle est appelée à se redécouvrir génératrice de vie et de soins, à investir avec clairvoyance dans l’avenir, dans les familles et dans les enfants, à promouvoir des alliances intergénérationnelles, où l’on ne supprime pas d’un coup d’éponge le passé, mais où l’on favorise les liens entre jeunes et personnes âgées. Nous devons reprendre cela : le dialogue entre jeunes et personnes âgées. C’est ce que rappelle le sentiment de la saudade portugaise, qui exprime une nostalgie, un désir de bien absent qui renaît seulement au contact de ses propres racines. Les jeunes doivent trouver leurs racines chez les personnes âgées. En ce sens, l’éducation est importante. Elle ne peut pas se contenter de transmettre des notions techniques pour progresser économiquement, mais elle est destinée à s’insérer dans une histoire, à transmettre une tradition, à valoriser le besoin religieux de l’homme et à favoriser l’amitié sociale.

Le dernier chantier d’espérance est celui de la fraternité que nous, chrétiens, apprenons du Seigneur Jésus Christ. Dans de nombreuses régions du Portugal, le sens du voisinage et la solidarité sont très vivants. Cependant, dans le contexte général d’une mondialisation qui nous rapproche, ne procurant pas cependant de proximité fraternelle, nous sommes tous appelés à cultiver le sens de la communauté, en commençant par la recherche de celui qui habite à côté. Comme l’a remarqué Saramago, « ce qui donne le vrai sens à la rencontre, c’est la recherche, et il faut faire beaucoup de chemin pour rejoindre ce qui est proche » (Todos os nomes, 1997). Comme il est beau de se redécouvrir frères et sœurs, de travailler pour le bien commun en laissant de côté les oppositions et les différences de vues ! Ici aussi, il y a par exemple les jeunes qui, avec leur cri de paix et leur envie de vivre, nous poussent à abattre les rigides barrières de l’appartenance, érigées au nom d’opinions et de croyances différentes. J’ai entendu parler de nombreux jeunes qui cultivent ici le désir de se faire proches. Je pense à l’initiative Missão País qui a conduit des milliers de jeunes à vivre, dans l’esprit de l’Évangile, des expériences de solidarité missionnaire dans les zones périphériques, en particulier dans les villages à l’intérieur du pays, en allant rendre visite à de nombreuses personnes âgées seules, et cela est une “onction” pour la jeunesse. Je voudrais remercier et encourager, avec toute les personnes dans la société portugaise qui s’occupent des autres, l’Église locale qui fait beaucoup de bien, loin de la lumière des projecteurs.

Frères et sœurs, sentons-nous tous ensemble appelés, fraternellement, à donner de l’espérance au monde dans lequel nous vivons et à ce magnifique pays. Que Dieu bénisse le Portugal !

[01184-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

President of the Republic,
Mr President of the Assembly of the Republic,
Mr Prime Minister,
Members of Government and the Diplomatic Corps,
Authorities, Representatives of Civil Society and the world of culture,
Ladies and Gentlemen,

I greet you cordially, and I thank the President for his welcome and kind words. The President is very welcoming. Thank you! I am happy to have come to Lisbon, this city of encounter which embraces many peoples and cultures, and which, in these days, is even more global: in a certain sense, it has become the capital of the world, the capital of the future, because the young are the future. This very much befits its multiethnic and multicultural character – I think of the Mouraria district, where people from more than sixty countries live together in harmony – and it displays the cosmopolitan face of Portugal, grounded in a desire to be open to the world and to explore it, setting sail towards ever new and vaster horizons.

Not far from here, at Cabo da Roca, are sculpted the words of the great poet of this city: “Here… where the land finishes and the sea begins” (L. VAZ DE CAMÕES, Os Lusíadas, III, 20). For centuries, people considered that place to be the end of the earth, and in some sense, it is: we find ourselves at the end of the earth because this country borders the ocean, which defines the continents. Lisbon reflects the ocean’s embrace and bears its fragrance. I too sense what the Portuguese people love to sing: “Lisbon, redolent of flowers and the sea” (A. RODRIGUES, Cheira bem, cheira a Lisboa, 1972). That sea is much more than part of the landscape: it is a call resounding in the heart of every Portuguese person: “the crashing sea, the bottomless sea, the infinite sea”, as one of your local poets has called it (S. DE MELLO BREYNER ANDRESEN, Mar sonoro). Gazing at the ocean, the Portuguese people reflect on the immense reaches of the soul and the meaning of our life in this world. I too, inspired by the image of the ocean, would like to share with you some thoughts.

In classical mythology, Oceanus is the child of the sky (Uranus): its vastness leads mortal men and women to lift their gaze on high and to rise up towards the infinite. Yet Oceanus is also the child of the all-embracing earth (Gaia), calling us to embrace with tenderness the entire inhabited world. The ocean does not merely link peoples and countries, but lands and continents. Lisbon, as an ocean city, thus reminds us of the importance of the whole, to think of borders as places of contact, not as boundaries that separate. Today we realize that the great questions facing us are global, yet we often find it hard to respond to them precisely because, faced with common problems, our world is divided, or, to say the very least, insufficiently cohesive, incapable of confronting together what threatens us all. Planetary injustice, wars, climate and migration crises: these seem to run faster than our ability, and often our will, to confront these challenges in a united way.

Lisbon can suggest a different path. It was here, in 2007, that the Treaty for the reform of the European Union was signed. That Treaty, named after this city, affirmed that “the Union’s aim is to promote peace, its values and the well-being of its peoples” (Treaty of Lisbon, Amending the Treaty on European Union and the Treaty Establishing the European Community, art. 2:1). Yet it goes beyond that, asserting that “in its relations with the wider world… It shall contribute to peace, security, the sustainable development of the Earth, solidarity and mutual respect among peoples, free and fair trade, eradication of poverty and the protection of human rights” (art. 2:5). Those were not only words, but milestones along the path of the European community, and are impressed on this city’s memory. This is the spirit of being together, inspired by the European dream of a multilateralism broader than merely that of the West.

According to a debatable etymology, the name Europe derives from a word meaning the direction west. What is certain is that Lisbon is the most westerly capital of continental Europe and thus speaks to us of the need to open ever broader paths of encounter. Portugal is already doing this, above all with countries of other continents that share the same language. It is my hope that World Youth Day may be, for the “Old Continent” – we can say the “Elder Continent” – an impulse towards universal openness, an impulse that makes it younger. For the world needs Europe, the true Europe. It needs Europe’s role as a bridge and peacemaker in its eastern part, in the Mediterranean, in Africa and in the Middle East. In this way, Europe will be able to make its own specific contribution in the international arena, based on the ability it showed in the last century, in the aftermath of the world wars, to achieve reconciliation and to realize the vision of former enemies joining together to work for a better future. This goal was attained by initiating processes of dialogue and inclusion and by developing a diplomacy of peace aimed at settling conflicts and lessening tensions, attentive to the slightest signals of distension and reading between the most crooked lines.

We are sailing amid storms on the ocean of history, and we sense the lack of courageous courses of peace. With deep love for Europe, and in the spirit of dialogue that distinguishes this continent, we might ask her: “Where are you sailing, if you are not showing the world paths of peace, creative ways for bringing an end to the war in Ukraine and to the many other conflicts causing so much bloodshed?” Or again, to widen the scope, we might ask: “West, on what course are you sailing?” Your technologies, which have brought progress and globalized the world are not by themselves sufficient, much less your highly sophisticated weapons, which do not represent investments for the future but a depletion of its authentic human capital: that of education, health, the welfare state. It is troubling when we read that in many places funds continue to be invested in arms rather than in the future of the young. This is true. An economist was telling me a few days ago that the best investment income comes from the production of arms. We are investing more in arms than in the future of children. I dream of a Europe, the heart of the West, which employs its immense talents to settling conflicts and lighting lamps of hope; a Europe capable of recovering its youthful heart, looking to the greatness of the whole and beyond its immediate needs; a Europe inclusive of peoples and persons, together with their own cultures, without chasing after ideologies and forms of ideological colonization. This helps to bring us back to the dream of the founders of the European Union. They had a great dream!

The ocean, this immense expanse of water, recalls the origins of life. In today’s developed world, paradoxically, the defence of human life, menaced by a creeping utilitarianism that uses life and discards it – a culture that discards life, has now become a priority. I think of so many unborn children, and older persons who are abandoned, of the great challenge of welcoming, protecting, promoting and integrating those who come from afar and knock on our doors, and the isolation felt by so many families that find it hard to bring children into the world and raise them. Here too, we might ask: “Where are you sailing, Europe and the West, with the discarding of the elderly, walls of barbed wire, massive numbers of deaths at sea and empty cradles? Where are you sailing? Where are you sailing if, before life’s ills, you offer hasty but mistaken remedies: like easy access to death, a convenient answer that seems ‘sweet’ but is in fact more bitter than the waters of the sea?” I am thinking here of many advanced laws concerning euthanasia.

Lisbon, surrounded by the ocean, nonetheless gives us reason to hope. It is a city of hope. A sea of young people is pouring into this hospitable city. Here I would like to express my gratitude for the hard work and generous efforts shown by Portugal in hosting an event so challenging to organize, yet so rich in hope. As a local saying goes: “In the company of the young, we never grow old”. Young people from around the world, who dream and long for unity, peace and fraternity, urge us to make their good dreams come true. They are taking to the streets, not to cry out in anger but to share the hope of the Gospel, the hope of life. At a time when we are witnessing on many sides a climate of protest and unrest, a fertile terrain for forms of populism and conspiracy theories, World Youth Day represents a chance to build together. It revives our desire to accomplish something new and different, to put out into the deep and to set sail together towards the future. We are reminded of those bold words of Pessoa: “to set sail is necessary, to live is not… What is important is to create” (Navegar é preciso). So let us resolve, with creativity, to build together! I would like to suggest three construction sites of hope in which all of us can work together: the environment, the future, and fraternity.

The environment. Portugal, together with Europe, has made outstanding contributions to the protection of creation. Yet on the global level, the problem remains extremely grave: the oceans are warming and their depths are bringing to light the shamelessness with which we have polluted our common home. We are transforming great reserves of life into dumping grounds of plastic. The ocean reminds us that human life is meant to be an integrated part of an environment greater than ourselves, one that must be protected and watched over with care and concern for the sake of future generations. How can we claim to believe in young people, if we do not give them healthy spaces in which to build the future?

The future is the second construction site. Young people are the future. Yet they encounter much that is disheartening: lack of jobs, the dizzying pace of contemporary life, hikes in the cost of living, the difficulty of finding housing and, even more disturbing, the fear of forming families and bringing children into the world. In Europe and, more generally, in the West, we are witnessing a decline in the demographic curve: progress seems to be measured by developments in technology and personal comfort, whereas the future calls for reversing the fall in the birth rate and the weakening of the will to live. A healthy politics can accomplish much in this regard; it can be a generator of hope. It is not about holding on to power, but about giving people the ability to hope. Today more than ever, it is about correcting the imbalances of a market economy that produces wealth but fails to distribute it, depriving people of resources and security. Political life is challenged once more to see itself as a generator of life and concern for others. It is called to show foresight by investing in the future, in families and in children, and by promoting intergenerational covenants that do not cancel the past but forge bonds between young and old. We need to resume a dialogue between young and old. This is encouraged by that sense of saudade, which in the Portuguese language expresses a kind of nostalgia, a yearning for an absent good that is born of contact with our roots. The young must find their roots in the elders. Here, education is essential: an education that does not simply impart technical knowledge directed to economic growth, but aims to make the young part of a history, to pass on a tradition, to value our religious dimension and needs, and to favour social friendship.

The final construction site of hope is fraternity, which we Christians learn about from Jesus Christ. In many parts of Portugal, we encounter a lively sense of closeness and solidarity. Yet in the broader context of a globalization that brings us closer but fails to create fraternal closeness, all of us are challenged to cultivate a sense of community, beginning with concern for those who live close by. For, as Saramago observed, “what gives true meaning to encounter is concern for others, and we have to travel far to arrive at what is near” (Todos os nomes, 1997). How beautiful it is to realize that we are brothers and sisters and to pursue the common good, leaving behind our conflicts and differing viewpoints! Here too, we can see an example in those young people who, with their pleas for peace and their thirst for life, impel us to break down the walls of separation erected in the name of different opinions and creeds. I have come to see how many young people long to draw closer to others: I think of the Missão País initiative, which leads thousands of young people, in the spirit of the Gospel, to share experiences of missionary solidarity in the peripheries, especially in villages in the interior of the country, and to go out in search of elderly people who are living alone. This is an “anointing” for young people. I would like to thank and encourage them, and all those in Portuguese society who show concern for others, as well as the local Church, which quietly and unobtrusively does so much good.

Brothers and sisters, let us all feel called, in a fraternal way, to give hope to the world in which we live, and to this magnificent country. God bless Portugal!

[01184-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Herr Präsident,
Herr Parlamentspräsident,
Herr Premierminister,
Mitglieder der Regierung und des diplomatischen Korps,
Verantwortungsträger, Repräsentanten der Zivilgesellschaft und der Welt der Kultur,
meine Damen und Herren!

Ich grüße Euch herzlich und danke Ihnen, Herr Präsident, für den Empfang und für die freundlichen Worte, die Sie an mich gerichtet haben – der Präsident ist sehr gastfreundlich, danke! Ich freue mich, in Lissabon zu sein, einer Stadt der Begegnung, die verschiedene Völker und Kulturen umfasst und die in diesen Tagen noch universaler wird; sie wird gewissermaßen zur Hauptstadt der Welt, die Hauptstadt der Zukunft, denn die jungen Menschen sind die Zukunft. Das passt gut zu ihrem multiethnischen und multikulturellen Charakter – ich denke an das Viertel Mouraria, in dem Menschen aus mehr als sechzig Ländern in Harmonie leben – und es zeigt den kosmopolitischen Charakter Portugals, der in dem Wunsch verwurzelt ist, sich der Welt zu öffnen und sie zu erkunden, indem man zu neuen und weiteren Horizonten aufbricht.

Nicht weit von hier, in Cabo da Roca, ist der Satz eines großen Dichters dieser Stadt eingemeißelt: »Hier... wo das Land endet und das Meer beginnt« (L. Vaz de Camões, Os Lusíadas, VIII). Jahrhundertelang glaubte man, dass sich dort die Grenze der Welt befand, und in einem gewissen Sinne ist das wahr: Wir befinden uns an den Grenzen der Welt, denn dieses Land grenzt an den Ozean, der die Kontinente abgrenzt. Lissabon ist von seiner Umarmung und seinem Duft geprägt. Ich schließe mich gern dem an, was die Portugiesen zu singen lieben: »Lissabon duftet nach Blumen und nach Meer« (A. Rodrigues, Cheira bem, cheira a Lisboa, 1972). Ein Meer, das viel mehr ist als ein Landschaftselement; es ist ein Ruf, der in die Seele eines jeden Portugiesen eingeprägt ist: »klangvolles Meer, Meer ohne Boden, Meer ohne Ende« nannte es eine lokale Dichterin (S. de Mello Breyner, Mar sonoro). Angesichts des Ozeans denken die Portugiesen über die unendlichen Weiten der Seele und den Sinn des Lebens in der Welt nach. Und auch ich möchte einige Gedanken teilen, indem ich dem Bild des Ozeans folge.

Nach der klassischen Mythologie ist Okeanos der Sohn des Himmels (Uranos): Seine Weite führt die Sterblichen dazu, nach oben zu schauen und sich zur Unendlichkeit hin zu erheben. Gleichzeitig ist Okeanos aber auch der Sohn der Erde (Gäa), die er umarmt und so dazu einlädt, die gesamte bewohnte Welt in Zärtlichkeit einzuhüllen. Der Ozean verbindet nämlich nicht nur Völker und Staaten, sondern auch Länder und Kontinente. Daher erinnert Lissabon, eine Stadt des Ozeans, an die Bedeutung des Zusammenseins und daran, Grenzgebiete als Berührungspunkte zu verstehen und nicht als Grenzen, die trennen. Wir wissen, dass heute die großen Fragen globaler Natur sind, und doch erleben wir oft, dass wir sie unwirksam angehen, weil die Welt gerade in Anbetracht gemeinsamer Probleme gespalten ist oder zumindest nicht geschlossen genug und nicht in der Lage ist, das geeint anzugehen, was alle bedroht. Es scheint, dass die weltweiten Ungerechtigkeiten, die Kriege, die Klima- und Migrationskrisen schneller voranschreiten als die Fähigkeit und oft auch der Wille, diesen Herausforderungen gemeinsam entgegenzutreten.

Lissabon kann einen Tempowechsel anregen. Hier wurde 2007 der gleichnamige Vertrag zur Reform der Europäischen Union unterzeichnet. Darin wird erklärt: »Ziel der Union ist es, den Frieden, ihre Werte und das Wohlergehen ihrer Völker zu fördern.« (Vertrag von Lissabon zur Änderung des Vertrags über die Europäische Union und des Vertrags zur Gründung der Europäischen Gemeinschaft, Art. 1,4/2.1). Darüber hinaus wird versichert: »In ihren Beziehungen zur übrigen Welt […] leistet [sie] einen Beitrag zu Frieden, Sicherheit, globaler nachhaltiger Entwicklung, Solidarität und gegenseitiger Achtung unter den Völkern, zu freiem und gerechtem Handel, zur Beseitigung der Armut und zum Schutz der Menschenrechte« (Art. 1,4/2.5) Das sind nicht nur Worte, sondern Meilensteine auf dem Weg der europäischen Gemeinschaft, die in das Gedächtnis dieser Stadt eingeschrieben sind. Dies ist also der Geist des Zusammenseins, beseelt vom europäischen Traum eines Multilateralismus, der über den bloßen westlichen Kontext hinausgeht.

Einer umstrittenen Etymologie zufolge soll sich der Name Europa von einem Wort ableiten, das die Richtung des Westens angibt. Gewiss ist hingegen, dass Lissabon die westlichste Hauptstadt Kontinentaleuropas ist. Es erinnert somit an die Notwendigkeit, weitreichendere Wege der Begegnung zu eröffnen, wie es Portugal bereits tut, insbesondere mit Ländern anderer Kontinente, die dieselbe Sprache sprechen. Ich hoffe, dass der Weltjugendtag für den „alten Kontinent“ – wir können sagen, den „betagten“ Kontinent – ein Impuls weltweiter Öffnung wird, also ein Impuls der Öffnung, der ihn verjüngt. Denn die Welt braucht Europa, das wahre Europa: Sie braucht seine Rolle als Brückenbauer und als Friedensstifter in dessen östlichem Teil, im Mittelmeerraum, in Afrika und im Nahen Osten. So wird Europa in der Lage sein, auf dem internationalen Parkett seine besondere Originalität einzubringen, die sich im vergangenen Jahrhundert herausgebildet hat, als es aus dem Schmelztiegel der Weltkonflikte heraus den Funken der Versöhnung überspringen ließ. Dabei verwirklichte es den Traum, mit dem Feind von gestern das Morgen zu bauen sowie Wege des Dialogs, Wege der Integration zu eröffnen, indem es eine Friedensdiplomatie entwarf, die Konflikte ausräumen und Spannungen abbauen soll, und die in der Lage ist, selbst die schwächsten Zeichen der Entspannung zu erkennen und zwischen den krummsten Zeilen zu lesen.

Im Ozean der Geschichte befinden wir uns gerade in einer stürmischen Situation und es ist das Fehlen eines mutigen Friedenskurses spürbar. Wenn man Europa beherzt betrachtet, müsste man es im Geist des Dialogs, der es kennzeichnet, fragen: Wohin steuerst du, wenn du der Welt keinen Friedenskurs vorschlägst, keine kreativen Wege, um dem Krieg in der Ukraine und den vielen Konflikten, die die Welt mit Blut beflecken, ein Ende zu bereiten? Und eine weitere Frage, vor einem größeren Horizont: Welchen Kurs verfolgst du, Westen? Deine Technologie, die den Fortschritt markiert und die Welt globalisiert hat, reicht allein nicht aus. Noch weniger reichen die fortschrittlichsten Waffen, die keine Investitionen für die Zukunft darstellen, sondern eine Verarmung des wahren Kapitals der Menschen, nämlich jenes der Bildung, der Gesundheitsversorgung und des Sozialstaats. Es ist besorgniserregend, wenn man liest, dass an vielen Orten ständig finanzielle Ressourcen in Waffen investiert werden, statt in die Zukunft der Kinder. Und das ist wahr. Der Ökonom hat mir vor ein paar Tagen gesagt, dass der beste Investitionsertrag in der Waffenproduktion liegt. Es wird mehr in Waffen investiert als in die Zukunft der Kinder. Ich träume von einem Europa als dem Herzen des Westens, das seinen Einfallsreichtum dafür einsetzt, um Kriegsherde zu löschen und Lichter der Hoffnung zu entzünden; ein Europa, das es versteht, seine junge Seele wiederzuentdecken, das von der Größe des Zusammenseins träumt und über die Bedürfnisse des Augenblicks hinausgeht; ein Europa, das Völker und Menschen mit deren eigener Kultur einbezieht, ohne ideologischen Theorien und Kolonialisierungen hinterherzulaufen. Und das wird uns helfen, an die Träume der Gründerväter der Europäischen Union zu denken: Sie hatten große Träume!

Der Ozean als eine riesige Wasserfläche erinnert an die Ursprünge des Lebens. In der heutigen fortschrittlichen Welt ist es paradoxerweise vordringlich geworden, menschliches Leben zu schützen, das durch utilitaristische Abwege gefährdet ist, die es gebrauchen und wegwerfen: die Kultur des Ausrangierens von Leben. Ich denke an viele ungeborene Kinder und ältere Menschen, die sich selbst überlassen sind, an die Mühe, diejenigen aufzunehmen, zu schützen, zu fördern und zu integrieren, die von weit her kommen und an die Türen klopfen, an die Einsamkeit vieler Familien, die Schwierigkeiten haben, Kinder in die Welt zu bringen und aufzuziehen. Man könnte auch hier sagen: Wohin steuert ihr, Europa und Westen, mit dem Ausrangieren älterer Menschen, den Mauern mit Stacheldraht, den Massakern auf See und den leeren Wiegen? Wohin steuert ihr? Wohin geht ihr, wenn ihr angesichts des Leidens im Leben oberflächliche und falsche Heilmittel anbietet, wie den einfachen Zugang zum Tod, eine Bequemlichkeitslösung, die lieblich erscheint, aber in Wirklichkeit bitterer ist als das Meereswasser? Und ich denke an viele ausgeklügelte Euthanasiegesetze.

Das vom Ozean umspülte Lissabon gibt uns jedoch Grund zur Hoffnung, es ist eine Stadt der Hoffnung. Ein Meer junger Menschen strömt in diese gastfreundliche Stadt, und ich möchte für die großartige Arbeit und das großzügige Engagement Portugals danken, ein so komplex zu bewältigendes, aber hoffnungsreiches Ereignis auszurichten. Wie man hier sagt: »Neben der Jugend wird man nicht alt«. Junge Menschen aus der ganzen Welt, die den Wunsch nach Einheit, Frieden und Geschwisterlichkeit hegen, junge Menschen, die träumen, fordern uns heraus, ihre Träume vom Guten zu verwirklichen. Sie sind nicht auf der Straße, um ihre Wut herauszuschreien, sondern um die Hoffnung des Evangeliums mitzuteilen, die Hoffnung auf Leben. Und wenn heute vielerorts ein Klima des Protests und der Unzufriedenheit herrscht, ein fruchtbarer Boden für verschiedene Arten des Populismus und Verschwörungstheorien, so ist der Weltjugendtag eine Gelegenheit, etwas gemeinsam aufzubauen. Er lässt den Wunsch aufleben, Neues zu schaffen, in See zu stechen und gemeinsam in die Zukunft zu steuern. Dabei kommen einige kühne Worte von Pessoa in den Sinn: »Seefahren ist notwendig, leben ist nicht notwendig [...]; das, was nötig ist, ist das Erschaffen« (Navegar é preciso). Bemühen wir uns also mit Kreativität, etwas gemeinsam aufzubauen! Ich stelle mir drei Baustellen der Hoffnung vor, an denen wir alle gemeinsam arbeiten können: die Umwelt, die Zukunft und die Geschwisterlichkeit.

Die Umwelt. Portugal teilt mit Europa viele vorbildliche Anstrengungen zum Schutz der Schöpfung. Aber das globale Problem bleibt nach wie vor sehr ernst: Die Ozeane erwärmen sich und ihre Tiefen bringen die Hässlichkeit an die Oberfläche, mit der wir unser gemeinsames Haus verschmutzt haben. Wir sind dabei, die großen Lebensreservoire in Plastikdeponien zu verwandeln. Der Ozean erinnert uns daran, dass das menschliche Leben mit einer Umwelt in Einklang gebracht werden muss, die größer ist als wir selbst und die gehegt werden muss, die sorgsam gehegt werden muss, indem wir an die jungen Generationen denken. Wie können wir sagen, dass wir an die jungen Menschen glauben, wenn wir ihnen keinen gesunden Raum geben, um eine Zukunft aufzubauen?

Die Zukunft ist die zweite Baustelle. Und die Zukunft sind die jungen Menschen. Aber viele Faktoren entmutigen sie, wie der Mangel an Arbeit, das hektische Tempo, dem sie ausgesetzt sind, die steigenden Lebenshaltungskosten, die Schwierigkeit eine Wohnung zu finden und, was noch beunruhigender ist, die Angst, Familien zu gründen und Kinder zur Welt zu bringen. In Europa und allgemeiner im Westen erleben wir eine Talfahrt der Bevölkerungsentwicklung: Der Fortschritt scheint eine Frage zu sein, die die technischen Entwicklungen und die Annehmlichkeiten des Einzelnen betrifft, während die Zukunft doch erfordert, der Geburtenabnahme und dem Rückgang des Lebenswillens entgegenzuwirken. Gute Politik kann dabei viel bewirken, sie kann Hoffnung schaffen. Sie ist nämlich nicht dazu berufen, Macht in Händen zu halten, sondern den Menschen die Kraft zur Hoffnung zu geben. Sie ist heute mehr denn je dazu aufgerufen, die wirtschaftlichen Ungleichgewichte eines Marktes zu korrigieren, der Reichtum hervorbringt, ihn aber nicht verteilt und so die Menschen ihrer Ressourcen und Sicherheiten beraubt. Sie ist aufgerufen, sich als Quelle von Leben und Fürsorge wieder zu entdecken, mit Weitblick in die Zukunft, in die Familien und in die Kinder zu investieren, generationenübergreifende Allianzen zu befördern, in denen die Vergangenheit nicht mit einem Wisch ausgelöscht wird, sondern Bindungen zwischen Jung und Alt gefördert werden. Das müssen wir wieder aufgreifen: den Dialog zwischen Jung und Alt. Daran erinnert das portugiesische Gefühl der saudade, das eine Nostalgie ausdrückt, eine Sehnsucht nach dem abwesenden Guten, das nur im Kontakt mit den eigenen Wurzeln wiederbelebt wird. Die jungen Menschen müssen ihre Wurzeln in den Älteren finden. In diesem Sinne ist die Bildung wichtig, die nicht nur technische Kenntnisse vermitteln darf, um wirtschaftlich voranzukommen, sondern dazu bestimmt ist, in eine Geschichte einzuführen, eine Tradition zu überliefern, das religiöse Bedürfnis des Menschen zur Geltung kommen zu lassen und die soziale Freundschaft zu begünstigen.

Die letzte Baustelle der Hoffnung ist die der Geschwisterlichkeit, die wir Christen von unserem Herrn Jesus Christus erlernen. In vielen Teilen Portugals sind der Sinn für Nachbarschaft und Solidarität sehr lebendig. Doch im allgemeinen Kontext einer Globalisierung, die uns zwar näher zusammenrücken lässt, uns aber keine geschwisterliche Nähe gibt, sind wir alle aufgerufen, den Sinn für die Gemeinschaft zu fördern, angefangen beim Aufsuchen derer, die neben uns wohnen. Denn, wie Saramago feststellte, »was der Begegnung den wahren Sinn gibt, ist die Suche, und man muss einen weiten Weg zurücklegen, um das zu erreichen, was nah ist« (Todos os nomes, 1997). Wie schön ist es, wenn wir uns als Brüder und Schwestern wiederentdecken, wenn wir uns für das Gemeinwohl einsetzen und dabei Gegensätze und Unterschiede in den Ansichten hinter uns lassen! Auch darin sind uns die jungen Menschen ein Beispiel, die uns mit ihrem Ruf nach Frieden und ihrer Lebenslust dazu bringen, die starren Zäune der Zugehörigkeit einzureißen, die im Namen unterschiedlicher Auffassungen und Glaubensüberzeugungen errichtet worden sind. Ich habe von vielen jungen Menschen erfahren, die hier den Wunsch hegen, einander zu Nächsten zu werden. Ich denke an die Initiative Missão País, die Tausende von jungen Menschen dazu bringt, in Randgebieten, vor allem in Dörfern im Landesinneren, missionarische Solidarität im Geist des Evangeliums zu leben, indem sie viele einsame ältere Menschen besuchen, und dies ist eine „Salbung“ für die Jugend. Ich möchte neben den vielen Menschen in der portugiesischen Gesellschaft, die sich um andere kümmern, auch der Kirche vor Ort, die fernab vom Rampenlicht viel Gutes tut, danken und sie ermutigen.

Brüder und Schwestern, fühlen wir uns alle zusammen geschwisterlich dazu aufgerufen, der Welt, in der wir leben, und diesem wunderbaren Land Hoffnung zu geben. Gott segne Portugal!

[01185-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Señor Presidente de la República,
señor Presidente de la Asamblea de la República,
señor Primer Ministro,
miembros del Gobierno y del Cuerpo diplomático,
autoridades, representantes de la sociedad civil y del mundo de la cultura,
señoras y señores:

Saludo cordialmente a todos ustedes y agradezco al señor Presidente la bienvenida y las cordiales palabras que me ha dirigido —es muy acogedor el Presidente, ¡gracias! Me siento contento de estar en Lisboa, ciudad de encuentro que abraza diferentes pueblos y culturas, y que en estos días se vuelve todavía más universal; se transforma, de alguna manera, en la capital del mundo, la capital del futuro, porque los jóvenes son el futuro. Esto se ajusta bien a su carácter multiétnico y multicultural ―pienso en el barrio Mouraria, donde viven en armonía personas provenientes de más de sesenta países―, y descubre el rasgo cosmopolita de Portugal, que ahonda sus raíces en el deseo de abrirse al mundo y explorarlo, navegando hacia horizontes nuevos y más amplios.

No lejos de este lugar, en Cabo da Roca, hay un monumento con una lápida que lleva esculpida una frase de un gran poeta de esta ciudad: «Aqui… onde a terra se acaba e o mar começa» (L. Vaz de Camões, Os Lusíadas, III, 20). Durante siglos se creyó que allí terminaba el mundo, y en cierto modo es verdad; estamos en el fin del mundo porque este país limita con el océano, que delimita los continentes. Lisboa lleva el abrazo y la fragancia de este océano, por eso también yo me uno a este canto que aman los portugueses: «Lisboa tem cheiro de flores e de mar» (A. Rodrigues, Cheira bem, cheira a Lisboa, 1972). Un mar que es mucho más que un elemento paisajístico, es una vocación impresa en el alma de cada portugués: «mar sonoro, mar sem fundo, mar sem fin» como lo llamó una de vuestras poetisas (S. de Mello Breyner Andresen, Mar sonoro). Frente al océano, los portugueses reflexionan sobre los inmensos espacios del alma y el sentido de la vida en el mundo. Y yo también, dejándome llevar por la imagen del océano, quisiera compartir algunos pensamientos.

Según la mitología clásica, Océano es hijo del cielo (Urano); su inmensidad mueve a los mortales a mirar hacia lo alto y a elevarse hacia el infinito. Pero Océano también es hijo de la tierra (Gea) que abraza, invitándonos, de esta manera, a arropar con la ternura a todo el mundo habitado. Es así, el océano no une solamente pueblos y países, sino también tierras y continentes; por eso Lisboa, ciudad del océano, nos recuerda la importancia del conjunto, el valor de las fronteras como zonas de contacto, no como barreras que separan. Sabemos que los grandes problemas de hoy en día son globales, pero a menudo experimentamos nuestra insuficiencia a la hora de responder a ellos, precisamente porque cuando nos enfrentamos a problemas comunes el mundo está dividido, o al menos no lo suficientemente cohesionado, incapaz de crear un único frente contra lo que nos perjudica a todos. Parece que las injusticias planetarias, las guerras, las crisis climáticas y migratorias corren más rápido que la capacidad, y a menudo la voluntad, de afrontar juntos estos retos.

Lisboa puede sugerirnos un cambio de ritmo. Aquí, en el 2007, se firmó el homónimo Tratado de reforma de la Unión Europea. Este afirma que «la Unión tiene como finalidad promover la paz, sus valores y el bienestar de sus pueblos» (Tratado de Lisboa por el que se modifican el Tratado de la Unión Europea y el Tratado constitutivo de la Comunidad Europea, art. 1,4/2.1); pero va más allá, al afirmar que «en sus relaciones con el resto del mundo […] contribuirá a la paz, la seguridad, el desarrollo sostenible del planeta, la solidaridad y el respeto mutuo entre los pueblos, el comercio libre y justo, la erradicación de la pobreza y la protección de los derechos humanos» (art. 1,4/2.5). No son sólo palabras, sino hitos fundamentales para el camino de la comunidad europea, esculpidos en la memoria de esta ciudad. Este es el espíritu del conjunto, animado por el sueño europeo de un multilateralismo más amplio que el mero contexto occidental.

Según una etimología controvertida, el nombre de Europa derivaría de una palabra que indicaba la dirección hacia el oeste. Sin embargo, lo cierto es que Lisboa es la capital más occidental de Europa continental. Recuerda, por tanto, la necesidad de abrir vías de encuentro más amplias, como ya lo hace Portugal, especialmente en países de otros continentes que comparten la misma lengua. Espero que la Jornada Mundial de la Juventud sea, para el “viejo continente” —podemos decir el “anciano” continente—, un impulso de apertura universal, es decir, un impulso de apertura que lo haga más joven. Porque el mundo necesita a Europa, a la verdadera Europa; necesita de su papel de constructora de puentes y de paz en su parte oriental, en el Mediterráneo, en África y en Oriente Medio. De ese modo, Europa podrá aportar, dentro del escenario internacional, su originalidad específica, esbozada en el siglo pasado cuando, desde el crisol de los conflictos mundiales, encendió la chispa de la reconciliación, haciendo posible el sueño de construir el mañana con el enemigo de ayer, de abrir caminos de diálogo, itinerarios de inclusión, desarrollando una diplomacia de paz que apague los conflictos y alivie las tensiones, capaz de captar los más tenues signos de distensión y de leer entre las líneas más torcidas.

En el océano de la historia, estamos navegando en circunstancias críticas y tempestuosas, y percibimos la falta de rumbos valientes hacia la paz. Mirando con cariño sincero a Europa, en el espíritu de diálogo que la caracteriza, nos saldría espontáneo preguntarle: ¿hacia dónde navegas, si no ofreces procesos de paz, caminos creativos para poner fin a la guerra en Ucrania y a tantos conflictos que ensangrientan el mundo? Y de nuevo, ampliando el campo: ¿qué camino sigues, Occidente? Tu tecnología, que ha marcado el progreso y globalizado el mundo, por sí sola no es suficiente; menos aún las armas más sofisticadas, que no representan inversiones de futuro, sino el empobrecimiento del verdadero capital humano, el de la educación, la sanidad, el estado de bienestar. Es preocupante cuando uno lee que en muchos lugares se invierte continuamente en armamento, en lugar de hacerlo en el futuro de los hijos. Y esto es verdad. Me decía el ecónomo, hace algunos días, que la mejor rentabilidad de las inversiones está en la fabricación de armas. Se invierte más en las armas que en el futuro de los hijos. Sueño con una Europa, corazón de Occidente, que utilice su ingenio para apagar focos de guerra y encender luces de esperanza; una Europa que sepa reencontrar su alma joven, soñando con la grandeza del conjunto y yendo más allá de las necesidades de lo inmediato; una Europa que incluya a los pueblos y a las personas con su propia cultura, sin perseguir teorías ni colonizaciones ideológicas. Y esto nos ayudará a pensar en los sueños de los padres fundadores de la Unión europea, ¡ellos soñaban en grande!

El océano, inmensa extensión de agua, recuerda los orígenes de la vida. En el mundo desarrollado de hoy, paradójicamente, se ha convertido en una prioridad la defensa de la vida humana, puesta en peligro por las derivas utilitaristas que la usan y la desechan: la cultura del descarte de la vida. Pienso en tantos niños no nacidos y ancianos abandonados a su suerte; en la dificultad por acoger, proteger, promover e integrar a los que vienen de lejos y llaman a las puertas; en la soledad de muchas familias que luchan por traer al mundo y criar a sus hijos. También aquí se podría decir: ¿hacia dónde navegan, Europa y Occidente, con el descarte de los ancianos, los muros de alambre espigado, las tragedias en el mar y las cunas vacías? ¿Hacia dónde navegan? ¿Hacia dónde van si, ante el dolor de vivir, ofrecen remedios superficiales y equivocados, como el fácil acceso a la muerte, una solución de conveniencia que parece dulce, pero que en realidad es más amarga que las aguas del mar? Y pienso en tantas leyes rebuscadas sobre la eutanasia.

Lisboa, abrazada por el océano, nos da, sin embargo, motivos de esperanza, es ciudad de la esperanza. Un océano de jóvenes está inundando esta acogedora ciudad; y quisiera agradecer el gran trabajo y el generoso compromiso de Portugal para acoger un evento tan complejo de gestionar, pero fecundo en esperanza. Como se dice por estos lares: «Junto a la juventud, uno no envejece». Jóvenes de todo el mundo, que cultivan deseos de unidad, de paz y de fraternidad, jóvenes que sueñan nos desafían a hacer realidad sus sueños de bien. No están en las calles para gritar de rabia, sino para compartir la esperanza del Evangelio, la esperanza de la vida. Y si desde muchos sectores se respira hoy un clima de protesta e insatisfacción, terreno fértil para el populismo y las teorías conspirativas, la Jornada Mundial de la Juventud es una oportunidad para construir juntos. Reaviva el deseo de crear novedad, de hacerse a la mar y navegar juntos hacia el futuro. Me vienen a la mente unas palabras audaces de Pessoa: «Navegar es preciso; vivir no es preciso […]; lo que es necesario es crear» (Navegar é preciso). Pongámonos a trabajar, pues, con creatividad para construir juntos. Imagino tres laboratorios de esperanza en los que todos podemos trabajar juntos: el medio ambiente, el futuro y la fraternidad.

El medio ambiente. Portugal comparte con Europa muchos esfuerzos ejemplares para la protección de la creación. Pero el problema global sigue siendo extremadamente grave: los océanos se están calentando y sus profundidades sacan a la superficie la fealdad con la que hemos contaminado nuestra casa común. Estamos convirtiendo las grandes reservas de vida en vertederos de plástico. El océano nos recuerda que la vida humana está llamada a armonizarse con un entorno más grande que nosotros, que hay que cuidar, hay que cuidar con esmero, pensando en las generaciones más jóvenes. ¿Cómo podemos decir que creemos en los jóvenes, si no les damos un espacio sano para construir el futuro?

El segundo laboratorio es el futuro. Y el futuro son los jóvenes. Pero hay muchos factores que los desaniman, como la falta de trabajo, los ritmos frenéticos en los que están inmersos, el aumento del coste de la vida, la dificultad para encontrar vivienda y, lo que es aún más preocupante, el miedo a formar una familia y traer hijos al mundo. En Europa y, más en general, en Occidente, asistimos a una triste fase descendente de la curva demográfica. El progreso parece ser una cuestión de avances técnicos y de comodidades individuales, mientras que el futuro exige contrarrestar la disminución de la natalidad y el declive de las ganas de vivir. La buena política puede hacer mucho en este sentido, puede ser generadora de esperanza. No está llamada a detentar el poder, sino a dar a la gente la posibilidad de esperar. Está llamada, hoy más que nunca, a corregir los desequilibrios económicos de un mercado que produce riqueza, pero no la distribuye, empobreciendo a los individuos de recursos y certezas. Está llamada a redescubrirse como generadora de vida y de cuidado, a invertir con clarividencia en el futuro, en las familias y en los hijos, a promover alianzas intergeneracionales, en las que no se borre el pasado de un plumazo, sino que se fomenten los vínculos entre jóvenes y mayores. Esto lo debemos retomar: el diálogo entre jóvenes y mayores. A esto se refiere el sentimiento portugués de la saudade, que expresa una nostalgia, un deseo de bien ausente, que sólo renace en contacto con las propias raíces. Los jóvenes deben encontrar sus propias raíces en los ancianos. En este sentido es importante la educación, que no sólo puede impartir nociones técnicas para progresar económicamente, sino que está destinada a entrar en una historia, a transmitir una tradición, a valorar la necesidad religiosa del hombre y a fomentar la amistad social.

El último laboratorio de esperanza es la fraternidad, que nosotros cristianos aprendemos de Nuestro Señor Jesucristo. En muchas partes de Portugal, el sentido de vecindario y solidaridad están muy vivos. Sin embargo, en el contexto general de una globalización que nos acerca, pero sin darnos proximidad fraterna, todos estamos llamados a cultivar el sentido de la comunidad, empezando por la búsqueda de quienes viven a nuestro lado. Porque, como señaló Saramago, «lo que da verdadero sentido al encuentro es la búsqueda y es preciso andar mucho para alcanzar lo que está cerca» (Todos os nomes, 1997). ¡Qué hermoso es redescubrirnos como hermanos y hermanas, trabajar por el bien común, dejando atrás contrastes y diferencias de puntos de vista! También aquí tenemos a los jóvenes que, con su grito de paz y su deseo de vivir, nos llevan a derribar las rígidas barreras de pertenencia erigidas en nombre de opiniones y creencias diferentes. He sabido que aquí hay muchos jóvenes que cultivan el deseo de hacerse prójimos; pienso en la iniciativa Missão País, que lleva a miles de chicos y chicas a vivir en el espíritu del Evangelio experiencias de solidaridad misionera en zonas periféricas, especialmente en aldeas del interior del país, donde visitan a muchos ancianos que están solos, y esto es una “unción” para la juventud. Quisiera agradecer y animar, junto a las muchas personas de la sociedad portuguesa que se preocupan por los demás, a la Iglesia local, que hace tanto bien, sin protagonismos.

Hermanos y hermanas, sintámonos todos llamados, fraternalmente, a dar esperanza al mundo en que vivimos y a este magnífico país. Deus abençoe Portugal!

[01184-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Panie Prezydencie Republiki,
Panie Przewodniczący Zgromadzenia Republiki,
Panie Premierze,
Członkowie rządu i korpusu dyplomatycznego,
Władze, Przedstawiciele społeczeństwa obywatelskiego i świata kultury,
Panie i Panowie!

Serdecznie was witam i dziękuję Panu Prezydentowi za przyjęcie oraz za uprzejme słowa, które do mnie skierował – Pan Prezydent jest bardzo serdeczny, dziękuję! Cieszę się, że jestem w Lizbonie, mieście spotkania, które przyjmuje różne narody i kultury i które staje się w tych dniach jeszcze bardziej powszechne; staje się w pewnym sensie stolicą świata, stolicą przyszłości, ponieważ młodzi są przyszłością. Dobrze wpisuje się to w jej wieloetniczny i wielokulturowy charakter – myślę o dzielnicy Mouraria, gdzie żyją w harmonii osoby pochodzące z ponad sześćdziesięciu krajów – i ukazuje wielonarodowościowe oblicze Portugalii, które jest zakorzenione w pragnieniu otwarcia się na świat i odkrywania go, płynąc ku nowym i szerszym horyzontom.

Niedaleko stąd, na Cabo da Roca, wyryte jest zdanie wielkiego poety tego miasta: „Tutaj gdzie ziemia się kończy, a morze zaczyna”, (L. Vaz De Camões, Luzjady, III, 20). Przez wieki wierzono, że tam znajduje się granica świata, i w pewnym sensie jest to prawda – znajdujemy się na krańcu świata, ponieważ kraj ten graniczy z oceanem, który wyznacza kontynenty. Lizbona ma w sobie jego uścisk i woń. Chciałbym się podpisać pod tym, co z upodobaniem śpiewają Portugalczycy: „Lizbona pachnie kwiatami i morzem” (A. Rodrigues, Cheira bem, cheira a Lisboa, 1972). Morze jest czymś znacznie więcej niż elementem krajobrazu, jest wezwaniem wyrytym w duszy każdego Portugalczyka: „morze dźwięczne, morze bez dna, morze bez kresu”, jak określiła je tutejsza poetka (S. De Mello Breyner Andresen, Mar sonoro). Mając przed sobą ocean, Portugalczycy zastanawiają się nad niezmierzoną przestrzenią duszy i sensem życia na świecie. Ja również, zainspirowany obrazem oceanu, chciałbym podzielić się kilkoma przemyśleniami.

Według mitologii klasycznej ocean [Okeanos] jest dzieckiem nieba (Uranosa) – jego rozległość skłania śmiertelników do patrzenia w górę i wznoszenia się ku nieskończoności. Ale jednocześnie Okeanos jest synem ziemi (Gai), którą obejmuje, zapraszając w ten sposób do otaczania czułością całego zamieszkanego świata. Ocean łączy bowiem nie tylko narody i kraje, ale lądy i kontynenty; dlatego Lizbona, miasto oceanu, przypomina o znaczeniu całości, o tym, aby myśleć o granicach jako strefach kontaktu, a nie jako granicach, które oddzielają. Wiemy, że dzisiaj najważniejsze problemy mają charakter globalny, a jednak często doświadczamy nieskuteczności w reagowaniu na nie, właśnie dlatego, że w obliczu wspólnych problemów świat jest podzielony, a przynajmniej niewystarczająco spójny, niezdolny do wspólnego stawiania czoła temu, co zagraża wszystkim. Wydaje się, że niesprawiedliwość planetarna, wojny, kryzysy klimatyczne i migracyjne postępują szybciej niż zdolność, a często i wola, wspólnego stawiania czoła tym wyzwaniom.

Lizbona może zainspirować do zmiany tempa. Tutaj w 2007 r. został podpisany Traktat, noszący nazwę tego miasta, reformujący Unię Europejską. Stwierdza on, że „celem Unii jest wspieranie pokoju, jej wartości i dobrobytu jej narodów” (Traktat z Lizbony zmieniający Traktat o Unii Europejskiej i Traktat ustanawiający Wspólnotę Europejską, art. 1, 4/2.1); ale idzie dalej, stwierdzając, że „w stosunkach zewnętrznych Unia [...] przyczynia się do pokoju, bezpieczeństwa, trwałego rozwoju Ziemi, do solidarności i wzajemnego szacunku między narodami, do swobodnego i uczciwego handlu, do wyeliminowania ubóstwa oraz do ochrony praw człowieka” (art. 1, 4/2. 5). Nie są to jedynie słowa, ale kamienie milowe na drodze europejskiej wspólnoty, wyryte w pamięci tego miasta. Jest to duch całości, ożywiany europejskim marzeniem o wielostronności, która wykracza poza kontekst zachodni.

Według dyskusyjnej etymologii, nazwa Europa wywodzi się właśnie od słowa, które wskazuje kierunek zachodni. Pewne jest natomiast to, że Lizbona jest najbardziej wysuniętą na zachód stolicą Europy kontynentalnej. Przypomina zatem o potrzebie otwierania rozległych dróg spotkania, co Portugalia już czyni, zwłaszcza w stosunku do krajów z innych kontynentów, które posługują się tym samym językiem. Mam nadzieję, że Światowe Dni Młodzieży będą dla „starego kontynentu” – możemy powiedzieć „sędziwego” kontynentu – bodźcem do powszechnego otwarcia się, to znaczy impulsem do otwartości, która go odmłodzi. Świat potrzebuje bowiem Europy, prawdziwej Europy – potrzebuje jej roli budowniczego mostów i rozjemcy w jego wschodniej części, w basenie Morza Śródziemnego, w Afryce i na Bliskim Wschodzie. W ten sposób Europa będzie mogła wnieść na arenie międzynarodowej swoją szczególną oryginalność, jaka wyodrębniła się w ubiegłym wieku, kiedy to z tygla światowych konfliktów wykrzesała iskrę pojednania, urzeczywistniając marzenie o budowaniu jutra z wczorajszym wrogiem, o zapoczątkowaniu procesów dialogu, dróg integracji, dzięki rozwijaniu dyplomacji pokoju, która gasi konflikty i łagodzi napięcia, która jest w stanie rozpoznać najsłabsze oznaki odprężenia i czytać między najbardziej zakrzywionymi liniami.

Po oceanie historii żeglujemy w burzliwych czasach i dostrzegamy brak odważnych szlaków wiodących do pokoju. Patrząc z serdecznym uczuciem na Europę, w duchu dialogu, który ją charakteryzuje, chciałoby się zapytać: dokąd płyniesz, jeśli nie oferujesz dróg pokoju, kreatywnych sposobów, by położyć kres wojnie na Ukrainie i wielu konfliktom, które wykrwawiają świat? I dalej, poszerzając zakres: jaki kurs obierasz, Zachodzie? Twoja technologia, która wyznaczyła postęp i zglobalizowała świat, sama w sobie nie wystarczy; tym bardziej nie wystarczy najbardziej wyrafinowana broń, która nie jest inwestycją w przyszłość, lecz zubażaniem prawdziwego kapitału ludzkiego, a mianowicie edukacji, opieki zdrowotnej, państwa opiekuńczego. To niepokojące, gdy czytamy, że w tak wielu miejscach fundusze są nieustannie inwestowane w broń, a nie w przyszłość dzieci. I to jest prawda. Kilka dni temu pewien ekonomista powiedział mi, że najlepsze dochody z inwestycji przynosi produkcja broni. Więcej inwestuje się w broń niż w przyszłość dzieci. Marzę o Europie, sercu Zachodu, która wykorzystywałaby swoją pomysłowość do gaszenia ognisk wojny i do rozpalania świateł nadziei; o Europie, która umiałaby na nowo odkryć swoją młodzieńczą duszę, marząc o wspaniałości tego, co wspólne, i wykraczając poza doraźne potrzeby; o Europie, która obejmowałaby ludy i osoby z ich własną kulturą, nie uciekając się do teorii i kolonizacji ideologicznych. A to pomoże nam zastanowić się nad marzeniami ojców założycieli Unii Europejskiej – oni marzyli o wielkich rzeczach!

Ocean, ogromna przestrzeń wody, przypomina o początkach życia. W dzisiejszym rozwiniętym świecie paradoksalnie priorytetem stała się obrona ludzkiego życia, zagrożonego przez nurty utylitarystyczne, które je wyzyskują i odrzucają – cywilizację odrzucenia życia. Myślę o bardzo wielu dzieciach nienarodzonych i osobach starszych pozostawionych samym sobie, o trudnościach z przyjmowaniem, ochroną, promocją i integracją tych, którzy przybywają z daleka i pukają do drzwi, o samotności wielu rodzin, zmagających się z trudnościami związanymi z wydawaniem na świat dzieci i ich wychowaniem. Chciałoby się również w tym miejscu powiedzieć: dokąd płyniecie, Europo i Zachodzie, odrzucając starszych, z murami z drutu kolczastego, tragediami na morzu i pustymi kołyskami? Dokąd płyniecie? Dokąd zmierzacie, jeśli w obliczu udręki życia oferujecie pochopne i błędne środki zaradcze, takie jak łatwy dostęp do śmierci – wygodne rozwiązanie, które wydaje się łagodne, ale w rzeczywistości jest bardziej gorzkie niż wody morskie? I myślę o bardzo wielu wyrafinowanych ustawach dotyczących eutanazji.

Lizbona, otoczona oceanem, daje nam jednak powód do nadziei, jest miastem nadziei. Ocean młodych ludzi wlewa się do tego gościnnego miasta; i chciałbym wyrazić wdzięczność za wielką pracę i szczodre zaangażowanie Portugalii, aby gościć wydarzenie tak trudne w zarządzaniu, ale owocujące nadzieją. Jak mówi się w tych stronach: „U boku młodych człowiek się nie starzeje”. Młodzi, pochodzący z całego świata, którzy żywią pragnienia jedności, pokoju i braterstwa; młodzi, którzy marzą, pobudzają nas do tego, aby realizować ich marzenia o dobru. Nie wychodzą na ulice, by wykrzyczeć oburzenie, lecz by dzielić się nadzieją Ewangelii, nadzieją życia. A jeśli dziś w wielu miejscach panuje klimat protestu i niezadowolenia, stanowiący podatny grunt dla populizmów i spisków, to Światowe Dni Młodzieży są okazją do budowania razem. Ożywają pragnienie tworzenia nowości, wypływania na głębię i żeglowania razem ku przyszłości. Przychodzą na myśl śmiałe słowa Pessoi: „Żeglowanie jest koniecznością, życie nie jest koniecznością [...]; to, co jest potrzebne, to tworzenie” (Navegar é preciso). Zabierzmy się więc do pracy, z kreatywnością, by budować razem! Wyobrażam sobie trzy warsztaty nadziei, w których wszyscy możemy pracować razem: środowisko, przyszłość, braterstwo.

Środowisko. Portugalia dzieli z Europą wiele wzorcowych wysiłków na rzecz ochrony świata stworzonego. Ale globalny problem pozostaje niezwykle poważny: oceany się ogrzewają, a z ich dna wydobywa się na powierzchnię brzydota, którą zanieczyściliśmy wspólny dom. Przekształcamy wielkie rezerwy życia w wysypiska pełne plastiku. Ocean przypomina nam, że życie ludzkie ma harmonijnie współistnieć ze środowiskiem większym od nas, które musi być chronione, musi być chronione z troską, z myślą o młodych pokoleniach. Jak możemy mówić, że wierzymy w młodych, jeśli nie dajemy im zdrowej przestrzeni do budowania przyszłości?

Drugim warsztatem jest przyszłość. A przyszłość to młodzi. Ale wiele czynników ich zniechęca, takich jak brak pracy, szalone tempo, w którym są zanurzeni, rosnące koszty życia, trudności ze znalezieniem mieszkania i, co jeszcze bardziej niepokojące, lęk przed zakładaniem rodziny i wydawaniem na świat dzieci. W Europie i, bardziej ogólnie, na Zachodzie jesteśmy świadkami fazy spadkowej krzywej demograficznej – postęp wydaje się kwestią dotyczącą rozwoju techniki i komfortu jednostek, podczas gdy przyszłość wymaga przeciwdziałania spadkowi urodzeń i zmierzchowi woli życia. Dobra polityka może tu wiele zdziałać, może być generatorem nadziei. Jej powołaniem nie jest bowiem sprawowanie władzy, lecz dawanie ludziom mocy nadziei. Dziś, bardziej niż kiedykolwiek, jest wezwana do korygowania nierównowagi ekonomicznej rynku, który wytwarza bogactwo, ale go nie dystrybuuje, zubażając ducha pod względem zasobów i pewności. Jest ona wezwana do odkrycia siebie na nowo jako tej, która daje życia i otacza troską, do dalekowzrocznego inwestowania w przyszłość, w rodziny i dzieci, do promowania przymierzy międzypokoleniowych, w których przeszłość nie byłaby wymazywana jednym pociągnięciem ręki, lecz wspierane byłyby więzi między młodymi a starszymi. Musimy podjąć na nowo dialog między młodymi a starszymi. Przypomina o tym portugalskie uczucie saudade, które wyraża nostalgię, tęsknotę za nieobecnym dobrem, które odradza się jedynie w kontakcie z własnymi korzeniami. Młodzi muszą odnaleźć swoje korzenie w starszych. Dlatego ważna jest edukacja, która nie może jedynie przekazywać wiedzy technicznej, służącej rozwojowi ekonomicznemu, ale ma na celu wpisanie w dzieje, przekazanie tradycji, docenienie potrzeb religijnych człowieka i krzewienie przyjaźni społecznej.

Ostatnim warsztatem nadziei jest braterstwo, którego my, chrześcijanie, uczymy się od Pana Jezusa Chrystusa. W wielu częściach Portugalii bardzo żywe jest poczucie sąsiedztwa i solidarności. Jednak w ogólnym kontekście globalizacji, która zbliża nas do siebie, ale nie daje nam braterskiej bliskości, wszyscy jesteśmy wezwani do pielęgnowania poczucia wspólnoty, począwszy od poszukiwania tych, którzy żyją obok nas. Ponieważ, jak zauważył Saramago, „tym, co nadaje prawdziwy sens spotkaniu, jest poszukiwanie, i trzeba przejść długą drogę, aby dotrzeć do tego, co jest blisko” (Todos os nomes [Wszystkie imiona], 1997). Jakże wspaniale jest odkryć na nowo, że jesteśmy braćmi i siostrami, działać dla dobra wspólnego, zostawiając za sobą spory i różnice poglądów! Tutaj również przykładem są dla nas ludzie młodzi, którzy swoim wołaniem o pokój i chęcią życia pobudzają nas do przełamywania sztywnych barier przynależności, wzniesionych w imię różnych opinii i przekonań. Dowiedziałem się o wielu młodych ludziach, którzy pielęgnują tutaj pragnienie stania się bliźnimi; myślę o inicjatywie Missão País, która prowadzi tysiące młodych do przeżywania w duchu Ewangelii doświadczenia solidarności misyjnej na obszarach peryferyjnych, zwłaszcza w wioskach w głębi kraju, odwiedzania wielu samotnych osób starszych, a to jest „namaszczeniem” dla młodzieży. Chciałbym podziękować i dodać otuchy, obok wielu osób, które w społeczeństwie portugalskim troszczą się o innych, tutejszemu Kościołowi, który czyni bardzo wiele dobra, z dala od światła reflektorów.

Bracia i siostry, poczujmy się wezwani wszyscy razem, po bratersku, do dawania nadziei światu, w którym żyjemy, i temu wspaniałemu krajowi. Deus abençoe Portugal! [Niech Bóg błogosławi Portugalię!]

[01184-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

الزيارة الرّسوليّة إلى البرتغال

في مناسبة اليوم العالمي للشّبيبة

كلمة قداسة البابا فرنسيس

في اللقاء مع السُّلُطات وممثّلي المجتمع المدنيّ والسّلك الدبلوماسيّ

في مركز بيليم الثّقافي - لشبونة

الأربعاء 2 آب/أغسطس 2023

السّيّد رئيس الجمهوريّة،

السّيّد رئيس مَجلِس الجمهوريّة،

السّيّد رئيس الوزراء،

السّادة أعضاء الحكومة والسّلك الدّبلوماسيّ،

السُّلُطات وممثّلي المجتمع المدنيّ وعالم الثّقافة،

سيّداتي، سادتي،

أحيّيكم من صميم قلبي وأشكر السّيّد رئيس الجمهوريّة على ترحيبه وكلماته اللطيفة التي وجَّهها إليَّ. يسُرُّني أن أكون في لشبونة، مدينة اللقاء التي تحتضن مختلف الشّعوب والثّقافات، والتي تكتسي في هذه الأيام حلّة عالميّة، وتصير نوعًا ما عاصمة العالم، وعاصمة المُستقبل، لأنّ الشّباب هُم المُستقبل. وهذا يناسب طابعها التّعدّدي، من حيث تعدّد الأعراق والثّقافات - أفكِّر في حيّ موراريا، حيث يعيش بوئام أناس منحدرون من أكثر من ستين بلدًا - ويكشف عن ميزة البرتغال العالميّة، التي تضرب جذورها في الرّغبة في الانفتاح على العالم واستكشافه، والإبحار نحو آفاق شاسعة.

في موقع ”رأس الصّخرة“ (Cabo da Roca)، نُقشت جملة لشاعر كبير من هذه المدينة: "هنا... حيث تنتهي الأرض ويبدأ البحر" (L. Vaz de Camões, Os Lusíadas, III, 20). اعتقد النّاس مدّة قرون أنّ العالم كان ينتهي هنا، وهذا صحيح إلى حدّ ما: نحن عند نهاية العالم، لأنّ هذا البلد يحِدُّ المحيط، ويحدّد موقع القارات. وفي لشبونة نجد عناقه وعطره. يسرُّني أن أشارك في أغنية يحبّها البرتغاليون: "لشبونة، عطر الزهور والبحر" (A. Rodrigues, Cheira bem, cheira a Lisboa, 1972). البحر أكثر بكثير من مجرّد عنصر في مشهد من مشاهد الطّبيعة، إنّه نداء مطبوع في نفس كلّ برتغالي: "بحر يدوِّي، بحر لا قاع له، بحر لا نهاية له" كما أنشدت شاعرة محلية (S. de Mello Breyner Andresen, Mar sonoro). أمام المحيط، يفكِّر البرتغاليون في مساحات النّفس الشّاسعة، وفي معنى الحياة في العالم. وأنا أيضًا، أريد أن أتأمّل في المحيط، وأشارككم بعض الأفكار.

وفقًا للأساطير الكلاسيكيّة، أوقيانس (Oceanus) هو ابن السّماء (أورانوس): مساحاته الشّاسعة تحمل البشر على النّظر إلى الأعلى والارتفاع حتّى اللانهاية. وفي الوقت نفسه، أوقيانس (Oceanus) هو ابن الأرض (Gea) التي يعانقها، ويشمل كذلك العالم كلّه بحنانه. في الواقع، لا يربط المحيط بين الشّعوب والبلدان فقط، بل يربط أيضًا بين الأراضيّ والقارات. لذلك تذكِّر لشبونة، مدينة المحيط، بأهميّة أن نكون معًا، وأن ننظر إلى الحدود كمناطق تواصل، لا حدود فاصلة. نحن نعلَم أنّ القضايا الكبيرة اليوم هي قضايا عالميّة، ومع ذلك فإنّنا غالبًا ما نختبر عدم الفعاليّة في الرّد عليها لأنّ العالم منقسم، أو أنّه على الأقل غير متماسك بما فيه الكفاية، وغير قادر على أن يواجه معًا ما يضع الجميع في أزمة. يبدو أنّ المظالم على مستوى الكوكب، والحروب، وأزمات المناخ والهجرة، تَحدُثُ بأسرعَ مما يمكن ويريد الإنسان أن يواجهها.

يمكن أن تُحدِث لشبونة تغيّيرًا في المواجهة. هنا في عام 2007، تمّ التّوقيع على معاهدة إصلاح الاتّحاد الأوروبي. إنّها تؤكّد أنّ "هدف الاتّحاد هو تعزيز السّلام وقيمه ورفاهية شعوبه" (معاهدة لشبونة المعدِّلة لمعاهدة الاتحاد الأوروبي والمعاهدة التي أنشأت الجماعة الأوروبيّة، المادّة 1، 4/2. 1). وتذهب إلى أبعد من ذلك، مؤكدةً أنّ "العلاقات مع بقية العالم [...] تساهم في السّلام والأمن والتّنمية المستدامة للأرض والتّضامن والاحترام المتبادل بين الشّعوب، والتّجارة الحرّة والعادلة، والقضاء على الفقر وحماية حقوق الإنسان" (المادّة 1، 4/2. 5). إنّها ليست مجرّد كلمات، ولكنّها علامات بارزة في مسيرة الجماعة الأوروبيّة محفورة في ذاكرة هذه المدينة. هذه هي روح الجماعة، التي يسعى إليها الحلم الأوروبيّ، إلى تعدّديّة تتجاوز السّياق الغربي فقط.

وفقًا لبعض الأصول اللغويّة غير الثّابتة، اسم أوروبا مشتّق من كلمة تشير إلى اتجاه الغرب. ومن المؤكّد أنّ لشبونة هي أقصى عاصمة غرب قارة أوروبا. ولذلك فهي تشير إلى الحاجة إلى فتح سبل أوسع للقاء، كما كان يعمل البرتغال من قبل، خاصّة مع بلدان القارات الأخرى التي تشترك في اللغة نفسها. آمل أن يكون اليوم العالمي للشّبيبة دافعًا لانفتاح ”القارة القديمة“ على العالم، أيْ دافعًا لانفتاح يجعله أكثر شبابًا. لأنّ العالم يحتاج إلى أوروبا، لكن إلى أوروبا حقيقيّة: يحتاج إلى دورها كجسر وصانع سلام في الجزء الشّرقي، في البحر الأبيض المتوسط ​، وفي إفريقيا وفي الشّرق الأوسط. وبهذه الطّريقة ستتمكّن أوروبا من القيام بدورها الأصيل الخاصّ في السّاحة الدّوليّة، والذي ظهر في القرن الماضيّ انطلاقًا من بوتقة الصّراعات العالميّة، وأطلقت شرارة المصالحة، محقّقة حلم بناء الغد مع عدو الأمس، لبدء مسارات الحوار والاندماج، وتطوير دبلوماسيّة السّلام التي تطفئ الصّراعات وتهدّئ التّوترات، قادرة على استيعاب أضعف علامات الاسترخاء، والقراءة بين السّطور المتعرّجة.

في بحر التّاريخ، إنّنا نبحِرو اليوم في مرحلة عاصفة، ولا نرى فيها طرق سلام جريئة. إن نظرنا بعاطفة ومودّة صادقة إلى أوروبا، بروح الحوار التي تميّزها، نسألها: إلى أين أنت تبحرين، إن لم تقدِّمي مسارات سلام، وطرقًا خلّاقة لإنهاء الحرب في أوكرانيا والصّراعات العديدة التي تصبغ بالدّم العالم؟ ونوسع الرّؤيّة ونسأل: إلى أيّ اتجاه تسيرين، غربًا؟ إنّ التّكنولوجيا التي ميّزت التّقدّم وفرضت العولمة، لا تكفي وحدها. ولا أكثر الأسلحة تطوُّرًا تكفي، فهي لا تمثّل استثمارات للمستقبل، بل هي إفقار لرأس مال الإنسانيّة الحقيقي، وللتّعلّيم، والرّعاية الصّحيّة، والوضع الاجتماعيّ. إنّه لأمر مقلق عندما نسمع أنّ الأموال تُبذل في أماكن عديدة للتسلّح، بدلًا من استثمارها لمستقبل الأبناء. وهذا صحيح. قال لِي القيّم العام مُنذُ أيّام إنّ أفضل دخلٍ من الاستثمارات هو صناعة الأسلحة. نحن نستثمر في الأسلحة أكثر مِمَّا نستثمر في مستقبل أبنائنا. أنا أحلم بأوروبا، تكون قلب الغرب، تستخدم مهاراتها لإخماد نيران الحروب وإشعال أنوار الأمل. أوروبا التي تعرف أن تستعيد روحها الشّابة وتحلم بعظمة الجماعة، وتتجاوز احتياجات الحاضر الفوري. أوروبا التي تضمّ شعوبًا وأفرادًا بثقافاتهم، من دون فرض نظريات واستعمار أيديولوجيّ. وهذا الأمر سيساعدنا على أن نفكّر في أحلام الآباء المؤسّسين للاتّحاد الأوروبيّ: كانت أحلامهم كبيرة!

إنّ المحيط، بمساحة مياهه الشّاسعة، يذكّر بأصول الحياة. في عالم اليوم المتقدّم، المفارقة هي أن الأولويّة صارت الدّفاع عن الحياة البشريّة، المهدّدة بسبب الانجرافات النّفعيّة، التي تستخدم الحياة ثمّ تنبذها: ثقافة نَبذ الحياة. أفكّر في الأطفال الكثيرين الذين لم يولدوا بعد والمسّنين المتروكين لأنفسهم، وصعوبة التّرحيب والحماية وعدم تأييد ودمج الذين يأتون من بعيد ويطرقون الأبواب، وفي عزلة العائلات الكثيرة التي تواجه الصّعوبة في الإنجاب والتّربية. وهنا أيضًا لا بدّ من أن نسأل: إلى أين تبحرين، يا أوروبا ويا غرب، فيما يُنبَذ المسّنون، وتُرفَع الجدران بالأسلاك الشّائكة، ومع المجازر في البحر وأسِرَّة الأطفال الفارغة؟ إلى أين تبحرين؟ إلى أين تذهبين، أمام الحياة الرّديئة التي تقدّمين لها علاجات متسرعة وخاطئة، لتسهيل الوصول إلى الموت، وهو الحلّ الذي يبدو حلوًا، لكنّه في الواقع أكثر مرارة من مياه البحر؟ وأفكّر في القوانين المتطوّرة الكثيرة حول القتل الرحيم.

ومع ذلك، فإنّ لشبونة، التي يعانقها المحيط، تمنحنا سببًا للأمل، فهي مدينة الأمل. هو محيط من الشّباب يتدفّق إلى هذه المدينة المضيافة. وأودّ أن أشكر البرتغال على العمل الرّائع والالتزام السّخي المقدَّم لاستضافة هذا الحدث الذي تصعب إدارته، ولكنّه مليء بالأمل. كما يقولون في هذه الأنحاء: "مع الشّاب، المرء لا يشيخ". الشّباب القادمون من جميع أنحاء العالم، حاملين الرّغبة في الوَحدة والسّلام والأخوّة، الشّباب الذين يحلمون يتحدَّوْننا لتحقيق أحلامهم الخيِّرة. إنّهم ليسوا في الشّوارع يصيحون غضبًا، بل يهتفون برجاء الإنجيل، ورجاء الحياة. في أجزاء كثيرة من العالم اليوم مناخ من الاحتجاج وعدم الرّضا، وتربة خصبة للشّعبويّة ونظريّات المؤامرة، وأمّا اليوم العالمي للشّبيبة فهو فرصة للبناء معًا. هنا الرّغبة في خلق الأمور الجديدة، والإبحار في البحر والسّير معًا نحو المستقبل. تتبادر إلى ذهني بعض الكلمات الجريئة للشاعر Pessoa: "الإبحار ضروريّ، العيش ليس ضروريًا [...]. الأهمّ هو الخلق" ((Navegar é precis. لنعمل إذن، ولنبدأ بالإبداع لنبني معًا! أتخيّل ثلاثة مجالات نعمل فيها، لتغذيّة الأمل، وحيث يمكن أن نعمل جميعًا معًا: البيئة، والمستقبل، والأخُوّة.

البيئة. تشترك البرتغال مع أوروبا في العديد من الجهود النّموذجيّة لحماية البيئة. لكن المشكلة العالميّة لا تزال خطيرة جدًّا: المحيطات تزداد سخونة وأعماقها تسلّط الضّوء على القبح الذي لوثنا به بيتنا المشترك. ما زلنا نحوِّل الاحتياطي الهائل للحياة إلى مكبات البلاستيك. يذكّرنا المحيط أنّ حياة الإنسان مدعوّة إلى التّوافق مع بيئة أكبر منّا، والتي يجب أن نهتمّ بها بعناية، مفكرين في الأجيال الشّابة. كيف يمكننا القول إنّنا نؤمّن بالشّباب إن لم نوفّر لهم مساحة صحيّة لبناء مستقبلهم؟

المستقبل هو مجال البناء الثّاني. والشّباب هم المستقبل. لكن هناك عوامل عديدة تثبّط عزائمهم، مثل قلّة العمل، والسّرعة المحمومة الغارقين فيها، وارتفاع تكلفة المعيشة، وصعوبة العثور على مسكن، والقلق الأكبر هو الخوف من تكوين أسرة ومن الإنجاب. في أوروبا، وبشكل أعمّ، في الغرب، نشهد مرحلة هبوط محزنة في المنحدر الدّيموغرافي: يبدو أنّ التّقدّم هو مسألة تتعلّق بتطوّر التّكنولوجيا ووسائل الرّاحة للأفراد، في حين أنّ المستقبل يدعو إلى مواجهة انخفاض معدل المواليد، وحلول المغيب في إرادة العيش. يمكن للسياسة الجيّدة أن تصنع الكثير في هذا، ويمكن أن تُوَلِّد الأمل. في الواقع، ليس السياسة مدعوّة إلى التّمسك بالسّلطة، بل إلى منح النّاس قوّة الأمل. إنّها مدعوة، اليوم أكثر من أيّ وقت مضى، إلى تصحيح مواقع الخلل في الاقتصاد، في سوق تنتج الثّروات ولا توزعها، فتفقر النّفوس من حيث الموارد ومن حيث الأمان. إنّها مدعوّة إلى أن ترى نفسها مولِّدة للحياة والرّعاية، وأن تستثمر ببعد نظر في المستقبل، وفي العائلة وفي الأبناء، وتعزيز التّرابط بين الأجيال، حيث لا يُمحى الماضي بسرعة، بل توَثَّق الرّوابط بين الشّباب وكبار السّن. علينا أن نستعيد هذا الرّابط من جديد: الحوار بين الشّباب وكبار السّن. نتذكّر في هذا الصّدد الحنين البرتغالي، الذي يعبّر عن شوق إلى الماضي، ورغبة في خير غائب، يولد من جديد بالاتصال بالجذور. على الشّباب أن يجدوا جذورهم الخاصّة في كبار السّن. وبهذا المعنى، التّربية مهمّة، ولا تقوم فقط بنقل المفاهيم التّقنية للتّقدّم اقتصاديًّا، لكنّها تُدمِجُ في تاريخ، وتسلِّم تقليدًا، وتعطي قيمة لحاجة الإنسان الدّينيّة، وتشجيع الصّداقة الاجتماعيّة.

المجال الأخير لبناء الأمل هو مجال الأخُوّة الذي نتعلّمه نحن المسيحيّين من الرّبّ يسوع المسيح. في أجزاء كثيرة من البرتغال، الإحساس بالجوار والتّضامن شديدان. ومع ذلك، في سياق العولمة العام التي تقربنا بعضنا من بعض، ولكنّها لا تزيد مشاعر الأُخُوَّة، إنّنا جميعًا مدعوّون إلى تنمية الشّعور بالانتماء إلى الجماعة، بدءًا من البحث عن الذين يعيشون في جوارنا. لأنّه، كما أشار ساراماغو (Saramago)، "ما يعطي المعنى الحقيقي للقاء هو البحث، وعلى المرء أن يقطع شوطًا طويلاً للوصول إلى ما هو قريب" (Todos os nomes, 1997). كم هو جميل أن نكتشف أنفسنا إخوة وأخوات، والعمل من أجل الخير العام، تاركين خلفنا التّناقضات والاختلافات في وجهات النّظر! هنا أيضًا نجد مثالًا في الشّباب الذين، بدعوتهم إلى السّلام ورغبتهم في الحياة، يقودوننا إلى هدم أسوار الانتماء الجامدة التي أقيمت باسم الآراء والمعتقدات المختلفة. عرِفت العديد من الشّباب هنا الذين يُغذُّون الرّغبة في أن يكونوا قريبين من غيرهم. أفكِّر في مبادرة Missão País، التي تقود الآلاف من الشّباب إلى عيش خبرة التّضامن الإرساليّ بروح الإنجيل في المناطق في الضّواحي، وخاصّة في القرى داخل البلاد، حيث يقومون بزيارة العديد من المسّنين الوحيدين. أودّ أن أشكر وأشجّعهم، جنبًا إلى جنب مع الكثيرين الذين يهتمّون بالآخرين في المجتمع البرتغالي، والكنيسة المحليّة التي تقدّم الخير الكثير بعيدًا عن الأضواء.

أيّها الإخوة والأخوات، لنشعر جميعًا أنّنا مدعوّون معًا، إخوَةً، إلى إعطاء الأمل للعالم الذي نعيش فيه وهذا البلد الجميل. بارك الله البرتغال!

[01184-AR.01] [Testo originale: Italiano]

[B0541-XX.02]