Discorso del Santo Padre
Traduzione in lingua inglese
Questa mattina, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i promotori del Green and Blue Festival in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente e ha rivolto loro il discorso che pubblichiamo di seguito:
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle!
Sono passati più di cinquant’anni da quando si inaugurò a Stoccolma, il 5 giugno 1972, la prima grande Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente Umano. Essa ha dato il via a varie assise che hanno convocato la comunità internazionale a confrontarsi su come l’umanità sta gestendo la nostra casa comune. Per questo il 5 giugno è diventato la Giornata Mondiale dell’Ambiente. Non dimentico, quando sono andato a Strasburgo, che l’allora Presidente Hollande aveva invitato per ricevermi la Ministro dell’Ambiente, la Sig.ra Ségolène Royal, e lì mi ha detto che aveva sentito che stavo scrivendo qualcosa sull’ambiente. Le dissi di sì, che stavo pensando con un gruppo di scienziati e anche con un gruppo di teologi. E lei mi ha detto questo: “Per favore, lo pubblichi prima della Conferenza di Parigi”. E così è stato fatto. E Parigi è stato proprio un bell’incontro, non per questo mio documento, ma perché l’incontro era di alto livello. Dopo Parigi, purtroppo… E questo a me preoccupa.
In questa metà di secolo sono cambiate molte cose; basti pensare all’avvento delle nuove tecnologie, all’impatto di fenomeni trasversali e mondiali come la pandemia, alla trasformazione di una «società sempre più globalizzata [che] ci rende vicini, ma non ci rende fratelli».[1] Abbiamo assistito a una «crescente sensibilità riguardo all’ambiente e alla cura della natura», maturando «una sincera e dolorosa preoccupazione per ciò che sta accadendo al nostro pianeta» (Enc. Laudato si’, 19). Gli esperti evidenziano chiaramente come le scelte e le azioni messe in atto in questo decennio avranno impatti per migliaia di anni.[2] Si è ampliata la nostra conoscenza sull’impatto delle nostre azioni sulla nostra casa comune e su coloro che la abitano e che la abiteranno. Questo ha accresciuto anche il nostro senso di responsabilità davanti a Dio, che ci ha affidato la cura del creato, davanti al prossimo e davanti alle generazioni future.
«Mentre l’umanità del periodo post-industriale sarà forse ricordata come una delle più irresponsabili della storia, c’è da augurarsi che l’umanità degli inizi del XXI secolo possa essere ricordata per aver assunto con generosità le proprie gravi responsabilità» (ibid., 165).
Il fenomeno del cambiamento climatico ci richiama insistentemente alle nostre responsabilità: esso investe in particolare i più poveri e più fragili, coloro che meno hanno contribuito alla sua evoluzione. È dapprima una questione di giustizia e poi di solidarietà. Il cambiamento climatico ci riporta anche a fondare la nostra azione su una cooperazione responsabile da parte di tutti: il nostro mondo è ormai troppo interdipendente e non può permettersi di essere suddiviso in blocchi di Paesi che promuovano i propri interessi in maniera isolata o insostenibile. «Le ferite portate all’umanità dalla pandemia da Covid-19 e dal fenomeno del cambiamento climatico sono paragonabili a quelle derivanti da un conflitto globale»,[3] dove il vero nemico è il comportamento irresponsabile che ha ricadute su tutte le componenti della nostra umanità di oggi e di domani. Sono venuti a vedermi alcuni anni fa i pescatori di San Benedetto del Tronto, che in un anno sono riusciti a togliere dal mare dodici tonnellate di plastica!
Come «all’indomani della seconda guerra mondiale, è necessario che oggi l’intera comunità internazionale metta come priorità l’attuazione di azioni collegiali, solidali e lungimiranti»,[4] riconoscendo «la grandezza, l’urgenza e la bellezza della sfida che ci si presenta» (Laudato si’, 15). Una sfida grande, urgente e bella, che richiede una dinamica coesa e propositiva.
Si tratta di una sfida “grande” e impegnativa, perché richiede un cambio di rotta, un deciso cambiamento dell’attuale modello di consumo e di produzione, troppo spesso impregnato nella cultura dell’indifferenza e dello scarto, scarto dell’ambiente e scarto delle persone. Oggi sono venuti i gruppi del McDonald’s, il ristoratore, e mi hanno detto che hanno abolito la plastica e tutto si fa con carta riciclabile, tutto… In Vaticano è proibita la plastica. E siamo riusciti al 93%, mi hanno detto, senza plastica. Sono passi, veri passi che dobbiamo continuare. Veri passi.
Inoltre, come indicato da più parti nel mondo scientifico, il cambiamento di questo modello è “urgente” e non può essere più rinviato. Diceva recentemente un grande scienziato – alcuni di voi sicuramente eravate presenti –: “Ieri è nata una mia nipote; non vorrei che la mia nipotina fra trent’anni si trovi in un mondo inabitabile”. Dobbiamo fare qualcosa. È urgente, non può essere rinviato. Dobbiamo consolidare «il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta» (ibid., 14), ben consapevoli che vivere «la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario» (ibid., 217) della nostra esperienza di vita.
È, poi, una sfida “bella”, stimolante e realizzabile: passare dalla cultura dello scarto a stili di vita improntati alla cultura del rispetto e della cura, cura del creato e cura del prossimo, vicino o lontano nello spazio e nel tempo. Ci troviamo davanti a un cammino educativo per una trasformazione della nostra società, una conversione sia individuale che comunitaria (cfr ibid., 219).
Non mancano opportunità e iniziative che mirano ad affrontare seriamente questa sfida. Saluto qui i rappresentanti di alcune Città di vari Continenti, che mi fanno pensare come questa sfida vada affrontata, in maniera sussidiaria, a tutti i livelli: dalle piccole scelte quotidiane alle politiche locali, a quelle internazionali. Di nuovo, va richiamata l’importanza di una cooperazione responsabile ad ogni livello. Abbiamo bisogno del contributo di tutti. E questo costa. Ricordo che quei pescatori di San Benedetto del Tronto mi dicevano: “Per noi all’inizio la scelta era un po’ difficile, perché portare plastica invece di pesci non ci faceva guadagnare”. Ma c’era qualcosa: che l’amore per il creato era più grande. Ecco la plastica e i pesci… E così sono andati avanti. Ma costa!
È necessario accelerare questo cambiamento di rotta a favore di una cultura della cura – come si curano i bambini –, che ponga al centro la dignità umana e il bene comune. E che sia alimentata da «quell’alleanza tra essere umano e ambiente che dev’essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino».[5]
«Non rubiamo alle nuove generazioni la speranza in un futuro migliore».[6] Grazie di tutto quello che fate.
______________
[1] Benedetto XVI, Lett. Enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 19.
[2] Cfr IPCC, Climate Change 2023 Synthesis Report, Summary for Policymakers, C. 1., p. 24.
[3] Messaggio al Presidente della COP26, 29 ottobre 2021.
[4] Ibidem.
[5] Benedetto XVI, Caritas in veritate, 50.
[6] Video-Messaggio al Climate Ambition Summit, 12 dicembre 2020.
[00948-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua inglese
Dear brothers and sisters!
More than fifty years have passed since the first major United Nations Conference on the Human Environment took place in Stockholm, on 5 June 1972. It initiated several meetings that called the international community to discuss how the human family cares for our common home. As such, 5 June was designated World Environment Day. I recall that, during my visit to Strasbourg, the then President Hollande had invited the Minister for the Environment, Mrs Ségolène Royal, to welcome me. She told me that she had heard that I was writing something on the environment. I replied, yes I was talking to a group of scientists and also a group of theologians. She then said: “Please publish it before the Paris Conference”. So that was what happened, and Paris was a very constructive meeting, not because of my own document but because the meeting was high level. After Paris, however… I am concerned.
Much has changed over this half-century. We need only think of the advent of new technologies and the impact of transversal and global phenomena such as the pandemic or the transformation of an increasingly globalized society that “makes us neighbours, but does not make us brothers”.[1] We have also witnessed an “increasing sensitivity to the environment and the need to protect nature”, which has given rise to a “growing concern, both genuine and distressing, for what is happening to our planet” (Laudato Si’, 19). Experts are clear that the impact of the choices and actions made in this current decade will be felt for thousands of years.[2] Our understanding has thus grown concerning the impact our actions will have on our common home and on those who dwell here, both now and in the future. This has also increased our sense of responsibility to God, who has entrusted us with the care of creation, to our neighbours and to future generations.
“Although the post-industrial period may well be remembered as one of the most irresponsible in history, nonetheless there is reason to hope that humanity at the dawn of the twenty-first century will be remembered for having generously shouldered its grave responsibilities” (ibid., 165).
The phenomenon of climate change firmly reminds us of these responsibilities, since it particularly affects the poorest and weakest who have contributed least to its occurrence. This is first a question of justice and then of solidarity. Climate change also calls us to base our actions on responsible cooperation on the part of everyone, for our world is now thoroughly interdependent and cannot allow itself to be divided into blocs of countries that promote their own interests in an isolated or unsustainable way. “The wounds inflicted on our human family by the Covid-19 pandemic and the phenomenon of climate change are comparable to those resulting from a global conflict”,[3] where the real enemy is an irresponsible behaviour that has profound consequences for every aspect of the lives of the men and women of today and tomorrow. A few years ago, some fishermen from San Benedetto del Tronto came to see me. In the space of just one year they had been able to remove twelve tonnes of plastic from the sea!
As in the aftermath of the Second World War, “the international community as a whole needs to set as a priority the implementation of collegial, solidary and farsighted actions”,[4] recognising the “appeal, immensity and urgency of the challenge we face” (Laudato Si’, 15). An appealing, immense and urgent challenge that needs a cohesive and proactive response.
This is an “immense” and demanding challenge, then, because it requires a change of course, a decisive shift in the current model of consumption and production, all too often entrenched in the “throwaway” culture that is indifferent towards both the environment and people. Today a group from the McDonald’s Corporation visited; they told me that they have abolished plastic and use only recyclable paper, for everything... In the Vatican plastic has been banned, and I understand that we are now 93% plastic-free. These are steps, real steps that we have to continue. Real steps.
Moreover, many in the scientific community have pointed out that changing this model is “urgent” and can no longer be postponed. A great scientist recently said – some of you were certainly present – “Yesterday my granddaughter was born; I would not like her to be living in an uninhabitable world thirty years from now”. We must do something. It is urgent and cannot be postponed.
We must therefore consolidate “dialogue about how we are shaping the future of our planet” (ibid., 14), well aware that living out “our vocation to be protectors of God’s handiwork is essential to a life of virtue; it is not an optional or a secondary aspect” (ibid., 217) of our experience of life.
This challenge, then, is “appealing”, stimulating and achievable: to move away from the throwaway culture towards ways of living marked by a culture of respect and care; care of creation and care of our neighbours, whether they be near or far from us either geographically or through time. We are facing an educational journey for transforming our society, a conversion that is at the same time both personal and communal (cf. ibid., 219).
Indeed, there are plenty of opportunities and initiatives that aim to take this challenge seriously. Here, I greet the representatives of a number of cities from various continents. Your presence makes me think how this challenge must be addressed at all levels, in a subsidiary way: from small daily choices, to local and international policies. Again, we must underline the importance of responsible cooperation at every level. We need everyone to contribute. Yet this costs us. I remember the fishermen from San Benedetto del Tronto telling me: “For us, the choice was somewhat difficult at the beginning, because removing plastic instead of fish didn’t earn us any money”. But there was something deeper: their love for creation was greater. They saw both plastic and fish... and did what they had to do. But it costs!
We also ought to speed up this change of course in favour of a culture of care – like our care for children – which places human dignity and the common good at the centre. And which is nurtured by “that covenant between human beings and the environment, which should mirror the creative love of God, from whom we come and towards whom we are journeying”.[5]
“Let us not rob the new generations of their hope in a better future”.[6] Thank you for all that you are doing.
______________
[1] BENEDICT XVI, Encyclical Letter Caritas in Veritate (29 June 2009), 19.
[2] Cf IPCC, Climate Change 2023 Synthesis Report, Summary or Policymakers, C1, p. 24.
[3] Message to the President of COP26, 29 October 2021.
[4] Ibid.
[5] BENEDICT XVI, Encyclical Letter Caritas in Veritate (29 June 2009), 50.
[6] Video-Message to the Climate Ambition Summit, 12 December 2020.
[00948-EN.02] [Original text: Italian]
[B0426-XX.02]