Questa mattina, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Chierici Regolari di San Paolo (Barnabiti) e la famiglia spirituale di Sant’Antonio Maria Zaccaria in occasione del 125.mo anniversario dalla sua canonizzazione.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti nel corso dell’incontro:
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle, benvenuti!
Sono lieto di condividere con voi questo momento di incontro, in occasione del 125° anniversario dalla canonizzazione di Sant’Antonio Maria Zaccaria e mentre vi preparate a due importanti Capitoli Generali. Siete padri, suore e laici, radunati in tre “collegi”, come li ha definiti il vostro Fondatore; tutti animati dallo spirito apostolico di San Paolo, a cui si sono ispirate le vostre origini e sotto la cui protezione tuttora lavorate in varie parti del mondo.
Prendo spunto da un’espressione caratteristica di Sant’Antonio Maria. Diceva ai suoi seguaci: «Dovete correre come pazzi! Correre verso Dio e verso gli altri!» – correre come pazzi, non essere pazzi che corrono, è un’altra cosa! – Di questa esortazione, tipicamente paolina, vorrei sottolineare tre aspetti: il rapporto con Cristo, lo zelo apostolico e il coraggio creativo.
Nell’esperienza dello stesso Zaccaria, alla base della missione c’è il “correre verso Dio”, cioè un rapporto forte con il Signore Gesù, coltivato fin dalla sua giovinezza in un serio cammino di crescita, in particolare meditando la Parola di Dio con l’aiuto di due bravi religiosi. È questo che lo ha portato prima all’impegno catechetico, poi al sacerdozio e infine alla fondazione religiosa. Questo tipo di relazione con Cristo è fondamentale anche per noi, per dire a tutti, avendolo sperimentato personalmente, che la vita non è la stessa con o senza il Signore (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 266), per continuare a “correre verso la meta”, come dice San Paolo, e coinvolgere in questa corsa le persone che ci sono affidate (cfr 1Cor 9,24-27). Il nostro annuncio missionario non è proselitismo – sottolineo tanto questo – ma condivisione di un incontro personale che ha cambiato la nostra vita! Senza questo, non abbiamo nulla da annunciare, né una destinazione verso cui camminare insieme.
Ho avuto, in questo, una brutta esperienza, in un incontro giovanile alcuni anni fa. Uscivo dalla sagrestia e c’era una signora, molto elegante, si vedeva anche che era molto ricca, con un ragazzo e una ragazza. E questa signora, che parlava lo spagnolo, mi dice: “Padre, sono contenta perché ho convertito questi due: questo viene dal tal posto e questa viene dal tal altro”. Mi sono arrabbiato, sapete?, e ho detto: “Tu non hai convertito nulla, hai mancato di rispetto verso queste persone: non li hai accompagnati, hai fatto proselitismo e questo non è evangelizzare”. Era orgogliosa per aver convertito! State attenti a distinguere bene l’azione apostolica dal proselitismo: noi non facciamo proselitismo. Il Signore non ha mai fatto proselitismo.
«Correre verso gli altri»: questa è la seconda indicazione. Anche questo è fondamentale. Infatti se perdiamo di vista, nella nostra vita di fede, l’orizzonte dell’annuncio, finiamo col chiuderci in noi stessi e coll’inaridirci nei terreni deserti dell’autoreferenzialità (cfr Udienza Generale, 11 gennaio 2023). Ci succede come a un atleta che continua a prepararsi per la grande corsa della sua vita senza partire mai: prima o poi finisce col deprimersi e comincia a lasciarsi andare, l’entusiasmo si spegne. E così si diventa discepoli tristi. Noi non vogliamo diventare discepoli tristi! Anche qui faccio una domanda: c’è dentro di me quel verme della tristezza? A volte in me, religioso, religiosa, laico, lascio che quel verme entri? Qualcuno diceva che un cristiano triste è un triste cristiano: è vero. Ma in noi consacrati la tristezza non deve entrare, e se qualcuno sente quella tristezza, vada subito davanti al Signore e chieda luce, e chieda a qualche fratello o sorella che lo aiuti a uscirne.
Per questo Gesù mette alle radici stesse della Chiesa il mandato: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15); e San Paolo lo conferma quando dice, parlando del suo apostolato: “Non posso farne a meno, e guai a me se non annuncio Cristo” (cfr 1Cor 9,16). Non c’era posto per la tristezza, ha voluto andare avanti. Guai a noi se non annunciamo Cristo! Perciò vi incoraggio ad andare avanti nella direzione indicata dal vostro carisma: “Portare lo Spirito vivo di Cristo dappertutto”. Lo Spirito “vivo” di Cristo è quello che conquista il cuore, che non ti fa stare seduto in poltrona, ma ti fa uscire verso i fratelli, con lo zaino leggero e lo sguardo pieno di carità. Portate questo Spirito dappertutto, non escludendo nessuno e aprendosi anche a nuove forme di apostolato, in un mondo che cambia e che ha bisogno di menti flessibili e menti aperte, di cammini di ricerca condivisi, per individuare i modi adatti a trasmettere l’unico Vangelo di sempre.
E con questo veniamo al terzo punto: «correre come pazzi» – che non è lo stesso di pazzi che corrono, è differente – cioè il coraggio creativo. Non si tratta tanto di elaborare tecniche sofisticate di evangelizzazione, quanto piuttosto, come dice San Paolo, di farsi «tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno» (1Cor 9,22), di non fermarsi di fronte alle difficoltà e di guardare oltre gli orizzonti dell’abitudine e del quieto vivere, del “si è sempre fatto così”. Sant’Antonio Maria questo coraggio l’ha avuto, dando vita a istituzioni nuove per la sua epoca: una congregazione di riforma del clero in un tempo in cui tanti ecclesiastici si erano abituati a una vita comoda e agiata; una congregazione religiosa femminile non claustrale, dedita all’evangelizzazione, in un tempo in cui per le donne la vita consacrata era prevista solo in clausura; una congregazione di laici missionari attivamente coinvolti nell’annuncio, in un tempo in cui dominava un certo clericalismo. Erano tutte realtà nuove – è stato creativo, ma con la fedeltà al Vangelo –, queste realtà non c’erano prima: il Fondatore ha capito che potevano essere utili per il bene della Chiesa e della società, e per questo le ha inventate e le ha difese di fronte a chi non ne capiva il senso e l’opportunità, fino al punto di venire a renderne conto a Roma. E anche in questo c’è un insegnamento importante, perché non ha esercitato la sua creatività al di fuori della Chiesa: lo ha fatto dentro di essa, accettando le correzioni e i richiami, cercando di spiegare e illustrare le ragioni delle sue scelte e custodendo la comunione nell’obbedienza.
Concludo richiamando un ultimo valore importante per i vostri “collegi”: l’importanza di fare insieme. La comunione nella vita e nell’apostolato è infatti la prima testimonianza che siete chiamati a rendere, particolarmente in un mondo diviso da lotte ed egoismi. Essa è scritta nel DNA della vita cristiana e dell’apostolato: «Perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21), come pregò il Signore. Del resto la parola stessa “collegio” indica proprio questo: scelti per stare insieme, per vivere, lavorare, pregare, soffrire e gioire insieme, come comunità. E allora, cari fratelli e sorelle: «Correte come pazzi, verso Dio e verso gli altri, insieme!». E la Madonna, che andò in fretta ad aiutare Elisabetta, vi accompagni. Vi benedico di cuore. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.
[00984-IT.02] [Testo originale: Italiano]
[B0403-XX.02]