Visita privata ai bambini dell’Istituto Beato László Batthyány-Strattmann
Incontro con i poveri e con i rifugiati presso la Chiesa di Santa Elisabetta d’Ungheria
Visita alla Comunità greco-cattolica presso la Chiesa Protezione della Madre di Dio
Visita privata ai bambini dell’Istituto Beato László Batthyány-Strattmann
Parole a braccio del Santo Padre
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua araba
Alle ore 8.30 di questa mattina, dopo aver celebrato la Santa Messa in privato, il Santo Padre Francesco ha lasciato la Nunziatura Apostolica di Budapest e si è trasferito in auto all’Istituto Beato László Batthyány-Strattmann.
Al suo arrivo, alle ore 8.36, il Papa è stato accolto all’ingresso principale dal Direttore György Inotay, il quale, mentre si sono recati insieme al refettorio, ha mostrato al Santo Padre alcune aule della struttura.
Quindi il Direttore ha rivolto al Santo Padre un breve saluto di benvenuto, cui ha fatto seguito il canto dell’Ave Maria, l’esecuzione di un brano con il flauto di una bambina, il canto dell’Inno alla carità e il canto di ringraziamento.
Dopo lo scambio di doni, la recita del Padre Nostro e la Benedizione finale, prima di lasciare la struttura, il Direttore ha accompagnato il Papa nella Sala dei lavori, al piano terra, dove ha incontrato e ha salutato brevemente i dipendenti dell’Istituto.
Al termine della visita il Santo Padre si è trasferito in auto alla Chiesa di Santa Elisabetta d’Ungheria per l’incontro con i poveri e con i rifugiati.
Lungo il percorso, nel lasciare l’Istituto, il Papa si è fermato a salutare un gruppo di circa 100 bambini e giovani di una parrocchia vicina dedicata a San Laszlo, che lo attendevano con preghiere e canti lungo la strada. Insieme a loro erano presenti alcuni abitanti della zona.
Pubblichiamo di seguito le parole a braccio che Papa Francesco ha rivolto ai presenti nel corso della visita:
Parole a braccio del Santo Padre
Grazie tante a tutti voi per l’accoglienza e la tenerezza. Grazie per i vostri canti, per i gesti, per i vostri occhi. Grazie, Signor Direttore, perché Lei ha voluto cominciare quest’atto con la preghiera di San Francesco, che è un programma di vita. Perché sempre il Santo chiede la grazia che dove non c’è qualcosa che io possa fare qualcosa, quando manca qualcosa io posso fare qualcosa. In un cammino dalla realtà come è, portare avanti, far camminare la realtà. E questo è Vangelo puro. Gesù è venuto a prendere la realtà com’era e portarla avanti. Sarebbe stato più facile prendere le idee, le ideologie e portarle avanti senza tenere conto della realtà. Questo è il cammino evangelico, questo è il cammino di Gesù. E questo è quello che Lei Signor Direttore ha voluto esprimere con la preghiera di San Francesco. Grazie. E grazie a tutti voi!
[00693-IT.02] [Testo originale: italiano]
Incontro con i poveri e con i rifugiati presso la Chiesa di Santa Elisabetta d’Ungheria
Discorso del Santo Padre
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Traduzione in lingua araba
Questa mattina, lasciato l’Istituto Beato László Batthyány-Strattmann, il Santo Padre Francesco si è recato in auto alla Chiesa di Santa Elisabetta d’Ungheria dove ha avuto luogo l’incontro con i poveri e con i rifugiati.
Al Suo arrivo il Papa è stato accolto all’ingresso della Chiesa dal Presidente di Caritas Ungheria e dal Parroco, il quale gli ha porto la croce e l’acqua benedetta per l’aspersione. Quindi insieme hanno percorso la navata centrale fino ad arrivare all’altare mentre il coro ha intonato un canto.
Dopo le parole di benvenuto del Presidente di Caritas Ungheria, S.E. Mons. Antal Spányi, Vescovo di Székesfehérvár, una famiglia greco-cattolica, una famiglia di rifugiati provenienti dall’Ucraina e un Diacono e sua moglie hanno portato la loro testimonianza. Quindi Papa Francesco ha pronunciato il Suo discorso.
Secondo le autorità locali erano presenti all’incontro circa 600 persone, all’interno della chiesa, e circa 1000 persone, sul piazzale antistante.
Al termine dopo la recita del Padre Nostro, la benedizione e il canto finale di un gruppo Rom, il Santo Padre ha lasciato la Chiesa di Santa Elisabetta d’Ungheria e si è recato alla Chiesa greco-cattolica di Budapest Protezione della Madre di Dio per la visita alla Comunità greco-cattolica.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti nel corso dell’incontro:
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Sono felice di essere qui in mezzo a voi. Grazie, Mons. Antal, per le sue parole di benvenuto e grazie per aver ricordato il generoso servizio che la Chiesa ungherese svolge per e con i poveri. I poveri e i bisognosi – non dimentichiamolo mai – sono al cuore del Vangelo: Gesù, infatti, è venuto, «a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18). Essi, allora, ci indicano una sfida appassionante, perché la fede che professiamo non sia prigioniera di un culto distante dalla vita e non diventi preda di una sorta di “egoismo spirituale”, cioè di una spiritualità che mi costruisco a misura della mia tranquillità interiore e della mia soddisfazione. Vera fede, invece, è quella che scomoda, che rischia, che fa uscire incontro ai poveri e rende capaci di parlare con la vita il linguaggio della carità. Come afferma San Paolo, possiamo parlare tante lingue, possedere sapienza e ricchezze, ma se non abbiamo la carità non abbiamo niente e non siamo niente (cfr 1 Cor 13,1-13).
Il linguaggio della carità. È stata la lingua parlata da Santa Elisabetta, verso la quale questo popolo nutre grande devozione e affetto. Arrivando stamani, ho visto nella piazza la sua statua, con il basamento che la raffigura mentre riceve il cordone dell’ordine francescano e, contemporaneamente, dona l’acqua per dissetare un povero. È una bella immagine della fede: chi “si lega a Dio”, come fece San Francesco d’Assisi a cui Elisabetta si è ispirata, si apre alla carità verso il povero, perché «se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv 4,20).Santa Elisabetta, figlia di re, era cresciuta nell’agiatezza di una vita di corte, in un ambiente lussuoso e privilegiato; eppure, toccata e trasformata dall’incontro con Cristo, ben presto sentì un rigetto verso le ricchezze e le vanità del mondo, avvertendo il desiderio di spogliarsene e di prendersi cura di chi era nel bisogno. Così, non solo spese i suoi averi, ma anche la sua vita a favore degli ultimi, dei lebbrosi, dei malati fino a curarli personalmente e a portarli sulle proprie spalle. Ecco il linguaggio della carità.
Ce ne ha parlato anche Brigitta, che ringrazio per la sua testimonianza. Tante privazioni, tanta sofferenza, tanto duro lavoro per cercare di andare avanti e di non far mancare il pane ai suoi figli e, nel momento più drammatico, il Signore le è venuto incontro per soccorrerla. Ma – l’abbiamo ascoltato dalle sue stesse parole – come è intervenuto il Signore? Egli, che ascolta il grido di chi è povero, «rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati» e «rialza chi è caduto» (Sal 146,7-8), non arriva quasi mai risolvendo dall’alto i nostri problemi, ma si fa vicino con l’abbraccio della sua tenerezza ispirando la compassione di fratelli e sorelle che se ne accorgono e non restano indifferenti. Brigitta ce l’ha detto: ha potuto sperimentare la vicinanza del Signore grazie alla Chiesa greco-cattolica, a tante persone che si sono prodigate per aiutarla, incoraggiarla, trovarle un lavoro e sostenerla nei bisogni materiali e nel cammino della fede. Questa è la testimonianza che ci è richiesta: la compassione verso tutti, specialmente verso coloro che sono segnati dalla povertà, dalla malattia e dal dolore. Compassione che vuol dire “patire con”. Abbiamo bisogno di una Chiesa che parli fluentemente il linguaggio della carità, idioma universale che tutti ascoltano e comprendono, anche i più lontani, anche coloro che non credono.
E a questo proposito esprimo la mia gratitudine alla Chiesa ungherese per l’impegno profuso nella carità, un impegno capillare: avete creato una rete che collega tanti operatori pastorali, tanti volontari, le Caritas parrocchiali e diocesane, ma anche gruppi di preghiera, comunità di credenti, organizzazioni appartenenti ad altre Confessioni ma unite in quella comunione ecumenica che sgorga proprio dalla carità. E grazie per come avete accolto – non solo con generosità ma pure con entusiasmo – tanti profughi provenienti dall’Ucraina. Ho ascoltato con commozione la testimonianza di Oleg e della sua famiglia; il vostro “viaggio verso il futuro” – un futuro diverso, lontano dagli orrori della guerra – è iniziato in realtà con un “viaggio nella memoria”, perché Oleg ha ricordato la calorosa accoglienza ricevuta in Ungheria anni fa, quando venne a lavorare come cuoco. La memoria di quella esperienza lo ha incoraggiato a partire con la sua famiglia e a venire qui a Budapest, dove ha trovato generosa ospitalità. Il ricordo dell’amore ricevuto riaccende la speranza, incoraggia a intraprendere nuovi percorsi di vita. Anche nel dolore e nella sofferenza, infatti, si ritrova il coraggio di andare avanti quando si è ricevuto il balsamo dell’amore: e questa è la forza che aiuta a credere che non è tutto perduto e che un futuro diverso è possibile. L’amore che Gesù ci dona e che ci comanda di vivere contribuisce allora a estirpare dalla società, dalle città e dai luoghi in cui viviamo, i mali dell’indifferenza – è una peste l’indifferenza! – e dell’egoismo, e riaccende la speranza di un’umanità nuova, più giusta e fraterna, dove tutti possano sentirsi a casa.
Tante persone, purtroppo, anche qui, sono letteralmente senza casa: molte sorelle e fratelli segnati dalla fragilità – soli, con vari disagi fisici e mentali, distrutti dal veleno della droga, usciti di prigione o abbandonati perché anziani – sono colpiti da gravi forme di povertà materiale, culturale e spirituale, e non hanno un tetto e una casa da abitare. Zoltàn e sua moglie Anna ci hanno offerto la loro testimonianza su questa grande piaga: grazie per le vostre parole. E grazie per aver accolto quella mozione dello Spirito Santo che vi ha portato, con coraggio e generosità, a costruire un centro per accogliere persone senza fissa dimora. Mi ha colpito sentire che, insieme ai bisogni materiali, prestate attenzione alla storia e alla dignità ferita delle persone, prendendovi cura della loro solitudine, della loro fatica di sentirsi amate e benvenute al mondo. Anna ci ha detto che «è Gesù, la Parola vivente, che guarisce i loro cuori e le loro relazioni, perché la persona si ricostruisce dall’interno»; rinasce, cioè, quando sperimenta che agli occhi di Dio è amata e benedetta. Questo vale per tutta la Chiesa: non basta dare il pane che sfama lo stomaco, c’è bisogno di nutrire il cuore delle persone! La carità non è una semplice assistenza materiale e sociale, ma si preoccupa della persona intera e desidera rimetterla in piedi con l’amore di Gesù: un amore che aiuta a riacquistare bellezza e dignità.
Fare la carità significa avere il coraggio di guardare negli occhi. Tu non puoi aiutare un altro guardando da un’altra parte. Per fare la carità ci vuole il coraggio di toccare: tu non puoi buttare l’elemosina a distanza senza toccare. Toccare e guardare. E così tu toccando e guardando incominci un cammino, un cammino con quella persona bisognosa, che ti farà capire quanto bisognoso, quanto bisognosa sei tu dello sguardo e della mano del Signore.
Fratelli e sorelle, vi incoraggio a parlare sempre il linguaggio della carità. La statua in questa piazza raffigura il miracolo più famoso di santa Elisabetta: si racconta che il Signore una volta trasformò in rose il pane che portava ai bisognosi. È così anche per voi: quando vi impegnate a portare il pane agli affamati, il Signore fa fiorire la gioia e profuma la vostra esistenza con l’amore che donate. Fratelli e sorelle, vi auguro di portare sempre il profumo della carità nella Chiesa e nel vostro Paese. E vi chiedo, per favore, di continuare a pregare per me.
[00686-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Chers frères et sœurs, bonjour !
Je suis heureux d'être ici parmi vous. Merci, Monseigneur Antal, pour vos paroles de bienvenue et merci d'avoir mentionné le service généreux que l'Église hongroise accomplit pour et avec les pauvres. Les pauvres et les nécessiteux - ne l'oublions jamais - sont au cœur de l'Évangile : Jésus est, en effet, venu "porter la Bonne Nouvelle aux pauvres" (Lc 4, 18). Ils nous renvoient donc à un défi passionnant, pour que la foi que nous professons ne soit pas prisonnière d'un culte éloigné de la vie et ne devienne pas la proie d'une sorte d'"égoïsme spirituel", c'est-à-dire d'une spiritualité que je construis pour ma propre tranquillité intérieure et ma propre satisfaction. La vraie foi, en revanche, est celle qui dérange, qui risque, qui fait sortir à la rencontre des pauvres et qui rend capable de parler à travers la vie le langage de la charité. Comme le dit saint Paul, nous pouvons parler beaucoup de langues, posséder la sagesse et les richesses, mais si nous n'avons pas la charité, nous n'avons rien et nous ne sommes rien (cf. 1 Co 13, 1-13).
Le langage de la charité. C'est la langue que parlait sainte Élisabeth, à qui ce peuple voue une grande dévotion et une grande affection. En arrivant ce matin, j'ai vu sur la place sa statue, avec son piédestal qui la représente, recevant le cordon de l'ordre franciscain et en même temps donnant de l'eau pour désaltérer d'un pauvre. C'est une belle image de la foi : qui "s'attache à Dieu", comme l’a fait saint François d'Assise dont Élisabeth s'est inspirée, s'ouvre à la charité envers le pauvre, car «Si quelqu’un dit: «J’aime Dieu», alors qu’il a de la haine contre son frère, c’est un menteur. En effet, celui qui n’aime pas son frère, qu’il voit, est incapable d’aimer Dieu, qu’il ne voit pas » (1 Jn 4, 20). Sainte Elisabeth, fille de roi, avait grandi dans l'opulence de la vie de cour, dans un environnement luxueux et privilégié. Cependant, touchée et transformée par sa rencontre avec le Christ, elle a rapidement ressenti un rejet des richesses et des vanités du monde, et a éprouvé le désir de s'en dépouiller et de s'occuper de ceux qui étaient dans le besoin. C'est ainsi qu'elle a dépensé non seulement ses biens, mais aussi sa vie en faveur des derniers, des lépreux, des malades, au point de s'en occuper personnellement et de les porter sur ses épaules. C'est là le langage de la charité.
Brigitta nous en a également parlé et je la remercie pour son témoignage. Tant de privations, tant de souffrances, tant de travail pour essayer de s'en sortir et ne pas laisser ses enfants manquer de pain. Et au moment le plus dramatique, le Seigneur vient à son secours. Mais - nous l'avons entendu de sa bouche - comment le Seigneur est-il intervenu ? Lui qui entend les cris des pauvres, «fait justice aux opprimés, donne le painaux affamés » et «redresse les accablés» (Ps 146, 7-8), n'arrive presque jamais en résolvant nos problèmes d'en haut, mais se fait proche avec l'étreinte de sa tendresse, inspirant la compassion des frères qui s'en aperçoivent et ne restent pas indifférents. Brigitta nous l'a dit : elle a pu faire l'expérience de la proximité du Seigneur grâce à l'Église gréco-catholique, à tant de personnes qui se sont prodiguées pour l'aider, l'encourager, lui trouver un travail et la soutenir dans ses besoins matériels et dans son cheminement de foi. C'est cela le témoignage qui nous est demandé : la compassion envers tous, en particulier envers ceux qui sont marqués par la pauvreté, la maladie et la souffrance. La compassion qui signifie "souffrir avec". Nous avons besoin d'une Église qui parle couramment le langage de la charité, un langage universel que tous entendent et comprennent, même les plus éloignés, même ceux qui ne croient pas.
À ce propos, j'exprime ma gratitude à l'Église hongroise pour son engagement caritatif, un engagement capillaire : vous avez créé un réseau qui relie beaucoup d'agents pastoraux, beaucoup de bénévoles, les Caritas paroissiales et diocésaines, mais aussi des groupes de prière, des communautés de croyants, des organisations appartenant à d'autres confessions mais unies dans cette communion œcuménique qui jaillit justement de la charité. Et merci pour la manière dont vous avez accueilli - non seulement avec générosité mais aussi avec enthousiasme - tant de réfugiés en provenance d'Ukraine. J'ai écouté avec émotion le témoignage d'Oleg et de sa famille ; votre "voyage vers l'avenir" - un avenir différent, loin des horreurs de la guerre - a en fait commencé par un "voyage dans la mémoire", car Oleg s'est souvenu de l'accueil chaleureux qu'il avait reçu en Hongrie il y a des années, lorsqu'il était venu travailler comme cuisinier. Le souvenir de cette expérience l'a encouragé à partir avec sa famille et à venir ici, à Budapest, où il a trouvé une généreuse hospitalité. Le souvenir de l'amour reçu ravive l'espoir et incite à emprunter de nouveaux chemins de vie. Même dans la douleur et la souffrance, on trouve, en effet, le courage d’avancer quand on a reçu le baume de l'amour: et ça c'est la force qui aide à croire que tout n'est pas perdu et qu'un avenir différent est possible. L'amour que Jésus nous donne et nous commande de vivre contribue alors à éradiquer les maux de l'indifférence - l'indifférence est un fléau ! - et de l'égoïsme de la société, des villes et des lieux où nous vivons, et ravive l'espoir d'une humanité nouvelle, plus juste et fraternelle, où chacun puisse se sentir chez lui.
Tant de personnes, malheureusement, sont, ici aussi littéralement sans demeure : beaucoup de sœurs et de frères marqués par la fragilité - seuls, avec divers problèmes physiques et mentaux, détruits par le poison de la drogue, sortis de prison ou abandonnés parce qu'ils sont âgés - sont touchés par de graves formes de pauvretés matérielle, culturelle et spirituelle, et n'ont ni toit, ni maison pour vivre. Zoltàn et sa femme Anna nous ont offert leur témoignage sur ce grand fléau : merci pour vos paroles. Et merci d'avoir accueilli cette motion de l'Esprit Saint qui vous a conduits, avec courage et générosité, à construire un centre d'accueil pour les sans-abri. J'ai été frappé d'entendre qu'à côté des besoins matériels, vous êtes attentifs à l'histoire et à la dignité blessée des personnes, en prenant soin de leur solitude, de leur lutte pour se sentir aimées et accueillies dans le monde. Anna nous a dit: "c'est Jésus, la Parole vivante, qui guérit leurs cœurs et leurs relations, parce que la personne se reconstruit de l'intérieur" ; c'est-à-dire qu'elle renaît lorsqu'elle fait l'expérience qu'aux yeux de Dieu, elle est aimée et bénie. Cela vaut pour toute l'Église : il ne suffit pas de donner du pain pour nourrir l'estomac, il faut aussi nourrir le cœur des gens ! La charité n'est pas une simple assistance matérielle et sociale, elle se préoccupe de toute la personne et veut la remettre debout grâce à l'amour de Jésus : un amour qui aide à retrouver beauté et dignité.
Faire la charité, c'est avoir le courage de regarder dans les yeux. Tu ne peux pas aider quelqu'un en détournant le regard. Pour faire la charité, il faut avoir le courage de toucher : on ne peut pas faire l'aumône à distance sans toucher. Toucher et regarder. Ainsi, en touchant et en regardant, tu entames un voyage, un voyage avec cette personne dans le besoin, qui te fera réaliser à quel point tu as besoin, à quel point tu as besoin du regard et de la main du Seigneur.
Frères et sœurs, je vous encourage à parler toujours le langage de la charité. La statue sur cette place représente le miracle le plus connu de sainte Elisabeth: on raconte qu’une fois le Seigneur transforma le pain qu’elle apportait aux nécessiteux en roses. C’est la même chose pour vous, quand vous vous engagez à apporter du pain à ceux qui ont faim, le Seigneur fait fleurir la joie et parfume votre existence avec l'amour que vous donnez. Frères et sœurs, je vous souhaite d’apporter toujours le parfum de la charité dans l'Église et dans votre pays. Et je vous demande, s'il vous plaît, de continuer à prier pour moi.
[00686-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Dear brothers and sisters, good morning!
I am happy to be here with you. Thank you, Bishop Antal, for your words of welcome, and for describing the generous service that the Hungarian Church carries out for and with the poor. Those in need – let us never forget – are at the heart of the Gospel, for Jesus came among us “to bring glad tidings to the poor” (Lk 4:18). The poor, then, present us with a great challenge: we must refuse to let the faith we profess be imprisoned by a piety removed from life, one that results in a kind of “spiritual egotism”, a spirituality of my own creation that serves to preserve my own inner tranquillity and complacency. Genuine faith is challenging, it takes risks, it leads us to encounter the poor and, by the witness of our lives, to speak the language of charity. Saint Paul tells us that we may speak in many tongues and possess great wisdom and wealth, but if we lack charity, we have nothing and we are nothing (cf. 1 Cor 13:1-13).
The language of charity. This was the language spoken by Saint Elizabeth, to whom the Hungarian people have great devotion and affection. Upon my arrival this morning, I saw her statue in the square, with its base that shows her receiving the cord of the Franciscan order and giving water to quench a poor man’s thirst. This is an eloquent image of faith: those who “bind themselves to God”, like Saint Francis of Assisi, who was an inspiration to Saint Elizabeth, become charitable to the poor. For “if anyone says, ‘I love God,’ and hates his brother, he is a liar; for he who does not love his brother whom he has seen, cannot love God whom he has not seen” (1 Jn 4:20). Saint Elizabeth, the daughter of a king, had grown up in the comfort of a life at court, in a luxurious and privileged environment. Yet once she was touched and transformed by her encounter with Christ, she felt repelled by worldly riches and vanities, and sought to renounce them and to care for those in need. Thus, she not only sold her possessions but also spent her life serving the poor, lepers and the sick, personally caring for them, even carrying them on her own shoulders. That is the language of charity.
Brigitta spoke to us about this, and I thank her for her witness. She told us of her many privations, her struggles and her hard work to try to get by and to keep her children from going hungry. Then, at the most devastating moment, the Lord came to her aid. She told us how the Lord intervenes. He who hears the cry of the poor, who “secures justice for the oppressed, who gives bread to the hungry” and “raises up those who are bowed down”, almost never intervenes by solving our problems from on high. Rather he draws near to us with the embrace of his tender love, inspiring compassion in our brothers and sisters who take notice and choose not to remain indifferent. As Brigitta mentioned, she was able to experience the Lord’s closeness thanks to the Greek Catholic Church, to so many people who did their best to help her, to encourage her, to find her a job and support her in both her material needs and her journey of faith. That is the kind of witness we are asked to give: showing compassion toward all, especially those experiencing poverty, illness and pain; compassion, which means “to suffer with”. We need a Church that is fluent in the language of charity, that universal language which everyone can hear and understand, even those farthest from us, even those who are not believers.
Here I wish to express my gratitude to the Church in Hungary for its generous and wide-ranging service to charity. You have built up a network that links pastoral workers, volunteers, parish and diocesan Caritas organizations, while also engaging prayer groups, communities of believers, and organizations belonging to other confessions, yet united in the ecumenical fellowship that is born of charity. Thank you too, for having welcomed – not only with generosity but also with enthusiasm – so many refugees from Ukraine. I was moved as I listened to the testimony of Oleg and his family. Their “journey to the future” – a different future, far from the horrors of war – actually began with a “journey of memory”, because Oleg remembered the warm welcome he received in Hungary years ago, when he came to work here as a cook. The memory of that experience encouraged him to take his family and come here to Budapest, where he met with generous hospitality. The memory of love received rekindles hope and inspires people to embark upon a new journey in life. Even amid pain and suffering, once we have received the balm of love, we find the courage needed to keep moving forward: we find the strength to believe that all is not lost, and that a different future is possible. The love that Jesus gives us and commands us to practise can help to uproot the evils of selfishness and of the scourge of indifference from society, from our cities and the places where we live, and to rekindle hope for a new, more just and fraternal world, where all can feel at home.
Sadly, many people, even here, are literally homeless. Many of our more vulnerable sisters and brothers – living alone, struggling with various physical and mental disabilities, devastated by the poison of drugs, released from prison or abandoned because they are elderly – are experiencing severe material, cultural and spiritual poverty; they have no roof over their heads and no home in which to live. Zoltàn and his wife Anna offered us their testimony about this immense problem – thank you for your words! Thank you too, for responding to the prompting of the Holy Spirit, which led you with courage and generosity to build a centre to take in the homeless. I was moved to hear that, together with their material needs, you are attentive to their personal stories and their wounded dignity, caring for them in their loneliness and their struggle to feel loved and welcomed in the world. Anna told us that, “Jesus, the living Word, heals their hearts and relationships, because people are rebuilt from within”; once they realize that in God’s eyes they are beloved and blessed, they are reborn. This is a lesson for the whole Church: it is not enough to provide bread to fill stomachs; we need to fill people’s hearts! Charity is much more than material and social assistance. It has to do with the whole person; it strives to put people back on their feet with the love of Jesus: a love that helps them to recover their beauty and their dignity.
Offering charity means having the courage to look into people’s eyes. We cannot help others while looking away. To be charitable requires the courage to touch: we cannot give alms at a distance, without touching. To touch and to look. In this way, by touching and looking, we begin to journey with those in need. And this makes us realize how much we ourselves need the Lord’s gaze and touch.
Brothers and sisters, I encourage you always to speak the language of charity. The statue in this square represents the most famous miracle of Saint Elizabeth: we are told that the Lord once turned the loaves of bread she was carrying to the needy into so many roses. This is also the case for you: whenever you strive to offer bread to the hungry, the Lord makes joy blossom within you and infuses your life with the fragrance of the gift of love that you give. Brothers and sisters, my hope and prayer, then, is that you will always spread the fragrance of charity in the Church and in your country. I ask you, please, to continue to pray for me. Thank you.
[00686-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Guten Morgen, liebe Brüder und Schwestern!
Ich bin froh, hier unter euch zu sein. Danke, Bischof Antal, für Ihre Begrüßungsworte und danke, dass Sie an den großherzigen Dienst erinnert haben, den die ungarische Kirche für die Armen und mit den Armen leistet. Die Armen und die Bedürftigen – das sollten wir nie vergessen – stehen im Mittelpunkt des Evangeliums: Jesus ist nämlich gekommen, „damit er den Armen eine frohe Botschaft bringe“ (vgl. Lk 4,18). Sie zeigen uns somit eine faszinierende Herausforderung auf, damit der Glaube, zu dem wir uns bekennen, nicht zum Gefangenen eines lebensfernen Kults wird und nicht einer Art von „spirituellem Egoismus“ zum Opfer fällt, also einer Spiritualität, die ich für meine eigene innere Ruhe und Zufriedenheit konstruiere. Wahrer Glaube hingegen ist derjenige, der stört, der riskiert, der zu den Armen hinausführt und dazu befähigt, mit dem Leben die Sprache der Nächstenliebe zu sprechen. Wie der heilige Paulus sagt, können wir viele Sprachen sprechen, Weisheit und Reichtümer besitzen, aber wenn wir keine Liebe haben, haben und sind wir nichts (vgl. 1 Kor 13,1-13).
Die Sprache der Nächstenliebe. Das war die Sprache der heiligen Elisabeth, für die dieses Volk große Verehrung und Zuneigung hegt. Als ich heute Morgen angekommen bin, habe ich auf dem Platz ihre Statue gesehen, mit dem Sockel, der darstellt, wie sie das Zingulum des Franziskanerordens empfängt und zugleich Wasser reicht, um den Durst eines Armen zu stillen. Es ist ein wunderbares Bild für den Glauben: Wer sich „an Gott bindet“ wie der heilige Franz von Assisi, von dem sich Elisabeth inspirieren ließ, der öffnet sich für die Liebe dem Armen gegenüber, denn »wenn jemand sagt: Ich liebe Gott!, aber seinen Bruder hasst, ist er ein Lügner. Denn wer seinen Bruder nicht liebt, den er sieht, kann Gott nicht lieben, den er nicht sieht« (1 Joh 4,20). Die heilige Elisabeth, eine Königstochter, war im Wohlstand eines höfischen Lebens aufgewachsen, in einer luxuriösen und privilegierten Umgebung. Doch berührt und verwandelt durch die Begegnung mit Christus, fühlte sie schon bald eine Ablehnung gegenüber den Reichtümern und Eitelkeiten der Welt und verspürte den Wunsch, sich von ihnen zu trennen und sich um die Bedürftigen zu kümmern. So veräußerte sie nicht nur ihren Besitz, sondern widmete auch ihr Leben den Geringsten, den Aussätzigen und den Kranken. Das ging so weit, dass sie sich persönlich um sie kümmerte und sie auf ihren eigenen Schultern trug. Das ist die Sprache der Nächstenliebe.
Auch Brigitta hat uns davon erzählt, der ich für ihr Zeugnis danke. Viel Entbehrung, viel Leid, viel harte Arbeit, um über die Runden zu kommen und es ihren Kindern nicht an Brot fehlen zu lassen, und im kritischsten Moment ist ihr der Herr entgegengekommen, um ihr zu helfen. Aber – wir haben es mit ihren eigenen Worten gehört – wie hat der Herr eingegriffen? Den Schrei des Armen hört er, »Recht schafft er den Unterdrückten, Brot gibt er den Hungernden« und er »richtet auf die Gebeugten« (Ps 146,7-8): Der Herr kommt fast nie, indem er unsere Probleme von oben herab löst, sondern er nähert sich mit der Umarmung seiner Zärtlichkeit und weckt das Mitgefühl von Brüdern, die auf jene Probleme aufmerksam werden und nicht gleichgültig bleiben. Brigitta hat uns erzählt, dass sie dank der griechisch-katholischen Kirche die Nähe des Herrn erfahren konnte, dank vieler Menschen, die alles getan haben, um ihr zu helfen, sie zu ermutigen, eine Arbeit für sie zu finden und sie in ihren materiellen Bedürfnissen und auf ihrem Glaubensweg zu unterstützen. Das ist das Zeugnis, das von uns verlangt wird: Barmherzigkeit gegenüber allen, besonders gegenüber denen, die von Armut, Krankheit und Schmerz gezeichnet sind. Mitleid, das will heißen „mit-leiden“. Wir brauchen eine Kirche, die die Sprache der Nächstenliebe fließend spricht, eine Universalsprache, die alle hören und verstehen, auch diejenigen, die am weitesten entfernt sind, auch diejenigen, die nicht glauben.
Und in diesem Zusammenhang danke ich der ungarischen Kirche für ihr Engagement in der Nächstenliebe, das sehr engmaschig ist: Ihr habt ein Netzwerk geschaffen, das viele pastorale Mitarbeiter miteinander verbindet, viele Ehrenamtliche, die Caritas auf pfarrlicher und diözesaner Ebene, aber auch Gebetsgruppen, Gemeinschaften von Gläubigen, Organisationen, die zu anderen Konfessionen gehören und dennoch in jener ökumenischen Gemeinschaft vereint sind, die gerade aus der Nächstenliebe entsteht. Und ich danke euch für die Art und Weise, mit der ihr so viele Flüchtlinge aufgenommen habt, die aus der Ukraine stammen – nicht nur mit Großherzigkeit, sondern auch mit Begeisterung. Ich habe dem Zeugnis von Oleg und seiner Familie mit Betroffenheit zugehört. Eure „Reise in die Zukunft“ – eine andere Zukunft, weit weg von den Schrecken des Krieges – hat in Wirklichkeit mit einer „Reise in die Erinnerung“ begonnen, weil Oleg sich an die herzliche Aufnahme erinnerte, die er vor Jahren in Ungarn erfahren hatte, als er hierhergekommen war, um als Koch zu arbeiten. Die Erinnerung an jene Erfahrung hat ihn ermutigt, mit seiner Familie aufzubrechen und hierher nach Budapest zu kommen, wo er großzügige Gastfreundschaft gefunden hat. Die Erinnerung an die empfangene Liebe lässt die Hoffnung wieder neu aufleben und ermutigt dazu, im Leben neue Wege zu gehen. Denn auch in Schmerz und Leid findet man den Mut, vorwärts zu gehen, wenn man den Balsam der Liebe empfangen hat: und das ist die Kraft, die einem hilft zu glauben, dass nicht alles verloren ist und dass eine andere Zukunft möglich ist. Die Liebe, die Jesus uns schenkt und die er uns zu leben aufträgt, trägt also dazu bei, die Übel der Gleichgültigkeit - die Gleichgültigkeit ist eine Pest! - und des Egoismus aus der Gesellschaft, aus den Städten und aus den Orten, in denen wir leben, auszumerzen, und sie weckt wieder Hoffnung auf eine neue, gerechtere und geschwisterlichere Menschheit, in der sich alle zu Hause fühlen können.
Leider sind auch hier viele Menschen im wahrsten Sinne des Wortes obdachlos: Sehr viele Schwestern und Brüder, die von Schwäche gezeichnet sind – einsam, mit verschiedenen körperlichen und geistigen Beschwerden, zugrunde gerichtet durch das Gift von Drogen, aus dem Gefängnis freigekommen oder aufgrund ihres Alters verlassen – sind von schweren Formen materieller, kultureller und geistlicher Armut betroffen und haben kein Dach über dem Kopf und kein Haus, in dem sie leben können. Zoltàn und seine Frau Anna haben uns über dieses große Übel berichtet: Danke für eure Worte. Und danke, dass ihr jene Regung des Heiligen Geistes aufgenommen habt, die euch dazu gebracht hat, mutig und großherzig ein Zentrum zur Aufnahme von Obdachlosen zu bauen. Es hat mich beeindruckt zu hören, dass ihr neben den materiellen Bedürfnissen auch auf die Geschichte und die verletzte Würde der Personen achtet, indem ihr euch um ihre Einsamkeit kümmert sowie um ihr Bemühen, sich geliebt und in der Welt willkommen zu fühlen. Anna sagte uns, dass »es Jesus, das lebendige Wort, ist, der ihre Herzen und ihre Beziehungen heilt, weil die Person von innen heraus wieder aufgebaut wird«; das heißt, sie wird neu geboren, wenn sie erfährt, dass sie in Gottes Augen geliebt und gesegnet ist. Das gilt für die ganze Kirche: Es genügt nicht, Brot zu geben, das dem Magen sättigt, es ist auch nötig, die Herzen der Menschen zu nähren! Nächstenliebe ist nicht ein bloßer materieller und sozialer Beistand, sondern sie kümmert sich um die Person als Ganze und will ihr mit der Liebe Jesu wieder aufhelfen: mit einer Liebe, die hilft, Schönheit und Würde wiederzuerlangen.
Nächstenliebe zu üben bedeutet, den Mut zu haben, dem anderen in die Augen zu schauen. Man kann einem anderen nicht helfen, wenn man wegschaut. Nächstenliebe erfordert den Mut zur Berührung: Man kann keine Almosen aus der Ferne zuwerfen, ohne zu berühren. Berühren und anschauen. Indem du berührst und schaust, beginnst du einen Weg, einen Weg mit dieser bedürftigen Person, der dir bewusst macht, wie bedürftig du bist, wie sehr du den Blick und die Hand des Herrn brauchst.
Brüder und Schwestern, ich ermutige euch, immer die Sprache der Nächstenliebe zu sprechen. Die Statue auf diesem Platz stellt das berühmteste Wunder der der heiligen Elisabeth dar: Es heißt, dass der Herr einmal das Brot, das sie den Bedürftigen brachte, in Rosen verwandelte. So ist es auch für euch: Wenn ihr es auf euch nehmt, den Hungernden Brot zu bringen, lässt der Herr die Freude aufblühen und verleiht eurem Leben den Duft der Liebe, die ihr verschenkt. Brüder und Schwestern, ich wünsche euch, dass ihr stets den Duft der Nächstenliebe in die Kirche und in euer Land tragt. Und ich bitte euch, weiterhin für mich zu beten.
[00686-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Queridos hermanos y hermanas, ¡buenos días!
Me siento feliz de estar aquí entre ustedes. Gracias, Mons. Antal, por sus palabras de bienvenida y gracias por haber recordado el generoso servicio que la Iglesia húngara realiza para y con los pobres. Los pobres y los necesitados —no lo olvidemos nunca— están en el corazón del Evangelio: Jesús, en efecto, vino «a llevar la Buena Noticia a los pobres» (Lc 4,18). Ellos, entonces, nos indican un desafío apasionante, para que la fe que profesamos no sea prisionera de un culto alejado de la vida y no se convierta en presa de una especie de “egoísmo espiritual”, es decir, de una espiritualidad que me construyo a la medida de mi tranquilidad interior y de mi satisfacción. La fe verdadera, en cambio, es aquella que incomoda, que arriesga, que hace salir al encuentro de los pobres y capacita para hablar con la vida el lenguaje de la caridad. Como afirma san Pablo, podemos hablar muchas lenguas, poseer sabiduría y riquezas, pero si no tenemos caridad no poseemos nada y no somos nada (cf. 1 Co 13,1-13).
El lenguaje de la caridad. Fue la lengua hablada por santa Isabel, a quien este pueblo profesa gran devoción y afecto. Al llegar esta mañana, vi en la plaza su estatua, con la base que la representa mientras recibe el cordón de la orden franciscana y, al mismo tiempo, ofrece agua para saciar la sed de un pobre. Es una hermosa imagen de la fe. Quien “se une a Dios”, como hizo san Francisco de Asís, en quien Isabel se inspiró, se abre a la caridad hacia el pobre, porque «el que dice: “Amo a Dios”, y no ama a su hermano, es un mentiroso. ¿Cómo puede amar a Dios, a quien no ve, el que no ama a su hermano, a quien ve?» (1 Jn 4,20). Santa Isabel, hija del rey, había crecido en la comodidad de una vida de corte, en un ambiente lujoso y privilegiado; sin embargo, conmovida y transformada por el encuentro con Cristo, pronto sintió rechazo hacia las riquezas y las vanidades del mundo, advirtiendo el deseo de despojarse de ellas y de cuidar a los necesitados. Así, no sólo gastó sus bienes, sino también su vida en favor de los últimos, de los leprosos y de los enfermos, hasta llegar a curarlos personalmente y a llevarlos sobre sus propios hombros. Ese es el lenguaje de la caridad.
Brigitta, a quien agradezco su testimonio, también nos habló de ello. Tantas privaciones, tanto sufrimiento, tanto trabajo duro para tratar de salir adelante y no hacer faltar el pan a sus hijos y, en el momento más dramático, el Señor vino a su encuentro para socorrerla. Pero—lo hemos escuchado de sus propios labios—, ¿cómo intervino el Señor? Él, que escucha el grito del pobre, «hace justicia a los oprimidos y da pan a los hambrientos» y «endereza a los que están encorvados» (Sal 146,7-8), casi nunca llega resolviendo nuestros problemas desde arriba, sino que se hace cercano con el abrazo de su ternura, inspirando la compasión de hermanos que se dan cuenta de ellos y no permanecen indiferentes. Brigitta nos dijo que pudo experimentar la cercanía del Señor gracias a la Iglesia greco-católica; a tantas personas que se prodigaron para ayudarla, animarla, encontrarle un trabajo y sostenerla en las necesidades materiales y en el camino de la fe. Este es el testimonio que se nos pide: la compasión hacia todos, especialmente hacia los que están marcados por la pobreza, la enfermedad y el dolor. Compasión que quiere decir “padecer con”. Necesitamos una Iglesia que hable con fluidez el lenguaje de la caridad, idioma universal que todos escuchan y comprenden, incluso los más alejados, incluso los que no creen.
Y a este propósito, expreso mi gratitud a la Iglesia húngara por el esfuerzo realizado en la caridad, un compromiso extenso: han creado una red que conecta a muchos agentes pastorales, a muchos voluntarios, a las Cáritas parroquiales y diocesanas, y también a grupos de oración, comunidades de creyentes y organizaciones pertenecientes a otras confesiones, pero unidas en esa comunión ecuménica que brota precisamente de la caridad. Y gracias por el modo con que han acogido —no sólo con generosidad sino también con entusiasmo— a muchos refugiados procedentes de Ucrania. Escuché conmovido el testimonio de Oleg y su familia; vuestro “viaje hacia el futuro” —un futuro diferente, lejos de los horrores de la guerra— comenzó en realidad con un “viaje en la memoria”, porque Oleg recordó la cálida bienvenida que recibió en Hungría hace años, cuando vino a trabajar como cocinero. La memoria de esa experiencia lo animó a emprender el viaje con su familia y a venir aquí a Budapest, donde encontró una generosa hospitalidad. El recuerdo del amor recibido reaviva la esperanza, anima a emprender nuevos caminos de vida. En efecto, también en el dolor y en el sufrimiento se encuentra la valentía de seguir adelante cuando se ha recibido el bálsamo del amor: y esta es la fuerza que ayuda a creer que no todo está perdido y que un futuro diferente es posible. El amor que Jesús nos da y que nos manda vivir contribuye entonces a extirpar de la sociedad, de las ciudades y de los lugares donde vivimos, los males de la indiferencia —es una peste la indiferencia— y del egoísmo, y reaviva la esperanza de una humanidad nueva, más justa y fraterna, donde todos puedan sentirse en casa.
Lamentablemente, un gran número de personas también aquí están literalmente sin hogar: muchas hermanas y hermanos marcados por la fragilidad —solos, con diversas dificultades físicas y mentales, destruidos por el veneno de la droga, que han salido de la cárcel o han sido abandonados por ser ancianos— están afectados por formas graves de pobreza material, cultural y espiritual, y no tienen un techo o una casa donde vivir. Zoltán y su esposa Anna nos han dado su testimonio sobre esta gran tragedia: gracias por sus palabras. Y gracias por haber acogido esa moción del Espíritu Santo que los ha llevado, con valentía y generosidad, a construir un centro para acoger a personas sin techo. Me ha impresionado escuchar que, junto con las necesidades materiales, prestan atención a la historia y a la dignidad herida de las personas, haciéndose cargo de su soledad, de su fatiga de sentirse amadas y bienvenidas en el mundo. Anna nos dijo que «es Jesús, la Palabra viva, que sana sus corazones y sus relaciones, porque la persona se reconstruye desde dentro»; es decir, renace, cuando experimenta que a los ojos de Dios es amada y bendecida. Esto vale para toda la Iglesia: ¡no es suficiente dar el pan que alimenta el estómago, es necesario alimentar el corazón de las personas! La caridad no es una simple asistencia material y social, sino que se preocupa de toda la persona y desea volver a ponerla en pie con el amor de Jesús: un amor que ayuda a recuperar belleza y dignidad.
Hacer caridad significa tener la valentía de mirar a los ojos. Tú no puedes ayudar a alguien mirando hacia otro lado. Para hacer caridad se necesita la valentía de tocar. Tú no puedes arrojar la limosna desde lejos sin tocar. Tocar y mirar. Y así, tocando y mirando, comienzas un camino, un camino con esa persona necesitada, que te hará entender cuán necesitado estás tú de la mirada y de la mano del Señor.
Hermanos y hermanas, los animo a hablar siempre el lenguaje de la caridad. La estatua que hay en esta plaza representa el milagro más famoso de santa Isabel: se cuenta que, una vez, el Señor transformó en rosas el pan que llevaba a los necesitados. Es así también para ustedes: cuando se empeñan en llevar el pan a los hambrientos, el Señor hace florecer la alegría y perfuma vuestra existencia con el amor que dan. Hermanos y hermanas, les deseo que lleven siempre el perfume de la caridad a la Iglesia y a su país. Y les pido, por favor, que sigan rezando por mí.
[00686-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Queridos irmãos e irmãs, bom dia!
Estou feliz por me encontrar aqui no vosso meio. Obrigado, D. Antal, pelas suas palavras de boas-vindas e por ter recordado o generoso serviço que a Igreja húngara realiza pelos pobres e com os pobres. Os pobres e os necessitados – nunca o esqueçamos – estão no coração do Evangelho: de facto, Jesus veio «anunciar a Boa-Nova aos pobres» (Lc 4, 18). Assim eles indicam-nos um desafio apaixonante, para que a fé que professamos não fique prisioneira dum culto distante da vida, nem se torne presa duma espécie de «egoísmo espiritual», isto é, duma espiritualidade que eu mesmo construo à medida da minha tranquilidade interior e da minha satisfação. A verdadeira fé, pelo contrário, é aquela que desinquieta, que arrisca, que faz sair ao encontro dos pobres e nos torna capazes de falar, com a vida, a linguagem da caridade. Como afirma São Paulo, podemos falar muitas línguas, possuir ciência e riquezas, mas, se não tivermos caridade, nada temos e nada somos (cf. 1 Cor 13, 1-13).
A linguagem da caridade. Foi a língua falada por Santa Isabel, por quem este povo tem grande devoção e estima. Ao chegar a esta manhã, vi na praça a sua estátua, com o pedestal que a representa enquanto recebe o cordão da ordem franciscana e, contemporaneamente, oferece água a um pobre para lhe matar a sede. É uma imagem estupenda da fé: quem «se une a Deus», como fez São Francisco de Assis a quem se inspirou Isabel, abre-se à caridade para com o pobre, porque, «se alguém disser “Eu amo a Deus” mas tiver ódio ao seu irmão, esse é um mentiroso; pois aquele que não ama o seu irmão, a quem vê, não pode amar a Deus, a quem não vê» (1 Jo 4, 20). Santa Isabel, filha dum rei, crescera no conforto da vida de corte, num ambiente luxuoso e privilegiado; e contudo, tocada e transformada pelo encontro com Cristo, bem depressa sentiu que devia rejeitar as riquezas e vaidades do mundo, advertindo o desejo de se despojar delas e cuidar dos necessitados. Assim, não só gastou os seus bens, mas também a sua vida a favor dos últimos, dos leprosos, dos doentes até ao ponto de tratar deles pessoalmente e carregá-los às costas. Esta é a linguagem da caridade.
Disto mesmo nos falou Brigitta, a quem agradeço pelo seu testemunho. Tantas privações, tanto sofrimento, tanto trabalho duro para procurar seguir em frente e não deixar faltar o pão aos filhos e, no momento mais dramático, o Senhor veio ao seu encontro para a ajudar. Mas – ouvimo-lo da sua própria boca – como interveio o Senhor? Ele, que escuta o clamor de quem é pobre, «salva os oprimidos, dá pão aos que têm fome, (…) levanta os abatidos» (Sal 146, 7.8), quase nunca resolve os nossos problemas lá do alto, mas aproxima-Se com o abraço da sua ternura inspirando a compaixão de irmãos que se apercebem e não ficam indiferentes. Foi o que nos disse Brigitta: pôde experimentar a proximidade do Senhor graças à Igreja greco-católica, a tantas pessoas que se prodigalizaram para a ajudar, encorajar, encontrar um emprego e sustentá-la nas necessidades materiais e no caminho da fé. Eis o testemunho que nos é pedido: a compaixão para com todos, especialmente por quantos estão marcados pela pobreza, a doença e o sofrimento. Compaixão significa «padecer com». Precisamos duma Igreja que fale fluentemente a linguagem da caridade, idioma universal que todos escutam e compreendem, mesmo os mais afastados, mesmo aqueles que não acreditam.
E a propósito exprimo a minha gratidão à Igreja húngara pelo empenho posto na caridade, um empenho capilar: criastes uma rede que liga muitos agentes pastorais, muitos voluntários, as cáritas paroquiais e diocesanas, mas também grupos de oração, comunidades de crentes, organizações pertencentes a outras Confissões, mas unidas na comunhão ecuménica que brota precisamente da caridade. E obrigado pela forma como acolhestes – não só com generosidade, mas até com entusiasmo – tantos refugiados da Ucrânia. Escutei emocionado o testemunho de Oleg e sua família; a vossa «viagem rumo ao futuro» – um futuro diferente, longe dos horrores da guerra – na verdade começou com uma «viagem na memória», porque Oleg recordou o caloroso acolhimento recebido na Hungria há alguns anos, quando veio trabalhar como cozinheiro. A recordação daquela experiência encorajou-o a partir com a sua família vindo para Budapeste, onde encontrou generosa hospitalidade. A lembrança do amor recebido reacende a esperança, encoraja a empreender novos caminhos de vida. Com efeito, mesmo na tribulação e no sofrimento, encontra-se coragem para continuar quando se recebeu o bálsamo do amor: e esta é a força que ajuda a acreditar que nem tudo está perdido e que é possível um futuro diferente. O amor que Jesus nos dá e nos manda viver ajuda assim a erradicar, da sociedade, das cidades e lugares onde vivemos, os males da indiferença (a indiferença é como uma peste!) e do egoísmo, e reacende a esperança duma humanidade nova, mais justa e fraterna, onde todos possam sentir-se em casa.
Infelizmente, também aqui muitas pessoas estão literalmente privadas dum teto: muitas irmãs e irmãos marcados pela fragilidade – sozinhos, com várias limitações físicas e mentais, destruídos pelo veneno das drogas, saídos da prisão ou abandonados porque idosos – são afetados por formas graves de pobreza material, cultural e espiritual, e não têm um teto e uma casa para morar. Zoltàn e sua esposa Anna ofereceram-nos o seu testemunho acerca desta grande chaga: obrigado pelas vossas palavras. E obrigado por terem acolhido aquela moção do Espírito Santo que vos levou, com coragem e generosidade, a construir um centro para acolher pessoas sem-teto. Impressionou-me ouvir que, juntamente com as necessidades materiais, prestais atenção à história e à dignidade ferida das pessoas, ocupando-vos da sua solidão, da sua dificuldade em sentir-se amadas e acolhidas no mundo. Anna disse-nos que «é Jesus, a Palavra viva, que cura os seus corações e as suas relações, porque a pessoa reconstrói-se a partir de dentro»; isto é, renasce quando experimenta que, aos olhos de Deus, é amada e abençoada. Isto vale para toda a Igreja: não basta dar o pão que alimenta o estômago, é preciso nutrir o coração das pessoas! A caridade não é mera assistência material e social, mas preocupa-se com a pessoa inteira e deseja reerguê-la com o amor de Jesus: um amor que ajuda a readquirir beleza e dignidade.
Praticar a caridade significa ter a coragem de fixar nos olhos. Não podes ajudar o outro, voltando a cara para o lado oposto. Para praticar a caridade, é preciso ter a coragem de tocar: não podes deitar a esmola de longe, sem tocar. Tocar e fixar nos olhos. E assim, tocando e olhando, começas um caminho, um caminho com aquela pessoa necessitada, que te fará compreender quão necessitado, quão necessitada és tu próprio do olhar e da mão do Senhor.
Irmãos e irmãs, encorajo-vos a falar sempre a linguagem da caridade. A estátua, nesta praça, representa o milagre mais famoso de Santa Isabel: conta-se que o Senhor uma vez transformou em rosas o pão que ela levava aos necessitados. O mesmo se dá convosco, quando vos empenhais em levar o pão aos famintos, o Senhor faz florescer a alegria e perfuma a vossa existência com o amor que dais. Irmãos e irmãs, faço votos de que possais levar sempre o perfume da caridade à Igreja e ao vosso país. E peço-vos, por favor, que continueis a rezar por mim.
[00686-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Drodzy bracia i siostry, dzień dobry!
Cieszę się, że mogę być tutaj pośród was. Dziękuję, biskupie Antalu za słowa powitania i dziękuję za wspomnienie o szczodrej posłudze, jaką Kościół węgierski pełni na rzecz ubogich i wraz z nimi. Ubodzy i potrzebujący – nie zapominajmy nigdy – są w sercu Ewangelii: Jezus przyszedł bowiem „nieść dobrą nowinę ubogim” (Łk 4, 18). Wskazują nam oni zatem na fascynujące wyzwanie, aby wiara, którą wyznajemy, nie była zakładnikiem kultu oddalonego od życia i nie stała się ofiarą swoistego „duchowego egoizmu”, to znaczy duchowości, którą buduję na miarę mojego spokoju wewnętrznego i zadowolenia. Natomiast prawdziwa wiara to ta, która wzbudza niepokój, która podejmuje ryzyko, która sprawia, że wychodzimy na spotkanie ubogich i która uzdalnia do tego, by nasze życie przemawiało językiem miłosierdzia. Jak stwierdza św. Paweł, możemy mówić wieloma językami, posiadać mądrość i bogactwa, ale jeśli nie mamy miłości, nie mamy niczego i jesteśmy niczym (por. 1 Kor 13, 1-13).
Język miłosierdzia. Tym językiem posługiwała się św. Elżbieta, do której ten naród żywi wielkie nabożeństwo i przywiązanie. Przyjeżdżając tu dziś rano zobaczyłem na placu jej figurę, z piedestałem, przedstawiającą, jak przyjmuje sznur zakonu franciszkańskiego, a jednocześnie podaje wodę, aby ugasić pragnienie biedaka. Jest to piękny obraz wiary: ten, kto „wiąże się z Bogiem”, jak to czynił św. Franciszek z Asyżu, od którego Elżbieta czerpała inspirację, otwiera się na miłosierdzie wobec ubogich, bo „jeśliby ktoś mówił: «Miłuję Boga», a brata swego nienawidził, jest kłamcą, albowiem kto nie miłuje brata swego, którego widzi, nie może miłować Boga, którego nie widzi” (1 J 4, 20). Święta Elżbieta, królewska córka, dorastała w przepychu dworskiego życia, w środowisku luksusu i przywilejów. Jednak poruszona i przemieniona spotkaniem z Chrystusem, szybko odczuła niechęć wobec bogactw i próżności tego świata, odkrywając pragnienie ogołocenia się z nich i zatroszczenia się o potrzebujących. I tak oto nie tylko poświęciła swój majątek, ale i swoje życie na rzecz najmniejszych, trędowatych, chorych; do tego stopnia, że troszczyła się o nich osobiście i nosiła w swoich ramionach. To jest właśnie język miłosierdzia.
Opowiedziała nam o tym również Brigitta, której dziękuję za jej świadectwo. Tyle wyrzeczenia, tyle cierpienia, tyle ciężkiej pracy, starając się utrzymać i nie dopuścić, żeby jej dzieciom zabrakło chleba, i Pan, który przyszedł jej z pomocą w najbardziej dramatycznym momencie. Jednak – o czym usłyszeliśmy w jej własnych słowach – w jaki sposób Pan zadziałał? On, który słyszy wołanie ubogich, „bierze w obronę skrzywdzonych, daje pokarm zgłodniałym” oraz „podnosi poniżonych” (Ps 146, 7-8); niemal nigdy nie przychodzi, rozwiązując nasze problemy z wysoka, ale podchodzi, obejmując nas ze swoją czułością, wzbudzając współczucie braci, którzy to dostrzegają i nie pozostają obojętni. Brigitta powiedziała nam: mogłam doświadczyć bliskości Pana dzięki Kościołowi greckokatolickiemu, dzięki wielu ludziom, którzy zrobili wszystko, by jej pomóc, dodać jej otuchy, znaleźć dla niej pracę i wspierać ją w potrzebach materialnych i na drodze wiary. Na tym polega świadectwo jakiego od nas się żąda: na współczuciu wszystkim, a zwłaszcza tym, którzy są naznaczeni ubóstwem, chorobą i cierpieniem. Współczucie, które oznacza „cierpieć z”. Potrzebujemy Kościoła który biegle posługuje się językiem miłosierdzia, i używa go w mowie powszechnej, którą słyszą i rozumieją wszyscy, nawet ci najbardziej oddaleni, nawet ci, którzy nie wierzą.
W związku z tym, wyrażam wdzięczność Kościołowi węgierskiemu za jego zaangażowanie w działalność charytatywną, zaangażowanie szerokie: stworzyliście sieć, która łączy wielu pracowników duszpasterskich, licznych wolontariuszy, Caritas parafialne i diecezjalne, ale także grupy modlitewne, wspólnoty wiernych, organizacje, które choć należą do innych wyznań, to łączą się w tej ekumenicznej jedności, która wypływa właśnie z miłości. Dziękuję też za sposób, w jaki przyjęliście – nie tylko wielkodusznie, ale i z entuzjazmem – tak wielu uchodźców z Ukrainy. Ze wzruszeniem słuchałem świadectwa Olega i jego rodziny; wasza „podróż ku przyszłości” – innej przyszłości, z dala od okropności wojny – rozpoczęła się właściwie od „podróży w głąb pamięci”, ponieważ Oleg przypomniał sobie serdeczne przyjęcie, jakie spotkał na Węgrzech przed laty, kiedy przyjechał do pracy jako kucharz. Pamięć o tym doświadczeniu zachęciła go do opuszczenia kraju wraz z rodziną i przyjazdu do Budapesztu, gdzie spotkał się ze szczodrą gościnnością. Pamięć o doświadczonej miłości rozpala nadzieję i zachęca do podjęcia nowych dróg życiowych. Także w bólu i cierpieniu, faktycznie, znajduje się odwagę, aby iść naprzód, jeśli tylko otrzymało się ów olejek miłości: to jest siła, która pomaga wierzyć, że nie wszystko jest stracone, i że możliwa jest inna przyszłość. Miłość, którą daje nam Jezus i którą nakazuje nam żyć, przyczynia się do wykorzenienia zła obojętności – obojętność jest zarazą! - i egoizmu ze społeczeństwa, z miast i miejsc, w których żyjemy, budzi też nadzieję na nową ludzkość, bardziej sprawiedliwą i braterską, w której każdy może czuć się jak w domu.
Niestety, także tutaj wiele osób pozostaje, dosłownie, bezdomnymi: wiele sióstr i braci naznaczonych słabością – samotnych, z różnymi dolegliwościami fizycznymi i psychicznymi, zniszczonych przez truciznę narkotyków, zwolnionych z więzienia lub porzuconych z powodu podeszłego wieku – dotkniętych jest poważnymi formami ubóstwa materialnego, kulturowego i duchowego, nie mając dachu nad głową ani domu, w którym mogliby zamieszkać. Zoltàn i jego żona Anna podzielili się z nami swoim świadectwem, dotyczącym tej wielkiej plagi: dziękuję za wasze słowa. I dziękuję za przyjęcie tego natchnienia Ducha Świętego, które was skłoniło do tego, by z odwagą i wielkodusznością zbudować ośrodek przyjmujący bezdomnych. Uderzyło mnie, że oprócz potrzeb materialnych, zwracacie uwagę na pełną ran historię i godność tych osób, troszcząc się o zaradzenie ich samotności, o ich walkę o to, by czuć się miłowanymi i akceptowanymi w świecie. Anna powiedziała nam, że „to Jezus, żywe Słowo, uzdrawia ich serca i ich relacje, ponieważ osoba odbudowuje się od wewnątrz”; to znaczy, że odradza się, gdy doświadcza, że w oczach Boga jest miłowana i błogosławiona. Dotyczy to całego Kościoła: nie wystarczy dawać chleb, który karmi żołądek, trzeba karmić ludzkie serca! Działalność charytatywna nie jest jedynie pomocą materialną i socjalną, ale troszczy się o całą osobę i pragnie postawić ją na nogi miłością Jezusa: miłością, która pomaga ludziom odzyskać ich piękno i godność.
Czynienie miłosierdzia oznacza mieć odwagę, aby spojrzeć w oczy. Ty nie możesz pomóc drugiemu, patrząc w inną stronę. Do czynienia miłosierdzia trzeba odwagi dotknięcia: nie możesz rzucić jałmużny na odległość bez dotknięcia. Dotykać i patrzeć. I tak ty, dotykając i patrząc, rozpoczynasz podróż, podróż z tą potrzebującą osobą, która uświadomi ci, jak bardzo jesteś potrzebujący, jak bardzo jesteś potrzebująca spojrzenia i ręki Pana.
Bracia i siostry, zachęcam was, abyście zawsze mówili językiem miłosierdzia. Figura na tym placu przedstawia najsłynniejszy cud św. Elżbiety: mówi się, że Pan przemienił kiedyś w róże – chleb, który dawała potrzebującym. Tak więc, również dla was, kiedy podejmujecie się przynieść chleb głodnym, Pan sprawia, że rozkwita radość i napełnia wasze życie wonią miłości, której udzielacie. Bracia i siostry, życzę wam, abyście zawsze nieśli w Kościele i w waszej ojczyźnie woń miłosierdzia. I proszę was, abyście nadal modlili się za mnie.
[00686-PL.02] [Testo originale: Portoghese]
Traduzione in lingua araba
الزيارة الرسوليّة إلى هنغاريا
كلمة قداسة البابا فرنسيس
في اللقاء مع الفقراء واللاجئين
في كنيسة القدّيسة أليصابات في بودابست
السبت 29 نيسان/أبريل 2023
أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء، صباح الخير!
أنا سعيد لوجودي بينكم. شكرًا لك، سيادة المطران أنتال، على كلمات التّرحيب وشكرًا لأنّك ذكرت الخدمة السّخية التي تقدّمها الكنيسة الهنغاريّة من أجل الفقراء ومعهم. الفقراء والمحتاجون - لا ننسَ هذا أبدًا - هم قلب الإنجيل: في الواقع، جاء يسوع "ليبشّر الفُقَراء" (راجع لوقا 4، 18). إنّهم يقدِّمون لنا تحدِّيًا مثيرًا، حتّى لا يكون الإيمان الذي نعترف به سجينَ عبادة بعيدة عن الحياة ولا يصير فريسة لنوع من ”الأنانية الرّوحيّة“، أي الرّوحانيّة التي أبنيها وفقًا لطمأنينتي الداخليّة واكتفائي الذاتي. الإيمان الحقيقي هو الإيمان الذي يثير فينا الإزعاج، ويدفعنا إلى المجازفة، ويُخرجنا للقاء الفقراء ويجعلنا قادرين على التكلّم بلغة المحبّة مع الحياة. كما يؤكّد القدّيس بولس، يمكننا التكلّم بلغات عديدة، وامتلاك الحكمة والغنى، ولكن إن لم تكن لدينا المحبّة، فكلّ ذلك لا يجدينا نفعًا (راجع 1 قورنتس 13، 1-13).
لغة المحبّة. كانت اللغة التي تكلّمت بها القدّيسة أليصابات، وهي القدّيسة التي يحبّها هذا الشّعب ويكرّمها تكريمًا كبيرًا. عند وصولي هذا الصّباح، رأيت تمثالها في السّاحة، وهو يمثِّلها وهي تتسلَّم حبل الرّهبانيّة الفرنسيسكانيّة، وفي الوقت نفسه، تقدّم الماء لإرواء عطش رجل فقير. إنّها صورة جميلة للإيمان: الذي ”يرتبط بالله“، كما صنع القدّيس فرنسيس الأسيزي الذي ألهم القدّيسة أليصابات، ينفتح على محبّة الفقراء، لأنّه "إِذا قالَ أَحَد: إِنِّي أُحِبُّ الله، وهو يُبغِضُ أَخاه كانَ كاذِبًا، لأَنَّ الَّذي لا يُحِبُّ أَخاه وهو يَراه لا يَستَطيعُ أَن يُحِبَّ اللهَ وهو لا يَراه" (1 يوحنّا 4، 20). نشأت القدّيسة أليصابات، ابنة الملك، في حياة رخاء في البلاط الملكي، وفي بيئة مترفة وثرية. ومع ذلك، تأثّرت بلقائها بالمسيح وتغيّرت، وشعرت سريعًا بأنّها ترفض غنى العالم وأباطيله، فرغبت في التجرّد منها، وفي العناية بالمحتاجين. وهكذا، لم تنفق ممتلكاتها فقط، بل قضت حياتها أيضًا تهتمّ بأفقر الناس، والبُرْص، والمرضى حتّى أخذت تعالجهم بنفسها، وتحملهم على كتفيها. هذه هي لغة المحبّة.
كلّمَتْنا عن ذلك أيضًا بريجيتا، التي أشكرها على شهادتها. حرمان كثير، وآلام كثيرة، وعمل شاق كثير لمحاولة البقاء في الحياة، وحتّى لا تترك أبناءها بلا خبز، وأخيرًا في أشدّ اللحظات، جاء الرّبّ يسوع للقائها ومساعدتها. وكيف جاء الرّبّ يسوع؟ سمعنا ذلك من كلامها. إنّه يسمع صراخ الفقراء، "ويُجْري الحُكْم لِلمظْلومين ويُرزِق الجِياع خُبزًا" و "يُنهِضُ الرَّازِحين" (مزمور 146، 7-8)، وهو لا يأتي أبدًا ليحلّ مشاكلنا من فوق، ولكنّه يقترب منّا ويعانقنا بحنانه الذي يلهم رحمة الإخوة والأخوات الذين ينتبهون إلى حالتنا ولا يبقون غير مبالين. قالت لنا بريجيتا: لقد استطاعت أن تختبر قرب الرّبّ يسوع بفضل كنيسة الرّوم الكاثوليك، والأشخاص الكثيرين الذين تقدّموا لمساعدتها، وتشجيعها، وإيجاد عمل لها، ودعموها في الاحتياجات المادية وفي مسيرة الايمان. هذه هي الشّهادة المطلوبة منّا: الرّحمة نحو الجميع، ولا سيّما لمن يعانون من الفقر والمرض والألَم. الرّحمة تَعني ”أن نتألّم مع الآخر“. نحن بحاجة إلى كنيسة تتكلّم بطلاقة لغة المحبّة، وهي لغة عالميّة يسمعها ويفهمها الجميع، حتّى أبعد الناس، وحتّى الذين لا يؤمنون.
وهنا، أعبّر عن شكري للكنيسة الهنجاريّة على التزامها الفائض والمتشعب في المحبّة: فقد أنشأتم شبكة تربط بين العاملين الرعويّين العديدين، والمتطوعين العديدين، وبين لجان كاريتاس في الرعايا والأبرشيّات، وكذلك بين مجموعات الصّلاة، وجماعات المؤمنين، والمنظمات في الكنائس الأخرى المتّحدة في تلك الشّركة المسكونيّة التي تتدفّق من المحبّة. وشكرًا على الطّريقة التي رحّبتم بها - ليس فقط بكرم وسخاء ولكن أيضًا بحماس – باللاجئين الكثيرين من أوكرانيا. استمعت ببالغ الأثر إلى شهادة أوليغ وعائلته. ”رحلتكم إلى المستقبل“ – إلى مستقبل مختلف، وبعيد عن أهوال الحرب - بدأت في الواقع ”برحلة في الذاكرة“، لأن أوليغ تذكّر التّرحيب الحارّ الذي لقيه في هنغاريا منذ سنوات عندما جاء للعمل كطباخ . شجّعته ذكرى تلك الخبرة على المغادرة مع عائلته والمجيء إلى هنا إلى بودابست، حيث وجد كرم الضّيافة. ذكرى المحبّة التي لقيها أحيت الأمل فيه، وشجعته على الشّروع في مسارات حياة جديدة. في الواقع، حتّى في الألَم والمعاناة، نجد الشّجاعة للاستمرار عندما نَلقَى التّرحيب بلسم الحبّ: إنّه القوّة التي تساعد على أن نؤمن بأنّ كلّ شيء لم يَضِعْ، ويمكن أن نبدأ مستقبلًا مختلفًا. الحبّ الذي يمنحنا إياه يسوع والذي يوصينا بأن نعيشه يُسهِمُ في استئصال شرور اللامبالاة والأنانيّة من المجتمع والمدن والأماكن التي نعيش فيها، ويعيد فينا إحياء الرّجاء في إنسانيّة جديدة أكثر عدلًا وأخوّة، حيث يشعر الجميع أنّهم في بيتهم.
للأسف، هنالك أشخاص كثيرون، هنا أيضًا، بلا مأوى بالمعنى الحرفي: إخوة وأخوات كثيرون عُرضَةٌ لأنواع الضّعف - وحيدون، مع إعاقات مختلفة جسديّة وعقليّة، دمَّرَتْهم سموم المخدرات، أو سجناء خرجوا من السّجن، وتُرِكُوا وحدهم لأنّهم متقدّمون في السّن، وهم مصابون بأنواع خطيرة من الفقر المادي والثّقافي والرّوحي، ولا سقف لهم، ولا بيت يعيشون فيه. قدّم لنا زولتان وزوجته حنّة شهادتهما بشأن هذه المصيبة الكبرى: شكرًا على كلامكما. وشكرًا على قبول إلهام الرّوح القدس الذي دفعكما، بشجاعة وسخاء، إلى بناء مركز لاستقبال المشردين. لقد تأثرت عندما سمعت، أنكما تهتمان، إلى جانب الاحتياجات الماديّة، لتاريخ الناس وكرامتهم المجروحة، وتعتنيان بوِحدتهم، وبحاجتهم لأن يشعروا بأنّهم محبوبون ومرحّبٌ بهم في العالم. قالت حنّة إنّ "يسوع، الكلمة الحية، هو الذي يشفي قلوبهم وعلاقاتهم، لأنّ الإنسان يعيد بناء نفسه من الداخل"؛ أي أنّه يولد من جديد عندما يختبر أنّه محبوبٌ ومباركٌ في عيني الله. وهذا ينطبق على الكنيسة كلّها: لا يكفي أن نعطي الخبز الذي يُشبع المعدة، بل يجب تقدّمة الغذاء لقلوب الناس! المحبّة ليست مجرّد مساعدة ماديّة واجتماعيّة، بل تهتمّ بالإنسان كلّه، وتريد أن توقفه من جديد على قدميه بمحبّة يسوع: المحبّة التي تساعد على استعادة الجمال والكرامة.
أن نقوم بعمل محبّة يعني أن يكون لدينا الشّجاعة لأن ننظر في عيون الآخرين. لا يمكنك أن تساعد شخصًا آخر وأنت تنظر إلى مكان آخر. كي نقوم بعمل محبّة، علينا أن نتحلّى بالشّجاعة لكي نمسّ الآخر: لا يمكنك أن تعطي صّدقة من مسافة بعيدة بدون أن تمسّ الآخر. أن نمسّ وننظر. وهكذا، عندما تمسّ وتنظر تبدأ بمسيرة، بمسيرة مع ذلك الشّخص المُحتاج، الذي سيجعلك تفهم كم أنت مُحتاج إلى نظرة الرّبّ يسوع وإلى يدهِ.
أيّها الإخوة والأخوات، أشجعكم على التكلّم بلغة المحبّة دائمًا. التّمثال الموجود في هذه السّاحة يمثّل أشهر معجزة حدثت في حياة القدّيسة أليصابات: قيل إنّ الرّبّ يسوع حوّل مرّةً الخبز الذي أحضرته للمحتاجين إلى ورود. ليكن مثل ذلك لكم: عندما تهتمّون بإحضار الخبز للجياع، فإنّ الرّبّ يسوع يجعل الفرح يزهر فيكم، ويملأ حياتكم بعطر الحبّ الذي تمنحونه. أتمنّى لكم أن تحمِلوا دائمًا عطر المحبّة في الكنيسة وفي بلدكم. وأطلب منكم، من فضلكم، أن تستمرّوا في الصّلاة من أجلي.
[00686-AR.02] [Testo originale: Italiano]
Visita alla Comunità greco-cattolica presso la Chiesa Protezione della Madre di Dio
A termine dell’Incontro con i poveri e con i rifugiati presso la Chiesa di Santa Elisabetta d’Ungheria, il Santo Padre Francesco ha incontrato la Comunità greco-cattolica presso la Chiesa Protezione della Madre di Dio.
Al Suo arrivo, il Papa è stato accolto all’ingresso della chiesa greco-cattolica di Budapest dall’Arcivescovo Metropolita dell’Eparchia di Hajdúdorog per i Cattolici di rito bizantino, S.E. Mons. Fülöp Kocsis. Quindi insieme si sono recati davanti all’Iconòstasi, mentre il coro ha intonato un canto.
Dopo l’indirizzo di saluto dell’Arcivescovo Metropolita, ha fatto seguito un momento di preghiera con la Comunità. L’incontro si è concluso con la benedizione e il canto finale.
Al termine della visita alla Comunità greco-cattolica il Santo Padre si è trasferito in auto alla Nunziatura Apostolica di Budapest. Al Suo arrivo Papa Francesco ha ricevuto il Metropolita Hilarion di Budapest e dell’Ungheria. L’incontro, dal tono cordiale, è durato circa 20 minuti.
[00694-IT.01]
[B0318-XX.02]