Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Veglia Pasquale nella Notte Santa di Pasqua, 08.04.2023


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 19.30 di questa sera, il Santo Padre Francesco ha presieduto, nella Basilica Vaticana, la solenne Veglia Pasquale nella Notte Santa. Hanno concelebrato con il Santo Padre gli Em.mi Cardinali: Arthur Roche, Prefetto del Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Giovanni Battista Re, Decano del Collegio Cardinalizio, e Leonardo Sandri, Vice Decano del Collegio Cardinalizio.

Il Rito ha avuto inizio nell’atrio della Basilica di San Pietro con la benedizione del fuoco e la preparazione del cero pasquale. Alla processione verso l’Altare, con il cero pasquale acceso e il canto dell’Exultet, ha fatto seguito la Liturgia della Parola e la Liturgia Battesimale, nel corso della quale il Papa ha amministrato i Sacramenti dell’iniziazione cristiana a 8 neofiti provenienti da Albania, Stati Uniti d’America, Nigeria, Italia e Venezuela.

Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che il Papa ha pronunciato nel corso della Veglia Pasquale, dopo la proclamazione del Santo Vangelo:

Omelia del Santo Padre

La notte sta per finire e si accendono le prime luci dell’alba, quando le donne si mettono in cammino verso la tomba di Gesù. Avanzano incerte, smarrite, con il cuore lacerato dal dolore per quella morte che ha portato via l’Amato. Ma, giungendo presso quel luogo e vedendo la tomba vuota, invertono la rotta, cambiano strada; abbandonano il sepolcro e corrono ad annunciare ai discepoli un percorso nuovo: Gesù è risorto e li attende in Galilea. Nella vita di queste donne è avvenuta la Pasqua, che significa passaggio: esse, infatti, passano dal mesto cammino verso il sepolcro alla gioiosa corsa verso i discepoli, per dire loro non solo che il Signore è risorto, ma che c’è una meta da raggiungere subito, la Galilea. L’appuntamento col Risorto è lì. La rinascita dei discepoli, la risurrezione del loro cuore passa dalla Galilea. Entriamo anche noi in questo cammino dei discepoli che va dalla tomba alla Galilea.

Le donne, dice il Vangelo, «andarono a visitare la tomba» (Mt 28,1). Pensano che Gesù si trovi nel luogo della morte e che tutto sia finito per sempre. A volte succede anche a noi di pensare che la gioia dell’incontro con Gesù appartenga al passato, mentre nel presente conosciamo soprattutto delle tombe sigillate: quelle delle nostre delusioni, delle nostre amarezze, e della nostra sfiducia, quelle del “non c’è più niente da fare”, “le cose non cambieranno mai”, “meglio vivere alla giornata” perché “del domani non c’è certezza”. Anche noi, se siamo stati attanagliati dal dolore, oppressi dalla tristezza, umiliati dal peccato, amareggiati per qualche fallimento o assillati da qualche preoccupazione, abbiamo sperimentato il gusto amaro della stanchezza e abbiamo visto spegnersi la gioia nel cuore.

A volte abbiamo semplicemente avvertito la fatica di portare avanti la quotidianità, stanchi di rischiare in prima persona davanti al muro di gomma di un mondo dove sembrano prevalere sempre le leggi del più furbo e del più forte. Altre volte, ci siamo sentiti impotenti e scoraggiati dinanzi al potere del male, ai conflitti che lacerano le relazioni, alle logiche del calcolo e dell’indifferenza che sembrano governare la società, al cancro della corruzione – ce n’è tanta –, al dilagare dell’ingiustizia, ai venti gelidi della guerra. E, ancora, ci siamo forse trovati faccia a faccia con la morte, perché ci ha tolto la dolce presenza dei nostri cari o perché ci ha sfiorato nella malattia o nelle calamità, e facilmente siamo rimasti preda della disillusione e si è disseccata la sorgente della speranza. Così, per queste o altre situazioni – ognuno di noi conosce le proprie –, i nostri cammini si arrestano davanti a delle tombe e noi restiamo immobili a piangere e a rimpiangere, soli e impotenti a ripeterci i nostri “perché”. Quella catena di “perché”…

Invece, le donne a Pasqua non restano paralizzate davanti a una tomba ma, dice il Vangelo, «abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli» (v. 8). Portano la notizia che cambierà per sempre la vita e la storia: Cristo è risorto! (cfr v. 6). E, al tempo stesso, custodiscono e trasmettono la raccomandazione del Signore, il suo invito ai discepoli: che vadano in Galilea, perché là lo vedranno (cfr v. 7). Ma, fratelli e sorelle, ci domandiamo oggi: che cosa significa andare in Galilea? Due cose: da una parte uscire dalla chiusura del cenacolo per andare nella regione abitata dalle genti (cfr Mt 4,15), uscire dal nascondimento per aprirsi alla missione, evadere dalla paura per camminare verso il futuro. E dall’altra parte – e questo è molto bello –, significa ritornare alle origini, perché proprio in Galilea tutto era iniziato. Lì il Signore aveva incontrato e chiamato per la prima volta i discepoli. Dunque andare in Galilea è tornare alla grazia originaria, è riacquistare la memoria che rigenera la speranza, la “memoria del futuro” con la quale siamo stati segnati dal Risorto.

Ecco allora che cosa fa la Pasqua del Signore: ci spinge ad andare avanti, a uscire dal senso di sconfitta, a rotolare via la pietra dei sepolcri in cui spesso confiniamo la speranza, a guardare con fiducia al futuro, perché Cristo è risorto e ha cambiato la direzione della storia; ma, per fare questo, la Pasqua del Signore ci riporta al nostro passato di grazia, ci fa riandare in Galilea, là dov’è iniziata la nostra storia d’amore con Gesù, dove è stata la prima chiamata. Ci chiede, cioè, di rivivere quel momento, quella situazione, quell’esperienza in cui abbiamo incontrato il Signore, abbiamo sperimentato il suo amore e abbiamo ricevuto uno sguardo nuovo e luminoso su noi stessi, sulla realtà, sul mistero della vita. Fratelli e sorelle, per risorgere, per ricominciare, per riprendere il cammino, abbiamo sempre bisogno di ritornare in Galilea, cioè di riandare non a un Gesù astratto, ideale, ma alla memoria viva, alla memoria concreta e palpitante del primo incontro con Lui. Sì, per camminare dobbiamo ricordare; per avere speranza dobbiamo nutrire la memoria. E questo è l’invito: ricorda e cammina! Se recuperi il primo amore, lo stupore e la gioia dell’incontro con Dio, andrai avanti. Ricorda e cammina.

Ricorda la tua Galilea e cammina verso la tua Galilea. È il “luogo” nel quale hai conosciuto Gesù di persona, dove per te Egli non è rimasto un personaggio storico come altri, ma è divenuto la persona della vita: non un Dio lontano, ma il Dio vicino, che ti conosce più di ogni altro e ti ama più di chiunque altro. Fratello, sorella, fai memoria della Galilea, della tua Galilea: della tua chiamata, di quella Parola di Dio che in un preciso momento ha parlato proprio a te; di quell’esperienza forte nello Spirito, della più grande gioia del perdono provata dopo quella Confessione, di quel momento intenso e indimenticabile di preghiera, di quella luce che si è accesa dentro e ha trasformato la tua vita, di quell’incontro, di quel pellegrinaggio… Ognuno sa dov’è la propria Galilea, ciascuno di noi conosce il proprio luogo di risurrezione interiore, quello iniziale, quello fondante, quello che ha cambiato le cose. Non possiamo lasciarlo al passato, il Risorto ci invita ad andare lì per fare la Pasqua. Ricorda la tua Galilea, fanne memoria, ravvivala oggi. Torna a quel primo incontro. Chiediti come è stato e quando è stato, ricostruiscine il contesto, il tempo e il luogo, riprovane l’emozione e le sensazioni, rivivine i colori e i sapori. Perché tu sai, è quando hai dimenticato quel primo amore, è quando hai scordato quel primo incontro che è cominciata a depositarsi della polvere sul tuo cuore. E hai sperimentato la tristezza e, come per i discepoli, tutto è sembrato senza prospettiva, con un macigno a sigillare la speranza. Ma oggi, fratello, sorella, la forza di Pasqua invita a rotolare via i massi della delusione e della sfiducia; il Signore, esperto nel ribaltare le pietre tombali del peccato e della paura, vuole illuminare la tua memoria santa, il tuo ricordo più bello, rendere attuale quel primo incontro con Lui. Ricorda e cammina: ritorna a Lui, ritrova la grazia della risurrezione di Dio in te! Torna in Galilea, torna nella tua Galilea.

Fratelli, sorelle, seguiamo Gesù in Galilea, incontriamolo e adoriamolo lì dove Egli attende ognuno di noi. Ravviviamo la bellezza di quando, dopo averlo scoperto vivo, lo abbiamo proclamato Signore della nostra vita. Torniamo in Galilea, alla Galilea del primo amore: ognuno torni alla propria Galilea, quella del primo incontro, e risorgiamo a vita nuova!

[00560-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

La nuit s’achève et les premières lueurs de l’aube apparaissent lorsque les femmes se mettent en route vers le tombeau de Jésus. Elles avancent incertaines, perdues, le cœur déchiré par la douleur de la mort qui a emporté le Bien-Aimé. Mais en arrivant sur place et voyant le tombeau vide, elles rebroussent chemin, elles changent de route. Elles quittent le tombeau et courent annoncer aux disciples un chemin nouveau: Jésus est ressuscité et les attend en Galilée. Dans la vie de ces femmes, la Pâques, qui signifie passage, a eu lieu. En effet, elles passent de la marche triste vers le tombeau à la course joyeuse vers les disciples, pour leur dire non seulement que le Seigneur est ressuscité, mais qu’une destination est à atteindre immédiatement, la Galilée. C’est là qu’a lieu le rendez-vous avec le Ressuscité. La renaissance des disciples, la résurrection de leur cœur passe par la Galilée. Entrons, nous aussi, dans cette marche des disciples qui va du tombeau à la Galilée.

Les femmes, dit l’Évangile, «vinrent pour regarder le sépulcre» (Mt 28, 1). Elles pensent que Jésus se trouve au lieu de la mort et que tout est fini pour toujours. Il nous arrive parfois aussi de penser que la joie de la rencontre avec Jésus appartient au passé, alors que dans le présent nous connaissons surtout des tombes scellées: celles de nos déceptions, de nos amertumes et de nos découragements, celles du “il n’y a plus rien à faire”, “les choses ne changeront jamais”, “mieux vaut vivre au jour le jour” parce que “du lendemain, il n’y a pas de certitude”. Nous aussi, si nous avons été rongés par le chagrin, opprimés par la tristesse, humiliés par le péché, aigris par un échec ou assaillis par des soucis, nous avons connu le goût amer de la lassitude et nous avons vu s’éteindre la joie de notre cœur.

Parfois, nous avons simplement ressenti la difficulté de bien gérer le quotidien, fatigués de prendre des risques personnels face au mur de caoutchouc d’un monde où les lois du plus malin et du plus forts semblent toujours prévaloir. D’autres fois, nous nous sommes sentis impuissants et découragés face à la puissance du mal, aux conflits qui déchirent les relations, aux logiques du calcul et de l’indifférence qui semblent gouverner la société, au cancer de la corruption –il y en a beaucoup -, à la propagation de l’injustice, aux vents glacés de la guerre. Il se peut aussi que nous ayons été confrontés à la mort, parce qu’elle nous a arraché la douce présence de nos proches, ou parce qu’elle nous a frôlés dans la maladie ou dans les calamités, et que nous ayons été facilement en proie à la déception et que la source de l’espérance se soit tarie. Ainsi, en raison de ces situations ou d’autres encore – chacun de nous connaît les siennes -, nos chemins s’arrêtent devant des tombes, et nous restons immobiles à pleurer et à regretter, seuls et impuissants à nous répéter nos “pourquoi”. Cette chaine des “pourquoi”…

Au contraire, les femmes de Pâques ne sont pas restées paralysées devant un tombeau, mais, nous dit l’Évangile,«elles quittèrent le tombeau, remplies à la fois de crainte et d’une grande joie, et elles coururent porter la nouvelle à ses disciples» (v. 8). Elles apportent la nouvelle qui changera à jamais la vie et l’histoire: le Christ est ressuscité! (cf. v. 6). Et, en même temps, elles gardent et transmettent la recommandation du Seigneur, son invitation aux disciples: qu’ils aillent en Galilée, car c’est là qu’ils le verront (cf. v. 7). Mais, frères et sœurs, nous nous demandons aujourd’hui: que signifie aller en Galilée? Deux choses: d’une part, sortir de la fermeture du cénacle pour aller dans la région habitée par les peuples (cf. Mt 4,15), sortir de la clandestinité pour s’ouvrir à la mission, échapper à la peur pour marcher vers l’avenir. Et d’autre part - et c’est très beau -, cela signifie revenir aux origines, car c’est précisément en Galilée que tout a commencé. C’est là que le Seigneur avait rencontré et appelé les disciples pour la première fois. Aller en Galilée, c’est revenir donc à la grâce originelle, c’est retrouver la mémoire qui régénère l’espérance, la “mémoire de l’avenir” dont nous avons été marqués par le Seigneur Ressuscité.

Voilà donc ce que fait la Pâque du Seigneur: elle nous pousse à avancer, à sortir du sentiment de défaite, à rouler la pierre des tombeaux dans lesquels nous enfermons souvent l’espérance, à regarder l’avenir avec confiance, parce que le Christ est ressuscité et a changé le cours de l’histoire; mais, pour cela, la Pâque du Seigneur nous ramène à notre passé de grâce, elle nous fait retourner en Galilée, là où notre histoire d’amour avec Jésus a commencé, où le premier appel a eu lieu. Elle nous demande de revivre ce moment, cette situation, cette expérience dans laquelle nous avons rencontré le Seigneur, fait l’expérience de son amour et reçu un regard nouveau et lumineux sur nous-mêmes, sur la réalité, sur le mystère de la vie. Frères et sœurs, pour ressusciter, pour recommencer, pour reprendre notre route, nous avons toujours besoin de retourner en Galilée, c’est-à-dire de retourner non pas à un Jésus abstrait, idéal, mais à la mémoire vivante, à la mémoire concrète, palpitante de notre première rencontre avec Lui. Oui, pour marcher, il faut se souvenir; pour espérer, il faut nourrir la mémoire. Telle est l’invitation: souviens-toi et marche! Si tu retrouves le premier amour, l’émerveillement et la joie de la rencontre avec Dieu, tu avanceras. Souviens-toi et marche.

Souviens-toi de ta Galilée et marche vers ta Galilée. C’est le “lieu” où tu as connu Jésus en personne, où pour toi Il n’est pas resté un personnage historique comme les autres, mais est devenu la personne de la vie: non pas un Dieu lointain, mais le Dieu proche, qui te connaît plus que tout autre et qui t’aime plus que n’importe qui. Frère, sœur, fais mémoire de la Galilée, de ta Galilée: de ton appel, de cette Parole de Dieu qui t’a parlé à un moment précis; de cette forte expérience dans l’Esprit, de la plus grande joie du pardon ressentie après cette Confession, de ce moment de prière intense et inoubliable, de cette lumière qui s’est allumée à l’intérieur et qui a transformé ta vie, de cette rencontre, de ce pèlerinage... Chacun de nous sait où se trouve sa Galilée, chacun connaît son lieu de résurrection intérieure, le premier, le fondement, celui qui a changé les choses. Nous ne pouvons pas le laisser au passé, le Ressuscité nous invite à y aller pour faire la Pâque. Souviens-toi de ta Galilée, fais-en mémoire, ravive-la aujourd’hui. Retourne à cette première rencontre. Demande-toi comment c’était et quand c’était, reconstruis-en le contexte, l’époque et le lieu, éprouves-en de nouveau l’émotion et les sensations, revis-en les couleurs et les saveurs. Car c’est quand tu as oublié ce premier amour, c’est quand tu as oublié cette première rencontre, que la poussière a commencé à se déposer sur ton cœur. Et tu as connu la tristesse et, comme pour les disciples, tout t’a semblé sans perspective, avec un rocher pour sceller l’espérance. Mais aujourd’hui, frère et sœur, la force de Pâques invite à rouler les pierres de la déception et de la défiance; le Seigneur, expert dans le renversement des pierres tombales du péché et de la peur, veut illuminer ta mémoire sainte, ton plus beau souvenir, rendre actuelle cette première rencontre avec Lui. Souviens-toi et marche: reviens à Lui, trouve en toi la grâce de la résurrection de Dieu! Retourne en Galilée, retourne à ta Galilée.

Frères, sœurs, suivons Jésus en Galilée, rencontrons-le et adorons-le là où il attend chacun de nous. Ravivons la beauté du moment où, l’ayant découvert vivant, nous l’avons proclamé Seigneur de notre vie. Retournons en Galilée, la Galilée du premier amour: que chacun retourne dans sa Galilée, celle de la première rencontre, et ressuscitons à la vie nouvelle!

[00560-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

The night is drawing to a close and the first light of dawn is appearing upon the horizon as the women set out toward Jesus’ tomb. They make their way forward, bewildered and dismayed, their hearts overwhelmed with grief at the death that took away their Beloved. Yet upon arriving and seeing the empty tomb, they turn around and retrace their steps. They leave the tomb behind and run to the disciples to proclaim a change of course: Jesus is risen and awaits them in Galilee. In their lives, those women experienced Easter as a Pasch, a passage. They pass from walking sorrowfully towards the tomb to running back with joy to the disciples to tell them not only that the Lord is risen, but also that they are to set out immediately to reach a destination, Galilee. There they will meet the Risen Lord. The rebirth of the disciples, the resurrection of their hearts, passes through Galilee. Let us enter into this journey of the disciples from the tomb to Galilee.

The Gospel tells us that the women went “to see the tomb” (Mt 28:1). They think that they will find Jesus in the place of death and that everything is over, forever. Sometimes we too may think that the joy of our encounter with Jesus is something belonging to the past, whereas the present consists mostly of sealed tombs: tombs of disappointment, bitterness and distrust, of the dismay of thinking that “nothing more can be done”, “things will never change”, “better to live for today”, since “there is no certainty about tomorrow”. If we are prey to sorrow, burdened by sadness, laid low by sin, embittered by failure or troubled by some problem, we also know the bitter taste of weariness and the absence of joy.

At times, we may simply feel weary about our daily routine, tired of taking risks in a cold, hard world where only the clever and the strong seem to get ahead. At other times, we may feel helpless and discouraged before the power of evil, the conflicts that tear relationships apart, the attitudes of calculation and indifference that seem to prevail in society, the cancer of corruption – there is a great deal of it, the spread of injustice, the icy winds of war. Then too, we may have come face to face with death, because it robbed us of the presence of our loved ones or because we brushed up against it in illness or a serious setback. Then it is easy to yield to disillusionment, once the wellspring of hope has dried up. In these or similar situations – each of us knows our own plights, our paths come to a halt before a row of tombs, and we stand there, filled with sorrow and regret, alone and powerless, repeating the question, “Why?” That chain of “why”…

The women at Easter, however, do not stand frozen before the tomb; rather, the Gospel tells us, “they went away quickly from the tomb, fearful yet overjoyed, and ran to announce this to his disciples” (v. 8). They bring the news that will change life and history forever: Christ is risen! (v. 6). At the same time, they remember to convey the Lord’s summons to the disciples to go to Galilee, for there they will see him (cf. v. 7). Let us ask ourselves today, brothers and sisters: what does it mean to go to Galilee? Two things: on the one hand, to leave the enclosure of the Upper Room and go to the land of the Gentiles (cf. Mt 4:15), to come forth from hiding and to open themselves up to mission, to leave fear behind and to set out for the future. On the other hand, and this is very beautiful, to return to the origins, for it was precisely in Galilee that everything began. There the Lord had met and first called the disciples. So, to go to Galilee means to return to the grace of the beginnings, to regain the memory that regenerates hope, the “memory of the future” bestowed on us by the Risen One.

This, then, is what the Pasch of the Lord accomplishes: it motivates us to move forward, to leave behind our sense of defeat, to roll away the stone of the tombs in which we often imprison our hope, and to look with confidence to the future, for Christ is risen and has changed the direction of history. Yet, to do this, the Pasch of the Lord takes us back to the grace of our own past; it brings us back to Galilee, where our love story with Jesus began, where the first call took place. In other words, it asks us to relive that moment, that situation, that experience in which we met the Lord, experienced his love and received a radiantly new way of seeing ourselves, the world around us and the mystery of life itself. Brothers and sisters, to rise again, to start anew, to take up the journey, we always need to return to Galilee, that is, to go back, not to an abstract or ideal Jesus, but to the living, concrete and palpable memory of our first encounter with him. Yes, to go forward we need to go back, to remember; to have hope, we need to revive our memory. This is what we are asked to do: to remember and go forward! If you recover that first love, the wonder and joy of your encounter with God, you will keep advancing. So remember, and keep moving forward.

Remember your own Galilee and walk towards it, for it is the “place” where you came to know Jesus personally, where he stopped being just another personage from a distant past, but a living person: not some distant God but the God who is at your side, who more than anyone else knows you and loves you. Brother, sister, remember Galilee, your Galilee, and your call. Remember the Word of God who at a precise moment spoke directly to you. Remember that powerful experience of the Spirit; that great joy of forgiveness experienced after that one confession; that intense and unforgettable moment of prayer; that light that was kindled within you and changed your life; that encounter, that pilgrimage... Each of us knows where our Galilee is located. Each of us knows the place of his or her interior resurrection, that beginning and foundation, the place where things changed. We cannot leave this in the past; the Risen Lord invites us to return there to celebrate Easter. Remember your Galilee. Remind yourself. Today, relive that memory. Return to that first encounter. Think back on what it was like, reconstruct the context, time and place. Remember the emotions and sensations; see the colours and savour the taste of it. For it is when you forgot that first love, when you failed to remember that first encounter, that the dust began to settle on your heart. That is when you experienced sorrow and, like the disciples, you saw the future as empty, like a tomb with a stone sealing off all hope. Yet today, brother, sister, the power of Easter summons you to roll away every stone of disappointment and mistrust. The Lord is an expert in rolling back the stones of sin and fear. He wants to illuminate your sacred memory, your most beautiful memory, and to make you relive that first encounter with him. Remember and keep moving forward. Return to him and rediscover the grace of God’s resurrection within you! Return to Galilee. Return to your Galilee.

Dear brothers and sisters, let us follow Jesus to Galilee, encounter him and worship him there, where he is waiting for each of us. Let us revive the beauty of that moment when we realized that he is alive and we made him the Lord of our lives. Let us return to Galilee, the Galilee of our first love. Let each of us return to his or her own Galilee, to the place where we first encountered him. Let us rise to new life!

[00560-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Die Nacht neigt sich dem Ende zu und das erste Licht der Morgendämmerung erscheint, als die Frauen sich auf den Weg zum Grab Jesu machen. Unsicher und verloren kommen sie daher, mit schmerzerfülltem Herzen angesichts des Todes, der ihnen den Geliebten weggenommen hat. Doch als sie zu jenem Ort kommen und das leere Grab sehen, kehren sie um und schlagen einen anderen Weg ein; sie verlassen das Grab und laufen los, um den Jüngern einen neuen Weg zu verkünden: Jesus ist auferstanden und wartet in Galiläa auf sie. Diese Frauen erlebten Ostern als Pascha, als einen Übergang: Ihr trauriger Gang zum Grab geht über in einen freudigen Lauf zu den Jüngern, nicht nur, um ihnen zu sagen, dass der Herr auferstanden ist, sondern auch, dass es ein Ziel gibt, zu dem sie sich sogleich begeben sollen, nämlich Galiläa. Dort werden sie den Auferstandenen treffen. Die Wiedergeburt der Jünger, die Auferstehung ihrer Herzen erfolgt über Galiläa. Lasst uns ebenfalls diesen Weg der Jünger einschlagen, der vom Grab nach Galiläa führt.

Die Frauen, so heißt es im Evangelium, »kamen […], um nach dem Grab zu sehen« (Mt 28,1). Sie meinen, Jesus befände sich an diesem Ort des Todes und alles sei für immer vorbei. Manchmal passiert es auch uns, dass wir denken, die Freude der Begegnung mit Jesus gehöre der Vergangenheit an, während wir in der Gegenwart vor allem versiegelte Gräber erleben: jene unserer Enttäuschungen, unserer Bitterkeit, unseres Misstrauens, das Grab jener Haltung, die meint, „da ist nichts mehr zu machen“, „die Dinge werden sich nie ändern“, „besser, von Tag zu Tag zu leben“, weil „man nicht sicher sein kann, was morgen sein wird“. Auch wir haben schon den bitteren Geschmack der Müdigkeit verspürt und erfahren, wie die Freude in unserem Herzen erloschen ist, wenn wir vom Schmerz gepeinigt, von Trauer bedrückt, von Sünde gedemütigt und angesichts von Misserfolgen verbittert waren oder von Sorgen geplagt wurden.

Manchmal fühlen wir uns vielleicht einfach nur müde aufgrund der täglichen Routine, müde von den persönlichen Risiken in einer kalten, harten Welt, in der die Gesetze der Verschlagenen und Starken vorzuherrschen scheinen. Andere Male fühlen wir uns hilflos und entmutigt gegenüber der Macht des Bösen, den Konflikten, die Beziehungen auseinanderreißen, der Berechnung und Gleichgültigkeit, die in der Gesellschaft zu herrschen scheinen, dem Krebsgeschwür der Korruption – davon gibt es viel –, der grassierenden Ungerechtigkeit und den eisigen Winden des Krieges.

Vielleicht waren wir auch schon mit dem Tod konfrontiert, weil er uns die wohltuende Gegenwart unserer Lieben geraubt hat oder weil wir von Krankheit oder einem schweren Schicksalsschlag gestreift wurden. So wurden wir zu einer leichten Beute der Desillusionierung und die Quelle der Hoffnung ist versiegt. In solchen oder ähnlichen Situationen – jeder von uns kennt die eigenen – kommen wir vor Gräbern zum Stehen und wir verbleiben dort, erfüllt von Trauer und Bedauern, allein und machtlos, und stellen immer wieder die Frage nach dem „Warum“. Jene Kette der „Warum“-Fragen …

Die Frauen bleiben an Ostern jedoch nicht wie gelähmt vor dem Grab stehen, vielmehr, so heißt es im Evangelium, »verließen sie das Grab voll Furcht und großer Freude und sie eilten zu seinen Jüngern, um ihnen die Botschaft zu verkünden« (V. 8). Sie überbringen die Nachricht, die das Leben und die Geschichte für immer verändern wird: Christus ist auferstanden (vgl. V. 6)! Gleichzeitig denken sie daran, den Jüngern die Aufforderung des Herrn zu überbringen, nach Galiläa zu gehen, weil sie ihn dort sehen werden (vgl. V. 7). Aber, Brüder und Schwestern, fragen wir uns heute: Was bedeutet es, nach Galiläa zu gehen? Zweierlei: Zum einen bedeutet es, aus der Geschlossenheit des Abendmahlsaals herauszugehen, um in diese von den Heiden bewohnte Region zu gehen (vgl. Mt 4,15), es bedeutet, aus dem Versteck herauszukommen und sich der Mission zu öffnen, der Angst zu entfliehen um der Zukunft entgegenzugehen. Und zum anderen bedeutet es, und das ist sehr schön, zu den Ursprüngen zurückzukehren, denn gerade in Galiläa hatte alles begonnen. Dort hatte der Herr die Jünger zum ersten Mal getroffen und gerufen. Nach Galiläa gehen bedeutet also, zur ursprünglichen Gnade zurückzukehren, und die Erinnerung wiederzuerlangen, die die Hoffnung erneuert, die „Erinnerung an die Zukunft“, mit der wir vom Auferstandenen beschenkt worden sind.

Das also bewirkt das Osterereignis der Auferstehung des Herrn: Es motiviert uns, vorwärts zu gehen, das Gefühl der Niederlage hinter uns zu lassen, den Stein von den Gräbern wegzuwälzen, in denen wir oft unsere Hoffnung gefangen halten, und mit Zuversicht in die Zukunft zu blicken, weil Christus auferstanden ist und den Lauf der Geschichte verändert hat. Damit das aber gelingt, führt uns die Auferstehung des Herrn zurück zu den Gnadenerfahrungen unserer Vergangenheit; sie lässt uns wieder nach Galiläa gehen, wo unsere Liebesgeschichte mit Jesus begann, wo er uns zum ersten Mal gerufen hat. Sie lädt uns also ein, erneut den Moment, die Situation und die Erfahrung zu leben, in der wir dem Herrn begegnet sind, seine Liebe erfahren haben und eine strahlend neue Sichtweise auf uns selbst, auf die Wirklichkeit und auf das Geheimnis des Lebens gewonnen haben. Brüder und Schwestern, um wieder aufzustehen, neu anzufangen und den Weg fortzusetzen, müssen wir stets nach Galiläa zurückkehren, das heißt, nicht zu einem abstrakten, idealen Jesus zurückgehen, sondern zu der lebendigen Erinnerung, zu der konkreten und bewegenden Erinnerung an unsere erste Begegnung mit ihm. Ja, um vorwärts zu gehen, müssen wir zurückgehen in der Erinnerung; um Hoffnung zu haben, müssen wir unsere Erinnerung pflegen. Und das ist die Einladung: Erinnere dich und geh weiter! Wenn du die erste Liebe, das Staunen und die Freude über die Begegnung mit Gott wiederfindest, wirst du vorankommen. Erinnere dich und geh weiter.

Erinnere dich an dein Galiläa und gehe zu deinem Galiläa. Es ist der „Ort“, an dem du Jesus persönlich kennengelernt hast, wo er für dich nicht einfach eine geschichtliche Gestalt blieb wie andere, sondern wo er zur wichtigsten Person deines Lebens wurde: kein ferner Gott, sondern der nahe Gott, der dich besser kennt und dich mehr liebt als jeder andere. Lieber Bruder, liebe Schwester, erinnere dich an Galiläa, an dein Galiläa: an deine Berufung, an jenes Wort Gottes, das er in einem bestimmten Augenblick genau zu dir gesprochen hat; an jene kraftvolle Erfahrung im Geiste, an die besonders große Freude über die Vergebung, die du nach einer bestimmten Beichte empfunden hast, an jenen intensiven und unvergesslichen Moment des Gebets, an jenes Licht, das dir aufgegangen ist und das dein Leben verändert hat, an jene Begegnung, an jene Pilgerreise... Jeder von uns weiß, wo das eigene Galiläa ist, jeder von uns kennt seinen eigenen Ort innerer Auferstehung, jenen grundlegenden Ort des Anfangs, der alles verändert hat. Wir können ihn nicht einfach der Vergangenheit überlassen; der Auferstandene lädt uns ein, dorthin zu gehen, um Ostern zu erleben. Denk an dein Galiläa, erinnere dich daran und lass es heute wiederaufleben. Kehr zu jener ersten Begegnung zurück. Frag dich, wie sie war und wann sie stattgefunden hat, rekonstruiere die Umstände, die Zeit und den Ort, spüre erneut die Gefühle und Empfindungen, vergegenwärtige dir wieder die Farben und den Geschmack. Denn du weißt, als du jene erste Liebe, als du jene erste Begegnung vergessen hast, da begann es, dass sich Staub auf dein Herz legte. Und du hast Traurigkeit verspürt, und so ist dir wie den Jüngern alles aussichtslos erschienen, so als versiegelte ein Felsbrocken die Hoffnung. Doch heute, Brüder und Schwestern, lädt die Macht des Osterereignisses dazu ein, die Felsbrocken der Enttäuschung und des Misstrauens wegzuwälzen. Der Herr, der ein Meister darin ist, die Grabsteine der Sünde und der Angst umzustoßen, will dein heiliges Andenken, deine schönste Erinnerung zum Strahlen bringen, er will dir deine erste Begegnung mit ihm neu vergegenwärtigen. Erinnere dich und geh weiter: Kehre zu ihm zurück, entdecke die Gnade von Gottes Auferstehung in dir! Kehre nach Galiläa zurück, kehre in dein Galiläa zurück.

Liebe Brüder und Schwestern, lasst uns Jesus nach Galiläa folgen, ihm begegnen und ihn dort anbeten, wo er einen jeden von uns erwartet. Lassen wir die Schönheit jenes Momentes wieder aufleben, als wir ihn, nachdem wir ihn als den Lebendigen erfahren hatten, zum Herrn unseres Lebens erkoren haben. Lasst uns nach Galiläa zurückkehren, in das Galiläa der ersten Liebe: jeder zu seinem eigenen Galiläa, jenem Ort der ersten Begegnung, und lasst uns so zu neuem Leben auferstehen!

[00560-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

La noche está llegando a su fin y despuntan las primeras luces del amanecer, cuando las mujeres se ponen en camino hacia la tumba de Jesús. Avanzan con incertidumbre, desorientadas, con el corazón desgarrado de dolor por esa muerte que les había quitado al Amado. Pero, llegando hasta ese lugar y viendo la tumba vacía, invierten la ruta, cambian de camino; abandonan el sepulcro y corren a anunciar a los discípulos un nuevo rumbo: Jesús ha resucitado y los espera en Galilea. En la vida de estas mujeres se produjo la Pascua, que significa paso. Ellas, en efecto, pasan del triste camino hacia el sepulcro a la alegre carrera hacia los discípulos, para decirles no sólo que el Señor había resucitado, sino que hay una meta a la que deben dirigirse sin demora, Galilea. La cita con el Resucitado es allí. El nuevo nacimiento de los discípulos, la resurrección de sus corazones pasa por Galilea. Entremos también nosotros en este camino de los discípulos que va del sepulcro a Galilea.

Las mujeres, dice el Evangelio, «fueron a visitar el sepulcro» (Mt 28,1). Piensan que Jesús se encuentra en el lugar de la muerte y que todo terminó para siempre. A veces también nosotros pensamos que la alegría del encuentro con Jesús pertenece al pasado, mientras que en el presente vemos sobre todo tumbas selladas: las de nuestras desilusiones, nuestras amarguras, nuestra desconfianza; las del “no hay nada más que hacer”, “las cosas no cambiarán nunca”, “mejor vivir al día” porque “no hay certeza del mañana”. También nosotros, cuando hemos sido atenazados por el dolor, oprimidos por la tristeza, humillados por el pecado; cuando hemos sentido la amargura de algún fracaso o el agobio por alguna preocupación, hemos experimentado el sabor acerbo del cansancio y hemos visto apagarse la alegría en el corazón.

A veces simplemente hemos experimentado la fatiga de llevar adelante la cotidianidad, cansados de exponernos en primera persona frente a la indiferencia de un mundo donde parece que siempre prevalecen las leyes del más astuto y del más fuerte. Otras veces, nos hemos sentido impotentes y desalentados ante el poder del mal, ante los conflictos que dañan las relaciones, ante las lógicas del cálculo y de la indiferencia que parecen gobernar la sociedad, ante el cáncer de la corrupción —hay tanta—, ante la propagación de la injusticia, ante los vientos gélidos de la guerra. E incluso, quizá nos hayamos encontrado cara a cara con la muerte, porque nos ha quitado la dulce presencia de nuestros seres queridos o porque nos ha rozado en la enfermedad o en las desgracias, y fácilmente quedamos atrapados por la desilusión y se seca en nosotros la fuente de la esperanza. De ese modo, por estas u otras situaciones —cada uno sabe cuáles son las propias—, nuestros caminos se detienen frente a las tumbas y permanecemos inmóviles llorando y lamentándonos, solos e impotentes, repitiéndonos nuestros “por qué”. Esa cadena de “por qué”…

En cambio, las mujeres en Pascua no se quedaron paralizadas frente a una tumba, sino que —dice el Evangelio— «atemorizadas pero llenas de alegría, se alejaron rápidamente del sepulcro y corrieron a dar la noticia a los discípulos» (v. 8). Llevan la noticia que cambiará para siempre la vida y la historia: ¡Cristo ha resucitado! (cf. v. 6). Y, al mismo tiempo, custodian y transmiten la recomendación del Señor, su invitación a los discípulos: que vayan a Galilea, porque allí lo verán (cf. v. 7). Pero, hermanos y hermanas, nos preguntamos hoy: ¿qué significa ir a Galilea? Dos cosas. Por una parte, salir del encierro del cenáculo para ir a la región habitada por las gentes (cf. Mt 4,15), salir de lo escondido para abrirse a la misión, escapar del miedo para caminar hacia el futuro. Y por otra parte —y esto es muy bonito—, significa volver a los orígenes, porque precisamente en Galilea había comenzado todo. Allí el Señor encontró y llamó por primera vez a los discípulos. Por tanto, ir a Galilea significa volver a la gracia originaria; significa recuperar la memoria que regenera la esperanza, la “memoria del futuro” con la que hemos sido marcados por el Resucitado.

Esto es lo que realiza la Pascua del Señor: nos impulsa a ir hacia adelante, a superar el sentimiento de derrota, a quitar la piedra de los sepulcros en los que a menudo encerramos la esperanza, a mirar el futuro con confianza, porque Cristo resucitó y cambió el rumbo de la historia. Pero, para hacer esto, la Pascua del Señor nos lleva a nuestro pasado de gracia, nos hace volver a Galilea, allí donde comenzó nuestra historia de amor con Jesús, donde fue el primer llamado. Es decir, nos pide que revivamos ese momento, esa situación, esa experiencia en la que encontramos al Señor, sentimos su amor y recibimos una mirada nueva y luminosa sobre nosotros mismos, sobre la realidad, sobre el misterio de la vida. Hermanos y hermanas, para resurgir, para recomenzar, para retomar el camino, necesitamos volver siempre a Galilea; no al encuentro de un Jesús abstracto, ideal, sino a la memoria viva, a la memoria concreta y palpitante del primer encuentro con Él. Sí, para caminar debemos recordar, para tener esperanza debemos alimentar la memoria. Y esta es la invitación: ¡recuerda y camina! Si recuperas el primer amor, el asombro y la alegría del encuentro con Dios, irás hacia adelante. Recuerda y camina.

Recuerda tu Galilea y camina hacia tu Galilea. Es el “lugar” en el que conociste a Jesús en persona; donde Él para ti dejó de ser un personaje histórico como otros y se convirtió en la persona más importante de tu vida. No es un Dios lejano, sino el Dios cercano, que te conoce mejor que nadie y te ama más que nadie. Hermano, hermana, haz memoria de Galilea, de tu Galilea; de tu llamada, de esa Palabra de Dios que en un preciso momento te habló justamente a ti; de esa experiencia fuerte en el Espíritu; de la alegría inmensa que sentiste al recibir el perdón sacramental en aquella confesión; de ese momento intenso e inolvidable de oración; de esa luz que se encendió dentro de ti y transformó tu vida; de ese encuentro, de esa peregrinación. Cada uno sabe dónde está la propia Galilea, cada uno de nosotros conoce dónde tuvo lugar su resurrección interior, ese momento inicial, fundante, que lo cambió todo. No podemos dejarlo en el pasado, el Resucitado nos invita a volver allí para celebrar la Pascua. Recuerda tu Galilea, haz memoria de ella, reavívala hoy. Vuelve a ese primer encuentro. Pregúntate cómo y cuándo sucedió; reconstruye el contexto, el tiempo y el lugar; vuelve a experimentar las emociones y las sensaciones; revive los colores y los sabores. Porque sabes que, cuando has olvidado ese primer amor, cuando has pasado por alto ese primer encuentro, ha comenzado a depositarse el polvo en tu corazón. Y experimentaste la tristeza y, como les ocurrió a los discípulos, todo parecía sin perspectiva, como si una piedra sellara la esperanza. Pero hoy, hermano, hermana, la fuerza de la Pascua nos invita a quitar las lápidas de la desilusión y la desconfianza. El Señor, experto en remover las piedras sepulcrales del pecado y del miedo, quiere iluminar tu memoria santa, tu recuerdo más hermoso, hacer actual ese primer encuentro con Él. Recuerda y camina; regresa a Él, recupera la gracia de la resurrección de Dios en ti. Vuelve a Galilea, vuelve a tu Galilea.

Hermanos, hermanas, sigamos a Jesús en Galilea; encontrémoslo y adorémoslo allí donde Él nos espera. Revivamos la belleza del momento en que, después de haberlo descubierto vivo, lo proclamamos Señor de nuestra vida. Volvamos a Galilea, a la Galilea del primer amor. Que cada uno vuelva a su propia Galilea, la del primer encuentro, ¡y resurjamos a una vida nueva!

[00560-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

A noite está a chegar ao fim e começam já a despontar os primeiros fulgores da aurora, quando as mulheres saem para o túmulo de Jesus. Caminham com passo incerto, olhar perdido e o coração dilacerado de dor por aquela morte que lhes arrebatou o Amado. Mas tendo chegado lá, ao ver o túmulo vazio, invertem o rumo, mudam de estrada; abandonam o sepulcro e correm a anunciar aos discípulos um percurso novo: Jesus ressuscitou e espera-os na Galileia. Na vida destas mulheres, aconteceu a Páscoa, que significa passagem: de facto, passam do caminho triste rumo ao sepulcro para uma corrida jubilosa até junto dos discípulos, a fim de lhes dizer não só que o Senhor ressuscitou, mas que há uma meta a alcançar imediatamente, a Galileia. O encontro com o Ressuscitado é lá. O renascimento dos discípulos, a ressurreição do seu coração passa pela Galileia. Entremos também nós neste caminho dos discípulos, que vai do túmulo à Galileia.

As mulheres – diz o Evangelho – «foram visitar o sepulcro» (Mt 28, 1). Pensam que Jesus Se encontre no lugar da morte, e que tudo tenha acabado para sempre. Às vezes acontece-nos, também a nós, pensar que a alegria do encontro com Jesus pertença ao passado, enquanto aquilo que o presente nos dá a conhecer são sobretudo túmulos selados: os túmulos das nossas desilusões, amarguras e difidência, os túmulos do «não há mais nada a fazer», «as coisas não mudarão jamais», «melhor gozar o dia a dia» porque «do amanhã não estamos seguros». Também nós, se fomos amofinados pela dor, oprimidos pela tristeza, humilhados pelo pecado, amargurados por algum fracasso ou pressionados por alguma preocupação, experimentamos o gosto amargo do cansaço e vimos a alegria apagar-se no coração.

Às vezes notamos simplesmente o peso de levar por diante a vida quotidiana, cansados de arriscar pessoalmente contra uma espécie de muro de borracha dum mundo onde parecem prevalecer sempre as leis do mais astuto e do mais forte. Outras vezes sentimo-nos impotentes e desanimados perante o poder do mal, os conflitos que dilaceram as relações, as lógicas feitas de cálculo e indiferença que parecem governar a sociedade, o câncer da corrupção – e há tanta –, a propagação da injustiça, os ventos gélidos da guerra. Mais ainda, talvez nos tenhamos defrontado com a morte, ao roubar-nos a doce presença dos nossos queridos ou roçar-nos por um triz na doença ou nas calamidades, e facilmente caímos vítimas da desilusão e secou a fonte da esperança. Assim, por estas ou outras situações – cada um de nós conhece as suas –, os nossos caminhos detêm-se perante túmulos e nós ficamos imóveis a chorar e lamentar-nos, repetindo, sozinhos e impotentes, os nossos «porquês». Aquela cadeia de «porquês»...

Ao contrário, as mulheres na Páscoa não ficam paralisadas diante dum túmulo, mas – diz o Evangelho – «afastando-se rapidamente do sepulcro, cheias de temor e grande alegria, as mulheres correram a dar a notícia aos discípulos» (28, 8). Levam a notícia que mudará para sempre a vida e a história: Cristo ressuscitou! (28, 6). E, ao mesmo tempo guardam e transmitem a recomendação do Senhor, o seu convite aos discípulos, ou seja, que partam para a Galileia, porque lá O verão (cf. 28, 7). Mas, irmãos e irmãs, perguntamo-nos hoje: que significa ir para a Galileia? Duas coisas: a primeira, sair da clausura do Cenáculo partindo para a região habitada pelos gentios (cf. Mt 4, 15), sair do escondimento para se abrir à missão, escapar do medo para caminhar rumo ao futuro. A segunda – e isto é maravilhoso –, voltar às origens, porque precisamente na Galileia é que tudo começara. Lá o Senhor encontrara e chamara pela primeira vez os discípulos. Portanto, ir para a Galileia é voltar à graça primordial, é readquirir a memória que regenera a esperança, a «memória do futuro» com que fomos marcados pelo Ressuscitado.

Vemos assim o que faz a Páscoa do Senhor: impele-nos a seguir em frente, sair da sensação de derrota, rolar a pedra dos sepulcros onde muitas vezes encerramos a esperança, olhar o futuro com confiança, porque Cristo ressuscitou e mudou a direção da história; mas, para o conseguir, a Páscoa do Senhor leva-nos ao nosso passado de graça, faz-nos regressar à Galileia, onde teve início a nossa história de amor com Jesus, onde ocorreu o primeiro chamamento. Por outras palavras, pede-nos para reviver o momento, a situação, a experiência em que encontramos o Senhor, experimentamos o seu amor e recebemos um olhar novo e luminoso sobre nós mesmos, sobre a realidade, sobre o mistério da vida. Irmãos e irmãs, para ressuscitar, recomeçar, retomar o caminho, precisamos sempre de voltar à Galileia, isto é, voltar, não a um Jesus abstrato, ideal, mas à memória viva, à memória concreta e palpitante do primeiro encontro com Ele. Sim, para caminhar devemos recordar; para ter esperança devemos nutrir a memória. E este é o convite: recorda e caminha! Se recuperares o primeiro amor, o deslumbramento e a alegria do encontro com Deus, seguirás para a frente. Recorda e caminha.

Recorda a tua Galileia, e caminha para a tua Galileia. É o «lugar» onde conheceste pessoalmente Jesus, onde Ele deixou de ser, para ti, uma personagem histórica como outras, tornando-Se a pessoa da tua vida: não um Deus distante, mas o Deus próximo, que te conhece melhor do que ninguém e te ama mais do que qualquer outra pessoa. Irmão, irmã, traz à memória a Galileia, a tua Galileia: a Galileia da tua chamada, daquela Palavra de Deus que, num momento concreto, foi dirigida precisamente a ti; daquela forte experiência no Espírito, da maior alegria do perdão sentida depois daquela Confissão, daquele momento intenso e inesquecível de oração, daquela luz que se acendeu no teu íntimo e transformou a tua vida, daquele encontro, daquela peregrinação, etc. Cada um de nós sabe onde se encontra a sua Galileia, cada um de nós conhece o próprio lugar da ressurreição interior, lugar inicial, fundante, que mudou as coisas. Não podemos deixá-lo no passado, o Ressuscitado convida-nos a ir até lá, para celebrar a Páscoa. Recorda a tua Galileia, trá-la à memória, reaviva-a hoje mesmo. Volta àquele primeiro encontro. Interroga-te como e quando foi, reconstrói o seu contexto, tempo e lugar, repassa a emoção e as sensações, revive as suas cores e sabores. Com efeito, tu sabes, foi quando esqueceste aquele primeiro amor, quando olvidaste aquele primeiro encontro que começou a depositar-se o pó no teu coração. E experimentaste a tristeza e, como para os discípulos, tudo parecia carecido de perspetiva, com um rochedo selando a esperança. Mas hoje, irmão, irmã, a força da Páscoa convida a rolar para fora as pedras da desilusão e da desconfiança; o Senhor, perito em derrubar as pedras tumulares do pecado e do medo, quer iluminar a tua memória santa, a tua recordação mais bela, tornar atual aquele primeiro encontro com Ele. Recorda e caminha: volta para Ele, redescobre a graça da ressurreição de Deus em ti! Volta à Galileia, volta à tua Galileia.

Irmãos, irmãs, sigamos Jesus até à Galileia, encontremo-Lo e adoremo-Lo lá onde Ele espera cada um de nós. Revivamos a beleza daquele momento em que, depois de O ter descoberto vivo, O proclamamos Senhor da nossa vida. Voltemos à Galileia, à Galileia do primeiro amor, cada um volte à sua própria Galileia, a do primeiro encontro, e ressurjamos para uma vida nova!

[00560-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Noc dobiega końca i pojawia się brzask jutrzenki gdy niewiasty wyruszają do grobu Jezusa. Idą niepewnie, zagubione, z sercem rozdartym żalem z powodu śmierci, która zabrała im Umiłowanego. Ale gdy przyszły na miejsce i ujrzały pusty grób, zawracają, zmieniają trasę, oddalają się od grobu i biegną, aby zapowiedzieć uczniom nowy kierunek drogi: Jezus zmartwychwstał i oczekuje ich w Galilei. W życiu tych kobiet wydarzyła się Pascha, która oznacza przejście: istotnie przechodzą od żałobnego zmierzania ku grobowi, do radosnego biegu ku uczniom, aby powiedzieć im nie tylko, że Pan zmartwychwstał, ale że istnieje cel, do którego należy natychmiast dotrzeć – Galilea. Tam jest spotkanie ze Zmartwychwstałym. Odrodzenie uczniów, zmartwychwstanie ich serc przechodzi przez Galileę. Wejdźmy też w tę pielgrzymkę uczniów, która zmierza od grobu do Galilei.

Niewiasty, jak mówi Ewangelia, „poszły obejrzeć grób” (Mt 28, 1). Myślą, że Jezus jest w miejscu śmierci i że wszystko skończyło się na zawsze. Czasami i nam zdarza się myśleć, że radość ze spotkania z Jezusem należy do przeszłości, podczas gdy w teraźniejszości zaznajemy głównie zapieczętowanych grobów: grobów naszych rozczarowań, naszej goryczy i naszej nieufności, tych grobów, gdzie „nic już nie da się zrobić”, „nigdy nic się nie zmieni”, „lepiej żyć z dnia na dzień”, bo „jutra nie można być pewnym”. My też, jeśli dręczył nas ból, przytłoczył smutek, upokorzył grzech, przygniotła jakaś porażka lub niepokoiło jakieś zmartwienie, doświadczyliśmy gorzkiego smaku znużenia i widzieliśmy, że gaśnie radość w naszym sercu.

Czasami odczuwaliśmy jedynie trud w codziennym życiu, znużenie podejmowanym osobiście ryzykiem wobec muru świata, w którym zdają się zawsze zwyciężać prawa najprzebieglejszych i najsilniejszych. Kiedy indziej czuliśmy się bezsilni i zniechęceni wobec potęgi zła, konfliktów, które rozdzierają relacje, wobec logiki wyrachowania i obojętności, która zdaje się rządzić społeczeństwem, raka korupcji, jest jej wiele, rozprzestrzeniania się niesprawiedliwości, lodowatych wichrów wojny. A może stanęliśmy twarzą w twarz ze śmiercią, gdyż odebrała nam pełną miłości obecność naszych bliskich lub ponieważ dotknęła nas w chorobie lub nieszczęściu, i łatwo padliśmy ofiarą rozczarowania, a źródło nadziei wyschło. Tak więc z powodu tych lub innych sytuacji, każdy z nas zna własne, nasze drogi zatrzymują się przed grobami, a my trwamy nieruchomo płacząc i żałując, samotni i bezsilni, powtarzając nasze „dlaczego”. Ten łańcuch „dlaczego”.

Natomiast niewiasty w Wielkanoc nie stoją sparaliżowane przed grobem, ale – jak mówi Ewangelia – „pośpiesznie oddaliły się od grobu, z bojaźnią i wielką radością, i pobiegły oznajmić to Jego uczniom” (w. 8). Zanoszą wieść, która na zawsze zmieni życie i historię: Chrystus zmartwychwstał! (por. w. 6). A jednocześnie strzegą i przekazują nakaz Pana, Jego zachętę skierowaną do uczniów: aby poszli do Galilei, bo tam Go zobaczą (por. w. 7). Ale, bracia i siostry, dzisiaj pytamy się: co to znaczy pójść do Galilei? Dwie rzeczy: z jednej strony wyjść z zamknięcia Wieczernika, aby udać się do regionu zamieszkałego przez pogan (por. Mt 4, 15), wyjść z ukrycia, aby otworzyć się na misję, uciec od lęku, aby iść ku przyszłości. A z drugiej strony, i to jest bardzo piękne, oznacza to powrót do źródeł, ponieważ to właśnie w Galilei wszystko się zaczęło. Tam Pan po raz pierwszy spotkał i powołał uczniów. Zatem udać się do Galilei to powrócić do pierwotnej łaski, to odzyskać pamięć, która odnawia nadzieję, „pamięć przyszłości”, którą zostaliśmy naznaczeni przez Zmartwychwstałego.

Oto więc, co czyni Pascha Pana: pobudza nas do pójścia naprzód, do wyjścia z poczucia klęski, do odsunięcia kamienia grobowego, w którym często zamykamy nadzieję, do spojrzenia z ufnością w przyszłość, ponieważ Chrystus zmartwychwstał i zmienił kierunek dziejów. Ale aby to uczynić, Pascha Pana prowadzi nas z powrotem do naszej pierwotnej łaski, każe nam powrócić do Galilei, gdzie rozpoczęła się nasza historia miłości z Jezusem, gdzie było pierwsze powołanie. Żąda od nas, abyśmy przeżyli na nowo ten moment, tę sytuację, to doświadczenie, w którym spotkaliśmy Pana, doświadczyliśmy Jego miłości i otrzymaliśmy nowe i jasne spojrzenie na nas samych, na rzeczywistość, na tajemnicę życia. Bracia i siostry, aby zmartwychwstać, aby rozpocząć na nowo, aby wznowić naszą drogę, zawsze musimy powrócić do Galilei, to znaczy wrócić nie do Jezusa abstrakcyjnego, idealnego, ale do żywej pamięci, do pamięci konkretnej, pulsującej życiem pamięci o naszym pierwszym spotkaniu z Nim. Tak, aby iść musimy pamiętać; aby mieć nadzieję musimy karmić pamięć. I to jest zachęta: pamiętaj i idź! Jeśli odzyskasz pierwszą miłość, zadziwienie i radość ze spotkania z Bogiem, pójdziesz naprzód. Pamiętaj i idź.

Przypomnij sobie swoją Galileę i idź w jej kierunku. Jest to „miejsce”, gdzie osobiście poznałeś Jezusa, gdzie dla ciebie nie pozostał On postacią historyczną, jak inni, ale stał się osobą życia: nie Bogiem odległym, lecz Bogiem bliskim, który zna ciebie bardziej niż ktokolwiek inny i miłuje bardziej niż ktokolwiek inny. Bracie, siostro, pamiętaj o Galilei, o twojej Galilei: o twoim powołaniu, o tym słowie Bożym, które przemówiło do ciebie w konkretnym momencie; o tym mocnym doświadczeniu w Duchu Świętym, o największej radości przebaczenia odczuwanej po spowiedzi, o tej intensywnej i niezapomnianej chwili modlitwy, o tym świetle, które zapaliło się wewnątrz i przemieniło twoje życie, o tym spotkaniu, o tej pielgrzymce... Każdy wie gdzie jest jego własna Galilea, każdy z nas zna swoje własne miejsce wewnętrznego zmartwychwstania, tego początkowego, tego fundamentalnego, tego, które zmieniło wszystko. Nie możemy go zostawić za sobą, Zmartwychwstały zaprasza nas, byśmy tam poszli, aby sprawować Paschę. Przypomnij sobie swoją Galileę, ożyw ją dzisiaj. Wróć do tego pierwszego spotkania. Zapytaj siebie kiedy i jak to było, odtwórz kontekst, czas i miejsce, doświadcz ponownie jego doznań i wrażeń, przeżyj na nowo jego kolory i smaki. Bo ty wiesz, to właśnie wtedy, gdy zapomniałeś o tej pierwszej miłości, to właśnie wtedy, gdy zapomniałeś o tym pierwszym spotkaniu, na twoim sercu zaczął osiadać kurz. I doświadczyłeś smutku, i tak jak uczniom wszystko wydawało się bez perspektywy, z głazem opieczętowującym nadzieję. Ale dziś, bracie, siostro, moc Paschy zaprasza cię do odsunięcia głazów rozczarowania i nieufności; Pan, znawca odsuwania kamieni nagrobnych grzechu i lęku, chce oświecić twoją świętą pamięć, twoje najpiękniejsze wspomnienie, odświeżyć twoje pierwsze spotkanie z Nim. Pamiętaj i idź: powróć do Niego, odnajdź łaskę zmartwychwstania Boga w tobie! Wróć do Galilei, wróć do twojej Galilei.

Bracia, siostry, podążajmy za Jezusem do Galilei, spotkajmy Go i adorujmy Go tam, gdzie czeka na każdego z nas. Ożywiajmy piękno tego, kiedy odkrywając Go żywego, ogłosiliśmy Go Panem naszego życia. Powróćmy do Galilei, do Galilei pierwszej miłości: niech każdy z nas powróci do swojej Galilei, tej z pierwszego spotkania, i zmartwychwstańmy do nowego życia!

[00560-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

عظة قداسة البابا فرنسيس

في القدّاس الإلهي

عشيّة عيد القيامة المجيدة

8 نيسان/أبريل 2023

بازيليكا القدّيس بطرس

ذهبت النساء إلى قبر يسوع، في نهاية الليل مع أوّل أضواء الفجر. كنَّ يَسِرْن في قلق، وضياع، وقلوبهن يمزِّقها الألَم بعد تلك الليلة التي مات فيها الذي أحبَبْنَه. عندما وصَلْن إلى ذلك المكان ورأينَ القبر فارغًا، عكسن سَيْرهُنَّ، وبدَّلْنَ الطّريق: ترَكْن القبر وركضْنَ ليبشِّرْنَ التّلاميذ بمسار جديد. قام يسوع من بين الأموات، وهو ينتظرهم في الجليل. حَدَثَ الفصح في حياة تلك النساء. الفصح يعني العبور: في الواقع، هنَّ عَبَرْن من السّير حزينات نحو القبر إلى الرّكض فَرِحاتٍ نحو التّلاميذ، ليقُلْنَ لهم ليس فقط أنّ الرّبّ يسوع قد قام من بين الأموات، بل هناك هدف يجب التّوجه إليه مباشرة، وهو الجليل. كان الموعد مع الرّبّ القائم من بين الأموات هناك. ولادة التّلاميذ من جديد، وقيامة قلوبهم تَحدُث في الجليل. لننضَمَّ نحن أيضًا إلى مسيرة التّلاميذ هذه التي تنطلق من القبر إلى الجليل.

قال الإنجيل إنّ النساء جِئْنَ ينظُرْنَ القبر (متّى 28، 1). اعتقدْنَ أنّ يسوع كان في مكان الموت، وأنّ كلّ شيء قد انتهى إلى الأبد. قد يحدث لنا أيضًا أحيانًا أن نفكّر أنّ فرح اللقاء مع يسوع هو أمرٌ من الماضي، ولا نعرف في الحاضر سوى قبور مختومة، هي قبور خيبات الأمل، والمرارة، وعدم الثّقة فينا، وأنّه ”لم يعد هناك شيء نقدر أن نعمله“، وأنّ ”الأمور لن تتغيّر أبدًا“، وأنّه ”من الأفضل أن نعيش كلّ يومٍ بيومه“ لأنّ ”لا شيء أكيد بشأن الغَد“. نحن أيضًا، إن عصَرَنا الألم، وأظلم علينا الحزن، وأذلّتنا الخطيئة، وشعرنا بالمرارة لبعض الفشل أو ثقُلَت علينا بعض الاهتمامات، نحن أيضًا نذُوق مرارة التّعب، ونرى الفرح ينطفئ في قلبنا.

شعرنا أحيانًا، ببساطة، بالتّعب في الاستمرار في الحياة اليوميّة، وبالتّعب من المغامرة بأنفسنا أمام جدار العالم المطّاطيّ، حيث يبدو أنّ قانون الحيلة والأقوى هو الذي يسود دائمًا. وأحيانًا أخرى، شعرنا بأنّنا عاجزون ومُحبطون أمام سُلطان الشّرّ، والصّراعات التي تمزِّق العلاقات، وأمام منطق الحِسابات واللامبالاة الذي يبدو أنّه يحكُم المجتمع، وأمام سرطان الفساد – يوجد الكثير من الفساد -، وانتشار الظُّلم، ورياح الحرب الباردة. وأيضًا، ربّما وجدنا أنفسنا وجهًا لوجهٍ مع الموت، لأنّه سلبنا حُضُورَ أحبّائنا، أو لأنّه ألقى بنا في المرض والكوارث، فوقعنا بسهولة فريسةً لخيبة الأمل، وجفّ ينبوع رجائنا. وهكذا، في مِثل هذه الأوضاع أو غيرها – كلّ واحدٍ منّا يعرف أوضاعه الخاصّة -، تتوقّف مسيرتنا أمام القبور، ونبقى نحن بلا حِرَاك، نبكي ونبكي، وحيدين، وعاجزين ونكرّر أسئلتنا ”لماذا“، تلك السّلسلة من الأسئلة ”لماذا“.

أمّا النساء، في يوم الفصح، فلم يبقَيْنَ جامدات. يقول الإنجيل: "تَركَتا القَبرَ مُسرِعَتينِ وهُما في خوفٍ وفَرحٍ عَظيم، وبادَرتا إِلى التَّلاميذِ تَحمِلانِ البُشْرى" (الآية 8). حَمَلْنَ الخبر الذي سيغيّر الحياة والتّاريخ إلى الأبد: المسيح قام! (راجع الآية 6). وفي الوقت نفسه، حَفِظْنَ ونَقَلْنَ وصيّة الرّبّ يسوع ودعوته الى التّلاميذ: أن يذهبوا إلى الجليل، لأنّهم سيرَوْنه هناك (راجع الآية 7). أيّها الإخوة والأخوات، لنسأل أنفسنا اليوم: ماذا يعني أن يذهبوا إلى الجليل؟ يعني أمرَين اثنَين: أوّلًا، خروجهم من انغلاقهم على أنفسهم في العلّيّة، لكي يذهبوا إلى المناطق التي تسكن فيها الأمم (راجع متّى 4، 15)، الخروج من الاختباء والانفتاح على الرّسالة، والهرب من الخوف لكي يسيروا نحو المستقبل. وثانيًّا – وهذا جميل جدًّا -، يعني العودة إلى الأصول، لأنّ كلّ شيء بدأ في الجليل. هناك التقى الرّبّ يسوع بتلاميذه ودعاهم لأوّل مرّة. لذلك، الذّهاب إلى الجليل هو العودة إلى النّعمة الأصليّة، وهو استعادة الذّكرى التي تُحيِي الرّجاء، ”ذكرى المستقبل“ التي بها وَسَمَنا الرّبّ القائم من بين الأموات.

هذا ما يفعله فصح الرّبّ يسوع: يدفعنا لكي نمضي قدمًا، ونخرج من شعورنا بالهزيمة، وندحرج الحجر عن قبورنا التي تحُدُّ من رجائنا، وننظر بثقة إلى المستقبل، لأنّ المسيح قام من بين الأموات وغيَّر مجرى التّاريخ. ولكي نصنع ذلك، يُعيدنا فصح الرّبّ يسوع إلى ماضينا المليء بالنّعمة، ويجعلنا نعود إلى الجليل، هناك، حيث بدأت قصّة حبّنا مع يسوع، وحيث كانت دعوته الأولى لنا. أيْ، يطلبُ منّا أن نعيش من جديد تلك اللحظة، وتلك الحالة، وتلك الخبرة التي التقينا فيها بالرّبّ يسوع، واختبرنا محبّته وصارت لنا نظرة جديدة مضيئة عن أنفسنا، وعن الواقع، وعن سِرِّ الحياة. أيّها الإخوة والأخوات، لكي نقوم من جديد، ونبدأ مسيرتنا من جديد، نحن بحاجة دائمًا إلى أن نعود إلى الجليل، أي أن نذهب من جديد، لا إلى يسوع نظريٍّ، ومثالي، بل إلى الذّاكرة الحيَّة والملموسة والنّابضة كما كان في أوّل لقاءٍ معه. نعم، حتّى نتقدّم يجب أن نتذكّر، وحتّى يكون لنا أمل يجب أن نغذّي الذّاكرة. وهذه هي الدّعوة: تذكّر وتقدَّم! إن استعدْتَ الحبَّ الأوّل، والدهشةَ وفرحَ اللقاء مع الله، ستمضي قدمًا. تذكّر وتقدَّم.

تذكَّر بدايتك في الجليل، وسِر نحو الجليل. إنه ”المكان“ الذي التقيت فيه مع يسوع شخصيًّا، حيث لم يظل بالنسبة لك شخصيّة تاريخيّة مثل غيرها، بل صار شخصًا في حياتك: ليس إلهًا بعيدًا، بل إلهٌ قريب، يعرفك أكثر من أيّ شخص آخر، ويحبّك أكثر من أيّ شخص آخر. أخي، أختي، تذكّر، وتذكَّري البداية في الجليل: تذكّر دعوتك، كلمة الله التي كلّمتك في لحظة محددة، تذكّر الخبرة القويّة في الرّوح، وأكبر فرح، فرح المغفرة، الذي شعرت به بعد الاعتراف، ولحظة تلك الصّلاة معًا التي لا تُنسى، وذلك النّور الذي أضاء في داخلك وغيّر حياتك، وذلك اللقاء، وذلك الحجّ... كلّ واحدٍ منّا يعرف أين هي بداية الجليل بالنّسبة له، وكلّ واحد منّا يعرف مكان قيامته الداخليّة، الخاصَّ به، مكان البداية والتأسيس الذي غيّر الأشياء. لا يمكن أن نترك كلّ ذلك في الماضي. الرّبّ القائم من بين الأموات يدعونا إلى أن نذهب إلى هناك لِنُقِيم الفصح. تذكّر بدايتك في الجليل، احفَظْها في الذّاكرة، وأعِدْها إلى الحياة اليوم. عُدْ إلى ذلك اللقاء الأوّل. واسأل نفسك كيف كان ومتى كان، وأعِدْ بناء السّياق والزّمان والمكان، حاول أن تستعيد الأحاسيس والمشاعر، عِشْها من جديد بألوانها وطعمها. لأنّك أنت تعلَم، ومنذ نسيت ذلك الحبّ الأوّل، ونسيت اللقاء الأوّل، بدأ الغبار يتراكم على قلبك، فاختبرت الحزن، ومثل التّلاميذ، بدا كلّ شيء لك بلا أفق، وحجر كبير يختم رجاءك. لكن اليوم، أيّها الإخوة والأخوات، قوّة الفصح تدعوك إلى دحرجة صخور الفشل وعدم الثّقة. الرّبّ يسوع، الخبير بدحرجة الحجر عن قبور الخطيئة والخوف، يريد أن يضيء ذاكرتك المقدّسة، وأجمل ذكرياتك، وأن يعيد إلى الحياة أوّل لقاء لك معه. تذكّر وتقدَّمْ: عُدْ إليه، واكتشف من جديد نعمة قيامة الله فيك! عُدْ إلى الجليل، وعُدْ إلى بدايتك في الجليل.

أيّها الإخوة والأخوات، لِنتبعْ يسوع في الجليل، ولْنلتقِ به ونسجد له هناك حيث ينتظر كلّ واحد منّا. لِنحيِ فينا جمال اللحظة التي وجدناه فيها حيًّا، وأعلنَّا أنّه ربّ حياتنا. لِنَعُدْ إلى الجليل، وإلى الجليل الحبّ الأوّل، كلّ واحدٍ لِيَعُدْ إلى البداية في الجليل، إلى ذلك اللقاء الأوّل، ولْنَقُمْ لحياة جديدة!

[00560-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0260-XX.02]